La morte e la commedia

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MARIO MONICELLI - LA MORTE E LA COMMEDIA

studiato, quindi lo spirito del luogo l’ha appreso eccome, e lo si vede proprio nel tono burbero e distruttore, spietato, della serie di film Amici miei. Ebbene sì, Monicelli si è preso questa libertà, poiché di libertà si tratta. Il male era incurabile e la fine sicura, per anagrafe come per diagnosi. Che si sia trattato di una zingarata o di un legittimo impulso a non veder svilita la propria integrità, al ritorno dal giro ospedaliero di terapia il regista ha compiuto il salto decisivo. Significa che lo scenario che gli si prospettava non era allettante. Lui che ha messo in scena, in chiusura di uno dei film della serie citata, una gara tra andicappati cui sarcasticamente partecipa il personaggio paraplegico interpretato da Tognazzi, non se l’è sentita di sottoporre se stesso alla medesima, patetica cattiveria. Perché di tale cattiveria egli è stato artefice e, al contempo, critico. In un’intervista rilasciata a «Vanity Fair» il 7 giugno del 2007, Monicelli afferma che preferisce vivere da solo «per rimanere vivo il più a lungo possibile». E aggiunge: «L’amore delle donne, parenti, figlie, mogli, amanti, è molto pericoloso. La donna è infermiera nell’animo, e, se ha vicino un vecchio, è sempre pronta a interpretare ogni suo desiderio, a correre a portargli quello di cui ha bisogno. Così piano piano questo vecchio non fa più niente, rimane in poltrona, non si muove più e diventa un vecchio rincoglionito. Se invece il vecchio è costretto a farsi le cose da solo, rifarsi il letto, uscire, accendere dei fornelli, qualche volta bruciarsi, va avanti dieci anni di più». In questa dichiarazione c’è la ricetta della longevità del regista e pure quella della sua prontezza intellettuale, serbata fino all’ultimo. Tra le righe si può leggere l’antipatia che nutre per la dipendenza, per l’infermità, per l’autonomia distrutta da una malattia invalidante. Vi si può individuare l’annuncio della sua scelta estrema. Scrive Gabriele Romagnoli sulla medesima rivista nel dicembre del 2010: «Se a 95 anni ha preferito evitare l’agonia, la cosa insopportabile è che per farlo abbia dovuto incocciare l’asfalto». E la sua dichiarazione evoca il ricorso all’eutanasia, 19


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