la terapia del per-dono

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Edoardo Giusti - Barbara Corte



collana Psicoterapia & Counseling diretta da Edoardo Giusti

73 Centro Europeo di Ricerche per lo Studio delle Psicoterapie Integrate e Comparate


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Sommario

Introduzione Capitolo primo: La natura multidimensionale del perdono 1.1 Il perdono diventa scienza: il perdono in psicologia 1.2 Definizioni di perdono e dei principali modelli nella letteratura psicologica 1.3 I fattori del perdono 1.4 La natura multidimensionale del perdono: variabili biologiche, psicologiche e sociali 1.5 Perdono e ricerca: metodi e strumenti di studio Capitolo secondo: Modelli evolutivi di sviluppo della capacità di perdonare 2.1 Le origini del rancore nelle prime relazioni affettive 2.2 Lo sviluppo della capacità di perdonare nel bambino 2.3 Le origini della capacità di perdonare nel processo di strutturazione dell’Io e delle relazioni oggettuali 2.4 Applicazioni Capitolo terzo: Perdono e processi interpersonali: gli aspetti relazionali del perdono 3.1 Il processo interpersonale del perdono: reazioni della vittima, dell’offensore e riconciliazione 3.2 Il perdono nella coppia 3.3 Il perdono nella famiglia

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Capitolo quarto: Emozioni e perdono: aspetti affettivi 4.1 Il rancore 4.2 Le emozioni positive contrapposte al rancore 4.3 Le emozioni che facilitano l’esperienza del perdono 4.4 La teoria della sostituzione emotiva

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Capitolo quinto: Perdono e salute: aspetti fisiologici e psicopatologici 5.1 Perdono e corpo: aspetti fisiologici 5.2 Perdono e salute mentale

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Capitolo sesto: Perdono e personalità 6.1 I Big Five: una cornice comune sulla personalità 6.2 Panorama della letteratura teorica ed empirica su perdono e personalità 6.3 Attaccamento e perdono 6.4 Altre variabili di personalità 6.5 Caratteristiche di personalità e tendenza a chiedere perdono 6.6 Prospettive future e rilevanza clinica

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Capitolo settimo: Perdono e psicopatologia 7.1 Perdono e depressione 7.2 Perdono e abuso di sostanze 7.3 Perdono e disturbi d’ansia 7.4 Perdono e disturbo post-traumatico da stress 7.5 Perdono e disturbo paranoide di personalità 7.6 Perdono e disturbo narcisistico di personalità 7.7 Perdono e disturbo borderline di personalità 7.8 Perdono e disturbo istrionico di personalità

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Capitolo ottavo: Applicazioni cliniche: interventi per promuovere il perdono 8.1 Facilitare il perdono in psicoterapia individuale: il perdono intrapersonale

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8.1.1 Il modello processuale di Enright 8.1.2 La terapia focalizzata sulle emozioni (EFT) 8.1.3 Il modello REACH FORGIVENESS 8.2 Interventi per promuovere il perdono di sĂŠ in psicoterapia individuale 8.2.1 Il perdono di sĂŠ nella psicosintesi 8.2.2 Interventi focalizzati sulla compassione per problemi di vergogna e autocondanna 8.3 Il perdono interpersonale 8.3.1 Il perdono nella terapia di coppia e familiare 8.3.2 Interventi per promuovere la riconciliazione 8.4 Il percorso per chiedere perdono senza umiliarsi

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Appendice: Scala del perdono verso una specifica persona

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Bibliografia

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Introduzione

Parlare di perdono in un momento storico come quello attuale può sembrare fuori luogo. La nostra cultura, impregnata di individualismo, guarda con sospetto al perdono: valori preponderanti come la ricerca di affermazione e potere, l’apparire a tutti i costi, il narcisismo dilagante possono essere considerati incompatibili o almeno difficilmente conciliabili con il perdono e i valori di altruismo, compassione e amore, che esso implica. I mass media inneggiano alla competizione, al successo, favorendo sentimenti come l’invidia e il risentimento che ci fanno vedere il nostro prossimo come un ostacolo, qualcuno da cui stare in guardia, piuttosto che una risorsa. Perdonare può essere accomunato a “non farsi rispettare”, “subire”, o “darla vinta”, rimanendo indietro nella corsa verso il successo. Per questo motivo un libro sul perdono può suscitare in alcune persone sentimenti di diffidenza e rifiuto, oppure si può correre il rischio di venire bollati di “buonismo” e venire messi da parte, relegati alla letteratura di stampo religioso. Eppure il perdono è più che un precetto morale: negli ultimi anni numerose ricerche forniscono evidenze empiriche sul fatto che perdonare può costituire un’importante fonte di benessere psicofisico nell’individuo e una risposta efficace allo stress relazionale a cui spesso deve far fronte. Perdonare è un modo per proteggersi dalla rabbia e dalle emozioni negative connesse alla percezione di aver subito un torto, è un modo per salvaguardare le relazioni significative importanti per il nostro benessere; soprattutto, il perdono di sé è uno strumento efficace per combattere l’autocritica implacabile che tortura moltissime persone, favorendo la depressione, atti di autolesionismo e dipendenze. 9


Questo libro affronta il tema del perdono da una prospettiva nuova, psicologica, che lo libera dalle implicazioni religiose e morali per introdurlo nel campo della salute fisica e mentale. Il rancore infatti, considerato da molti il suo opposto, secondo alcune ricerche può essere considerato una “malattia”, che ha conseguenze negative sul corpo, sulle relazioni e sulla salute mentale in generale. Il perdono è qui inteso come un potente strumento psicoterapeutico in grado di restituire benessere alle persone liberandole dalle catene del rancore. Un consistente numero di pazienti intraprendono una psicoterapia per sintomi direttamente connessi a ferite, traumi o violenze da parte di persone significative, spesso i genitori, familiari o il partner. Anche quando tali situazioni non sono presenti nella domanda iniziale, appaiono frequentemente nel corso della terapia, con il riemergere di ricordi traumatici non elaborati, gestalt incompiute che si ripetono e continuano a condizionare il presente. Tali situazioni traumatiche possono essere alla base della costruzione di schemi relazionali disfunzionali, modelli operativi interni insicuri che minano il sistema dell’attaccamento, rappresentazioni negative di sé e degli altri del tipo “io non sono Ok, tu non sei Ok” che possono costituire la base su cui si innesta la psicopatologia. Il perdono in questi casi può aiutare ad elaborare i traumi del passato, chiudere le gestalt aperte, correggere gli schemi relazionali disfunzionali fungendo da luogo di ridefinizione dell’identità individuale. Il perdono avviene nel presente, nel “qui ed ora”, ma ha un’azione ristrutturante anche sul passato, nel “lì e allora”, in quanto permette di costruire una nuova narrazione della propria vita, più funzionale allo sviluppo di un’identità positiva e di un concetto positivo degli altri; inoltre il perdono agisce sul futuro, permettendo esperienze nuove. Il presente lavoro si rivolge in primo luogo ai professionisti delle relazioni di aiuto – psicologi, counselors e psicoterapeuti – per sensibilizzarli sul potere del perdono come strumento di benessere da integrare nella loro pratica; in secondo luogo alle persone che non riescono a perdonare o perdonarsi, per stimolarle ad intraprendere un percorso in tal senso. Nel primo capitolo forniremo una descrizione delle varie definizioni di perdono e dei modelli presenti nella letteratura psicologica; saranno prese in considerazione le diverse variabili (biologiche, psicologiche, relazionali, sociali) che intervengono nel processo del 10


perdono e le loro relazioni reciproche. Il capitolo 2 prende in considerazione il perdono da un punto di vista evolutivo, approfondendo le esperienze alla base dell’origine del rancore nell’infanzia e i processi attraverso i quali si struttura la capacità di perdonare nel bambino. Il capitolo 3 si focalizza sulla natura interpersonale del perdono, evidenziando le dinamiche tra vittima e offensore che intervengono nel processo, facilitandolo od ostacolandolo; inoltre si analizzeranno gli effetti del perdono in due specifici contesti relazionali: la famiglia e la coppia. Il capitolo 4 mette in rilievo la dimensione emotiva del perdono; verrà approfondita l’esperienza emotiva del rancore e delle emozioni che lo compongono, inoltre verranno descritte le emozioni positive che intervengono nel perdono e la teoria della sostituzione emotiva. Il capitolo 5 passa in rassegna le principali ricerche sul rapporto tra perdono e salute fisica e mentale, evidenziando gli effetti positivi del perdono sul benessere. Nel capitolo 6 descriveremo i fattori di personalità che, insieme ai fattori situazionali e relazionali, intervengono nel processo del perdono, con particolare attenzione ai cinque fattori individuati dal Big Five e allo stile di attaccamento. Il capitolo 7 evidenzia il ruolo del rancore nella psicopatologia e la funzione terapeutica del perdono sui principali disturbi dell’asse I e sui disturbi di personalità. Infine, nel capitolo 8 evidenzieremo le applicazioni cliniche del perdono nella psicoterapia individuale, di gruppo e familiare, descrivendo i principali interventi finalizzati al perdono.

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Capitolo 1

La natura multidimensionale del perdono

1.1 Il perdono diventa scienza: il perdono in psicologia Il termine perdono deriva dal verbo latino medievale perdonare che ha origine dal latino classico condonare (dare in dono, rimettere, graziare, abbandonare) con cambio di prefisso e come forma rafforzativa (Zingarelli, 1970). In italiano “perdonare” assume il significato di «assolvere qualcuno dalla colpa commessa, condonare a qualcuno l’errore o il fallo compiuto, trattare con indulgenza e comprensione, scusare, concedere il perdono» (Zingarelli, 1971) o, in una definizione più recente «non tenere in considerazione il male ricevuto da altri, rinunciando a propositi di vendetta, alla punizione, a qualsiasi possibile rivalsa, e annullando in sé ogni risentimento verso l’autore dell’offesa o del danno» (www.treccani.it/site/lingua_linguaggi/consultazione. htm); il “perdono” è definito come «la remissione di una colpa e del relativo castigo» o «remissione dei peccati, indulgenza concessa dalla chiesa» (Zingarelli, 1971) e più recentemente come «atto di umanità e generosità che induce all’annullamento di qualsiasi desiderio di vendetta, di rivalsa, di punizione» (Devoto & Oli, 1987). Come si intuisce da queste definizioni, l’interesse per il perdono per secoli è stato relegato all’ambito religioso (Rye et al., 2000): la maggior parte delle grandi religioni monoteiste comprende insegnamenti sulla natura del perdono e sul suo valore; in particolare, la religione cristiana fa del perdono uno dei suoi precetti fondamentali, rivestendolo di una dimensione trascendentale. Il cristianesimo è definito la religione del perdono, le esortazioni al perdono sono ricorrenti nei Vangeli; nel Nuovo Testamento il concetto di perdono è espresso da due parole greche con significati diversi: la prima, aphiemi, ha il 13


significato di perdono in senso assoluto, di perdono dei peccati, delle colpe, delle trasgressioni; nella maggioranza dei casi conserva anche il suo significato originario di lasciare, lasciare andare, mettere in libertà, mandare via, abbandonare, lasciare dietro a sé. Indica inoltre il rimettere i debiti, i peccati, lasciare cadere, abbandonare lo sdegno, dimenticare; la sua espressione più significativa è nel Padre Nostro. Nel Nuovo Testamento aphiemi è usato 142 volte e nel Vangelo di Matteo ben 47 volte. La seconda parola greca è hilaskomai che ha valore di espiare, conciliare se stessi, placare il Dio irato, rendere benevolo, e misericordioso (Berry, 1976). Il perdono viene esercitato da Gesù nelle varie fasi della sua vita, fino alle parole pronunciate sulla croce («Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno» Luca 23, 34). Dalla prospettiva teologica il perdono umano non è una disposizione della personalità o un’attitudine psicologica acquisita, ma un riflesso del perdono di Dio e solo in relazione alla divinità può essere spiegato (Rubio, 1986). La capacità di perdonare è considerata nelle religioni monoteiste prerogativa di Dio; nella religione ebraica Dio è “Colui che perdona”; nella religione islamica il potere di perdonare è fondato su Allah, infatti uno dei suoi novantanove attributi è quello di essere Al-Gafoor (Colui che perdona); nella religione cristiana il perdono è al centro degli insegnamenti di Gesù, inoltre le Sacre Scritture collegano costantemente il perdono umano a quello divino: il credente perdona perché Dio lo ha perdonato e affinché possa essere perdonato da Dio (Giulianini, 2005; Regalia & Paleari, 2008). Una seconda caratteristica del perdono da una prospettiva religiosa è il riferimento al contesto del peccato e della malvagità (Sobrino, 1986): il ruolo del perdono è quello di liberare il peccatore dal male, nella speranza di convertirlo e trasformarlo attraverso il potere dell’amore; la tradizione cristiana in particolare sottolinea il bisogno universale del perdono per tutta l’umanità a causa del peccato originale. Inoltre il perdono cristiano è strettamente legato alla penitenza, in greco metamelomai (avere rimorso, rimpianto e pentimento, cambiare opinione e giudizio su qualcuno) e metanoeo (cambiare mentalità, mutare pensiero, convertirsi), mentre nella tradizione ebraica il perdono è strettamente connesso al pentimento: la vittima è obbligata a perdonare, ma solo quando l’offensore ha compiuto il percorso di “ritorno” (teshuvah) dal male verso il bene, che comporta diversi 14


passaggi sia a livello personale che a livello pubblico, che vanno dal riconoscimento e pentimento per il proprio errore a una pubblica confessione dei peccati, fino alla correzione dell’atto, ossia alla dimostrazione di essere cambiati e non ricadere nello stesso errore (Regalia & Paleari, 2008). In conclusione, le grandi religioni monoteiste danno importanza al perdono come fattore di riparazione e salvaguardia dei legami con Dio: l’uomo ha bisogno di essere perdonato da Dio ed è chiamato a perdonare gli altri, anche se le modalità necessarie per dare ed ottenere perdono possono variare nei differenti sistemi religiosi e inoltre non viene trattato in modo esplicito il modo in cui le persone riescono ad arrivare al perdono. È questo lo spazio entro cui il discorso psicologico si situa. L’attenzione della psicologia al tema del perdono è piuttosto recente: la letteratura psicologica per lungo tempo non si è interessata al perdono, forse per il pregiudizio che lo vedeva inestricabilmente connesso a tematiche spirituali e morali, e di conseguenza competenza esclusiva della religione o della filosofia. La prospettiva psicologica spoglia il perdono dalle implicazioni morali e dal rapporto con la divinità, spostando il focus sulla salute e sul benessere dell’individuo. Gli studi scientifici sul tema iniziano a metà degli anni ’80, dopo la pubblicazione del libro Forgive and forget: healing the hurts we don’t deserve di Lewis Smedes (1984), in cui l’autore, un teologo, sostiene la tesi che perdonare apporta benefici alla salute mentale e al benessere. Le considerazioni di Smedes stimolano l’interesse scientifico, che investe vari ambiti della psicologia: la psicologia evolutiva si interessa del processo di sviluppo del perdono nel bambino, la psicologia della personalità dello studio dei tratti che favoriscono il perdono, la psicologia sociale prende in esame il ruolo del perdono nelle interazioni sociali, la psicologia della salute osserva gli effetti del perdono sul benessere fisico e mentale. Il messaggio di Smedes viene accolto in particolare dagli psicoterapeuti, che iniziano ad elaborare modelli atti a promuovere il perdono per risolvere problemi legati alla rabbia cronica, alla depressione e a traumi irrisolti. La terapia di coppia e familiare diventano laboratori naturali per lo studio del perdono. Negli ultimi quindici anni si è assistito ad un forte incremento della letteratura sul perdono da una varietà di prospettive psicologiche. 15


Gli studi per la comprensione del perdono all’interno della cornice psicologica iniziano con il lavoro di Enright e colleghi, che lo definiscono come segue: «il perdono è il superamento degli affetti e dei giudizi negativi verso l’offensore, non perché la vittima si nega il diritto a tali sentimenti o giudizi, quanto piuttosto perché si sforza di considerare l’offensore con benevolenza, compassione e persino amore, pur riconoscendo che quest’ultimo non ne ha più diritto» (Enright & The Human Development Study Group, 1991, p 126). I punti principali di questa prima definizione in ambito psicologico, che fornisce coordinate importanti per definizioni successive, sono i seguenti: a) chi perdona ha ricevuto una ferita e provato risentimento per questo; b) la vittima ha diritto di sentirsi risentito, nonostante ciò abbandona il risentimento e i sentimenti negativi; c) la vittima sviluppa una nuova risposta verso l’altro che include compassione e amore; d) questa nuova risposta scaturisce anche se c’è la consapevolezza che non è obbligatoria. Inoltre Enright mette in evidenza che il perdono coinvolge il sistema affettivo, conoscitivo e comportamentale: perdonare implica l’assenza di sentimenti, pensieri e comportamenti negativi verso l’offensore e la presenza di sentimenti, pensieri e comportamenti positivi. A questa prima definizione se ne sono aggiunte altre, che mettono in rilievo diversi aspetti del fenomeno, tanto che ancora non esiste una definizione condivisa. Gorsuch e Hao (1993) sostengono che una definizione completa del perdono dovrebbe integrare non solo le componenti conoscitive, affettive e del comportamento, ma anche le funzioni motivazionali, spirituali, religiose e decisionali. Pingleton (1989) condivide l’enfasi sulla dimensione spirituale del perdono e sulla volontà. Gartner (1988) definisce il perdono maturo dalla prospettiva delle relazioni oggettuali, come una visione realistica integrata che contiene sia gli aspetti buoni sia quelli cattivi di sé e degli altri. Worthington e Wade (1999) definiscono il perdono in relazione al rancore (traduciamo con rancore il termine inglese unforgiveness): secondo gli autori il rancore è «un’emozione fredda che include il risentimento, l’amarezza, l’odio insieme con la motivazione a evitare l’offensore o vendicarsi. Al contrario il perdono è una scelta interna alla vittima (inconscia o deliberata) di rinunciare al rancore e, se è possibile e prudente, cercare una riconciliazione con l’offensore» (p. 16


386). Canale (1990) considera il perdono un agente terapeutico e sottolinea la dimensione cognitiva del perdono, che permette una ristrutturazione dei significati a cui segue una ristrutturazione emotiva. Denton & Martin (1998), in uno studio su un campione di psicoterapeuti esperti, affermano che i clinici definiscono il perdono come «un processo interno, centrale per la psicoterapia, in cui la persona ingiuriata, senza la richiesta dell’altro abbandona i sentimenti negativi e smette di desiderare di restituire il danno; questo processo comporta benefici fisici, fisiologici ed emotivi» (p. 290). Il perdono è ulteriormente descritto nella letteratura psicologica come: un intervento terapeutico potente e come un’esercitazione intellettuale in cui il paziente prende la decisione di perdonare (Fitzgibbons, 1986); un atto volontario, una decisione e una scelta (Hope, 1987); un lasciare andare i sentimenti negativi legati al torto subito (DiBlasio, 1998); il riacquisire padronanza su una situazione pericolosa, che ha generato una ferita (Flanigan, 1992). Già da queste prime definizioni si evidenziano sia gli aspetti intrapsichici (“processo interno”), sia quelli interpersonali (“cercare una riconciliazione con l’offensore”) del perdono; nel prossimo paragrafo forniremo una rassegna più completa delle varie definizioni e dei diversi aspetti che vengono messi in risalto. Oggi il tema del perdono riveste un ruolo centrale in ambito psicologico e psicoterapeutico, in quanto il perdono può essere considerato come «luogo della ridefinizione dell’identità individuale» (Aletti, 2005, p 7). Perdonare permette di ristrutturare la realtà, di ridefinire sé, l’altro e le relazioni; consente il passaggio da significati drammatici, umilianti, a significati nuovi, più costruttivi, funzionali all’equilibrio psichico e al benessere. Il valore innovativo e la funzione liberatoria del perdono aprono ad una relazione rinnovata e svolgono una funzione trasformativa per la personalità, che comprende al suo interno l’accettazione della propria e altrui possibilità di sbagliare. L’essere umano, come lo definiva Aristotele, è un animale sociale, per cui necessariamente si trova a coltivare relazioni e non c’è relazione che potenzialmente non contenga la possibilità del tradimento. La fiducia ha in sé il germe del tradimento e il tradimento ha in sé il seme del perdono (Hillman, 1973). Secondo Hillman il tradimento non è un evento di per sé negativo ma un momento di crescita che permette di uscire dalla “fiducia pri17


maria”, quello stato di sicurezza che ritroviamo nell’immagine archetipica dell’Eden, nel rapporto madre-figlio, o nel concetto di logos, in cui la fiducia è basata sulla parola e non sulla carne. Lo stato di fiducia primaria è quello del Puer Aeternus, una condizione infantile che non permette evoluzione; perché i rapporti evolvano e si possa accedere al mondo della responsabilità è necessaria una crisi, una rottura; infatti secondo l’autore «se saltiamo dove ci sono sempre braccia per riceverci il nostro non è un vero salto» (p. 89), in altre parole non è possibile vivere o amare solo quando ci si può fidare ciecamente, quando non c’è la possibilità di venire abbandonati o rifiutati. Anche nel simbolismo cristiano, il messaggio di amore di Gesù riesce a trovare la sua forza solo con il tradimento e la crocifissione; solo in quel momento infatti Gesù diventa pienamente umano, col fianco trapassato da cui sgorgano acqua e sangue, simboli della vita, del sentimento e dell’emozione. L’uomo nasce quando si spezza la fiducia primaria e il puer muore; in quel momento padre e figlio non sono più una cosa sola. Superare il dolore del tradimento e perdonare può costituire l’iniziazione ad una nuova coscienza del reale ma a volte ciò non avviene e si rimane fissati nel trauma, pieni di risentimento e desiderio di vendetta. Hillman elenca alcuni meccanismi di difesa che ostacolano il perdono che elenchiamo di seguito. 1) La negazione: se in un rapporto veniamo abbandonati o traditi siamo tentati di negare il valore dell’altra persona, sostituendo l’iniziale idealizzazione con una svalutazione e continuando a vivere in una realtà parziale. 2) Il cinismo: la delusione può portare non solo alla negazione del valore della persona o della relazione in causa ma può essere estesa all’amore in generale; in questo caso i frantumi dell’idealismo vengono utilizzati per costruire una corazza di cinismo, che costituisce un tradimento ai propri sentimenti ed ideali. 3) Il tradimento di sé: quando vengono tradite parti estremamente intime e profonde di sé si può correre il rischio di svalutarne il valore, riducendole a meccanismi impersonali 4) La distorsione paranoide: la possibilità del tradimento in questo caso viene respinta, esclusa, ricercando continuamente dichiarazioni di fedeltà eterna, giuramenti e prove di devozione e costruendo rapporti falsati, appartenenti più alla sfera del potere che dell’amore e della fiducia. 18


Il perdono permette al tradimento di diventare elemento di crescita, trasformando il “sale dell’amarezza” nel “sale della saggezza” e permettendo la riconciliazione con la vita. Secondo Hillman il perdono non viene dall’Io, che è reso vitale dall’amor proprio, dall’orgoglio e dall’onore, ma dal Sé; il passaggio attraverso i vari stadi, dalla fiducia incondizionata (inconscia e pre-anima) al tradimento (morte del puer) e al perdono, porta ad uno sviluppo del conscio e all’integrazione della propria natura; anche secondo Gartner (1988) il perdono maturo prevede un’integrazione realistica degli aspetti positivi e negativi di sé e degli altri. Da una prospettiva psicologica il perdono è considerato un atto complesso, che coinvolge la dimensione cognitiva, emotivo-affettiva, comportamentale, sociale e interpersonale; lo studio del perdono deve pertanto considerare questi aspetti e le loro relazioni reciproche. Il termine “per-dono” (in inglese “for-give”, in francese “par-don”, in spagnolo “per-dòn”) in molte lingue è connesso alla parola “donare”: ciò evidenzia la potenzialità creativa del perdono, che regala all’offensore e all’offeso un senso nuovo, una verità più profonda, un sovrappiù di amore gratuito, non aspettato né dovuto. L’importanza dell’aspetto connesso al donare è confermata da una ricerca di Worthington (2001), che mette a confronto due tipi di procedimenti, uno basato sulla prospettiva di ottenere dal perdono un beneficio personale, il secondo focalizzato sull’altruismo, sull’empatia con il colpevole e con il suo bisogno di essere perdonato. Il gruppo che partecipa al programma per raggiungere un beneficio personale ottiene risultati positivi immediati (da un trattamento di 1 ora), ma il livello di perdono raggiunto è modesto e non cresce aumentando le ore di trattamento; il gruppo che intende perdonare per il beneficio dell’offensore ricava invece scarsi risultati da trattamenti della durata di 1 ora, mentre il livello di perdono aumenta quasi cinque volte di più in 8 ore, arrivando a livelli superiori di circa tre volte rispetto al primo gruppo; inoltre, 6 settimane dopo, la capacità di perdonare del primo gruppo si dimezza mentre nel secondo gruppo rimane costante. L’autore conclude che perdonare porta dei benefici, ma se si perdona al solo scopo di ottenere un benessere interiore si riesce a guadagnare solo una piccola parte di questi benefici, mentre se il perdono viene concepito come un dono ad un altro, paradossalmente i benefici aumentano. Secondo Worthington (2001) il perdono è come l’aria: se cerchiamo di affer19


rarla nel pugno ci sfugge ma se ispiriamo ed espiriamo profondamente ci riforniamo di ossigeno e scaldiamo chi ci è vicino; allo stesso modo, se cerchiamo di afferrare i benefici del perdono per vantaggio personale contaminaremo la pienezza di tali benefici e ne ricaveremo una loro versione svilita, mentre se cerchiamo di fare con il nostro perdono bene ad altri verremo anche noi investiti da questo bene. Nel linguaggio comune il concetto di perdono viene spesso frainteso, banalizzato, considerato sinonimo di vocaboli come “clemenza”, “condono”, “scuse”, “riconciliazione”, oppure confuso con il “perdonismo”, vale a dire l’atteggiamento di chi è contrario a correggere e a punire, ed è invece favorevole a lasciar correre, sia sul piano morale e sociale che giudiziario (Giulianini, 2005). Per definire il concetto di perdono ci sembra importante approfondire le sue relazioni con tre concetti collegati: la memoria dell’offesa, la riconciliazione e la giustizia. Per quanto riguarda il primo concetto, il perdono si differenzia dall’oblio: perdonare non vuol dire dimenticare l’offesa, anzi soltanto ricordando si può perdonare; il perdono aiuta a guarire la ferita legata all’offesa, il suo ricordo diviene meno presente e ossessivo e non provoca più dolore. Kancyper (2007) distingue la “memoria del dolore” dalla “memoria del rancore”: la prima ammette il passato come esperienza e non come zavorra, non esige la rinuncia al dolore e opera come un segnale di allarme che previene il ripetersi di esperienze negative, aprendo ad un cambiamento e ad una trasformazione; la seconda comporta la «compulsione ripetitiva ed insaziabile del potere vendicativo», intrappola il soggetto «nell’immobilizzazione del risentimento di un passato che non può accettare,… che annulla le dimensioni temporali del presente e del futuro» (Kancyper, 2007, p. 226). Secondo l’autore solo il lento ed intricato lavoro di elaborazione del risentimento rende possibile l’elaborazione del lutto, per poter effettuare il passaggio dalla memoria del rancore alla memoria del dolore, in modo che il soggetto possa abbandonare la sua posizione di vittima innocente che esige e castiga, condizionata da un passato che non può dimenticare, e riuscire a costruire la sua storia come soggetto attivo e responsabile (Kancyper, 2007). Il perdono inoltre non va confuso con la riconciliazione, in quanto il primo connota lo stato interno dell’individuo offeso, mentre per riconciliazione si intende l’esito di una serie di scambi interattivi tra 20


vittima e responsabile dell’offesa grazie ai quali i due arrivano, attraverso uno sforzo comune, a ricomporre la relazione (Scabini, 2000). Non sempre l’atto del perdonare conduce a ristabilire rapporti con l’offensore. A volte l’offensore è deceduto, è sconosciuto o non interessato alla riconciliazione; in tali casi il perdono rimane un processo interno alla vittima. In altri casi, come per esempio quando l’offesa riguarda violenze o abusi che si potrebbero ripetere, non è auspicabile che la vittima ricostruisca una relazione con l’offensore per la propria salvaguardia. Altre volte la riconciliazione avviene anche se la vittima non ha perdonato veramente l’offensore, come succede nei rapporti di dipendenza, in cui si perdona per evitare il conflitto e la separazione, o nei rapporti utilitaristici, quando è necessario collaborare per un fine comune ed evitare lo scontro. In ogni caso, la riconconciliazione può essere una conseguenza non necessaria al perdono e consiste in una rinegoziazione del rapporto su nuove basi. Un altro fraintendimento comune è quello che contrappone il perdono alla giustizia, attraverso la considerazione erronea che perdonare equivalga a rinunciare ai propri diritti. In realtà il perdono si contrappone al rancore e alla vendetta, non alla giustizia. La giustizia ha il compito di ristabilire su basi oggettive i diritti della persona lesa, il perdono è un atto di benevolenza gratuita, che non implica la rinuncia all’applicazione della giustizia, piuttosto spoglia quest’ultima dalle distorsioni derivanti dall’odio, dal rancore e dal desiderio di vendetta. Altri pregiudizi comuni sul perdono riguardano la paura di mostrare una debolezza perdonando e la necessità di tenere sempre in mente l’offesa per stare in guardia ed evitare che si possano ripresentare situazioni simili nel futuro; in realtà tale atteggiamento difensivo è poco efficace e può produrre problemi interpersonali. Per comprendere meglio il concetto di perdono è opportuno paragonarlo al rancore, parola che etimologicamente evoca richiesta lamentosa (da rancor) e rancidità, odore acre e disgustoso (da rancidus) e che si usa per indicare un risentimento reiterato, covato tenacemente in seguito ad un torto o ad un’offesa. La vittima di un torto tende a rimuginare, ad elaborare piani e strategie di vendetta o rivalsa, a reiterare pensieri ed emozioni negative che vengono sperimentate di nuovo in maniera vivida, come se il danno fosse attuale, che lasciano in bocca un sapore velenoso, acidulo, rancido. Il rancore è un’espe21


rienza complessa, che non si riduce a semplice rabbia, ma diventa un sentimento persistente, serbatoio continuo per la rappresentazione del soggetto e del suo mondo e fonte motivazionale per le azioni future; la realtà del soggetto sembra immobilizzarsi e coagularsi intorno a fantasie di vendetta e pensieri ricorrenti a sfondo negativo. Il rancore presuppone al suo interno uno sviluppo temporale, una sequenza che parte da una ferita che non si può elaborare, per arrivare, attraverso la rimuginazione, ad un vissuto cronico, che si ripercuote sulla dimensione fisiologica, intrapsichica e interpersonale del soggetto (vedi par 4.1). Il perdono può essere inteso come la fine della rimuginazione, la liberazione dalle catene del rancore, inoltre esso comporta la sostituzione delle emozioni negative nei confronti dell’offensore con emozioni più positive, di empatia, benevolenza, compassione. Le riflessioni presentate in questo paragrafo forniscono delle coordinate generali, all’interno delle quali inscrivere il concetto di perdono. Nei paragrafi successivi proporremo una rilettura sintetica delle definizioni di perdono presenti nella letteratura psicologica e ci soffermeremo su alcuni dei modelli più completi.

1.2 Definizioni di perdono e principali modelli nella letteratura psicologica Il perdono è un costrutto multidimensionale, che interessa l’uomo nella sua totalità abbracciandone gli aspetti biologici (Worthington, 2006), cognitivi (Flanigan, 1992), decisionali (DiBlasio, 1998), motivazionali ((McCullought, Worthington & Rachal, 1997), affettivoemotivi (Malcom & Greenberg, 2000), comportamentali (Gordon, Baucom & Snyder, 2000) e interpersonali (Baumeister, Exline & Sommer, 1998). Nella sua complessità, tale concetto si pone come punto di intersezione tra variabili individuali, ambientali e sociali; un modello completo del perdono deve quindi considerare sia i fattori interni all’individuo (intrapsichici, legati alle caratteristiche di personalità) sia quelli esterni (interpersonali, situazionali, sociali, culturali, religiosi), cogliendoli nella loro circolarità. A seconda delle dimensioni su cui i vari studiosi pongono l’accento, troviamo diverse definizioni di perdono in psicologia e diversi modelli teorici. 22


Tra i modelli che privilegiano gli aspetti interni, intrapersonali del perdono si colloca il modello processuale cognitivo-affettivo-comportamentale di Enright, uno tra i primi contributi alla nuova scienza del perdono. L’apporto di Enright coglie la complessità del concetto, prendendo in considerazione il sistema affettivo, cognitivo e comportamentale (Enright & Fitzgibbons, 2000): egli intende il perdono come un processo che comporta la sostituzione di pensieri, emozioni, comportamenti negativi verso l’offensore, con pensieri, emozioni, comportamenti positivi, non perché la vittima nega a se stessa il diritto di formulare tali giudizi o di provare tali sentimenti, quanto perché si sforza di considerare l’offensore con benevolenza e amore (Enright, Gassin & Wu, 1992). Il perdono per Enright non può essere ricondotto ad un singolo atto, ma è l’esito di un faticoso processo che comporta uno sforzo volontario e che si colloca in un periodo di tempo più o meno lungo; l’autore elabora un modello processuale in cui descrive le strategie interne di ordine emotivo, cognitivo, comportamentale per attenuare la sofferenza relativa all’offesa e intraprendere il percorso che conduce al perdono (vedi cap 8). Secondo Enright un atto offensivo suscita nella vittima una serie di reazioni emotive negative, come rabbia, insicurezza, vergogna e dei pensieri ossessivi ricorrenti riguardanti l’offesa, che provocano sofferenza psichica. Quando il soggetto diventa consapevole di tale sofferenza avverte il bisogno di attenuarla o perseguendo la via della giustizia (appellandosi alla legge o facendosi giustizia da sé) o quella della clemenza (che va dalla rinuncia a punire l’offensore al perdono). Secondo l’autore la motivazione al perdono è condizionata da sette categorie di variabili: lo stadio cognitivo del soggetto, il suo background culturale, l’influenza dei gruppi sociali a cui appartiene (famiglia, amici), che possono incoraggiarlo o meno a perdonare, la sua educazione etica e religiosa, il tempo trascorso da quando ha ricevuto l’offesa, il grado di sofferenza procurato e infine la conversione, intesa come un cambiamento intuitivo che conduce al perdono. Una volta presa la decisione di perdonare, momento diverso dal perdono vero e proprio, l’individuo metterà in atto strategie affettive e cognitive (es. provare empatia per l’offensore, reinterpretare cognitivamente l’accaduto) che lo condurranno al perdono (Enright & The Human Development Study Group, 1991) 23


Enright analizza il perdono anche da un’ottica evolutivo-cognitiva e, facendo riferimento al modello di sviluppo morale di Kohlberg (Kohlberg, 1984), descrive l’evoluzione della capacità di perdonare in relazione all’evoluzione del pensiero e della complessità del ragionamento (vedi cap. 2). Uno dei limiti di questo modello è il non aver conciliato la teoria clinica con la ricerca di base. McCullought e collaboratori pongono l’accento sulla componente motivazionale descrivendo il perdono come «un reindirizzamento delle motivazioni negative accompagnato da un incremento delle motivazioni positive verso il trasgressore» (McCullought, Worthington & Rachal, 1997). Più in dettaglio gli autori definiscono il perdono come «un insieme di cambiamenti motivazionali», per cui il soggetto a) diminuisce la motivazione a ricambiare l’offesa subita b) diminuisce la motivazione a mantenere un distacco dall’offensore c) accresce la motivazione alla riconciliazione e la benevolenza verso l’offensore, nonostante i suoi comportamenti gli abbiano causato sofferenza (McCullought, Worthington & Rachal, 1997). Gli autori ipotizzano che tali cambiamenti motivazionali siano promossi dalle capacità empatiche dell’individuo. McCullough, Fincham & Tsang (2003) elaborano un modello processuale del perdono che prende in considerazione la dimensione temporale. Secondo gli autori, non tutte le persone rispondono con lo stesso livello di motivazioni negative in seguito ad uno stesso evento fonte di offesa; la differenza nelle reazioni di partenza viene denominata “tolleranza” (forbearance). Inoltre, anche le persone che hanno lo stesso livello di tolleranza possono avere una diversa velocità di decremento delle motivazioni negative; ciò può dipendere dall’influenza di eventi positivi o negativi, o semplicemente da cambiamenti nella valutazione dell’offesa o delle circostanze relative. Altri autori sottolineano gli aspetti cognitivi del perdono (Thompson et al., 2005). Gordon, Baucom e Snyder (2000; 2004; 2005) ritengono il perdono necessario quando una struttura cognitiva, che coinvolge pensieri, credenze, valori e percezioni, viene danneggiata. In seguito all’offesa, la vittima può sviluppare una serie di credenze irrazionali o disfunzionali e generalizzarle ad altre situazioni; in questo caso può essere efficace una terapia cognitiva per aiutare la persona a modificare le proprie assunzioni ed aspettative. Thompson e colleghi (Thompson et al., 2005) descrivono il perdono come 24


il processo per cui la percezione di un’offesa, o dell’offensore, viene trasformata da negativa a neutra o positiva. La fonte dell’offesa può essere il soggetto stesso, altre persone o una situazione fuori da ogni controllo (per es. una calamità naturale o una malattia). DiBlasio (1998) sottolinea l’importanza dell’aspetto decisionale (decision-based forgiveness) definendo il perdono come un cambiamento cognitivo volontario che comporta la rinuncia al risentimento e al desiderio di vendetta verso l’offensore. L’autore considera il perdono alla stregua di un “lasciar perdere”, che non sempre segna la fine del dolore e del sentimento di essere stati feriti. Il perdono decisionale è basato sulla logica razionale e sulla volontà. È una decisione che richiede forza di volontà e autocontrollo, senza che avvenga necessariamente un cambiamento a livello emotivo. Malcom e Greenberg (2000) pongono invece l’enfasi sulle trasformazioni emotive che intervengono nell’esperienza del perdono, facendo riferimento alla terapia focalizzata sulle emozioni e alla teoria dell’attaccamento (Emotion-centred model). Gli autori individuano cinque componenti necessarie all’esperienza del perdono: 1) accettare la consapevolezza della rabbia e della tristezza; 2) riconoscere bisogni relazionali non ammessi in precedenza; 3) un cambiamento nel modo di vedere l’offensore; 4) lo sviluppo di empatia verso l’offensore; 5) la costruzione di una nuova narrazione di sé e dell’altro. Tale modello considera i fattori emotivi come il motore per successivi cambiamenti cognitivi; secondo gli autori, la trasformazione è possibile solo grazie ad un insight emotivo, che comporta, successivamente, anche un mutamento degli stili cognitivi e un nuovo modo di vedere l’altra persona. McCullough, Sandage e Worthington (1997) sviluppano un modello del perdono centrato sull’empatia verso l’offensore. Gli autori ritengono l’empatia un fattore necessario ma non sufficiente al perdono. Nella loro analisi ipotizzano che il perdono e l’altruismo siano strettamente connessi, in quanto entrambi legati all’empatia e ritengono quest’ultima un elemento essenziale sia nel comportamento prosociale, in quanto favorisce la preoccupazione e il prendersi cura degli altri attraverso comportamenti altruistici, sia nel processo del perdono, in quanto permette alla vittima di comprendere ed interessarsi ai sentimenti dell’offensore e comprendere il suo punto di vista. 25


Worthington e Wade (1999) condividono l’enfasi sull’aspetto emotivo-motivazionale (emotional juxtaposition hypothesis). Worthington (2003) distingue due tipi di perdono: un perdono decisionale, che comporta un cambiamento nelle intenzioni comportamentali della persona e nelle sue motivazioni, e un perdono emozionale che consiste in una sostituzione delle emozioni negative con emozioni positive orientate verso l’altro. Secondo l’autore, inizialmente le emozioni positive si affiancano alle emozioni negative e le neutralizzano; in seguito, quando le emozioni negative sono eliminate, possono essere costruite nuove emozioni positive, in un processo circolare. Inoltre, Worthington individua diverse tipologie di personalità a seconda degli atteggiamenti verso il perdono. Parte della letteratura psicologica di stampo cattolico individua nella rinuncia alla vendetta uno dei tratti distintivi del perdono. A questo proposito, Pingleton (1989) afferma che il perdono si contrappone alla legge del taglione, ossia alla propensione naturale degli esseri umani di vendicare e punire il dolore sofferto ad opera di un altro. Pertanto, il perdono può essere concepito come l’antitesi della reazione naturale e prevedibile dell’individuo alla violenza e alla sopraffazione: mentre la vendetta può aiutare a diminuire la tensione interna ma non cancella la memoria affettiva della ferita, il perdono è un atto attraverso il quale l’individuo si rende più autonomo liberandosi dal nemico interno. In questo senso, il perdono viene concepito come una liberazione, in quanto l’odio, a volte più dell’amore, può creare legami di dipendenza difficili da recidere (Stickler, 1995); il perdono invece libera dalle esigenze nei confronti dell’altro favorendo l’autonomia. Questa definizione coglie l’aspetto dinamico, originale e creativo del perdono, che trasforma gli individui liberandoli dalle catene del passato, rappresentando un’innovazione nei confronti della logica ripetitiva della giustizia vendicatrice; il perdono, in quest’ottica, è un atto che non si limita a re-agire ma che agisce in maniera nuova e inaspettata, liberando sia colui che perdona, sia colui che è perdonato, agendo dunque, dal punto di vista interpersonale, come doppia liberazione: da una parte l’offeso liberato dal suo rancore, dall’altra l’offensore non più identificato con la sua azione. Altri teorici (Augsburger, 1996), clinici (Hargrave & Sells, 1997) e ricercatori (Baumeister, Exline & Sommer, 1998; Exline & Baumei26


ster, 2000; Finkel, Rusbult, Kumashiro & Hannon, 2002) enfatizzano gli aspetti interpersonali del perdono ponendo l’accento sulle dinamiche intersoggettive che fanno da sfondo al processo e sulle complesse trasformazioni emotive che fungono da regolatori delle emozioni sia per l’offensore, sia per la vittima (Berry & Worthington, 2001; Witvliet et al., 2001). Tra questi, Baumeister, Exline & Sommer (1998) distinguono una componente intrapersonale del perdono, la quale riflette la presenza o meno di un perdono interno, e una componente interpersonale, che coinvolge l’espressione del perdono all’offensore. Dalle interazioni tra le differenti componenti si possono ottenere quattro possibilità: il non perdono, quando è assente sia la componente intrapersonale che quella interpersonale; il perdono silenzioso, quando è presente l’aspetto interno ma il perdono non viene comunicato apertamente; il falso perdono, quando il perdono viene comunicato all’esterno ma non corrisponde al sentire interno; il pieno perdono, quando il perdono viene sentito ed espresso, in modo che ne beneficino sia la vittima che l’offensore. Rusbult e collaboratori (Rusbult, Hannon, Stocker & Finkel, 2005) distinguono le risposte della vittima verso l’offensore in positive attive (atteggiamenti empatici, espressione di emozioni positive o del perdono), positive passive (mutamenti dei sentimenti in senso positivo non manifestati direttamente), negative attive (vendetta o risentimento espresso) e negative passive (risentimento o altre emozioni negative non espresse). Hargrave & Sells, (1997) elaborano una teoria interpersonale del perdono basata sulla terapia familiare di Boszormeny-Naghy (1987). Gli autori identificano quattro stadi del perdono, che si susseguono in un processo non sequenziale. I primi due stadi comprendono l’insight, che prevede il riconoscimento delle dinamiche dell’offensore, e la comprensione, che consiste nel cogliere il motivo per cui l’offesa è stata perpetrata. Queste due fasi comportano la discolpa dell’offensore; secondo la teoria familiare, infatti, è il sistema che è colpevole e l’individuo viene esonerato. Le fasi successive prevedono l’indennizzo, che coinvolge la considerazione delle risposte dell’offensore, e il perdono esplicito, che comporta l’espressione del perdono della vittima nei confronti dell’offensore e la risposta di quest’ultimo. Scobie & Scobie (1998) prendono in considerazione la dimensio27


ne interpersonale descrivendo l’evolversi della dinamica del perdono in funzione delle reazioni manifestate sia dalla vittima che dall’offensore e della natura e gravità del danno arrecato. Le offese più difficili da perdonare risultano essere quelle percepite come gravi ed intenzionali, per le quali non è stato mostrato rammarico o pentimento da parte dell’offensore. Gli autori prendono in considerazione le diverse strategie che la vittima può adottare in seguito all’offesa, distinguendo tra queste la negazione dell’offesa, la sua reinterpretazione per sminuirla di importanza, l’assumersi la responsabilità, la vendetta, lo pseudo-perdono o il perdono autentico. Quest’ultimo è più frequente quando l’artefice del torto ammette la propria responsabilità e offre le scuse mostrando pentimento. Gordon & Baucom (1998) analizzano il perdono all’interno della relazione di coppia individuando tre stadi distinti: smarrimento, disorientamento nella prima fase, ricerca del significato dell’offesa e sua ridefinizione nella seconda fase, superamento e acquisizione di una nuova comprensione di sé dell’altro e della relazione nella terza fase (vedi cap. 3). Un interesse che appare in forte crescita nel panorama dell’ultimo decennio è quello relativo alle determinanti psico-sociali del perdono. Tra gli approcci che sottolineano tale aspetto è importante menzionare il modello psico-sociale di McCullough, Worthington & Rachal (1997) che fornisce un utile schema dei fattori che, su un piano psicosociale, favoriscono il perdono all’interno di relazioni intime. Il modello si fonda non solo su alcune evidenze fornite dalla ricerca psicosociale degli anni Ottanta e Novanta sul tema del perdono, ma anche su un vasto corpo di studi teorici ed empirici dell’ultimo ventennio. Gli autori affermano che il perdono è condizionato da quattro classi di fattori psicosociali: le determinanti sociocognitive, le determinanti associate all’atto offensivo, le determinanti relazionali e le determinanti connesse a tratti personali. Le determinanti socio-cognitive si riferiscono a ciò che la vittima pensa e prova in relazione all’offesa subita e a chi l’ha provocata. Tra questi fattori gli autori individuano l’empatia (capacità di porsi nei panni dell’artefice dell’offesa), i processi attributivi (la capacità con cui si spiega l’evento attributivo) e la ruminazione (cioè il rimurginare e il ripensare l’offesa). Quanto più un individuo è empatico nei confronti dell’offensore, evita di attribuirgli molteplici responsabilità 28


e colpe e evita di riportare alla luce continuamente il torto, tanto meno avrà difficoltà a perdonarlo. Le determinanti associate all’atto offensivo concernono sia le caratteristiche proprie dell’offesa, per esempio la gravità e le conseguenze avute nel tempo, sia le reazioni che l’autore dell’offesa manifesta dopo averla perpetuata e le eventuali scuse offerte. Un torto percepito dalla vittima come poco grave e, rispetto al quale, il responsabile ha espresso rincrescimento e offerto scuse sincere, facilita la concessione del perdono in quanto promuove nella vittima pensieri e sentimenti di comprensione verso l’offensore. Le determinanti relazionali fanno, invece, riferimento al contesto in cui l’atto riprovevole ha avuto luogo. Poiché il perdono implica la volontà di salvaguardare il rapporto con chi si è reso colpevole di un’offesa, quanto più, antecedentemente al verificarsi di tale offesa, la vittima e l’offensore erano legati da un rapporto caratterizzato da elevata soddisfazione, intimità (closeness) e impegno (committement), tanto più la concessione del perdono sarà probabile. Infine le determinanti connesse a tratti personali comprendono l’atteggiamento dell’individuo nei confronti della vendetta, l’arrendevolezza, le modaltà attraverso cui gestisce la rabbia, i principi etici e le convinzioni religiose, che contraddistinguono il soggetto, in modo relativamente stabile. Queste caratteristiche condizionano la concessione del perdono in modo sostanzialmente indiretto, influenzando sia i pensieri, le emozioni della vittima, le reazioni e il grado di pentimento manifestato dall’offensore, sia la qualità del rapporto entro cui ha avuto luogo l’evento dell’offesa. Gli autori, in base alle ricerche empiriche svolte affermano che le determinanti socio-cognitive e, in misura minore, quelle legate all’atto offensivo, esercitano sul perdono un’influenza diretta e immediata, mentre quelle relazionali e quelle connesse a disposizioni stabili agiscono in modo prevalentemente indiretto. L’empatia può essere considerata una delle più importanti componenti prossimali della capacità di perdonare gli altri; inoltre essa è strettamente correlata alla vicinanza tra la due persone prima dell’evento offensivo e alle scuse che l’offensore fornisce alla persona offesa. Due meccanismi sono, a detta degli autori, parzialmente responsabili del motivo per cui le persone sono più propense a perdonare in relazioni che prima dell’evento erano molto strette, impegnate 29


e soddisfacenti: primo l’offensore è più disponibile a chiedere scusa per la sua azione, secondo la vittima è più disposta a essere empatica con il suo offensore. Oltre a definire i fattori che condizionano il perdono e il tipo di impatto, diretto o indiretto, che esercitano su di esso, il modello psicosociale di McCullough, Worthington & Rachal (1997) si preoccupa anche di specificare quali effetti la concessione o la negazione del perdono abbia sul rapporto vittima e offensore. Il perdono viene considerato indice della volontà della vittima di salvaguardare il proprio rapporto con chi l’ha offesa e suppone che, nella misura in cui venga concesso, esso contribuisca a restaurare una maggiore vicinanza emotiva e scambi interattivi di valenza più positiva tra i due. Uno dei modelli più recenti e completi del perdono sembra essere la teoria biopsicosociale di Worthington (2006), che prende in considerazione gli aspetti biologici, cognitivo-decisionali, emotivi, le trasformazioni motivazionali, i fattori di personalità e la dimensione sociale, integrandoli in una sintesi teorica. L’autore descrive il processo che porta dall’offesa al perdono facendo riferimento al modello di gestione dello stress elaborato da Lazarus (Lazarus, 1999), considerando le offese alla stregua di agenti stressanti, che le persone possono affrontare in diversi modi. Le offese mettono di fronte la vittima alla percezione di aver subito un’ingiustizia che genera uno squilibrio tra vittima e offensore misurabile in unità (injustice gap). Per superare lo squilibrio generato dall’ingiustizia la vittima immagina un risultato ideale e un risultato realistico, che tiene conto dei vincoli della realtà. A seconda dell’entità dell’offesa percepita e della valutazione della propria capacità di farvi fronte, la persona danneggiata considererà l’offesa come una minaccia o una sfida. Tale valutazione è influenzata sia da caratteristiche insite nella situazione (entità dell’offesa, atteggiamento dell’offensore, relazione con l’offensore, presenza di intenzionalità), sia da caratteristiche biologiche, di personalità e culturali dell’offensore. Se l’offesa viene percepita come una minaccia, la vittima tenderà a utilizzare la ruminazione, sarà dominata dalle emozioni negative caratteristiche del rancore, sarà motivata a cercare giustizia, ottenere una vendetta o ad evitare l’offensore. Se la persona che ha subito un danno affronta lo stress interpersonale derivante dall’offesa considerandola una sfida, utilizzerà per farvi fronte strategie come il 30


problem-solving, la regolazione delle emozioni e l’attribuzione di un nuovo significato all’evento. Ciò può portare allo sviluppo di motivazioni alla conciliazione o motivazioni altruistiche. La sfida o la minaccia possono investire diverse aree: la fiducia in se stessi, le relazioni interpersonali, la propria autonomia e autodeterminazione. Le strategie di coping si possono focalizzare sul problema, sull’impatto emotivo dell’offesa o sul significato dell’evento. Non esiste una strategia in assoluto più funzionale delle altre nel ridurre la percezione del gap di ingiustizia e gestire le emozioni negative; quando è possibile un’azione diretta per rimuovere la fonte dello stress sembrano più efficaci le strategie focalizzate sul problema (Lazarus, 1999), mentre quando ciò non è possibile è preferibile utilizzare strategie focalizzate sulla gestione delle emozioni e sull’attribuzione di significati diversi all’evento. A seconda dell’elaborazione la vittima giungerà al perdono attraverso vari passi che coinvolgono le decisioni, le emozioni e i comportamenti o sceglierà alternative al perdono, ritornando alle tappe gli precedenti (fig. 1.1). Le persone rispondono all’offesa a livello emozionale, cognitivo e comportamentale. Sulla base delle risposte più abituali la persona rinforzerà particolari caratteristiche di personalità e determinate modalità di relazione sociale, con conseguenze mentali, fisiche, relazionali e spirituali. Lo stato di mancato perdono o rancore (unforgiveness), secondo Worthington, è un complesso di emozioni, che si può considerare una reazione di stress all’offesa, in quanto, in modo analogo agli stati di stress, influisce sul corpo, sulla mente, sull’umore e sul benessere generale. L’autore elabora un modello piramidale a cinque passi (REACH), che permette la sostituzione delle emozioni negative connesse al rancore con emozioni positive (empatia, compassione, amore) verso la persona che ha perpetrato l’offesa (vedi cap 8). Il pregio del modello di Worthington sta nel fatto che, come il modello di Gilbert (2005) descritto nel paragrafo successivo, prende in considerazione una molteplicità di dimensioni intervenienti nel processo del perdono, a differenza della maggior parte degli studiosi, i quali si sono soffermati su particolari aspetti, isolandoli per studiarli singolarmente. Come risulta da questa breve sintesi, il perdono è un costrutto ancora in cerca di una definizione condivisa; tuttavia i diversi modelli 31


sembrano integrarsi e completarsi a vicenda piuttosto che contrapporsi. In questo paragrafo abbiamo elencato differenti definizioni del perdono; alcune sottolineano l’aspetto comportamentale, altre enfatizzano le trasformazioni emotive e motivazionali, altre si soffermano sulle cognizioni coinvolte nel processo; inoltre alcune definizioni seguono un ottica intrapersonale, altre un’ottica interpersonale. Da una prospettiva integrata, considerando la pluralità dei modelli presenti in letteratura, possiamo affermare che il perdono è un concetto che coinvolge l’uomo nella sua totalità, nei suoi aspetti cognitivi, affettivo-emotivi, comportamentali, che avviene nell’individuo ma può esistere ed essere compreso solo all’interno di una relazione. Il punto chiave che accomuna le diverse definizioni sembra essere l’aspetto trasformativo: perdonare è più che gestire lo stress provocato da un’offesa, in quanto comporta un cambiamento della rappresentazione interna di sé e dell’altro sia nella vittima che nell’offensore e produce importanti trasformazioni nella loro relazione.

1.3 I fattori del perdono Secondo Regalia & Paleari (2008) il perdono può innanzitutto essere definito come una risposta ad un’offesa subita; per definire in maniera più completa il concetto di perdono è quindi necessario specificare cosa si intende per offesa. Le azioni che ci possono ferire sono innumerevoli e possono differire sotto molteplici aspetti, tra cui la perseguibilità penale, la natura, l’entità e la persistenza dei danni provocati, il grado di sofferenza soggettivo causato. Regalia & Paleari (2008) distinguono tre elementi comuni a tutte le offese, che elenchiamo di seguito. 1) L’essere percepite come ingiuste e immorali, in quanto atti che violano le norme socialmente condivise o i principi soggettivamente ritenuti validi. Ogni individuo possiede dei criteri valutativi, in parte comuni ai membri del proprio gruppo sociale e in parte personali, in virtù dei quali stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato; il sentimento di essere stati offesi emerge quando confrontando i fatti con i propri valori si arriva alla conclusione che chi ha agito avrebbe dovuto comportarsi diver32


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Livello di ingiustizia percepita

Fig 1.1. La dell’offesa Fig gestione 1.1 - La gestione dell’offesa (da Worthington, 2006) (da Worthington, 2006)

Offesa Valutazione di sfida

Valutazione di minaccia

Strategie di problem-solving, regolazione delle emozioni, transformazione del significato

Ruminazione

Espressione del perdono attraverso il comportamento

Motivazioni alla giustizia, alla conciliazione, motivazioni altruistiche

Non perdono

Motivazioni alla giustizia, alla vendetta, all’evitamento

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Perdono decisionale Perdono emozionale

Coping focalizzato sul problema, sulle emozioni o sul significato dell’offesa

Strategie di coping per gestire l’area della fiducia in sé, delle relazioni o dell’autonomia.

Alternative al perdono


samente. Viceversa, quando manca la consapevolezza di uno scarto tra ciò che è accaduto e ciò che sarebbe dovuto accadere, la trasgressione non viene avvertita. 2) L’essere percepite come azioni intenzionali, volontarie, soggette al controllo dell’individuo e al libero arbitrio. I processi di attribuzione sono centrali nel determinare cosa è un’offesa e cosa non lo è. Attribuire la responsabilità di un’azione ad un individuo significa ritenere che non solo egli l’abbia compiuta materialmente ma anche che l’abbia eseguita intenzionalmente; comportamenti accidentali o involontari, non dipendenti dal controllo del soggetto di solito non vengono ritenuti offese e non necessitano il perdono. 3) Il provocare in chi le subisce una sofferenza che ne altera lo stato di benessere psicofisico. Un’offesa, per essere definita tale deve comportare in chi la riceve un danno, che può essere psicologico, emotivo o materiale, fisico. Nell’identificazione di ciò che costituisce un’offesa, quindi, l’interpretazione soggettiva e il vissuto personale sono determinanti; ciò spiega come a volte sia possibile che uno stesso episodio venga valutato in modo diverso da differenti individui; inoltre, come dimostra la ricerca, la discrepanza di punti di vista e vissuti può essere particolarmente accentuata a seconda del ruolo di vittima o offensore, in quanto gli eventi vengono interpretati in maniera funzionale alla difesa di sé (vedi par. 3.1). Il perdono può essere possibile solo se la vittima riconosce di aver subito un’offesa; le forme di perdono che smentiscono la natura offensiva dell’evento, come per esempio le scuse o le giustificazioni, non possono essere considerate perdono autentico ma tentativi di pseudo-perdono. Un’offesa, per essere considerata tale, produce nella vittima una serie di reazioni. Il vissuto iniziale più ricorrente è un senso di incredulità, un forte disorientamento cognitivo dovuto alla discrepanza tra le proprie credenze e aspettative e l’evento in questione. Quando succede qualcosa che delude le proprie convinzioni su di sé e sugli altri è facile cadere preda di uno stato di smarrimento e impotenza, derivanti dall’incapacità di controllare gli accadimenti; ciò può mettere a dura prova l’autostima e la fiducia in se stessi e fare scaturire nella vittima 34


sentimenti di auto squalifica e auto biasimo, insieme a giudizi negativi nei confronti dell’offensore. Sul piano emotivo emergono sentimenti spiacevoli e contrastanti, come rabbia, paura, amarezza o anche vergogna e senso di colpa per non aver saputo prevedere ed evitare l’accaduto; tali sentimenti possono essere reiterati attraverso la ruminazione e trasformarsi in rancore che provoca una profonda sofferenza psicologica, a cui si può reagire con la vendetta o l’evitamento. Il desiderio di vendetta è dominante quando la rabbia prevale sul timore di essere feriti nuovamente; se riesce a trovare sfogo in tempo breve, senza un eccessivo investimento di energie mentali, la vendetta può assumere una valenza positiva in quanto aiuta la vittima a riguadagnare un senso di controllo sull’ambiente e a riconquistare una stima di sé; nell’intento di chi la compie essa dissuade l’offensore dal ripetre la sua azione offensiva, riafferma il potere ed il prestigio compromessi, “pareggia i conti” ossia ristabilisce una certa equità nel rapporto. Difficilmente comunque questi obbiettivi vengono raggiunti, anzi la ricerca indica che la reciprocità negativa, anziché scoraggiare nuove offese, alimenta reazioni ancora più aggressive e violente. Se la vendetta non è attuata nell’immediato ma è sostenuta dalla ruminazione in cui l’offesa viene rivissuta mentalmente in modo ossessivo e ricorrente, diventa fonte di ulteriore malessere; inoltre talvolta la vendetta può generare, insieme a sentimenti positivi anche stati d’animo negativi come tristezza, rimorso, senso di colpa che aumentano la sofferenza del soggetto. Diversamente dalla vendetta, la fuga viene perseguita quando la paura domina sulla rabbia ed ha la funzione di proteggere la vittima dal riesporsi al rischio di ulteriori sofferenze, inoltre può fungere anche da rivalsa; l’evitamento può comportare distanza fisica o emotiva dall’offensore, oppure può essere attuato in relazione ai vissuti sgradevoli (pensieri, sentimenti, ricordi) collegati all’offesa, attraverso strategie come l’impegnarsi oltremodo nell’attività lavorativa o nello sport o attraverso l’abuso di sostanze psicoattive (droghe, alcol, farmaci). Nonostante tali strategie abbiano la finalità di sottrarre l’individuo alla sofferenza derivante dal contatto con i propri vissuti penosi, alla lunga producono effetti negativi in quanto non permettono la rielaborazione del trauma e possono sfociare in sintomi psicopatologici. Una terza reazione, meno istintiva, all’offesa può essere il perdo35


no; i cambiamenti emotivi, cognitivi e comportamentali che il perdono richiede spesso non sono reazioni naturali, immediate ma esigono una grande capacità di controllo e discernimento dei propri vissuti mentali, un’elevata maturità di pensiero e la fiducia in possibili sviluppi positivi insiti nelle situazioni di dolore (Regalia & Paleari, 2008). La maggior parte dei modelli che descrivono i passaggi attraverso i quali l’individuo può attuare i cambiamenti necessari per perdonare sono definiti “processuali”, in quanto mettono in rilievo la gradualità del percorso; sebbene differiscano per il numero, la sequenza e la tipologia degli stadi identificati è possibile ravvisare degli elementi costanti: 1) riconoscimento ed espressione delle emozioni da parte della vittima; 2) rilettura dell’accaduto e variazioni nell’attribuzione di responsabilità e biasimo; 3) sviluppo di empatia; 4) sviluppo di umiltà. Il perdono è un processo complesso e faticoso; la ricerca psicologica ha prodotto negli ultimi anni una notevole mole di dati che individuano la molteplicità dei fattori che concorrono nel determinare il perdono; elenchiamo i principali di seguito: 1) entità dell’offesa; 2) personalità della vittima; 3) contesto sociale e culturale; 4) caratteristiche della relazione tra vittima e offensore; 5) spiegazioni, scuse e risarcimenti forniti dall’offensore. Considereremo l’impatto dei vari fattori più avanti, descrivendo più in dettaglio il loro ruolo nel processo del perdono.

1.4 La natura multidimensionale del perdono: variabili biologiche, psicologiche e sociali Il perdono rappresenta l’interfaccia tra diversi sistemi: biologico, psicologico e sociale; un modello completo del perdono deve quindi 36


considerare queste tre dimensioni e le loro interrelazioni reciproche e con l’ambiente (fig. 1.2).

Dimensione psicologica: motivazioni, emozioni, pensieri, valori Dimensione biologica: geni, neurochimica, ormoni

Dimensione sociale: ruoli, relazioni

Ambiente fisico: scarsità di risorse versus abbondanza di risorse Ostile versus benevolente Ambiente sociale: cooperativo versus competitivo Accudente versus ostile

Fig. 1.2. La natura multidimensionale del perdono: interazioni biopsicosociali e ambientali (Gilbert, 2005)

Gilbert (2005) elabora un modello biopsicosociale della compassione che può essere utilizzato anche per la comprensione del perdono.Fig. Comportamenti come ladelcompassione e biopsicosociali il perdonoe sono il risultato 1.2. La natura multidimensionale perdono: interazioni ambientali dell’interazione complessa tra le caratteristiche genetiche dell’individuo, che guidano la costruzione delle strutture fisiologiche, e l’esperienza nei contesti sociali, che modella l’identità e l’espressione del corredo genetico. I geni e gli apprendimenti, secondo l’autore, costrui(2005) elabora un modello biopsicosociale della compassione che può(fenotipi) essere utilizzato scono i Gilbert sistemi fisiologici e le strutture interne da cui i tratti anche Secondo per la comprensione del perdono. Comportamenti come la compassione e il proprieperdono sono il emergono. l’autore la compassione costituisce una risultato dell’interazione tra leassumere caratteristiche varie geneticheforme dell’individuo, che guidano la tà fenotipica della mentecomplessa che può in relazione costruzione delle strutture fisiologiche, e l’esperienza nei contesti sociali, che modella l’identità e all’interazione con l’ambiente. L’esperienza può modellare la mente l’espressione del corredo genetico. I geni e gli apprendimenti, secondo l’autore, co-costruiscono e favorire o meno lo sviluppo delle infrastrutture bio-psicologiche che i rendono possibile provare compassione, empatia e perdonare (Gilbert 27 & Irons, 2005). 37


Dal punto di vista evoluzionistico, il perdono, come la compassione, è un comportamento funzionale alla sopravvivenza della specie, in quanto salvaguarda la durata e la qualità delle relazioni con gli altri, favorendone la riparazione e incrementando la probabilità di ricevere cooperazione ed aiuto dall’esterno; è quindi ragionevole pensare che la selezione naturale abbia favorito le caratteristiche genetiche che facilitano la capacità di perdonare. Per spiegare come avviene l’interazione tra sistemi fisiologici orientati dai geni e i sistemi cognitivi, emotivi, motivazionali che guidano le azioni momento per momento, in relazione con l’ambiente, Gilbert ipotizza l’esistenza di sistemi sensibili ai segnali esterni che riconoscono stimoli chiave (cibo, amici) e forniscono una risposta (es. uno stimolo pauroso attiverà risposte di attacco/fuga). Tali sistemi, per perseguire le loro finalità costruirebbero strategie implicite che orientano le persone, a cui corrispondono, a livello psicologico, le motivazioni e le emozioni. Differenti complessi di motivazioni, emozioni, modi abituali di processare le informazioni e comportamenti danno luogo a diversi pattern di attività neurofisiologica che Gilbert chiama “mentalità sociali”, le quali sono alla base della co-creazione dei ruoli sociali (stimolare cura, dare cura, formazione di alleanze, creazione di ranghi sociali, relazioni sessuali). Per perseguire gli scopi biosociali connessi alle varie mentalità sociali gli individui utilizzano differenti strategie tese a creare particolari ambienti sociali, influenzando la mente degli altri: ad esempio, la dominanza aggressiva tende ad indurre sottomissione timorosa negli altri; segnali di stress attivano comportamenti di accudimento, cure attente e calde da parte dei genitori attivano comportamenti di attaccamento. Questi diversi modi di stare al mondo hanno livelli differenti di successo, in termini di sopravvivenza e riproduzione; in particolari ambienti determinate strategie sono più funzionali di altre. A seconda che il contesto ambientale esterno sia minaccioso o sicuro, gli individui utilizzano diversi sistemi di risposte che coinvolgono emozioni, pensieri, comportamenti (fig.1.3).

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Sistemi di risposte attivati

Strategie non sociali

Strategie sociali (funzionano solo se ci sono altri con cui co-creare i ruoli)

Sistema minaccia-difesa (si attiva quando l’ambiente è percepito minaccioso)

Attive: aggressione, persecuzione, fuga, evitamento attivo, ricerca di sicurezza

Attive: ricerca di protezione e rassicurazione, rituali di gruppo

Passive: congelamento, immobilizzazione, dissociazione, evitamento passivo

Passive: sottomissione

Attive: interesse, esplorazione, creatività, apertura

Attive: esplorazione sociale, affiliazione, gioco

Passive: calma, rilassamento

Passive: tolleranza

Sistema della sicurezza (si attiva quando l’ambiente è percepito come sicuro)

Fig. 1.3. Le risposte degli individui a seconda dell’ambiente minaccioso versus sicuro (adattato da Gilbert, 2005)

In un ambiente minaccioso prevarranno la ricerca di protezione e rassicurazione, la sottomissione, le aggressioni ritualizzate; in un ambiente sicuro saranno favoriti l’esplorazione sociale, l’affiliazione, il gioco, la tolleranza. Quando viene attivato il sistema relativo alla minaccia, si attiva il sistema limbico insieme ad una serie di emozioni negative adattive, come la rabbia, che facilita l’attacco per affrontare lo stimolo minaccioso, la paura, che consente la fuga dallo stimolo minaccioso, il disgusto, che permette di evitare o respingere lo stimolo minaccioso, la tristezza, che consente di gestire la perdita. A volte le stesse emozioni difensive possono essere colte dalle persone come una minaccia. La minaccia attiva una serie di comportamenti tra cui: indagare, proteggere, evitare, soggiogare, perseguitare. Le persone possono adottare questi orientamenti difensivi anche nei confronti di se stessi, sviluppando odio verso di sé (Gilbert et al., 2004; Gilbert & Irons, 2005); questo contesto non favorisce la compassione e il perdono. 39


Quando le persone percepiscono l’ambiente come sicuro attivano il sistema esplorativo e il sistema affiliativo, inoltre sviluppano capacità cognitive flessibili e integrate, focalizzate sull’altro oltre che su se stessi. Questo contesto favorisce la maturazione delle competenze e dell’assetto motivazionale alla base della compassione e del perdono. L’attivazione dei differenti sistemi è mediata da diversi neurotrasmettitori ed è associata a determinati affetti che fungono da motivatori. Il sistema relativo all’esplorazione, che si attiva in condizioni di sicurezza, è mediato dalla dopamina ed è associato ad affetti positivi. Se l’esplorazione è bloccata hanno origine affetti negativi, come la frustrazione, la tristezza o la paura. Il sistema minaccia–difesa è mediato dalla serotonina, mentre il sistema affiliativo è mediato dagli oppiacei. L’ossitocina e la vasopressina sono importanti nel calore interpersonale (fig. 1.4).

Sistema esplorativo

Sistema affiliativo

dopamina

oppiacei

Sistema relativo alla minaccia serotonina

Fig. 1.4. Interazione tra sistema esplorativo, sistema affiliativo, sistema focalizzato sulla minaccia e sistema di regolazione degli affetti. Fig. 1.4. Interazione tra sistema esplorativo, sistema affiliativo, sistema focalizzato sulla minaccia e sistema di regolazione degli affetti.

Secondo Gilbert, la compassione e la capacità di perdonare sono Secondo Gilbert, la compassione e la capacità di perdonare sono qualità emergenti della mente qualità emergenti mente legatedall’altra da unaall’esperienza parte al ditemperamento inlegate da una parte aldella temperamento individuale, un ambiente relazionale dividuale, dall’altra all’esperienza di un ambiente relazionale sicuro, sicuro, affettuoso, caldo, attento (vedi cap. 6 sull’attaccamento). affettuoso, caldo, attento (vedi cap. 6 sull’attaccamento). 40


Storia dell’attaccamento Ambiente relazionale minaccioso

Sistema relativo alla minaccia/difesa: attaccofuga, sottomissione, tendenza ad aggrapparsi

Mentalità sociale: competizione per il rango sociale e per le risorse

Ricerca di un rango alto: focalizzato su di sé, evitante, sfruttatore, aggressivo Ricerca di un rango basso: focalizzato su di sé, sottomesso, ansioso, tende ad aggrapparsi agli altri

Difficoltà nell’esperire compassione, si ritira, non tollera il dolore proprio e altrui, difficoltà ad autorassicurarsi, difficoltà a perdonare

Ambiente relazionale sicuro e attento

Sistema relativo alla sicurezza: interesse sociale e coinvolgimento sociale positivo

Mentalità sociale: cura per sé e per gli altri, sicurezza negli ambienti sociali e con se stesso

Affiliazione sociale: preoccupazione per la qualità delle relazioni, per il benessere degli altri, capace di esprimere calore, investire nelle relazioni, mutualità

Capacità di empatia e compassione per gli altri e per sé. Capacita di essere autoprotettivo, capacità di perdonare gli altri e se stesso.

Fig. 1.5. Storia dell’attaccamento e maturazione di abilità relative alla compassione e al perdono (Gilbert, 2005)

Fig. 1.5. Storia dell’attaccamento e maturazione di abilità relative alla compassione e al perdono

L’esperienza di un ambiente da cui ricevere e calore permette inoltree lo svilupp L’esperienza di unsicuro ambiente sicuro protezione da cui ricevere protezione

dicalore capacitàpermette cognitive complesse chedi possono esserecognitive utilizzate incomplesse diversi contesti socia inoltre loe flessibili sviluppo capacità

e flessibili che possono essere diversi contesti sociali fafavorendo l’empatia, la compassione e ilutilizzate perdono, trainqueste rivestono un’importanza particolare l vorendo seguenti:

l’empatia, la compassione e il perdono, tra queste rivestono particolare seguenti: 1)un’importanza elaborazione di una teoria dellalemente. La possibilità di perdonare è strettamente legata all 1) elaborazione di una teoria della mente. La possibilità di perdocapacità di comprendere il punto di vista dell’offensore e di identificarsi nella sua sofferenza; i nare è strettamente legata alla capacità di comprendere il punto altre parole all’abilità di comprendere come può funzionare la mente degli altri, cosa motiva il lor di vista dell’offensore e di identificarsi nella sua sofferenza; 41

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in altre parole all’abilità di comprendere come può funzionare la mente degli altri, cosa motiva il loro comportamento, quali sono i loro valori, le loro conoscenze e fare inferenze del tipo “io penso che tu pensi che lei pensa…”. Il punto di partenza della teoria della mente, sulla quale basiamo la conoscenza degli altri, è l’assunto che gli altri siano più o meno simili a noi, e più o meno pensano e sentono come noi. Un passo successivo cruciale per la teoria della mente è la capacità di ipotizzare che gli altri potrebbero avere sentimenti e pensieri differenti dai nostri; 2) rappresentazione simbolica di sé e dell’altro. La rappresentazione simbolica di sé e dell’altro consiste nella capacità di immaginare sé (o l’altro) come un oggetto e darvi valore; 3) Capacità di metacognizione. La metacognizione consiste nell’abilità di riflettere sul proprio pensiero e sui propri sentimenti. La metacognizione ci permette di riconoscere discrepanze nei nostri pensieri, intuizioni o conoscenze implicite e modificarle. Attraverso le metacognizioni possiamo riflettere sul probabile risultato delle nostre azioni e considerare le implicazioni future dei nostri comportamenti o fare simulazioni; ciò è importante per lo sviluppo dell’empatia. Le abilità cognitive descritte sopra permettono di creare modelli interni della realtà e del legame tra gli eventi, in modo da poter formulare attribuzioni, credenze, spiegazioni ed aspettative; inoltre ci permettono di riflettere su tali modelli ed eventualmente modificarli. Tali competenze rivestono un ruolo fondamentale nell’agevolare od ostacolare il processo del perdono, in quanto influenzano le emozioni e le risposte comportamentali relative agli eventi. Per esempio, è più facile perdonare se si è in grado di riflettere sulla propria responsabilità o se si attribuisce l’offesa ad un errore piuttosto che ad una intenzionalità malevola. Lo stile attribuzionale e il sistema di credenze sono influenzati anche dai valori individuali, dallo stile di personalità (cap. 6) e dal background culturale. In conclusione, facendo riferimento al modello biopsicosociale di Gilbert (2005), possiamo considerare il perdono come frutto di una proprietà emergente della mente che dipende dall’interazione di sistemi genetici, psicologici, esperienze della prima infanzia e dinamiche sociali. Questa definizione integra diverse dimensioni e le loro in42


terrelazioni reciproche, cogliendo il perdono nella sua complessità e multifattorialità.

1.5 Perdono e ricerca: metodi e strumenti di studio Nonostante le differenze nelle varie definizioni di perdono presenti in letteratura, un punto di consenso sembra essere l’avere individuato la caratteristica principale del perdono in un cambiamento in senso prosociale delle risposte verso l’offensore da parte dell’offeso (McCullough, Pargament & Thoresen, 2000). Questo cambiamento, che costituisce l’essenza del perdono, è l’oggetto principale su cui si è focalizzata la ricerca scientifica. Nella letteratura teorica ed empirica sono presenti vari modelli per lo studio del perdono inteso come cambiamento. 1) L’approccio cross-sectional allo studio del cambiamento derivante dal perdono utilizza questionari self-report. I soggetti vengono invitati a pensare ad una persona che li ha feriti nel passato e a rispondere a domande riguardanti i loro pensieri e sentimenti attuali verso l’offensore. I ricercatori aggregano le risposte e interpretano i punteggi ottenuti come misure di quanto gli individui hanno perdonato i loro rispettivi trasgressori. Le differenze individuali possono poi essere correlate con caratteristiche che possono influenzare il perdono. Questo approccio presenta alcuni limiti, in quanto non tiene conto della gravità dell’offesa. 2) L’approccio della tabella a due entrate (Two-Wave Pannel Model) permette di misurare i pensieri, le emozioni, i comportamenti dei soggetti verso un offensore in due diverse situazioni. Confrontando il punteggio al tempo 1 e al tempo 2 si può avere una misura del cambiamento. McCullough e colleghi (2001) hanno usato questo modello per misurare il rapporto tra perdono, ruminazione e vendetta. Confrontando i punteggi relativi a due occasioni i ricercatori hanno trovato che i soggetti con alti punteggi nei comportamenti e nei pensieri relativi alla vendetta avevano una riduzione minore nella motivazione alla vendetta nei mesi successivi all’offesa rispetto agli individui con bassi punteggi. Questo modello ha diversi limiti: prende in conside43


razione solo il tempo intercorso tra le due misurazioni e non, per esempio, il tempo trascorso dall’offesa; inoltre la differenza tra la misurazione pre e post non tiene conto della diversa velocità di cambiamento dei soggetti. 3) I modelli multilivello di crescita lineare (Multilivel Linear Growth Models), chiamati anche gerarchici o misti, permettono di tener conto di più misurazioni, e possono registrare quanto tempo è trascorso tra ogni misurazione e il momento dell’offesa. Essi utilizzano un’equazione lineare che permette di: distinguere la variazione nella motivazione alla vendetta del soggetto rispetto al livello iniziale; tener conto del tempo trascorso tra ogni misurazione e l’offesa; separare il vero cambiamento dalla misura dell’errore. Modelli lineari più elaborati misurano le differenze interindividuali nel cambiamento della motivazione alla vendetta, collegandole ad alcuni tratti di personalità, come ad esempio il nevroticismo. 4) I modelli di crescita misti (Growth Misture Models) permettono di tener conto delle differenze qualitative nel cambiamento nella motivazione al perdono oltre a quelle quantitative, mentre i modelli multilivello non lineari (Multilevel Nonlinear Growth Models) permettono di analizzare il cambiamento nelle sue variazioni, diversamente dai modelli lineari che descrivevano il cambiamento con una retta. Uno dei limiti principali di una buona parte della ricerca sul perdono è il fatto che ha spesso utilizzato misurazioni singole, probabilmente per il maggiore peso, per partecipanti e ricercatori, che avrebbe comportato l’aggiunta di ulteriori metodi di misurazione. Ciò ha portato diversi problemi; uno di questi è che la maggior parte delle misurazioni sul perdono sono state ottenute attraverso questionari autosomministrati, che possono essere influenzati da variabili come l’acquiescenza e la desiderabilità sociale. Cattel sosteneva che le fonti dei dati dovrebbero essere diversificate e utilizzava l’acronimo LOTS per ricordare quattro classi di misure: eventi di vita (Life events data), dati provenienti dall’osservazione (Observational data), dati relativi a test (Test data) e dati ottenuti mediante questionari self report (Self-report data). Inoltre, lo studio del perdono riguarda più livelli: la possibilità di perdonare è infatti legata a numerose variabili riguar44


danti la situazione, come la gravità dell’offesa, la sua intenzionalità, la volontà del trasgressore di scusarsi. Le misurazioni multimodali permettono di ovviare a questi problemi. Esse includono due o più misure del perdono attraverso metodi di misura abbastanza differenti da fornire una prospettiva completa. Inoltre le misurazioni multimodali permettono di cogliere il perdono nella sua essenza interpersonale, considerandolo un processo transizionale tra due individui, e come tale caratterizzato da più determinanti, come caratteristiche dell’offeso, dell’offensore, della loro relazione, del tipo di offesa e della sua gravità. I test più usati per misurare il perdono situazionale, ossia relativo ad una specifica offesa, sono: l’Enright Forgiveness Inventory (EFI, Freedman & Enright, 1996), la Forgiveness subscale of the Interpersonal Relationship Resolution Scale (IRRSFS, Hargrave & Sells, 1997), la Forgiveness—Absence of Negative and Forgiveness—Presence of Positive Thoughts, Feelings and Behavior Scales (FS—AN and FS— PP, Rye et al., 2001), e la Transgression-Related Interpersonal Motivations Inventory (TRIM, McCullough & Hoyt, 2002); quest’ultimo è formato da 12 item divisi in due sottoscale di cui una misura la motivazione all’evitamento dell’offensore, la seconda la motivazione alla vendetta; inoltre comprende una scala a 6 items per valutare la motivazione alla benevolenza e alla riconciliazione. I test per misurare il perdono disposizionale, ossia come tratto relativamente stabile, sono la Disposition to Forgive Scale (DTFS, McCullough, Emmons & Tsang, 2002), la Forgiveness of Others Scale (FOOS, Mauger, Saxon, Hamill & Pannel, 1996), la Forgivingness Scale (Mullet et al., 2003), la Forgiveness Likelihood Scale (FLS, Rye et al., 2001), la Forgiveness–Non-Retaliation scale (FNRS, 16 F, Ashton, Paunonen, Helmes & Jackson, 1998), la Self-Described Experience of Forgiveness Scale (Walker & Doverspike, 2001), la Trait-Unforgiveness–Forgiveness scale (TUFS, Berry & Worthington, 2001), e la Transgression Narrative Test of Forgivingness (TNTF, Berry, Worthington, Parrott, O’Connor & Wade, 2001), la Trait Forgiving Scale (TSF), composta da 10 items (Berry et al., 2005); inoltre la Heartland Forgiveness Scale (HFS; Thompson et al., 2005), composta da tre sottoscale di cui una misura il perdono disposizionale degli altri, la seconda il perdono di sé e la terza il perdono delle situazioni. 45


Il progresso scientifico è spesso caratterizzato da una transizione da una visione statica ad una visione dinamica dei fenomeni; il maggior contributo della ricerca allo studio del perdono sta proprio nell’aver evidenziato l’aspetto processuale e dinamico del perdono piuttosto che intenderlo come una caratteristica statica dell’individuo. Ciò comporta importanti implicazioni sulla pratica clinica, in quanto focalizza l’attenzione sulle possibilità di cambiamento, a prescindere dal livello iniziale; le persone che cercano un aiuto professionale per perdonare spesso sono a bassi livelli di perdono e ogni piccolo cambiamento va considerato un progresso.

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Benson J., Gruppi. Organizzazione e conduzione per lo sviluppo personale e la psicoterapia, 20001, pp. 272 Beutler L.E. - Harwood T.M., Psicoterapia prescrittiva elettiva. La scelta del trattamento sistematico fondata sull’evidenza, 2002, pp. 224 Bozarth J.D., La terapia centrata sulla persona. Un paradigma rivoluzionario, 2001, pp. 240 Campanella V. - Fiori M. - Santoriello D., Disturbi mentali gravi. Modelli d’intervento pluralistico integrato dall’autismo alle psicosi, 2003, pp. 272 Chambon O. - Marie-Cardine M., Le basi della psicoterapia eclettica e integrata, 2002, pp. 288 Clarkson P., Gestalt - Counseling, 1999 II ediz., pp. 192 Clarkson P., La Relazione Psicoterapeutica integrata, 1996, pp. 392 Delisle G., I disturbi della personalità, 20001, pp. 224 Feltham C. - Dryden W. (a cura di E. Giusti), Dizionario di counseling, 1995, pp. 320 Fontana D., Stress Counseling. Come gestire gli stati personali di tensione, 1996, pp. 160 Frisch M.B., Psicoterapia integrata della qualità della vita, 2001, pp. 352 Giannella E., Palumbo M., Vigliar G., Mediazione familiare e affido condiviso. Come separarsi insieme, 2007, pp. 240 Giusti E. - Calzone T., Promozione e visibilità clinica. Motivare i pazienti ai trattamenti psicologici, 2006, pp. 288 Giusti E. - Carolei F., Terapie transpersonali. L’integrazione della spiritualità e della meditazione nei trattamenti pluralistici, 2005, pp. 336 Giusti E. - Chiacchio A., Ossessioni e compulsioni. Valutazione e trattamento della Psicoterapia Pluralistica Integrata, 2002, pp. 176 Giusti E. - Ciotta A., Metafore nella relazione d’aiuto e nei settori formativi, 2005, pp. 256 Giusti E. - Corte B., La terapia del per-dono, 2008, pp. 304 Giusti E. - Di Fazio T., Psicoterapia integrata dello stress. Il burn-out professionale, 2005, pp. 256 Giusti E. - Di Francesco G., L’autoerotismo. L’alba del piacere sessuale: dall’identità verso la relazione, 2006, pp. 208 Giusti E. - Di Nardo G., Silenzio e solitudine. L’integrazione della quiete nel trattamento terapeutico, 2006, pp. 240 Giusti E. - Frandina M., Terapia della gelosia e dell’invidia. Trattamenti psicologici integrati, 2007, pp. 224 Giusti E. - Fusco L., Uomini. Psicologia e psicoterapia della maschilità, 2002, pp. 464

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Nella stessa collana Giusti E. - Germano F., Etica del con-tatto fisico in psicoterapia e nel counseling, 2003, pp. 160 Giusti E. - Germano F., Terapia della rabbia. Capire e trattare emozioni violente d’ira, collera e furia, 2003, pp. 224 Giusti E. - Giordani B. Il formatore di successo, 2002, pp. 224 Giusti E. - Harman R. (a cura di), La psicoterapia della Gestalt, 1996, pp. 224 Giusti E. - La Fata S., Quando il mio terapeuta è un cane, 2004, pp. 448 Giusti E. - Lazzari A., Psicoterapia Interpersonale Integrata, 2003, pp. 160 Giusti E. - Lazzari A., Narrazione e autosvelamento nella clinica. La rivelazione del Sé reciproco nella relazione di sostegno, 2005, pp. 160 Giusti E. - Locatelli M., L’empatia integrata, 2007 (Nuova edizione), pp. 320 Giusti E. - Mancinelli L., Il counseling domiciliare, 2008, pp. 160 Giusti E. - Minonne G., L’interpretazione dei significati nelle varie fasi evolutive dei trattamenti psicologici, 2004, pp. 396 Giusti E. - Minonne G., Ricerca scientifica e tesi di specializzazione in psicoterapia, 2005, pp. 368 Giusti E. - Montanari C., Trattamenti psicologici in emergenza con EMDR per profughi, rifugiati e vittime di traumi, 2000, pp. 192 Giusti E. - Montanari C., La CoPsicoterapia. Due è meglio e più di uno in efficacia ed efficienza, 2005, pp. 320 Giusti E. - Nardini M.C., Gruppi pluralistici. Guida transteorica alle terapie collettive integrate, 2004, pp. 304 Giusti E. - Ornelli C., Role play. Teoria e pratica nella Clinica e nella Formazione, 1999, pp. 144 Giusti E. - Palomba M., L’attività psicoterapeutica. Etica ed estetica promozionale del libero professionista, 1993, pp. 128 Giusti E. - Perfetti E., Ricerche sulla felicità. Come accrescere il benEssere psicologico per una vita più soddisfacente, 2004, pp. 192 Giusti E. - Pitrone A., Essere insieme. Terapia integrata della coppia amorosa, 2004, pp. 240 Giusti E. - Pizzo M., La selezione professionale. Intervista e valutazione delle risorse umane con il modello pluralistico integrato, 2003, pp. 208 Giusti E. - Proietti M.C., La delega direzionale, 1996, pp. 112 Giusti E. - Proietti M.C., Qualità e formazione. Manuale per operatori sanitari e psicosociali, 1999, pp. 184 Giusti E. - Rapanà L., Narcisismo. Valutazione pluralistica e trattamento clinico integrato del Disturbo Narcisistico di Personalità, 2002, pp. 176 Giusti E. - Romero R., L’accoglienza. I primi momenti di una relazione psicoterapeutica, 2005, pp. 176 Giusti E. - Sica A., L’epilogo della cura terapeutica. I colloqui conclusivi dei trattamenti psicologici, 2005, pp. 160 Giusti E. - Surdo V., Affezione da Alzheimer. Il trattamento psicologico complementare per le demenze, 2004, pp. 144 Giusti E. - Taranto R., Super Coaching tra Counseling e Mentoring, 2004, pp. 352

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Nella stessa collana Giusti E. - Testi A., L’Autostima. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 224 Giusti E. - Testi A., L’Assertività. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 224 Giusti E. - Testi A., L’Autoefficacia. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 96 Giusti E., Essere in divenendo. Integrazione pluralistica dell’identità del Sé, 2001, pp. 144 Giusti E., Autostima, psicologia della sicurezza in Sé, 20055, pp. 200 Giusti E., Videoterapia. Un ausilio al Counseling e alle Arti-Terapie, 1999, pp. 176 Giusti E., Tecniche immaginative. Il teatro interiore nelle relazioni d’aiuto, 2007, pp. 272 Gold J.R., Concetti chiave in psicoterapia integrata, 2000, pp. 268 Goldfried M.R., Dalla terapia cognitivo-comportamentale all’integrazione delle psicoterapie, 2000, pp. 288 Greenberg L.S. (et al.), Manuale di psicoterapia esperienziale integrata, 2000, pp. 576 Greenberg L.S. - Paivio S.C., Lavorare con le emozioni in psicoterapia integrata, 2000, pp. 368 Manucci C. - Di Matteo L., Come gestire un caso clinico, 2004 Murgatroyd S., Il Counseling nella relazione d’aiuto, 20001, pp. 192 Perls F., Qui & ora. Psicoterapia autobiografica, 1991, pp. 256 Persons J.B. - Davidson J. - Tompkins M.A., Depressione. Terapia cognitivo-comportamentale. Componenti essenziali, 2002, pp. 288 Preston J., Psicoterapia breve integrata, 2001, pp. 256 Reddy M., Il Counseling aziendale. Il Manager come Counselor, 1994, pp. 176 Santostefano S., Psicoterapia integrata. Per bambini e adolescenti. Vol. I: “Metateoria pluralistica”, 2002, pp. 400 Santostefano S., Psicoterapia integrata. Per bambini e adolescenti. Vol. II: “Tecnologia applicativa”, 2003, pp. 384 Spalletta E. - Quaranta C., Counseling scolastico integrato, 2002, pp. 352

Videodidattica per le psicoterapie scientifiche dell’American Psychological Association • Video Psicoterapia Psicodinamica Breve D.K. Freedheim + Libro Psicoterapia breve integrata di J. Preston € 120,00 • Video Psicoterapia Cognitiva-Affettiva Comportamentale Prof. M.R. Goldfried + Libro Dalla Terapia cognitivo-comportamentale all’Integrazione delle Psicoterapie € 120,00 • Video Psicoterapia Processuale Esperienziale L.S. Greenberg + Libro Manuale di Psicoterapia Esperienziale Integrata € 132,00 • Video La Terapia Centrata sul Cliente N.J. Raskin + Libro La Terapia Centrata sulla Persona di J.D. Bozarth € 120,00

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Nella stessa collana • Video EMDR per Traumi: Movimento oculare Desensibilizzante e Rielaborazione F. Shapiro + Libro Trattamenti Psicologici in Emergenza di E. Giusti, C. Montanari € 118,00 • Video La Terapia Eclettica Prescrittiva J.C. Norcross + Libro Psicoterapia Prescrittiva Elettiva, fondata sull’evidenza di Beutler/Harwood € 120,00 • Video Psicoterapia Multimodale A.A. Lazarus + Libro Le basi della Psicoterapia Eclettica ed Integrata di Chambon - Cardine € 125,50 • Video Psicoterapia Infantile J. Annunziata + Libro Counseling Scolastico Integrato di E. Spalletta, C. Quaranta € 122,00 • Video Ipnoterapia Ericksoniana J.K. Zeig + Libro Ipnosi e Psicoanalisi, collisioni e collusioni di L. Chertok € 120,00 • 2 Video Il Counseling breve in azione J.M. Littrell + Libro Il Counseling breve in Azione di J.M. Littrell € 122,00 • Video Psicoterapia Esperienziale A. Mahrer + Libro Lavorare con le emozioni in Psicoterapia Integrata di Greenberg/Paivio € 127,50 • 5 Videocassette Terapia Cognitivo-Comportamentale per la Depressione per l’autoformazione didattica, libro di G.B. Persons, Costo complessivo: € 275,00 • Video Psicoterapia Comportamentale con paziente ossessivo-compulsivo S.M. Turner + Libro Ossessione e Compulsioni, Valutazione e Trattamento di Edoardo Giusti, Antonio Chiacchio € 127,50 • Video Psicoterapia Pratica con Adolescenti A.K. Rubenstein + Due Libri Psicoterapia Integrata per bambini e adolescenti di Sebastiano Santostefano € 155,00 • Video Psicoanalisi con paziente schizofrenico B. Karon + libro Disturbi mentali gravi di V. Campanella - M. Fiori - D. Santoriello € 120,00 • Video Come gestire il transfert erotico in psicoterapia AA.VV. + libro Etica del contatto fisico di E. Giusti - F. Germano € 115,00 • Video Psicoterapia Interpersonale Ricostruttiva Lorna Smith Benjamin + libro Psicoterapia Interpersonale Integrata di E. Giusti - A. Lazzari € 118,00 • Video Come gestire la rabbia dei pazienti in psicoterapia AA.VV. + libro Terapia della rabbia di E. Giusti - F. Germano € 118,00

Edizioni ASPIC • Video Terapia della Gestalt individuale in gruppo Ginger/Masquelier + libro Psicoterapia della Gestalt di E. Giusti - V. Rosa € 130,00

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Nella stessa collana

EDIZIONE SOVERA STRUMENTI Elliott R. - Watson J.C. - Goldman R.N. - Greenberg L.S., Apprendere la terapia focalizzata sulle emozioni. L’approccio esperienziale orientato al processo per il cambiamento, in corso di stampa, pp. 368 Giusti E., Montanari C., Iannazzo A., Psicodiagnosi integrata. Valutazione transitiva e progressiva del processo qualitativo e degli esiti nella psicoterapia pluralistica fondata sull’evidenza obiettiva, 2006, pp. 580 Giusti E., Bonessi A., Garda V., Salute e malattia psicosomatica. Significato, diagnosi e cura, 2006, pp. 240 Giusti E., Germano F.., Psicoterapeuti generalisti. Competenze essenziali di base: dall’adeguatezza verso l’eccellenza, 2006, pp. 256 Giusti E., Pacifico M., Staffa T., L’intelligenza multidimensionale per le psicoterapie innovative, 2007, pp. 400 Giusti E. - Tridici D., Smoking. Basta davvero, 2009, pp. 224 Goodheart C.D. - Kazdin A.E. - Sternberg R.J., Psicoterapia a prova di evidenza. Dove la pratica e la ricerca si incontrano, in corso di stampa Norcross J.C., Beutler L.E., Levant R.F., Salute mentale: trattamenti basati sull’evidenza. Dibattiti e dialoghi sulle questioni fondamentali, 2006, pp. 464 Spalletta E., Germano F., MicroCounseling e MicroCoaching. Manuale operativo di strategie brevi per la motivazione al cambiamento, 2006, pp. 480 Wolfe B.E., Trattamenti integrati per disturbi d’ansia. La cura del Sé ferito, 2007, pp. 304

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