African Summer Review 2013

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territorialità politica che trascende la classica logica della sovranità westfaliana. In altre parole, i margini di effettività dell’autorità imperiale non sono più fissi ma diventano i confini di uno spazio immaginato/-ario colmo di tensioni passate, presenti e future7; un insieme, quindi, di rappresentazioni simboliche semirealistiche di antagonismo, soggette a continue modifiche e trasformazioni di vario grado e genere. Per esempio, il fatto che sia l’impero britannico che quello francese si siano dissolti con la fine della prima guerra mondiale, non esula dal sostenere che i due paesi abbiano esercitano una grossa influenza ideologica sia all’epoca dei mandati e protettorati dell’ONU che lungo tutto il periodo della guerra fredda - e oltre. Se isolato da tendenze essenzialistiche tutt’altro che neutrali, tipiche di analisi spesso spinte da antipatie di carattere etnocentrico e piuttosto soggettivo, questo approccio permette di considerare l’argomento del trasferimento di tecnologie sotto una luce diversa: tenendo a mente la complessità degli interessi in ballo durante i decenni post-indipendenza in Africa, si può parlare di “imperialismo evolutivo”, senza tuttavia minimizzare l’impatto che le ideologie condivise almeno sul piano economico e politico han avuto sulle società africane, e alla loro auto-interpretazione avvenuta in maniera più o meno consapevole. Per

concludere,

possiamo

quindi

definire

“imperialismo

evolutivo”

(developmental imperialism) come quell’insieme sistematico di idee, pratiche e discorsi di stampo occidentalizzante tradotti in politiche internazionali di sviluppo economico dall’alto verso il basso e volti ad incoraggiare, se non perpetuare, la ‘missione civilizzatrice’ dell’Occidente nel mondo8.

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Lefebvre, H., The Production of Space, Oxford: Basil Blackwell, 1991, p. 174. Pomeranz, K., “'Civilizing' Missions, Past & Present” in Daedalus, 2005, p. 38 ff.

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