Fisiognomica clinica

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Edoardo Giusti - Daniela Cadamuro



collana Psicoterapia & Counseling diretta da Edoardo Giusti PSICOTERAPIA�

COUNSELING�

67 Centro Europeo di Ricerche per lo Studio delle Psicoterapie Integrate e Comparate



Edardo Giusti - Daniela Cadamuro

FISIOGNOMICA CLINICA Volti e facce in psicoterapia

OVERA EDITORE


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Sommario

Introduzione

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PRIMA PARTE: ORIGINE E SVILUPPI DELLA FISIOGNOMICA

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1.1. Fisiognomica: “legge” o “conoscenza” della natura? 1.2. Fisiognomica nel pensiero greco: i “temperamenti” e la “simmetria” 1.3. Dal Medioevo all’ermetismo: microcosmo come “segno” del macrocosmo 1.4. Rinascimento: canoni e politica 1.5. Illuminismo: fra fisiognomica e patognomica 1.6. Positivismo, evoluzionismo, antropologia criminale e teoria delle razze 1.7. La modernità della fisiognomica SECONDA PARTE: IL PANORAMA CONTEMPORANEO 2.1. 2.2. 2.3. 2.4. 2.5. 2.6. 2.7. 2.8.

Studi psicologici delle espressioni facciali Morfopsicologia Psicoterapia biofunzionale-corporea e bioenergetica Enneagramma Programmazione neurolinguistica Psicofisiologia psicodinamica Il face reading La visologia: un approccio innovativo alla salute. Spunti per una riflessione 2.9. L’espressione delle emozioni nel linguaggio informatico

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43 45 51 57 65 79 85 93 97 103


TERZA PARTE: METAMODELLO UMANISTICO-ESISTENZIALE 109 3.1. Obiettivi della terapia e fattori che generano il cambiamento 3.2. L’intervento terapeutico 3.3. Funzioni della lettura del “non verbale” in terapia 3.4. Verso il culto dell’immagine o della personalità? Una possibile integrazione QUARTA PARTE: APPLICAZIONI CLINICHE DELLA FISIOGNOMICA 4.1. 4.2. 4.3. 4.4. 4.5.

Le emozioni e le loro espressioni Emozioni complesse: la mimica del sorriso Elementi strutturali osservabili durante i primi colloqui Caratteristiche somatiche e tratti di personalità Modificazioni di segni rapidi e interruzioni del ciclo del contatto 4.6. Modificazioni osservabili durante il percorso terapeutico 4.7. La psicologia della prima impressione: un contributo per superare la “fisiognomica spontanea”

117 119 129 131

135 139 153 163 187 209 223 225

Conclusioni

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Bibliografia

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Introduzione

L’abilità nella comunicazione è una competenza che influenza in modo pervasivo quasi ogni attività dell’uomo; facilita ogni relazione, in genere molto più di quanto non se ne sia consapevoli. Essere capaci di comunicare efficacemente rende più facile raggiungere ogni obiettivo che ci si prefigga, e non solo nelle professioni dove ciò è evidente, come nel caso di psicologi, insegnanti o comunque di tutte le persone che svolgono attività che le portano a contatto con altri. La qualità di ogni rapporto interpersonale dipende strettamente dalla qualità della comunicazione, tanto che questa condiziona ogni aspetto della vita: sociale, relazionale, affettiva e professionale. Ne consegue che da sempre si è indagato sulle modalità e le regole alla base della comunicazione, sui fattori che facilitano l’acquisizione di una competenza comunicativa. Nella ricerca di questi fattori è sempre stata individuata la capacità di comprendere nel modo più preciso possibile l’altro, le sue caratteristiche, i tratti caratteriali; di sapere cioè «al primo sguardo» chi si ha di fronte. Più tale valutazione, quasi sempre inconsapevole, è esatta, più è probabile che la qualità della comunicazione sia elevata. Ma «al primo sguardo», prima che si dica alcunché, cosa è possibile osservare? L’aspetto fisico, e soprattutto le caratteristiche del volto. Già da questa iniziale e rapida osservazione si formula una prima valutazione, si pone l’interlocutore in una categoria; e ciò avviene sempre, che se ne abbia o meno l’intenzione. Che lo si voglia o no, dunque, ogni volta che si comunica si utilizzano le leggi della fisiognomica o fisiognomia. Non stupisce perciò che da sempre si indaghi quali siano i parametri che rendono possibile, osservando un volto, costruire un giudizio che influenzerà la successiva comunicazione e relazione. 7


Anche se per la prima volta troviamo il termine fisiognomica nel Corpus Ippocraticum, vi sono altre fonti che attestano come filosofi precedenti ad Ippocrate si siano occupati di fisiognomia (fra questi Antistene, vissuto fra il V e il IV sec. a.C.). I trattati più antichi che si conoscono di questa disciplina risalgono all’epoca paleo-babilonese, cioè intorno al XVII secolo a.C., in Mesopotamia, dove sono state rinvenute tavolette in caratteri cuneiformi con tali dettagli da permettere di stabilire con sufficiente sicurezza che i contenuti rappresentassero una conoscenza ancora più antica. Scopo di questo testo è individuare i parametri e le leggi proprie della fisiognomica, che al di là del sistema filosofico o teoria scientifica che li sottende, sono praticamente rimasti invariati dalle origini. Per una disciplina così antica, all’interno della quale variano le teorie che la supportano, ma non le conclusioni a cui giungono, riteniamo sia doveroso iniziare con una esposizione di quelli che sono stati i maggiori contributi dei più grandi filosofi, artisti e medici di ogni epoca. Nella seconda parte verranno descritti i modelli contemporanei che si occupano direttamente o meno di questa disciplina. Qui sarà possibile conoscere i presupposti teorici e i relativi strumenti pratici utilizzati per l’osservazione di quelle caratteristiche del volto che, guidando l’elaborazione percettiva, rendono possibile formulare una prima ipotesi su chi sia l’altro. La terza parte illustrerà i principali paradigmi della «Terza Forza» della psicologia che più di altri modelli può essere un contesto in cui è maggiormente agevole raccogliere ed organizzare tutti i contributi messi a disposizione delle differenti teorie che si occupano di fisiognomica. L’ultima parte, raccogliendo tutti i contributi precedenti, cercherà di fornire elementi che possano essere utili nella pratica delle professioni d’aiuto con molteplici obiettivi: ampliare le abilità diagnostiche individuando delle precise relazioni di significato fra tratto somatico e personalità, quando non addirittura fra tratto e disagio o patologia; abilità nel cogliere ed attribuire significato alle repentine modificazioni somatiche in fase di colloquio affinché si possa disporre di maggiori informazioni sul vissuto interno del cliente; monitorare l’efficacia dell’intero percorso terapeutico o di sostegno

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PRIMA PARTE ORIGINE E SVILUPPI DELLA FISIOGNOMICA



1.1. Fisiognomica: «legge» o «conoscenza» della natura?

L’indagine etimologica del termine fisiognomica apre un primo interrogativo e individua la più importante dicotomia sui possibili differenti approcci teorici che si incontrano in tale disciplina. Sulla prima delle due parole che compongono questo termine non vi sono interpretazioni possibili: phisis designa la natura. Non altrettanto univoca è invece l’individuazione del significato della radice del secondo termine: gnomon che designa colui che giudica e interpreta. Sicuramente la fisiognomica è la disciplina che interpreta la natura; ma questo giudizio su cosa è fondato? Gnomon infatti può derivare tanto da nomos (legge) quanto da onoma (conoscenza). Nel primo caso dunque la fisiognomica è theoria, individua «leggi» che ordinano tutta la natura in un sistema coerente dove ogni elemento possiede un legame omologico con le categorie che lo includono o che esso stesso include; da tali leggi si procede con un sistema di deduzione logica, si riconducono i segni particolari ad un principio universale. Nel secondo caso invece la fisiognomica è techne, osservazione empirica degli oggetti della natura, nel nostro caso la conformazione del corpo e soprattutto del volto, e, tramite un procedimento induttivo, ricerca di eventuali rapporti d’isomorfismo fra segno e significato. Dall’antichità fino a tempi recenti a quest’ultima posizione derivano le discipline legate alla medicina: da quella greca, come si può constatare negli scritti ippocratici, fino a quella contemporanea; alla prima, invece, i maggiori filosofi della nostra civiltà, da Pitagora e Aristotele fino alle più importanti figure dell’ermetismo e dell’Umanesimo. Questi differenti modi di considerare la fisiognomica danno la misura di come, fin dall’antichità, fossero presenti due approcci nei confronti delle caratteristiche fisiche come segni portatori di un preciso significato: una visione che potremmo definire filosofica contrapposta ad una altra scientifica. 11


Entrambe queste posizioni, tuttavia, convergono e si incontrano laddove legittimano l’assunto che fra caratteristica fisica, sia permanente (tonica) che mutevole (fasica), e carattere vi sia una relazione non casuale. Su questo assunto poggiano tutte le teorie, da quelle filosofiche del mondo classico fino a quelle contemporanee della morfopsicologia, che indagano sul significato dei segni di cui il volto umano è portatore.

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1.2. Fisiognomica nel pensiero greco: i «temperamenti» e la «simmetria»

«Tutto ciò che è buono è bello, e la bellezza non è priva di simmetria: dunque anche l’essere vivente, per essere tale, dev’essere simmetrico.» Platone, Timeo, 87c

Nel VI secolo a.C. Pitagora, in coerenza con la necessità di individuare una legge di natura che rendesse possibile ricondurre il mondo manifesto ad un unico principio, sistematizza una metafisica basata sulla matematica. Dal numero uno discendono categorie che legittimano l’aspetto duplice della natura: quello molteplice, così come la natura appare ai nostri sensi, e quello unitario, che sottende e ordina la molteplicità. Secondo la successiva interpretazione platonica l’universo è messo in moto da un Demiurgo, creatore dello Spazio e del Tempo, attraverso la rotazione di una croce degli elementi che nelle varie manifestazioni si combinano tra loro. Probabilmente fu Empedocle che pose la tetrade pitagorica dei quattro elementi alla base della teoria umorale. Tale corrispondenza venne ripresa ed ampliata nel IV secolo a.C. dal genero d’Ippocrate, Polibo, per raggiungere la sua forma definitiva con Galeno nel II secolo a.C. Polibo prima e Galeno poi fecero dunque corrispondere ai quattro elementi – aria, fuoco, acqua e terra – quattro umori: sangue, bile gialla, flegma e bile nera (Fig. 1).

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(Fig. 1. I quattro elementi e i quattro umori)

La teoria umorale rimarrebbe però priva di senso se gli umori, a loro volta, non fossero in un rapporto di corrispondenza con i «temperamenti» e i tratti costituzionali a loro propri. La collocazione ideale del temperamento sembra essere tra la costituzione (fisica) ed il carattere (psichico), e sembra costituire un ponte tra la struttura costituzionale e gli aspetti comportamentali. È la prevalenza di un elemento, e di conseguenza di un umore, a determinare un particolare temperamento. Quando il principale umore è la bile nera l’individuo avrà un temperamento malinconico e sarà riconoscibile per la magrezza, l’incarnato scuro e per la timidezza, l’indolenza e la stabilità (elemento terra) (Fig. 2). Tende ad assumere un portamento curvo, con spalle inclinate in avanti e una gestualità insicura. Il temperamento malinconico è dotato di elevata forza e scarsa sensibilità agli stimoli esterni, il che comporta una capacità non indifferente di tenere fermi i propri propositi e di perseguire con tenacia i propri obiettivi, senza farsi distrarre dagli eventi esterni. L’individuo malinconico tende a chiudersi in se stesso, ed ha elevate capacità di introspezione e di riflessione. L’età nella quale si accentua naturalmente la componente malinconica del temperamento è quella adulta.

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(Fig. 2)

(Fig. 3)

La bile gialla individuerà una persona collerica, dall’incarnato giallognolo, dalla struttura fisica esile, e dal carattere instabile (elemento fuoco), violento ma perspicace (Fig. 3). Il temperamento collerico rappresenta il lato “forte” dei temperamenti umani, ma l’individuo risulta limitato dalle sue tendenze reattive, ed il fatto che il suo temperamento sia dotato tanto di forza quanto di sensibilità agli stimoli esterni non lo mette al riparo dalla sua reattività, che lo rende impetuoso e irriflessivo. L’individuo collerico persegue con determinazione i suoi obiettivi e ha numerosi interessi, ma soffre di eccessi comportamentali, mancando di riflessività. L’età nella quale si accentua naturalmente la componente collerica del temperamento è quella giovanile. La predominanza di sangue produce un temperamento sanguigno, riconoscibile per la struttura robusta il colorito roseo ed il carattere amabile (Fig. 4). 15


Pertanto, il temperamento sanguigno, caratterizzato da elevata sensibilità agli stimoli esterni e da scarsa forza interna, si caratterizza con la volubilità (elemento aria) degli interessi e l’amore per il cambiamento. L’individuo sanguigno si infiamma facilmente per un nuovo “oggetto di desiderio”, ed altrettanto rapidamente se ne stanca, distaccandosi dall’attività precedentemente intrapresa. La tendenza al cambiamento può diventare frenesia, mentre la capacità di riflessione risulta piuttosto modesta. L’età nella quale si accentua naturalmente la componente sanguigna del temperamento è quella infantile.

(Fig. 4)

Quando in un individuo predomina flegma si avrà un tempera-a mento flegmatico caratterizzato dal pallore, dalla pinguitudine e da un carattere triste (Fig. 5). Nel temperamento flemmatico, caratterizzato da scarsa forza (elemento acqua) e scarsa sensibilità agli stimoli esterni, prevale la tendenza alla pigrizia e alla vita vegetativa: l’individuo flemmatico ama mangiare, e si sente in pace quando riposa. Non ama le attività ad alto dispendio di energia, mentre non disdegna quelle che richiedono una certa precisione e 16

(Fig. 5)

(Fig. 5)


meticolosità, come il collezionismo. L’età nella quale si accentua naturalmente la componente flemmatica del temperamento è quella senile. Carotenuto1 osserva come ancora oggi «ci serviamo di espressioni correnti che a quelle teorie rimandano, come «essere di buon umore».» Questo termine ha un utilizzo anche in ambito scientifico; nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) è presente infatti la categoria dei «disturbi dell’umore». Secondo Platone la validità della fisiognomica come scienza è garantita dall’esistenza delle Idee, archetipi, entità universali gerarchicamente ordinate al principio del Bene e del Bello, che rappresentano l’essenza invariante delle cose. Tale rapporto gerarchico lega fra loro anima e corpo; per Platone dunque, come poi per Aristotele, fra corpo ed anima vi è una correlazione per cui il primo è «segno» della seconda. Vista l’impossibilità di leggere direttamente l’anima, per poterla conoscere è necessario leggere il corpo. Cogliendo le caratteristiche del corpo e il temperamento che esse indicano, è possibile stabilire quale umore e di conseguenza quale elemento predomini sia nel corpo che nell’anima che è sottintesa. Da queste premesse deriva una posizione dove etica, estetica e medicina si incontrano fino a sovrapporsi: se un corpo, un viso sono piacevoli ed armonici, ciò avviene nella misura in cui anche l’anima che si cela dietro tali forme è armonica e piacevole. In tal caso il corpo, oltre ad esprimere piacevolezza, sarà anche portatore di salute in quanto: «produrre sanità significa disporre gli elementi del corpo in un sistema di dominanti e di dominati conforme alla natura; produrre malattia disporli in un sistema di governanti e governati contrario alla natura»2. Vi è armonia e salute quando fra i differenti elementi che compongono il corpo vi è un rapporto corretto. Per il filosofo l’armonia, il Bello si trova nella simmetria, nel giusto equilibrio fra i diversi elementi. Un viso armonioso sarà dunque segno di una analoga anima e questa armonia deriverà da un corretto equilibrio degli elementi che li compongono. Aristotele insisterà particolarmente sul fatto che l’anima armoniosa sarà quella che rifugge ogni eccesso ed ogni difetto, per porsi invece in un «giusto mezzo». Lo studio di ogni virtù permette di osservare 1 2

Carotenuto A., 1991: 423. Platone, Repubblica, IV, 18, 444d.

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come eccessi o difetti della stessa la rendano vizio; ad esempio, il coraggio può divenire temerarietà o viltà, ciò che cambia è solo il grado della stessa qualità. Per Aristotele non vi sono perciò categorie contrapposte, ma un unica qualità che si situa in un continuum. eccesso iracondia temerarietà impudenza intemperanza adulazione compiacenza furberia

medierà mansuetudine coraggio verecondia moderazione amabilità serietà saggezza

Difetto Impassibilità Viltà Timidezza Insensibilità Ostilità Superbia Ingenuità

Aristotele, Etica Eudemia II, 3, 1220b-1221°, in Magli, 1996

Ne deriva una posizione in cui sia etica che estetica, che abbiamo visto coincidere, vanno ricercate nel principio della «medietà». In questa accezione è possibile dare una ulteriore lettura alla teoria dei temperamenti dove, con la prevalenza dell’uno o dell’altro umore si crea uno squilibrio che determina la tendenza a malattie dell’uno o dell’altro tipo. In questo senso la presenza dei quattro temperamenti è interpretabile anche come mancanza di armonia complessiva. Successivamente anche Seneca nel De Ira si occupò di come le passioni modificassero l’aspetto di un volto, sostenendo come «non c’è agitazione interna di una certa violenza che non produca alterazioni sul volto»3. Egli operò inoltre una distinzione tra temperamento e passione, dove il primo indica una inclinazione abituale, mentre la seconda ha durata ed intensità minori. Per Seneca la frequenza delle passioni può modificare il temperamento «al punto da costituirsi come sostanza stessa dell’anima»4.

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Seneca, De Ira, I, 1, 3. Magli P., 1996: 104.


1.3. Dal Medioevo all’Ermetismo: microcosmo come «segno» del macrocosmo

«Le virtù dei corpi superiori sono la forma e il potere degli inferiori, e la forma degli inferiori è fatta di un materiale collegato con le virtù dei superiori; ed è come se fossero uniti insieme, perché il loro materiale corporeo e il loro materiale spirituale sono un solo materiale.» Picatrix, lib. II, cap. 12

Dopo l’anno Mille vengono tradotti in latino sia i testi di medicina araba, sia molte opere di filosofi greci, come la Physigmonimia dello pseudo-Aristotele. La conoscenza di questi scritti influenzerà fortemente il pensiero dell’epoca dando impulso ad una nuova mentalità: l’uomo non è più schiacciato dal fatalismo religioso, ma può e deve aspirare ad una maggiore autodeterminazione. Anche se la malattia è ancora vista come effetto della colpa e del peccato, ora è possibile intervenire su di essa. La medicina araba offriva a tale scopo secoli d’esperienza e soprattutto una vasta letteratura che descriveva modalità diagnostiche svincolate da qualsiasi prospettiva teologica. Testi come il Secretum secretorum, anch’esso pseudo-aristotelico, vengono assimilati soprattutto nei loro aspetti diagnostici ed igienici. In questo panorama, in cui la medicina lentamente cerca di conquistare una propria autonomia, la fisiognomica si pone al suo vertice in quanto capace di offrire un modello che garantisce e legittima l’omologia fra l’uomo e la natura, senza però negare il libero arbitrio umano. In questo clima è possibile addirittura che uomini di chiesa, come il francescano inglese Ruggero Bacone, contribuiscano alla nascita di una metodologia scientifica basata sull’osservazione e sull’esperienza, senza che ciò contrasti con le posizioni teologiche. 19


Alla corte di Federico II lo scozzese Michele Scoto compone il Liber de physiognomia, una opera in tre sezioni, l’ultima della quale interamente dedicata alla fisiognomica, che è soprattutto un trattato medico in cui si discute delle differenti malattie e degli organi del corpo. È in ambienti come questo che nasce l’aspirazione, che culminerà con l’opera di Giovan Battista Della Porta (1535-1615), a una sistematizzazione di tutto il sapere, una sorta di enciclopedia che potesse individuare una grammatica capace di fornire un sicuro orientamento fra i segni dell’universo. Il pensiero ermetico ha infatti come caratteristica peculiare una visione cosmogonica dove ogni cosa è in rapporto con il Tutto; fra uomo e universo, microcosmo e macrocosmo, vi è unità e corrispondenza. Viene dunque ripreso il pensiero del mondo greco in cui il corpo è «segno» dell’anima. L’obiettivo di Della Porta è dare alla fisiognomica una legittimazione di obiettività, integrando cultura classica, medicina e il patrimonio dell’ermetismo, che aveva trovato nuovi stimoli nel Corpus Hermeticum appena tradotto da Marsilio Ficino per incarico di Cosimo de’ Medici; è dunque un tentativo di costruire un sapere organico che non tralascia nessuna disciplina, sotto la visione unificante dell’ermetismo. In Della fisionomia dell’huomo Della Porta fa sua la distinzione classica della divinazione in due parti: quella delle Arti e quella della Natura. Se la prima si fonda su congetture, e per ciò non viene considerata dal Della Porta attendibile, la seconda, di cui fa parte la fisiognomica «è molto vera perché sta appoggiata a principi naturali… amata, seguita e riverita da ogni raro et eccellente intelletto… scuopre i vizii e le virtù a’ quali siamo inchinati»5. Ne deriva che la fisiognomica «è dunque una scienza che impara da’ segni che sono fissi nel corpo et accidenti che trasmutano i segni»6; accogliendo in tal modo la posizione già sostenuta nel Secretum secretorum secondo la quale l’uomo può modificare le sue inclinazioni naturali. La fisiognomica rimane capace di individuare le tendenze innate, ma offre al contempo la possibilità di sottrarvisi; inoltre, si apre all’indagine dei tratti mobili le cui modificazioni sono indice di moti dell’animo. Con quest’ultima affermazione, infatti, Della Porta pone l’attenzione sulle caratteristiche somatiche che rimangono costanti durante tutto 5 6

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Della Porta G.B., 1999: 25. ibidem: 117.


l’arco di vita, ma dà anche importanza, seppur minore, a quelle che possono venire modificate per brevissimo tempo, ad esempio durante una emozione. La continua ripetizione dell’espressione di una emozione rende però possibile un cambiamento stabile nei tratti somatici. Questa posizione può essere considerata analoga a quella contemporanea di Ekman, che individua tre categorie nelle quali inscrivere i tratti del viso: i segni statici, legati soprattutto alla struttura ossea; i segni lenti che cambiano nell’arco della vita; i segni rapidi che si modificano momento per momento. In Della Porta sono dunque presenti importanti intuizioni antropologiche e psicologiche, ma è proprio la sua aspirazione di pervenire ad un sapere e un metodo enciclopedico e universale, nel quale abbiano uguale dignità razionalità scientifica e magia, che costituisce il maggior limite del suo sistema. Per quanto egli sia consapevole della necessità di abbandonare il pensiero e la pratica magica, per orientarsi invece all’osservazione sistematica dei «segni» sull’esempio del metodo ippocratico, il suo pensiero rimane influenzato dall’orizzonte naturalistico. Il metodo di Della Porta si fonderà dunque sulle analogie fra micro e macrocosmo, su principi associativi di somiglianza, dove la corrispondenza fra il segno e il suo significato è garantito dalla visione unificante della natura e non da processi logici di deduzione e induzione.

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1.4. Rinascimento: canoni e politica

«Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile.» Leonardo da Vinci, Trattato della Pittura, n. 290

Accanto alla visione ermetica, fra il quindicesimo e il sedicesimo secolo i contributi alla fisiognomica vanno cercati anche nelle arti figurative. Spinti dalla necessità di utilizzare le teorie delle proporzioni non come leggi che individuano rapporti di omologia fra uomo e universo, ma come strumenti per una efficace produzione artistica, molti pittori rinascimentali limitarono questo campo d’indagine. Viene abbandonata l’aspirazione a una visione universale ed enciclopedica; restringendo per certi versi il campo d’indagine, si ricercano invece le leggi che possano essere d’ausilio alla descrizione e rappresentazione dei tratti e delle loro modificazioni. Le esigenze delle arti figurative non potevano essere soddisfatte da una fisiognomica che enumerava, con atteggiamento quasi ossessivo, tutte le parti del corpo facendovi corrispondere tratti caratteriali; si avvertiva invece la necessità di trovare rapporti tra misura antropometrica e rappresentazione dell’emozione. Albrecht Dürer (Fig. 6), dedicò i quattro volumi del De simmetria partium in rectis formis humanorum corporum libri allo studio della figura umana e alle sue proporzioni. Nel primo di questi testi, riprendendo per molti aspetti la posizione aristotelica della «medietà», afferma che vi è un canone ideale. Questo è individuato ancora una volta dalla media, che in Dürer diviene matematica e statistica; il volto viene cartografato all’interno di un reticolo di linee orizzontali e verticali. La diversità nei volti è ottenuta modificando la distanza possibile fra le diverse righe orizzontali e verticali. 23


(Fig. 6. A. Dürer, Vier Bücher Manschlicher Proportion, Nürnberg, 1528)

Vi è, come per i filosofi greci, un volto ideale che è il modello su cui tutti gli altri, per eccesso o difetto delle proporzioni delle loro parti, vengono a formarsi. Il contributo di Dürer risiede nella «statisticità» del metodo, nella possibilità di una analisi antropometrica basata su rapporti matematici, creando così i presupposti per una fisiognomica basata realmente sull’osservazione e misurazione oggettiva e non più, come nelle contemporanee posizioni ermetiche, su principi filosofici. In maniera analoga Leonardo cercò un canone, il cui apice coincise con l’Uomo vitruviano. Da questo prototipo ideale opera una sempre maggiore deformazione e contrasto con il modello. A differenza di Dürer, Leonardo però non muta le proporzioni anatomiche, che rimangono costanti; ciò che muta, aumentando o diminuendo quantitativamente, sono le dimensioni dei singoli tratti; secondo Getrevi Leonardo «tenta… di compilare un vocabolario prima di accingersi alla scrittura»7. 7

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Getrevi P., 1991: 36.


Se nel Trattato della pittura Leonardo formalmente prende le distanze dalla fisiognomica come scienza, sempre nella stessa opera riconosce come «gli segni de’ volti mostrano in parte la natura degli huomini, di loro vitii e complessioni»8. Di fatto Leonardo esegue innumerevoli studi in cui minimi spostamenti di linee in un volto ne modificano l’espressione; queste variazioni quantitative producono una analoga variazione espressiva che connota il volto di precisi significati estetici, morali ed emotivi. Tali variazioni permettono, partendo da un volto ideale, di ottenere progressivamente volti sempre più grotteschi fino a pervenire alle mostruosità (Fig. 7).

(Fig. 7. Leonardo, Due profili affronatati, 1485-90, Royal Collectioni of Windsor, RL n. 12490)

L’interesse di Leonardo per i singoli tratti lo ha portato alla frammentazione del volto in unità misurabili e catalogabili; ottiene in tal modo un sistema, il «vocabolario» di cui parla Getrevi, quasi identico 8

Leonardo Da Vinci, Trattato della Pittura, n. 288.

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a quelli utilizzati oggi dalla polizia per gli identikit, che contempla tutti i possibili tipi di naso, visti di fronte e di profilo, e così per ogni tratto. Oltre alla creazione di un sistema di classificazione, Leonardo cercava anche una costante, una unità morfologica che includesse gli esseri del mondo animale. Negli Studi per la Battaglia di Anghiari possiamo vedere come a teste di guerrieri nel furore della battaglia siano affiancate teste equine e feline nello stesso atteggiamento, un analogo digrignare i denti, uno stesso tendersi di muscoli. In questo senso Leonardo può essere considerato un precursore di alcune teorie in ambito gestaltico9 dell’espressività in generale e delle emozioni in particolare, che suggeriscono di considerare l’espressività umana come caso particolare del comportamento non solo del mondo organico ma anche di quello inorganico. Leonardo compie dunque questo tentativo di individuazione delle invarianti espressive che siano valide anche per l’essere umano, ma non solo, e dove quest’ultimo non sia necessariamente unità di misura di questi fenomeni. Un ulteriore contributo dato dal Rinascimento, anch’esso in contrapposizione con le posizioni ermetiche, è fornito dai trattati che si occupano dell’etichetta a cui si deve conformare il gentiluomo, il politico, l’uomo di corte. In queste opere, che si caratterizzano per il loro aspetto pragmatico e divulgativo, si sostiene la necessità di adeguarsi a precise norme comportamentali, in ogni ambito della vita di relazione e in ogni suo aspetto; fra questi il corretto modo di parlare, di ridere e di atteggiare il volto, i gesti consentiti e quelli che sono da evitare. Si caldeggia la massima compostezza, mentre si disapprova la spontanea espressione delle «passioni». Lorenzo il Magnifico esorta il cortigiano a dimostrare di «aver nell’animo molto minor foco che non ha, e contentarsi di quello che gli par poco e dissimular i desideri, le gelosie, gli affanni e i piacer suoi e rider spesso con la bocca quando il cor piange»10. Si esorta a perseguire la «mediocrità», concetto che possiamo considerare come analogo a quello della «medietà» aristotelica, come espressione di dignità e d’equilibrio. Tutto ciò con il fine preciso ed esplicito di non far trasparire i reali pensieri, desideri e passioni di chi, in quanto uomo di Stato e di potere, non può rivelarsi per ciò che è in realtà ma deve invece essere abile dissimulatore e manipolatore. 9

Arnheim R., 1986: 368 e segg. Castiglione B., 1987: 150.

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Richelieu, che la storia ci tramanda come politico abilissimo, insisteva sull’assoluto autocontrollo che l’uomo di Stato deve mantenere al fine di poter simulare e dissimulare ogni «passione». Il volto deve così diventare una tela bianca su cui, chi ne abbia la sufficiente abilità, possa disegnare e far apparire ciò che desidera. In una sorta d’anticipazione di quelle che saranno le posizioni di Darwin, nel ’600 si hanno numerose opere che trattano le modalità in cui vengono espresse le emozioni e le modificazioni morfologiche che queste provocano sul viso umano. Lo stesso Cartesio se ne occupa a lungo e giunge alla conclusione che ogni «passione» può essere colta dai «moti» del viso, in special modo da quelli degli occhi, per quanto la descrizione delle modalità con cui ciò avviene sia difficoltosa essendo il linguaggio troppo povero per questo compito. Cartesio riconosce la base fisiologica delle «passioni» e quello che nell’anima è «passione» viene trasformato in «azione» nel corpo. A lui si deve inoltre una rigorosa classificazione delle «passioni primitive» che per molti aspetti può essere considerata in modo analogo a quelle che vengono ritenute oggi le emozioni fondamentali. Queste «passioni» sono sei: Meraviglia, Amore, Odio, Desiderio, Gioia e Tristezza; le loro possibili combinazioni ne danno altre quaranta. In questo panorama si inserisce il lavoro di Charles Le Brun (161990), primo pittore alla corte di Luigi XIV e direttore dell’Accademia di pittura. Le Brun tenne cicli di conferenze sulla fisiognomica e sulla patognomica in cui, assumendo le posizioni di Cartesio, la «passione» diviene sempre più moto biologico anticipando alcuni approcci della psicologia contemporanea. Si ipotizza che di fronte ad un oggetto si compia una valutazione che porta all’attrazione o alla ripulsa nei suoi confronti; ne consegue l’emergere di una «passione» o una combinazione di queste (le stesse individuate da Cartesio ad eccezione della Meraviglia che viene sostituita dall’Ammirazione) a cui segue una corrispondente modificazione somatica (Fig. 8). Le modificazioni somatiche vengono individuate e catalogate: partendo da un volto neutro, per Le Brun «tranquillo», dove naso, bocca e sopracciglia sono in posizione orizzontale, i movimenti verso l’alto o il basso determinano le modalità con cui le differenti «passioni» vengono espresse. La durata, l’intensità e la cadenza individua le «passioni» fondamentali e le loro possibili combinazioni. Si ha così un’importante evoluzione: da posizioni che percepivano il volto, i suoi tratti e la sua espressività in modo categoriale e topografico ad una posizio27


ne che considera le variazioni morfologiche e le emozioni ad esse sottese nel loro aspetto dinamico.

Ch. Le Brun, Expression des passions de l’âme représentées en plusieurs textes gravées d’après les desseins de M. Le Brun par J. Audran, Paris, 1727

(Fig. 8)

(Fig. 8. Ch. Le Brun, Expression des passions de l’âme représentées en plusieurs textes gravées d’après les desseins de M. Le Brun par J. Audran, Paris, 1727)

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1.5. Illuminismo: fra fisiognomica e patognomica

Nel XVIII secolo il rapporto tra tecnica pittorica e medicina si fa ancora più stretto. Medico, fisiologo e professore d’anatomia, Peter Camper (1722-89) riprende ed approfondisce gli studi di Le Brun; analizza come muscoli e nervi si modifichino sotto l’influsso delle «passioni». Individua le modalità con le quali le tensioni muscolari producono le possibili espressioni facciali delle «passioni», da quelle più moderate fino ai loro eccessi. È soprattutto lo studio di tali eccessi che interessa Camper, (Fig. 9). Già La Rochefoucauld, un secolo prima, sosteneva che sono le «passioni» eccessive causa di malattia, contribuendo in tal modo all’apertura verso una prospettiva psicosomatica della patologia. In una nota della voce Physionomie dell’Encyclopédie, probabilmente compilata dallo stesso Diderot, si sostiene come oltre a poter conoscere le «passioni» del momento, sia anche possibile desumere tratti caratteriali dal volto, in quanto le «passioni» che si presentano più frequentemente tendono a produrre tratti somatici permanenti. Camper aderisce a queste posizioni e ne approfondisce la prospettiva morfologica, contribuendo all’identificazione di quei segni che possono essere indicatori sia di tratti caratteriali che di patologia psichiatrica, dando così una veste di scientificità alla patognomica. L’interesse di Camper rimane comunque diviso fra patognomica e fisiognomica, di cui non riesce a costruire una sintesi soddisfacente. Attraverso l’osservazione e lo studio, in veste d’anatomista, di numerosi crani, Camper infatti elabora una scala naturae grazie alla quale stabilì un metro di giudizio riguardo all’evoluzione che diventerà, con Darwin, teoria scientifica. L’angolo ottenuto dall’intersezione della linea che congiunge l’orecchio con la base del naso con quella che partendo dalla fronte tocca tangenzialmente il mento, diventa indicatore di maggiore o minore evoluzione. Al vertice di questa scala si colloca l’Apollo Pizio con un angolo di 100 gradi, che diventano 80-90 29


nell’uomo europeo, 70 negli uomini di colore, fino ai 58 dell’orango e ai 42 delle scimmie non antropoidi.

(Fig. 9. P. Camper, Dissertation sur les variétés naturelles qui caractérisent la physionomie des hommes des divers climats et des différetns âges, suivi de réflexions sur la beauté, particulièrement sur celle de la tête, avec une manière nouvelle de dessiner toute sorte de tête avec la plus grande exactitude, Ütrecht, 1791.

In questo panorama si inserisce uno degli ultimi fisiognomici, il pastore calvinista Johann Kaspar Lavater (1741-1801), a cui si deve l’ultimo grande tentativo, nel campo della fisiognomica, di conciliare teologia, senso comune e scienza, esoterismo cristiano, ermetismo ed illuminismo. Lavater persegue una dottrina ed un metodo che siano sintesi di tutto il patrimonio della fisignomica, da Aristotele fino ai suoi contemporanei, sotto l’egida della dottrina cristiana. Questa ecletticità ha fatto sì che i maggiori talenti del suo tempo, come Goethe, abbiano seguito con interesse il suo pensiero e intrattenuto con lui una stretta corrispondenza epistolare, finché le sue posizioni non si sono orientate verso un fanatismo mistico. Nonostante tali limiti, a Lavater si debbono alcune intuizioni, come il «principio di conformità», secondo cui fra i diversi tratti del volto deve esservi una omogeneità di forme, una concordanza (mai determinati occhi con determinate bocche, ecc.), un principio che oggi potremmo definire come congruenza.

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La volontà di dare una veste di scientificità alla fisiognomica impose la necessità di definire un metodo empirico. L’opera del fisiognomo, per Lavater, deve necessariamente partire dall’osservazione sistematica; nulla può essere detto se non si basa sulla realtà oggettiva del fenomeno. Un volto va dunque osservato non in modo immediato e diretto, ma da molteplici angolazioni, definite preventivamente, e in assenza di «perturbazioni passionali». Solo dopo un sufficiente numero di osservazioni dettagliate si procederà con una opera di selezione e classificazione; sarà poi possibile cogliere similitudini e differenze, tramite cui pervenire alla costruzione di categorie capaci di definire adeguatamente quali tratti del volto e in quale maniera siano descrittivi e significanti di determinate qualità morali. Si viene così nuovamente a costruire un sistema dove, ad esempio, il naso informa sul gusto e sul sentimento che caratterizza la persona, la forma del capo le qualità intellettive, ecc.

(Fig. 9/A. Papus, 1996)

Quello che viene osservato deve poi essere accuratamente misurato e descritto; tali processi sono indispensabili per poter giungere alle conclusioni a cui mira tutto il processo, per stabilire un rapporto oggettivo e quantitativo fra tratto somatico e qualità morale. La necessità di escludere dettagli che possano invalidare la rigorosità dell’osserva31


zione fa ritenere a Lavater che questa debba essere eseguita soprattutto sulle silhouettes (Fig. 9/A), che meglio si prestano alla scomposizione morfologica ed alle successive misurazioni. Solo così è possibile pervenire ad una corretta comparazione che permette, a sua volta, la denominazione dei tratti e la loro schematizzazione. Si viene così a creare nuovamente un modello descrittivo in cui i rapporti fra tratti somatici fissi, il significante, e le qualità interiori, il significato, sono rigidamente stabiliti. Per Lavater le conclusioni a cui si perviene con questa metodologia, che Kant definirà come «caratteriologia», sono talmente oggettive da avere addirittura un valore predittivo sul comportamento. La fisiognomica con Lavater ritorna in questo modo alle posizioni prerinascimentali, nelle quali il principale campo di indagine erano i tratti fissi del volto e la caratteristiche morali, altrettanto statiche, da questi indicate; solo la fisignomica è «scienza dei segni e delle forze», mentre la patognomica ritorna ad essere «l’arte della simulazione»11. Contemporaneo a Lavater, Franz Joseph Gall (1758-1828) viene considerato il padre della frenologia (anche se il termine lo si deve ad un suo collaboratore, Gall aveva definito il suo campo d’indagine «organologia»), con la quale si proponeva di costruire una scienza capace di pervenire ad una sintesi fra fisiognomica, anatomia e neurologia. Gall fa proprie le scoperte della localizzazione cerebrale, sostenute dalla sperimentazione neurochirurgica, già iniziate dalla medicina araba con Avicenna e Averroè, che si proponevano di individuare nel substrato organico funzioni, facoltà mentali e ancora una volta «passioni». Gall rivolge perciò la sua attenzione alle caratteristiche geneticamente determinate, in questo caso la forma del cranio e la morfologia cerebrale, secondo lui desumibile dalla forma stessa. In questo sistema i gradi di curvatura ossea diventano indice della presenza di qualità intellettuali e morali. Viene costruita a tal fine una mappa che individua 27 regioni del cranio, portate poi a 35, a cui corrispondono altrettante funzioni; la conformazione di queste aree è segno quantitativo della qualità da essa designata. Calcoli trigonometrici sull’area in questione informano sul grado di sviluppo delle facoltà mentali (Fig. 10).

11

32

Magli P., 1996: 330.


(Fig. 10)

- Pa

(Fig. 10. Papus, 1996)

Questo sistema descrittivo aderisce però anche a principi ermetici da cui Gall, nonostante l’aspirazione ad essere parte del contemporaneo ambiente scientifico, è largamente influenzato. Le facoltà morali si collocano così nelle aree cerebrali secondo una disposizione gerarchicamente determinata da alto/basso, avanti/dietro: le funzioni intellettive e morali più significative sono poste nelle aree anteriori e superiori del cranio, fino ad arrivare alla localizzazione degli istinti che troviamo nelle aree posteriori ed inferiori. Anche Gall, come Lavater, compie dunque una operazione di segmentazione, questa volta sulla calotta cranica, dove le aree sono rigidamente delimitate e definite e indice sicuro di presenza o assenza di talenti, facoltà ed inclinazioni, in «una visione rigidamente categoriale che, isolando ciascuna facoltà dell’anima, mostra rassicuranti aspetti, matematicamente quantificabili12». (Magli 1996: 359) Nonostante la volontà di quelli che sono considerati gli ultimi due fisiognomi di dare a questa disciplina una indiscutibile legittimazione di scientificità, il loro contributo riporta in parte la fisiognomica a prospettive antecendenti a Leonardo. Viene difatti persa quella visione nella quale tratti fissi e tratti mobili si incontravano, quella posizione 12

ibidem Magli P., 1996: 359.

33


che riusciva in parte a conciliare fisiognomica e patognomica, tornando invece a riproporre modelli in cui il volto viene categorizzato e segmentato in unitĂ discrete e statiche. Per tale motivo il lavoro di questi fisignomi verrĂ accolto piĂš dalle arti figurative e dalla letturatura che dalla scienza.

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1.6. Positivismo, evoluzionismo, antropologia criminale e teoria delle razze

Nella seconda metà del XIX secolo si assiste al declino del primato antropologico nell’ambito della storia naturale. Già con Lamarck vengono a cadere i postulati della scala naturae che svelava e descriveva la posizione dell’uomo nel Piano Divino, per essere sostituta da una concezione dell’essere umano come prodotto finale di una evoluzione avvenuta sotto la spinta di pressioni ambientali. L’idea diffusa di un mondo in continuo cambiamento culmina con il pensiero darwiniano, dove si assiste ad uno sconvolgimento fra le categorie del biologico e del culturale, dell’innato e dell’appreso. Gli studi morfologici sono ora al servizio di una indagine comparativa volta ad individuare analogie, somiglianze e costanti capaci di rendere conto dell’origine comune di tutte le specie animali, origine condivisa anche dall’uomo. Ne consegue un essere umano che va studiato in modo totalmente nuovo, inserito all’interno del resto del mondo animale, in quanto ha perso il suo primato nei confronti di tale mondo e ne è conseguentemente mutato il rapporto. L’uomo stesso diventa animale, anche se il più evoluto, che si differenzia da quelli meno evoluti solo da un punto di vista quantitativo. L’attenzione si sposta dunque, utilizzando una metodologia comparativa, sui tratti che accomunano uomo e animale, prima da un punto di vista strutturale e morfologico, ma ben presto anche rispetto al comportamento. Viene ripreso così, anche se da tutt’altra prospettiva, lo studio delle manifestazioni espressive. In The Expression of the Emotions di Darwin si può leggere: «non c’è dubbio che il nostro naturale desiderio di chiarire nel modo più preciso possibile le cause dell’espressione troverà un ostacolo insormontabile fino a quando l’uomo e gli altri animali saranno considerati prodotti di creazioni indipendenti»13. 13

Darwin C., 1982: 124.

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Questo cambiamento di prospettiva induce analoghi cambiamenti nel linguaggio utilizzato: non si parla più di «passioni» ma di emozioni e di queste, come delle loro espressioni, si riconosce il primato del valore adattativo che rappresentano per la specie. Nel fare ciò si apre in modo definitivo il campo per le indagini antropologiche: nel ricercare le radici comuni del comportamento animale e umano, Darwin riteneva infatti che l’osservazione di popoli definiti all’epoca primitivi fosse garanzia di spontaneità, in quanto le manifestazioni espressive risentivano in misura minore delle limitazioni di modelli comportamentali appresi. Se Darwin accoglie alcune teorie della tradizione fisiognomica, come ad esempio gli studi anticipatori dell’evoluzionismo di Camper, cancella però in pochi anni la quasi totalità degli assunti della fisiognomica. Da questo momento in poi, almeno in ambito scientifico, non sono più proponibili le tradizionali impostazioni fisiognomiche e patognomiche. Con l’evoluzionismo vengono a cadere i postulati che di volta in volta sostenevano e garantivano la correttezza del passaggio dal segno al suo significato, fossero questi gli archetipi platonici, il volere divino che pone l’uomo al vertice della sua creazione e lo fa misura delle cose, o gli assunti ermetici dove ogni cosa rimanda ad un’altra. Da Darwin in poi si potrà parlare dunque di fisiologia, antropologia e anche nascente psichiatria, ma non più di fisiognomica, almeno non come scienza. La fine del XIX secolo è caratterizzata dallo sforzo di superare i confronti, spesso epistemologici, fra le diverse discipline; si persegue un nuovo metodo, fondato solo su assunti scientifici, che siano suscettibili di misurazione, analisi e verifica, garantiti da una filosofia che utilizza essa stessa i metodi delle scienze naturali. Medicina e psichiatria, fisiologia e biologia vivono una nuova stagione caratterizzata da sempre maggiori progressi. Ognuna di queste discipline ricerca in parte il primato sulle altre per creare un nuovo presupposto biologico della conoscenza e un nuovo volto all’uomo, ma nel contempo, fedeli alla visione positivistica, rimangono aperte le une nei confronti delle altre in una sorta di eclettismo che si rivelerà estremamente fertile. Solo tenendo presente la necessità di identificare e conoscere chi fosse l’altro nelle città sempre più mobili e popolate, ci si può spiegare, dopo le disconferme evoluzionistiche, il ritorno ad una fisiognomi36


ca del senso comune. Sotto questa spinta è l’antropologia criminale che raccoglie tutte le conquiste delle scienze dell’epoca e le riunisce in una unica branca in cui risuonano ancora posizioni fisiognomiche. Con il contributo di Cesare Lombroso l’antropologia criminale costruisce una mappa, un paradigma, in grado di delineare per ogni uomo il suo posto all’interno della società e per ogni cultura il suo posto nella specie umana. Lombroso rappresenta il punto d’arrivo di una vasta letteratura e iconografia sul crimine, della nuova necessità di decodifica e lettura dell’essere umano, dei progressi del pensiero giuridico. Lombroso riassume tutto ciò, lo integra con le nuove scoperte della psichiatria, della biologia, degli studi embriologici, e crea un modello in cui si affaccia nuovamente il concetto di «tipo», un modello in cui si ripresenta l’idea di un uomo che può essere inserito in categorie, questa volta sociali. Mediante accurati calcoli antropometrici viene definito un parametro di «normalità» che individua l’uomo comune; le devianze da questo parametro permettono di categorizzare gli altri «tipi»: dal genio, anch’esso considerato come anormalità che per una sorta di legge di compensazione deve quasi necessariamente presentare delle deficienze nel fisico, al criminale. Indagini e misurazioni, elaborate con il metodo statistico, compiute su 6608 carcerati, permettono a Lombroso di costruire una teoria che, integrando le tesi evoluzionistiche, vede l’uomo inserito in un processo evolutivo desumibile anche dalle caratteristiche somatiche. Nel volto vengono riconosciuti tratti atavici; questi sono presenti in misura maggiore nel criminale, che diventa così con l’antropologia criminale un uomo meno evoluto. Il criminale viene comparato, sia per i tratti del volto che per i comportamenti, all’uomo primitivo ed al selvaggio. I delinquenti, la razza mongola e quella negroide sono dunque accomunati da «orecchi ad ansa, capelli abbondanti, scarsa la barba, seni frontali, mandibola enorme, mento quadrato o sporgente, zigomi allargati»14. Fra i criminali Lombroso compie precise classificazioni e distinzioni; così il ladro comune ha una scatola cranica sottosviluppata, non così il capo-banda che presenta analogia con l’uomo di genio; se i truffatori presentano labbra sottili, nei violentatori saranno spesse; gli omicidi presentano prognatismo, e così via. 14

Magli P., 1996: 386.

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Criminalità e primitività, anche grazie alle recenti scoperte in ambito embriologico, vengono lette come interruzione dello sviluppo ontogenetico, a causa del quale l’individuo non riesce a raggiungere le potenzialità filogenetiche. A questo destino non sfugge neanche la donna, che è portatrice di un arresto dello sviluppo per così dire normale e anche funzionale, in quanto l’inferiorità fisica e psichica rispetto all’uomo è necessaria, una sorta di compensazione, alla maternità. Dalle sue misurazioni Lombroso conclude che la vera anormalità e devianza per la donna consiste proprio nella presenza di particolari capacità intellettive. Nel caso di donne di genio si riscontrerebbero tratti somatici maschili e si giunge a postulare un rapporto fra infertilità ed intelligenza. La tesi dell’arresto dello sviluppo ontogenetico riapre in tal modo ancora una volta il dibattito intorno al libero arbitrio; se l’uomo può essere biologicamente condannato ad uno stadio di sviluppo che lo limita e lo induce a comportamenti criminali, non è né può essere ritenuto responsabile. Alla società non rimane che difendersi, ma non può sperare di redimere né avrebbe alcun senso punire. Alle teorie evoluzionistiche e all’antropologia criminale si deve l’infelice paternità delle teorie sulle razze. L’eclettismo positivistico e la sempre maggiore diffusione di teorie scientifiche hanno permesso che vi fosse un inquinamento ideologico in cui la cultura accademica stringe stretti vincoli con il potere politico. Il passaggio dalle teorie di Darwin e Lombroso all’idea che il genere umano avesse raggiunto l’apice dello sviluppo evolutivo con l’uomo bianco europeo è stato breve. Questi non è più costrutto sociale ma prodotto biologico, il migliore! Così i tratti ariani divengono indice e segno delle funzioni intellettive e dei valori morali più alti e «alimentando le teorie della razza, la fisiognomica abbandona i domini della speculazione teorica per diventare, potenza dei codici!, un vero strumento di discriminazione e talvolta di morte»15.

15

38

ibidem: 401.


1.7. La modernità della fisiognomica

In che modo può considerarsi attuale la fisiognomica? È davvero una disciplina che, ad oggi, offre ancora validi strumenti conoscitivi? Nonostante i tentativi di sistematizzazione scientifica elaborati nel corso dei secoli, come il loro essere contestati dalle discipline scientifiche riconosciute e dalla stessa psicologia ed antropologia, la fisiognomica è stata oggi riconsiderata e riformulata come «arte», i cui codici possono rivelarsi utili «in ogni frangente della vita quotidiana, indirizzando i rapporti interpersonali, sia sociali che affettivi, verso un’identità armoniosa»16. Nell’esperienza dell’incontro, l’iniziale fase di contatto con l’altro è importante nella misura in cui si può instaurare una relazione di fiducia/sfiducia, contatto/evitamento, che influirà sull’evolversi del rapporto. Basti pensare, ad esempio, ai primi colloqui fra terapeuta e paziente o, nel mondo degli affari, tra chi conduce un colloquio di selezione ed il candidato aspirante a quel posto di lavoro; ed ancora, tra un venditore ed il suo possibile acquirente. Ciò che comunemente viene definita ‘prima impressione’ altro non è che la percezione gestaltica di un insieme di fattori, che sappiamo essere più della somma delle parti; «la sua importanza risiede nel fatto che rappresenta un ricordo, il senso di qualcosa, o di qualcuno»17, e dalla significatività del suo impatto (spesso duraturo), che determinerà la volontà dell’altro di conoscerci meglio, di fissare un altro appuntamento, di assumerci, come di parlare nuovamente con noi. Scomponendo, forzatamente e volutamente, gli elementi comunicativi di questo insieme percettivo, si può allora cogliere il valore espressivo del corpo, in generale, e del volto, in particolare; la fisiognomica, così, può offrire chiavi di lettura che possono dare un contributo nella 16 17

Baldi C., 2003: 14. Demarais A., White V., 2004: 8.

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direzione di una maggior conoscenza di sé e degli altri, e di una minor discrepanza tra l’immagine che abbiamo di noi e quella rispecchiata dall’altro. Una aumentata consapevolezza porta con sé la possibilità di accrescere la relazione; pensiamo all’autenticità di un sorriso, all’intensità di uno sguardo, alla mimica di un volto emozionato. Nel panorama storico, culturale e sociale odierno, dove l’individuo può incrementare il proprio empowerment ed il proprio benessere avvalendosi di offerte diversificate, dalle discipline occidentali più innovative (ad es.: Face-Reading, Visologia, ecc.) a quelle più antiche e tradizionali delle filosofie orientali (ad es.: medicina tradizionale cinese o indiana), la fisiognomica può acquisire uno status di legittimità, integrando, in parte, valenze comuni ad entrambe. In una società come quella contemporanea, dove la velocità è ineluttabile componente, la possibilità di ‘stare’ nella relazione, negli incontri, spesso risulta inficiata da ritmi incalzanti. La capacità di saper leggere e decodificare i segnali del volto di chi abbiamo di fronte, diminuisce il rischio di incomunicabilità e rende più efficace ed efficiente l’interazione, anche se limitata nel tempo: le facce parlano anche quando sono in silenzio o appaiono prive di espressività. Nella continua ricerca del rapporto corpo-mente e nella possibilità di dedurre elementi psicologici di un soggetto dal suo aspetto fisico, in particolare dai lineamenti e dalle espressioni del viso, la fisiognomica evidenzia come i volti giochino un importante ruolo nella vita sociale umana e nel comportamento del singolo. Con le nostre facce possiamo comunicare emozioni, la nostra identità di specie ed individuale, il nostro sesso e la nostra età. Siamo particolarmente abili a ricordare le facce e abbiamo esperienza di come varia significativamente l’attrattività di un volto e quanto questo influenza il nostro comportamento18. Riconoscere questi segni permette, allora, una maggior comprensione di sé e degli altri, recuperando attenzione e consapevolezza verso quel linguaggio del corpo che è il nostro linguaggio primario, il cui impiego nella comunicazione «è inevitabile e ci fornisce informazioni importanti sull’atteggiamento e l’attitudine interiore dei nostri simili»19. Chi svolge attività in cui è centrale la relazione di scambio e di aiuto, ancor più, può spendere gli stimoli e gli strumenti offerti dall’arte fisiognomica, al fine di ottimizzare il processo di conoscenza e di gestione della comunicazione per accedere all’altro. 18 19

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Rhodes G., .Zebrowitz L.A., 2002: 194. Molcho S., 1997: 9.


Nella seconda parte del libro, nell’ambito del panorama contemporaneo, verranno descritti più dettagliatamente diversi approcci che proprio si avvalgono, ciascuno seguendo uno specifico modello, «dell’arte» dell’osservazione e dell’interpretazione di caratteristiche fisiche, per meglio comprendere ed integrare l’universo emozionale, mentale ed esperienziale di ogni individuo. Nella terza e quarta parte, inoltre, saranno offerti spunti per l’impiego di queste risorse in differenti contesti applicativi, come, ad esempio, nel rapporto terapeuta/paziente piuttosto che in quello di consulenza e formazione aziendale. Negli ultimi decenni, infatti, si è assistito ad una rivalutazione dell’arte fisiognomica e del suo utilizzo in differenti contesti lavorativi: ad esempio, l’introduzione da parte di consulenti professionali di elementi della lettura del volto nel campo della selezione del personale, o la consulenza di esperti in questo ambito (soprattutto negli Stati Uniti negli anni ’90) richiesta da un numero crescente di società per orientarsi su nuove assunzioni e/o promozioni a posizioni dirigenziali20. In conclusione il percorso svolto nei successivi capitoli offrirà, al di là dei singoli approcci presentati, degli spunti per approfondire le opportunità di integrare nuove chiavi di lettura in quella complessa cornice delimitata dall’incontro di due soggettività, dove le caratteristiche individuali, siano esse ‘fisiognomiche’ o psicologiche, non sono oggettivabili in nessuna categoria precostituita.

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Benson J., Gruppi. Organizzazione e conduzione per lo sviluppo personale e la psicoterapia, 20001, pp. 272 Beutler L.E. - Harwood T.M., Psicoterapia prescrittiva elettiva. La scelta del trattamento sistematico fondata sull’evidenza, 2002, pp. 224 Bozarth J.D., La terapia centrata sulla persona. Un paradigma rivoluzionario, 2001, pp. 240 Campanella V. - Fiori M. - Santoriello D., Disturbi mentali gravi. Modelli d’intervento pluralistico integrato dall’autismo alle psicosi, 2003, pp. 272 Chambon O. - Marie-Cardine M., Le basi della psicoterapia eclettica e integrata, 2002, pp. 288 Clarkson P., Gestalt - Counseling, 1999 II ediz., pp. 192 Clarkson P., La Relazione Psicoterapeutica integrata, 1996, pp. 392 Delisle G., I disturbi della personalità, 20001, pp. 224 Feltham C. - Dryden W. (a cura di E. Giusti), Dizionario di counseling, 1995, pp. 320 Fontana D., Stress Counseling. Come gestire gli stati personali di tensione, 1996, pp. 160 Frisch M.B., Psicoterapia integrata della qualità della vita, 2001, pp. 352 Giannella E., Palumbo M., Vigliar G., Mediazione familiare e affido condiviso. Come separarsi insieme, 2007, pp. 240 Giusti E. - Calzone T., Promozione e visibilità clinica. Motivare i pazienti ai trattamenti psicologici, 2006, pp. 288 Giusti E. - Carolei F., Terapie transpersonali. L’integrazione della spiritualità e della meditazione nei trattamenti pluralistici, 2005, pp. 336 Giusti E. - Chiacchio A., Ossessioni e compulsioni. Valutazione e trattamento della Psicoterapia Pluralistica Integrata, 2002, pp. 176 Giusti E. - Ciotta A., Metafore nella relazione d’aiuto e nei settori formativi, 2005, pp. 256 Giusti E. - Corte B., La terapia del per-dono, 2008, pp. 304 Giusti E. - Di Fazio T., Psicoterapia integrata dello stress. Il burn-out professionale, 2005, pp. 256 Giusti E. - Di Francesco G., L’autoerotismo. L’alba del piacere sessuale: dall’identità verso la relazione, 2006, pp. 208 Giusti E. - Di Nardo G., Silenzio e solitudine. L’integrazione della quiete nel trattamento terapeutico, 2006, pp. 240 Giusti E. - Frandina M., Terapia della gelosia e dell’invidia. Trattamenti psicologici integrati, 2007, pp. 224 Giusti E. - Fusco L., Uomini. Psicologia e psicoterapia della maschilità, 2002, pp. 464

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Nella stessa collana Giusti E. - Germano F., Etica del con-tatto fisico in psicoterapia e nel counseling, 2003, pp. 160 Giusti E. - Germano F., Terapia della rabbia. Capire e trattare emozioni violente d’ira, collera e furia, 2003, pp. 224 Giusti E. - Giordani B. Il formatore di successo, 2002, pp. 224 Giusti E. - Harman R. (a cura di), La psicoterapia della Gestalt, 1996, pp. 224 Giusti E. - La Fata S., Quando il mio terapeuta è un cane, 2004, pp. 448 Giusti E. - Lazzari A., Psicoterapia Interpersonale Integrata, 2003, pp. 160 Giusti E. - Lazzari A., Narrazione e autosvelamento nella clinica. La rivelazione del Sé reciproco nella relazione di sostegno, 2005, pp. 160 Giusti E. - Locatelli M., L’empatia integrata, 2007 (Nuova edizione), pp. 320 Giusti E. - Mancinelli L., Il counseling domiciliare, 2008, pp. 160 Giusti E. - Minonne G., L’interpretazione dei significati nelle varie fasi evolutive dei trattamenti psicologici, 2004, pp. 396 Giusti E. - Minonne G., Ricerca scientifica e tesi di specializzazione in psicoterapia, 2005, pp. 368 Giusti E. - Montanari C., Trattamenti psicologici in emergenza con EMDR per profughi, rifugiati e vittime di traumi, 2000, pp. 192 Giusti E. - Montanari C., La CoPsicoterapia. Due è meglio e più di uno in efficacia ed efficienza, 2005, pp. 320 Giusti E. - Nardini M.C., Gruppi pluralistici. Guida transteorica alle terapie collettive integrate, 2004, pp. 304 Giusti E. - Ornelli C., Role play. Teoria e pratica nella Clinica e nella Formazione, 1999, pp. 144 Giusti E. - Palomba M., L’attività psicoterapeutica. Etica ed estetica promozionale del libero professionista, 1993, pp. 128 Giusti E. - Perfetti E., Ricerche sulla felicità. Come accrescere il benEssere psicologico per una vita più soddisfacente, 2004, pp. 192 Giusti E. - Pitrone A., Essere insieme. Terapia integrata della coppia amorosa, 2004, pp. 240 Giusti E. - Pizzo M., La selezione professionale. Intervista e valutazione delle risorse umane con il modello pluralistico integrato, 2003, pp. 208 Giusti E. - Proietti M.C., La delega direzionale, 1996, pp. 112 Giusti E. - Proietti M.C., Qualità e formazione. Manuale per operatori sanitari e psicosociali, 1999, pp. 184 Giusti E. - Rapanà L., Narcisismo. Valutazione pluralistica e trattamento clinico integrato del Disturbo Narcisistico di Personalità, 2002, pp. 176 Giusti E. - Romero R., L’accoglienza. I primi momenti di una relazione psicoterapeutica, 2005, pp. 176 Giusti E. - Sica A., L’epilogo della cura terapeutica. I colloqui conclusivi dei trattamenti psicologici, 2005, pp. 160 Giusti E. - Surdo V., Affezione da Alzheimer. Il trattamento psicologico complementare per le demenze, 2004, pp. 144 Giusti E. - Taranto R., Super Coaching tra Counseling e Mentoring, 2004, pp. 352

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Nella stessa collana Giusti E. - Testi A., L’Autostima. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 224 Giusti E. - Testi A., L’Assertività. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 224 Giusti E. - Testi A., L’Autoefficacia. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 96 Giusti E., Essere in divenendo. Integrazione pluralistica dell’identità del Sé, 2001, pp. 144 Giusti E., Autostima, psicologia della sicurezza in Sé, 20055, pp. 200 Giusti E., Videoterapia. Un ausilio al Counseling e alle Arti-Terapie, 1999, pp. 176 Giusti E., Tecniche immaginative. Il teatro interiore nelle relazioni d’aiuto, 2007, pp. 272 Gold J.R., Concetti chiave in psicoterapia integrata, 2000, pp. 268 Goldfried M.R., Dalla terapia cognitivo-comportamentale all’integrazione delle psicoterapie, 2000, pp. 288 Greenberg L.S. (et al.), Manuale di psicoterapia esperienziale integrata, 2000, pp. 576 Greenberg L.S. - Paivio S.C., Lavorare con le emozioni in psicoterapia integrata, 2000, pp. 368 Manucci C. - Di Matteo L., Come gestire un caso clinico, 2004 Murgatroyd S., Il Counseling nella relazione d’aiuto, 20001, pp. 192 Perls F., Qui & ora. Psicoterapia autobiografica, 1991, pp. 256 Persons J.B. - Davidson J. - Tompkins M.A., Depressione. Terapia cognitivo-comportamentale. Componenti essenziali, 2002, pp. 288 Preston J., Psicoterapia breve integrata, 2001, pp. 256 Reddy M., Il Counseling aziendale. Il Manager come Counselor, 1994, pp. 176 Santostefano S., Psicoterapia integrata. Per bambini e adolescenti. Vol. I: “Metateoria pluralistica”, 2002, pp. 400 Santostefano S., Psicoterapia integrata. Per bambini e adolescenti. Vol. II: “Tecnologia applicativa”, 2003, pp. 384 Spalletta E. - Quaranta C., Counseling scolastico integrato, 2002, pp. 352

Videodidattica per le psicoterapie scientifiche dell’American Psychological Association • Video Psicoterapia Psicodinamica Breve D.K. Freedheim + Libro Psicoterapia breve integrata di J. Preston € 120,00 • Video Psicoterapia Cognitiva-Affettiva Comportamentale Prof. M.R. Goldfried + Libro Dalla Terapia cognitivo-comportamentale all’Integrazione delle Psicoterapie € 120,00 • Video Psicoterapia Processuale Esperienziale L.S. Greenberg + Libro Manuale di Psicoterapia Esperienziale Integrata € 132,00 • Video La Terapia Centrata sul Cliente N.J. Raskin + Libro La Terapia Centrata sulla Persona di J.D. Bozarth € 120,00

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Nella stessa collana • Video EMDR per Traumi: Movimento oculare Desensibilizzante e Rielaborazione F. Shapiro + Libro Trattamenti Psicologici in Emergenza di E. Giusti, C. Montanari € 118,00 • Video La Terapia Eclettica Prescrittiva J.C. Norcross + Libro Psicoterapia Prescrittiva Elettiva, fondata sull’evidenza di Beutler/Harwood € 120,00 • Video Psicoterapia Multimodale A.A. Lazarus + Libro Le basi della Psicoterapia Eclettica ed Integrata di Chambon - Cardine € 125,50 • Video Psicoterapia Infantile J. Annunziata + Libro Counseling Scolastico Integrato di E. Spalletta, C. Quaranta € 122,00 • Video Ipnoterapia Ericksoniana J.K. Zeig + Libro Ipnosi e Psicoanalisi, collisioni e collusioni di L. Chertok € 120,00 • 2 Video Il Counseling breve in azione J.M. Littrell + Libro Il Counseling breve in Azione di J.M. Littrell € 122,00 • Video Psicoterapia Esperienziale A. Mahrer + Libro Lavorare con le emozioni in Psicoterapia Integrata di Greenberg/Paivio € 127,50 • 5 Videocassette Terapia Cognitivo-Comportamentale per la Depressione per l’autoformazione didattica, libro di G.B. Persons, Costo complessivo: € 275,00 • Video Psicoterapia Comportamentale con paziente ossessivo-compulsivo S.M. Turner + Libro Ossessione e Compulsioni, Valutazione e Trattamento di Edoardo Giusti, Antonio Chiacchio € 127,50 • Video Psicoterapia Pratica con Adolescenti A.K. Rubenstein + Due Libri Psicoterapia Integrata per bambini e adolescenti di Sebastiano Santostefano € 155,00 • Video Psicoanalisi con paziente schizofrenico B. Karon + libro Disturbi mentali gravi di V. Campanella - M. Fiori - D. Santoriello € 120,00 • Video Come gestire il transfert erotico in psicoterapia AA.VV. + libro Etica del contatto fisico di E. Giusti - F. Germano € 115,00 • Video Psicoterapia Interpersonale Ricostruttiva Lorna Smith Benjamin + libro Psicoterapia Interpersonale Integrata di E. Giusti - A. Lazzari € 118,00 • Video Come gestire la rabbia dei pazienti in psicoterapia AA.VV. + libro Terapia della rabbia di E. Giusti - F. Germano € 118,00

Edizioni ASPIC • Video Terapia della Gestalt individuale in gruppo Ginger/Masquelier + libro Psicoterapia della Gestalt di E. Giusti - V. Rosa € 130,00

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Nella stessa collana

EDIZIONE SOVERA STRUMENTI Elliott R. - Watson J.C. - Goldman R.N. - Greenberg L.S., Apprendere la terapia focalizzata sulle emozioni. L’approccio esperienziale orientato al processo per il cambiamento, in corso di stampa, pp. 368 Giusti E., Montanari C., Iannazzo A., Psicodiagnosi integrata. Valutazione transitiva e progressiva del processo qualitativo e degli esiti nella psicoterapia pluralistica fondata sull’evidenza obiettiva, 2006, pp. 580 Giusti E., Bonessi A., Garda V., Salute e malattia psicosomatica. Significato, diagnosi e cura, 2006, pp. 240 Giusti E., Germano F.., Psicoterapeuti generalisti. Competenze essenziali di base: dall’adeguatezza verso l’eccellenza, 2006, pp. 256 Giusti E., Pacifico M., Staffa T., L’intelligenza multidimensionale per le psicoterapie innovative, 2007, pp. 400 Giusti E. - Tridici D., Smoking. Basta davvero, 2009, pp. 224 Goodheart C.D. - Kazdin A.E. - Sternberg R.J., Psicoterapia a prova di evidenza. Dove la pratica e la ricerca si incontrano, in corso di stampa Norcross J.C., Beutler L.E., Levant R.F., Salute mentale: trattamenti basati sull’evidenza. Dibattiti e dialoghi sulle questioni fondamentali, 2006, pp. 464 Spalletta E., Germano F., MicroCounseling e MicroCoaching. Manuale operativo di strategie brevi per la motivazione al cambiamento, 2006, pp. 480 Wolfe B.E., Trattamenti integrati per disturbi d’ansia. La cura del Sé ferito, 2007, pp. 304

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