Artintime N.11 - Novembre

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IN TIME n.11 - Novembre 2013

ARTE | CINEMA | MUSICA | TEATRO | LETTERATURA | SERIE TV | INTERVISTE | EVENTI | LONDON NEWS


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ARTINTIME L’EDITORIALE Pixel, pixel e ancora pixel! Un piccolo grande mondo fatto di caselline colorate e luminescenti che si stagliano contro il buio della notte, di quella crisi che tutti i giorni martella la nostra quotidianità impedendoci sogni tranquilli e mettendo a dura prova speranze e fantasia creativa, tutto ciò che su queste pagine cerchiamo di regalarvi, con la gioia e la speranza che i volti sconosciuti di oggi diventino parte di un grande cambiamento positivo e futuro. Pixel come puntini di un percorso, di quelli da unire a righe di penna, un sentiero che per questo novembre 2013 ci porta dritti dritti nella vostre mani, e non in senso puramente metaforico: Artintime di novembre celebra la sua prima, limitata ma per noi importantissima, tiratura stampata! E lo fa in occasione dell’importante partnership stabilita in accordo con Paratissima, l’evento artistico, costola di Artissima, che catalizzerà l’attenzione dei creativi in tutta Italia dal 6 al 10 novembre. Diventata in pochi anni punto di riferimento per il mondo artistico italiano, Paratissima si descrive così: “una manifestazione rivolta ad artisti, creativi, fotografi, illustratori, pittori, stilisti, scrittori, registi e designer emergenti, che non sono ancora entrati nel circuito ufficiale dell’arte, e ad artisti affermati che desiderano sperimentarsi in un contesto dinamico rivolto ad una vasta platea”. E proprio ai pixel, tormentone di questo editoriale, sarà dedicata l’edizione 2013 di Paratissima, all’insegna del colore, della luce, ma anche del digitale, sfera che ormai abbraccia il reale, filtrandone aspetti sociali, politici, costruendo emozioni e percorsi di senso attraverso schermi e display ormai imprescindibili nell’alimentare il nostro immaginario. Essere presenti alla vetrina di Paratissima sarà un’occasione ghiotta, per noi di Artintime, di dialogare con larga parte di quel mondo giovane, emergente e troppo spesso sotterraneo che anima il nostro quotidiano e al quale vorremmo dare voce. Lo faremo su queste pagine, che molti di voi avranno modo di sfogliare e accarezzare di persona, ma lo faremo anche sul nostro portale www.artintime.it, che negli ultimi mesi avete visto ripartire, ogni volta sempre più forte, sempre migliore e arricchito, in grado di raggiungervi tutti, distanti, pigri, o navigatori curiosi della rete. Dalla pagina internet di Artintime, rettangolo di pixel in perpetuo movimento, al rettangolo più solido e concreto rappresentato da un libro. Un volo lungo il tempo, a ritroso verso le antiche arti da cui è sbocciato il nostro attuale universo digitale, ecco cosa riserva per voi Artintime di novembre nella sua intervista. La sua protagonista è una ventenne talentuosa, tenace e sognatrice che, quasi come per magia, ha realizzato un sogno, e tra carta e monitor è riuscita a dare uno spazio e una voce alla sua personalissima e appassionata creatività. E proprio grazie alla creatività, quella degli Art of Sool, questo mese possiamo anche vantare una copertina d’autore! Il nostro viaggio cartaceo si chiude, dopo il fortunato esordio di ottobre, con la vignetta, “Chuck!”, le avventure di uno stressato regista cinematografico alle prese con eroi del grande schermo improvvisamente balzati a fare capolino nella sua vita. Lo avevamo lasciato nella sua cucina, in compagnia di un esilarante John Wayne… Siete curiosi di conoscere il resto della storia? Ormai lo sapete: non vi resta che voltare pagina e immergervi nel colorato mondo di Artintime!

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ARTINTIME SOMMARIO 6 . INESS MEZEL by Angelica Magliocchetti

8 . INFANCIA CLANDESTINA by Francesca Cerutti

10 . QUELLO CHE NON CI MANCA E’ IL SORRISO by Angelica Magliocchetti, Alessandra Chiappori

14. UNA COMMEDIA NOIR SULLA FALLIBILITA’ UMANA by Alessandra Chiappori

16 . STORICI DELL’ARTE SI DIVENTA by Roberta Colasanto

18 . THE DUCK HOUSE: VITA E SURREALISMO by Barbara Mastria

20 . INTERVISTANDO : Rilegato a mano by Alessandra Chiappori

24 . UP2U : con la Stampa il teatro arriva sul web by Alessandra Chiappori

26 . ADAM SMITH by Angelica Magliocchetti

28 . LO SBARAZZINO AFFRESCO DI UN MICROCOSMO PROVINCIALE by Alessandra Chiappori

30 . UPSIDE DOWN: THE DALSTON HOUSE EXPERIENCE by Cristina Canfora

32 . TONI SALMASO by Spazio San Giorgio Bologna

34 . REF LECTIONS: RIFLESSIONE SUI RIFLESSI by Francesca Cerutti

36 . EVENTS by Anna Moschietto

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INESS MEZEL Basterebbe già l’ascolto di un brano come “Amazone” per capire di avere davanti un’artista capace di mescolare le sue differenti eredità culturali in un’unica, trascinante, danza. Lei è Fatiha Messaoudi, in arte Iness Mezel (dalla lingua berbera ‘’non disperare mai”) e porta con sé tutto il ritmo del Nord-Africa, la potenza del rock e le influenze pop e funk del panorama parigino. Grazie ad una prepotente passione per la musica e ad una vita sempre in movimento che l’ha portata già in tenera età a spostarsi spesso tra la Cabilia, in Algeria, e la capitale francese, l’artista riesce a riproporci tutte quelle sonorità tipiche delle sue origini (intrecci vocali, frenesia delle percussioni e melodie), legandole armoniosamente ad un panorama musicale a noi più familiare, e quindi aperto anche a chi non è troppo abituato ad un sound in stile world music. Tre gli album in attivo finora, tutti prodotti ad anni di distanza per dar loro modo di fotografare un periodo della vita dell’artista. Una ricerca di sé stessa, nel 1998, con l’album di debutto “Wedfel”, un lavoro con cui ha sfidato la tradizione: donna e artista, un binomio in opposizione alle consuetudini dell’austero popolo berbero.

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E’ cantato nella lingua di Cabilia, però, in linea con una tradizione che «soddisfa il bisogno umano di sicurezza, ma non è sempre buona». Vi troviamo infatti una figura di donna nuova, in ribellione, la stessa che riemergerà nel 2004, con il suo secondo lavoro: “Lën”. Un album come prova; Iness, ora, vuole dimostrare qualcosa, con rabbia, con foga. Il matrimonio, il divorzio, la danza e l’esilio, tutti temi forti, tutti affrontanti con una musica gioiosa e carica, seguendo la convinzione che un atteggiamento positivo porti più lontano le sue parole. Bisognerà attendere il ‘’momento giusto” come dice la cantautrice per il suo terzo lavoro: “Beyond The Trance”, uscito nel 2011. Già dalla copertina, in cui l’attrice posa di spalle, nuda, le braccia al cielo, il tema è evidente: la libertà, l’anticonformismo senza tabù. Oltre all’incursione della lingua francese, un tocco in più in questo lavoro le viene dalla fortunata collaborazione con Justin Adams; innamoratosi della voce di Iness Mezel, il chitarrista e produttore inglese decide infatti di metterle al servizio i suoi accordi rock. Il risultato è strabiliante, una fusione unica di cultura africana e ritmi

infiammati che trascina per tutte le undici tracce dell’album; un inno alla danza dunque, un po’ rituale, un po’ vorticoso. Di sicuro efficace. Al solito alcuni titoli per iniziare l’immersione nell’anima rock di Cabilia: la fiammeggiante “Cheikh mohand”, la gioiosa title track “Lën”, il sapore d’improvvisazione blues di “Djiyi”, l’anima tribale di “Cool yiwen” e chiaramente “Amazone” corredata dal suo incredibile video. E poi? Come da intento della cantautrice berbera: danzate, e seguite il ritmo fino a perdervi! Enjoy!

Angelica Magliocchetti


MUSIC

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ARTINTIME movies@artintime.it

INFANCIA CLANDESTINA È sera, una famiglia sta rientrando a casa, il figlio chiede alla mamma di affrettarsi ad aprire la porta: deve fare pipì, non la tiene più. Il padre si allontana, deve andare a comprare le sigarette. Sembra tutto normale, ma a un certo punto qualcosa rompe il quadretto familiare: un’auto compare sul fondo della strada e si avvicina alla famiglia. Il padre cerca di avvertire la moglie e il figlio, ma è troppo tardi, dall’auto in corsa arrivano degli spari. Ecco che tutto si trasforma, la violenza viene raccontata con delle immagini disegnate, brevi ma incisivi fotogrammi che urtano l’occhio dello spettatore: il disegno, solitamente associato all’infanzia, viene qui utilizzato per raccontare il dramma, quello vissuto, si scoprirà in seguito, dal bambino. Comincia così, in un modo duro e di grande impatto, “Infancia Clandestina”, film d’esordio del regista Benjamin Ávila, che ha scelto di raccontare attraverso questa pellicola la sua infanzia nell’Argentina degli anni ‘70 durante il periodo della Guerra Sporca, il programma di repressione violenta attuato con lo scopo di fermare ed eliminare qualunque forma di protesta e qualunque ribelle. Si tratta di un periodo molto violento della storia

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argentina, segnato da migliaia di morti e soprattutto di scomparsi, i desaparecidos, e dalla violazione estrema dei diritti umani e civili della popolazione. In questo scenario di morte e distruzione, si muove il protagonista del film, Juan, che nonostante la sua giovane età è costretto a vivere come un clandestino, con un passaporto falso, una data di nascita fasulla e un nome fittizio: Ernesto. Come Che Guevara, ricordano nel film, che quando andò in Congo entrò con un passaporto falso, facendosi chiamare Ramon Benitoz Fernandez e in Bolivia divenne Adolfo Mena Gonzalez per non farsi riconoscere. Juan/Ernesto cresce come un clandestino, rientrato in Argentina sotto falso nome e con l’aiuto di alcuni compagni di lotta dei suoi genitori, comprende subito che la sua infanzia sarà ben diversa da quelle spensierate dei suoi coetanei. Lo zio e i genitori hanno una fabbrica di cioccolatini, elemento di copertura per trafficare in realtà armi e proiettili che servono per portare avanti la ribellione contro l’esercito militare: nelle colorate scatolette dei bon bon dei bambini si nascondono oggetti che provocano la morte. La fabbrica di cioccolato di Willy Wonka è solo un lontano ricordo e ne resta solo l’in-

volucro nel mondo degli adulti: sarà proprio quella carta, che solitamente i bambini gettano perché interessati al contenuto, a nascondere i mezzi preziosi per sopravvivere e difendersi. Gli scatoloni di trasporto diventano un ottimo stratagemma per creare nascondigli per Juan/Ernesto e sua sorella e per i compagni che arrivano bendati nella casa dei clandestini. I bon bon di cioccolato però esistono, e vengono considerati come tali solo da Juan/Ernesto e dallo zio, unici a soffermarsi e assaporarli, a gustarli lentamente. Il cioccolato fa parte dell’infanzia e diventa un mezzo utile per spiegare a Juan/Ernesto come deve comportarsi con le ragazze. Quale futuro potrà avere Juan/Ernesto in mezzo ai rivoluzionari? Ecco che la domanda sorge e diventa opprimente all’interno del film. Il ragazzino vuole organizzare una festa di compleanno, una festa finta perché a compiere gli anni non è Juan ma Ernesto, però è pericoloso e soprattutto ci vuole tempo per mettere su un bel pomeriggio per i compagni di scuola. A venire in aiuto e in sostegno di Juan/Ernesto sarà proprio lo zio che sembra fare da trait d’union tra il mondo dei rifugiati e quello dove la vita continua in modo normale: è l’unico che considera Juan/Ernesto


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per l’età che ha, che sembra comprendere i suoi problemi. Proprio in occasione del compleanno andrà a prendere la nonna del bambino. L’arrivo della donna rappresenta un altro punto importante del film: ancora una volta viene ribadito che i bambini, lì, non sono al sicuro. I genitori di Juan/Ernesto non la pensano così, non vogliono allontanarsi dai loro figli, che devono seguirli nella loro scelta di vita. Una visone a tratti egoistica, ma che allo stesso tempo ribadisce l’unione famigliare che nonostante tutto cercano di mantenere all’interno della piccola casa. Eppure non tutto va per il meglio, nonostante Juan/Ernesto possa partecipare al campeggio con i compagni di classe e trascorrere un po’ di tempo con l’amata Maria. L’esercito non si ferma e continua a cercare i ribelli: il nascondiglio non

è più sicuro e a uno a uno verranno presi, tranne Juan/Ernesto e la sorella che si salveranno e saranno affidati alle cure della nonna. “Infancia clandestina” è un dramma, una storia reale accaduta a molti ragazzini cresciuti negli anni ‘70 in Argentina, è un film che fa riflettere sul ruolo dei bambini durante la guerra, sull’infanzia negata, quell’infanzia che cerca con tutte le forze di farsi spazio in un mondo di adulti, ma che non riesce a trovare un suo spazio, perché per le cose belle non c’è posto. Le armi prendono il posto del cioccolato, il telefono non si può utilizzare e stare con gli amici è consentito solo se si tratta di compagni, unici a poter entrare in casa, mentre gli

altri restano relegati al cortile o al garage. Benjamin Ávila riesce con poche inquadrature a restituirci momenti di grande intensità affettiva, famigliare e ideologica, regalando al pubblico un film di grande spessore civile e culturale.

Francesca Cerutti

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ARTINTIME popart@artintime.it

“QUELLO CHE NON CI MANCA E’ IL SORRISO”

Tra progetti, mostre e riqualif icazioni : ecco la galleria Square 23 di Torino Alle porte di Paratissima 2013, Davide Loritano, direttore della galleria d’arte contemporanea torinese Square23 (Via San Massimo 45) insieme a Simona Savoldi e Luca Endemini, ha accettato di fare quattro chiacchiere con ArtInTime per raccontarci i progetti in partenza e il personalissimo modo di considerare la street art di questo spazio che, anno dopo anno, si sta inserendo sempre di più nel tessuto urbano. Ciao Davide, ci racconti qualcosa di Square 23? Lo Square 23 è al suo terzo anno di vita, avevamo iniziato come progetto un po’ piccolo; eravamo amanti dell’arte in tutte le sue sfaccettature. Aprendo questa galleria abbiamo voluto dare alla nostra idea di partenza una connotazione interamente legata alla street art, un po’ per i nostri background un po’ per la nostra vita passata: ci è sembrata l’arte che riesce maggiormente a esprimere la persona, senza l’utilizzo di alcun mezzo, dove, quindi, si può essere completamente liberi. Questo è quello che ci ha dato il la, Torino oltretutto è una città molto attiva sotto il punto di vista della street art. Abbiamo così iniziato a operare un po’ off, pensando sì alla mostra in galleria,

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ma cercando di non circoscriverla in tre, quattro mura. Ogni artista che collabora con noi viene portato a creare anche sul tessuto urbano di Torino, come abbiamo fatto con gli Urbansolid, Clet Abraham, Ale Puro, Alessandro Calligaris e come faremo adesso con Pao. Il lavoro prosegue quindi anche fuori da Square 23… Sì, con tutti gli artisti cerchiamo sempre di riqualificare, sia le vie sia i luoghi di Torino più degradati. Quest’anno, ad esempio, tra i tanti progetti ci siamo occupati della riqualificazione del carcere di Tirano (So), in collaborazione con l’associazione Gabbiano Onlus. Abbiamo avuto l’aiuto di persone con una vita dura alle spalle, non abituate a un certo tipo di arte, che hanno incominciato a lavorare a stretto contatto con noi per riportare a nuova luce l’edificio. È stata una cosa incredibile! Abbiamo riqualificato le celle, gli interni e le mura perimetrali del carcere che adesso perderà la connotazione di edificio detentivo e diventerà casa di recupero. In questa occasione, ma torneremo con nuovi interventi nella stessa struttura, abbiamo anche chiamato degli artisti europei. Con la collaborazione di tutti, abbiamo fatto un ottimo lavoro.

E per il futuro? Tra poco partirà il nostro progetto, ormai a ciclicità annuale, con Paratissima. Quest’anno presenteremo uno street artist di Milano molto famoso che è Pao, Paolo Bordino, organizzeremo per lui sia un opening qua in galleria il 31 di ottobre, sia un progetto speciale nel suo stand a Paratissima, dal 6 al 10 novembre. Nel programma abbiamo inserito anche un po’ di street art dal vivo: oltre a portare qui Pao, che non si limiterà solo - anche se è già un grosso lavoro - a fare una mostra in galleria e seguire lo stand, abbiamo ottenuto, inoltre, la delibera per poter riqualificare piazza Galimberti, davanti al MOI (sede di Paratissima), dove ci sono dei giochi fatiscenti per bambini. Paolo riqualificherà, dando un po’ di colore. Oltre a questo ci sono molti altri progetti, tra cui la riqualificazione di via san Massimo attraverso interventi mirati. Qual è la filosofia di Square 23? Il nostro pensiero è abbattere un po’ i canoni “austerity” delle gallerie di una volta, in cui le porte erano chiuse e le persone non si avvicinavano a un certo di tipo di arte. Nella nostra galleria vorremmo che il collezionista fosse un po’ l’uomo comune, che passa per strada e a cui piacciono i lavori anche solo di


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pancia, indipendentemente dall’artista. Teniamo sempre la porta aperta e cerchiamo di integrarci con i commercianti della zona e con le persone che passano, per noi è vitale. Guardando agli anni passati la galleria ha incominciato a prendere un po’ più di vita, per effetto anche virale sia dei social network che dei blog: ne siamo molto contenti, è un lavoro bellissimo, a volte duro, ma molto affascinante. Quali sono gli ultimi artisti che avete ospitato? Siamo contenti di aver ospitato una mostra di Ale Puro, street artist di Vigevano, secondo me molto interessante per la sua visione dell’arte con gli occhi dei bambini, un tratto molto leggero, già di per sé molto puro. È una mostra di sentimento. In più, abbiamo cercato di integrare

lui con il contesto della via, per cui ad esempio molti negozianti hanno iniziato ad applicare i suoi lavori alle vetrine o abbiamo messo degli omini per la via e la gente, incuriosita, andava davanti ai negozi e scattava foto. Cerchiamo di integrarci quindi, meglio che possiamo, cosa che ha dei vantaggi se vogliamo fare poi degli interventi mirati di riqualificazione della zona. Con chi collaborate solitamente? Spesso qua a Torino collaboriamo con l’associazione “Il cerchio e le gocce”, anche loro mirano a fare grossi interventi di riqualificazione muraria chiamando artisti di calibro internazionale che vengono a Torino e lavorano su grosse pareti. E poi con il SAM, Street Art Museum, che ha aperto un anno e mezzo fa e con

cui abbiamo riportato al suo splendore il vecchio zoo di Torino in Corso Casale, con un sacco di artisti. È un posto secondo me tra i più belli di Torino, sappiamo che verrà buttato giù, ma nostro compito non è di finalizzare, casomai cercare di far capire alle persone che anche la street art fa parte dell’arte contemporanea, è un’arte vera e pura. Tutti gli artisti con cui abbiamo collaborato finora avevano una grande umanità, ci siamo sempre trovati bene con tutti, perché più o meno siamo cresciuti negli stessi posti, abbiamo avuto lo stesso tipo di esperienze chi belle chi brutte nella vita, ed è anche per quello che alla fine è nata Square 23. Come scegliete gli artisti? Sul panorama italiano adesso è molto facile, ci sono tanti ragazzi

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ARTINTIME

davvero bravi, noi cerchiamo di portare un artista di fama europea e subito dopo inserire un emergente, in modo che anche l’emergente, di riflesso, possa avere un certo tipo di visibilità. Questo ha fatto sì che tanti ragazzi emergenti alla fine della mostra si trovassero molto soddisfatti del lavoro fatto qui a Torino. La mostra per noi non è una chiusura del cerchio: in quel mese, mese e mezzo o due, la mostra in galleria non inizia e finisce, anzi, dalla mostra inizia un percorso di collaborazione con l’artista. Quando troviamo degli interventi da fare in esterna, che sia Torino, la Valtellina, Milano, la Liguria, o qualsiasi parte di Italia, teniamo i nostri artisti in considerazione e cerchiamo di costruire una famiglia, trovandoci tutti bene tra di noi, perché in fin dei conti sia l’artista che noi galleristi, che trattiamo

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un certo tipo di arte, siamo un po’ tutti sulla stessa barca, e cerchiamo di portarci avanti l’uno con l’altro. Ci sono stati dei cambiamenti rispetto a come il pubblico pensa la street art da quando siete qui? Sì, i primi anni quando organizzavamo gli opening arrivavano persone molto specifiche, amatori del genere, artisti, persone incuriosite da quell’artista… Era un panorama di un certo tipo, che andava dai 20 ai 35 anni. Mostra dopo mostra, progetto dopo progetto, abbiamo iniziato a notare che ora arrivano molte più fasce d’età, vuol dire che o stiamo lavorando bene, o i ragazzi sono davvero molto bravi e hanno qualcosa da dire, o che c’è qualcosa nell’arte contemporanea che sta incominciando a cambiare. Se ci fossimo limitati qua dentro, inol-

tre, avremmo avuto molte più difficoltà; per noi è fondamentale lavorare in esterna, cerchiamo sempre di valutare e selezionare i progetti migliori. Effettivamente vedere arrivare a una mostra di street art una persona intorno ai 68 anni, magari interessata, vuol dire che veramente qualcosa sta cambiando. Siamo contenti di essere una delle poche gallerie nate in Italia che hanno portato avanti il concetto di street art, è abbastanza difficile collegare, incastrare tutto, organizzare e trovare i fondi per poterlo fare, però amiamo così tanto questo lavoro che tutti e tre cerchiamo sempre di fare tutto al meglio. La cosa che non ci manca è il sorriso, quello è fondamentale! Avete partecipato a qualche evento all’estero? Per ora abbiamo partecipato, un anno e mezzo fa, alla Stroke Urban


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Art Fair, uno dei meeting di arte più importanti d’Europa, si organizza due volte all’anno a Berlino e a Monaco. Quando siamo andati noi c’erano una trentina di gallerie: inglesi, belghe, olandesi, e tre italiane, oltre a noi, una di Milano e una di Bergamo. Siamo stati a contatto con tantissimi e bravissimi street artists e artisti di arte contemporanea, abbiamo preso tantissimi contatti e fatto interventi su pannelli esterni: è stata un’esperienza molto molto carina! Quest’anno forse torneremo a Monaco a maggio: fino all’inizio del 2013 eravamo molto presi per lavorare e cercare di strutturare qualcosa che durasse nel tempo qui, da noi, e questo ci limitava negli spostamenti perché non avevamo proprio il tempo materiale per organizzare; ora, invece, che ci siamo avviati bene, abbiamo la possibilità di partecipare a eventi

anche fuori. All’estero la concezione della street art è diversa rispetto all’Italia? Che accoglienza trova? Sulla sensibilizzazione è sicuramente diversa, così come sulle persone e il loro modo di interpretare l’arte urbana. Ma, alla fine, penso che Torino sia la città più viva in Italia in questo momento. In tutte le cose si dice che in Europa arrivano sempre un po’ prima: diamoci tempo! Credo in ogni caso che il distacco cominci a essere un po’ più corto, qui stanno iniziando a esserci bravissimi artisti e a breve arriveremo ad avere lo stesso concetto di street art che hanno in Germania, in Inghilterra. Se vai là ci sono già molti graffiti in giro apprezzati come opere urbane, qua per ora abbiamo iniziato a creare insieme al ‘Il cerchio e le

gocce’ una mappa della street art cittadina. È un primo passo affinché le persone possano gustarsi Torino in tutte le sue sfaccettature, e l’arte di strada è una di queste.

Angelica Magliocchetti A lessandra Chiappori

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ARTINTIME books@artintime.it

UNA COMMEDIA NOIR SULLA FALLIBILITA’ UMANA Tenere pulito e in ordine l’appartamento di un amico: un compito semplice, basta seguire le istruzioni dettagliatissime e curate in ogni aspetto che il suddetto amico ha lasciato sul tavolo e nei più disparati angoli della casa. Ma per il protagonista di questo al contempo affascinante e inquietante romanzo d’esordio di Will Wiles, le cose non vanno proprio così lisce come ci si aspetterebbe, e ben presto intuiamo che le sorti dell’appartamento non seguiranno i piani sperati, anzi… “Istruzioni per la manutenzione del parquet”, come ben dicono i commenti in quarta di copertina, suscita echi kafkiani nella sua perfezione narrativa e verosimile, distaccata però da contesti logici che tutti noi lettori ci aspetteremmo, e coltiva così nell’immaginario un certo spirito di fastidio causato da quel lieve illecito che così tanto fa ripensare alla prosa di Edgar Alla Poe. Un romanzo horror? Decisamente no: l’orrore non è tale nelle scene, ma solo nella logica dei fatti, nel loro scivolamento via via sempre più vicino a risvolti che sanno di misteri della psiche, di sottili perversioni e angosce non dette del quotidiano. La storia è appassionante e gradevole nel suo essere sapientemente intessuta di tipico humor inglese, vagamente macabro e nonsense, ma del tutto comprensibile ai nostri occhi, per-

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ché stagliato su un luogo-non luogo con caratteristiche ben definite, che aprono scenari perfetti ad accogliere l’atmosfera della narrazione. L’appartamento in questione è infatti situato in una mai nominata città che capiamo perfettamente trovarsi nell’est europeo. Oskar, il proprietario e amico del protagonista, ha studiato in Inghilterra e ora è tornato nella sua patria di origine dove svolge la sua attività di musicista e compositore vivendo in un lussuoso e curatissimo – fino quasi all’ossessione per pulizia, ordine e perfezione – appartamento, il cui elemento più prezioso è il parquet, brutalmente destinato a una serie di maltrattamenti più o meno casuali. Fuori dall’appartamento, tutto intorno, c’è un paese che, seppure mai specificato, capiamo benissimo essere uscito da un buio tunnel sovietico, e che ora è popolato da abitanti che solo apparentemente pretendono di assomigliare al caro e noto Occidente del protagonista. La lingua è incomprensibile, l’architettura e le abitudini sono “vecchie”, di fronte a desolati scenari di periferia con fabbriche abbandonate si staglia la buia realtà di night club sotterranei adibiti a bordelli, ma in superficie c’è il teatro, la grande musica classica. Sarà quest’atmosfera a ricordare un po’ l’est Europa di Kafka, insieme a tutti quei grotteschi episodi di non detto, di in-

comprensibile e inafferrabile logica degli eventi, sommati come per ineludibile volontà di forze misteriose e direzionati nell’unica via possibile, quella di portare il protagonista a una sorta di rovinoso ripiegamento su di sé, a un raffronto fin troppo ravvicinato con i propri incubi, con le paure e il panico che situazioni via via sempre più incontrollabili incatenate l’una nell’altra rendono tangibili. Non vale la pena rivelare ulteriori dettagli della trama, che va scoperta nella sua semplicità e nel suo vortice al contempo irresistibile, avvincente e misteriosamente angosciante. Un plauso all’autore va per la creazione di una storia dalla struttura a suo modo geniale, dentro alla quale accade davvero l’impensabile nonostante la limitatezza degli elementi narrativi: i protagonisti principali sono soltanto due, uno dei quali, Oskar, è conosciuto dal lettore esclusivamente attraverso il ricordo e i racconti dell’altro. Altro che è causa di ogni azione e del quale sappiamo ancora una volta molto poco (nemmeno il nome!), che a sua volta si muove su uno sfondo mai definito o raccontato appositamente, ma descritto attraverso comportamenti, sensazioni e visioni che rivelano una cura e attenzione tali da risultare una lampante descrizione di luoghi e scenari ben chiari. Per quanto, ed è quel fondo inquieto che connota il romanzo e


BOOKS ci fa pensare ad Allan Poe, una simile precisione e chiarezza non si possa ritrovare in alcuni risvolti della trama, proprio quelli che contribuiscono a rendere la coesione della storia e farne parlare nei termini di una commedia dai toni noir. Un plauso va anche alla traduttrice dell’edizione Neri Pozza, per aver reso in un italiano denso, dinamico e ricchissimo un linguaggio vivace, riflessivo, colto e attuale, aperto a ogni strada e privo di ogni fissità, dentro al quale immergersi per ritrovare il più grande piacere della lettura.

A lessandra Chiappori

“Oskar aveva avuto il… che cosa? Il talento? L’abilità? L’astuzia? La disciplina? La mera fortuna? La gran fortuna di esercitare il controllo assoluto sul suo ambiente e di potersi costruire quel paradiso personale. E quando mi aveva offerto l’opportunità di custodirlo per lui, mi era sembrata l’occasione per scrollarmi di dosso i vecchi schemi del mio mondo inadeguato. Ma ormai era passata una settimana e non avevo altro da offrire se non una scia di devastazioni. Nel rovinare l’appartamento di Oskar avevo rovinato la mia possibilità di usarlo come trampolino per il miglioramento” Will Wiles, “Istruzioni per la manutenzione del parquet”, Neri Pozza, 2013.

Will Wiles C’è sicuramente la sua esperienza come editor di una rivista di design e architettura in questo libro d’esordio. Ma Will Wiles ha una biografia ben più ampia, che lo porta dall’India, paese in cui nasce nel 1978, fino a Londra, per intraprendere una carriera di scrittore e giornalista free lance che vanta collaborazioni con il New York Times e con siti di architettura, tra cui l’attuale blog willwies.blogspost.com. Con questa sua opera prima è riuscito a conquistarsi un meritato posto tra i selezionati alla finale del Book Award 2012.

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STORICI DELL’ARTE SI DIVENTA Lo scorso 27 Settembre si è svolta in molte città italiane ed europee la Notte dei Ricercatori, che a Torino ha ospitato in piazza Castello a partire dalle ore 15.00 dimostrazioni, laboratori, dibattiti e giochi organizzati dai vari dipartimenti dell’Università. Proprio qui, nel Museo Civico d’Arte Antica di Palazzo Madama, un intrepido gruppetto di giovani ricercatori si è cimentato in alcune minivisite guidate, focalizzate su singole opere, per spiegare al pubblico partecipante in cosa consista di fatto il lavoro dello storico dell’arte. Molti pensano che lo storico dell’arte sia quel fantomatico personaggio che, davanti a un dipinto anonimo, è in grado di esclamare: questo è senza dubbio un Caravaggio! Nossignore, o perlomeno non solo. Attribuire con certezza un’opera a un determinato autore non è lo scopo primario dello studioso. Ma allora chi è veramente lo storico dell’arte? Un detective. Uno che davanti a un oggetto artistico (un dipinto, una scultura, un mobile…), solitamente estrapolato dal suo contesto originario, per ricostruirne la storia deve riuscire a rispondere al maggior numero delle seguenti domande: che cosa rappresenta? Quando è stato realizzato? Dove? Da chi? Chi lo ha pagato? Dove era collocato? Qual era la sua funzione? Qual era il suo aspetto originario? Per risolvere i suoi enigmi il buon investigatore si serve di vari indizi. Prendiamo ad esempio una scultura lignea o un dipinto su tavola: il tipo di legno

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usato può indicarne la provenienza geografica. Rovere e abete sono tipici del Nord Europa, in Italia erano più frequenti pioppo, tiglio e altri legni. Il campo si restringe. Ma non è detto che un’opera realizzata in un luogo fosse destinata a rimanere lì, magari chi l’aveva commissionata risiedeva a miglia e miglia di distanza. Le opere viaggiavano, gli artisti si muovevano molto, si confrontavano, si influenzavano a vicenda. Ecco perché è così difficile attribuire con certezza. Certo, se pulendo un po’ qua e là saltasse fuori una firmetta, un dedica, una data... ma nemmeno delle firme ci si può fidare ciecamente: non è infrequente infatti far firmare con nomi altisonanti opere anonime da vendere a caro prezzo. Ecco allora che lo storico dell’arte si affida ai documenti, scavando negli archivi in cerca di un contratto, di un inventario, di una lettera dove si menzioni quell’opera o quell’artista e le informazioni che li riguardano, trovandosi a decifrare non di rado manoscritti antichissimi vergati da segretari, notai o addirittura marchesi, re e regine. Ma tutto ciò ancora non basta ed ecco che, accanto allo storico dell’arte, entra in scena la figura del restauratore: il medico di un’opera d’arte, con tanto di camice bianco. Facendo per esempio la radiografia a un dipinto, l’esperto può scoprirne i rifacimenti posteriori o il disegno preparatorio sottostante. Pulendo l’opera accuratamente con sostanze chimiche può liberarla dallo sporco che la

scurisce riportandola a una cromia il più vicino possibile all’originale. In più può integrare le parti mancanti, dette lacune, dovute negli affreschi o nei dipinti alle cosiddette “cadute di colore”. Ma lo deve fare in modo riconoscibile: ecco perché se vi avvicinate tanto, poniamo, a un quadro antico che raffigura la Madonna e osservate bene il suo manto blu, troverete probabilmente che alcune zone sono rese non da ampie pennellate, come tutto il resto del dipinto, ma da un finissimo tratteggio percepibile solo da vicino. E in quel momento voi avrete la certezza che quel dipinto è stato restaurato. Sì, perché chiunque visiti un museo, sia egli un idraulico o un dentista, deve riuscire a trasformarsi in un investigatore, sapere dove e cosa guardare, porsi le domande giuste che, anche se rimangono senza risposta, portano alla consapevolezza che serve per apprezzare veramente un’opera. Così quel 27 settembre qualche visitatore, uscendo da Palazzo Madama è tornato a casa dicendosi “però! Certo che quella statuetta non sembrava niente di che e invece…”; e quello sparuto gruppetto di ricercatori sapeva bene che, per farla apprezzare, l’arte bisogna insegnarla, perché un popolo che conosce e ama il suo patrimonio lo può valorizzare al massimo. E noi italiani dovremmo essere tutti un po’ storici dell’arte.

Roberta Colasanto


UNCLASSICART

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ARTINTIME

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TEATRO teatro@artintime.it

THE DUCK HOUSE:

VITA E SURREALISMO

Oltre oceano… a testa in giù dietro le quinte delle nuove proposte teatrali in Australia, una terra affascinante, lontana, da esplorare anche sotto il profilo artistico. La distanza sembra ridottissima quando, navigando nell’immenso mondo virtuale, si scopre che anche dall’altra parte del globo i giovani artisti si uniscono in una rete di amanti dello spettacolo dal vivo (YPAA – Young People And the Arts) molto simile sia per denominazione che per intenti all’Ypal (Young Performing Arts Lovers) europeo. Così sono saltate all’occhio varie realtà interessanti, così tante che non basterebbe questo spazio a raccontarle tutte. Una simpatica proposta è la compagnia The Duck House nata e insediata nella città di Perth e formata da giovani artisti che, attraverso il teatro, cercano di dare voci alle esperienze umane quotidiane, condite di verità e finzione. The Duck House presenta un profilo del tutto

femminile, con un appiglio intrigante e sfacciato sul pubblico. Le produzioni della compagnia spaziano tra generi differenti, dall’umoristico, al tragi-comico, trasportando lo spettatore all’interno di un mondo al quale realmente appartiene, ma che si colora di sfumature fantastiche ed eccentriche in scena. Il lavoro teatrale di The Duck House è un viaggio surreale ed eccentrico che prende forma in atmosfere intime e racchiuse che inevitabilmente sorprendono e affascinano lo spettatore. The Duck House parla di amore, amicizia, lavoro, fiabe e lo fa con scenografie essenziali, giochi di luce e oggetti che evocano, anche in uno scatto fotografico, un’esperienza vissuta, non troppo distante da quella personale degli attori. Ed è per questo che potrebbe capitare in una pièce del Duck House di trovarsi sommersi da corn flakes in una casa di coinquilini tra loro amici che devono scontrarsi ogni giorno con

la perdita, l’amore, la morte, fantasmi che invadono le loro stesse esistenze e che colgono i protagonisti un po’ impreparati.The Duck House non è solo teatro, ma anche sperimentazione di commistione di stili. Particolarmente produttivi per la compagnia sono stati sei mesi di residenza attiva proprio nel 2013, durante la quale gli artisti del gruppo hanno collaborato con il Perth Theatre Company alla contaminazione delle arti, lavorando sulla scrittura, la regia e il design.

Barbara Mastria

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ARTINTIME RILEGATO A MANO :

un sogno che profuma di carta La crisi, la disoccupazione, la giungla burocratica che in Italia rallenta e sconforta un po’ tutto, annuvolando pensieri e incupendo progetti. Eppure, a dimostrare che ogni tanto le cose funzionano e i sogni si trasformano in magiche realtà, lei ce l’ha fatta. Ventisette anni, tante esperienze di studio e formazione alle spalle, una provincia piemontese da cui partire e a cui tornare vittoriosi, ma soprattutto uno sconfinato amore per i libri e per le piccole e belle cose costruite artigianalmente. Lei è Francesca, e la sua bottega di legatoria artigiana appena inaugurata nel borgo di Candelo (Biella) si chiama “Rilegato a Mano, Libri Contagiosi”. Francesca, raccontaci brevemente chi sei e cosa fai Partiamo dagli inizi, quelli di una piccola lettrice agguerrita, avida di pagine e parole. I libri mi hanno contagiato con un amore infinito per le piccole cose, per i dettagli, e la mia famiglia ha fatto il resto, trasmettendomi l’amore per l’arte. Unendo le due cose, un giorno come gli altri nel mio banco da liceale ho realizzato che volevo e dovevo diventare un restauratore, di quelli con il camice bianco che volteggiano nei musei armati di guanti e pennelli. Trasferimento a Torino, Accademia di Belle Arti, camici bianchi. Il giorno in cui ho lavato la mia prima incisione è stato il punto di non ritorno! Ho iniziato un corso di storia del libro, uno di legatoria e mi sono di nuovo spostata fino a Bo-

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logna, verso un’altra Accademia e una specializzazione in restauro del libro antico e moderno. Ho iniziato a lavorare in una Biblioteca antica in centro città e in un laboratorio privato, e poi, come sempre più spesso capita, è finito tutto da un giorno all’altro. Come nasce l’idea di Rilegato a mano? Il panico da neolaureata senza un lavoro mi ha inchiodata alla scrivania per quasi due mesi, in un forsennato tentativo di far arrivare mie notizie a ogni sperduta biblioteca italiana, ho iniziato a ricercare all’estero, sono volata fino in Israele per tentare la fortuna alla Biblioteca Nazionale di Gerusalemme. Dopo il rientro in Italia mi sono ritrovata a dover assolutamente fare qualcosa per uscire da una situazione così negativa: non riuscire più a darsi significato ti precipita nello sconforto più nero. Ho così accantonato i miei sogni di camici bianchi, e armata di carta ho iniziato ad applicare i miei studi sotto altra forma, creando libri rilegati a mano e iniziando con un piccolo e-commerce su un marketplace americano, Etsy. Sono arrivati i primi ordini, dalla Francia, dal Texas, fino a Singapore. Ho iniziato a lanciarmi nei social, prima Tumblr, poi Facebook e Twitter, cercando libri di social media marketing e comunicazione. E poi è arrivato il bando della Camera di Commercio…. E poi, sì. Un giorno, nel mio tour

mattutino su internet trovo un bando di concorso indetto dal Comune di Candelo, qui in provincia di Biella, assieme a Camera di Commercio, Confartigianato e Fondazione Fila Museum, che avrebbe regalato una possibilità di inizio per una giovane impresa. Mi iscrivo, e ritorno alle mie occupazioni quotidiane, fino a una telefonata in cui vengo cordialmente avvisata di essere stata selezionata vincitrice del bando: “Congratulazioni per il suo nuovo posto di lavoro al Ricetto di Candelo!” L’emozione di aprire la propria bottega di legatoria: ce la racconti? Finalmente un vero e proprio spazio dove lavorare! Ho iniziato a sperimentare i miei primi libri in un angolo di soffitta, sempre più claustrofobico più il tempo passava... Ora ho il mio piccolo angolo di paradiso dove rifugiarmi. Come ti senti a essere definita “giovane artigiana”? Pensi che in un mondo fatto di bit e connessioni invisibili il valore del lavoro manuale conti ancora? Perché? È una sensazione strana ed elettrizzante allo stesso tempo. Strana per l’interesse che un lavoro, o direi meglio una passione per i libri come la mia suscita; elettrizzante per tutte le splendide parole che in questi ultimi mesi mi sono arrivate per mail e messaggi, anche da completi sconosciuti, e che mi


INTERVISTANDO...

foto di ArchetipoCreativo

regalano il coraggio di non allontanarmi dalle mie passioni. Sono fermamente convinta che soprattutto oggi vada valorizzata la “realtà” delle arti e delle relazioni umane. La tecnologia è uno strumento fondamentale per non far cadere nell’oblio gli antichi mestieri, ma deve procedere di pari passo con un vero contatto con l’artista: bisogna tornare ad aprire atelier sulla strada, e parlare dei propri saperi senza più il timore di lasciar trapelare segreti di bottega. Io amo parlare dei miei libri, e non ho timore di raccontare come lavoro o di tenere corsi. Se queste conoscenze in parte dimenticate verranno trasmesse con passione, sopravvivranno a noi per le generazioni che verranno, altrimenti continueremo a dimenticare. Come lavori, che strumenti e che materiali utilizzi per la tua

attività? Lavoro seguendo le tecniche antiche, con attrezzature in legno, in molti casi costruite a mano, e con materiali naturali e ricercati, sempre con un occhio di riguardo a una corretta etica ambientale. Porto avanti il concetto di riuso creativo, ridando significato a splendide materie prime spesso destinate al cestino: libri vecchi, cravatte, stoffe, carte e cartoni... Quali sono le cose che ami di più del tuo lavoro? Amo ogni suo aspetto, altrimenti sarebbe solo un’occupazione e non una vera passione. Ma il momento che sempre preferisco è dare vita all’immagine del libro che verrà chiacchierando con un cliente o un collega, da un disegno abbozzato su un foglio, alla scelta dei materiali, fino al magico momento in cui

la tua idea immaginata è lì tra le tue mani. Cosa rappresentano per te i libri? La migliore definizione che mi sia mai venuta alla mente è che “i libri sono gioielli per l’anima”. Hanno la capacità di arricchirci e abbellire il nostro essere più profondo, regalandoci sogni, sorrisi complici con le nostre eroine quando ci troviamo di fronte a un Darcy orgoglioso, o a una tazza di tè verde accompagnata da una tavoletta di cioccolato fondente. L’editoria economica di oggi, che pure ci permette di possedere migliaia di libri stipati sul comodino, ha però fatto venir meno il valore che il libroopera aveva una volta: calligrafato o stampato da un editore, rilegato da mani sapienti, abbellito da decorazioni o da incredibili copertine

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ARTINTIME

foto di ArchetipoCreativo

gioiello... La legatoria è un’arte silenziosa, che procede però di pari passo con l’evoluzione del gusto sociale, dalle copertine settecentesche di seta ricamata delle madame francesi, ai mosaici futuristi di inizio Novecento, fino al superamento del supporto stesso, come nel caso del libro imbullonato di Depero. Tra il laboratorio artigiano e internet: come possono conoscerti e venirti a trovare i nostri lettori? Porterò avanti entrambe le strade: un laboratorio vero e proprio, sempre aperto per una chiacchiera e un tè, da poco nella splendida cornice del Ricetto di Candelo, uno dei Borghi più belli d’Italia, e un e-commerce raggiungibile in ogni momento su Etsy (www.rilegatoamano.etsy.com). Uso tantissimo

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anche i social: sono molto attiva su Facebook, piattaforma incredibile che permette di entrare in contatto con artisti di qualsiasi angolo del mondo, e dove molte volte ho iniziato dialoghi virtuali che sono poi continuati dal vivo. Un consiglio e un pensiero per tutti i ventenni che come te sognano di riportare in luce un antico mestiere in cui credono e per il quale si impegnano con passione e talento Mai arrendersi e mai accontentarsi della versione più semplice dei propri sogni. E credere in sé stessi, nelle proprie potenzialità e talenti, senza lasciarsi affogare dalla fama e dai giudizi esterni, così come ci insegna il Cyrano di Rostand: “Orsù, che dovrei fare? Cercarmi un protettore, eleggermi un signore? No, grazie!

Dedicare, com’ usa ogni ghiottone, dei versi ai finanzieri? Far l’arte del buffone pur di vedere alfine le labbra di un potente atteggiarsi a un sorriso benigno e promettente? No, grazie! Saziarsi di rospi? Misurar le altrui scale? Far continui prodigi di agilità dorsale? No, grazie! Accarezzare con mano abile e scaltra la capra e intanto il cavolo inaffiare con l’altra? Pubblicare presso un buon editore, pagando, i propri versi! No, grazie dell’onore! Sudar per farsi un nome su di un picciol sonetto anzi che scriverne altri? E sempre sospirare, pregare a mani tese pur che il mio nome appaia nel Mercurio francese? No, grazie! Calcolare, tremar tutta la vita, far più tosto una visita che una strofa tornita, scriver suppliche, farsi qua e là presentare? ...Grazie, no! Grazie no! Grazie no!”

Alessandra Chiappori


FR

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INTERVISTANDO...

DS

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ARTINTIME

UP2U:

con la Stampa il teatro arriva sul web Prendi un quotidiano tra quelli a maggiore tiratura nazionale, trasportalo su internet, aggiungi un po’ di spirito tipicamente web 2.0, con partecipazione dal basso e condivisione, e concludi la ricetta inserendo il fondamentale ingrediente dei nostri tempi: la creatività. Creatività giovane (per un target che va dai 18 ai 35 anni) e ispirata alle arti sceniche: eccolo, è UP2U, il nuovo talent promosso dalla Stampa e inaugurato lo scorso ottobre. Uno show digitale alla ricerca di giovani talenti del palcoscenico, ecco in cosa consiste il progetto, primo talent contest organizzato dal quotidiano torinese. La sua forza è credere nel concetto di creatività, e scommettere che solo nuove idee e modi di esprimersi, giovani e potenzialmente ricchi, freschi e forti di una passione in piena esplosione, potranno essere la molla per un nuovo approccio alla società e una nuova prospettiva sul mondo. Giulia Vola, giornalista ideatrice del progetto, ci racconta meglio le motivazioni di UP2U.

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Perché avete scelto di guardare al mondo del teatro? Io sono una giornalista freelance e collaboro con la Stampa da alcuni anni, anni in cui ho anche avuto l’occasione di scrivere uno spettacolo teatrale che aveva a che fare con un tema attuale e del quotidiano, parlava infatti di immigrati e immigrazione. È uno spettacolo che ha vinto dei premi ed è andato anche in scena. Finita questa bella esperienza ho cercato un altro modo per riuscire a far dialogare il mondo del teatro con il mondo del quotidiano, e UP2U mi è sembrata la strada giusta. L’attenzione si è rivolta alle arti performative perché, a ben vedere, le altre arti nei talent che girano in tv sono già affrontare: musica, danza… Ora uscirà il talent per scrittori su Rai3, ma il teatro si prestava forse meglio per il web, e inoltre concorsi che riguardassero il teatro inteso in senso classico, come posto dove si vede uno spettacolo una sera, non ce n’erano. In questi anni in cui ho fatto teatro mi sono resa

conto che c’era bisogno di una visibilità pazzesca, il giornale ha accettato la mia proposta mettendosi in discussione, e speriamo che sia una buona strada per offrire a tutti un modo diverso di vedere la realtà. Cosa offrite ai partecipanti, cosa può nascere da questa esperienza? Quello che UP2U offrirà è innanzitutto la visibilità su un quotidiano nazionale, tramite un provino caricato online: non tutti hanno una possibilità di visibilità così ampia. E poi i selezionati arriveranno su un palco vero, e potranno essere visti e conosciuti da persone del mestiere che altrimenti sarebbe difficile incontrare: oggi il principale problema è farsi notare, i critici non seguono i giovani e c’è sempre poco spazio sui quotidiani per parlare di teatro. Ecco, la grande necessità del teatro oggi è la visibilità, noi offriamo questo e la possibilità di interfacciarsi anche


SPECIAL TALENTS

l’uno con l’altro, magari non proprio di creare delle compagnie, ma se poi la cosa si alimenterà, come dovrebbe essere, il contest potrebbe essere un terreno fertile per collaborazioni e scambi artistici. Noi parliamo di giovani esordienti e UP2U è rivolto proprio agli esordienti: come li convinceresti a partecipare? È un’occasione unica se sei alla ricerca, e il treno passa una volta sola! Con UP2U ciascuno è libero di esporsi, è un’occasione in un mondo in cui ci sono sempre meno occasioni, soprattutto per chi ha meno di trentacinque anni. Credo che, soprattutto i giovani attori, potrebbero prenderla in considerazione dal momento che regaliamo un pubblico gratuito, cosa che gli esordienti cercano e il sito della Stampa fa circa un milione di visitatori al mese,

certo più dei duecento posti di una sala teatrale! Fino al 7 gennaio, ogni aspirante partecipante potrà inviare un provino, lungo non più di cinque minuti. Tra tutti i video arrivati, trenta saranno selezionati e per loro si apriranno le porte della redazione della Stampa, nei cui studi televisivi saranno registrate le performance. A questo punto i video verranno condivisi di nuovo in rete per essere votati dal popolo del web e da una giuria di esperti. Il 9 aprile saranno resi noti i nomi dei vincitori, che dovranno allora entrare in azione in vista del grande premio messo in palio da UP2U: l’esibizione ufficiale al teatro Carignano di Torino e alle OGR (Officine Grandi Riparazioni). Trasformare la creatività in una professione, è questa la promessa del contest: sarà mantenuta davvero?

Non abbiamo che da seguire i provini e votare su www.lastampa.it/up2u, in attesa di correre tutti a teatro!

A lessandra Chiappori

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ARTINTIME music@artintime.it

ADAM SMITH Torino, 2010. Da un’idea di Marco Salvai (chitarra e voce), Anselmo Cane (basso) e Franco Stella (batteria) prende forma il progetto degli Adam Smith. Esponenti di un rock ruvido, di un groove prepotente creato dal trio chitarra, basso e batteria, si rifanno alle sonorità britanniche guardando a band come i Placebo e i Rolling Stones, e volando anche oltreoceano, ispirandosi a gruppi leggendari come i Pearl Jam e i Ramones. Forti di numerosi live in Piemonte e non solo (la band torinese ha suonato anche alle Scimmie a Milano, al Contestaccio a Roma e al Bonfim a Genova), il gruppo si è fatto le ossa sui palchi di celebri eventi live come Rock Targato Italia, manifestazione per artisti emergenti, al Lime Festival ad Alassio, occasione unica per dare sfoggio della propria abilità live in un contesto dedicato tutto ai buskers, e a Paratissima, manifestazione legata all’arte in ogni sua forma. Ora, dopo tre anni, nell’ottobre del

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2013 è uscito il loro primo lavoro: “Normale. Banale. Maiale.”. Realizzato e registrato a Torino nello storico studio Transeuropa, l’album d’esordio è affidato alla produzione artistica di Fabrizio Chiapello e contiene una panoramica perfetta del sound della formazione torinese. Accanto a sonorità potentemente rock troviamo, infatti, anche testi interessanti, sia in italiano che in inglese, che fotografano sia l’attualità nella società italiana d’oggi, sia problematiche più personali, come la lontananza e l’incomunicabilità. Si incappa allora in brani come “Maiale”, pezzo ironico che ritrae una realtà politica dalla credibilità minata, o “Superlento”, traccia più intima che guarda ai mutamenti nelle relazioni umane. Notevole anche l’anima energica di “English Girl” e l’atmosfera Brit di “LoverNotLoser”. Un primo lavoro, dunque, che trasmette tutta la voglia di emergere e tutta l’energia degli Adam Smith. Al solito, un consiglio, che questa volta però non parlerà di singoli bra-

ni: ascoltateli live. Dal vero, che sia su un palco o in un vicolo in un paesino di mare, la formazione torinese riesce a creare quell’atmosfera ipnotica e potente che solo una band rodata sa fare; un vero impatto per l’ascoltatore, capace di sorprendere e coinvolgere. In attesa quindi, della prossima occasione per vederli dal vivo, cominciate a scaldare lo spirito! Enjoy!

Angelica Magliocchetti


MUSIC

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ARTINTIME books@artintime.it

LO SBARAZZINO AFFRESCO DI UN MICROCOSMO PROVINCIALE l richiamo è forte anche per chi non ha mai letto nulla di Andrea Vitali, ma ormai sa, per sentito dire o per uno stereotipo ormai diffuso, che i suoi libri sono ambientati in riva al lago, e intessono storie di un microcosmo provinciale fatte di piccole cose, esistenze apparentemente defilate e grigie, che tuttavia rivelano intrighi e trame sempre fresche. Ecco, il romanzo di Mussinelli, a prima vista, ricorda proprio un’ambientazione “alla Vitali”, e probabilmente da quelle suggestioni si avvia, rivelando però un tocco personale e un grande talento, considerata l’età del suo autore e il fatto che “Nemmeno le galline” è un’opera prima. Lago d’Iseo, anno 1938, siamo in piena epoca fascista, il Duce impone le sue leggi da Roma, che di riflesso arrivano anche sulle sponde del lago lombardo, dove tutto però è decentrato, e viene riadattato alle esigenze di una piccola ma radicata comunità locale. I primi capitoli ci presentano i personaggi che costelleranno l’ironica vicenda del romanzo: ogni esistenza, pur nella sua semplicità, rivela molto presto risvolti segreti e nascosti che si intrecciano portando avanti un intrigo che ha però poco del romanzo giallo e, piuttosto, ci regala un affresco di una società e di un tempo ormai lontani, ma ancora vivi nella memoria dei più anziani. Come

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una bomboniera dall’involucro delicato e candido, al cui interno, sotto mentite spoglie, si agitano le stesse vicende umane di oggi. Solo, un po’ meno esplicite, e per questo ai nostri occhi ironiche, buffe, con un’aria da commedia d’altri tempi. In effetti, in altri tempi ci troviamo davvero. Tempi letteralmente anteguerra, ma già agitati da tensioni politiche malcelate, che sul lago di Mussinelli si stemperano in rancori familiari o beghe di paese, o ancora più smossi dalla povertà e dal lavoro, le costanti sociali che, lo sappiamo, tante parte giocano ancora al giorno d’oggi. Ma questo, l’abbiamo già colto, è un romanzo leggero, che della Storia fa solo un pretesto per costruire uno sfondo. L’accento è invece posto sulle relazioni umane, su quei personaggi, tipicamente provinciali nel loro soprannome, spesso dialettale, che li ricollega a credenze, usanze e vizi di varia natura, personaggi che tessono le trame di una vicenda piccola ma importante. Tutto ruota infatti intorno alla fiera d’estate con la sua gara che decreterà vincitore, premiandolo con una coccarda, il più bel canto di uccello da richiamo. Le allusioni, lo avrete capito, saranno uno dei fili conduttori del romanzo, ma ancora di più lo saranno i sotterranei dispetti e piani quasi criminali che si agiteranno dietro a ogni personaggio, teso a voler vincere a tutti i costi la

prestigiosa competizione, momento cardine della vita affacciata sul lago. Agli appassionati di cinema italiano sembrerà di entrare dentro a una tipica commedia, di quelle in bianco e nero, un po’ Neorealismo rosa, un po’ Vittorio de Sica a dare voce alle vicende: “la bella” di paese, un mondo piccolo, antico ma smaliziato da una guerra alle spalle e una imminente dietro l’angolo, dalla povertà che anima la vita quotidiana con le inutili e scoccianti magagne per portare una pagnotta a casa, senza però appesantirsi di drammatico, anzi, alleggerendosi di scherzi, amori, invidie e malintesi dal tipico sapore italico. Un mondo pienamente giustificato, che allo spirito sbarazzino e divertente ha il pregio di unire anche uno sguardo nuovo su una realtà provinciale spesso lasciata in secondo piano, e alla base invece di tanta parte di quella cultura e spirito tutti nostrani che il mondo, da sempre, ci sa riconoscere. Stupisce allora l’età dell’autore che, fedele ai suoi luoghi natali, ha saputo, con leggerezza e uno sguardo mai ingenuo, tornare indietro nella storia e dipingere i dettagli di una provincia che ben conosce, in tutti i suoi lati negativi e positivi.

A lessandra Chiappori


BOOKS “ «Nemmeno le galline», disse a denti stretti, guardando il suo tordo con profondo odio. Nemmeno loro se ne stanno in silenzio così a lungo. Schiamazzano, chiocciano, pigolano. Anche quando razzolano fanno rumore. Con ira e disprezzo osservava l’animale immobile sul suo trespolo. Lo aveva curato al meglio […] Tutti i suoi sforzi non erano valsi ad alcunché, e Guido non riuscì a trattenere un paio di miserie e un paio di lacrime”.

Alessio Mussinelli, “Nemmeno le galline”, Fazi, 2013

Alessio Mussinelli L’ironia di Mussinelli non si esaurisce nel suo primo romanzo, ma prosegue ancora un po’, fino ai ringraziamenti a fine volume, esilaranti come la storia appena narrata. 27 anni, il giovane autore è nato e vive in provincia di Bergamo, vicino a quel lago d’Iseo che fa da sfondo a “Nemmeno le galline”. Laureato in Lettere, si è diplomato in scrittura con un Master seguito presso l’Università Cattolica di Milano. È appassionato di dolci e di fai-da-te e, oltre a dedicarsi alla scrittura, è anche tastierista in un gruppo di musica da ballo.

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ARTINTIME fromlondon@artintime.it

LOST IN TRANSLATION Pick a girl, Italian mother tongue to be more accurate, accustomed to London lifestyle and bring her to Paris for the first time ever. What is the result? Four amazing days of “survival mode” on but also charming moments, up and down the streets de La Ville Lumière. Here’s what happened. Day one: first task to complete boarding the Eurostar from St. Pancras station. Early morning and I am wearing a fashionable hat that gives you that special Parisian flair. So eye catching that at the passport controls the man behind the glass smiles at me and says: Madamoiselle enjoy your staying! Here we are, the trip is starting. After two hours I am in Paris searching for my tiny but stylish accommodation. The romantic flat located near Voltaire metro station is very close to Père-Lachaise Cemetery. The most visited graveyard in the world hosts the graves of Jim Morrison, Oscar Wilde, Honorè de Balzac, Edith Piaf and many others is not macabre at all, rather amusing. Second stop of the day Notre Dame, just from the outside. The surroundings of the gothic Cathedral are indeed the best place to consume a fancy dinner. Nearby, the Latin Quarter and St Michel area get lively at night time, full of young couples up for some fun. Day two starts slow after a brunch in the cosy pad, the Louvre is waiting to be discovered. Booking the tickets in advance is the best choice. To pick them up a quick trip to the Champs-Elysèe, home of the luxury brands, gives the opportunity to check closely the monumental Arc de Triomphe, in the centre of the busy Place Char-

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les de Gaulle. So I am able to jump the queue, thanks to the advance tickets, then I try not to be overcome by the incredible quantity of things to see inside the museum. Planning your journey through the floors wisely, you see the breath taking Greek, Etruscan and Roman statues, the Egyptian Antiquities then the paintings, highlights of the day of course the Mona Lisa by Leonardo and Liberty Leading the People by Delacroix. Once outside I cross the gardens and lead to Place Vendome, a beatiful square in the first arrondissement where the column originaly wanted by Napoleon I stands in all his majesty. From there Place de la Concorde is very close and is mesmerizing at dusk. No more energy left for dinner so is better to head home where a take away pizza and withe wine can recarge you. Day three it’s all about the Eiffel Tower. For the best pictures Trocadero is the right place to go, then willing to ascend the top I queue for hours (be prepared is a never ending queue, no matter when you start it) at the entrace, then queue for the tickets, to take the lift for the second floor (which is more or less in the middle of it), and finally for the lift to the top. It worths the wait, though, because the view is indescribable. After all this effort an italian handmade ice cream is the treat that you need even if is bloody expensive. Talking about good food there is nothing like the Italian restaurant Au Club des Siciliens in Rue De Dragon near Saint Germain metro station. Excellent quality food and affordable prices. Last day, day four, it is a Sunday, the first of the month so

Musee d’Orsay is free. Great occasion to take a look at the overwhelming collection of the impressioniests paintings. Monet, Cezanne, Manet, Renoir. Then the post impressionist like Van Gogh and Gauguin and the neo impressionist as Seurat. All at once together with awesome displays of the Art Nouveau, and temporary expositions. This month is the time of The Naked Man from 1800 to Nowadays. Scariest moment of the trip, exit in the “wrong” station, in a very dodgy area. So if you are looking for the the locations from the movie Amelie, most of them are in Montmartre area, don’t end up going out Chateu Rouge station, as me. It is simply awful. Prendete una ragazza, madre lingua italiana per la precisione, abituata allo stile di vita londinese e speditela a Parigi, per la prima volta in assoluto. Il risultato? Quattro giorni di “modalità sopravvivenza” attivata, ma soprattutto momenti meravigliosi su e giù per la Ville Lumière. Ecco cosa è successo. Primo giorno: la missione iniziale è imbarcarsi sull’Eurostar dalla stazione St Pancrass di Londra. È mattina presto e sto indossando quel cappello alla moda che regala quel tocco parigino così ricercato. Appariscente quanto basta da attirare l’attenzione dell’uomo al controllo dei passaporti che con un enorme sorriso si indirizza a te dicendo: Buon viaggio Madamoiselle! Ci siamo, il viaggio è iniziato. Dopo due ore sono a Parigi, in cerca del mio minuscolo ma stilosissimo appartamento. La casa è situata a pochi metri dalla fermata della


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metro Voltaire, vicinissima al cimitero di Père Lachaise. Il cimitero più visitato al mondo ospita le tombe di Jim Morrison, Oscar Wilde, Honoré de Balzac, Edith Piaf e molti altri ancora. L’atmosfera non è per niente macabra, anzi piuttosto gradevole. Seconda tappa della giornata Notre Dame, ma solo da fuori. I dintorni della cattedrale gotica sono senza dubbio tra i migliori per consumare una cena romantica. Vicinissimo, il quartiere latino e la zona di St. Michel entrambi perfetti durante le ore serali perché vivacemente popolati di coppiette in cerca di divertimento. Il secondo giorno parte lento, con un brunch frugale, il Louvre attende di essere scoperto. Prenotare i biglietti in anticipo è una mossa strategica, caldamente consigliata, che permette di saltare la coda ed entrare in fretta. Per ritirarli è sufficiente un salto nella zona degli Champs Elysèe (dove si trova la Fnac piú vicina), sede dei negozi di lusso più famosi, e del monumentale Arco di Trionfo nella trafficatissima piazza Charles de Gaulle. Il museo è immenso, pianificare il percorso è

un’ottima tattica. Le magnifiche statue greche, etrusche e romane sono imperdibili, per non parlare delle antichità egizie, ma essenziali sono i dipinti di Leonardo e Delacroix. Una volta fuori attraversare i giardini per dirigersi verso Place Vendome è un attimo, la piazza è bellissima, al centro di essa si trova la colonna voluta da Napoleone I. Ancora più vicino è Place de la Concorde, imperdibile al tramonto. Senza energie la serata finisce con una pizza da asporto e vino bianco freddo per ricaricare le pile. Il terzo giorno è riservato alla Torre Eiffel. Per una visuale senza eguali e foto spettacolari la fermata Trocadero è la migliore. Se poi volete realizzare la scalata fino in cima preparatevi a code infinite. Ore per entrare, per comprare il biglietto, aspettare l’ascensore per il piano di mezzo e infine per la cima. Ma la fatica è pienamente ricompensata dalla veduta della città. Indescrivibile a parole. Dopo tutto questo aspettare, non c’è ricompensa migliore che un gelato artigianale italiano

ai piedi della Torre. Tremendamente caro, ma gustosissimo. E in tema di buon cibo nulla batte il ristorante Au Club des Siciliens in Rue de Dragon, vicino alla fermata di St. Germain. Location suggestiva, servizio impeccabile, qualità eccellente e prezzi abbordabili. L’ultimo giorno, il quarto, è una domenica e come ogni prima domenica del mese il museo d’Orsay è gratis. Occasione imperdibile per dare uno sguardo alla gigantesca collezione di dipinti impressionisti. Monet, Cezanne, Manet, Renoir. I post impressionisti Van Gogh e Gauguin e i neo impressionisti come Seurat. Tutti in un colpo solo, insieme ad altrettanto interessanti collezioni di Art Nouveau ed esibizioni temporanee. Questo mese la mostra sul nudo maschile dal 1800 ai giorni nostri. Momento terrificante del viaggio, avventurarsi in una zona malfamata dopo aver sbagliato stazione. Se come me siete in cerca delle location del film Amelie, notoriamente in torno alla zona di Montmartre, non fermatevi alla stazione della metro Chateu Rouge. Pauroso.

Cristina Canfora

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ARTINTIME popart@artintime.it

TONI SALMASO Nato nel 1964 a Padova, dove è cresciuto e ha studiato diplomandosi al liceo artistico, Toni Salmaso ha iniziato a dipingere negli anni ‘80 a Incisa Val d’Arno, dedicandosi in particolare alla pittura e alla scenografia. L’arte lo porta sulle montagne svizzere, a Friburgo, dove Toni inizia a interessarsi anche alla fotografia, magico mezzo che, documentando la realtà, ne fissa anche momenti precisi, espressioni: ecco perché la foto diventa da qui un suo costante strumento di lavoro. Alla fine degli anni Novanta, Toni torna a Firenze: è il periodo della grandi tele e di un’installazione su elementi architettonici per la Scala Teatina (presso il Centro “La Pira”). Dopo essersi trasferito a Brescia, tra 2001 e il 2002 elabora una serie di visi, ispirati a foto scattate in Sud America, Africa e Europa: bambini, donne e uomini trasformati in grandi tele ed esposti a Provaglio d’Iseo in una mostra emblematicamente intitolata “Sperando”. L’incontro con il poeta regista e

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cantautore Leopoldo Verona, del 2003, è centrale per Salmaso, colpito da una profonda affinità per un’opera che tocca molteplici aspetti dell’esistenza, dai più complessi o dolorosi fino a quelli gioiosi o divertiti e giocosi, esprimendo la pienezza della vita. Arrivano poi “Divenire”, ciclo pittorico esposto a alla Pieve di Urago Mella, Brescia. E ancora, nel 2004 le opere abbracciano gli orizzonti urbani: bar, scale mobili, il metrò, situazioni umane che prendono vita nelle metropoli. Del 2006 è la serie dei danzatori di strada dal titolo “Il filo di G”, cui seguono altri lavori, caratterizzati dalla presenza di figure percorse da fili colorati incandescenti come neon, che le bloccano, quasi in un fermo immagine. Nel 2007 a Castello Cabiaglio Toni allestisce la mostra “Contaminazioni” opere che indagano il vivere della natura dentro la metropoli, lavori di seguito esposti anche nella suggestiva cornice ligure di Finalborgo. La sua arta arriva in Repubblica ceca nel 2009, grazie a un’esposizioneinstallazione presso la Galleria G di

Olomouc dal titolo “in(visibile)”, una serie di dipinti che coinvolgono fabbriche, spazi industriali, luoghi dismessi e casuali, spesso degradati o visivamente insignificanti ai più. Infine, nel 2011, arriva con “Ingranaggi” anche a Bologna. Formato con Matisse e Klee, Salmaso rivela intrecci tra una forte seppur inconsapevole presenza di Francis Bacon, rintracciabile nell’inquietudine che attraversa le opere, e la pittura di strada, con la sua semplificazione di forme e di spazi, la voglia di rinnovamento culturale, sociale, libertario. Il tutto con un po’ di Hopper, Hockney, ma soprattutto elementi della più recente Nuova Figurazione.


POP-ART

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ARTINTIME movies@artintime.it

REF LECTIONS:

RIF LESSIONE SUI RIFLESSI Vi ricordate quando Peter Pan si intrufolava nella cameretta di Wendy per recuperare la sua ombra? Oppure quando eravate piccoli, quante volte avete cercato di prendere la vostra, di ombra? E quante volte - scommetto che qualcuno di voi lo fa ancora adesso - avete rincorso il vostro riflesso nelle vetrine, cercando di posizionarvi perfettamente di fronte ai manichini per vedere quale aspetto potesse avere un abito su di voi? “Reflections” è tutto questo, è l’esaltazione del sogno, della spensieratezza, dell’infanzia. Realizzato come lavoro di laurea da Bosmat Agayoff e Alon Ziv presso Bezalel - Academy of art and design, di Gerusalemme, “Reflection” racconta la storia di un uomo, Barnie, un moderno Peter Pan che ancora si intrattiene a osservare il proprio riflesso nelle vetrine. Egli vede se stesso da giovane, mentre corre felice da una vetrina all’altra, da una superficie riflettente a una brocca, ogni luogo in cui Barnie può specchiarsi, e dove il suo alter ego dell’infanzia lo precede. Barnie comincia a correre per prenderlo, corre come un bambino, spensierato, intorno a lui solo uomini in giacca e cravatta. Tristi. Svoltato

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l’angolo, urta contro uno di questi uomini. Barnie cade a terra e l’uomo gli porge una mano per farlo rialzare. A questo punto accade qualcosa, Barnie comincia a crescere. Un gruppo di uomini e donne vestiti di nero gli cambiano gli abiti, lo vestono come loro, gli tolgono i colori e lo uniformano al loro standard. Barnie diviene adulto e attraversa tutte le fasi della vita: scopre i soldi, gli viene dato un cellulare, un documento di identità, firma dei contratti, fuma. Il suo alter ego giovane lo osserva e non lo riconosce, lo abbandona. Bosmat Agayoff e Alon Ziv presentano attraverso questo cortometraggio animato una metafora: in Reflections non sono i disegni a colpirci o l’abilità dell’animazione, è la storia che urta lo spettatore e lo porta a riflettere, a guardarsi allo specchio, lo porta a chiedersi “e io cosa vedo quando mi guardo allo specchio? Dove sono finiti i colori, dov’è finito il mio ‘voler essere bambino’?”. A chiudere la vicenda abbiamo la pioggia, che fa diventare ancora più triste lo status di adulto di Brian, è rimasto solo lui stretto nel suo completo bianco e nero, in preda a un mondo grigio. Lui e il suo ombrello, nessun colore

e nessun sorriso sul suo volto, un adulto triste, quegli adulti che hanno dimenticato che un tempo sono stati bambini e che ogni cosa, anche la più semplice, come un riflesso in una vetrina poteva essere un divertimento, un gioco, un motivo per sorridere. Il cortometraggio si chiude così con queste parole, che sono le stesse con le quali voglio concludere, perché riassumono perfettamente l’intento dei due giovani e promettenti registi “The Things You Saw Before” di Alon Ziv e Ady Cohen, il testo recita: “Something’s feeling gray / All the colors that you knew have gone away / wonder if you’ll play/ another day. Open up the door / look around and see the things you saw before / than your child will smile/ forevermore”.

Francesca Cerutti


MOVIES

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ARTINTIME events@artintime.it

INVIDEO

LUCCA COMICS & GAMES

CLUB TO CLUB

Ventitreesima edizione per “INVIDEO”, la mostra internazionale di video e cinema oltre, in programma a Milano dal 30 ottobre al 4 novembre. Il tema scelto per la rassegna è “Segnali luminosi”, una riflessione sugli argomenti caldi del nostro tempo, soggetto che farà da filo conduttore della mostra e di tutte le attività in programma, che vedranno coinvolti anche artisti e ospiti. Un’occasione per il pubblico per confrontarsi con le nuove tendenze creative e nuove forme di sperimentazione. Per maggiori informazioni sul programma: www.mostrainvideo.com.

Dal 31 ottobre al 3 novembre si svolgerà la decima edizione di “Lucca Comics & Games”, il festival internazionale del fumetto, del cinema d’animazione, dell’illustrazione e del gioco della città di Lucca, che quest’anno si svilupperà sul tema “X”. Tra gli ospiti che interverranno durante i quattro giorni di festival: Andrea Agresti, l’autrice e illustratrice Beatrice Alemagna, Rob Alexander, Steve Argyle, il fumettista Inio Asano, Mario Barbati, Jonathan Carroll e molti altri volti noti dell’editoria e del comic. Per maggiori informazioni: www.luccacomicsandgames.com

A Torino dal 7 al 10 novembre torna l’appuntamento con “Club To Club”, uno dei più noti festival europei dedicati a musica, arte e cultura elettronica, che per la sua tredicesima edizione sarà incentrato sul tema “Twins”, a simboleggiare il legame con le altre città in cui il festival si svolge. L’evento si articolerà in più location e vedrà protagonisti alcuni dei maggiori artisti di genere, tra cui Andy Stott, Fuck Buttons, Four Tet, John Talabot, The Haxan Cloak, Kyle Hall e Todd Terje. Per conoscere il calendario completo delle serate visitate clubtoclub.it

RASSEGNA DELLA MICROEDITORIA

PADOVA JAZZ FESTIVAL

TFF

Dal 8 al 10 novembre, nella splendida cornice della Villa Mazzotti Biancinelli di Chiari (BS), si terrà l’undicesima edizione della “Rassegna della Microeditoria” italiana. Tre giorni dedicati alla cultura in cui i visitatori potranno conoscere e apprezzare autori e opere dei piccoli e medi editori nazionali, attraverso presentazioni, incontri e dibattiti. Non mancheranno inoltre appuntamenti artistici e musicali, e convegni con importanti ospiti di fama nazionale e internazionale. Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito www.microeditoria.it

Sedicesimo appuntamento con il “Padova Jazz Festival”, che dal 11 al 16 novembre proporrà al pubblico una serie di concerti di artisti di fama internazionale e giovani emergenti, che si esibiranno nei principali locali e centri culturali della città. Tra i protagonisti di questa edizione: il Ruggero Robin Trio, Abdullah Ibrahim, l’Orchestra di Padova e del Veneto, il Christian Mc Bride trio e Antonio Faraò American Quartet. Non mancheranno inoltre mostre dedicate al genere e ai suoi artisti, workshop e incontri. Per maggiori informazioni sul calendario del festival www.padovajazz.com

Torna l’atteso appuntamento con il “Torino Film Festival”, in programma nel capoluogo piemontese dal 22 al 30 novembre. La rassegna, come ogni anno, presenterà al pubblico importanti pellicole internazionali e illustri ospiti del mondo della cinematografia che interverranno in anteprime, incontri e appuntamenti speciali. Non mancheranno inoltre interessanti retrospettive dedicate al cinema italiano e internazionale, tra cui quella intitolata alla New Hollywood. Per anticipazioni e informazioni sul programma visitate www.torinofilmfest.org.

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EVENTS A cura di Anna Moschietto

TOHORROR

SCRITTORI IN CITTA’

FESTIVAL DEL FILM DI ROMA

Dal 12 al 16 novembre a Torino si svolgerà la tredicesima edizione della rassegna cinematografica internazionale “ToHorror”, il festival di cinema e cultura del fantastico. Una kermesse che si propone come vetrina della produzione fantastica indipendente e come momento di analisi della società contemporanea, offrendo al pubblico spettacoli, concerti e mostre, e un ricco programma di proiezioni delle pellicole selezionate per le tre sezioni competitive (lungometraggi, corti e sceneggiature). Per maggiori informazioni sulla rassegna www.tohorrorfilmfest.it

Quindicesima edizione per “Scrittori in Città”, la manifestazione cuneese dedicata ai libri e alla letteratura. L’evento, che si svolgerà dal 13 al 17 novembre, sarà incentrato sul tema “Terra, Terra!” e accoglierà come ogni anno più di cento autori, che presentano i propri lavori dando una personale visione del motivo conduttore dell’edizione. Cinque giorni il cui il pubblico potrà partecipare a dibattiti e attività organizzati nei principali centri culturali cittadini, e incontrare importanti autori e ospiti. Per maggiori informazioni sul programma dell’evento: www.scrittorincitta.it

Ottava edizione per il “Festival Internazionale del Film di Roma”, che dal 13 al 17 novembre, presso l’Auditorium Parco della Musica, presenterà al pubblico un ricco programma di proiezioni, anteprime e incontri con importanti autori e ospiti internazionali. Tra questi il regista Tsui Hark, che presenterà al festival il suo ultimo lavoro, e Jonathan Demme, che proporrà in anteprima mondiale il suo “Fear of Falling”. Inoltre, come ogni anno, la rassegna sarà affiancata dal “Mercato Internazionale del Film di Roma”, di cui potete avere informazioni visitando www.romacinemafest.it

PISA BOOK FESTIVAL

BOOKCITY

EXPOBIT

Presso il Palazzo dei Congressi di Pisa, dal 15 al 17 novembre, torna il consueto appuntamento con il “Pisa Book Festival”. L’evento, che proporrà la Germania come paese ospite d’onore dell’edizione, accoglierà importanti personaggi nazionali e internazionali e darà spazio a incontri, presentazioni e attività anche per il pubblico più giovane. Un grande spazio espositivo in cui verranno presentate le principali novità editoriali del 2013 e sarà dato spazio a convegni e laboratori. Per maggiori informazioni visitate il sito www.pisabookfestival.com

A Milano dal 21 al 24 novembre si svolgerà la seconda edizione del festival del libro “Bookcity”. L’evento, che proporrà ai visitatori un programma ricco di appuntamenti, accoglierà un’area espositiva con più di cento editori e trecento autori. Quattro giornate dedicate al libro ed alla lettura che coinvolgeranno l’intera città in incontri, presentazioni, dialoghi, mostre, spettacoli e seminari. Non mancheranno inoltre reading, “eventi fuoriluogo” e alcune novità, come le “vie parlanti”. Per informazioni su ospiti e programma: www.bookcitymilano.it

Diciottesima edizione per il Salone Internazionale dell’Innovazione Tecnologica “ExpoBit”, che dal 21 al 24 novembre, presso il Centro fieristico e culturale Le Ciminiere di Catania, accoglierà appassionati ed esperti del settore nelle quattro ricche aree espositive Expo Medicina, Percorsi Innovativi, Sud Web Expo e Digital Print. L’evento dedicato alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, comprenderà corsi, convegni, presentazioni, seminari e workshop. Il programma completo è consultabile sul sito www.expobit.it

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ARTINTIME chuck@artintime.it

Stefano Ascheri

CONTATTI Grafica & Art Direction: grafica@artintime.it Ufficio Stampa: press@artintime.it | Marketing: marketing@artintime.it Social Media Management: media@artintime.it Editing: editing@artintime.it

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FR

IEN

www.foodiegeekdinner.it

DS


PARATISSIMA 9 ART GAMES

6-10 NOVEMBRE 2013 BORGO FILADELFIA | MOI

www.paratissima.it


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