Microcouseling e mMicrocoaching

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S T R U M E N T I

Enrichetta Spalletta - Flavia Germano



collana Psicoterapia & Counseling diretta da Edoardo Giusti PSICOTERAPIA�

COUNSELING�

5 Centro Europeo di Ricerche per lo Studio delle Psicoterapie Integrate e Comparate



Enrichetta Spalletta - Flavia Germano

MICROCOUNSELING e MICROCOACHING Manuale operativo di strategie brevi per la motivazione al cambiamento


Š 2006 SOVERA MULTIMEDIA s.r.l. Via Vincenzo Brunacci, 55/55A - 00146 Roma Tel. (06) 5585265 - 5562429 www.soveraedizioni.com e-mail: info@soveraedizioni.com I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi.


Indice Prefazione Introduzione Counseling & coaching: confronto e integrazione di sistemi professionali Il counseling Il coaching: dal campo sportivo all’azienda, alla vita E il MentalCoaching? Elementi di comunanza e di differenza Leggere il testo: istruzioni per l’uso

Capitolo 1 Le radici comuni dell’integrazione pluralistica nel counseling e nel coaching 1.1. La Psicologia Umanistica: da Rogers agli sviluppi più recenti 1.1.1.Punti forza e limiti dell’approccio umanistico 1.2. La responsabilità nello scolpire la propria vita: l’approccio fenomenologico-esistenziale 1.2.1.Concetti utili nel counseling e nel coaching 1.2.2.Punti forza, limiti e applicazioni dell’approccio fenomenologico-esistenziale nel counseling e nel coaching integrato 1.3. Il presente incontra il passato: evoluzioni e attualità delle esperienze originarie 1.3.1.In principio fu…il legame primario 1.3.2.Aspetti psicodinamici utili alla pratica del counseling e del coaching nell’approccio integrato 1.4. Puntare all’obiettivo, trovare strategie alternative: usare la ragione per cambiare 1.4.1.Quando e come applicare elementi cognitivo-comportamentali nell’approccio integrato 1.5. Aggiornare la mappa per esplorare il territorio: il contributo della Programmazione NeuroLinguistica al processo di cambiamento nella relazione di aiuto

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Indice 1.5.1.I Metaprogrammi 1.5.2.Creare rapport 1.6. Attraversando il momento presente: la consapevolezza nel Qui & Ora 1.6.1.Tecniche di Gestalt nel counseling e nel coaching 1.7. I giochi che giochiamo: riconoscere i copioni per orientare il futuro 1.7.1.Ingiunzioni e decisioni precoci: comprendere l’influenza delle origini sulla quotidianità 1.7.2.Decidere e ridecidere la vita: il contributo dell’Analisi Transazionale al cambiamento efficace 1.8. Il punto di vista interpersonale 1.9. Quando uno più uno fa più di due: la persona nei suoi sistemi 1.10. Pluralismo e Integrazione: concetti chiave

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Capitolo 2 Counseling e coaching: risorse per il benessere

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2.1. Relazione di aiuto autosostegno e qualità della vita 2.2. Sviluppare il piano personale di benessere con il life-coaching 2.3. Le ricchezze dell’empowerment nel counseling e nel coaching

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Capitolo 3 Il modello operativo: la struttura e la metodologia

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3.1. L’organizzazione evolutiva: gli stadi del processo di agevolazione 3.1.1.Passo dopo passo verso l’obiettivo 3.2. Componenti essenziali del cambiamento 3.2.1.La relazione qualitativa e il suo cuore propulsivo: i fattori comuni 3.2.2.Transfert e controtransfert nella relazione di counseling e in quella di coaching 3.2.3.Specificità della relazione coach-coachee 3.2.4.Il focus emotivo 3.2.5.Il focus comportamentale 3.2.6.Il focus cognitivo e lo sviluppo della competenza autoriflessiva

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Capitolo 4 Competenze tecnico-procedurali

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4.1. L’ascolto, la parola, il silenzio: fondamenti della prassi comunicativa

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Indice 4.1.1.L’importanza del modo in cui ci si esprime 4.1.2.La comunicazione non verbale 4.1.3.Parlare, capire, farsi capire: sintonizzarsi con i canali comunicativi 4.1.4.Pensieri, parole e azioni efficaci e inefficaci 4.1.5.Il feedback 4.1.6.L’arte “semplice” della riformulazione 4.2. La comunicazione nel counseling e nel coaching 4.2.1.Accettazione incondizionata, autenticità, congruenza 4.2.2.La comunicazione e la comprensione empatica 4.2.3.Il linguaggio dell’empatia 4.2.4.La riflessione dei sentimenti

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Capitolo 5 La prassi evolutiva: lo sviluppo progressivo della relazione dal primo contatto ai saluti 5.1. Selezionare, implementare e monitorare il piano di intervento più appropriato 5.1.1. La fase dell’accoglienza esplorativa: delineare una base sufficientemente sicura e attivare energie e risorse verso gli obiettivi 5.1.2.“Il primo incontro non si scorda mai”: il valore dei primi passi in vista dell’arrivo 5.1.3.Analisi della domanda e progettualità: dallo scenario attuale a quello possibile attraverso una definizione condivisa del problema-obiettivo 5.1.4.Le regole del setting, la formulazione del contratto, l’avvio dell’alleanza 5.1.5.L’assessment iniziale orientativo e la raccolta delle informazioni significative 5.1.6.Strumenti di descrizione anamnestica per il counselor: il genogramma, l’album fotografico, le tecniche espressivo-creative, le tecniche grafiche e quelle per la descrizione autoconoscitiva 5.1.7.Valutare l’adattabilità del cliente al percorso di counseling o di coaching 5.2. Prepararsi al cambiamento: nuove prospettive verso obiettivi raggiungibili 5.2.1.Strategie di azione verso la meta, utilizzando il brainstorming 5.2.2.Il problema come un’occasione per attivare la mente creativa e l’energia positiva

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Indice 5.2.3.Curiosità , interesse, spinta intenzionale e timore, rifiuto, resistenza al cambiamento: la naturale altalena di fronte al nuovo scenario 5.3. L’autosostegno proattivo per crescere e misurarsi con sÊ, nel proprio ambiente 5.3.1.Cambiare nelle parole e nelle azioni 5.3.2.Cambiare con i pensieri 5.3.3.Cambiare con il cuore 5.4. Imparare a costruire legami per potersi separare: la conclusione della relazione nel counseling e nel coaching 5.4.1.Mantenere il cambiamento 5.4.2.Quando concludere la relazione?

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Capitolo 6 La supervisione nel counseling e nel coaching

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6.1. Significati e scopi della supervisione 6.1.1.La relazione nel processo di supervisione 6.1.2.Valutazione del supervisionato 6.1.3.Stadi e competenze in supervisione 6.1.4.Il modello SAS

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APPENDICE A Raccolta di strumenti di minitoraggio e supporto della relazione di aiuto

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APPENDICE B Schede di supervisione

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Bibliografia

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Prefazione

Il testo si rivolge a neofiti della relazione di aiuto espressa nella sua forma di sostegno e orientamento nel setting del counseling e come programma specifico di empowerment e miglioramento delle prestazioni nella vita professionale e personale nel MentalCoaching. L’approccio cui si fa riferimento è quello pluralistico integrato. La sfida formativa e professionale che questo approccio propone è molto complessa. Si tratta infatti di impostare piani di intervento in cui ci siano senso e congruenza teorica, strategie selezionate e tecniche elettive la cui composizione nel lavoro relazionale dovrà rispettare le indicazioni della ricerca. Altro livello della sfida riguarda i confini dell’azione professionale entro i quali il counselor e il coach devono mantenere il loro intervento. L’elaborazione del testo è frutto dell’esperienza professionale diretta, dell’attività formativa in questi ambiti condotta ormai da circa 15 anni e della continua attività di ricerca e aggiornamento nella letteratura internazionale. Lo spirito che ha guidato la composizione è stato quello di offrire un supporto utile a livello metodologico e pratico a quanti si avvicinano all’acquisizione di counseling skill basilari e a quanti siano curiosi di conoscere più approfonditamente il mondo variegato, duttile, vivace, creativo ed emergente del coaching. Nel testo si fa riferimento ad un’espressione specifica che è quella di MentalCoaching, approccio che incorpora, come il Coaching, i saperi della psicologia, del business, della filosofia e della spiritualità, avvalendosi inoltre di una metodologia e di strumenti tratti e riadattati da un’accurata selezione di principi attivi della relazione d’aiuto e della psicoterapia. La specificità del MentalCoaching rispetto ad altri percorsi formativi è proprio quella di non essere focalizzato esclusivamente sul mondo aziendale, ma di permettere maggiori opportunità di utilizzo anche in altri contesti; questo significa essere in grado di fare una buona analisi della domanda rispetto alle questioni che il cliente porta, di avere a disposizione un’ampia gamma di strumenti e tecniche in modo da poterli utilizzare in modo flessibile e soprattutto di essere in grado

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di proporre “confiniâ€? operativi chiari e sicuri rispetto alla definizione dei contratti con i propri clienti. Esistendo delle aree di comunicazione tra counseling e coaching, nel testo i termini verranno citati insieme. Quando invece si fa riferimento a tematiche in cui i due setting differiscono, verrĂ usato il termine di appartenenza specifica.

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Introduzione

Counseling & coaching: confronto e integrazione di sistemi professionali

Il counseling Il counseling è una pratica professionale svolta all’interno di una relazione definita da un contratto, che consente ai clienti (individui, gruppi, sistemi) di sviluppare il proprio potenziale, l’autonomia personale, professionale e culturale per gestire al meglio le proprie risorse nella risoluzione di problemi soggettivi e interpersonali; favorisce la promozione del benessere, la prevenzione del disagio psico-sociale, l’aiuto e l’orientamento psicologico in campo personale, sociale e professionale agevolando lo sviluppo dell’identità e delle attitudini dell’individuo considerato in interazione costante con il suo contesto di appartenenza (Tolan, 2003). Si può definire come: • una relazione d’aiuto professionale che si presta come strumento versatile per tutti coloro che sono impegnati nell’aiutare persone, gruppi e comunità; • uno spazio d’ascolto, supporto e orientamento all’interno di una relazione basata sul riconoscimento, sul rispetto e sulla congruenza; • una scienza e al tempo stesso anche un’arte: una scienza perché le conoscenze sul comportamento umano e le strategie d’aiuto sono frutto di modelli strutturati secondo i criteri di misurabilità, oggettività e riproducibilità; un’arte perché le caratteristiche di personalità, i valori e le capacità del counselor, la sua abilità nel relazionarsi e sintonizzarsi con il cliente sono variabili difficilmente misurabili ma tuttavia fondamentali e necessarie nel processo di counseling. Le azioni del counseling: orientare, agevolare, contenere, sostenere. Il counseling è focalizzato sul concetto di salute, non più inteso come assenza di malattia, ma come sviluppo e promozione del benessere della persona. I concetti basilari di autonomia, libertà, autorealizzazione, olismo, empowerment promuovono la comprensione dell’individuo e del suo contesto come un tutto che interagisce sinergicamente. Il processo di cambiamento pone

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Introduzione l’accento sulla necessità di considerare l’individuo inserito nel suo contesto, con le sue assunzioni e i significati da lui condivisi. Per mantenere e sviluppare il benessere fisico, mentale e sociale, il cambiamento richiede continue ridefinizioni della relazione a livello soggettivo e interpersonale (Sommers-Flanagan, 2004). A partire dagli anni Sessanta c’è stata una progressiva evoluzione degli approcci di counseling. Da una prospettiva prevalentemente focalizzata sulla soluzione del problema si è passati ad approcci integrati di più ampia fruibilità e validità teorico-pratica. L’approccio integrato permette di abbracciare una varietà di concetti teorici e di strategie d’intervento, che possono adattarsi alla svariata tipologia dei clienti e delle loro richieste, mettendo in evidenza la qualità della relazione come principale fattore di incidenza nella riuscita del processo d’aiuto (Corey, 2001). Il counselor può essere definito come colui che accoglie e agevola la persona nella scoperta del proprio potenziale promuovendo la sicurezza di sé e la sensazione di auto-efficacia; è un professionista qualificato che lavora in modo indipendente o in collaborazione con altre figure. Possiede conoscenze versatili e utilizzabili in vari settori, ha assimilato e padroneggia teorie e tecniche dei principali modelli operativi per poter facilitare la persona che si rivolge a lui (Giusti, Taranto, 2004). Il cambiamento, infatti, richiede l’integrazione di tutte le dimensioni dell’espressione umana: sensoriale, affettiva, cognitiva, sociale e spirituale, il counselor entra in sintonia con ognuna di queste dimensioni, aiutando così il cliente a divenire responsabile dei propri pensieri, sentimenti e comportamenti, riducendo le contraddizioni e favorendone il benessere personale e sociale. Il counselor adatta e monitorizza i propri interventi in stretta correlazione con le caratteristiche specifiche del cliente, quali la consapevolezza del problema e l’intenzionalità motivazionale al cambiamento, il grado di problematicità presentata, il suo sistema di preferenze e aspettative verso il counselor, la fiducia/reattanza nella relazione, lo stile di coping, l’orientamento autocentrato/sociocentrato, lo stile di attaccamento e la disponibilità di una rete di supporto sociale (Di Fabio, 1999, 2003). Il fattore più importante nel processo di cambiamento è costituito dalla relazione nei suoi aspetti strutturali (setting, regole, contratto) e interpersonali (empatia, alleanza, sintonizzazione, fiducia). Il counseling favorisce l’autoesplorazione e l’auto-consapevolezza da parte del cliente e l’agevolatore imparerà come essere in grado di tollerare la sofferenza propria e quella del cliente senza rifugiarsi in false rassicurazioni (Littrell, 2001). Se percepisce che è troppo distante rispetto a un cliente, che non può favorirne l’esplorazione, è opportuno che decida per un invio ad un altro collega (Murgatroyd, 1995). Il counselor formato in un’ottica di integrazione pluralistica crede profondamente che le persone siano in grado di (AA.VV., 2003):

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Counseling & coaching – prendere decisioni ed assumersene la responsabilità; – dirigere la propria vita anche se sono influenzate da variabili ambientali, biologiche o di personalità; – assumere comportamenti intenzionali e finalizzati. L’apprendimento delle tecniche può sembrare inizialmente un processo artificioso e meccanico, ma attraverso la formazione e la pratica, tali tecniche vengono gradualmente assimilate finché il counselor sarà in grado di personalizzarle nel modo che più gli corrisponde. Ogni counselor, infatti, inizierà con l’apprendere i principi e le procedure di base dei modelli di counseling non direttivo rogersiano e semidirettivo gestaltico (Clarkson, 1992). Proseguirà con gli altri principali modelli contemporanei: dal sistemico-relazionale al cognitivocomportamentale, da quello psicodinamico al multimodale e cercherà di dosarli e adattarli alla sua personalità, fino all’elaborazione creativa di uno stile in sintonia con il proprio modo di essere, integrando il sapere con il saper essere con sé e con l’Altro, per un counseling versatile e mirato (Giusti, Mattacchini, Merli, Montanari, 1993).

Il coaching: dal campo sportivo all’azienda, alla vita Il coaching è una forma personalizzata di accompagnamento professionale, individuale o di gruppo, tesa ad armonizzare l’essere nella vita privata e a ottimizzare il rendimento nel fare professionale. Il coaching aiuta a: – ristrutturare credenze, convinzioni e pregiudizi auto-limitanti; – valorizzare e potenziare le risorse interne già presenti in ognuno; – chiarire e raggiungere più efficacemente obiettivi e mete; – liberare l’entusiasmo e la creatività inespressa. Il coach è un training partner del cambiamento, una guida esperta e motivante nell’acquisizione di abilità e competenze, che si trova a lavorare con il coachee principalmente su tre livelli che si influenzano a vicenda (ad.to da: Giusti, Taranto, 2004). Al livello della sfera personale: • si incrementano le capacità relazionali e propositive; • si sviluppa un miglior bilanciamento tra vita lavorativa e privata; • si migliora la capacità di gestire specifiche abilità comunicative e relazionali; • si accresce l’autostima e la sensazione di successo personale. Al livello della sfera professionale: • si sviluppano e si utilizzano le potenzialità tecniche; • si accresce la motivazione ad accettare le sfide professionali; • si facilita l’orientamento verso una nuova professione;

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Introduzione • • • Al • • • • • • •

si agevola lo sviluppo e l’accesso a percorsi di carriera; si rafforza un pensiero imprenditoriale; si promuove una performance focalizzata e lo sviluppo di nuove skill. livello della sfera organizzativa: vengono enfatizzati l’unicità e il potenziale delle risorse umane; si agevola un sensibile miglioramento nella ricerca e nella fidelizzazione delle migliori risorse; si offre una piattaforma per l’evoluzione organizzativa e uno strumento per creare e consolidare network e partnership sia interne che esterne; ci si rivolge non solo agli individui, ma anche ai team; si completa e si permette la continua evoluzione costruttiva di vari processi organizzativi; si migliora la comunicazione con i clienti interni ed esterni; si facilita la costruzione di una visione condivisa.

Il coaching, sia a livello personale che a livello delle organizzazioni, aiuta quindi a gestire esperienze lavorative temporanee con maggiore elasticità e maggiore slancio, a trovare le strategie migliori per far fronte alle difficoltà e ai continui cambiamenti, aumentando la capacità di rinnovamento e la flessibilità, scoprendo al tempo stesso le risorse per mantenere una stabilità nel raggiungere i propri obiettivi: favorisce cioè lo sviluppo della capacità di autogestione nell’individuo (Fairley, Stout, 2004). Il termine coach deriva originariamente dal nome di una particolare carrozza rinascimentale per assumere dopo vari secoli, nella lingua inglese, un nuovo significato, quello di allenatore sportivo (Shipley, 1979). Ambedue assolvono, ad ogni modo, alla stessa funzione: quella di accompagnare una persona/uno sportivo o un gruppo/una squadra da un determinato punto di partenza a una meta stabilita. Il coach dunque è l’allenatore, colui che incita e motiva l’atleta alla gara o porta un gruppo di persone a diventare una squadra vincente; e coaching significa, per esprimerlo con termini di Gallwey (2000), liberare le potenzialità di una persona perché riesca a portare al massimo il suo rendimento; aiutarla ad apprendere piuttosto che limitarsi a impartirle insegnamenti (Whitmore, 2003). Risultati derivanti da un percorso di coaching (Zanardi, 2000; Fatali et al., 2002): • chiarezza e focalizzazione di obiettivi concreti e specifici; • elaborazione e monitoraggio di programmi concreti; • sviluppo creativo delle scelte, delle azioni e dei risultati da raggiungere; • aumento della propria capacità di autovalutazione e flessibilità; • allenamento a nuove modalità di essere e di fare; • maggiori competenze specifiche, tecniche e relazionali;

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Counseling & coaching • aumentata fiducia nelle proprie capacità di superare gli ostacoli e motivazione e impegno nel raggiungimento degli obiettivi. Il coaching, come il counseling, è una nuova professione in costante espansione a livello internazionale che affonda le sue radici nell’ambito sportivo, si espande a quello aziendale e arriva oggi a operare in una molteplicità di ambiti e con tipologie di clienti del tutto eterogenee (Stevens, 2005). Il coach in ogni ambito rimane, comunque, un training partner del cambiamento, in grado di svolgere una funzione di guida esperta nel processo di cambiamento e motivante nell’acquisizione di nuove abilità e competenze. Così come ogni atleta ha il suo coach, anche nelle aziende un numero sempre più consistente di individui, per migliorare al massimo le proprie performance e per crescere come persona, lavora con questa figura che accompagna valorizzando il talento, stimando le potenzialità e valutando gli ostacoli, tattici o psicologici, da superare (Whithworth, Kimsey-House, Sandahl, 1998). L’importanza del ruolo di questo accompagnatore non costituisce certo una novità: Socrate circa duemila anni fa affermava le stesse idee, e anche se sono sempre esistiti dirigenti d’azienda in piena sintonia con i presupposti del metodo socratico, non hanno poi dimostrato una disponibilità verso i modelli di applicazione pratica del coaching, nonostante le tesi accademiche ne sostenessero il valore (Whitmore, 2003). Tim Gallwey (1997, 1998, 2000) è stato forse il primo che, grazie a un metodo di coaching in sé molto semplice e tuttavia esauriente e applicabile all’istante in quasi ogni situazione, è riuscito a portare il coaching dal campo sportivo, nel suo caso di tennis e golf, all’azienda. Inizialmente non ha cercato di insegnare il coaching, ma piuttosto di individuare quelle particolari difficoltà più frequentemente incontrate sia nello sport che nel lavoro, offrendo una traccia per poterle superare solamente con le proprie forze. Forse non è neanche un caso che proprio in questi decenni il coaching si sia potuto espandere e possa godere di così tanto successo. Il mondo del lavoro somiglia sempre di più a ciò che avviene in un campo sportivo per alcune caratteristiche e bisogni: l’incessante e incrementata competizione, la necessità di dover sempre migliorare, essere più veloci ed efficienti, e al tempo stesso dover saper giocare bene in squadra, sapere gestire l’emotività, lo stress, conoscere le tecniche, acquisire sempre più abilità e controllo, ecc. (Goldsmith, Lyons, Freas, 2000). In tal senso, il coaching è un metodo finalizzato al miglioramento della performance, tramite lo sviluppo delle potenzialità personali, che permette al cliente di apprendere una più consapevole e flessibile modalità di lettura di sé e della situazione nella quale opera; consente di facilitare il raggiungimento di obiettivi in maniera ottimale, declinandoli creativamente in una serie di scelte, azioni, risultati, valutando costi e benefici e considerando elementi che permettono sia alti livelli di efficienza che di efficacia (McLeod, 2003).

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Introduzione La sua finalità è l’elaborazione e il monitoraggio di programmi concreti di autosviluppo e autoefficacia, una partnership orientata ai risultati tenendo conto, per riprendere Gallwey (1997), che la performance equivale al potenziale meno l’interferenza. Nonostante la figura del coach sia ormai “integrata” nel mondo aziendale, la descrizione e definizione del suo ruolo non accomuna tutti: per alcuni, ad esempio, è un consulente esterno che guida i manager dell’organizzazione verso il raggiungimento di obiettivi (Zanardi, 2000; Kilburg, 2000; Hudson, 1999); per altri un appellativo per il manager stesso che indirizza e favorisce lo sviluppo nei suoi collaboratori (Lawson, 1999; Intonti, 2000; Amietta, 2000; Lenz, Ellebracht, Osterhold, 2000). I coach, ad ogni modo, lavorano con i loro clienti su una vasta gamma di aspetti che variano dalla leadership alle questioni interne e specifiche dell’organizzazione, alle questioni finanziarie e a quelle relative al management; obiettivi lavorativi che sottendono una profonda conoscenza, da parte del coach, delle componenti relative alla motivazione e all’automotivazione. In una recente ricerca svolta da Training and Development (2004), è emerso che il 79% delle aziende in Gran Bretagna utilizza il coaching per i seguenti tre principali motivi: • migliorare la performance individuale; • affrontare il basso profilo dell’azienda; • aumentare la produttività. “Dal professionista collaudato, abituato a decidere in grande autonomia, all’imprenditore che si è costruito un impero in totale solitudine; dal giovane manager rampante desideroso di correre a grandi balzi verso fama e successo, al funzionario appena promosso, timoroso di non farcela, al nuovo elemento del mutevole mondo lavorativo che non sa come cominciare la propria carriera da sogno. Il coaching permette di pianificare il proprio percorso professionale, di fronteggiare difficili situazioni in cui il cambiamento è una necessità e di affrontare nuove inaspettate responsabilità. Nella costruzione dei team di lavoro, nella struttura dei gruppi che nascono e finiscono nell’arco di un progetto, nell’impasto e nella manutenzione dei team che collaborano da sempre e da sempre sono in perenne conflitto” (www.manager.it). Vanno anche aggiunti alla lista i neo-laureati che, nell’odierno contesto socio-politico, in cui la stabilità ha lasciato il terreno alle continue innovazioni tecnologiche, agli sconvolgimenti politici, alle crisi finanziarie a livello globale, hanno una prospettiva di cambiare durante la loro vita circa 6-8 volte il posto di lavoro (Valerio, Lee, 2005). Il coaching in tal senso può aiutare “a imparare a gestire tali cambiamenti in maniera positiva, cercando di entrare e uscire da diversi scenari lavorativi mantenendo un certo livello di autostima e di fiducia in se stessi e cercando di combinare le abilità e le capacità insite in ognuno di noi con i diversi scenari lavorativi” (Hudson, 1999).

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Counseling & coaching Di seguito sono descritti i principali obiettivi che i clienti desiderano raggiungere con un business-coach (adattato da www.coachville.com): Sviluppo della professione • Sviluppare una piena attività di successo • Gestire meglio i clienti • Incrementare i guadagni • Individuare ed eliminare costi inutili • Sviluppare una buona reputazione professionale Sviluppo degli affari • Iniziare una nuova attività • Incrementare i profitti • Sviluppare strategie e piani di azione • Avere successo con una piccola impresa o una cooperativa • Costruire una cultura di cooperazione dei manager • Stabilire obiettivi a medio e lungo termine Mentre in Italia il coaching si è particolarmente sviluppato soprattutto nei contesti organizzativi, in altri paesi si è diffuso, da ormai diversi anni, in una varietà di contesti disparati. Probabilmente questa espansione è potuta avvenire grazie ad un terreno preparato da una cultura sempre più positivistica, aperta a realtà quali la salutogenesi, la prevenzione, l’empowerment, l’intelligenza emotiva, tanto per nominarne alcune (Zucconi, Howell, 2003; Seligman, 2002; Francescato, Giusti, 1999). Anche le stesse pubblicazioni di Gallwey sono coincise con la comparsa nelle scienze psicologiche di un modello di psiche umana assai più ottimistico di quello offerto dalle precedenti concezioni psicodinamiche e comportamentiste, secondo le quali, in maniera diversa, l’uomo è un essere condizionato e in balia di forze ed eventi incontrollabili. “Il nuovo modello proponeva invece una visione degli esseri umani simile a una ghianda, che racchiudeva in sé tutte le potenzialità per trasformarsi in uno stupendo albero di quercia. Per procedere nel nostro cammino abbiamo bisogno di nutrimento, di incoraggiamento e di luce, ma l’essenza della quercia è già dentro di noi” (Whithmore, 2003). Il coaching quindi, partendo dall’ambito sportivo e aziendale, si sposta a quello personale, portando con sé il suo bagaglio di strumenti e tecniche e al tempo stesso adeguandosi a una nuova prospettiva. Per utilizzare i termini di Varriale e Simonelli (2004), c’è uno spostamento da un coaching maggiormente operativo a uno più ispirativo; dove per il primo si intende un coaching orientato ad analizzare delle performance già avvenute: idealmente il coach ha avuto modo di osservare l’attività del cliente presa in considerazione in modo

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Introduzione da poterla focalizzare in base all’osservazione e alla descrizione di quanto è avvenuto, allo scopo di valutare gli elementi di successo e le aree di miglioramento e programmare di conseguenza i cambiamenti da apportare. Nel coaching ispirativo, invece, si parte da un procedimento opposto: prendendo in considerazione quello che è un progetto futuro, si definiscono i passi, le strategie e la sequenza più adeguata per raggiungere la meta. Mentre, secondo Martin (2004), il contributo dei consulenti manageriali al piano d’azione è per lo meno al 75%, che è lo stesso livello di contributo riscontrato anche nei coach sportivi; nel life coaching le percentuali si invertono: almeno il 75% del piano d’azione deriva dal cliente e aggiunge che, se per Rogers andare in psicoterapia era come comprare un amico, andare da un coach è comprare un mentore e una guida, ambedue non facili da trovare. Il coaching gode di modalità assolutamente funzionali da poter essere applicate sia su obiettivi personali che aziendali, affrontando entrambi in modo armonico, e aiuta le persone a migliorare le proprie prestazioni e la qualità della vita privata e professionale (Dilts, 2003). Motivi principali per i quali le persone si recano da un life-coach: • Comunicare più efficacemente • Sentirsi meglio fisicamente ed emotivamente • Raggiungere un maggior reddito • Svolgere un maggior numero di attività in minor tempo • Migliorare sostanzialmente la qualità della vita • Sentirsi più vicine agli altri • Eliminare le controversie della vita • Trovare la propria “vision” e “mission” • Sviluppare un percorso spirituale Questo spostamento dalla sfera lavorativa a quella più personale e privata ha portato con sé un’ulteriore serie di cambiamenti: il coaching rivolto non solo agli adulti, ma ad altre fasce di età come bambini, adolescenti e anziani; a persone di ogni tipo che hanno in comune il voler migliorare alcune abilità e acquisire nuove competenze o il voler trovare la loro spiritualità (Williams, Thomas, 2005). Per schematizzare quanto finora detto, nella seguente tabella verranno sinteticamente presentati delle possibili situazioni e possibili utenti di coaching.

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Counseling & coaching Tab. 1 Possibili situazioni e utenti di coaching Obiettivi Far fronte a nuove sfide professionali

Situazioni e ambiti di competenza • • • • • • •

Ottimizzare la performance e il rendimento puntuale e specifico delle prestazioni

Migliorare competenze e abilità specifiche

Utenti

Prima scelta professionale Ricerca di prima occupazione Scelta della facoltà universitaria Disoccupazione Licenziamento Scelta fra differenti opzioni di sviluppo di carriera Pensionamento

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Situazioni di rischio ed emergenza Situazioni nelle quali in un tempo determinato e breve occorre eseguire la propria migliore performance

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Studenti Neo-diplomati, Laureati, Specializzati Lavoratori fino al pensionamento Disoccupati

Atleti Chirurghi Artisti (attori, concertisti, ballerini,…) Militari Addetti alla sicurezza Vigili del fuoco Addetti ai servizi di Protezione Civile

Gestione delle proprie risorse: • tempo, energia, denaro • Assertività • Autostima Decision-making e problem solving Life planning Comunicazione in pubblico Gestione dello stress

Adulti Bambini Adolescenti

Sostenere e • programmare i • cambiamenti nel ciclo • di vita • • •

Matrimoni Traslochi Genitorialità Divorzio e separazioni Lutti Malattie croniche e infortuni

Adulti Tutte le fasce d’età Giovani e adulti Adulti Tutte le fasce d’età Tutte le fasce d’età

Ricerca interiore

Presa di contatto con la propria • spiritualità Scoperta della propria vision e • • mission Ricerca delle risposte agli interrogativi esistenziali

Principalmente adulti e anziani Giovani e adulti Giovani, adulti, anziani

Sviluppo di una solida profes- • sione Crescita attraverso gli ostacoli Ottenimento del diploma in coaching Creazione di una forte reputazione Diventare un modello per altri

Adulti

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Formazione per diventare coach

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Introduzione I coach devono, quindi, essere in grado di estendere le loro conoscenze e le loro competenze a prescindere dal settore specifico in cui viene chiesto loro d’intervenire e operare come “agenti del cambiamento”, capaci di anticipare e preparare il terreno per i cambiamenti necessari o auspicabili all’interno di un determinato contesto (Thorne, 2004). Innanzitutto questi “agenti” dovranno affrontare per ogni cambiamento i rischi e le nuove opportunità che questo presenta, e affrontare le resistenze e i comportamenti che possono ostacolarne il processo e l’evoluzione. È di grande rilevanza cercare alleanze e reti di relazioni utili e supportive, a livello personale e a livello professionale per migliorare la cooperazione e trarre il massimo vantaggio possibile per l’organizzazione e i singoli componenti (Thomas, Smith, 2004). Il coach dovrà inoltre favorire l’ottimismo e l’orientamento verso il futuro, guardando e mostrando la realtà dai diversi punti di vista e verificando accuratamente i nuovi scenari prima di prendere delle decisioni. Guidando i singoli coachee e i sistemi verso una crescita e un’evoluzione, dovrà anche insegnare a trarre informazioni dagli errori commessi, mostrando la strada della coerenza e della competenza (Hudson, 1999).

E il MentalCoaching? Il MentalCoaching proposto dall’ASPIC è un approccio che incorpora, come il coaching, i saperi della psicologia, del lavoro, della filosofia e della spiritualità, avvalendosi inoltre di una metodologia e di strumenti tratti e riadattati da un’accurata selezione di principi attivi della relazione di aiuto e della psicoterapia (Giusti, Montanati, Iannazzo, 2004). Il MentalCoaching si avvale, infatti, delle basi derivate dai fattori comuni dimostrati efficaci nelle psicoterapie e nella relazione d’aiuto, integrandole con specifiche competenze di coaching per quanto riguarda tecniche e strumenti operativi d’intervento. In un’ottica di costante miglioramento della qualità della vita, si focalizza prevalentemente sulle potenzialità e sulle risorse del cliente in funzione di una meta futura, e lo accompagna a: • superare eventuali barriere interne o esterne al raggiungimento di obiettivi ambiziosi: “fare il salto” oltre gli ostacoli, attraverso piani d’azione creati insieme su misura; • aumentare la consapevolezza comportamentale (pensiero-emozioneazione); • sviluppare un comportamento flessibile per cogliere nuove opportunità esistenziali, adattarsi ai cambiamenti e trasformare situazioni difficili in esiti positivi;

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Counseling & coaching • emozionare la mente e gestire le emozioni e l’affettività; • ottimizzare il proprio tempo e diventare più competenti nella risoluzione di problemi relazionali complessi agevolando rapporti di reciproco guadagno “win-win”; • incrementare l’autostima e la sensazione di successo personale; • prevenire stress e conflitti e sviluppare la creatività e l’innovazione; • chiarire la propria “vision” e “mission” aumentando le capacità di decidere e pensare in modo strategico. La figura del MentalCoach non è quindi esclusivamente formata su conoscenze e metodi applicabili nei soli contesti organizzativi, ma gode di una formazione di più ampio respiro: è in grado di fare una buona analisi della domanda rispetto alle questioni che il cliente porta; ha a disposizione un’ampia gamma di strumenti e tecniche in modo da poterli utilizzare con flessibilità adeguandosi alla specificità di ogni singolo cliente, e soprattutto è in grado di proporre ‘confini’ operativi chiari e sicuri rispetto alla definizione dei contratti con questo. La “palestra mentale” in cui si svolge il MentalCoaching è un ambiente sicuro, supportivo e di interesse genuino. L’attività viene ritagliata in base all’interlocutore e alle sue esigenze in una logica “su misura” e di assoluta riservatezza. Di conseguenza anche i tempi e le modalità degli incontri assumeranno una vasta gamma di variazioni: via e-mail bi-settimanali, telefonici saltuari, intensivi o sul luogo per diversi giorni consecutivi, ecc. Un percorso di MentalCoaching è un intervento soprattutto di tipo psicologico, in quanto si costruisce con il proprio cliente una relazione riservata caratterizzata dalla fiducia; si definisce un setting, inteso come ‘luogo d’incontro’, anche se meno strutturato rispetto a quello del counseling, e un contratto all’interno del quale vengono identificati: • gli obiettivi che attraverso il percorso si intendono raggiungere; • le modalità per verificare che siano stati raggiunti; • il modo ed i tempi degli incontri. L’approccio alla professione del coach che l’ASPIC propone ha una radice teorica nel modello umanistico-esistenziale integrato i cui presupposti fondamentali sono: • “un punto di vista in cui le esperienze non sono ridotte a pulsioni e difese; • un orientamento fenomenologico al comportamento umano, dove la prospettiva interna e l’esperienza consapevole determinano la realtà individuale;

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Introduzione • un interesse per il Qui & Ora dell’esperienza; • una visione degli esseri umani come individui unici, che possiedono la motivazione all’autorealizzazione; • la fiducia nella fondamentale libertà e autonomia degli individui, nonostante i limiti imposti dalla società; • “l’accettazione che la natura umana non può mai essere pienamente definita.” (Giusti, Montanari, Montanarella, 1995). Il MentalCoaching inoltre si contraddistingue per essere mirato a un utilizzo non necessariamente contestualizzato in azienda – come prevalentemente avviene oggi in Italia per il coaching (business & executive coaching) – bensì a molti altri ambiti della vita e fasce d’età: • vita privata: life planning, gestione delle risorse interne ed esterne (tempo, energia, denaro), famiglia e sviluppo delle relazioni, salute e fitness, gestione di malattie croniche e infortuni, ecc. • Transizioni nella vita privata: matrimonio, lutto, trasloco, genitorialità, allontanamento dalla famiglia d’origine, divorzio, ecc. • Carriera lavorativa: scelte di carriera, pianificazione finanziaria, sviluppo di coesione, efficacia e performance del gruppo di lavoro, disoccupazione, ricerca lavorativa, pensionamento, ecc. • Bambini, adolescenti e ragazzi: potenziamento di capacità e risorse, promozione di decisioni funzionali, ottimizzazione delle prestazioni scolastiche, accademiche, artistiche e sportive. • Massimizzare la performance e il rendimento puntuale e specifico delle prestazioni: chirurghi, attori teatrali, sportivi, concertisti, ballerini, soldati, vigili del fuoco e tutti coloro che lavorano in situazioni estreme e di emergenza, ecc. • Spiritualità: ricerca e sviluppo della propria consapevolezza spirituale, sua applicazione nelle decisioni quotidiane, ecc. La consulenza personalizzata ed esclusiva del MentalCoaching, è finalizzata a fare il salto oltre l’ostacolo, vero o presunto, ristrutturando credenze, convinzioni e pregiudizi autolimitanti, valorizzando e potenziando le risorse interne già presenti nell’individuo per liberare l’entusiasmo e la creatività imprigionata e per diventare il “coach permanente” di se stesso. Le motivazioni che spingono a ricercare un percorso di MentalCoaching potrebbero essere ravvisate nel desiderio di una maggiore maturazione e crescita interiore, nel desiderio di raggiungere degli obiettivi prefissati o di migliorare alcune competenze specifiche. Il MentalCoach si relaziona nei confronti dei propri clienti non come esperto, autorità o guaritore, bensì come

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Counseling & coaching partner. Quindi, una volta scelti con il MentalCoach l’ambito, le modalità di intervento e gli obiettivi del lavoro comune, il cliente non abbandona la propria responsabilità di creare e mantenere ciò che viene definito e il MentalCoach non se ne assume piena responsabilità. Il cliente, infatti, non cerca una cura a livello emotivo o sollievo da dolori di origine psicologica, con il supporto del Mentalcoach, intraprende azioni per raggiungere un obiettivo e non si dimostra troppo esitante nell’effettuare progressi nella direzione stabilita. I motivi che spingono un coachee a rivolgersi a un coach possono essere uguali o differire da quelli di un cliente di counseling; ciò che contraddistinguerà il coaching sarà il focus d’intervento e la metodologia applicata. Il coaching è infatti caratterizzato da una maggiore progettualità, da un’intenzionalità finalizzata al cambiamento più evidente e da una motivazione più determinata a raggiungere velocemente i propri obiettivi, dal cambiare delle aree o delle modalità non perché patologiche o disfunzionali, ma per renderle più efficaci ed efficienti, in un’ottica di miglioramento della qualità della vita e ottimizzazione dei risultati (Giusti, Taranto, 2004).

Elementi di comunanza e di differenza (Tab. 2; Fig. 1) Il sistema professionale del counseling e quello del coaching hanno in comune: • l’importanza della relazione; • l’esistenza di un setting; • la formulazione di un contratto di lavoro e intervento; • la progettualità per il raggiungimento di obiettivi e scopi; • il pagamento; • la condivisione di comportamenti etici; • la presenza di un operatore congruente, che abbia lavorato su di sé e che sia consapevole e in grado di gestire e separare dal contesto della relazione di aiuto le sue problematiche interne.

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Introduzione Tab. 2. Coaching e Counseling: aree di comunanza e di differenza AREE DI COMUNANZA E DI DIFFERENZA Fattori caratterizzanti

COACHING

COUNSELING

Accoglienza relazionale

Rispetto, comprensione, fiducia, comunicazione supportiva, infusione di speranza e motivazione

Rispetto, comprensione, fiducia; comunicazione facilitante supportiva; infusione di speranza.

Empatia

Utilizzata come motore per focalizzarsi sul compito

Sviluppata nel rispetto dei tempi di affidamento personali del cliente e usata come energia per sostenere la fiducia relazionale

Contratto

Focalizzato

Focalizzato

Alleanza

Sviluppo di una collaborazione motivata verso obiettivi condivisi e desiderati (maggiore orientamento a sfidare il limite personale, ad assumere rischi per potenziare l’investimento verso il raggiungimento di obiettivi progressivamente più difficili)

Sviluppo di una collaborazione verso obiettivi condivisi compatibili con l’equilibrio risorse-limiti personali e ambiente

Sviluppo di un legame di attaccamento motivante

Centrato sull’obiettivo, sull’empowerment

Centrato sull’obiettivo di cambiamento/soluzione del problema Finalizzato all’empowerment

Autenticità, congruenza, credibilità del professionista

Feedback puntuali e precisi, di incoraggiamento e sfida

Feedback puntuali, precisi, di sostegno e sfida

Atteggiamento: prendersi cura della persona

Per migliorare le performance e il raggiungimento dell’obiettivo

Per migliorare l’adattamento creativo

Adattamento flessibile alle caratteristiche del cliente

Sintonizzazione sulle risorse del cliente, dosaggio degli interventi di supporto, modeling, autosostegno

Dosaggio degli interventi di supporto/appartenenza e libertà/autonomia

Orientamento alla qualità della vita e al benessere

Sviluppando una positività realistica di promozione del benessere e della qualità della vita

Sviluppando una positività realistica

Considerazione delle risorse del cliente e fiducia nelle sue possibilità di cambiamento

Le energie e gli investimenti vengono diretti verso il superamento dei problemi legati al cambiamento e al raggiungimento degli obiettivi

Le energie e gli investimenti vengono diretti verso il fronteggiamento di problemi, il cambiamento di abitudini e comportamenti

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Counseling & coaching TEMATICHE/CONTENUTI I problemi, la domanda, le tematiche

Area: successo personale; sviluppo di competenze e abilità; stress

Area dello stress, disagio socio-relazionale, esistenziale, crisi di sviluppo

Le finalità

Interpersonali, socio-relazionali, acquisizione di abilità tecniche, comunicative

Interpersonali, socio-relazionali; acquisizione strategie correttive di apprendimenti disfunzionali precoci, compimento di passaggi evolutivi

Il processo di monitoraggio e valutazione diagnostica

Monitoraggio del livello di raggiungimento degli obiettivi

Assessment orientativo, valenza descrittiva e di orientamento

Il focus

Qui & Ora, verso il futuro

Qui & Ora

METODOLOGIA PRATICA: GLI INTERVENTI La selezione

Calibrata sulle caratteristiche del cliente in funzione degli obiettivi

Calibrata sulle caratteristiche del cliente

Il livello dell’esplorazione

Interpersonale, relazionale, vissuti consapevoli rispetto a punti di forza e potenzialità

Interpersonale, relazionale; rafforzativa delle difese dell’Io

Il target trasformativo

Le credenze irrazionali, gli schemi comportamentali, le azioni

Gli schemi comportamentali, le azioni

La tipologia

Supportivo-motivazionale finalizzato

Supportivo-motivazionale

Comunicazione facilitante supportiva

Attivazione di fiduciosa aspettativa di cambiamento e di raggiungimento degli obiettivi; tecniche di comunicazione (es.: ascolto, feedback) più direttive rispetto al counseling

Ascolto consapevole; comunicazione comprensiva empatica; infusione di fiduciosa aspettativa e speranza di cambiamento

Esplorazioni esperienziali

Percezione di autoefficacia nel Qui & Ora

Autoconsapevolezza emotiva nel Qui & Ora della relazione

Confutazione

Credenze irrazionali, schemi di comportamento disfunzionali che ostacolano l’autoefficacia

Schemi di comportamento disfunzionali; convinzioni irrazionali che ostacolano il benessere e l’autostima globale

Espressione e creatività

Applicazione di tecniche creative finalizzate a migliorare le performance e a uscire da schemi autoimposti

Applicazione di tecniche a mediazione corporea e artistica per lo sviluppo dell’autosostegno proattivo consapevole

STRUMENTI E TECNICHE

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Introduzione

Fig. 1. Aree di comunanza e differenza nel counseling, coaching e psicoterapia

Leggere il testo: istruzioni per l’uso I termini “Microcounseling” e “Microcoaching” si riferiscono alle skill di base necessarie per gestire queste due forme di relazione d’aiuto; il manuale è stato pensato, infatti, come un accompagnamento sia teorico che pratico per il counselor e il coach in formazione o alle prime esperienze. Le parti teoriche sono integrate con schede, esercitazioni e approfondimenti sul tema in questione. Si tratta di spazi auto-esplorativi, stimoli di addestramento per sperimentare, passo dopo passo, le conoscenze teoriche. Nel testo sono inseriti materiali di supporto all’apprendimento che compaiono sotto la dicitura: BOX OPERATIVO • Esercizi • Schede di auto-esplorazione • Automonitoragggio • Esercizi per il cliente proposti dall’operatore

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Counseling & coaching BOX DI APPROFONDIMENTO SINTESI DI RIFLESSIONE VADEMECUM ESSENZIALE Le appendici in fondo al testo comprendono una serie di strumenti di lavoro del counselor e del coach, i rispettivi codici deontologici, alcuni input per lavorare con i gruppi nella formazione al counseling e una rassegna di ricerche svolte per valutare l’efficacia del counseling applicato in diversi contesti specifici. La delineazione delle radici teoriche è organizzata secondo una sequenza che orientativamente fa corrispondere gli approcci teorici a cui si fa maggiormente riferimento alle diverse fasi della prassi operativa della relazione di aiuto. Nella pratica la selezione delle modalità di conduzione subisce naturalmente dei cambiamenti per permettere l’adesione dell’intervento alle specificità dell’utente. In generale ci riferiamo agli approcci meno direttivi nella fase di conoscenza e accoglienza del cliente e a quelli semidirettivi o direttivi nelle fasi di azione per il cambiamento o il raggiungimento dell’obiettivo. Nello specifico: I. CONOSCERE E COMPRENDERE: CHI È LA PERSONA CHE HO DI FRONTE? COME POSSO AIUTARLA A CONOSCERSI DI PIÙ? Nella fase iniziale della relazione di aiuto abbiamo bisogno di conoscere la persona che abbiamo di fronte, comprendere il suo modo di stare al mondo, che cosa della sua storia passata ritorna nella sua domanda di oggi. Lo scopo è quello di instaurare un buon contatto di accoglienza, di sviluppare fiducia collaborativa, basi su cui poter lavorare insieme per ottenere i risultati concordati. A questo scopo ci sembrano fondamentali gli apporti teorici dell’approccio umanistico, fenomenologico-esistenziale, i contributi psicodinamici e della teoria dell’attaccamento II. ESPLORARE LE ALTERNATIVE POSSIBILI E ORIENTARE VERSO LA META: DI COSA HA BISOGNO QUESTA PERSONA E QUALI SONO LE SUE RISORSE E I SUOI LIMITI NEL RAGGIUNGERE CIÒ CHE DESIDERA? IN CHE MODO POSSO ALLEARMI CON LA SUA PARTE ADULTA PER ANDARE VERSO L’OBIETTIVO?

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Introduzione Questa è la fase della relazione in cui la base sicura favorisce l’esplorazione del mondo personale e dei possibili scenari alternativi a quello attuale. Questo significa permettere l’autosvelamento per favorire la conoscenza dei propri modi ripetitivi di funzionamento intrapsichico e interpersonale, vagliare possibili altre decisioni e alternative, liberare le energie necessarie per procedere verso l’obiettivo. Qui attingiamo maggiormente all’approccio dell’analisi transazionale, all’approccio cognitivo-comportamentale, senza perdere di vista il sistema di riferimento della persona. III. AUTOLIBERAZIONE CREATIVA: AGIRE VERSO L’OBIETTIVO CONCORDATO E RAGGIUNGERLO ASSUMERE LA RESPONSABILITÀ DI STESSI, AUTODETERMINANDOSI NEL RISPETTO DEI PROPRI BISOGNI, SENTIMENTI, DESIDERI (IN EQUILIBRIO CON LA REALTÀ DELL’AMBIENTE) IN CHE MODO POSSO AIUTARE QUESTA PERSONA A LIBERARE LE SUE ENERGIE CREATIVE VERSO IL BENESSERE? COSA POSSO FARE PER ATTIVARE L’AUTOSOSTEGNO PROATTIVO? QUALI PASSI SONO NECESSARI AIUTARE IL MIO CLIENTE AD ARRIVARE ALLA META? Questa è la fase dell’esperienza piena in cui emozione, pensiero e azione tendono a coincidere nel flusso di consapevolezza nel Qui & Ora, prendendo liberamente forma. Le energie sono disponibili per essere investite pienamente nell’agire consapevole. La relazione collaborativa fornisce energia e sicurezza per affrontare i rischi del nuovo e per godere dei risultati conseguiti. A questo punto facciamo riferimento soprattutto all’approccio della PNL, a quello gestaltico integrato a livello psicocorporeo, all’approccio interpersonale. IV. CONSOLIDARE, VALUTARE I RISULTATI E GESTIRE LA CHIUSURA E IL FOLLOW UP COME POSSO AIUTARE LA PERSONA A PORTARE IN MODO STABILE NELLA SUA VITA QUOTIDIANA IL RISULTATO OTTENUTO? LA BASE È SUFFICIENTEMENTE SICURA PER CONSENTIRE LA CHIUSURA? QUALI ACCORGIMENTI SARANNO IMPORTANTI PER MANTENERE CIÒ CHE HA RAGGIUNTO ED EVITARE PASSI INDIETRO?

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Counseling & coaching La fase conclusiva della relazione di aiuto nel counseling è delicata come quella iniziale, occorre rispettare i ritmi del cliente e del contratto, rivedere tutto il percorso fatto, il grado di soddisfazione per ciò che si è raggiunto, la possibilità di valutare se sarà necassario un momento di confronto successivo per verificare lo stato di benessere. Nel coaching la relazione è impostata più sul compito che sul legame, pertanto anche il saluto è considerato stabilmente dall’inizio e si rivela “sciolto”. Nella fase conclusiva i riferimenti teorici sono molteplici e la scelta è dettata dalle caratteristiche specifiche della persona e della relazione stessa: il riconoscimento dei copioni per prevenire regressioni, l’approccio cognitivo comportamentale per riconoscere convinzioni irrazionali e quello gestaltico per esprimere liberamente e pienamente le proprie risorse creative. Vogliamo sottolineare che questa organizzazione degli approcci teorici di riferimento ha un valore orientativo, bisogna tener conto infatti, per esempio, che l’ottica umanistica e fenomenologico-esistenziale permea un po’ tutto il corso del lavoro di counseling, così come l’accento gestaltico o quello trasformativi della PNL compaiono molto precocemente nella relazione di coaching. Il primo capitolo vuole sinteticamente indicare i contributi teorici e tecnici che hanno permesso la nascita di queste due discipline e che rappresentano, quindi, sia le loro radici che la loro cornice, dalle quali sono emerse e nella quale si muovono. Nei capitoli successivi ci si addentra maggiormente nella pratica di queste due professioni: il terzo capitolo contiene le basi per la costruzione dell’alleanza motivazionale collaborativa e il quarto capitolo è dedicato alle conoscenze tecnico-operative necessarie per poter agevolare la relazione con il cliente o il coachee, vengono descritti i fondamenti della comunicazione e dell’ascolto attivo segnalando le tecniche e gli atteggiamenti consigliati e da evitare. Con il quinto capitolo si entra nella parte più operativa del libro: i piani d’intervento dal primo incontro ai saluti finali, la conclusione della relazione di counseling o di coaching e il follow-up. Per riassumere alcuni concetti fin qui espressi facciamo riferimento alla rappresentazione che segue (Fig. 2).

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Introduzione

Il COUNSELING nasce nel contesto di orientamento scolastico. Si espande velocemente negli ambiti sociali, sanitari, educativi, psicologici

approcci di sostegno

approcci centrati sulla soluzione (es. strategici)

Caitolo 1. tempo medio

Il COACHING nasce nel contesto sportivo si espande nel contesto aziendale si consolida nel personal-lifecoaching

approcci supportivi

tempo medio

Finalità: dal disagio al benessere attraverso le risorse investite nel cambiamento

tempo breve

Finalità: dalla percezione del desiderio di miglioramento al benessere progressivo

Fig. 2. Radici ed evoluzioni del counseling e del coaching

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approcci direttivi

orientamento all’obiettivo e alla realizzazione fattiva di capacità e competenze


Le radici comuni dell’integrazione pluralistica nel counseling e nel coaching

1.1. La Psicologia Umanistica: da Rogers agli sviluppi più recenti La nascita della psicologia umanistica viene fatta risalire all’anno 1962 in coincidenza della pubblicazione del programma di questa “Terza Forza” ad opera di Abraham H. Maslow e della sua associazione di psicologi (Buehler, Allen, 1976). Il termine “Terza Forza”, interscambiabile con quello di psicologia umanistica o umanistica-esistenziale, esprime la collocazione che essa venne ad assumere in opposizione alle teorie comportamentiste in cui la persona umana viene vista come “macchina” stimolo-risposta e alla concezione pessimistica e deterministica del pensiero freudiano classico (Giusti, Montanari, Montanarella, 1995). Il programma della Terza Forza era centrato su quattro punti essenziali: focalizzare l’attenzione sull’esperienza della persona e il significato che questa le attribuisce; enfatizzare aspetti qualitativi dell’uomo come la creatività, la scelta, la valutazione e l’autorealizzazione; attenersi fedelmente alla significatività nella scelta dei problemi da studiare e dei metodi di ricerca e, infine, impegnarsi a sviluppare tutto il potenziale intrinseco ad ogni persona (Giordani, 1988). La persona umana, considerata nella sua totalità e unicità, è il nucleo centrale della psicologia umanistica, sempre contrapposta alla concezione comportamentista e positivista dell’uomo come “essere reattivo” senza libertà, ma determinato dalle pressioni ambientali e alla concezione psicoanalitica dell’uomo come “essere reattivo in profondità” in quanto determinato da esperienze passate, forze e istinti interiori e bisogni ai quali non può opporsi (Giusti, Iannazzo, 1998). La “Terza Forza”, invece, sostiene profondamente la concezione di un “uomo in divenire”, creativo, cosciente e con un buon margine di libertà, capace di incidere sull’ambiente e prendere decisioni responsabili. Il processo evolutivo di ogni persona è determinato dai seguenti tre fattori, che per agire in maniera costruttiva necessitano di una condizione particolare,

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Capitolo 1 definita libertà esperienziale, caratterizzata dall’assenza di inopportune interferenze o pressioni esterne. Il primo è l’energia organismica, nucleo centrale e dinamico in quanto radice dalla quale si dispiegano i sentimenti, le pulsioni, i desideri e i bisogni (Goldstein, 1970). Essa rappresenta la sorgente di energia da cui deriva l’immagine di sé e che, nonostante i continui processi di trasformazione, dona un senso d’identità alla persona; viene definita anche come la zona più profonda e misteriosa della personalità il cui funzionamento rimane inconscio (Saint-Arnaud, 1974). Nell’accezione umanistica, l’inconscio è l’insieme delle esperienze che, utilizzando i termini gestaltici, rimangono sullo sfondo rispetto ad altre esperienze coscienti che svolgono il ruolo di figura. Non viene riconosciuta come un’istanza psichica, retta da leggi del tutto diverse da quelle che regolano il dinamismo interiore; non le viene quindi attribuito, come invece fa Freud, un carattere irrazionale, alogico e atemporale. May, ad esempio, un’altra importante figura della Terza Forza, rifiutando la sua concezione di contenitore degli impulsi, pensieri e desideri socialmente inaccettabili, lo ritiene costituito da “quelle potenzialità di conoscere e sperimentare che l’individuo non può o non vuole realizzare” (May, 1970). Il secondo fattore è la tendenza attualizzante definita da Rogers come “…una tendenza intrinseca a sviluppare tutte le sue potenzialità e a svilupparle in modo da favorire la sua conservazione e il suo arricchimento” (Rogers, Kinget, 1970). Questa visione ottimistica si traduce in fiducia nella persona in quanto la sua tendenza attualizzante è selettiva, direzionale e costruttiva e promotrice soltanto di potenzialità positive (Rogers, 1951). Tale tendenza serve a conservare e migliorare la vita, non solo per l’individuo ma anche per la specie in quanto comune a tutti gli esseri viventi. Si arriva così al terzo fattore, la valutazione organismica, che costituisce il sistema di controllo che orienta l’energia psichica investendola in comportamenti tesi all’autorealizzazione. La persona deve sentirsi libera in quanto sia la tendenza attualizzante sia la valutazione organismica non funzionano sotto pressione ambientale (ibidem). Un ruolo centrale viene infatti svolto dall’approvazione o dalla disapprovazione sociale da parte degli altri. Il bisogno di considerazione positiva di sé si riferisce alla soddisfazione insita nel trovare la propria esperienza congruente con il concetto di Sé, ovvero, al senso cosciente della persona, alla consapevolezza di quello che è. La salute consiste nella corrispondenza tra sé e percezione di sé; mentre la patologia si manifesta come incongruenza determinata dall’accettazione condizionata. Nella misura, ad esempio, in cui l’ambiente esige dal bambino prestazioni discordanti dai dettami dell’organismo, l’immagine di sé entrerà in conflitto con l’organismo e questo darà origine a un adattamento psichico forzato e, nel tempo, disfunzionale.

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica Il bambino, infatti, per mantenere l’approvazione dell’ambiente genitoriale, si costruisce un Io ideale per difendersi dalla minaccia di annichilimento. In questa maniera deve censurare e reprimere alcuni aspetti della sua esperienza organismica, che divengono inconsci e riducono così la sua percezione di sé. La percezione è il significato che la persona attribuisce a ciò che avviene dentro e fuori di sé; la percezione che si ha di sé in relazione a se stessi viene definita percezione intrapsichica, quella in relazione agli altri e al mondo esterno in senso lato percezione interpersonale. Il mondo percettivo dell’individuo è direttamente accessibile solo al soggetto in causa, mentre gli altri possono avvicinarsi solo se animati da un atteggiamento empatico (Rogers, Kinget, 1970). Per un sano funzionamento adattivo, l’individuo deve ricevere una considerazione positiva senza condizioni, che lo porta ad essere senza difese, e a possedere una congruenza tra il Sé e le sue potenzialità. Sarà inoltre caratterizzato da apertura all’esperienza (profondità emotiva), vitalità esistenziale (flessibilità, adattabilità, spontaneità e pensiero induttivo), fiducia organismica (vita intuitiva, sicurezza e fiducia in sé), libertà delle esperienze (senso soggettivo di libera volontà) e creatività (tendenza a produrre idee nuove ed efficienti) (Rogers, 1957). La persona con un funzionamento disadattivo, invece, avrà ricevuto una considerazione positiva condizionata e svilupperà condizioni di valore, incongruenza tra il Sé e le sue potenzialità, numerose difese e si troverà a vivere secondo un piano preconcetto piuttosto che in modo esistenziale, non avrà fiducia nel suo organismo, ma si sentirà manipolata e conformista (Lietaer, 1984). Un ambiente condizionante genera dunque: l’allontanamento dal sé bambino e dalla valutazione organismica; l’insorgenza delle difese; la rigidità percettiva e la fissità; la paura di perdere le difese e le condizioni di stima; il Sé centrato sui sintomi e sul problema; l’incongruenza percepita o inconsapevole; l’ansia e l’angoscia. Un counselor o un coach possono agire da ambiente decondizionante creando: un clima facilitante attraverso l’accettazione positiva incondizionata, l’autenticità e l’empatia; l’ampliamento percettivo del Sé mediante una nuova percezione delle esperienze attuali e conseguente feedback; il ripristino della valutazione organismica, della consapevolezza; il recupero dell’autonomia.

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Capitolo 1 Quanto più il counselor e il coach saranno in grado di ascoltare attivamente il loro cliente, comunicandogli interesse ed attenzione, tanto più questo se ne sentirà degno e presterà più ascolto a se stesso anziché a un Io ideale. L’ingrediente essenziale è l’empatia, che rende maggiormente possibile la comprensione di una persona, mettendosi nei suoi panni e guardando e sentendo il mondo come la vede lei (Bozarth, 2001). A questo fine, è importante sapersi liberare dei propri significati emotivi e contenuti personali, interrogandosi non tanto su “cosa proverei io al posto di questa persona?” bensì “cosa sta provando questa persona in questa particolare situazione?” (Hedman, 2001). L’approccio non direttivo riflette una nuova concezione della natura dinamica della persona: la non-direttività implica l’impegno dell’agevolatore a non orientare il cliente verso una determinata direzione e a facilitare la coscienza di elementi esterni e di dinamismi interiori determinanti il suo campo percettivo. “…quello che conta, in questo approccio, non è l’assenza di direttive, ma la presenza nell’agevolatore di certi atteggiamenti verso il cliente e di una certa concezione delle relazioni umane” (Rogers, Kinget, 1970). Alla base di questo modello c’è una concezione positiva della persona costantemente tesa all’autorealizzazione e una metodologia che traduce gli atteggiamenti di rispetto, non interferenza e astensione dal giudizio in comportamenti d’aiuto. In questo processo, dettato quindi dall’impulso all’auto-realizzazione presente nel cliente, sarà sufficiente rimuovere gli ostacoli, promuovere la competenza emotivo-affettiva, dare spazio a quella metacognitiva dell’autoriflessività e stare nel momento presente della relazione, che è già di per sé un’esperienza di sviluppo. Fiducia nelle forze di sviluppo del cliente e accentuazione delle attitudini del professionista: accettare incondizionatamente il cliente, sia comprendendolo empaticamente sia partecipando emotivamente ai suoi vissuti e creando infine un clima favorevole alla sua crescita interiore, che faciliti inoltre l’esplicazione delle risorse in lui presenti. L’accettazione incondizionata si traduce in una partecipazione all’esperienza dell’altro vissuta come costui la vive per gettare le basi di quella fiducia che consente al cliente di cambiare (Bozarth, 2001). La creazione di uno spazio capace di facilitare l’esplicazione delle risorse presenti nel cliente dipenderà essenzialmente, più che dall’apparato tecnico, dalle disposizioni interiori dell’agevolatore, dalle caratteristiche personali del professionista dell’aiuto. Le due disposizioni di base – l’accettazione incondizionata e la comprensione empatica – trovano il loro corrispettivo tecnico nell’intervento di riformulazione semplice e nel riflesso del sentimento. L’incontro esistenziale che prende forma nel momento in cui è in atto la relazione collaborativa, si nutre di presenza e autenticità, creando così le condizioni necessarie e sufficienti alla realizzazione di cambiamenti per il benessere.

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica Impegnarsi con una disposizione di spontaneità e chiara autenticità, nel senso di congruenza, accordo interiore, genuinità, trasparenza, realtà, sincerità e immediatezza del rapporto: il professionista non nega la propria personalità, la esprime (de Haan, Burger, 2005). Questa autenticità, la cui condizione basilare è la conoscenza e l’accettazione di se stessi, si realizza a un duplice livello: intrapersonale (l’agevolatore è libero e capace di far emergere alla coscienza qualsiasi stato d’animo); interpersonale (l’agevolatore è libero di comunicare al cliente i suoi pensieri e sentimenti). Diventa in questo modo anche possibile comunicare al cliente dei sentimenti negativi (congruenza) come reazione personale ad uno specifico evento e non come risposta ad un tratto di personalità del cliente stesso, purché essi siano significativi in relazione all’esperienza del cliente, e che questo sia disposto e capace ad accettarli in un rapporto animato da profonda fiducia e rispetto (May, 1991). Nel corso del tempo questa modalità di conduzione della relazione di aiuto è stata ampiamente applicata a una vasta gamma di situazioni sociali, educative, cliniche e medico-sanitarie. Si tratta infatti di un modo trasversale di stare e procedere nella relazione che facilita la realizzazione della fiducia di base, entro la quale può attivarsi un cambiamento (Patterson, 2000). Tra i diversi approcci al counseling, che dalle basi rogersiane hanno sviluppato una metodologia con un orientamento più direttivo, troviamo il modello di R. Carkhuff, allievo di Rogers, che successivamente si è distaccato dal quello del maestro per elaborare un approccio orientato all’azione, concentrato maggiormente sulla produttività del cliente, su un atteggiamento del professionista più direttivo ed esigente, sull’uso di caratteristiche e tecniche aggiuntive alle tre disposizioni di base di Rogers. Carkhuff (1969, 1971), infatti, si preoccupa di rendere sempre più efficace la relazione di aiuto nella quale il consulente è impegnato a seguire un ritmo incalzante di interventi al fine di estendere questo ristretto ambito d’intervento al più vasto campo della persona come tale e dell’apparato organizzativo e sociale che lo circonda. Per Carkhuff l’uomo è anzitutto e contemporaneamente un essere attivo e reattivo e non solamente un essere dotato di una forza che ha una direzione fondamentale positiva. Rogers infatti parla di una persona che tende a svilupparsi per poter godere di una vita piena, ed è inoltre sostenitore della realizzazione spontanea dell’uomo dimostrando una fiducia illimitata nelle forze già presenti in lui (Rogers, 1957). Carkhuff (Carkhuff, Berenson, 1977) invece, discutendo tale concezione, afferma che lo sviluppo della persona mira a raggiungere una meta che chiama “persona totale”. Rogers parla quindi di autorealizzazione e di un uomo intrinsecamente buono. Carkhuff accusa la corrente rogersiana di perdersi in un idealismo pseudodemocratico in cui l’indivi-

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Capitolo 1 duo non viene mai stimolato a dare il meglio di sé e asserisce che “the whole person” si trova in armonia con le tre dimensioni – fisica, affettiva e intellettuale – ed è il frutto di un lento e impegnativo processo di apprendimento. È da notare nel percorso di Carkhuff (1969), l’evoluzione dei termini: da terapeuta e paziente inizialmente utilizzati in ambito medico e terapeutico, è passato a quelli di counselor e cliente, introducendo infine quelli di “helper”, colui che offre aiuto – un counselor, medico, coach, terapeuta, insegnante, guida,… – e “helpee”, colui che lo riceve – cliente, assistito, figlio, … L’approccio rogersiano ha creato un impulso potente in varie direzioni nelle professioni di aiuto, prendendo accenti di volta in volta più proceduralizzati, sistematici, semidirettivi, centrati sulle soluzioni o sul problema o più “puri” (Gordon, 2002; Egan, 1990; Hill, 2001; Littrell, 2001).

1.1.1. Punti forza e limiti dell’approccio umanistico L’approccio umanistico offre un rilevante contributo agli studi sui fattori di efficacia nel processo di cambiamento, dimostrando quali siano gli elementi essenziali e necessari in qualsiasi relazione d’aiuto come, per elencarne alcuni, il rispetto e l’accettazione incondizionata del cliente, l’ascolto attivo e l’empatia che permette di adottare nell’interazione la cornice di riferimento interno del cliente (Patterson, 2000). Il potere di questi fattori non dovrebbe mai essere sottovalutato in quanto aiuta a costruire la fiducia, l’impegno, la lealtà nei confronti del processo di counseling/coaching che si va a intraprendere, fornendo ai clienti l’opportunità di essere realmente ascoltati. Inoltre questa modalità può svolgere anche un ruolo di modeling per i clienti che mancano di empatia e capacità di ascolto. Queste prescrizioni rogersiane possiedono una funzione fondamentale durante tutto il processo di cambiamento e una funzione insostituibile nelle fasi iniziali, in quanto, se non verrà stabilito sin dall’inizio un rapporto di fiducia, di rispetto, di interesse genuino e di accettazione, la maggioranza degli interventi, siano essi di counseling supportivo che di executive coaching, tenderanno a fallire. Ciò nonostante, per come è concepito il modello integrato, per un risultato efficace dell’intervento, nella maggior parte dei casi il solo utilizzo dell’approccio umanistico è insufficiente, e questo vale specialmente per il coaching. Come è già stato detto, offre uno spazio eccellente per avviare la relazione coach/counselor-cliente, ma non è il luogo migliore e più adatto dove rimanere, una volta instradato il processo di cambiamento (Hedman, 2001). Già Carkhuff, rispetto a Rogers enfatizzava maggiormente la “fase ascendente”, ovvero, la parte della relazione orientata alla realizzazione di mete stabilite. A questo fine sono utili strumenti quali le capacità di valutazione, le tecniche

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica motivazionali e di pianificazione del percorso da effettuare, e via dicendo, ai quali offrono contributi utili e fondamentali altre prospettive teoriche, come quella cognitivo-comportamentale o sistemico-familiare.

Particolare rilevanza procedurale alla modalità rogersiana, all’interno dell’approccio integrato, viene data quando il cliente presenta un notevole livello di reattanza, un atteggiamento contrappositivo difensivo, una scarsa consapevolezza del bisogno di cambiare e la richiesta di essere aiutato a cambiare… senza dover cambiare niente delle proprie modalità e senza dipendere dall’aiuto di qualcun altro. In questo spazio la complementarietà efficace si nutre della modalità non direttiva.

1.2. La responsabilità nello scolpire la propria vita: l’approccio fenomenologico-esistenziale “Accolta la caducità dell’esistenza, occorre poi imparare a vivere tutta l’espansione della vita e tutto il suo contrarsi, perché questa è la condizione del mortale che nessuna narrazione può modificare” (Galimberti, 2005). Con il termine esistenzialismo si venne a disegnare, intorno al 1930, l’indirizzo filosofico il cui tema centrale era rivolto all’esistenza, intesa come il modo d’essere dell’uomo nel mondo, che non può accettare l’inclusione del singolo negli schemi di filosofie totalizzanti, quale l’idealismo hegeliano contemporaneo contro il quale S. Kierkegaard rivolse la sua critica e il suo pensiero. Inizialmente ciò che definì l’esistenzialismo fu proprio la ripresa del pensiero di questo filosofo danese che avanzava l’esigenza di abbandonare ogni pretesa di fare della filosofia una metafisica speculativa, rivendicando qualsiasi tipo di riduzione dell’esistente a “cosa” e, in quanto tale, a possibile oggetto di trattazione scientifico-obiettiva. Nucleo centrale dal quale egli parte è invece la concretezza della situazione ontologica di ogni singolo e quindi anche del pensatore stesso: l’esistenza con tutta la sua problematicità e gamma di motivi, quali ad esempio il pathos della scelta, l’aut-aut, l’angoscia, la disperazione, la “finitudine”, ripresi poi dall’esistenzialismo del Novecento (Abbagnano, 1993). L’esistenzialismo, infatti, si è sviluppato specialmente negli anni successivi alla seconda guerra mondiale diventando, soprattutto in Francia (J.P. Sartre, M. Merleau-Ponty, Simone de Beauvoir, Jean Wahl), l’espressione dello spirito del

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Capitolo 1 tempo legato al vuoto di certezze conseguente alle distruzioni della guerra, e definito anche come “filosofia della crisi”. Tale termine era legato anche al fatto che la tematica esistenzialistica aveva avuto un’eco in altre parti d’Europa in un altro momento di grave crisi, negli anni successivi alla prima guerra mondiale, portando, soprattutto in Germania, alla cosiddetta “rinascita kierkegaardiana” e all’inizio delle analisi esistenziali di K Jaspers e di M. Heidegger (Giusti, Iannazzo, 1998). L’esistenzialismo quindi, oltre a mettere in discussione il modo d’essere dell’uomo, mette in discussione il modo d’essere dell’uomo nel mondo. “L’analisi dell’esistenza non è perciò solo il chiarimento o l’interpretazione dei modi in cui l’uomo si rapporta al mondo, nelle sue possibilità conoscitive, emotive e pratiche, ma anche, e contemporaneamente, il chiarimento e l’interpretazione dei modi in cui il mondo si manifesta all’uomo e determina o condiziona le possibilità. Il rapporto uomo-mondo è perciò l’unico tema di ogni filosofia esistenzialistica” (Abbagnano, 1993). Per Sartre (1980) l’esistenzialismo è una dottrina ottimistica, in quanto afferma che il destino dell’uomo sta nelle sue stesse mani e che l’unica speranza che egli può nutrire risiede nelle sue azioni, per le quali solo può vivere. La fenomenologia è una componente centrale dell’esistenzialismo in quanto la assume come suo metodo di procedura; non è infatti una dottrina bensì un metodo che concerne le modalità della ricerca filosofica e non l’oggetto (Giusti, Iannazzo, 1998). Anche se non riversa lo stesso peso in tutte le manifestazioni esistenziali, agisce in ogni sua forma attraverso il carattere intenzionale della coscienza. E questa intenzionalità per Husserl (1965), intorno al quale a partire dai primi anni del Novecento si formò la scuola fenomenologica, non sta a sé, in quanto è l’essenza (o la proprietà) di una coscienza che coglie se stessa in modo diretto e privilegiato come “pura soggettività” o “soggettività trascendentale”. Il fenomeno quindi non è apparenza, ma manifestazione o rivelazione di ciò che la cosa stessa è nel suo essere in sé; non si contrappone perciò ad una realtà più profonda, che esso velerebbe o nasconderebbe, ma è l’aprirsi, il manifestarsi stesso, di questa realtà (Abbagnano, 1993).

1.2.1. Concetti utili nel counseling e nel coaching La scelta Partendo da Kierkegaard (1956), secondo il quale “Il possibile corrisponde esattamente al futuro. Il possibile è, per la libertà, il futuro e il futuro è, per il tempo, il possibile”. Anche Sartre attribuisce una grande importanza alla libertà e alla responsabilità degli individui verso la loro esistenza, arrivando a soste-

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica nere che l’uomo è l’unico essere in cui “l’esistenza precede l’essenza”, in quanto il suo carattere è costituito da tutte le scelte libere fatte in passato (Du Plock, 1997). Infatti, ciò che gli uomini sono, lo sono diventati con l’azione, ovvero l’uomo diviene ciò che ha scelto di essere, è completamente libero di scegliere, ‘è condannato ad essere libero’, ed è pienamente responsabile del suo essere (Sartre, 1980). È anche responsabile di tutti gli altri uomini, perché la scelta che fa è anche la scelta dell’essere degli altri e dei valori che devono permeare il mondo e divenire realtà. Sartre crede nella libertà assoluta della coscienza che obbliga l’uomo, che pertanto non ha una “natura” determinante, a decidere anche la sua morale. Per Heidegger (1994), l’essere comprende, da una parte, l’essere gettati in un mondo dato senza possibilità di scelta, dall’altra, la libertà di decidere il modo in cui reagire alla condizione imposta. Il mondo non è dato dal semplice insieme delle cose, ma dalla loro significatività, cioè dalle cose a disposizione che godono di una loro utilità e rinviano a esso. Vivere è quindi scegliere, operare ogni giorno delle scelte infinite momento per momento. Il paradosso dell’angoscia della libertà, per esprimerla in termini kierkegaardiani, è dovuta alla radicale antitesi della scelta che le possibilità aprono continuamente di fronte all’uomo, senza dare mai la garanzia che le scelte prese siano quelle giuste e quelle che si realizzeranno, e non dando sollievo al dubbio, che non può mai svanire, che l’alternativa non scelta fosse invece quella migliore (Kierkegaard, 1965). L’esistenza è il processo e il risultato di scelte, ciò che si fa precede l’essenza, ciò che si è. Ci si crea, scegliendo momento per momento, nel presente come nel futuro, senza costrizioni. La scelta ultima è nella scelta del significato, perché anche se non sempre è possibile scegliere ciò che succede, è comunque possibile scegliere il modo con cui rispondere a tali circostanze (Peltier, 2001). A livello della scelta l’accento esistenziale-fenomenologico porta l’agevolatore a svolgere la funzione importante di aiutare il proprio cliente a operare delle scelte sagge ed efficaci: osservando il modo in cui si oppone a scegliere, si auto-limita con la scelta presa, e poi incoraggiando a notare e prendere consapevolezza di queste sue modalità; scoprendo insieme quando ha smesso di scegliere o quando fa scegliere agli altri al posto suo, o quando giorno dopo giorno agisce senza pensare e senza consapevolezza, semplicemente muovendosi con la corrente; insegnando come operare un costante auto-monitoraggio e incitando all’auto-consapevolezza; spingendo ad assumere le responsabilità per le scelte prese e vivere con le susseguenti implicazioni; chiedendo di descrivere quando è stata l’ultima volta che pubblicamen-

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Capitolo 1 te ha assunto delle responsabilità per qualcosa che poi non è andata nel modo desiderato; aiutando il cliente a prendere le proprie responsabilità per le decisioni prese e le conseguenze. Oltre la mediocrità quotidiana Perché per gli esitenzialisti assumersi la responsabilità delle proprie decisioni è di tale rilevanza e valore? In queste esortazioni ciò che è in figura è la morte. La morte che termina tutto e quindi, nella loro concezione, la morte come grande motivatore (Olson, 1962). Dal momento che non è possibile predire quando arriverà, è sempre presente nella vita di ogni individuo. Ognuno potrebbe morire oggi stesso e per alcuni questo si avvererà. È quindi una possibilità di ogni momento della vita e si dovrebbe essere spinti a valorizzarla; invece, per paura, la maggior parte delle persone tende a creare e inventare modi per evitare di pensarci, di notare la presenza della morte, nonostante il fatto assoluto e l’unica certezza che ognuno di noi la incontrerà. L’esistenzialismo esorta a rinnegare la mediocrità e a vivere una vita impegnata come se ogni giorno fosse l’ultimo, eventualità che potrebbe anche verificarsi, spinge cioè a rischiare, a coinvolgersi con passione anche nei piccoli momenti quotidiani, a diventare protagonisti più che spettatori della propria esistenza. Non si può attendere e rimandare, perché non si ha la sicurezza di avere tanto tempo, occorre semplicemente agire. La presenza della morte serve anche come chiarificatore di valori. Essere consapevoli che la vita ha un tempo limitato, influenza ciò che si fa oggi? Tra cosa si sceglie? Le priorità cambiano se nel quadro si posiziona la propria morte? Si potrebbero fare scelte più autentiche, scelte che rispecchino maggiormente i veri valori che si possiedono, basate su ciò che è più importante, piuttosto che dettate da ciò che è più facile decidere, o da ciò che si preferisce o da quelle che si sono già scelte in passato? A questo livello l’accento esistenziale-fenomenologico porta l’agevolatore a: esortare al rischio, a uscire dagli schemi comodi e abitudinari, per provare altro, scoprire nuove possibilità e magari vivere a volte la vita in modo “pericoloso”; entrare nel mondo dei clienti e osservare in che modo hanno evitato il rischio e il pericolo, i modi con i quali si sono intorpiditi, con i quali hanno ristretto il loro campo d’azione e si sono ritirati; indicare loro questi aspetti e spronarli a riconsiderarli. Intorpiditi e insensibili non è il modo di vivere e l’esistenzialista è diffidente nei confronti del comfort. Si è attori, non spettatori nelle avventure della vita;

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica ricordare ai clienti che la vita non è infinita, anzi, è anche breve, e che non si ha nessuna garanzia che domani si sarà ancora vivi; aiutare a comprendere ciò che profondamente è importante per loro, a scoprire e realizzare ciò che veramente pensano e sentono e a imparare da loro stessi; spronare al coinvolgimento passionale in semplici attività della vita quotidiana; non accettare quando si tirano indietro. Spronarli a impegnarsi e a coinvolgersi in ciò che per loro è importante, anche se altri non sono d’accordo con le loro priorità. La mediocrità, specialmente quando rappresenta una mentalità apatica, che va con la corrente in maniera passiva, deve essere bandita. Il confronto Secondo Heidegger l’essere nel mondo dell’uomo significa apertura al mondo e familiarità con esso (Cohn, 1997); per Sartre (1980) il confronto è la base di tutte le relazioni umane autentiche. Grazie anche alla sfida e al conflitto, intesi come opportunità di confronto, si ha la possibilità di creare dei veri rapporti e delle relazioni di fiducia. Secondo il punto di vista esistenziale, il conflitto interpersonale è, infatti, inevitabile, è una componente essenziale di una relazione autentica e il confronto è necessario ogni tanto al fine di mantenere una relazione “vera” e valida. Ci sono modi migliori e peggiori per affrontare il confronto e un buon agevolatore può aiutare i clienti ad apprendere come farlo. La pseudo-tranquillità dovrebbe procurare maggior preoccupazione di un confronto attivo occasionale (Peltier, 2001). Esiste inoltre un altro aspetto del conflitto inerente alle relazioni umane: a volte le persone che più irritano e fanno perdere il controllo sono quelle di cui si ha maggiormente bisogno. Molte persone evitano il conflitto sistematicamente, a costi adattivi elevati, e ciò è un errore; certamente nessuno cercherebbe un conflitto non necessario, ma la maggior parte delle persone piuttosto che confrontarsi tende a evitarlo sulla base di paure abbandoniche, del rifiuto (agito e subito) e di altre conseguenze “catastrofiche” derivanti da introietti appresi. Mentre le relazioni autentiche incoraggiano l’altra persona a sentirsi libera, a operare delle scelte ritenute attraenti e corrispondenti per potersi realizzare, la manipolazione e il controllo degli altri non funzionano né a lungo né a breve termine; anche quando sembrano godere di risvolti positivi, portano con sé sempre degli effetti negativi collaterali inaccettabili. Su questi principi si basano molti aspetti etici e deontologici sia del counseling che del coaching. Rispetto al confronto e al conflitto l’accento esistenziale-fenomenologico guida l’agevolatore a:

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Capitolo 1 creare e sostenere le relazioni autentiche. Questa ‘sfida’ riguarda sia i professionisti che i clienti. Ambedue beneficeranno dell’autenticità delle relazioni lavorative. I counselor/coach devono tendere a raggiungere una relazione vera con i clienti per spronarli a esserlo nella loro vita, privata o professionale che sia. Una relazione autentica avviene quando ambedue si trattano vicendevolmente come entità autonome da rispettare; viene raccontata la verità e nessuno dei due manipola l’altro per ottenere dei benefici o dei vantaggi personali. Le persone non sono degli strumenti per il raggiungimento di qualche scopo. Questo concetto è trasmesso con particolare attenzione nel lavoro con le aziende: nessuno è un oggetto che possa essere usato. Questo assunto dovrebbe essere la sfida per una leadership positiva e costruttiva. Discutere la visione del cliente riguardo al conflitto: lo apprezza, è uno stimolo di crescita, lo fa sentire più vivo o gli suscita paura? Mettere in chiaro che evitare il conflitto è un errore, e valutare le modalità con le quali viene affrontato. Aiutare a vedere il conflitto e il confronto come aspetti potenzialmente positivi della vita, professionale e personale, piuttosto che semplicemente sintomi disfunzionali. L’individualità e il contesto L’esistenzialismo, oltre a mettere in evidenza l’irripetibilità, l’irriducibilità e l’individualità del singolo, sottolinea che nessuna persona è un essere statico: una penna è una penna in ogni contesto, una persona è differente da contesto a contesto (Abbagnano, 1993). Il comportamento umano può essere compreso solo se inserito nel contesto in cui si manifesta e la psicologia sociale ha evidenziato l’errore fondamentale di attribuzione, la tendenza a sovrastimare i fattori interni (personali) e sottostimare quelli situazionali. Questo assunto può essere particolarmente utile nel coaching, che a differenza del counseling e della psicoterapia, spesso si trova a fare uso di informazioni riguardanti il cliente, a utilizzare come fonte di informazioni non solo il cliente, ma, specialmente nel business coaching, informazioni derivanti da colleghi, dirigenti dell’organizzazione e capi. È quindi essenziale, anche se si possono ricevere dati da una valutazione fatta a 360°, incontrare il cliente nell’azienda come se non si sapesse nulla di lui, eliminare i preconcetti prima di iniziare a lavorare e cercare di scoprire come questi si rivelano nel lavoro che si è svolto con lui, per operare successivamente un confronto tra le informazioni ricevute e le proprie impressioni e valutazioni. È importante cercare di comprendere il cliente nel contesto del suo mondo relazionale in generale, e in questo caso lavorativo (Peltier, 2001).

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica L’accento esistenziale-fenomenologico si manifesta a questo livello nell’operato dell’agevolatore finalizzato a: rispettare l’individualità dei suoi clienti; affrontarli con una freschezza e una volontà di vedere in ciascuno la loro specifica unicità; sostenere e rinforzare i loro punti di vista, e verificare se loro stessi valorizzano il proprio oppure lo sminuiscono nel confronto con gli altri; scoprire quanto vivono secondo valori soggettivi autonomi o condizionati dall’esterno; rinforzare la fiducia dei clienti nelle loro percezioni e conclusioni; il punto di vista soggettivo ha un valore intrinseco anche quando sia necessario riconsiderarne la funzionalità o affrontarne il cambiamento nel processo di counseling/coaching; sostenere il cliente nella sua capacità critica personale; sottolineare costantemente la scelta della propria identità quotidianamente in ciascun momento: l’esistenza precede l’essenza. Il pensiero della propria reputazione non deve costringere, condizionare, restringere lo sviluppo e l’autorealizzazione del Sé. Si possono operare nuove scelte e comportamenti o dare nuove priorità, iniziando da subito. L’assurdo L’esistenzialismo sottolinea l’impossibilità di predire gli eventi, incluso il fatto che si potrebbe morire in ogni momento, e celebra la morte: non c’è modo per sfuggire a tale realtà, indipendentemente da quanto ci si provi e si cerchi di far finta che non sia così. Il fatto che l’universo e la vita stessa siano inesplicabili, quanto più si desidera trovare un senso, è la prova ultima dell’assurdo (Thody, 1957). Si vorrebbe comprendere, ma non è possibile. La vita è piena di contraddizioni brutali. La maggior parte degli individui è tentata di ignorare questa realtà, di negarla o di illudersi che non sia così. Si cerca un ordine delle cose e si insiste affinché tale ordine creato venga rispettato. Ma per quanto possa essere importante stabilire il proprio miglior ordine possibile, è un errore insistere sul fatto che il proprio ordine prevalga su quello di un altro. La natura stessa della vita scuote e sconvolge le proprie pacifiche e tranquille illusioni. Il tetto può cadere in ogni momento, anche se questo non è deprimente per il pensatore esistenziale. L’assurdo, infatti, apre la porta alla felicità. È nella totale accettazione dell’incertezza, delle contraddizioni della vita che si può diventare sufficientemente liberi e impegnarsi negli eventi e nei piaceri quotidiani, per poter riuscire veramente ad apprezzarli. Essi rappresentano la vita di ognuno. La vita è folle e vissuta in questo modo è una gioia. Perché un cliente possa incontrare e metabolizzare l’assurdità della vita dovrà essere aiutato a:

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Capitolo 1 scoprire la propria via, trovare dentro di sé la risposta alle domande più importanti. Nessun altro lo può fare e può fornirle. La verità richiede l’auto-scoperta. Non può essere trasmessa da una persona a un’altra; prendere consapevolezza che la vita è piena di situazioni assurde e ridicole; e che ciò è semplicemente normale, un dato di fatto. Sarà l’agevolatore che l’aiuterà a vedere quanto bene comprenda tale realtà e come la gestisca: si lamenta quando le cose non vanno per il verso pianificato? apprezzare quanto la vita sia fuori dal controllo predeterminato; a trovare l’ironia nelle contraddizioni e a diventare più flessibili; accogliere e apprezzare l’assurdo. L’ansia e l’angoscia Per Sartre l’angoscia è soltanto “il sentimento della propria completa e profonda responsabilità” che pertanto non conduce all’inerzia, ma all’azione; per Kierkegaard l’angoscia, come la disperazione e la fede, è una categoria fondamentale dell’esistenza umana (Olson, 1962). A questo livello l’accento esistenziale-fenomenologico sottolinea l’importanza per l’agevolatore di: anticipare l’ansia e la difensività e accoglierla; spiegare che chiunque prova ansia, è prevedibile ed è “normale”; l’ansia è una delle possibili condizioni ed esperienze umane, è fisiologica. Occorre invece essere attenti se il cliente riferisce di non provare ansia, perché ciò significherebbe che non è in grado di notare o esprimere sentimenti o stati d’animo soggettivi; legittimare l’ansia, in quanto appropriata al percorso, alla situazione di cambiamento o crescita che si deve affrontare. Il cambiamento spesso fa paura e si aggiunge alla “regolare” ansia associata alla vita che è fuori dal controllo, nel senso esistenziale; tener presente che la resistenza e la difensività possono anche essere anticipate nel processo di counseling o di coaching, come ha sottolineato Maslow (1968), in quanto la crescita e la sicurezza spesso si spingono in direzioni opposte; consapevolizzare che la resistenza dei clienti è, in qualche grado e forma, sempre presente e non rimanere quindi delusi quando emerge. È una parte essenziale del processo di cambiamento con la quale i professionisti della relazione d’aiuto dovranno sempre lottare.

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica 1.2.2. Punti forza, limiti e applicazioni dell’approccio fenomenologico-esistenziale nel counseling e nel coaching integrato L’esistenzialismo fenomenologico esorta ogni essere umano alla consapevolezza, alla riflessione e alla responsabilizzazione, in quanto l’essenza di ogni individuo dipende dalle sue stesse decisioni e scelte nell’agire e nel reagire. Spinge al confronto e a relazioni autentiche e costruttive. Questa attribuzione di potere personale può risultare eccitante, produttiva e soddisfacente e promuovere la creatività e l’azione. Spesso tuttavia, l’esistenzialismo sembra elogiare la presa di decisione in sé – qualsiasi essa sia purché presa in maniera individuale e autentica – che viene in questi casi sopravvalutata, senza preoccuparsi che sia o no una scelta saggia (Shinn, 1959). Un approccio alla realtà quasi “romantico”, che porta talvolta a un individualismo irriflessivo o vuoto di direzionalità. Questa sorta di individualismo, che nasce per uno scopo in sé, non gode di una grande funzionalità nella vita reale o nelle organizzazioni, se si vuole riflettere sulla sua applicabilità anche al counseling aziendale o all’executive coaching. Un individualismo autentico richiede estese e continue auto-valutazioni e la volontà e la responsabilità di vivere giorno per giorno il risultato ottenuto, ovvero, il frutto delle decisioni prese. E per estendere il discorso anche alle organizzazioni, le decisioni che si prendono non si possono basare su uno spirito idealistico e assolutamente propositivo, ma richiedono un attento e scrupoloso esame, e spesso restrizioni e compromessi.

“Ognuno, prima o poi, comprende molte cose della propria vita […]. La comprensione di se stesso, di una persona e del mondo è differente da quella di ogni altra persona” (Szasz, 1996). Il rispetto per la soggettività, per la finitezza, l’imprevedibile e per il proprio potere di decisione e auto-realizzazione sono le chiavi essenziali per accedere all’incontro con l’altro, cliente o coachee che sia.

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Capitolo 1

1.3. Il presente incontra il passato: evoluzioni e attualità delle esperienze originarie 1.3.1. In principio fu…il legame primario L’importanza del legami primari nella costruzione delle mappe interpersonali relazionali che orientano gli scambi relazionali nell’infanzia e nell’età adulta è stata considerata soprattutto dalla teoria dell’attaccamento (Birtchnell, 1994). Definizioni: “attaccamento” è un termine generale che si riferisce allo stato e all’attualità degli attaccamenti di un individuo che sperimenta sicurezza, protezione e amore nell’attaccamento sicuro, dipendenza, paura del rifiuto, irritabilità e vigilanza nell’attaccamento insicuro. “comportamento di attaccamento”: ogni forma di comportamento che appare in una persona che riesce a ottenere e a mantenere la vicinanza ad un individuo differenziato preferito. “sistema dei comportamenti di attaccamento”: modello del mondo in cui vengono rappresentati il sé, gli altri significativi e le interrelazioni, che codifica il pattern di attaccamento specifico. La Triade dell’ Attaccamento 1) ricerca attiva della vicinanza ad una figura preferita 2) la figura di attaccamento costituisce la “base sicura” da cui curiosare ed esplorare 3) protesta per la separazione le reazioni alla separazione e alla perdita: • torpore • bramosia, ricerca, collera • disorganizzazione, disperazione, riorganizzazione.

La strategia preferita di attaccamento che il soggetto manifesta può essere considerata come la ricerca di una partnership corretta verso uno scopo comune, diretta a mantenere vicinanza fisica o psicologica e a dare/ricevere conforto e aiuto nelle condizioni che vengono percepite come un pericolo o comunque come un’alterazione dell’equilibrio dell’organismo (Holmes, 2001).

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica La tramissione del modello di attaccamento si basa su: responsività del genitore; presenza di capacità metacognitive che consentono di differenziare tra esperienza immediata (es. madre distaccata) e stato mentale sottostante (“perché lei è triste e non perché io sono cattivo”); capacità del bambino di sviluppare rappresentazioni degli stati mentali, emotivi, cognitivi che organizzino il suo comportamento verso chi lo accudisce. Gli esseri umani cercano di comprendersi in termini di stati mentali: pensieri, sentimenti, desideri, credenze, per attribuire significato all’esperienza e poter anticipare le reciproche azioni. Attribuendo uno stato cognitivo o emotivo agli altri è possibile rendere il proprio comportamento comprensibile a se stessi (Fonagy, 1996). La capacità di esercitare un controllo cognitivo può rivelarsi particolarmente importante quando il bambino è esposto a interazioni sfavorevoli, per esempio, nei casi estremi, abuso e trauma (Brisch, 2002). La funzione riflessiva del Sé promuove attaccamento sicuro nel bambino. Un bambino in grado di pensare agli stati mentali degli altri può pensare che il rifiuto da parte del genitore sia basato su convinzioni sbagliate e sarà quindi in grado di moderare l’impatto delle esperienze negative. Se il genitore acquisisce la capacità di rappresentare e riflettere in modo soddisfacente sull’esperienza mentale, può essere interrotto il ciclo di ripetizione di precoci esperienze negative e con esse la trasmissione di modelli di attaccamento insicuri. Una relazione di attaccamento sicuro fornisce il contesto ideale al bambino, perché possa esplorare la mente del genitore e padroneggiare la natura degli stati mentali (Attili, 2001). Il processo è intersoggettivo: il bambino arriva a conoscere la mente del genitore così come il genitore cerca di comprendere e contenere gli stati mentali del bambino. “La mamma pensa a me come qualcuno che pensa, dunque io esisto come essere pensante” (Fonagy, 1996). La trasmissione dell’insicurezza nel pattern di attaccamento: • in ognuno dei genitori, le esperienze relative all’attaccamento nell’infanzia e nell’adolescenza vengono rappresentate sotto forma di “modelli operativi interni”; • questi modelli operativi interni dei genitori influenzano l’organizzazione rappresentazionale. La rappresentazione del bambino da parte di

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Capitolo 1 ognuno dei genitori influenza il modo in cui ognuno di loro tratta il bambino e la qualità della responsività sensibile alle comunicazioni del bambino di richiesta di cura; • la qualità e il grado di responsività sensibile costituiscono gli elementi determinanti primari della qualità dell’attaccamento del bambino a ognuno dei genitori. I due fattori più importanti che determinano il contributo dei genitori al senso di sicurezza dei loro bambini sono: – la capacità di offrire empatia o responsività sensibile; – la capacità di impegnare i loro bambini in conversazioni significative in cui si mostra una capacità di riflettere sui problemi interpersonali (Marrone, 1999). Nell’individuazione delle caratteristiche degli Internal Working Models (I. W. M.), o Modelli Operativi Interni, è importante la coerenza tra ciò che la persona racconta e le sue “prove”, ciò che caratterizza per esempio il suo modo di parlare e di raccontare (Giusti, Spalletta, 1997). Il tipo evitante utilizza una modalità cognitiva di comunicazione. L’elaborazione dell’informazione affettiva deve essere introdotta attraverso un linguaggio cognitivo. Il nuovo linguaggio (affettivo) deve essere insegnato attraverso il modeling. L’evitante presenta un racconto scarno, pochi affetti espressi, un racconto non congruente per la sua portata emotiva con il modo in cui viene espresso, idealizzazione dei genitori. Di solito all’origine del modello evitante troviamo una madre distanziante e fredda. Il tipo resistente-ansioso non è sicuro della responsività della figura di accudimento percepita come imprevedibile. Questa insicurezza determina un’ansia costante rispetto alla soddisfazione dei propri bisogni e un’attivazione continua del pattern di attaccamento. Da adulto può manifestare ansia e angosce abbandoniche nelle relazioni, oppure dipendenza eccessiva dal partner e comportamenti di accudimento nevrotico. Generalmente la figura di attaccamento si è mostrata preoccupata ed incostante risultando inaffidabile e ansiogena per il bambino. Al contrario, lo sguardo della madre sicura rispecchia lo stato d’animo del bambino, ascolta e risponde ai bisogni che manifesta, lo rende sicuro della sua capacità di chiedere e della capacità del mondo di rispondere in modo adeguato. Il tipo disorganizzato si trova a fare i conti con una paura senza soluzione. Il bambino che incontra lo sguardo preoccupato della madre viene spaventato, paradossalmente, dalla stessa persona dalla quale dovrebbe ricevere protezione e affetto (madre spaventata/spaventante). Spesso questo stile di attaccamento si individua nelle persone maltrattate o abusate.

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

BOX DI APPROFONDIMENTO Strategie secondarie dell’attaccamento • Due sistemi motivazionali principali regolano l’interazione tra soggetti della stessa specie: quello agonistico, più antico, che si attiva quando compare uno stress o “lo straniero”e quello delle “cure parentali”, più recente. Il primo è diventato una risorsa da utilizzare in situazioni difficili. • Il sistema agisce con una mescolanza dei sistemi emozionali di rabbia e paura. • Gli attaccamenti insicuri utilizzano queste strategie secondarie in seconda istanza, dopo aver tentato di raggiungere una sicurezza di attaccamento con quelle primarie. • Un soggetto insicuro non ha integrato l’immagine di un genitore disponibile (e questo genera anche dosi elevate di stress, che attiva il sistema agonistico) allora ricorre a questi sistemi accessori che però sono più primitivi, risultano meno flessibili, più chiusi e tengono meno conto dell’interazione con il contesto rispetto a una logica interna. SISTEMI DI APPRENDIMENTO E MEMORIA Diversi aspetti dell’apprendimento coinvolgono diversi sistemi neurali, ciascuno con compiti specifici. Il sistema dell’amigdala decodifica la paura e attiva le risposte viscerali (frequenza cardiaca, pressione arteriosa, ecc.) per affrontare le situazioni. È un sistema caldo, veloce, efficiente, diretto, altamente emotivo, rigido e frammentario: memorizza accadimenti diversi ed è capace di attivare risposte anche in relazione a frammenti di stimoli. Le memorie “calde” implicano un senso di rivissuto che le rende più simili a una risposta reazione che a un ricordo. Quando lo stress aumenta l’amigdala aumenta la risposta. Il soggetto entangled tende a conservare memorie episodiche molto vivide, anche molto precoci, rivissute nel presente della narrazione, a testimoniare una “ipertrofia” della memoria episodica. Il sistema ippocampale apprende quale sia la situazione, acquisisce memoria episodica delle relazioni (spazio-tempo) che gli eventi hanno con il contesto. È un sistema “freddo” e lento che stenta a verificare ipotesi e ad apprendere regole. A bassi livelli di stress aumenta la risposta all’aumentare dello stimolo, mentre stress elevati lo rendono via via meno sensibile fino a renderlo totalmente disfunzionale e iporesponsivo. Il soggetto dismissing conserva un’opinione generale sul suo passato, ma stenta a ricordare episodi, i ricordi sono poveri, scollegati, opposti alla opinione semantica sul passato. Un basso livello di stress aumenta la memoria sia amigdalica sia ippocampale, un alto livello di stress disattiva il sistema ippocampale e rende iperattivato quello amigdalico (Farma, 2003).

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Capitolo 1 In generale è possibile affermare che c’è una preponderanza di un modello operativo sull’altro, ma sono presenti anche le modalità che derivano da esperienze con altre figure di attaccamento. Il modello operativo interno è non solo il risultato delle relazioni con le figure più significative per il bambino, ma è anche predittivo del genere di attaccamenti che instaurerà in futuro e del tipo di funzione genitoriale che quel bambino assumerà una volta adulto (Johnson, Whiffen, 2003). D’altra parte questo non significa che, una volta strutturato, lo stile di attaccamento sia immutabile. È possibile modificarlo attraverso esperienze positive, relazioni di coppia soddisfacenti, processi terapeutici, che permettano di rielaborare il vecchio modello e strutturarne un altro più adeguato. Il “disattaccamento” può avvenire in modo traumatico, specie nel periodo adolescenziale. Alcuni adolescenti scelgono di affermare in modo aggressivo la propria nuova identità, contrapponendosi in modo oppositivo agli insegnamenti e alle aspettative genitoriali. Paradossalmente ciò può portare alla definizione di un’identità reattiva, altrettanto poco congruente ed autentica di quella del “bambino sottomesso”. L’accettazione e l’elaborazione dei cambiamenti, dei distacchi, la comprensione di ciò che realmente ci appartiene, è un processo lento e complesso. E questo processo di individuazione può durare tutta la vita (Culow, 2003). Anche se esiste una tendenza a permanere nello stesso modello di attaccamento durante il ciclo di vita, occorre comunque considerare che esiste un processo di maturazione dinamica degli attaccamenti in stretta relazione con l’esperienza di vita (Cassidy, Shaver, 2002). Un cambiamento, da parte dei genitori, nel modo di educare il bambino, può generare una virata nel suo processo evolutivo in senso favorevole o sfavorevole (Bowlby, 1989). Durante le fasi critiche di sviluppo, di cambiamento evolutivo sono più frequenti e possibili le riorganizzazioni dei pattern di attaccamento. Una prospettiva evolutivo-longitudinale permette di comprendere le connessioni tra adattamenti precoci e successivi sviluppi patologici alla luce di un modello multifattoriale e di considerare l’evoluzione un processo continuo di interazione organismo-ambiente. La continuità nel modello evolutivo comprende coerenza nello sviluppo e plasticità – “la continuità dello sviluppo e la continuità dell’esperienza soggettiva e dei pattern relazionali” (Dazzi, Speranza, 2005). L’organizzazione delle informazioni nella memoria esplicita (autobiografica) è soggetta a distorsioni ed è strettamente connessa alla maturazione dell’ippocampo che non avviene prima dei due anni di vita. Le esperienze primarie vengono immagazzinate dall’amigdala che registra la memoria implicita (procedurale) al cui ricordo non è possibile accedere, ma che condiziona e orienta profondamente la vita emotiva durante tutta la vita (Green, 2003) (Tab. 3).

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica Tab. 3. Decodifica delle informazioni e ricordi

Altri autori sottolineano l’influenza di un saldo legame di attaccamento nel facilitarne di nuovi (Weiss, 1982; Carli, 1995). Le funzioni dell’attaccamento infatti vengono trasferite in modo graduale e la funzione “base sicura” è l’ultima a subire lo spostamento da una figura all’altra, per es. dai genitori al partner (Hazan, Shaver, 1995). Lo spostamento dell’attaccamento su un coetaneo si articola nelle fasi di ricerca di vicinanza, considerazione del partner come rifugio ed infine come base sicura. Per quanto riguarda gli attaccamenti, le riedizioni e i cambiamenti nei concetti di sé e dell’altro in età adulta, nelle coppie adulte il modello sicuro si caratterizza per la capacità di entrambi i partner della coppia di vivere l’intimità, la reciprocità, l’interdipendenza. Il tipo sicuro ha fiducia negli altri e a loro si rivolge per ottenere sostegno e conforto nei momenti di difficoltà. Nel modello evitante tipici sono il timore dell’intimità e l’incapacità di dipendere dagli altri. Il livello di consapevolezza dei propri sentimenti negativi è basso, come scarsa è la capacità di confessare anche a se stessi di avere qualche bisogno. Il tipo evitante è centrato sul lavoro, preferisce lavorare da solo e solitamente utilizza l’attività o il compito come veicolo di contatto. Nel modello ansioso-ambivalente è costante la preoccupazione circa l’affidabilità e la responsività del partner (soprattutto nelle fasi iniziali del rapporto), fino all’incertezza sul suo reale desiderio di stare con lui. Caratteristiche sono l’alternarsi di esperienze positive e negative, la gelosia, l’ossessione amorosa. L’ipersensibilità al proprio disagio rende eccessivamente alto il livello di vigilanza. Tale attenzione naturalmente è rivolta alla relazione, nella paura di una sua improvvisa rottura. Le strategie per mantenere la vicinanza arrivano sino all’uso di sintomi psicopatologici. In ambito lavorativo è frequente l’insoddisfazione e l’intrusione delle difficoltà relazionali nel lavoro e di quelle professionali nel privato (Hazan, Shaver, 1990).

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Capitolo 1 Esiste una relazione tra atteggiamenti affettivi dei genitori nei confronti dei figli, la qualità della relazione della coppia genitoriale, il clima emotivo familiare e l’insorgenza di attaccamenti sicuri o insicuri nei figli (Rholes, Simpson, 2004). Un padre esigente, dominatore e punitivo si correla con un’elevata ansia amorosa nelle figlie femmine; un padre distaccato o rifiutante con la loro ossessione amorosa. I livelli massimi di ansia nelle donne sono correlati con un padre ostile ed un ruolo poco chiaro della madre, che non si sottomette né compete col marito (Byng-Hall, 1998). Gli uomini sembrano risentire meno dei conflitti familiari pur essendo sensibili al rifiuto, all’autoritarismo e all’inconsistenza dei genitori. Tali caratteristiche si ritrovano nelle famiglie di uomini con attaccamenti ansiosi verso le loro donne, e con mancanza di sostegno, fermezza e competitività, cioè delle comuni basi della sicurezza maschile (Brodsky, Schwarz, Hindy, 1990). La relazione subisce momenti critici quando i partner abbiano stili di attaccamento troppo simili (si confondono) o troppo dissimili (non si riconoscono). Perché un soggetto diventi sufficientemente una figura di attaccamento è necessario che sia familiare e abbia per questo un comportamento prevedibile, ma deve risultare anche abbastanza diverso dalle figure familiari per poter attivare l’attrattiva sessuale (Eagle, 2005). Generalmente individui con uno stile di attaccamento sicuro scelgono partner sicuri, mentre soggetti insicuri tendono a trovarsi con altri insicuri, ma con uno stile di attaccamento diverso dal proprio. Questi ultimi di solito confermano le rappresentazioni mentali del partner, mantenendo attivo il suo modello relazionale disfunzionale. Per esempio, si rileva una certa tendenza dei tipi ansioso-ambivalenti a fare coppia con tipi evitanti. Mentre l’ambivalente tende ad un’amplificazione delle situazioni di conflitto, con ipercriticità e sensitività nei confronti del partner, il tipo evitante rifugge qualsiasi spostamento del suo livello di umore non tollerando un’emotività esuberante, elude lo scontro allontanandosi (evitandolo), esasperando il partner in un crescendo di conflittualità che può portare alla rottura definitiva (McCluster, 2005). La teoria dell’attaccamento ritiene ogni nuova relazione sentimentale una potenziale occasione per modificare i modelli di relazione. Tuttavia la tendenza è sempre quella di trovare una corrispondenza con il proprio sistema di attaccamento anche nel setting di aiuto (Tab. 4) (Norcross, 2002).

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica Tab. 4. Attaccamento nella strange situation e nella relazione di aiuto (ad.ta da Elliott, Goldman, Greenberg, 2002)

Strange situation Il caregiver aiuta il bambino a regolare la sua reazione affettiva e a ristabilire la base sicura dopo una separazione: quando questa operazione ha successo l’esperienza relazionale è connotata da affetti positivi reciproci e condivisi; in questo modo si sviluppa la sicurezza del legame. Indicatori di “Qualità delle cure materne”: Sensibilità Prontezza nella risposta (ai segnali di ansia/disagio) Stimolazione adeguata Sincronia interattiva Calore Coinvolgimento Responsività

Setting della relazione d’aiuto Il processo di aiuto/terapeutico consiste in una sequenza ritmica strutturata in modo predeterminato, di eventi di separazione e riunione: la sperimentazione di un ambiente che facilita la consapevolezza delle strategie di separazione e riunione e l’espressione di sentimenti (regolazione affettiva), sviluppa la sicurezza del legame. Indicatori della qualità della relazione d’aiuto: Empatia, calore, coinvolgimento, interesse, responsività, partecipazione collaborativa. In ogni seduta si susseguono cicli di rottura e riparazione della sintonizzazione con conseguenti approfondimenti empatici

1.3.2. Aspetti psicodinamici utili alla pratica del counseling e del coaching nell’approccio integrato Dall’ipnosi alla “cura attraverso la parola”, definita come psicoanalisi, alle nuove scuole psicoanalitiche, alla psicologia psicodinamica: in questa sequenza vengono racchiuse più di un secolo di teorie, scissioni, ricerche e innovazioni; in questo paragrafo, più che essere esposte direttamente, verranno descritte alla luce del bagaglio che counseling e coaching integrati hanno tratto da loro. L’esistenza di processi mentali inconsci Nel contesto scientifico di fine Ottocento, Freud, anche se non fu il primo a scoprire l’inconscio, in quanto la presenza di parti inconsce della mente erano già state descritte da Nietzsche, Eliot, Goethe, Schopenhauer, H. James, Dickens e altri, fu però il primo a sottolineare l’importanza delle dinamiche psichiche inconsce nel motivare il comportamento. Freud (1890) localizzò l’inconscio in alcune “regioni dell’apparato mentale” situate in zone non meglio

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Capitolo 1 definite del corpo, dove viene represso e trattenuto tutto quello che non è accettato dalla mente cosciente. I concetti di inconscio e dei diversi livelli di coscienza sono basilari per la comprensione di alcuni comportamenti e problemi di personalità, che sono fondamentali da tenere presente, specialmente quando con il cliente si lavora verso la realizzazione di obiettivi e mete: occorre verificare se non ci siano forze inconsce contrarie che bloccano il lavoro, lo ostacolano, lo rendono distruttivo, forze contrarie a quelle dell’Io che portano l’individuo in luoghi dove magari non vorrebbe andare (Morris, Eagle, Wolitzky, 1998). I valori di un cliente sono in parte inconsci, e, al livello più profondo, guidano e orientano la persona in quanto essere umano verso alcuni importanti scopi della sua esistenza, oltre che governare molti dei suoi comportamenti; rappresentano le sue convinzioni profonde e fondamentali sia personali che collettive, il modo in cui giudica ciò che è bene e ciò che è male, giusto o sbagliato, adatto o non adatto; i suoi punti fermi a cui fare riferimento. Di conseguenza, esplorare, conoscere e capire i valori del cliente è importante per rendersi conto di ciò che sta dietro alle sue scelte e ai suoi obiettivi che poi saranno oggetto di investimento emotivo, affettivo e anche economico (Peltier, 2001). Prima di tutto forniscono la spinta o l’energia cenestesica che agisce come motivatore primario delle proprie azioni e, in seconda battuta, servono come criteri di valutazione post factum, o come giudizi sulle azioni. Le credenze sono strettamente collegate ai valori e anch’esse hanno un ruolo significativo nel determinare l’obiettivo, i pensieri conseguenti al raggiungimento dell’obiettivo stesso o quelli derivanti da un risultato negativo quando l’obiettivo non viene raggiunto. Le credenze che sono a sono un livello più consapevole rispetto ai valori, sono unite o strettamente legate a questi: ogni credenza individuale è connessa a un preciso valore. Dilts (2003) utilizza i termini ‘credenze-nucleo’ e ‘valori-nucleo’ che hanno a che fare con la propria identità, e si creano spesso a livello inconscio in modo apparentemente semplice prima degli otto anni, osservando i genitori interagire. I valori, infatti, sono spesso il risultato di un modellamento inconscio a partire dalle persone più vicine negli anni della fanciullezza, che vengono, insieme alle credenze, acquisite per adattarsi alla realtà. Probabilmente i valori più inconsci sono tra i più importanti nella definizione della personalità; e le incongruenze sono in genere il risultato di conflitti di valori all’interno di una persona.

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

BOX OPERATIVO Scheda di auto-esplorazione: Il proprio sistema di valori Per far emergere ciò che si trova alla base delle scelte fatte da parte del cliente/coachee, per mettersi come agevolatore maggiormente in contatto con la mappa del suo mondo e per sviluppare un maggior senso di empatia comprendendo la direzione verso cui questo si muove, possono essere utili le seguenti domande: “Qual è la cosa più importante per te nella vita e nella professione?” “Che cosa ti stimola all’azione?” “Che cosa ti spinge ad alzarti tutte le mattine?” “Cosa c’è alla base di questo tuo interesse o di questo obiettivo?” Altre domande potrebbero aiutare il cliente/coachee ad esplorarsi su eventuali ingiunzioni genitoriali o credenze che possono essere collegate ai valori e incidere sulla modalità attraverso la quale l’obiettivo viene raggiunto o possono rafforzare la motivazione verso l’obiettivo stesso: “Cosa potrebbe succederti se non potessi raggiungere l’obiettivo? “Cosa sei disposto a sacrificare per raggiungere questo obiettivo?” “Cosa farai nel caso in cui, per qualche motivo, non dovessi raggiungere questo obiettivo nei tempi stabiliti?” “Cosa farai quando avrai raggiunto pienamente il tuo obiettivo?” Dunque, i valori sono alla base della identificazione degli obiettivi che i clienti si pongono e condizionano le scelte e le azioni nel raggiungerli. Alcuni esempi di valori che il cliente potrebbe avere introiettato o costruito nella sua vita potrebbero essere i seguenti: il successo, l’approvazione, la riconoscibilità, il senso di responsabilità, il piacere, l’amore, la benevolenza, la creatività, il senso di giustizia, la stabilità, la salute, il potere, l’amicizia, l’onestà, la famiglia come istituzione, ecc. La gerarchia dei valori è l’ordine di priorità utilizzato dalla persona nel decidere in che modo agire in una certa situazione.

Fig. 3. Le credenze/convinzioni connettono i valori ai vari aspetti dell’esperienza (tratta e ad.ta da Dilts, 2003)

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Capitolo 1 Meccanismi di resistenza e repressione Ogni persona, per alleviare l’ansia, le paure e riuscire a sopravvivere a situazioni difficili, utilizza dei “meccanismi di difesa”, come il non ricordare un evento traumatico e troppo doloroso attraverso la rimozione o la negazione. L’uso delle difese dipende dal livello di sviluppo personale e dal grado di ansia che deriva dal conflitto tra le istanze di personalità per il controllo dell’energia psichica, e ha la funzione di segnalare all’Io un possibile pericolo da cui potrebbe essere travolto. I meccanismi di difesa impediscono, infatti, all’Io di essere invaso dall’ansia e quando questo non riesce a controllarla con metodi razionali e diretti, utilizza metodi meno realistici con cui potersi tutelare (Blackman, 2004). Le difese dell’Io sono quindi dei comportamenti comuni che possiedono un valore di adattamento, fino a quando non diventano uno stile di vita che permette di evitare il confronto con la realtà e perciò disfunzionali. Sarà in questo caso compito dell’operatore di intervenire con il cliente per consapevolizzare e modificare le difese. I meccanismi di difesa presentano due caratteristiche comuni: negano/distorcono la realtà e agiscono quasi completamente a livello inconscio. Di seguito ne verranno descritti alcuni esemplificati da un caso di un cliente che presenta delle difficoltà con il suo direttore di lavoro. • La repressione: consiste nel tenere lontano dalla coscienza pensieri e sentimenti inaccettabili, che minacciano l’Io; avviene inoltre nell’inconscio un processo di rimozione involontaria delle esperienze affettive traumatiche vissute nei primi sei anni di vita che continuano però a influenzare i comportamenti presenti. o Esempio: “Non so perché spesso mi sento così stanco e teso al lavoro.” • La negazione: è la forma più semplice di difesa, consiste nella distorsione dei pensieri, dei sentimenti, delle percezioni vissute da una persona durante un evento traumatico; questa semplicemente chiude gli occhi di fronte a una realtà dolorosa, difendendosi così dall’ansia, cercando di negarla. o Esempio: “Sono arrabbiato con il mio capo, ma non so perché.” • La sublimazione: consiste nel ridirezionare l’energia sessuale e aggressiva verso differenti obiettivi, socialmente accettabili e che suscitano ammirazione. Per Freud, questo meccanismo è alla base delle attività creative, come l’arte, la letteratura, le scoperte scientifiche, la ricerca di conoscenza e la formazione della civiltà. o Esempio: “Sono diventato il mediatore del comitato dei dipendenti e vengo chiamato in causa da coloro che hanno delle difficoltà con lo stile manageriale di questa organizzazione.”

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica • La proiezione: consiste nello spostare sugli altri i propri impulsi e desideri inaccettabili. Attribuire agli altri i propri impulsi aggressivi e sessuali permette alla persona di non riconoscere e affrontare i propri desideri. o Esempio: “Io non piaccio al mio capo”. • L’isolamento: permette di ricordare le esperienze, ma separate dai sentimenti dolorosi o di vergogna. o Esempio: “Non condivido il piano strategico del mio capo.” Lo spostamento, la razionalizzazione, la sublimazione, la regressione, l’introiezione, l’identificazione e i rituali di annullamento vengono elaborati per annullare le azioni che provocano sensi di colpa. Lo sviluppo psicosessuale L’evoluzione psicologica dell’individuo avviene durante l’infanzia, attraverso il superamento di quattro stadi di sviluppo psicosessuale; i primi tre sono pre-genitali, ovvero: orale (primo anno di vita), sadico-anale (2-4 anni), fallico (3-5 anni) e il quarto (6-8 anni, dopo il periodo di latenza) genitale (Morris, Eagle, Wolitzky, 1998). Di interesse per l’operatore integrato sono gli attributi che caratterizzano queste fasi e che corrispondono a quelli del ciclo dell’autonomia. Nella tabella 5 vengono riportati i parallelismi e le caratteristiche di ogni fase, utilizzando un esempio tratto dalla quotidianità aziendale, che permette di individuare quale sia la posizione attuale del professionista rispetto all’autonomia, per poterlo guidare nel processo di crescita, in quanto l’inserimento nel mondo professionale ripercorre le fasi evolutive della crescita personale.

Tab. 5. Tappe di sviluppo dalla dipendenza all’interdipendenza (ad.ta da: P. Chaparro, 2004) Stadio Fase del ciclo psico-sessuale di autonomia Orale

Dipendenza

Caratteristiche La persona che entra in azienda dipende dagli altri; ha la necessità che qualcuno si occupi di lei e la indirizzi verso le sue mansioni; insegnandole le regole, i compiti, le modalità di svolgimento, le gerarchie, ecc. Il tutoring e il mentoring permettono al giovane professionista di acquisire gradualmente le competenze necessarie per il suo sviluppo lavorativo.

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Capitolo 1 Anale

Controdipendenza

Questa fase viene detta anche “del no” – in contrasto alla “fase del sì” della dipendenza – nella quale il bambino per poter iniziare il suo processo di individuazione ha bisogno di affermarsi andando contro ciò che gli viene proposto per percepire l’essere diverso. In questa fase, rispetto a quella precedente, il professionista inizia a costruirsi la propria identità lavorativa. In un’azienda a modello non gerarchico dove il processo di delega è fondamentale, in questa fase, sebbene non vi sia ancora uno stato di effettiva indipendenza, la persona è lasciata libera di gestirsi autonomamente. Al fine di trarre dei benefici, è fondamentale che ci sia chiarezza rispetto al referente: che tipo di feedback lavorativo occorre apportare, in che modo e con quale frequenza, per poter verificare assieme la strada imboccata verso l’obiettivo da raggiungere.

Fallico

Indipendenza

Il professionista comincia a gestire autonomamente il proprio lavoro e ha al tempo stesso, pur sapendo “fare da solo”, bisogno di relazionarsi proficuamente con i suoi superiori; al fine di evitare conflitti, è utile che gli accordi su come impostare i rapporti vengano stabiliti a priori: modalità, tempi, feedback, tipo di comunicazione, ecc.

Genitale

Interdipendenza

Se invece l’indipendenza può essere definita come la “fase del ni” con la sua funzione egologica, quella dell’interdipendenza è quella del “sì – no – ni” che assume una prospettiva ecologica e per questo risulta la più costruttiva e produttiva. Ritornando all’azienda, esiste a questo livello una relazione capo/subordinato collaborativa: il superiore accetta che il dipendente abbia competenze specifiche diverse dalle proprie e la relazione si nutre quindi dello scambio efficace tra i suoi partecipanti. L’interdipendenza rappresenta il punto di arrivo per una gestione efficace del teamwork.

Un modello dinamico mentale Nella tri-strutturazione della personalità fatta da Freud, l’Es corrisponde alla componente biologica, l’Io a quella psicologica, il Super-Io a quella sociale. Questi termini indicano dei processi psicologici che non operano separatamente nella personalità, ma funzionano come un insieme, in quanto la loro dinamica è di tipo energetico e consiste in una mediazione costante tra l’Es, con

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica i suoi impulsi inconsci e desideri di derivazione istintuale, l’Io razionale basato sulla realtà e il Super-Io etico-morale (Giusti, Montanari, Montanarella, 1995). • L’Es, che è presente dalla nascita, è l’istanza originaria della personalità, la fonte primaria di energia psichica e la sede degli istinti. Governato dal “principio del piacere”, la cui meta è la soddisfazione dei bisogni istintuali, l’Es scarica costantemente energia per mantenere l’omeostasi interna. È quasi completamente inconscio o privo di consapevolezza ed è caratterizzato da illogicità, amoralità; non matura mai e non pensa, ma desidera e agisce. I contenuti inconsci dell’Es motivano tutto il comportamento umano e modellano lo sviluppo della personalità. • L’Io è la sede dell’intelligenza e della razionalità, è l’istanza che comanda, controlla e regola la personalità. La sua funzione principale è quella di mediare tra gli istinti “ciechi” dell’Es e l’ambiente circostante, attraverso il controllo cosciente e la censura delle idee e dei desideri inaccettabili. Governato dal “principio di realtà”, l’Io pensa e progetta azioni in modo reale e logico; infatti, a differenza dell’Es che preme verso la soddisfazione dei desideri istintuali, la funzione dell’Io è quella di distinguere tra fantasie e oggetti reali del mondo esterno. • Il Super-Io è l’istanza giudicante della personalità, svolge la funzione di codice morale stabilendo ciò che è bene e male, giusto o sbagliato. Il Super-io (oppure Io ideale) si forma dalla risoluzione del complesso di Edipo, attraverso l’identificazione del bambino con il genitore dello stesso sesso e l’acquisizione dei valori e delle regole trasmesse in famiglia. L’internalizzazione del codice morale personale permetterà al bambino di comportarsi correttamente, come i suoi genitori vogliono, anche quando non sono fisicamente presenti. Il Super-Io spinge l’individuo verso mete ideali, più che reali, verso la perfezione, piuttosto che verso il piacere. La sua funzione è quella di inibire gli impulsi dell’Es, persuadere l’Io a sostituire mete reali con mete ideali e ricercare la perfezione. Saper distinguere queste parti è per l’operatore di grande rilevanza e utilità: a seconda delle diverse fasi e situazioni che si devono affrontare in un percorso di cambiamento è importante “allacciarsi” con alcune di queste parti in particolare. Inoltre bisogna cercare di “utilizzare” tutte queste parti del cliente, tenendo sempre a mente che l’Es deve essere in funzione dell’Io; l’Io dovrebbe prendere le decisioni, vagliare, valutare, per affrontare le mete o i traguardi che si è prefisso, utilizzando il carburante dell’Es, la sua energia, la sua forza, la sua passione. Il tutto dovrà essere controllato e regolato dal Super-Io, che invece di essere persecutorio dovrebbe essere contenitivo, aiutare le due parti appena menzionate a entrare in relazione ed equilibrio tra loro per una vita costruttiva, orientata al raggiungimento di soddisfazioni e mete.

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Capitolo 1

Ogni individuo è irrazionale, nonostante la sua simulazione razionale; ed è irrazionale in copioni e configurazioni prevedibili. Centrale in questo punto di vista è l’idea che raramente la realtà esterna viene affrontata direttamente. Piuttosto, si interagisce con il mondo in base alle proprie rappresentazioni interne. Si “vede il mondo esterno nei termini delle preoccupazioni interne” (Czander, 1993).

1.4. Puntare all’obiettivo, trovare strategie alternative: usare la ragione per cambiare L’approccio cognitivo-comportamentismo prende forma negli anni ’50-’60 come sintesi di un’evoluzione avvenuta nella “seconda forza”, il comportamentismo, nato ufficialmente nel 1913 con la pubblicazione di un articolo di Watson, “Psychology as the behaviorist views it” in opposizione al modello psicoanalitico emergente; egli sostiene, infatti, che il comportamento umano e i processi di apprendimento sono strettamente determinati da specifici stimoli ambientali valutabili da un osservatore e che i fenomeni profondi della coscienza non possono essere verificati con una metodologia sperimentale e quantitativa, considerandoli quindi privi di valore, e da sostituire con la valutazione dei comportamenti osservabili. Gli esperimenti di Watson (Watson, Rayner, 1920), condotti in laboratorio sugli animali, mostravano come il comportamento poteva essere modellato automaticamente e involontariamente con il condizionamento, senza ricorrere ai concetti mentalistici, intrapsichici e soggettivi della psicologia tradizionale. Il comportamentismo trae infatti le sue origini dagli studi di Pavlov sui riflessi condizionati. In seguito, il condizionamento classico viene aggiornato dagli studi di Skinner (1969) sul condizionamento operante, costituito da una sequenza di azioni-risposte sostenute dai principi del rinforzo. Nel condizionamento operante, infatti, l’individuo viene concepito come un organismo attivo, che seleziona i suoi comportamenti in rapporto alle risposte dell’ambiente; l’individuo agisce sull’ambiente e produce delle risposte, che hanno la funzione di rinforzo che modifica il comportamento. In mancanza di qualsiasi tipo di rinforzo, sia positivo che negativo, non avviene nessun tipo di apprendimento. Un rinforzo positivo è qualsiasi evento-stimolo che aumenta la probabilità che si ripeta il comportamento che lo ha inizialmente provocato; un rinforzo negativo è qualsiasi evento-stimolo che riduce la frequenza di un comportamento non desiderato; la punizione, ad esempio, è un evento-stimolo spiacevole o

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica nocivo presentato come conseguenza di un comportamento non desiderato. Quando le trasformazioni ambientali prodotte da comportamenti vengono rinforzate da ricompense o dall’eliminazione di stimoli avversivi, ci saranno maggiori possibilità che il comportamento si ripeta; quando non viene prodotto alcun rinforzo positivo, il comportamento tende a estinguersi. L’estinzione è l’eliminazione di stimoli di rinforzo per ridurre la probabilità di una risposta condizionata. Le tabelle di rinforzo utilizzate dai comportamentisti sono dei programmi di rinforzo sistematici che mantengono un comportamento e lo difendono dall’estinzione. A differenza di Watson, Skinner riconosce l’esistenza dei processi di pensiero, ma non attribuisce ad essi nessuna influenza nel determinare il comportamento individuale. Le innovazioni delle terapie comportamentali consistono nella loro derivazione etologica e nel loro basarsi su metodi tecnico-sperimentali finalizzati a modificare i comportamenti non desiderati e non funzionali del cliente, considerato come mosso da causalità lineare e in relazione al condizionamento ambientale; le variazioni delle condizioni ambientali permette, infatti, di predire, modellare e controllare il comportamento (Goldfried, 2000). Negli anni ’50 il comportamentismo diventa il paradigma teorico più diffuso in campo psicologico, andando a costituire la base teorica della terapia del comportamento, che considera la psicopatologia derivante dall’apprendimento di modelli di comportamenti non adattivi, che devono essere sostituiti da modelli più adeguati (Fishman, Franks, 1998). Il comportamentismo ha percorso, a partire dai due pionieri appena menzionati, una lunga strada, tuttora in progress, arricchendosi attraverso una lunga serie di apporti, da quelli del costruttivismo a quelli dei sistemi di attaccamento e integrandosi con gli approcci cognitivi (Giusti, 2000). Il primo importante tentativo di includere i processi cognitivi tra i fattori necessari alla comprensione e al trattamento dei problemi comportamentali, è stato fatto da Bandura (1977) e dai suoi collaboratori nel corso degli anni ’70, criticando la logica lineare del comportamentismo classico – come la considerazione dell’ambiente come unica determinante dello sviluppo della natura umana – e sostenendo invece che gli uomini non sono solamente organismi passivi plasmati da ciò che li circonda o il prodotto della loro condizione socioculturale, ma soggetti attivi che influenzano e producono il loro ambiente. Bandura (1969) si è inizialmente occupato dei problemi legati all’apprendimento dimostrando la possibilità di acquisire nuovi comportamenti mediante la semplice osservazione di modelli. Questo tipo di apprendimento, basato quindi sull’imitazione, è reso possibile dal meccanismo del “rinforzo vicario”, per cui le conseguenze relative al comportamento del modello (premi o punizioni) hanno i medesimi effetti sull’osservatore che tenderà a riprodurre o meno il comportamento in situazioni simili (a seconda che il comportamento sia

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Capitolo 1 stato rinforzato o inibito). Secondo Bandura, infatti, la personalità si forma attraverso una continua interazione tra individuo e ambiente, in cui intervengono i processi di imitazione e di apprendimento vicario. Anche le sue teorizzazioni sull’autoefficacia, intesa come capacità percepita a saper gestire la varietà di situazioni che la vita quotidiana presenta, rappresentano un grande contributo nei confronti della psicologia, che rispecchiano la sua idea di una mente umana dotata di meccanismi di autoregolazione e autoriflessione. Secondo il cognitivismo, dunque, le persone possono imparare a notare e a cambiare i loro pensieri con benefici emotivi e comportamentali. Per entrare in merito al nucleo della teoria cognitiva è utile considerare i pensieri di due filosofi; il primo è dello stoico Epitteto dell’antica Grecia, “l’uomo non è disturbato dagli eventi, ma dalla visione che ne ha di loro”; il secondo di Kant: 1. Vedo una tigre. 2. Penso di essere in pericolo. 3. Ho paura. 4. Corro. L’idea centrale è che l’affermazione 3. e anche la 4. di Kant derivano dalla seconda, non dalla prima come la maggioranza delle persone assume. Il modo di sentire non viene suscitato dall’ambiente o da ciò che ci accade nella nostra percezione diretta, non può rendere una persona triste o pazza. È una questione di pensiero: ciò che si decide di pensare determina ciò che si proverà e il passo successivo che si compierà. Se si hanno dei pensieri negativi, ci si sentirà male e si prenderanno probabilmente delle decisioni non soddisfacenti, ma miserabili. Questo è un principio straordinario e uno strumento potente e utile per gli oratori motivazionali: il pensiero media l’emozione; pensieri specifici creano e controllano i sentimenti. Se si pensa di essere in pericolo è probabile che ci si sentirà spaventati. Se ci si senti impauriti, probabilmente si inizierà a correre. E riprendendo la tigre kantiana, cosa succede se la tigre è in una gabbia o se una persona è un domatore di tigri e per tutta la tua vita ha avuto a che fare con loro? Il semplice vedere una tigre non causa paura e la reazione di fuga, ma bisogna prima pensare di essere in pericolo affinché esse emergano. Ognuno ha il controllo del proprio pensiero. Le persone sono capaci di osservare il loro modo di pensare e anche di cambiarlo. La maggioranza delle persone fanno degli sbagli nell’assumere che gli eventi della vita, le tigri, hanno la capacità di fare sentire le persone bene o male. Il punto è che nella vita non è possibile controllare la maggioranza degli eventi importanti. La vita ha un enorme potere e un grande mistero, e tende a “decidere” lei, indipendentemente da ciò ognuno può pensare o preferire. La premessa basilare dell’approccio cognitivo è quindi: non è possibile controllare la vita, ma è possibile controllare come pensiamo della vita. Controllando il pensiero si è poi in grado di gestire le proprie emozioni e i propri comportamenti.

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica Esistono tre figure centrali nello sviluppo della terapia cognitiva: Ellis, Beck e Meichenbaum. La terapia cognitiva di Beck (1967) nasce dalle sue ricerche presso l’ospedale dell’Università della Pennsylvania su persone gravemente depresse; sperimentò nuovi programmi strutturati che insegnavano alle persone che si sentivano senza speranza, verso se stesse e verso la loro vita, nuovi modi di pensiero e concluse, cambiando “i libri delle regole” mentali dei pazienti ricoverati in ospedale, che i “pensieri automatici” (pensieri ripetitivi che erano sbagliati in modo sistematico) erano responsabili della depressione e dell’ansia. Inoltre, in accordo con i principi dell’apprendimento sociale di Bandura, Beck collega l’organizzazione dei processi cognitivi a fattori biologici e sociali, e all’influenza dei modelli di apprendimento sviluppati nel passato. L’essere umano è visto come una creazione complessa, la cui personalità è modellata dall’apprendimento di valori e percezioni che strutturano la visione unica di sé, degli altri e del mondo. I valori e le percezioni che costituiscono la personalità sono organizzati in schemi cognitivi che sovrintendono ai processi di codificazione, categorizzazione e valutazione delle regole di vita. Le caratteristiche disfunzionali del pensiero formano quella che Beck (1975) chiama “triade cognitiva”, da cui ha origine la depressione: una visione negativa di sé, delle esperienze in corso e del futuro. La terapia cognitiva tenta di risolvere i disturbi emotivi correggendo le interpretazioni della realtà e i ragionamenti errati del cliente. L’intervento terapeutico è diretto alla soluzione di problemi piuttosto che al cambiamento delle caratteristiche personali o dei difetti del paziente. Terapeuta e paziente devono discutere e raggiungere un accordo sul tipo di problema da affrontare, sulla meta della terapia, sui metodi per raggiungere questa meta e sulla durata della terapia. Rielaborando i principi dell’apprendimento sociale di Bandura, Meichenbaum ha creato un programma d’intervento terapeutico chiamato “self instruction training” che si propone di ristrutturare le cognizioni del cliente attraverso il cambiamento delle sue auto-affermazioni. Oltre a modificare il comportamento per cambiare le cognizioni (Bandura, 1981, Mahoney, 1979), Meichenbaum (1978) ritiene necessario il cambiamento: a) della struttura cognitiva che controlla e dirige la scelta dei pensieri e li organizza all’interno di schemi e modelli, e b) del “dialogo interno” delle persone, che influenza il modo di vedere gli eventi e di comportarsi. Il cambiamento terapeutico avviene attraverso l’interazione tra dialogo interno, strutture cognitive e risposte date ai comportamenti della persona. L’addestramento avviene attraverso i “coping-skills programs”, strategie che modificano la struttura cognitiva e permettono di affrontare efficacemente le situazioni stressanti e problematiche (comportamenti impulsivi e aggressivi, paura di sottoporsi a prove e paura di parlare in pubblico). Inoltre, Meichenbaum adotta numerose procedure che fanno parte dell’orien-

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Capitolo 1 tamento comportamentale: controllo della rabbia, per i bambini; addestramento alla gestione dell’ansia; training assertivo; incremento del pensiero creativo; trattamento della depressione; gestione dello stress. La modificazione cognitivo-comportamentale di Meichenbaum risulta efficace anche per problemi di mancanza di abilità sociali, alcolismo, obesità, bambini iperattivi, persone isolate socialmente e schizofrenici. Ellis è uno psicologo fortemente energico e prolifico che negli anni ’60 ha rotto la tradizione freudiana per creare la sua psicoterapia, la RET (RationalEmotive-Therapy) basata sulla relazione tra pensieri consci, emozioni e felicità. Ha osservato che la psicoanalisi, focalizzata sui processi inconsci, sembrava inefficace e riscontrò che i pazienti ottenevano dei miglioramenti quando si insegnava loro migliori specifici nuovi modi di pensare. Il principio su cui si basa questo modello è quello dell’influenza reciproca tra cognizioni, emozioni e comportamenti. Riprendendo l’affermazione di Epitteto, Ellis (1967) sostiene che le persone contribuiscono alla creazione dei loro problemi psicologici e dei loro sintomi. Le reazioni emotive derivano dal modo in cui una persona valuta, interpreta e risponde alle situazioni di vita e, dunque, dal modo in cui pensa e traduce gli eventi. Inoltre, sostiene che gli uomini nascono con una predisposizione al pensiero sia razionale che irrazionale; il lavoro del terapeuta consiste nell’insegnare al cliente come abbandonare il proprio modo di pensare irrazionale e inefficace, per sostituirlo con delle cognizioni razionali e funzionali. L’obiettivo è quello di trasformare le richieste irreali e immature e uno stile di pensiero assolutistico in una modalità di pensiero e comportamento realistico, maturo, logico ed empirico. Ellis basa il suo intervento terapeutico su un modello di lettura della personalità del paziente denominato A-B-C (1962), dove: – A (Activitaing event) è l’esistenza di un fatto, un evento, un comportamento o un atteggiamento di un individuo; – B (Belief) sono le credenze della persona riguardo ad A, che provocano C, la risposta emotiva; – C (emotional and behavioral consequence) è una conseguenza o reazione emotiva e comportamentale dell’individuo, che può essere appropriata o inappropriata. Riassumendo, il processo di ristrutturazione della personalità disfunzionale segue questa serie di passaggi: 1) riconoscimento della responsabilità dell’individuo nella creazione dei suoi problemi; 2) raggiungimento della consapevolezza di possedere le capacità di cambiare questi problemi;

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica 3) riconoscimento della provenienza dei problemi emotivi dalle credenze irrazionali; 4) percezione chiara di queste credenze; 5) riconoscimento dell’efficacia della discussione rigorosa delle credenze irrazionali; 6) accettazione di un duro lavoro sulle emozioni e sui comportamenti che il cambiamento richiede, per contrastare le credenze e i sentimenti disfunzionali e le azioni collegate (Ellis, 1979).

BOX DI APPROFONDIMENTO Alcuni ambiti d’intervento del coaching cognitivo-comportamentale (ad.to da: Neenan, Dryden, 2002): – – – – – – – – –

gestire le emozioni difficili aumentare l’assertività affrontare le critiche gestire il tempo passare dal “problem-creating” al “problem-solving” assunzione dei rischi e presa di decisione smettere di procrastinare diventare perseveranti decidere il proprio processo di cambiamento

1.4.1. Quando e come applicare elementi cognitivo-comportamentali nell’approccio integrato L’agevolatore integrato può, attraverso gli elementi cognitivo-comportamentali, fornire ai suoi clienti degli strumenti per comprendersi e organizzare meglio la propria vita. Questo può avvenire attraverso la consapevolizzazione e l’eventuale modifica e sostituzione di talune forme di pensiero negative e irrazionali con altre più efficienti e costruttive, la pianificazione e l’organizzazione per il raggiungimento di una meta stabilita attraverso la segmentazione del percorso in una serie di sottopassi. Per facilitare e motivare ulteriormente il perseguimento delle varie tappe che portano alla meta, è importante tenere a mente il concetto di ricompensa o rinforzo positivo che aumenta la probabilità che un comportamento si ripeta, mentre, in sua mancanza o in virtù di una punizione o rinforzo negativo, il comportamento tende ad estinguersi. Inoltre, il processo della relazione d’aiuto può essere agevolato presentando modelli al-

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Capitolo 1 ternativi da imitare seguiti da un rinforzo positivo, dove è opportuno tenere conto che gli elementi di modeling si dovranno avvicinare alle caratteristiche del cliente. Molto influenti quindi saranno, per il cliente, i rinforzi che mano a mano verranno forniti dal counselor e dal coach, particolarmente nella relazione coach-coachee. BOX DI APPROFONDIMENTO Esplorare le idee irrazionali/disfunzionali (ad.to da: Ellis, Harper, 1961 - Traduzione libera Cesare De Silvestri – Albert Ellis Institute – Italy)

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Io, essere umano adulto, ho assoluto bisogno (estrema necessità o esigenza) di venire (sempre) amato, stimato e approvato (o almeno non giudicato male – o al minimo ignorato) da tutte le persone (che io ritengo) significative (importanti) del mio ambiente = da tutti quelli che dico io – altrimenti è gravissimo, orribile, terribile, catastrofico. Io devo assolutamente essere (e/o dimostrarmi) sempre perfettamente adeguato, competente e di successo in tutto quello che faccio e sotto ogni rispetto (o almeno in questa cosa specifica, oppure in almeno una cosa) – altrimenti sono indegno di valore = valgo poco o niente. Tutte le persone che dico io (compreso me stesso) devono assolutamente comportarsi (sempre) come mi pare giusto (come dico io) – altrimenti sono intrinsecamente cattive, malvagie e scellerate, e quindi meritano di essere severamente condannate e punite (anche perché cosi imparano). Tutte le cose devono assolutamente andare (sempre) come piacerebbe a me, come mi sembra giusto che vadano (insomma, come dico io) altrimenti è inaccettabile, intollerabile, insopportabile (io non lo accetto, non lo tollero, non lo sopporto). La mia infelicità (disagio, ansia, depressione, angoscia, rabbia, eccetera) dipende da cause esterne (o essenzialistiche), e quindi io posso fare poco o niente per cercare di controllare le mie pene e i miei disturbi (varianti: io reagisco cosi – sono fatto/a così – non posso cambiare – è la mia natura, il mio carattere, la mia personalità). Siccome può succedere (succedermi) qualcosa di brutto, pericoloso o dannoso, allora: a) mi devo preoccupare in continuazione; b) pensare che possa succedere (quasi) di sicuro; c) che succederà nelle forme peggiori; d) che non ci potrò (non ci si potrà, nessuno ci potrà) mai fare nulla; e) e che tutto finirà nel modo più orribile, terribile e catastrofico. Se qualcosa mi sembra difficile (perché richiede impegno, fatica, disagio,


Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

o una mia assunzione di responsabilità, ovvero mi provoca ansia) allora mi conviene evitarla piuttosto che affrontarla. 8. Io sono debole (insicuro/a, incapace, handicappato/a, emotivamente instabile e facilmente vulnerabile) e quindi ho bisogno di qualcuno più forte a cui appoggiarmi e da cui dipendere – altrimenti non ce la posso fare (a vivere, a esser felice, a lavorare, a muovermi, eccetera). 9. Il mio passato (la mia infanzia, le mie esperienze precoci) è la determinante assoluta delle mie condizioni attuali; e se una volta qualcosa ha avuto una forte influenza su di me, allora continuerà per sempre ad esercitare lo stesso effetto – quindi non c’è niente da fare (la mia personalità, il mio carattere è stato formato in questo modo e quindi non si può cambiare). 10. Se qualcuno (gli altri, tutti gli altri o tutti quelli che dico io) ha qualche problema o disturbo o sofferenza che gli fa fare (dire, pensare o sentire) qualcosa che non mi piace (che mi sembra sconveniente, irragionevole, dannoso, ingiusto, ecc.) allora io mi devo tremendamente sconvolgere per questo motivo. 11. È sempre possibile trovare una soluzione perfetta (o avere una sicurezza assoluta, ovvero un controllo completo) di fronte a qualsiasi problema umano, e quindi io la devo assolutamente raggiungere – altrimenti succederanno catastrofi ed orrori.

La ricerca sulle procedure basate sull’evidenza empirica ha rilevato l’efficacia delle prescrizioni del modello cognitivo comportamentale nella determinazione dei risultati di cambiamento. Il cliente deve essere fortemente motivato e avere fiducia nel counselor per seguire indicazioni precise e sistematiche tipiche di questo approccio. Trattandosi di un approccio fondamentalmente direttivo, la sua applicazione necessita di una consolidata alleanza di lavoro e di una fase relazionale piuttosto avanzata. Nel coaching i tempi di motivazione e alleanza sono più brevi e, dunque, le tecniche cognitivo-comportamentali vengono utilizzate più precocemente.

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Capitolo 1

1.5. Aggiornare la mappa per esplorare il territorio: il contributo della Programmazione Neuro-Linguistica al processo di cambiamento nella relazione di aiuto La Programmazione Neurolinguistica (PNL) è una neuroscienza nata agli inizi degli anni ’70 in California, influenzata dalla programmazione cibernetica, dalla neurologia e dalla linguistica trasformazionale. I suoi fondatori sono Richard Bandler, matematico informatico che in quegli anni cominciò ad interessarsi al lavoro di alcuni psicoterapeuti che ottenevano risultati particolarmente efficaci, per scoprire il loro modello comportamentale e codificare le loro strategie, e John Grinder, linguista, che diede il suo contributo nell’estrapolazione dei modelli linguistici dei tre terapeuti: Fritz Perls, Virginia Satir e Milton Erickson (Ready, Burton, 2004). Programmazione: è il processo di organizzazione delle componenti di un sistema (le rappresentazioni sensoriali) per il raggiungimento di risultati. Neuro: si riferisce ai processi neurologici che sono alla base di tutto il comportamento umano. Linguistica: i processi neurali sono rappresentati, ordinati e disposti in sequenza in modelli e strategie, attraverso il linguaggio e i sistemi di comunicazione. Dalle loro ricerche, questi due studiosi riuscirono a estrapolare un potente e versatile modello che è oggi applicato ai campi più disparati: dalla pubblicità alla formazione del personale, dallo sport all’insegnamento. La PNL è stata definita come “l’arte di provocare cambiamenti” ed è una delle tecniche di comunicazione più accreditate e diffuse nel mondo che studia come il linguaggio verbale (le parole che diciamo), paraverbale (tono, volume, ritmo, ecc) e non-verbale (i gesti e la postura) influisca sul nostro cervello, e insegna a gestire i propri stati d’animo, a modificare comportamenti dannosi e a comunicare con gli altri in maniera più efficace (Grinder, Bandler, 1983). I presupposti fondamentali della PNL si basano sul fatto che ognuno ha dentro di sé le risorse necessarie per effettuare un cambiamento desiderato. Queste risorse interne, quali stati d’animo, idee, pensieri, comportamenti, informazioni, verranno anche utilizzate per ottenere risorse esterne, denaro, tempo, persone, ecc. (O’Connor, Lages, 2005). Le risorse interne diventano tanto più utilizzabili quanto più sono consapevoli. Una parte importante della PNL è costituita dai sistemi rappresentazionali, cioè l’intero sistema di raccolta, elaborazione e utilizzo dei dati sensoriali, di

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica cui i due principali sono quello digitale e quello analogico, che rispecchiano rispettivamente la tendenza delle persone a rappresentarsi il mondo tramite il linguaggio verbale, oppure attraverso immagini, suoni, sensazioni e odori. All’interno di ognuno dei due sistemi vi sono tre canali rappresentazionali: visivo, uditivo, cinestesico e, più raramente, olfattivo/gustativo (più frequente nei bambini che negli adulti) (Hall et al., 2001). I livelli logici in PNL Il modello del mondo di una persona è coerente, ed è sempre possibile comprenderlo – anche se sul momento non lo si vuole adottare – ed è costituito dall’insieme delle sue credenze, articolate secondo una logica che gli è propria. Questo significa che la mente di ogni individuo è un tutto organizzato. La funzione di ogni livello logico è quello di organizzare l’informazione al livello inferiore. Di conseguenza, un cambiamento effettuato ad un certo livello avrà delle conseguenze sui livelli inferiori, ma non necessariamente sui livelli superiori. È impossibile risolvere un problema, che è spesso generato da una confusione tra i livelli logici, allo stesso livello nel quale è stato generato. Nella PNL si prendono in esame cinque livelli logici. 1) L’ambiente Il primo livello è quello dell’ambiente, del contesto nel quale ci si evolve o quello delle costrizioni interiori. Dal momento che un comportamento non ha senso che nel contesto nel quale appare, è dunque importante raccogliere l’informazione: dove, quando, con chi si desidera raggiungere il proprio obiettivo? 2) Il comportamento Si tratta delle azioni messe in atto nel proprio ambiente. Questo termine può essere allargato ai comportamenti “interni” o mentali, che sono l’anticipazione dei comportamenti esterni. Il comportamento rinvia alla domanda: Cosa? E più esattamente, cosa fare? 3) Le capacità Sono le competenze e il saper-fare impiegati per acquisire e mettere in atto i comportamenti. Uno dei presupposti della PNL è che ognuno possiede delle “risorse”, delle “capacità” e, tra queste, quella di imparare è la più essenziale perché condiziona anche le altre. Al livello delle capacità la domanda è: Come fare? Quali risorse utilizzare? 4) Le credenze e i valori Una credenza è un’affermazione personale ritenuta vera; cosciente o inconscia, guida la percezione che si ha di se stessi, degli altri e del mondo in generale. Si può stabilire una differenza tra i fatti percepiti e le proprie “credenze interiori” su questi stessi fatti.

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Capitolo 1 Le credenze di una persona hanno un’influenza determinante sulle sue capacità. Contrariamente alla credenza che è una frase dichiarativa (tutti mi amano – tutti amano il cioccolato), un valore è una parola che designa un elemento a livello elevato nella scala delle motivazioni. I valori sono spesso utilizzati in permanenza, spesso senza esserne coscienti, per giudicare quello che è bene, buono, bello, dolce, forte, quindi per condurre la propria vita. La parola chiave è la motivazione e le credenze riportano alla domanda “perché?” e i valori alla domanda “per che cosa?”. 5) L’identità La rappresentazione che ciascuno ha di se stesso influenza tutti gli altri livelli logici. Le persone mettono in causa i propri comportamenti, l’acquisizione di nuove capacità, l’adozione dei valori e delle credenze misurandole attraverso la domanda: “è coerente con quello che sono?”. A questo livello, si è in contatto con la propria “missione” che è la rappresentazione di quello che si desidera compiere nel mondo. Le parole chiave sono: “coerenza interna” e “missione”; e la domanda è: “Chi?”. I livelli logici possono essere rappresentati come un cono la cui base è l’ambiente e il vertice l’identità. Al di sopra di questo, un altro cono, con vertice in basso e base in alto, rappresenta i diversi livelli “spirituali”. Per “livelli spirituali” si intendono tutti i livelli che vanno al di là dell’individuo. Tali livelli comprendono l’appartenenza ai vari gruppi sociali, il sentimento di far parte della specie umana o dell’universo. La domanda è “per chi?”; la parola chiave “trasmissione” di ciò che si è e di quello che sembra importante per ogni individuo, per gli altri e per il mondo. Nel modello della PNL la mappa non è il territorio, cioè la propria rappresentazione del mondo non corrisponde esattamente alla realtà circostante: ogni esperienza è qualcosa che viene creata a livello mentale in quanto non si sperimenta la realtà direttamente, poiché la si cancella, distorce e generalizza continuamente. Essenzialmente, quello che viene sperimentato è l’esperienza del territorio e non il territorio stesso, la propria rappresentazione è un’interpretazione soggettiva fatta di immagini, suoni, sensazioni. Ciò che per la PNL è interesse di studio è l’esperienza soggettiva, la mappa e la sua struttura: essa è diversa da persona a persona, e, in uno stesso individuo, in periodi diversi della sua vita. Ognuno si comporta in relazione alla propria mappa: alcune persone raggiungono i loro risultati e obiettivi mentre altre, appartenenti a contesti simili, sono insoddisfatte e infelici. La differenza tra questi due tipi di individui è rilevabile nella loro mappa, formatasi da un ricchissimo sistema di filtraggio (Granata, 2001):

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica Filtri fisiologici: legati alle capacità percettive. Filtri sociali: imposizioni dell’ambiente, usi e costumi, credenze, tabù, valori, linguaggio. Il linguaggio è centrale, perché veicola una parte fondamentale del pensiero: il pensiero digitale. Filtri individuali: esperienze, contesto familiare, sociale, scolastico, bagaglio genetico, funzionamento fisiologico. Anche quando i filtri individuali sono molto simili, per esempio in due fratelli, produrranno comunque due individui diversi, perché ognuno strutturerà una diversa mappa del mondo. Un percorso di counseling/coaching efficace, rispetto alla PNL, implica un aumento di consapevolezza da parte del cliente dei meccanismi che utilizza per impoverire la propria mappa del mondo (Tab. 6).

Tab. 6. Filtri nella PNL (ad.ta da Hall et al., 2001) GENERALIZZAZIONE: processo attraverso il quale elementi o parti di un’esperienza originaria vengono staccati da essa e giungono a rappresentare l’intera categoria di cui l’esperienza è un esempio. TIPOLOGIE

CONFUTAZIONI

QUANTIFICATORI UNIVERSALI Es. il capo non mi ascolta MAI

Pensaci bene, MAI successo che non ti ascoltasse? Cosa accadrebbe se UNA VOLTA lo facesse?

OPERATORI MODALI OPERATORI DI NECESSITÀ Devo, dovrei, non devo, è necessario… Es. devo occuparmi anche di questa incombenza

Cosa succederebbe se non lo facessi? Chi lo vieta?

OPERATORI DI POSSIBILITÀ Posso, non posso, è possibile… Es. non posso dirgli la verità

Cosa accadrà se lo farai? Cosa ti impedisce di dirgliela?

OPERATORI DI VELOCITÀ Voglio, non voglio…

(si lavora sull’incongruenza) “quanto lo vuoi in percentuale?” “Al 90%” “E l’altro 10% cosa vuole?”

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Capitolo 1 DEFORMAZIONE: è un meccanismo che permette di operare cambiamenti dell’esperienza legata ai dati sensoriali. TIPOLOGIE CAUSA/EFFETTO Es. TU mi rendi frustrato

CONFUTAZIONI C’è stata una volta che non ti ho reso frustrato? Come ti rendo frustrato? Come specificamente sei frustrato?

LETTURA DELLA MENTE Come sai di non piacergli? Presupporre la conoscenza dello stato interiore di una persona Es. so di non piacergli PERFORMATIVO MANCANTE Manca chi dà il giudizio di valore Es. è sbagliato essere disorganizzati

Chi dice che è sbagliato? Per chi è sbagliato? Come fai a sapere che è sbagliato?

EQUIVALENZA COMPLESSA Due esperienze sono interpretate come sinonimi Es. lei mi urla sempre dietro… lei mi odia (urlare equivale ad odiare)

Com’è che il suo urlare significa che ti odia? Hai mai urlato a qualcuno senza odiarlo?

Come stai soffrendo? PRESUPPOSTI Come lui sta reagendo? Es. se il mio collaboratore sapesse quanto soffro, non farebbe ciò (io soffro – mio col- Come sai che lui non lo sa? laboratore agisce in un certo modo – mio collaboratore non sa che soffro) CANCELLAZIONE: processo attraverso il quale viene prestata attenzione a certe dimensioni dell’esperienza cancellandone altre. CONFUTAZIONI

TIPOLOGIE CANCELLAZIONE SEMPLICE Es. sono a disagio

Per chi? Per cosa?

MANCANZA DI INDICE REFERENZIALE Es. non ha importanza… Es. non mi ascoltano…

Cosa esattamente…? Chi…?

SPOSTAMENTO DI INDICE REFERENZIALE Es. Se uno crede che….

Chi specificatamente…?

COMPARATIVO MANCANTE Es. è meglio restare…?

Meglio di che cosa…?

FALSI AVVERBI Es. chiaramente, evidentemente, oggettivamente, naturalmente…

Per chi è evidente? Che significa oggettivamente?

NOMINALIZZAZIONE Parlare in astratto Uso di stereotipi “il senso di giustizia implica…”

“concretamente puoi approfondire questo concetto?” “cosa intendi con senso di giustizia?”

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica 1.5.1. I Metaprogrammi I Metaprogrammi, un modello della PNL elaborato da Cameron Bandler (1978), sono il filtro più inconscio della mente; influenzano il modo di costruire una mappa del mondo e il modo di archiviare le informazioni che arrivano attraverso i sensi; questi filtri possono essere analizzati e compresi attraverso l’ascolto del linguaggio utilizzato nella comunicazione. Se si riesce a comprendere quali filtri vengono usati dall’interlocutore è possibile migliorare la comunicazione e renderla più efficace. Gli ambiti di applicazione dei metaprogrammi sono i più vari: dal management all’insegnamento, dalla selezione del personale alla costruzione del team, dalla gestione della motivazione alla vendita, alla comunicazione interpersonale e, in senso più ampio, al coaching, al counseling, alla terapia (Dilts et al., 1982). I Metaprogrammi sono numerosissimi e si possono dividere in due categorie principali: • a selezione primaria (cosa) • a selezione funzionale (come). 1. I Metaprogrammi a selezione primaria sono una serie di filtri che le persone utilizzano, più o meno consapevolmente, per indirizzare l’attenzione su diversi aspetti o livelli della realtà quotidiana delle loro esperienze. Attraverso l’osservazione del comportamento e l’ascolto del tipo di linguaggio usato è possibile riconoscere questi filtri, utilizzare gli stessi del proprio interlocutore, ovvero, guardare il mondo dal suo stesso punto di vista, e in tal modo migliorare la relazione con lui. Questi metaprogrammi prendono i nomi dalle categorie sulle quali si concentra l’attenzione, come ad esempio nei quattro seguenti casi. Attività: chi possiede questo filtro pone l’attenzione su ciò che è da fare, sulle attività. La sua vita sarà costellata da impegni, hobbies, sport, ecc. Tutto ciò viene reso evidente dal linguaggio, dall’uso frequente di verbi che denotano azioni o comportamenti. Questa persona non mancherà di raccontare ciò che ha fatto o ciò che farà e si troverà a disagio in situazioni di inattività. Persone: chi possiede questo filtro rivolge la propria attenzione agli individui nella loro specificità, piuttosto che ai gruppi, ricordandone il nome, il carattere e le qualità. Il suo comportamento è quello di chi privilegia le relazioni interpersonali, mentre è invece a disagio nelle situazioni di isolamento. Nel suo linguaggio abbondano i nomi propri e le qualità delle persone. Informazioni: in questo metaprogramma le rappresentazioni sono basate su relazioni di causa-effetto e chi lo possiede è molto orientato alla ricerca di spiegazioni e informazioni nascoste dietro la realtà apparente delle cose. Questa

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Capitolo 1 persona si trova a disagio quando non può darsi una spiegazione e il suo linguaggio è ricco di congiunzioni come perché, se, allora, quindi, per cui. Cose: chi ha un metaprogramma primario “cose”, possiede una rappresentazione del mondo prevalentemente basata sugli oggetti, non esclusivamente quelli inanimati, ma anche piante, animali, materiali. Spesso si tratta di un collezionista, un individuo che presta molta attenzione a ciò che lo circonda quando si reca in un posto nuovo e che si trova a disagio quando non ci sono molti oggetti cui prestare attenzione, o quando la conversazione si allontana da questo argomento. Il suo linguaggio è ricco di denominazioni, definizioni, termini tecnici, descrizioni di oggetti. 2. I Metaprogrammi a selezione funzionale si riferiscono alla modalità con la quale viene percepita l’esperienza, indicano ciò a cui prestiamo attenzione. Questa è la differenza principale con i metaprogrammi a selezione primaria, che rivelano invece la scelta contenutistica di uno o più elementi di un’esperienza. I Metaprogrammi a selezione funzionale influenzano quindi il modo di interagire con l’ambiente circostante; sono implicati nei processi comportamentali, in ciò che si fa e nel modo in cui ci si relaziona con gli altri. Influenzano dunque i comportamenti, le relazioni e l’apprendimento, e senza dimenticare che essi possono cambiare in relazione al contesto, sarà importante comprenderli e riutilizzarli per andare più a fondo su diversi aspetti, riguardanti la motivazione, i processi decisionali, la predisposizione ad un lavoro piuttosto che a un altro, ecc. Rispetto ai vari tipi di metaprogrammi a selezione funzionale – che verranno di seguito descritti – è importante tenere presente che i diversi aspetti di un’esperienza possono essere rappresentati come dimensioni qualitative delimitate da due estremi. Come ad esempio in quella dell’estroversione/introversione, ognuno possiede ambedue le dimensioni, ciò che caratterizza ciascun individuo è lo specifico posizionamento sui segmenti del continuum che può variare in relazione a diversi contesti. Direzione: questo metaprogramma entra in funzione quando occorre operare una scelta o mettere in atto un cambiamento. I due estremi del segmento sono: lontano da/verso. Quando si è più orientati su “lontano da”, si è più consapevoli di ciò che si desidera cambiare ed evitare, e di ciò che non piace. Quando si è orientati su “verso”, si è più consapevoli del risultato che si vuole raggiungere. La domanda per estrarre questo metaprogramma è: “come mai hai deciso di…?”. Se la persona dovesse rispondere concentrandosi su cosa voleva cambiare, di cosa era stanca, cosa non funzionava più bene, allora potremmo dire che il suo metaprogramma è “lontano da”. Se invece ci dirà quale risultato o opportunità voleva perseguire, potremmo dire che il suo metaprogramma è “verso”.

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica Attenzione: questo metaprogramma entra in funzione quando si intraprende o si sta per intraprendere un progetto; i due estremi del segmento sono il processo e l’obiettivo. Alcune persone si focalizzano maggiormente sul processo, cioè sui passi che devono compiere per raggiungere l’obiettivo, mentre altre sull’obiettivo stesso. Non esiste una domanda per poter estrarre questo metaprogramma, ma occorre prestare ascolto e cercare di capire su quale dei due aspetti l’individuo focalizza maggiormente la sua attenzione, di quale aspetto parla in prevalenza. Referenza: entra in funzione quando occorre formare un giudizio su noi stessi, capire se la decisione che si sta per prendere è giusta o sbagliata, o se si sta svolgendo bene o male una determinata attività. I due estremi del segmento sono referenza esterna/interna. Una persona che usa la referenza interna non è particolarmente sensibile al feedback esterno, perché tende a giudicarsi in base ai parametri e ai criteri che si è formato internamente. Una persona a referenza esterna, invece, sarà molto sensibile al giudizio altrui, anzi, tenderà a ricercarlo. La domanda più giusta che ci permette di estrarre questo metaprogramma è: “come fai a sapere di…essere un buon padre, una buona madre, un buon manager, ecc.?”. Ascoltando la risposta che la persona dà a questa domanda, sarà possibile posizionarla su questo segmento. Aggregazione: è particolarmente interessante per comprendere se le persone hanno la predisposizione a lavorare in gruppo. I due estremi del segmento sono aggregante/disaggregante. Mentre l’aggregante trae piacere dal lavorare in gruppo e si sente bene nel farlo, anzi necessita di lavorare insieme agli altri, il disaggregante trova esaltate le sue capacità al di fuori del gruppo, in un lavoro più autonomo. Non esiste una domanda per estrarre questo metaprogramma; sarà utile ascoltare ciò che la persona pensa del lavoro in gruppo.

1.5.2. Creare rapport Il Sistema Nervoso Autonomo o Vegetativo (SNA) reagisce a qualsiasi stimolo con una serie di risposte fisiologiche. Quando gli stimoli sono sconosciuti, il SNA risponde con la chiusura o l’attacco; al contrario, gli stimoli familiari non pericolosi stimolano rilassamento ed apertura. Se ci si sintonizza con il canale rappresentazionale dell’altro, usando le modalità che conosce e riconosce, lo indurremo all’apertura. Il ricalco, ad esempio, è una tecnica per riproporre all’altro il suo “linguaggio”; è una riproposizione degli schemi comportamentali del nostro interlocutore. Esso può applicarsi a diversi livelli: a livello verbale è possibile ricalcare i predicati, cioè ripetere la parola usata dall’interlocutore, o una parola diversa

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Capitolo 1 ma appartenente allo stesso sistema rappresentazionale. Il ricalco verbale ripropone dunque il contenuto, le opinioni, i predicati. Se si decide di sintonizzarsi con il paraverbale, ci si può allineare con il volume della voce usato dall’interlocutore, con il conseguente adeguamento automatico delle altre componenti di questo livello, quali tono, ritmo e velocità. Non si consiglia invece in una relazione d’aiuto di iniziare da un ricalco della postura, perché i gesti sono per lo più consapevoli. Le persone sono invece meno consapevoli della respirazione e dei movimenti della testa. Una forma di ricalco efficace è il ricalco incrociato: con una modalità ne riproponiamo un’altra. Per esempio, con le braccia si ricalca ciò che l’altro fa con le gambe. Il ricalco non verbale riguarda la postura, i gesti, la respirazione, e gli aspetti fisiologici più in generale. Un concetto importante della PNL riguarda le variabili – come i movimenti oculari, la postura, la respirazione e così via – che attivano alcune aree corticali deputate alla percezione degli stimoli interni/esterni nei diversi canali. In base a questo assunto chi ha difficoltà di visualizzazione può aiutarsi usando il proprio corpo; può modificare la sua postura (busto eretto, testa rivolta verso l’alto), il suo sguardo (verso l’alto), la respirazione (corta, di petto), per stimolare le aree cerebrali deputate alla visualizzazione. Questo metodo può essere usato per ricalcare il sistema rappresentazionale dell’interlocutore, pur non essendo il nostro canale privilegiato, evitando una semplice imitazione.

La PNL è per il coach integrato uno strumento vitale nella sua scatola degli attrezzi per quanto riguarda l’impostazione e la realizzazione del percorso individuato da seguire; mentre nel counseling è soprattutto rilevante per le utili istruzioni che fornisce per una comunicazione più efficace ed efficiente.

1.6. Attraversando il momento presente: la consapevolezza nel Qui & Ora “Una Gestalt è un fenomeno irriducibile. È un’essenza che c’è e che sparisce se si frammenta il tutto nelle sue componenti” (Perls, 1969). Partendo da uno dei principali assiomi della psicologia della Gestalt che definisce il tutto come più della somma delle parti, si potrebbe definire la terapia

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica della Gestalt, fondata, alla fine degli anni ’40 da Fritz Perls con la moglie Laura e da Goodman (Perls, Hefferline, Goodman, 1971), come il più della somma di molteplici e svariate elaborazioni teoriche e tecniche applicative, che le permettono oggi di essere considerata una psicoterapia integrata ed eclettica; “definita di volta in volta terapia della concentrazione, terapia del qui ed ora, psicoanalisi esistenziale, terapia integrativa, psicodramma immaginario e non so più in quanti altri modi” (Ginger, 1990) o, “semplicemente” come “terapia del contatto” (ibidem). Di seguito verranno sinteticamente descritte le componenti della Gestalt che fanno parte del bagaglio teorico-applicativo del counselor/coach integrato e al fine di offrire un resoconto organico, verranno descritte in riferimento alla loro fonte d’origine; è infatti possibile racchiudere e riportare la maggior parte dei costrutti della teoria di questo modello psicoterapeutico a sette principali fonti di riferimento: la psicologia della Gestalt, la psicoanalisi, il modello psicocorporeo di W. Reich, la filosofia orientale, lo psicodramma di Moreno, l’esistenzialismo e la fenomenologia. Tracciare una netta demarcazione tra queste varie fonti è chiaramente impossibile, in quanto si incontrano, si intrecciano, si influenzano, si integrano nel costituire questo unico organico che è, appunto, la terapia della Gestalt. Da dove iniziare? Dalla Psicologia della Gestalt, da cui Perls ha tratto la denominazione del suo modello terapeutico, in cui ha rielaborato i principi teorici di “figura-sfondo” o di “chiusura di figure incomplete”. La psicologia della Gestalt – detta anche psicologia della forma – enunciata per la prima volta da Wertheimer, ebbe larga diffusione con la compartecipazione soprattutto di Koffka, Köhler e Lewin, raggiungendo il suo massimo sviluppo nel campo della percezione e importanti accrescimenti anche nel campo dell’apprendimento e dei processi mentali. È una teoria psicologica sorta in Germania come reazione all’allora dominante elementismo di Wundt; è quasi contemporanea al comportamentismo americano, del quale, sotto molti aspetti, rappresenta l’esatta antitesi, specialmente su un piano epistemologico, in quanto definisce il proprio oggetto di ricerca all’interno e mediante i criteri della soggettività cosciente. Fu messa a tacere nel 1938 in quanto tutti i suoi fondatori avversarono il regime hitleriano. La terapia dell’apprendimento percettivo, sviluppata da Koffka, Köhler e Wertheimer propone una visione olistica dell’essere umano basata sulla convinzione che tutti i comportamenti e le esperienze sono organizzate all’interno di configurazioni o modelli nei quali il tutto è maggiore della somma delle sue parti. Così, questa psicologia sostituisce al concetto di elementi psichici quello di Gestalt o “tutto organizzato”. La vita psichica, infatti, e in particolare l’esperienza percettiva è costituita da processi dinamici organizzati secondo principi strutturali autonomi: la Gestalt è una configurazione in cui la funzione del-

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Capitolo 1 le parti è determinata dall’organizzazione dell’intero, o in altre parole è un tutto irriducibile alla semplice somma dei suoi elementi costitutivi. E l’esperienza si presenta sotto forma di strutture organizzate che non potrebbero essere sottoposte ad analisi elementistica senza una sostanziale deformazione: le parti non preesistono al tutto, ma traggono le loro caratteristiche dalla struttura dell’insieme. La psicologia di campo venne, invece, elaborata da Lewin fra il 1932 e il 1947 nell’ambito delle ricerche sulle dinamiche di gruppo. Secondo questo autore, i comportamenti hanno luogo all’interno di un campo psicologico o spazio vitale, di cui fanno parte tutti gli eventi psichici, passati e presenti, capaci di determinare i comportamenti stessi. Il criterio di “dinamismo” di matrice globalistica e fenomenologica, diametralmente opposto al meccanicismo dello strutturalismo e del comportamentismo, costituisce un altro aspetto caratteristico della Gestalt; secondo questo criterio, che i gestaltisti illustrano mediante molteplici esempi tratti dalla natura inorganica e organica, le forze si auto-organizzano seguendo istanze dinamiche a esse interne, che escludono la presenza di costrizioni esterne visibili. Queste forze che si auto-regolano tendono sempre, secondo il principio della “buona forma” enunciato da Wertheimer, ad assumere la struttura più equilibrata, più regolare e più simmetrica; il termine tradizionale “illusione percettiva” perde la sua valenza in questa prospettiva gestaltista, nella sua fonte di origine, perché ciò che “appare” è ciò che “è” e che richiede di essere spiegato, del tutto indipendentemente dall’erroneità in termini (Giusti, Rosa, 2002). Per iniziare a riportare questi primi concetti della psicologia della forma all’approccio gestaltico si può partire dal fatto che quest’ultima considera la natura umana come un tutto, composto da varie parti separate, integrate in unico individuo auto-realizzantesi. Questo individuo è alla ricerca costante di un suo equilibrio, reso possibile dalla soddisfazione dei bisogni fisiologici e psicologici attraverso un processo omeostatico, che gli permette di far fronte alla pressione costante dei bisogni interni e delle richieste dell’ambiente. La terapia della Gestalt è più interessata al bisogno che al desiderio. Esistono bisogni organici, come mangiare e dormire, e psicologici, sociali o spirituali, il bisogno di appartenenza a un gruppo, il bisogno di dare un senso alla propria vita e così via; tuttavia, non vengono sempre percepiti chiaramente o espressi in maniera diretta: il ciclo di soddisfazione dei bisogni è spesso interrotto o perturbato e uno degli obiettivi del lavoro gestaltico è proprio quello di individuare queste interruzioni o distorsioni dovute alle resistenze. La consapevolezza di un bisogno crea la distinzione della figura dallo sfondo, altro concetto fondamentale della psicologia della forma e base della teoria di Perls sulla soddisfazione dei bisogni attraverso l’autorealizzazione. La persona ‘sana’ deve essere in grado in quel determinato istante di individuare

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica e distinguere chiaramente la figura dominante, ovvero la Gestalt, che assume pienamente significato soltanto in rapporto allo sfondo retrostante; ciò significa che una reazione nel qui-ed-ora, la figura emergente, deve potersi inserire nell’insieme costituito dalla situazione e dalla personalità, lo sfondo. L’esperienza personale, sempre “in situazione”, è, infatti, considerata una successione di figure-sfondo in cui ciò che è in figura è un bisogno emergente rispetto allo sfondo: i bisogni specifici del momento emergono dal contesto, per poi tornare sullo sfondo una volta soddisfatti ed essere sostituiti da nuove configurazioni. Un bisogno non soddisfatto costituisce una Gestalt incompleta che richiede il suo completamento, e se non verrà soddisfatto si aprirà un conflitto psichico (Zerbetto, 1998). Attraverso un processo di differenziazione tra la figura e lo sfondo guidato dalla gerarchia di bisogni personali l’individuo mastica, deglutisce e digerisce, incorpora nel Sé le esperienze positive e “sputa via” quelle negative. L’aggressività, secondo Perls, non è dunque una pulsione di morte bensì una pulsione di vita, necessaria all’assimilazione attiva del mondo esterno: per evitare le introiezioni, ovvero per poter digerire la “mela”, occorre prima distruggerla (Giusti, Montanari, Montanarella, 1995). Gli esseri umani sono quindi capaci di auto-regolazione, che è influenzata dall’auto-coscienza e dal contatto con l’ambiente; quest’ultimo è basilare per il cambiamento e la crescita. Attraverso la vista, l’odorato, l’olfatto e il movimento, si può entrare in contatto con gli altri e l’ambiente, e integrare quello che è stato assimilato nel proprio senso di individualità. L’organismo incontra le persone e vive le esperienze con cui soddisfare i propri bisogni, attraverso un processo sensomotorio di orientamento e di manipolazione dell’ambiente. In questo processo di relazione reciproca, il punto di incontro tra organismo e ambiente viene definito come confine di contatto. Perls (1969) parla di confini tra l’individuo e gli altri e tra le parti separate all’interno dell’individuo. È il confine dell’Io che delimita e definisce l’organismo all’interno del suo ambiente. Solamente la permeabilità di questo confine assicura un pieno contatto con il Sé e gli altri e anche una maggiore chiarezza nell’assimilare nel Sé le esperienze positive respingendo quelle negative. L’intervento gestaltico si svolge al confine-contatto tra il cliente e il suo ambiente, in particolare il terapeuta; è lì che si possono individuare le disfunzioni del contatto e del ciclo normale di soddisfazione dei bisogni, o le resistenze (Ginger, 1990). Il ciclo del contatto, sviluppato da Goodman nella sua teoria del Sé, rappresenta uno dei caposaldi della teoria gestaltica. Questo autore afferma la presenza e suddivisione di qualsiasi azione in quattro fasi principali: il pre-contatto, nel quale si presta attenzione alle sensazioni, agli stimoli interni o esterni e si inizia a consapevolizzare il bisogno. Per consapevolezza si intende infatti la

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Capitolo 1 presa di coscienza di sé nel momento presente, l’attenzione rivolta all’insieme del proprio sentito corporeo interno e ambientale. La seconda fase consiste nella presa di contatto, nella quale si mobilita l’energia necessaria e la motivazione che spinge all’azione direzionale fino a un avvio di contatto e poi verso un pieno e vibrante contatto con l’ambiente, ovvero il contatto pieno e il post-contatto, detto anche ritiro, che rappresenta l’elaborazione dell’esperienza in quanto viene assimilato quello che il contatto con l’ambiente ha contribuito a far crescere o arricchire. Questa impostazione di base fu poi rielaborata da diversi autori come Zinker, Poster, Katzeff; quest’ultimo ad esempio, distingue sette fasi del ciclo del contatto: sensazione, presa di coscienza o consapevolezza, energizzazione, azione, contatto, compimento, ritiro (Ginger, 1995). L’individuo è coinvolto, durante il ciclo, nelle sue tre funzioni del Sé: la funzione Es, la funzione Io, la funzione Personalità. Il Sé non è un’entità determinata, un’istanza o un apparato come, ad esempio, l’Io psicoanalitico, bensì un processo che rappresenta quello che accade al confine-contatto tra l’organismo e il suo ambiente, consentendo l’adattamento creativo (Zerbetto, 1998). Questo termine è stato proposto da Goodman per caratterizzare l’interazione attiva, e non l’adattamento passivo, che si produce al confine-contatto fra la persona sana e il suo ambiente. Per cui nel caso del Sé, questo può, in determinate situazioni quali, ad esempio, i momenti di confluenza, ridursi. Solitamente il Sé funziona durante la fase iniziale del ciclo, definita fase di pre-contatto, quando i bisogni iniziano ad emergere alla consapevolezza corporea, secondo la modalità dell’Es, che rappresenta la pulsione fisiologica e corporea. L’Io è invece attivo nella fase del contatto pieno e del post-contatto; rappresenta la funzione che orienta nella valutazione e nella selezione della scelta e implica la presa di coscienza dei propri bisogni e l’assunzione di responsabilità delle proprie scelte. Le perdite della funzione Io o Ego sono spesso definite resistenze. La funzione personalità del Sé è attiva alla fine del ciclo di contatto, al momento in cui termina l’esperienza in corso e si produce il ritiro; è la rappresentazione verbale che il soggetto fa di se stesso, l’elaborazione e la sedimentazione delle esperienze che vanno a formare l’identità del soggetto, la sua storia, l’immagine del Sé nella quale si riconosce. Costituisce, dunque, la funzione di integrazione dell’esperienza, base del sentimento di identità nella sua storicità (Giusti, Rosa, 2002). Se la persona “funziona bene” la consapevolezza conduce all’azione, altrimenti può verificarsi un blocco nell’azione che porta al contatto e alla soddisfazione del bisogno. Il mancato completamento del bisogno implica il rappresentarsi ripetitivo della situazione stessa in luoghi e tempi successivi. Le interruzioni o perturbazioni nel normale svolgimento del ciclo sono spesso definite come “resistenze” o meccanismi di interruzione del contatto e sono descritti di seguito (Ginger, 1990).

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica • Confluenza: diminuzione del Sé; è la condizione in cui il confine è iperpermeabile e non esistono confini chiari tra l’individuo e il suo ambiente. • Egotismo: ipertrofia artificiale dell’Io, in quanto leva terapeutica provvisoria che serve a incoraggiare il narcisismo e l’assunzione di responsabilità come preparazione all’autonomia; il soggetto si ritira in sé, con la conseguente chiusura al mondo e l’impermeabilità alle altre persone. Questa fase transitoria deve essere poi superata nel corso della terapia gestaltica così come la “nevrosi di transfert” psicoanalitica. • Introiezione: fare proprie, ‘inghiottire’, le idee o i principi degli altri, bypassando il senso critico, senza dunque averli prima ‘masticati’, ‘digeriti’ e ‘assimilati’ in maniera personalizzata. • Retroflessione: rivolgere contro se stessi l’energia mobilitata, come nel caso del masochismo o delle somatizzazioni, o fare a se stessi ciò che si vorrebbe che gli altri facessero. • Proiezione: attribuzione all’esterno di parti di sé non piacevoli, disconoscendole e attribuendole all’ambiente o agli altri. • Proflessione: associa la proiezione con la retroflessione e consiste nel fare all’altro qualcosa che si vorrebbe fosse fatta a se stessi. • Deflessione: evitamento del contatto, distogliendo l’attenzione dal contatto e deviando la sensazione verso la “zona intermedia” dei processi mentali, che non è né la realtà esterna, né la realtà percepibile dall’essere interiore, ma è rappresentata da idee, fantasmi e fantasticherie. Può dunque trattarsi di una fuga dal qui e ora nei ricordi, nei progetti, nelle considerazioni astratte che porta ad esempio a parlare su, piuttosto che parlare a, con il conseguente utilizzo di circonlocuzioni. Un altro concetto legato alle “faccende incompiute” è l’evitamento, e cioè, i mezzi che l’individuo usa per non confrontarsi con le situazioni non finite e con i sentimenti ad esse associate. Le persone preferiscono evitare di sperimentare emozioni dolorose, ed evitano così di esporsi ai necessari rischi per cambiare, bloccando il proprio processo di crescita. Le situazioni in sospeso possono altresì indurre le persone a vivere nelle fantasie del futuro, evitando, anche in questo modo di affrontare i problemi presenti (Perls, 1971). La responsabilità attiva per le proprie azioni e i propri modi d’essere, sostenuta da Perls in maniera molto forte, si incontra con la filosofia esistenziale, responsabilità valida anche per il passato. Vale, infatti, la teoria di Sartre secondo la quale non è importante ciò che si fa di noi, ma ciò che noi stessi facciamo di ciò che si fa di noi: ciascun individuo deve creare attivamente la propria vita, piuttosto che reagire passivamente ad essa, pensando e parlando solamente. Le persone possono agire efficacemente sui loro problemi soprattutto se sono pienamente coscienti di quello che sta accadendo.

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Capitolo 1 La parte esistenzialista spinge quindi, anche nella Gestalt, ogni individuo a scegliere in ogni momento di essere autodeterminato, responsabile e autentico con se stesso e nell’incontro con l’altro. L’unità e la completezza sono le mete della tendenza all’auto-realizzazione individuale e sono il risultato di una consapevolezza autentica e di un contatto genuino con gli altri, di persone che divengono quello che sono piuttosto che quello che pensano dovrebbero essere, sempre più autonome e psicologicamente stabili, con un chiaro e permeabile confine dell’Io. L’uomo autentico, riprendendo anche la teoria di Buber, si definisce come persona che nella relazione Io –Tu prende coscienza di sé come soggettività; per questo autore, infatti, il senso fondamentale dell’esistenza umana è da rintracciarsi nel principio dialogico, cioè nella capacità di stare in relazione totale con la natura, con gli altri uomini e con le entità spirituali, ponendosi in un rapporto Io – Tu. Al mondo della relazione personale e della libertà si contrappone il mondo dell’esperienza, della causalità dell’altro da sé inteso come oggetto manipolabile, in un rapporto Io – Esso. La soggettività svolge quindi un ruolo decisivo, sia nell’esprimere l’unicità con il proprio particolare modo di essere al mondo, sia a un livello fenomenologico, non tanto alla ricerca di una causa quanto piuttosto centrato sull’osservazione descrittiva dell’evento, priva di inferenze. All’interpretazione psicoanalitica e alla ricerca del “perché”, la Gestalt, operando in una prospettiva essenzialmente fenomenologica, sostituisce il “come”, prendendo quindi in considerazione soprattutto il processo e la forma, il significante quanto il significato. Le quattro parole chiave della Gestalt sono infatti “how and now” (come e adesso) e “Io e Tu”, che riassumono la relazione piena e autentica fra due persone nel qui e ora dell’interazione (Perls, 1971). Perls (1969) nonostante non avesse incorporato le tecniche di contatto formalizzate dal suo maestro W. Reich, fece della corporeità e dell’uso del contatto fisico una parte integrante e inscindibile del suo approccio terapeutico. Secondo Perls, (Perls, Hefferline, Goodman, 1971), infatti, la maggior parte delle terapie, e in particolare la psicoanalisi, ignoravano la dimensione fisica, diventando così eccessivamente intellettualistiche. Egli riteneva che i traumi irrisolti, che definiva “unfinished business”, faccende non concluse, venissero conservati nel corpo come emozioni represse, delle quali cercava di stimolare l’espressione, spesso attraverso l’utilizzo del contatto fisico. L. Perls in un’intervista afferma che “vi è un punto che non sottolineerò mai abbastanza: il lavoro corporeo fa parte integrante della Terapia della Gestalt. La Gestalt è una terapia olistica, cosa che significa che essa prende in considerazione l’organismo nella sua totalità, e non semplicemente la voce, la parola, l’azione o qualunque altra cosa…”.

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica Alle libere associazioni Perls sostituisce la sperimentazione che può portare all’insight, o Einsicht come definita da Köhler, che consiste nell’improvvisa illuminazione che permette di risolvere un problema pratico o teorico senza ricorrere al procedimento “per prove ed errori”, ma attraverso la ristrutturazione del campo percettivo e mentale. Perls lo definisce anche satori, ovvero, “illuminazione” o presa di coscienza improvvisa, conseguente a un’esperienza interna forte. Il satori dirotta il discorso verso la fonte di influenza orientale, dalla quale oltre a questo concetto, Perls ha integrato nel suo modello il principio del fluire energetico del pensiero Zen, in cui la produzione mentale è lasciata fluire senza interruzioni, concentrando l’attenzione su ciò che avviene, sul fenomeno che non va bloccato, ma abbandonato mentre si dissolve: una rappresentazione del buon fluire del ciclo del contatto e del superamento della concezione dualistica della realtà che si presenta invece in una dimensione di unicità circolare, olistica. Legato a questo concetto è quello della consapevolezza e del vuoto fertile, cioè lo stato di vigilanza/attenzione senza aspettative che porta al satori, il risveglio dello Zen, che più del processo ragionativo e intellettualistico conducono alla conoscenza e permettono l’attuazione permanente del ciclo del contatto. Inoltre, la valorizzazione gestalitica del qui e ora, dell’esperienza immanente e del corpo come altamente rappresentativo e unificato con la dimensione più spirituale dell’individuo, la ricerca di armonia con l’ambiente sembra rispecchiare quanto espresso dal principio unificatore dello Zen (Giusti, Rosa, 2002). La terapia della Gestalt centra l’attenzione sulle esperienze immediate degli individui che, imparando ad apprezzare e sperimentare il momento presente, integrano se stessi, gli altri e il mondo; mentre rimanere legati al passato è solo un modo per evitare la piena esperienza del presente. Secondo Perls le persone che investono le loro energie lamentandosi del passato e rimuginando su come la vita avrebbe potuto o dovuto essere differente, piuttosto che accettare quello che è e sono, possono essere vittime delle unfinished business: bisogni non soddisfatti, situazioni non completate, sentimenti inespressi, quali rabbia, odio, dolore, risentimento, abbandoni vissuti, esperienze di cui la conoscenza non è pienamente consapevole o che non si è mai avuto il coraggio di affrontare, che impediscono un contatto efficace con se stessi e con gli altri e la tendenza innata dell’individuo al completamento e a vivere in modo sano il presente (Naranjo, 1989).

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Capitolo 1

SINTESI DI RIFLESSIONE La Gestalt nell’approccio integrato

L’obiettivo gestaltico per l’operatore integrato è quello di restaurare la capacità del cliente a entrare in rapporto con sé stesso e con i propri bisogni e di farsene carico con responsabilità e consapevolezza: agevolare il cliente nel raggiungimento dei suoi obiettivi sentiti come bisogno emergente, quando essi sono focalizzati nel qui ed ora, definiti secondo un piano di azione consapevole basato sull’esame di realtà. Nell’esplorazione delle possibili interruzioni del ciclo di contatto, si possono far esplorare al cliente, ad esempio, la presenza di introiezioni, di messaggi genitoriali o di fantasie che limitano l’efficacia delle sue scelte e gli impediscono di sperimentare la pienezza di un contatto arricchente e nutriente con l’ambiente.

“Per me è nevrotico qualsiasi uomo Che usa il suo potenziale per Manipolare gli altri Invece di crescere egli stesso. Prende il controllo, il potere gli dà alla testa E mobilizza amici e partenti In luoghi dove è incapace Di usare le proprie risorse. Si comporta così perché non può reggere Tali tensioni e frustrazioni Che il crescere comporta. E: anche rischiare è rischioso Troppo spaventoso per essere preso in considerazione.” (Perls, 1991)

1.6.1. Tecniche di Gestalt nel counseling e nel coaching Negli esercizi di consapevolezza la persona pone attenzione al flusso delle sue sensazioni nel momento che le verbalizza. Di solito questo esercizio è usato come riscaldamento e può facilitare l’emergere di una situazione del passato rimasta aperta. La “sedia che scotta” o “sedia bollente” era una delle tecniche preferite da Perls. Il cliente desideroso di lavorare si sedeva sulla sedia vicino a Perls e co-

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica minciava a verbalizzare ciò che sentiva, vedeva, faceva in quel momento (esercizio di consapevolezza nel qui ed ora). Su una sedia vuota davanti a lui, il paziente poteva collocare con l’immaginazione qualsiasi persona con cui si sentisse di voler entrare in relazione. La navetta mentale, così denominata da Perls, rappresenta il continuo passaggio, incoraggiato nel lavoro gestaltico, dalla realtà attuale a quella fantasmatica. Il viaggio con la navetta nell’immaginario si alterna a momenti di atterraggio al suolo con il costante confronto con la realtà concreta del gruppo. In particolare avviene un passaggio dall’immaginario alla sua rappresentazione, dalle immagini alla verbalizzazione e al corpo, fino al qui ed ora reale. Le tecniche di messa in atto, ispirate allo psicodramma di Moreno, procedono dalla parola verso il corpo. Esse si differenziano dal passaggio all’atto impulsivo, attuato come evitamento che impedisce la presa di coscienza; rappresentano infatti un’esperienza intensa e consapevole della situazione e non un’espulsione di essa. Nell’analisi di un sogno con il monodramma, il cliente rappresenta uno ad uno i diversi personaggi ed elementi del sogno, si identifica con essi, li interpreta e li fa parlare. Il vantaggio rispetto allo psicodramma (che coinvolge altri partecipanti), è la precisione con cui il paziente può far vivere le sue rappresentazioni interne, senza l’inevitabile interferenza di quelle altrui. Il lavoro sul sogno, la sua messa in atto, consente di riunire i diversi frammenti della personalità rappresentati dai vari elementi del sogno stesso. Per fare ciò è necessario riviverlo come se si svolgesse adesso, “diventare” ed agire ogni suo aspetto così da “liquidare la tensione psichica inconscia di una situazione incompiuta” (Ginger, 1990). Oltre alla messa in atto e al monodramma, al sogno possono essere applicate altre tecniche della Gestalt quali l’amplificazione, il lavoro sulle polarità, l’assunzione di responsabilità, la sperimentazione del contatto e del ritiro con un elemento del sogno. La messa in atto corporea simbolica consiste nell’inscenare con il corpo un’espressione, un sentimento, sia individualmente che con l’aiuto del gruppo di terapia. La situazione di gruppo lascia ampio spazio a giochi ed esercizi corporei che possono riguardare l’intero gruppo, o un solo partecipante che in tale caso potrà utilizzare gli altri membri nei modi più fantasiosi. Per esempio, ognuno potrà trovare il posto migliore per sé nello spazio, realizzare una scultura di gruppo per rappresentare la sua situazione familiare, difendere il proprio territorio, sperimentare la sua fiducia negli altri lasciandosi cadere nelle loro braccia, lasciar parlare il corpo attraverso i movimenti, cercare il proprio ritmo spontaneo, ecc. Inoltre, uno o più membri del gruppo possono essere usati per un “corpoa-corpo terapeutico” aggressivo o tenero, in cui il contatto che spesso scatena

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Capitolo 1 profonde ed arcaiche reazioni emotive, può svolgersi in un ambiente contenitivo. L’uso del cuscino è preferibile quando il corpo a corpo reale non consente facilmente di esprimere fino in fondo certi sentimenti. I partecipanti vengono sempre invitati a “parlare a e non parlare di” rivolgendosi direttamente con il “tu” invece di parlare in terza persona. Ciò facilita il confronto tra le nostre proiezioni e la realtà, ci evita di fare una colpa agli altri dei nostri fantasmi, sviluppa il senso di responsabilità. L’espressione metaforica attraverso tecniche artistiche è ampiamente utilizzata. Il disegno, la pittura, la danza, il modellaggio o la scultura, la composizione musicale, ecc. sono tutte tecniche espressive che coinvolgono l’emisfero destro e facilitano il contatto con le emozioni. La consapevolezza si focalizza sul sentire e non sulla ricerca delle parole. La produzione viene poi commentata dall’“artista” stesso o da altri, con particolare attenzione al vissuto che suscita. Il paziente potrà parlare alla sua opera, o farla parlare, impersonarla, e così via. Il lavoro creativo è un mezzo per illustrare o sottolineare l’espressione di un sentimento. L’oggetto feticcio viene scelto o costruito dal paziente con diversi materiali; prima il paziente lo descrive (egli), poi si rivolge a lui (tu), infine si identifica con l’oggetto parlando in prima persona (io). Nell’uso dei suoni o rumori, la vibrazione esterna genera un’eco interna in ognuno dei partecipanti, che agisce il suo spazio sonoro all’interno dell’orchestra del gruppo, alternando l’ascolto degli altri all’espressione di sé. Un’altra tecnica derivata dallo psicodramma con cui si può lavorare sulle emozioni del cliente è il soliloquio. Si suggerisce al cliente di immaginare di trovarsi in un luogo in cui può esprimere ciò che pensa e sente. Questo può essere un utile intervento di follow-up al lavoro con le due sedie, facilita la chiarificazione e l’aperta espressione dei sentimenti e dei pensieri esperiti internamente ma non verbalizzati. La proiezione nel futuro è un’altra tecnica di psicodramma che ha l’obiettivo di aiutare il cliente a esprimere e chiarire i suoi propositi per il futuro. Viene anticipato un evento e agito nel momento presente. Una volta chiarite le speranze rispetto a una particolare situazione, il cliente si trova in una posizione vantaggiosa per fare gli specifici passi che lo renderanno capace di raggiungere il futuro desiderato.

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

BOX DI APPROFONDIMENTO Vademecum essenziale Linee-guida per un lavoro esperienziale focalizzato sulle emozioni

L’agevolatore dovrebbe essere in grado di percepire le proprie emozioni e di gestirle ed usarle in modo sano. La capacità di essere presenti emotivamente con il cliente è la misura di quanto si è centrati e della propria libertà di accesso alle emozioni. Se invece si è sommersi da esse, sarà difficile facilitare nei clienti l’espressione dei loro sentimenti. Se il counselor ha bloccato la propria rabbia e la rivolge contro di sé, oppure non esprime apertamente la sua tristezza, ostacolerà quei clienti che si trovano a lavorare con tali emozioni fornendogli un modello inadeguato. Quando il counselor si sente sopraffatto dalle proprie emozioni tende a trovare modi per distogliere il cliente dai suoi sentimenti più intensi. Per assistere i clienti nella gestione della loro vita emotiva, è necessario saper gestire la propria. Se i clienti, lavorando con emozioni intense, suscitano alcuni sentimenti nell’agevolatore, è importante che quest’ultimo sia consapevole di questi sentimenti evocati, riconosca le sue reazioni emotive e ci lavori nel suo percorso personale o in supervisione. L’importanza del lavoro con focus emotivo non implica il fatto che occorra insistere e spingere i clienti ad affrontare a tutti i costi le emozioni; occorre prima comprendere dove si trova il cliente e cosa potrebbe essergli maggiormente utile in quel particolare momento. Infatti, se si spinge troppo precocemente verso l’espressione emotiva, lo si incoraggia a prendere contatto con le emozioni troppo precocemente, con il rischio di generare vissuti di pericolo e una conseguente chiusura per difesa.

Obiettivo delle tecniche gestaltiche è la sperimentazione attiva, allo scopo di ricongiungere la persona al proprio sentire, sviluppando consapevolezza, assunzione di responsabilità e contatto con la propria esperienza nel qui e ora tramite la sensibilizzazione (Tab. 7).

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Capitolo 1 Tab. 7. Tecniche confutative (Tratto e adattato dal materiale didattico del corso di MentalCoaching, FAD, ASPIC) 1. TECNICHE CONFUTATIVE – si tratta di modalità volte ad offrire indicazioni che stimolino consapevolezza, aiutando, nel contempo, il coachee a stare in contatto con ciò che accade nel qui e ora. In dettaglio: 1. Evitare “intornismi” (mediante la richiesta di consigli, diagnosi, spiegazioni, razionalizzazioni) • “ti va di rimanere in contatto con quanto è emerso…?” laddove il coachee si perde in discussioni ed analisi evitando di focalizzarsi sul nucleo critico • coachee: “aiutami a capire perché sta accadendo questo…” coach: “prova a raccontami ‘come’ accade, cosa senti a riguardo, cosa pensi…? 2. Dire a se stessi e agli altri come si deve essere o cosa si deve fare è un modo per non sperimentare ciò che si è. Si gioca al gioco “dell’autotortura” in un costante dialogo interno tra persecutore e vittima • coachee “non me la sento di affrontarlo… non mi va di passare per la solita rompiscatole..”coach: “potresti interpretare il ruolo della rompiscatole per un momento?” (per rendere manifesto e consapevolizzare il conflitto interno) • coachee “mi costringono a questo, io devo proprio” coach “potresti sostituire l’espressione devo con voglio, scelgo?” 3. La manipolazione è un’altra modalità attraverso cui evitare l’esperienza. Si compiono azioni per minimizzare il disagio ed evitare stati interiori che la persona non vuole accettare. • coachee: “non gli dirò nulla… magari la prossima volta andrà diversamente.” coach: “come definiresti questo tuo atteggiamento? Cosa t’impedisce di affrontare apertamente la situazione? come ti fa stare tutto questo?” 2. TECNICHE ESPRESSIVE DI AMPLIFICAZIONE tese ad influire sul contenuto della consapevolezza mediante l’intensificazione dell’azione e la deliberata esagerazione nelle quali il coach invita il coachee a tradurre emozioni, pensieri e sentimenti in azioni e parole •coachee: “temo che se gli parlerò di questo…” coach: “ipotizzando che ora sieda qui di fronte… ti va di dirglielo ora?” “come glielo diresti?” invito all’espressione e all’amplificazione: • coach: ”puoi esagerare quel gesto?”; “puoi ripetere il movimento che stai facendo con più forza?” “come ti fa sentire?” invito all’espressione diretta, all’assunzione di responsabilità • coach: “puoi ripetere il concetto utilizzando la prima persona “io”?” individuare discrepanze: • coach: “mi dici che la situazione si è fatta invivibile… ed anche che in fondo va bene così, che è possibile che cambi col tempo… come vedi in relazione le due cose…?“

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica 3. TECNICHE INTEGRATIVE DI ASSIMILAZIONE – volte all’integrazione delle voci interiori in conflitto cercando di far dialogare le parti del Sé in conflitto e di assimilare eventuali proiezioni coachee: “loro mi chiedono sempre ciò che io non posso dargli!” coach: “cosa stai provando in questo momento?” coachee: “molta rabbia, sono furioso!” coach: “va bene… prova ad entrare in contatto con la tua rabbia… come la vivi? coachee: “la verità è voglio disfarmi di tutto! Voglio rompere col passato! Voglio essere libero” Da questo breve excursus nelle tecniche gestaltiche, risulta evidente l’impianto più direttivo rispetto all’approccio rogersiano. Quando il coach utilizza un approccio gestaltico alterna e bilancia sostegno e sfida al cambiamento, presa di coscienza ed assunzione di responsabilità. Si tratta di strumenti “ad altissimo potenziale”, che richiedono: • una relazione coach/coachee ben consolidata • rispetto e maturità nel saperne fare un uso opportuno (l’invasività genera resistenza) • capacità di discernere quanto esse possano essere utili all’obiettivo o, al contrario, quanto portino ad un lavoro “eccessivamente introspettivo” che esula dall’intervento di coaching.

“Oggi a tavola durante il pranzo abbiamo parlato dell’apprendimento. Ho suggerito che apprendere significa scoprire. Questo si riferisce ai fatti. Apprendere delle abilità vuol dire scoprire che qualcosa è possibile. Insegnare è mostrare che qualcosa è possibile. Scoprire: togliere ciò che copre, far apparire la cosa o l’abilità, aggiungere qualcosa di ‘nuovo’” (Perls, 1991).

1.7. I giochi che giochiamo: riconoscere i copioni per orientare il futuro L’approccio dell’Analisi Transazionale (AT) ha attirato molta attenzione per i successi ottenuti in numerose organizzazioni, essendo di facile apprendimento per la semplicità del suo linguaggio comprensibile anche dal profano: giochi, carezze, buoni premio derivano dalle esperienze quotidiane di ognuno (Genain, Lerond, 2004).

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Capitolo 1 Secondo Eric Berne, fondatore dell’AT, la personalità è strutturata in tre parti e, a seconda delle circostanze emotive, si parla o si agisce aderendo ad una di esse. Berne ha definito questi stati della personalità, o stati dell’Io, il Genitore, l’Adulto e il Bambino (GAB). Il Genitore rappresenta gli atteggiamenti e le opinioni apprese dalle figure autoritarie durante l’infanzia; può criticare o incoraggiare. L’Adulto è la parte razionale e non emotiva, quella parte che pensa in maniera logica, raccoglie obiettivamente i fatti e analizza i dati. Col passare degli anni non si perde mai il proprio lato infantile, la spontaneità, la creatività, le intuizioni e le emozioni che accompagnano ogni persona dalla nascita, siano esse gioie o paure (Miglionico, 2000). Quando due persone comunicano l’una con l’altra, avviene una transazione tra i vari stati dell’Io. Una transazione complementare avviene quando si riceve una risposta prevista e i canali di comunicazione possono restare aperti indefinitamente. Una transazione incrociata, invece, impedisce la continuazione della comunicazione. Ciò avviene quando il trasmittente non riceve la risposta che si attendeva dal ricevente. Le transazioni ulteriori hanno uno scopo nascosto: il vero messaggio resta inespresso, celato dietro una transazione socialmente accettabile. Ogni gioco ha almeno una transazione ulteriore (Berne, 1978). Le carezze (strokes) indicano l’universale bisogno di riconoscimento da parte degli altri. Negli anni ’40, René Spitz ha constatato che il 90% dei bambini alloggiati nei brefotrofi moriva durante il primo anno di vita. Nessuno si spiegava come ciò potesse accadere essendo i bambini ben nutriti, cambiati e alloggiati in comode stanze. Quello che mancava loro era il contatto fisico, le carezze, il riconoscimento. Questo bisogno di riconoscimento che comincia con le carezze fisiche, non verrà mai abbandonato pur prendendo forme diverse nel tempo. Una carezza può essere un “ciao, come stai?” oppure “stai facendo un buon lavoro”. Partendo quindi dall’idea che il riconoscimento incomincia dal contatto fisico, E. Berne ha poi elaborato il concetto di carezza. Una carezza psicologica che rinforza l’amor proprio è preferibile perché è la più gratificante. Tuttavia si impara presto che le carezze positive possono facilmente trasformarsi in carezze negative o in quelle miste, e che anche una carezza negativa è preferibile alla totale assenza di attenzioni. Crescendo si tenderà a ricercare lo stesso tipo di carezze che si sono ricevute nell’infanzia: positive, negative o miste (Miglionico, 2000). Esplorando su quali aspetti un’azienda riceve riconoscimenti, è possibile ricavare delle indicazioni sui suoi valori e su come si muoverà nel futuro. Si riceve ciò che si approva; se si dà il giusto riconoscimento a qualcosa che non è produttivo, è possibile aumentarne la produttività; se però si danno più carezze a coloro che consegnano un lavoro in ritardo, si otterrà come risultato sempre più lavoro in ritardo.

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica I buoni premio (trading stamps) sono merce di scambio relazionale. Il concetto di buono premio si riferisce alla situazione in cui, pur provando un sentimento, la persona non lo esprime direttamente nel momento e a colui che l’ha provocato, restituendolo in un’altra circostanza alla stessa o ad un’altra persona. L’AT ha individuato ed analizzato le transazioni che più di frequente avvengono fra gli individui e le ha denominate “giochi”. “Perché non…Sì ma…” è uno degli innumerevoli giochi transazionali. Questi giochi sprecano tempo, energia e produttività. Attuandoli, sia i collaboratori che i capi sono perdenti. Infatti, le persone utilizzano i giochi per poter dare o ricevere carezze, ma il loro costo è alto in quanto possiedono sempre un motivo ulteriore o un tornaconto negativo: il fine inconscio è dare o ricevere carezze negative. Il risultato è che non vengono prese decisioni e i problemi non vengono risolti. Per esempio, colui che “gioca al difetto”, ottiene le sue carezze incoraggiando il collega a sentirsi inadeguato. Lo scopo del gioco dell’“occupatissimo” è quello di tuffarsi nel lavoro e cercare di creare un vuoto tra sé e i propri colleghi. Uno dei giochi più distruttivi e più comuni è “violenza carnale”, che è caratterizzato da una sua base sessuale: il seduttore/la seduttrice si offre, l’altro/a risponde e viene colpito. Chi gioca a “ti ho beccato!” prima tende la trappola al suo interlocutore, poi è pronto a saltargli addosso. Il giocatore viene premiato con la sensazione di superiorità. Lo scopo del “cacciatore d’orsi” è di avvicinare la vittima e poi far scattare la trappola. Alcuni giochi si incastrano; per esempio, chi gioca a “prendetemi a calci” (kick me) ha solo bisogno di qualcuno disposto a giocare a “se non fosse per te…”(if it weren’t for you). Si passa dal 50% al 90% del tempo a giocare e, infatti, il modo per individuare le situazioni di crisi è ricercare i casi ricorrenti: qualunque modalità che si presenti ripetutamente è un gioco. È possibile abbandonare questo modo distruttivo di scambio e concedersi la sensazione di essere vicino ad un’altra persona con modi alternativi. Ognuna delle due parti può terminare un gioco; un fattore importante nell’arresto di un gioco è quello di impedire il tornaconto negativo che l’altro cerca: se è un calcio, non bisogna darlo, perché il darlo corrisponderebbe a una perdita di energia e di tempo prezioso. I giochi svolti da ogni persona sono più o meno prestabiliti dalla loro posizione rispetto alla vita: l’OK Corral. Esistono quattro stati fondamentali: 1. IO SONO OK TU SEI OK: lo dice il vincitore. A lui interessa andare avanti col progetto, con la vita, col vincere, con l’essere ok. In questo

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Capitolo 1 stato vi è assenza di giochi. L’individuo ok può a volte sentirsi non ok e pensare che gli altri siano ok, oppure può sentirsi un perdente, ma per la maggior parte del tempo funziona da vincitore. 2. IO SONO OK TU NON SEI OK: alla persona in questo stato interessa liberarsi degli altri. Nessuno riesce ad avvicinarlo. Può trattarsi del fanatico, dell’istigatore della causa. Il gioco tipico di queste persone è “ti ho beccato,…!” 3. TU SEI OK IO NON SONO OK: lo dice l’escluso, colui che vuole evitare le altre persone, come fanno le personalità depresse. Giochi tipici: “se non fosse per te” e “perché non… Si, ma”. 4. TU NON SEI OK IO NON SONO OK: lo dice il perdente che si considera destinato a fallire.

1.7.1. Ingiunzioni e decisioni precoci: comprendere l’influenza delle origini sulla quotidianità Un’ingiunzione è un messaggio genitoriale che dice al bambino ciò che dovrebbe fare ed essere per ottenere riconoscimento e accettazione. A volte tali messaggi vengono dati con una modalità verbale diretta, più spesso le ingiunzioni vengono inferite: “Non essere separato da me”; “Non essere del tuo sesso”; “Non desiderare”; “Non avere bisogni”; “Non sentire”; “Non essere un bambino” (Goulding, 1987; Goulding & Goulding, 1979). I bambini si trovano ad accettare questi messaggi parentali o a lottare contro di essi; queste decisioni precoci diventeranno poi una parte fondamentale della personalità. BOX OPERATIVO Scheda di auto-esplorazione: Ingiunzioni

La lista che segue riporta ingiunzioni comuni ed alcune possibili decisioni che possono essere prese in risposta ad esse. Leggi ognuno di questi messaggi e le decisioni corrispondenti: durante la crescita, quali sono alcuni dei messaggi chiave che hai ascoltato? Quali hai accettato? Quali hai combattuto? Hai preso alcune di queste decisioni? Vuoi prendere in considerazione la possibilità di modificare alcune di esse? 1 Non fare errori. Se da bambino hai ascoltato ed accettato questo messaggio, puoi aver paura di correre dei rischi che possono farti sembrare sciocco. Tendi a fare l’equazione: fare errori = essere un fallito.

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

Possibili decisioni: “ho paura di prendere decisioni sbagliate, così semplicemente non voglio decidere”; “siccome ho fatto una scelta discutibile, non voglio più prendere decisioni importanti!”; “Farei meglio ad essere perfetto se spero di essere accettato”. Domande di riflessione: sei ansioso rispetto al commettere errori? Sei capace di accogliere gli errori come un modo di apprendimento?

2 Non esistere. Questo messaggio letale è spesso dato non verbalmente da genitori che non hanno desiderato il bambino o che hanno vissuto o percepito di non essere stati desiderati. Il messaggio base è: “vorrei che tu non fossi mai nato” • Possibili decisioni: “proverò finché non mi amerai”; “se le cose sono così terribili, mi ucciderò”. • Domande di riflessione: come provi a convincere te stesso e gli altri che vali qualcosa? 3 Non ti avvicinare. Corollari a questa ingiunzione sono i messaggi: “non avere fiducia” e “non amare”. • Possibili decisioni: “mi sono permesso di amare una volta, e ho fallito. Mai più!”, “Siccome è terrificante avvicinarsi, mi terrò a distanza”. “Non vale la pena amare e rischiare un rifiuto”. • Domande di riflessione: hai difficoltà ad instaurare e mantenere relazioni intime? Quanto è importante per te l’intimità nelle relazioni? 4 Non essere importante. Se vieni costantemente sminuito quando parli, sei spinto a credere che non sei importante. • Possibili decisioni: se diventerò importante, darò poca importanza alle mie capacità. • Domande di riflessione: sei capace di accettare i tuoi talenti? Soffri di dubbi riguardo a te stesso? Ti racconti che la tua voce non è importante? 5 Non essere un bambino. Questo messaggio dice: “agisci sempre da adulto!” “Non essere infantile e non fare di te uno sciocco”. “Controllati”. • Possibili decisioni: “Mi occuperò degli altri e non chiederò molto per me stesso”. “Non mi permetterò di divertirmi”. • Domande di riflessione: quanto divertimento c’è nella tua vita? Senti che devi tenerti a freno? Sei capace di chiedere agli altri ciò di cui hai bisogno? 6 Non crescere. I genitori spaventati che scoraggiano la crescita dei loro bambini, danno questo messaggio in molti modi. • Possibili decisioni: “resterò un bambino, così otterrò l’approvazione dei miei genitori”. “Non sarò sensuale in nessun modo per cui mio padre mi possa allontanare da casa”.

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Capitolo 1

Domande di riflessione: in che modo potresti ascoltare messaggi interni che ti spingono nella direzione della crescita? Ti accorgi a volte di ricercare disperatamente l’approvazione dei tuoi genitori?

7 Non avere successo. Se da bambini si è rinforzati a fallire, si può accettare il messaggio di non avere successo. • Possibili decisioni: “non farò mai niente di abbastanza perfetto, quindi perché provare?” “Avrò successo, anche se questo mi ucciderà” “Se non avrò successo, non dovrò rispondere alle alte aspettative degli altri nei miei confronti”. • Domande di riflessione: qualche volta lotti contro sentimenti che riguardano se vali abbastanza? Sei capace di accettare e raggiungere i tuoi successi? A volte ascolti messaggi che spingono con sforzo verso la tua realizzazione? 8 Non essere te stesso. Questo messaggio coinvolge quei bambini che vengono condizionati a credere di essere del sesso sbagliato, di avere la forma sbagliata, il colore sbagliato, la taglia sbagliata, o che hanno idee o sentimenti inaccettabili per le figure genitoriali. • Possibili decisioni: “mi ameranno solo se sarò un ragazzo (una ragazza), quindi è impossibile avere il loro amore”. “Farò finta di essere un maschio (una femmina)”. • Domande di riflessione: hai mai lottato con il sentimento che non importa ciò che fai né chi diventerai perché in un modo o nell’altro non ti adatterai? 9 Non essere sano e non sentirti bene. Alcuni bambini ricevono attenzioni solo quando sono fisicamente malati o si comportano in modo folle. • Possibili decisioni: “diventerò malato così sarò compreso”. “Sono pazzo”. • Domande di riflessione: hai mai chiesto attenzione ammalandoti? 10 Non appartenere. Questa ingiunzione può indicare il fatto che la famiglia non abbia dato al suo interno una collocazione precisa al bambino, che si sente come se non avesse un luogo di appartenenza. • Possibili decisioni: “Sarò un solitario per sempre”. “Non apparterrò a nessuno e a nulla”. • Domande di riflessione: in che grado senti un senso di scarsa appartenenza?

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica Le regole familiari, siano esse esplicite o implicite, esercitano sempre una potente influenza sulle modalità di percepire e sui comportamenti abituali. Queste regole, che spesso vengono esplicitate nei termini del “si potrebbe” o “non si potrebbe”, diventano forti messaggi che governano le interazioni all’interno della famiglia. È impossibile crescere senza tali regole. Alcuni esempi di queste regole sono i seguenti: “non essere mai arrabbiato con tuo padre”; “sorridi sempre!”; “non lasciare mai che le persone vedano le tue debolezze; non dimostrare né affetto, né rabbia”; “non fare mai confronti fra te e i tuoi genitori, prova sempre a compiacerli”; “non parlare della tua famiglia con gli estranei”; “i bambini devono essere visti ma non ascoltati”; “prima il dovere, poi il piacere”; “non essere diverso dagli altri membri della tua famiglia”. Da bambini si può decidere di accettare tali regole e vivere secondo queste per ragioni di sopravvivenza sia fisica che psichica, ma quando si trasferisce un pattern di questi all’interno delle interazioni adulte, a volte può non essere utile a lungo termine.

1.7.2. Decidere e ridecidere la vita: il contributo dell’Analisi Transazionale al cambiamento efficace Ogni persona vive secondo l’espressione del proprio copione di vita, il piano di vita inconscio, che viene trasmesso inconsapevolmente dai genitori. Già nell’età prescolare ogni bambino si è già creato un copione personalizzato col miglior materiale disponibile: frammenti di favole, film, commenti sentiti per caso in famiglia, esperienze, ecc. Crescendo, è possibile dimenticare la trama particolare, ma si continuerà a recitare il tema di fondo del proprio copione e, a meno che non si decida di cambiarlo, il suo filo conduttore determinerà la strutturazione del resto della vita. Comprendere il contesto delle primissime decisioni di vita può essere utile per ottenere un quadro migliore dello sviluppo della persona; l’obiettivo del professionista della relazione d’aiuto è di sostenere il cliente a liberarsi del copione, dei giochi e a diventare più libero ed autonomo nelle scelte di vita, di assisterlo nell’esaminare le decisioni precoci e nel prendere nuove decisioni basate sulla consapevolezza. La relazione counselor/coach-cliente viene stabilita attraverso la stipula di un contratto in cui l’obiettivo da raggiungere è esplicitato. Anche se il contratto è in questo caso ridefinibile momento per momento, una volta portato a termine anche il percorso può essere concluso. Uno dei maggiori contributi dell’AT, specialmente per il counseling, è di aver fornito una guida al processo di cambiamento attraverso l’uso del contratto che implica un attivo coinvolgimento del cliente persino nella fase della diagnostica. Uno dei suoi maggiori limiti è la tendenza a focalizzarsi troppo su spiegazioni intellettuali, ponendo le emozioni in secondo piano.

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Capitolo 1 Ridecidere L’approccio ridecisionale, sviluppato da Mary e Robert Goulding (1979) prende forma dall’Analisi Transazionale, si basa sui concetti di ingiunzioni, decisioni precoci e nuove decisioni. Offre un’utile struttura teorica per comprendere come gli apprendimenti acquisiti durante l’infanzia restino attivi nell’età adulta. L’assunto è che le persone adulte prendono le loro decisioni in base a premesse del passato, che allora si sono rivelate appropriate per i loro bisogni di sopravvivenza, ma che possono nel presente non essere più valide. Questa teoria pone in evidenza la capacità di modificare le decisioni precoci ed è orientata verso l’aumento della consapevolezza, con l’obiettivo di rendere i clienti capaci di deviare il corso della loro esistenza. I clienti apprendono come o quanto gli insegnamenti ricevuti e introiettati da bambini influenzano al presente le loro azioni. Le decisioni precoci non sono irreversibili; si possono prendere decisioni diverse che siano più appropriate per sperimentare la vita in modo totalmente nuovo. Decidere solo su un piano cognitivo di voler cambiare, è solo raramente sufficiente a contrastare anni di condizionamento del passato. Spesso è di aiuto l’impiego di tecniche esperienziali per tornare allo scenario infantile in cui queste decisioni sono state prese. Molte tecniche di Gestalt possono essere usate per facilitare emotivamente e cognitivamente la consapevolezza dell’impatto delle decisioni precoci e possono facilitare il processo di ridecisione. La consapevolezza è un primo passo importante nel processo di cambiamento dei clienti nel loro modo di pensare, sentire e agire. Nei primi stadi del counseling, le tecniche hanno lo scopo di incrementare nei clienti la consapevolezza dei loro problemi e delle alternative per portare a cambiamenti significativi. Con il procedere del counseling, i clienti sperimentano i “dovrei e i non dovrei, i faccio e i non faccio”, che sono stati i fili conduttori della loro vita e, una volta identificate e rese consapevoli queste voci interne, si trovano in una posizione migliore per esaminare criticamente tali messaggi e per comprendere in che modo continuano a vivere sotto la loro influenza. Nell’approccio ridecisionale viene frequentemente richiesto ai clienti di immaginare di tornare a quelle scene dell’infanzia in cui hanno preso le decisioni limitanti. Si può facilitare tale processo con interventi del tipo: “mentre parli, quanti anni senti di avere?”, “Quello che dici ti riporta a qualche periodo della tua vita, quando eri un bambino?”, “Quali immagini stanno emergendo ora nella tua mente?”, “Puoi esagerare questa espressione accigliata?”, “Quali scene ti vengono in mente mentre ti accigli?”, “Come ti senti mentre descrivi questa scena?”. Ci sono molti modi per aiutare i clienti a ritornare ad alcuni punti critici della loro infanzia (Goulding, 1987). Quando i clienti sono diventati capaci di identificare una scena dell’infanzia, è utile stimolarli a riviverla

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica nella fantasia. Un’esperienza di Gestalt riporta lo scenario del passato nel Qui ed Ora. Una parte importante della ripetizione dell’esperienza precoce consiste nel rifiutare le decisioni prese in passato in risposta a messaggi riguardanti un evento. Armati di una nuova comprensione che li rende capaci di rivivere le scene in modo diverso, i clienti possono constatare che una particolare decisione del passato era la migliore che potessero prendere in quel momento difficile, ma che ora è possibile modificarla. Come affermano i Goulding, è possibile dare alle scene un nuovo finale, spesso coincidente con un nuovo inizio che porta i clienti a pensare, sentire ed agire con rinnovata vitalità.

“La metodologia analitico-transazionale si situa a ponte tra il versante mentale intrapsichico e quello interpersonale: infatti la transizione è il ponte tra il dentro ed il fuori degli individui che comunicano e consente l’accesso tra intersoggettivo e soggettivo.” (Miglionico, 2000)

1.8. Il punto di vista interpersonale L’organizzazione teorica dell’approccio interpersonale si sviluppa intorno agli anni ’50. Molti sono stati gli autori che hanno contribuito e influito sulla teorizzazione attuale, e che vengono utilizzati come riferimenti importanti. Contesti storici e culturali diversi hanno consentito e portato i diversi autori a focalizzare la loro attenzione su una varietà di elementi; infatti, per la sua naturale evoluzione, questo modello rappresenta una modalità integrata caratterizzata da approcci differenti nella teoria e nella pratica, ma tutti costituiti su basi comuni, come ad esempio: la valorizzazione della dimensione sociale come fonte di influenza per l’evoluzione dell’individuo, la ricerca di una definizione della dimensione del Sé come agente di contatto per comprendere come si sviluppa nelle sue primissime fasi, la valorizzazione della socializzazione come elemento costituente la stessa natura umana, il rifiuto della dimensione pulsionale come unico e fondamentale principio evolutivo (Giusti, Lazzari, 2003). Rispetto all’ultimo punto, la possibilità di individuare elementi positivi e valorizzanti l’interazione con l’altro, evidenzia una netta differenziazione con le teorizzazioni precedenti, soprattutto quelle psicoanalitiche, in cui l’elemento

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Capitolo 1 primario è l’angoscia tipica della condizione umana, della sicurezza, dei sensi di colpa su cui la relazione interpersonale era basata. La relazione sociale diventa, invece, l’elemento che consente di inquadrare la dimensione evolutiva dell’essere umano nel suo divenire, in quanto è attraverso la relazione con l’altro che viene determinata l’organizzazione e l’elaborazione dell’esperienza; come la stessa esperienza del bambino viene mediata dall’attribuzione di significato che la madre a sua volta dà alla propria esperienza (Greenberg, Mitchell, 1983). Tra gli autori che con le loro differenti elaborazioni hanno contribuito all’evoluzione dell’approccio interpersonale spicca Adler (1975) che fu il primo ad aver sottolineato l’importanza degli aspetti sociali ed educativi nello sviluppo dell’individuo. Secondo questo autore la fiducia in se stessi e il coraggio sono elementi fondamentali per la corretta evoluzione dell’individuo; in quest’ottica, l’obiettivo primario dell’intervento è il loro sviluppo. Una persona è realmente felice se ha realizzato la propria vita emotiva, se svolge il lavoro desiderato e che le dà soddisfazioni, se riesce in maniera efficace a gestire e se riesce a costruire rapporti di amicizia all’interno del contesto sociale in cui vive. Il ruolo dell’operatore è di compensazione rispetto alle difficoltà delle persone, originate da influenze sfavorevoli dell’organismo e della vita familiare, facendo leva sul sé creativo – la possibilità che l’uomo ha di trasformare gli eventi negativi che provengono dall’esterno – che riveste un ruolo fondamentale per la determinazione del comportamento umano (Adler, 1949). Horney (1981) pone l’accento sulla realizzazione di se stessi, che considera lo scopo dell’esistenza dell’individuo, e che è resa possibile da una relazione positiva con la realtà che lo circonda. La piena espressione delle proprie potenzialità permette di sviluppare il “vero Sé” nella relazione con l’altro. In caso contrario, l’individuo sperimenta una condizione di insicurezza interiorizzata, capace di determinare “l’angoscia di base” che impedisce la spontaneità dei sentimenti e lo sviluppo di normali relazioni interpersonali. Per Sullivan (1953) il ruolo e l’importanza del contesto sociale, l’ambiente in cui l’individuo vive e interagisce sono fondamentali nello sviluppo delle sue caratteristiche; e il punto nodale diviene la difficoltà di porsi in relazione con l’altro, di sperimentare e riconfermare il proprio vissuto: il bisogno di relazione e l’esperire nella relazione sembrerebbero essere gli elementi centrali dell’evoluzione dell’individuo. Bowlby (1989) analizza e opera una miriade di ricerche sulla diade madre-bambino, un sistema complesso, attivo e capace di stimolarsi reciprocamente; non considera, come fatto in precedenza da altri autori, la figura materna esclusivamente secondo la dimensione libidica, per il soddisfacimento dei bisogni primari del bambino, ma mette in evidenza il mutuo scambio tra le necessità utili alla sopravvivenza del piccolo e la capacità materna di accogliere le sue richieste prendendosi cura di lui. L’influenza del-

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica la teorizzazione di Sullivan e di Bowlby consente di sottolineare l’importanza delle relazioni precoci nello sviluppo della personalità dell’individuo. A differenza della teorizzazione psicodinamica classica, in cui si sottolinea l’importanza della dimensione biologica e pulsionale di tipo sessuale, l’approccio interpersonale resituisce la centralità dell’individuo all’interno di un sistema complesso di relazioni, che ne hanno caratterizzato l’infanzia e che ne regolano il comportamento. Su questa scia, Kohut (1980) valorizza la dimensione interpersonale e relazionale, vale a dire l’importanza del contatto tra la madre e il bambino e la dimensione empatica, cioè la capacità della madre di adeguarsi e rispondere in maniera efficace alle necessità che il bambino sperimenta durante la crescita. Fromm (1976) sottolinea come la società nella sua totalità possa influenzare lo sviluppo e l’organizzazione del comportamento umano, e come il conformismo, ad esempio, lo possa spogliare della sua spontaneità e libertà. La società, infatti, è l’elemento ispiratore della vita dell’individuo: la personalità, gli ideali, derivano dal contesto sociale e culturale nel quale egli vive. Secondo l’approccio interpersonale attuale, l’idea, o la reale condizione che sia l’esperienza o addirittura l’individuo stesso a definire la sua dimensione dell’essere sembra essere possibile. Secondo Wilber (1985) una possibilità così complessa sarebbe definita esclusivamente in relazione ai confini che noi stessi decidamo di avere, di percepire. BOX OPERATIVO Scheda di auto-esplorazione: Domande e interrogativi ‘interpersonali’ (ad.to da: Williams e Thomas, 2005) • • • • • • • • • • • •

Qual è la qualità di ciascuna delle tue relazioni attuali? Quelle primarie? Qual è il contributo che porti alla relazione così come è ora? Ti piace come sei e il contributo che porti? Quali sono le caratteristiche più positive che porti alla relazione? Quali sono i tuoi migliori talenti e capacità che utilizzi nelle relazioni? Quale nuove skill e abitudini interpersonali vuoi sviluppare? Di tutte le tue relazioni, quale vorresti migliorare? Che tipo di relazione vuoi stabilire con questa persona? Porterai dei nuovi contributi alla relazione anche se l’altra persona non lo fa? Se vuoi concludere una relazione, mantenendo la tua integrità e la tua premura, come lo fai? Ti metti e ti nascondi dietro a una maschera, spinto dalla paura di essere rifiutato, criticato o abbandonato? Hai fiducia in te stesso? Negli altri? Nel mondo?

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Capitolo 1 La necessità di strutturare un modello efficace da utilizzare per classificare il comportamento interpersonale e anche sintomatologico dell’individuo spinge alla creazione di alcuni modelli, tra cui il più conosciuto è il SASB (Structural Analysis of Social Behavior, Benjamin, 1974), che risale alla fine degli anni Sessanta ed è conosciuto in Italia con il nome di ASCI, ossia Analisi Strutturale del Comportamento Interpersonale. Il modello SASB (1980) è il frutto di un’eredità intellettuale che comprende i lasciti di Freud, quale la profonda importanza dell’apprendimento infantile e il ruolo dell’inconscio, di Murray (1938) e Sullivan (1972) i quali partendo dalle idee di Freud, hanno spinto i loro modelli verso una direzione marcatamente interpersonale. Leary (1957), ad esempio, ha sviluppato un modello (il “Circolo Interpersonale”, ICP) che è costituito da due assi ortogonali, in cui sono posizionati la Dominanza-Sottomissione agli estremi di un asse, e Amore-Ostilità sull’altro; Schaefer (1965) e altri ancora hanno poi cercato di creare dei modelli di interazione sociale capaci di descrivere gli aspetti rilevanti delle teorie cliniche. Tutti i modelli circomplessi collocano le categorie in una circonferenza definita da due assi o dimensioni sottostanti, come anche le varie versioni del SASB: affiliazione (aggressività vs. sessualità) e interdipendenza (dominio/sottomissione vs. indipendenza). Tali assi, ovvero, le combinazioni dei quattro “elementi base” forniscono le componenti di molte altre posizioni interpersonali e intrapsichiche; e lo spazio definito dagli assi principali può essere ulteriormente suddiviso in infinite componenti (Benjamin, 1997). Lo scopo di questo modello è quello di fornire metodi e concetti che rendano possibile sottoporre a studio scientifico i processi interpersonali e intrapsichici, cercando di valutare il tipo di rapporto che le persone hanno con se stesse e con le altre persone significative. Così, le descrizioni del SASB possono essere applicate sia alla “personalità” sia alla “situazione” interpersonale, alle interazioni fra pari, fra datore di lavoro e dipendente, genitore e figlio bambino, ai processi di consulenza individuali, di gruppo o di coppia, ecc. Secondo la Benjamin (1997) esistono dei principi predittivi in grado di suggerire “che cosa dovrebbe risalire a un periodo precedente e cosa invece dovrebbe essere successivo a un dato evento interpersonale”, i cui più importanti sono: • la complementarietà: si verifica quando due individui sono focalizzati sulla stessa persona e i loro comportamenti possono ricevere la stessa posizione di codifica nello spazio interpersonale; mentre una persona sarà centrata sull’altro, questo sarà centrato sul Sé; • l’introiezione: avviene ogni qualvolta una persona si comporta con se stessa nel medesimo modo in cui altri significativi si sono comportati con lei.; • la somiglianza: si presenta ogni qual volta un individuo agisce come qualcun altro; legato a questo concetto è quello di identificazione; • l’opposizione: “compare negli angoli a 180° dei modelli SASB”.

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

BOX OPERATIVO Esercizio: Cosa desideri dalla tua squadra? (ad.to da: Essex, 2004)

Potresti pensare che quello che conta nella vita è quello che fai, quanto lo fai bene e quanto puoi essere creativo nel farlo. La verità è che le persone di successo non lavorano mai da sole. Sono le prime ad apprezzare il fatto che molte persone le abbiano sostenute a realizzare ciò che fanno. Hanno preso coscienza di tutti gli apprendimenti, gli insight, l’ispirazione che hanno tratto da persone che hanno viaggiato prima di loro. Sanno che si appoggiano sulle spalle degli altri. Sanno anche che il sostegno della loro famiglia, dei loro amici e colleghi è stato vitale per il loro successo. Se pensi al tuo copione ideale, chi sta in squadra con te? Chi già ti dà sostegno e ti incoraggia? Riesci a identificare tutte le persone che ti sono d’aiuto in qualche modo importante? Quando apprezzi quante persone hanno già contribuito nella tua vita, puoi iniziare a realizzare quanto sei connesso/a alla tua rete personale. Sii consapevole di tutto il sostegno che hai ricevuto e di tutte le lezioni che hai imparato dagli altri. Ora puoi pensare al tuo copione ideale: • credi che sia possibile realizzarlo; • sii disposto/a a fare ciò che serve per realizzarlo, incluso cambiare vecchie abitudini di pensiero e comportamento; • lascia andare i dubbi; • lascia andare il desiderarlo troppo ossessivamente; • lascia andare le aspettative di come esattamente dovrà essere; • perdona te e gli altri per qualsiasi sbaglio del passato; • metti in chiaro bisogni nascosti e intenzioni; • apprezza, comprendi, rispetta e datti il permesso di provare rabbia, senso di colpa, paura o altre emozioni negative; • rinuncia a lamentarti e all’auto-dialogo negativo; • poniti in un atteggiamento di gratitudine verso ogni aspetto della vita.

Tutto ciò che implica una esperienza riflessa, di interazione con l’altro, contribuisce allo sviluppo del Sé, che è fortemente influenzato dalle valutazioni che vengono fatte dall’altro. Ugualmente, il Sé dell’altro è il risultato di valutazioni riflesse e in questa dimensione sembra chiaro come il Sé diventi “la riflessione di riflessioni” (Rosenbaum, Dyckman, 2001).

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Capitolo 1

1.9. Quando uno più uno fa più di due: la persona nei suoi sistemi L’individuo si sviluppa ed evolve attraverso la partecipazione a molteplici e svariati gruppi e sistemi. Tale sviluppo origina nel sistema-famiglia e si espande con le relazioni verso altri gruppi lungo tutta l’arco di vita (sistema scolastico, sociale, lavorativo, ecc.). Ogni individuo, possedendo dei confini tra dentro e fuori, è di per sé un sistema che può essere definito come un complesso di elementi interagenti (Massò Cantarero, 1981). Una folla di persone che cammina in una piazza rappresenta un semplice insieme, se si rileva invece un elemento in relazione a un altro come due persone che si parlano o si tengono per mano allora si è identificato un sistema grazie ad una relazione tra elementi e alla possiblità di enuclearli dalla massa quasi avessero un confine invisibile che li circonda. Ogni sistema è delimitato da confini che possono essere sia immateriali che fisici e molti conflitti derivano da confusione di ruoli e confini sistemici. Se ad esempio, una persona che riveste in azienda il ruolo di capoufficio approfittasse del suo potere nel ruolo lavorativo per insidiare la donna di un suo dipendente davanti ai suoi occhi mentre si trova in un locale pubblico, sta confondendo i ruoli e i confini di sistema; e lo stesso vale per una famiglia nella quale il potere di comando viene detenuto da un figlio invece che da un genitore. Per far fronte a tutto questo occorre apprendere una molteplicità di ruoli e gestire il comportamento da essi derivante, incluse le sfumate transizioni tra l’uno e l’altro: quanto più si è consapevoli delle proprie capacità e potenzialità, dei propri bisogni e confini nella espressione dei ruoli, tanto più si dispone di maggiore energia nell’espletamento dei compiti (Miglionico, 2000). Ogni disciplina che si interessa di interazioni va pensata o ri-pensata in termini di sistemi; come le più accreditate teorie della comunicazione, sviluppate storicamente in discipline differenti dalla seconda metà del secolo scorso, si basano su una comune epistemologia scientifica e, affrontando la comunicazione all’interno di aggregati e tra aggregati (umani e non), afferiscono naturalmente alla teoria dei sistemi. “Pensare in termini di sistemi gioca un ruolo dominante in un ampio intervallo di settori che va dalle imprese industriali e dagli armamenti sino ai temi più misteriosi della scienza pura… “ (von Bertalanffy, 1967), ed è divenuto negli ultimi decenni un vero e proprio approccio epistemologico comune alle scienze fisiche, biomediche e psicosociali. La realtà può essere, infatti, descritta come un infinito gioco di scatole cinesi, in cui ogni sistema è contenuto a sua volta da uno più grande: rispetto al sistema famiglia, ad esempio, dei meta-sistemi più grandi possono essere “condominio”, “quartiere”, “città”, “società”, mentre sono meta-sistemi più piccoli i subsistemi coniugali, parentali e filiali. I sistemi possiedono diversi livelli logici di funzionamento che è necessario

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica osservare attentamente quando si descrivono o si cercano di capire; e in assenza di informazioni possono essere studiati considerandoli come una scatola nera, analizzando le entrate e le uscite, gli input e gli output. Inoltre, viene operata una distinzione tra sistemi chiusi e sistemi aperti: un sistema chiuso è caratterizzato dal fatto che lo stato finale è inequivocabilmente determinato dalle condizioni iniziali, come può avvenire in una reazione chimica; nei sistemi aperti come quelli biologici e psico-sociali, invece, lo stesso stato finale può essere raggiunto in diversi modi e a partire da diverse condizioni iniziali (principio di equifinalità). Mentre un sistema chiuso è portato a decadere in quanto l’ordine viene continuamente distrutto, i sistemi aperti interagiscono con l’esterno adattandosi ai mutamenti, entro certi limiti, attraverso circuiti di feedback (Watzlawick e altri, 1971). BOX OPERATIVO Scheda di auto-esplorazione: Un esperimento pensante (ad.to da: O’Connor e McDermott, 1997)

Immagina di essere parte di un loop insoddisfacente nel quale tu e un’altra persona sembrate reagire a quello che l’altro dice o fa, la situazione non sembra risolversi e ognuno di voi due rimane insoddisfatatto. Prova questo esperimento: pensa alla situazione. Dal tuo punto di vista, descrivi gli atteggiamenti e le azioni dell’altra persona. Ora, fai uno spostamento e, dal punto di vista dell’altro, descrivi come appari a lui/lei, descrivi le tue azioni e i tuoi atteggiamenti così come appaiono all’altro/a. Potrebbe non risultare molto gratificante, ma non fa niente, è un punto di vista e non è più vero dell’intera situazione. Ora fai un passo mentale al di fuori e immagina te e l’altra persona coinvolti in una determinata situazione o discussione. Poniti alcune domande: • Qual è la relazione tra queste due persone nella situazione/durante la discussione? • Cosa stai facendo che potrebbe far scatenare la risposta dell’altro? • Cosa sta facendo l’altro per far scatenare la tua risposta? • La tua risposta come fa scatenare la risposta dell’altro? • Che relazione desideri avere con l’altra persona? • Quale risposta veramente desideri ricevere dall’altra persona? • Cosa potresti fare per ottenere tale risposta? • Se quello che stai facendo in quel momento non sta funzionando, cosa, se esiste, ti blocca nello sperimentate qualcosa di nuovo?

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Capitolo 1 Derivazioni storiche L’approccio sistemico-relazionale prese forma a cavallo tra gli anni ’40 e gli anni ’50 negli Stati Uniti (Goldenberg, Goldenberg, 2000). Norbert Weiner sviluppò le sue teorie cibernetiche, sui sistemi di feedback e come questi controllano le macchine e i computer correggendo le deviazioni e ristabilendo l’equilibrio. Questo modo di pensare rappresentò un cambio di paradigma rispetto alla precedente causalità lineare. Successivamente, l’antropologo inglese Bateson (1976, 1984) riprese le idee di Weiner e le applicò alla comunicazione e all’interazione umana, focalizzandosi inizialmente sulla relazione tra stabilità e cambiamento e gradualmente spostandosi dall’interesse per l’individuo al contesto, dal contenuto al processo, dalla causalità lineare a quella circolare o al determinismo reciproco e da domande sul ‘perché’ al ‘come’, e nell’ambito della relazione d’aiuto da ‘cosa è che non va in questa persona?’ a ‘in che modo il comportamento di questa persona ha senso in relazione al suo contesto?’ (Peltier, 2001). Applicazioni La teoria e l’approccio sistemico-relazionale, offrono degli spunti importanti sia per il counselor che per il coach: forniscono delle specifiche tecniche e un punto di vista ‘avvolgente’ e integrato di estrema utilità. Innanzitutto, lo studio della cibernetica ha portato a una cibernetica post-moderna, di secondo ordine che include l’osservatore nel sistema. Ciò significa che il professionista della relazione d’aiuto non può rimanere al di fuori del sistema, automaticamente ne diventa membro e viene influenzato dagli stessi fattori che influenzano i suoi stessi clienti: le leggi del sistema familiare o aziendale con il quale lavora cambieranno per incorporarlo e per poi controllarlo. Focalizzarsi sul presente L’approccio sistemico enfatizza la considerazione del presente piuttosto che del passato, dal momento che sono le relazioni e le dinamiche del sistema attuale che controllano e mantengono il comportamento dei singoli membri: per trovare le risposte occorre stare nel presente, nel qui ed ora. Processo Vs. contenuto L’accento viene posto più sul processo piuttosto che sul contenuto: il contenuto di un messaggio è di minore interesse rispetto a come viene comunicato. Il processo riguarda il come avvengono gli eventi, chi parla a chi, quando e in che modo; in quali circostanze hanno luogo alcune azioni; cosa succede quando il sistema è sotto stress, quando si avvicinano delle scadenze importanti; quale è il comportamento normale e tollerato, quale invece non accettabile; ecc. Piuttosto che al perché che porta a delle spiegazioni astratte, a ra-

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica zionalizzazioni non produttive e spesso anche a delle accuse, il professionista è interessato alle regole interattive. Interrelazione Questo aspetto necessariamente pone l’accento sul contesto piuttosto che sulla persona. Il comportamento di un dipendente, ad esempio, viene compreso nel contesto delle dinamiche organizzative, come funzione del sistema organizzativo: il comportamento è una risposta alle richieste del sistema. Il modo con il quale qualcuno si comporta può essere una manovra per influenzare o proteggere il sistema o una reazione agli agenti stressogeni organizzativi. Un manager, ad esempio, che riesce a realizzare la metà dei suoi progetti verrà localizzato da questa visione da un punto dell’organizzazione e non secondo i suoi errori personali (Tab. 8).

Tab.8. Descrivere i sistemi Linee guida per descrivere i sistemi (tratto da O’Connor e McDermott, 1997) 1. Sei il personaggio centrale della situazione. Inizia a fare una descrizione, una bozza, a partire dalla tua esperienza, dal tuo punto di vista. 2. Butta giù una bozza con in mente un obiettivo. Cosa vuoi comprendere? 3. Inizia da dove vuoi. 4. Includi eventi: cosa hai osservato, udito e provato. Quelli che si ripetono o che sembrano formare un copione sono particolarmente significativi. 5. Definisci, in relazione al tuo obiettivo, il tuo sistema di confini, inclusi l’arco di tempo e le persone coinvolte. 6. Utilizza solamente elementi che possono aumentare o diminuire, che possono cambiare quando vengono influenzati da un altro elemento. Se vuoi utilizzare qualcosa che è fisso, chiediti: a che cosa mi serve, dove mi porta?

Omeostasi I gruppi, le organizzazioni, i sistemi e i loro membri si sforzano per mantenere l’omeostasi, ovvero un equilibrio inalterato, anche quando questo non risulta del tutto soddisfacente, sabotando in qualche modo delle possibilità di cambiamento. Questo comportamento implica resistenza, disagio e il fatto che il cambiamento possa essere percepito come una minaccia. Equifinalità Secondo questo principio è possible iniziare un intervento da qualsiasi parte del sistema e arrivare alle stesse conclusioni e comprensioni: è possibile uti-

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Capitolo 1 lizzare molteplici vie per arrivare alla stessa destinazione. Nel caso che al professionista venga permesso un accesso limitato ad alcune parti, potrà sempre iniziare con quelle disponibili e arrivare comunque dove voleva (Carlson, Sperry, Lewis, 1997). Ruoli Ogni membro di un sistema assume un ruolo specifico, ovvero, un’organizzazione coerente di comportamenti e reazioni che dopo un certo periodo gli altri si aspettano di trovare; e in caso contrario, infatti, proveranno disagio. In questo senso sono da ricercare questi ruoli, comprenderli nel contesto, rispetto a quello che succederebbe se venissero cambiati, al mantenimento dell’omeostasi, ecc. (Blevins, 1993). Alcuni esempi: La star: a questa persona viene riconosciuto uno status particolare; viene trattata come speciale e generalmente è molto competente e i suoi eventuali errori vengono ignorati o minimizzati. L’eroe: la sua missione è quella di “salvare” la situazione attraverso un grande colpo. Il ribelle: è estremamente autonomo e solitamente non segue le regole; si veste, pensa, comporta in maniera diversa. Il martire: al fine di attirare un certo grado di attenzione si mette in una posizione che lo porta a soffrire costantemente. Il capro espiatorio: accetta e sopporta la colpevolizzazione per situazioni che non si sono svolte come dovevano. Il figlio maggiore/preferito: riceve un trattamento speciale accompagnato da responsabilità supplementari. La mascotte: viene messa sempre in mezzo in quanto portatrice di buona fortuna e auspicio; viene trattata come se fosse carina e produttiva, ma in realtà non ci si aspetta da lei un grande contributo.

In questo approccio, la conoscenza della causa e del sintomo non viene considerata molto produttiva. Piuttosto, la conoscenza del sistema, delle sue parti, delle sue interconnessioni, i feedback comunicativi tra le parti e il funzionamento omeostatico sono molto più utili per una comprensione del problema e una ricerca della sua risoluzione. (Brown, Christensen, 1986)

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

1.10. Pluralismo e Integrazione: concetti chiave L’approccio integrato prende forma negli anni ’80 con il Movimento per l’Integrazione, una sfida che ricerca nuove possibilità di linguaggio altamente compatibili con i tempi e le trasformazioni della conoscenza dell’uomo. Si passa dal porre attenzione a “come l’uomo dovrebbe essere a come l’uomo si manifesta e procede attraverso i cambiamenti” (Norcross, Beutler, 1998). Si cerca di rispondere alla complessità dell’essere umano con un approccio corrispondente. Da qui la primaria importanza assegnata alle differenti manifestazioni e rappresentazioni attraverso cui l’individuo elabora il senso della sua fondamentale unicità (Giusti, Montanari, Spalletta, 2000). L’Integrazione si esprime a tre livelli: il primo, teorico, si riferisce alla strutturazione di un paradigma complesso in cui coesistono più approcci e modelli di lettura dello sviluppo, della salute individuale e collettiva, del disagio e del cambiamento, articolati secondo specifiche compatibilità transteoriche. Il secondo livello è quello metodologico che orienta la selezione dell’intervento qualitativo individualizzato. A questo livello si mira a una pianificazione dettagliata, multidimensionale e pluridirezionale relativa a quando, cosa e come procedere per il cambiamento e verso il conseguimento degli obiettivi concordati. Si considera il fattore tempo a più livelli: l’età, la fase del ciclo di vita individuale e familiare in cui il problema si presenta, il punto di consapevolezza e motivazione al cambiamento in cui il sistema si trova, le differenti temporalità di modificazione che le diverse aree di espressione, personali e intersoggettive, possono manifestare. Il fattore priorità riguarda in quale area è più opportuno intervenire, alla luce della configurazione globale del soggetto. Il fattore accessibilità, il quale “porta” consente meglio l’accesso all’area/meta da raggiungere (cognitiva, emotiva, comportamentale). Il terzo livello è quello tecnico: qui trova espressione operativa l’atteggiamento mentale di tipo pluralistico. Ogni strumento o tecnica che risulti rispondente all’obiettivo da raggiungere, sulla base di un’attenta selezione sistematica supportata dalle indicazioni della ricerca, può essere applicato. La considerazione della persona in un’ottica olistica ed ecosistemica (ecolistica), guarda all’individuo nella sua intera complessità fenomenologica, nella sua partecipazione attiva alla costruzione di stati, processi e significati esistenziali. Quest’ottica consente di superare gli ostacoli legati alle contrapposizioni che hanno a lungo caratterizzato lo studio dell’umano: le dicotomie mentecorpo, realtà oggettiva e soggettiva, descrizione e interpretazione, pensieroemozione-azione. Solo un’interazione dinamica delle differenze produce innovazioni conoscitive e costituisce un campo di intervento ricco di possibilità esplorative.

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Capitolo 1 La qualità della relazione è determinante dell’alleanza collaborativa e fattore cruciale nella costruzione della motivazione al cambiamento e nello sviluppo dell’attaccamento nel setting del counseling e del coaching. È anche elemento centrale e linea di demarcazione tra sviluppo sano e percorsi psicopatologici (Bowlby, 1989; Crittenden, 1997; Fraiberg, 1999; Sroufe, 2000; Rappaport & Ismond, 2000), linea necessaria a definire i confini del tipo di intervento (clinico, di counseling e/o di coaching). Il soggetto dell’esperienza, la Persona, è l’elemento unificante, il fattore integrativo delle dimensioni e delle direzioni teoriche, metodologiche e tecniche dell’azione curativa. Il processo di cambiamento così definito sembra rispecchiare il naturale sviluppo dell’individuazione: attraverso l’apertura di ogni canale di esperienza al costante processo di disintegrazione e integrazione delle informazioni dell’ambiente, in un’esplorazione globale del territorio interno ed esterno, prende forma la persona, nella sua struttura e nelle sue peculiari modalità di funzionamento individuale e relazionale, all’interno della famiglia e del contesto di appartenenza (Spalletta, Quaranta, 2002). Lo sviluppo della compatibilità ottimale che consente di personalizzare l’intervento misurandolo sulle caratteristiche del cliente deriva dalle considerazioni della ricerca meta-analitica e sarà oggetto di trattazione nel terzo capitolo. •

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Qualunque sia la base del proprio approccio integrato al counseling/coaching, sussiste il bisogno di possedere una conoscenza base dei vari sistemi teorici e delle tecniche che funzionano più efficacemente con una vasta gamma di clienti nei vari setting e contesti che, selezionate in modo sistematico, contribuiscono a costruire la specifica risposta per lo specifico cliente. La motivazione che maggiormente spinge verso un approccio integrato è data dal riconoscimento che nessuna singola teoria è sufficientemente comprensiva della complessità del comportamento umano, specialmente quando viene presa in considerazione la varietà dei clienti, dei loro problemi e bisogni specifici.


Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

BOX OPERATIVO: Scheda di auto-esplorazione L’influenza della personalità del counselor/coach (ad.to da: de Haan, Burger, 2005)

L L L L

R L R R

R R R R R

Stile paradossale

Stile analitico

Direttivo / Non direttivo Analitico / Intuitivo Orientato verso il futuro / Orientato nel presente Focalizzato sulle soluzioni / Focalizzato sullo sviluppo Focalizzato sul cambiamento / Accettante

Stile direttivo Stile centrato sulla persona

A partire dalla sua personalità, ogni consulente ha le sue personali preferenze rispetto ad alcuni approcci che trova più interessanti di altri e più adatti a lui. Nel tuo lavoro come counselor o come coach dove ti collocheresti nella “finestra del coach” (Fig. 4), tenendo prima conto dei seguenti parametri?

L L L L L

Legenda: L = polo sinistro R = polo destro

Suggerimenti Focalizzato sul problema

Focalizzato sulle soluzioni

Stile Direttivo Stile Paradossale

Stile focalizzato sulle soluzioni

Confronto

Supporto Focalizzato sull’insight Stile Analitico

Focalizzato sulla persona

Esplorazione

Stile centrato sulla persona

Fig. 4. La finestra del Coach

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Capitolo 1

SINTESI DI RIFLESSIONE: Conclusioni Una teoria è una struttura generale che offre un contenitore alle molteplici sfaccettature del processo della relazione d’aiuto, è la base delle tue azioni e delle tue parole. • Per sviluppare uno stile professionale che sia basato sull’integrazione e in armonia con la tua personalità, è utile apprendere una teoria in modo approfondito e, successivamente, allargare la propria conoscenza ad altre. Poiché non esiste un approccio teorico migliore di altri, è preferibile che ti costruisca un approccio corrispondente alla tua persona e che sviluppi un approccio integrato che dia lo stesso peso al pensiero, al sentimento e all’azione. Sviluppare un approccio personalizzato capace di guidarti nella pratica, è un processo in divenire e il tuo modello sarà continuamente sottoposto a revisione. •

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Maggiori informazioni

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NELLA STESSA COLLANA

Benson J., Gruppi. Organizzazione e conduzione per lo sviluppo personale e la psicoterapia, 20001, pp. 272 Beutler L.E. - Harwood T.M., Psicoterapia prescrittiva elettiva. La scelta del trattamento sistematico fondata sull’evidenza, 2002, pp. 224 Bozarth J.D., La terapia centrata sulla persona. Un paradigma rivoluzionario, 2001, pp. 240 Campanella V. - Fiori M. - Santoriello D., Disturbi mentali gravi. Modelli d’intervento pluralistico integrato dall’autismo alle psicosi, 2003, pp. 272 Chambon O. - Marie-Cardine M., Le basi della psicoterapia eclettica e integrata, 2002, pp. 288 Clarkson P., Gestalt - Counseling, 1999 II ediz., pp. 192 Clarkson P., La Relazione Psicoterapeutica integrata, 1996, pp. 392 Delisle G., I disturbi della personalità, 20001, pp. 224 Feltham C. - Dryden W. (a cura di E. Giusti), Dizionario di counseling, 1995, pp. 320 Fontana D., Stress Counseling. Come gestire gli stati personali di tensione, 1996, pp. 160 Frisch M.B., Psicoterapia integrata della qualità della vita, 2001, pp. 352 Giannella E., Palumbo M., Vigliar G., Mediazione familiare e affido condiviso. Come separarsi insieme, 2007, pp. 240 Giusti E. - Calzone T., Promozione e visibilità clinica. Motivare i pazienti ai trattamenti psicologici, 2006, pp. 288 Giusti E. - Carolei F., Terapie transpersonali. L’integrazione della spiritualità e della meditazione nei trattamenti pluralistici, 2005, pp. 336 Giusti E. - Chiacchio A., Ossessioni e compulsioni. Valutazione e trattamento della Psicoterapia Pluralistica Integrata, 2002, pp. 176 Giusti E. - Ciotta A., Metafore nella relazione d’aiuto e nei settori formativi, 2005, pp. 256 Giusti E. - Corte B., La terapia del per-dono, 2008, pp. 304 Giusti E. - Di Fazio T., Psicoterapia integrata dello stress. Il burn-out professionale, 2005, pp. 256 Giusti E. - Di Francesco G., L’autoerotismo. L’alba del piacere sessuale: dall’identità verso la relazione, 2006, pp. 208 Giusti E. - Di Nardo G., Silenzio e solitudine. L’integrazione della quiete nel trattamento terapeutico, 2006, pp. 240 Giusti E. - Frandina M., Terapia della gelosia e dell’invidia. Trattamenti psicologici integrati, 2007, pp. 224 Giusti E. - Fusco L., Uomini. Psicologia e psicoterapia della maschilità, 2002, pp. 464

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Benson J., Gruppi. Organizzazione e conduzione per lo sviluppo personale e la psicoterapia, 20001, pp. 272 Beutler L.E. - Harwood T.M., Psicoterapia prescrittiva elettiva. La scelta del trattamento sistematico fondata sull’evidenza, 2002, pp. 224 Bozarth J.D., La terapia centrata sulla persona. Un paradigma rivoluzionario, 2001, pp. 240 Campanella V. - Fiori M. - Santoriello D., Disturbi mentali gravi. Modelli d’intervento pluralistico integrato dall’autismo alle psicosi, 2003, pp. 272 Chambon O. - Marie-Cardine M., Le basi della psicoterapia eclettica e integrata, 2002, pp. 288 Clarkson P., Gestalt - Counseling, 1999 II ediz., pp. 192 Clarkson P., La Relazione Psicoterapeutica integrata, 1996, pp. 392 Delisle G., I disturbi della personalità, 20001, pp. 224 Feltham C. - Dryden W. (a cura di E. Giusti), Dizionario di counseling, 1995, pp. 320 Fontana D., Stress Counseling. Come gestire gli stati personali di tensione, 1996, pp. 160 Frisch M.B., Psicoterapia integrata della qualità della vita, 2001, pp. 352 Giannella E., Palumbo M., Vigliar G., Mediazione familiare e affido condiviso. Come separarsi insieme, 2007, pp. 240 Giusti E. - Calzone T., Promozione e visibilità clinica. Motivare i pazienti ai trattamenti psicologici, 2006, pp. 288 Giusti E. - Carolei F., Terapie transpersonali. L’integrazione della spiritualità e della meditazione nei trattamenti pluralistici, 2005, pp. 336 Giusti E. - Chiacchio A., Ossessioni e compulsioni. Valutazione e trattamento della Psicoterapia Pluralistica Integrata, 2002, pp. 176 Giusti E. - Ciotta A., Metafore nella relazione d’aiuto e nei settori formativi, 2005, pp. 256 Giusti E. - Corte B., La terapia del per-dono, 2008, pp. 304 Giusti E. - Di Fazio T., Psicoterapia integrata dello stress. Il burn-out professionale, 2005, pp. 256 Giusti E. - Di Francesco G., L’autoerotismo. L’alba del piacere sessuale: dall’identità verso la relazione, 2006, pp. 208 Giusti E. - Di Nardo G., Silenzio e solitudine. L’integrazione della quiete nel trattamento terapeutico, 2006, pp. 240 Giusti E. - Frandina M., Terapia della gelosia e dell’invidia. Trattamenti psicologici integrati, 2007, pp. 224 Giusti E. - Fusco L., Uomini. Psicologia e psicoterapia della maschilità, 2002, pp. 464

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