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Oncology Update

Approccio multidisciplinare al cancro del retto a cura di Mario de Bellis Istituto Nazionale Tumori IRCCS "Fondazione G. Pascale" di Napoli

Con la collaborazione del gruppo multidisciplinare per la gestione dei pazienti con cancro del retto dell'Istituto Nazionale Tumori IRCCS "Fondazione G. Pascale" di Napoli coordinato dal Dott. Paolo Delrio INTRODUZIONE Paolo Delrio VALUTAZIONE MULTIDISCIPLINARE PER TRATTAMENTO Daniela Rega, Ugo Pace DIAGNOSI E STADIAZIONE Imaging endoscopico Pietro Marone, Valentina D’Angelo Imaging Radiologico morfologico Orlando Catalano, Antonella Petrillo Imaging funzionale Luigi Aloj, Secondo Lastoria Anatomia patologica Fabiana Tatangelo, Gerardo Botti RADIOTERAPIA NEOADIUVANTE Biagio Pecori, Paolo Muto CHEMIOTERAPIA NEOADIUVANTE ED ADIUVANTE Antonio Avallone Ristadiazione Endoscopica Valentina D’Angelo, Pietro Marone Morfofunzionale Orlando Catalano, Luigi Aloy - Valutazione precoce della risposta al trattamento con la PET - Valutazione precoce della risposta al trattamento con la RM

• il miglioramento delle strategie terapeutiche integrate e delle tecnologie diagnostiche e chirurgiche cui abbiamo assistito nell’ultimo decennio. L’approccio al cancro del retto costituisce ormai un modello di ricerca e di strutturazione assistenziale nel quale, come per le neoplasie della mammella, più si è evoluto il concetto di multidisciplinarietà. Ciò ha permesso di ottenere risultati straordinari in termini di “cura” della malattia neoplastica ma anche, e soprattutto, di rispetto della “funzione” e della qualità di vita del paziente. È ovvio che tali risultati sono stati raggiunti grazie all’attuazione di rigorosi percorsi diagnostico terapeutici, caratterizzati da una progressiva “personalizzazione” della terapia, basata sull’identificazione corretta dello stadio di malattia e dal ricorso ad un trattamento adattato alle caratteristiche del paziente e della neoplasia. Il presente articolo vuole riassumere l’attuale orientamento sulla diagnosi e la terapia del cancro del retto, puntualizzando gli aspetti principali della strategia multidisciplinare che caratterizza l’approccio a questa neoplasia.

STRATEGIE CHIRURGICHE Paolo Delrio, Daniela Rega FOLLOW UP Antonio Avallone, Daniela Rega GESTIONE DELLO STADIO IV Elena Di Girolamo, Giovanni Battista Rossi, Dario Scala CONCLUSIONI

INTRODUZIONE

Le neoplasie del retto sono caratterizzate da alcuni peculiari aspetti che hanno stimolato l’interesse della comunità scientifica e della popolazione in generale. Tra questi possiamo annoverare: • l’incremento di incidenza registrato in alcune regioni italiane negli ultimi anni • la tradizionale preoccupazione degli esiti mutilanti della chirurgia che un tempo veniva proposta come unica opzione terapeutica • l’enorme sviluppo che hanno avuto le conoscenze a nostra disposizione sulla biologia di questo tumore e delle caratteristiche di evoluzione della malattia

VALUTAZIONE MULTIDISCIPLINARE PER il TRATTAMENTO DEL CANCRO DEL RETTO

Il trattamento del cancro del retto (CR) prevede un approccio multidisciplinare che coinvolge tutti gli specialisti attivi nel percorso diagnostico terapeutico. Le figure professionali principalmente coinvolte nel team multidisciplinare sono le seguenti: oncologo chirurgo addominale, oncologo medico, radioterapista, endoscopista, anatomopatologo, radiologo e medico nucleare. Nell’ambito della discussione multidisciplinare, accertata la diagnosi istologica e definito lo stadio di malattia, può essere impostata la programmazione terapeutica, personalizzata per ogni singolo paziente. Il percorso diagnostico-terapeutico del paziente con CR è così regolamentato: • anamnesi e valutazione clinica completa • esami di stadiazione (colonscopia con esame istologico, ecoendoscopia rettale, TC total body con mezzo di

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ANATOMIA PATOLOGICA Fabiana Tatangelo, Gerardo Botti

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contrasto (mdc) e Risonanza Magnetica della pelvi con mdc, eventuale PET/TC) • riunione del team multidisciplinare con discussione del singolo caso clinico • comunicazione al paziente della diagnosi e della prognosi della malattia, con contestuale discussione della strategia terapeutica alla luce dello stato di malattia e dei dati della letteratura scientifica • invio di una relazione di sintesi al medico di medicina generale. Oltre ai trattamenti standard, per ciascun paziente viene valutata la possibilità di inserimento in studi clinici sperimentali (mono e multicentrici, nazionali o internazionali), atti a confermare l’efficacia di nuovi farmaci biologici o chemioterapici, nuove combinazioni di trattamenti terapeutici o trial prettamente chirurgici osservazionali. Tali studi, approvati dai Comitati Etici, vengono proposti a tutti i pazienti arruolabili sulla base delle caratteristiche cliniche e biologiche del CR e del suo stadio. Nei CR localmente avanzati, al termine del trattamento neoadiuvante (chemioradioterapico o solo radioterapico), è prevista una successiva ristadiazione con rettoscopia, TC total body con mdc, Risonanza Magnetica della pelvi con mdc, PET/TC, per valutare l’entità della risposta clinica al trattamento eseguito. I risultati della ristadiazione del CR sono fondamentali per la scelta del tipo di intervento chirurgico da adottare finalizzato,

quando possibile e nel rispetto della radicalità oncologica, alla preservazione degli sfinteri; in quest’ottica l’esperienza del chirurgo, è un requisito indispensabile affinchè il percorso diagnostico-terapeutico del paziente si completi con un’atto chirurgico radicale.

DIAGNOSI E STADIAZIONE

La disponibilità di diverse metodiche di imaging diagnostico per lo studio del CR impone una attenta valutazione dell’appropriatezza dell’utilizzo delle singole metodiche per risolvere specifici quesiti clinici.

Imaging endoscopico La colonscopia è l’esame elettivo per la diagnosi e la stadiazione del CR dal momento che permette di individuare la neoplasia, di descriverne morfologia, dimensioni e sede e, soprattutto, di effettuare biopsie per la diagnosi istologica. Il CR può presentarsi prevalentemente come vegetante, infiltrante e/o ulcerato; può avere un aspetto a placca, o essere rilevato, con area di escavazione centrale ulcerata, talvolta senza evidenza di massa endoluminale, con crescita di tipo infiltrante simil-linite plastica, o determinare sub-stenosi o stenosi del lume. La prognosi del CR è strettamente correlata allo stadio T ed N e la strategia terapeutica non può prescindere da una accurata stadiazione loco-regionale che si avvale, oltre a metodiche di ima-

Figura 1 Corrispondenza fra istologia della parete ed aspetto all’EUS

M - mucosa MM - muscularis mucosae SM - sottomucosa MP - muscularis propria GP - grasso periviscerale

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1° strato iperecoico: interfaccia fra la mucosa ed il lume del viscere 2° strato ipoecoico: mucosa profonda 3° strato iperecoico: sottomucosa 4° strato ipoecoico: muscularis propria 5° strato iperecoico: interfaccia fra parete e grasso perirettale


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Figura 2 Aspetto della parete del retto alla EUS

ging radiologico, dell’ecoendoscopia (EUS). Quest’ultima si è dimostrata molto accurata nella definizione dello stadio T (80% - 95%) e dello stadio N (64%-83%) del CR e nel definire i rapporti del tumore con le strutture adiacenti (prostata, vescichette seminali e vescica nell’uomo; vagina, utero e vescica nella donna). L’EUS rettale viene praticata con sonde ecografiche rigide o flessibili a scansione radiale (5 – 20 MHz) o lineare; queste ultime consentono di praticare un eventuale ago aspirato ecoguidato della lesione e/o dei linfonodi perilesionali (EUS-FNA). All’EUS la parete del retto appare costituita da cinque strati distinti, caratterizzati dall’alternanza di immagini con aspetto iperecoico ed ipoecoico che, dall’interno all’esterno del lume, corrispondono a: interfaccia fra mucosa e lume del viscere, mucosa profonda, sottomucosa, muscolaris propria, interfaccia fra margine esterno della muscolaris propria e grasso periviscerale (Figura 1). All’EUS il CR si presenta come un ispessimento di grado variabile della parete, misurabile, con aspetto di massa prevalentemente ipo-ecoica, disomogenea di forma e contorni irregolari, che si sostituisce parzialmente o totalmente alla normale stratificazione a cinque strati della parete del retto, sino a non renderla più riconoscibile nei casi localmente avanzati. I linfonodi metastatici appaiono come aree ovalari a margini e contorni regolari, ipoecoiche e di aspetto omogeneo, con dimensioni superiori a 1 cm (Figura 2).

Carcinoma del retto N: coinvolgimento linfonodale

Imaging radiologico morfologico Il gold-standard per la stadiazione loco-regionale del CR è rappresentato dalla Risonanza Magnetica (RM). La RM non consente una buona valutazione del CR precoce (T1 e T2), avendo una specificità per l’individuazione dello stadio T1-T2 del 65-69%, mentre ha una accuratezza diagnostica del 90% negli stadi avanzati (T3 e T4). La RM è, inoltre, altamente accurata nella definizione dello stato linfonodale (92%), oltre a permettere una migliore valutazione dell’infiltrazione profonda del mesoretto e della fascia mesorettale (94-100% di accuratezza), grazie alla visualizzazione nei tre piani dello spazio con un ampio campo di vista (FOV) che permette di valutare la pelvi dal promontorio sacrale al pube. Nella stadiazione locale dei CR che infiltrano la tonaca muscolare del retto è di grande importanza la valutazione dell’estensione della lesione nel grasso mesorettale (stadio T3), oltre alla determinazione della distanza del tumore dalla fascia mesorettale (margine circonferenziale MCR): tale dato, infatti, rappresenta il migliore indice predittivo di recidiva visto che ad una distanza minore corrisponde una maggiore probabilità di ripresa locale di malattia. Lo studio MERCURY ha dimostrato che la RM ad alta risoluzione può prevedere con elevata precisione (accuratezza del 94%) il coinvolgimento del margine di resezione chirurgica MCR (Figura 3) con lo stesso cutoff dell’anatomia patologica, pari ad 1 mm, oltre che l’invasione tumorale extramurale.

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Carcinoma del retto T: stadio T3 P: prostata

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Figura 3 RM con bobina phased array: visualizzazione della distanza della neoplasia dalla fascia mesorettale

a) CRM < 5 (2) mm

La TC è indicata per la diagnosi di malattia metastatica, ma ha un ruolo marginale nella stadiazione loco regionale dei pazienti con CR. Con la TC non è possibile distinguere gli strati parietali del retto e l’accuratezza per gli stadi T2 e T3 è di gran lunga inferiore sia alla RM che all’ecografia. La TC presenta, inoltre, scarsa accuratezza (54-62%) nella valutazione dell’infiltrazione della fascia mesorettale, con una percentuale di falsi positivi del 34-46%. TC e RM forniscono indicazioni simili sulla infiltrazione degli organi viciniori o della riflessione peritoneale (stadio T4), ma la RM è più accurata nel diagnosticare l’infiltrazione di utero e vescica.

Imaging funzionale Le tecniche medico-nucleari, per la loro intrinseca inferiore risoluzione spaziale, hanno un ruolo limitato nella valutazione della malattia locale e vengono utilizzate prevalentemente per la valutazione di lesioni a distanza. Negli ultimi anni si è andato definendo il ruolo della tomografia ad emissione di positroni (PET) con fluorodesossiglucosio (FDG). Questo radio farmaco, analogo del glucosio, viene concentrato in tessuti ad elevato metabolismo glicidico ed è stato dimostrato essere un sensibile indicatore della presenza di malattia in diversi tipi di neoplasie. Più recentemente sono stati introdotti tomografi ibridi PET e tomografia computerizzata a raggi-X (PET/TC) che sono oggi considerate lo stato dell’arte.

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b) CRM > 5 mm

L’esperienza acquisita negli ultimi 20 anni fa concludere che, in fase di stadiazione, la PET/TC va riservata solo a casi selezionati. Gli studi disponibili in letteratura sull’argomento sono pochi e con casistiche limitate. C’è un generale consenso che, alla diagnosi, lo scarso impatto del risultato di questo esame sulla terapia da adottare non ne giustifica l’utilizzo di routine. Ci sono invece buone evidenze per l’utilizzo della PET/TC con FDG per completare la stadiazione in quei pazienti dove le indagini convenzionali mostrano malattia metastatica. In questo scenario l’aggiunta dello studio PET/TC al protocollo diagnostico può modificare l’approccio terapeutico in un numero significativo di pazienti (fino ad 1/3), giustificando l’utilizzo di questa metodica anche in termini di costo-beneficio. Il ruolo predominante nella stadiazione resta quello della TC con mdc (ceTC) riservando la PET/TC ai dubbi diagnostici o alle documentate lesioni secondarie. In queste situazioni le due tecniche potrebbero avere un ruolo complementare ed infatti alcuni studi hanno suggerito il possibile utilizzo combinato della PET con ceTC, descrivendo un aumento della accuratezza diagnostica, in particolare nella valutazione dei linfonodi pelvici.

Anatomia patologica Una volta accertata la presenza del CR, si impone la conferma della natura della lesione, mediante esame istologico. La diagnosi istologica su campione bioptico deve contenere le informazioni riguardanti l’istotipo (ad


RADIOTERAPIA NEOADIUVANTE

La radioterapia (RT) preoperatoria del CR, da sola o in associazione alla chemioterapia, è utilizzata nella malattia a rischio medio-alto, con le finalità di migliorare la resecabilità chirurgica della malattia, ridurre la probabilità di recidive locali dopo chirurgia, incrementare le probabilità di salvataggio dello sfintere e migliorare la sopravvivenza del paziente. La RT preoperatoria del CR localmente avanzato, prevede generalmente due modalità di irradiazione, entrambe realizzate mediante l’utilizzo di fotoni x di alta energia, emessi da un acceleratore lineare (LINAC). Esse si differenziano per le dosi erogate per singola frazione di trattamento e per la durata complessiva dei trattamenti, non essendovi, però, sostanziale differenza in termini di efficacia radiobiologica tra le due opzioni terapeutiche. Entrambe consistono in una irradiazione focalizzata sul target tumorale con tecniche di tipo conformazionale (3D-CRT) o a modulazione d’intensità (IMRT), erogata sulla base di un attento planning, realizzato con sistemi che garantiscono ridotte probabilità di induzione di effetti collaterali. La prima modalità di RT neoadiuvante che prevede l’erogazione giornaliera di 180 cGy fino alla dose totale di 45-50,4 Gy (25-28

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sedute complessive, erogate mediante 5 frazioni settimanali), è nota come schema di trattamento “longcourse”. Essa è generalmente associata a chemioterapia con fluoropirimidine (LCRTCT) ed è seguita da intervento chirurgico dopo 6-8 settimane dal termine della RT. La seconda modalità, definita RT “short-course” o ipofrazionata (SCRT), prevede, invece, l’erogazione di frazioni giornaliere da 500 cGy (500cGy/ die), fino alla dose totale di 25 Gy (in 5 sedute complessive erogate in una settimana), senza l’associazione con chemioterapia concomitante ed è seguita, preferibilmente, dall’ intervento chirurgico entro 2-3 giorni dal termine della RT. La RT short-course ha una variante, affermatasi negli ultimi anni, definita RT “short course-delayed surgery” (SCRTDS), che prevede una chirurgia posticipata di 6-8 settimane dopo il termine della RT. Quest’ultima offre i vantaggi della minore durata, della maggiore economicità del trattamento e del minore impegno di risorse, tipici della RT short-course (una sola settimana di trattamento contro le 5 e più dei trattamenti longcourse), con la possibilità di una riduzione volumetrica del CR, grazie all’ intervallo temporale maggiore fra RT e chirurgia, necessario perché si estrinsechino gli effetti tumoricidi della RT sul CR. La scelta del tipo di RT è frutto di una attenta valutazione multidisciplinare dello stadio del CR e del rischio clinico correlato alle condizioni del paziente. In caso di malattia cT3,N0-2,M0, con predizione negativa di interessamento della fascia mesorettale (MRF-) sulla base della RM, è possibile utilizzare la SCRT, seguita da chirurgia immediata, entro 2-3 giorni, in alternativa alla LCRTCT con chirurgia dopo 6-8 settimane, secondo la Consensus Conference Eurecca. Non risultano, infatti, chiaramente dimostrabili, differenze significative fra le due modalità di RT in termini di tassi di recidiva locale, di sopravvivenza globale e di tossicità a lungo termine. Tuttavia, questa possibile indicazione non è prevista né dalle linee guida statunitensi, che considerano la LCRTCT il trattamento di scelta nella malattia in stadio cT3-cT4N+, né dalle linee guida nazionali, che raccomandano l’utilizzo della LCRTCT in caso di malattia T3N+, riservando l’uso della SCRT esclusivamente per i pazienti con stato linfonodale N+ e controindicazioni assolute alla chemioterapia concomitante e per i pazienti N0 con malattia localizzata al retto medio-alto. Nei casi, invece, di RC localmente avanzato (cT3,N0-2), ma con evidenza di segni predittivi di interessamento della fascia mesorettale (MRF+), è raccomandato, per unanime indicazione internazionale, l’utilizzo della LCRTCT, al fine di garantire una riduzione del volume

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es.: adenocarcinoma NAS, adenocarcinoma mucoide, altro) ed ove possibile, l’invasività o meno della lesione, parametro non sempre facilmente individuabile nei frammenti bioptici. Nel caso di un campione bioptico riguardante una lesione adenomatosa con sospetta trasformazione, ovvero, il cosiddetto “adenoma cancerizzato”, se asportato con tecnica “piece-meal” non è quasi mai possibile certificare la presenza di focolai invasivi a carico della tonaca sottomucosa a causa della frammentazione del campione. Dal campione bioptico possiamo ricavare informazioni inerenti altri parametri significativi che verranno, poi, ulteriormente definiti con l’esame istologico del campione chirurgico. Tra gli altri ricordiamo l’eventuale presenza di infiltrazione linfovascolare, la valutazione del Tumor Budding e la presenza di eventuali aberrazioni a carico degli oncogeni della famiglia RAS, di cui il KRAS è l’esponente maggiormente studiato negli ultimi anni. Il Tumor Budding è un parametro importante soprattutto ai fini della identificazione di sub-categorie di diverso valore prognostico-predittivo; quindi, già a partire dal campione bioptico, queste informazioni possono sostenere e guidare la modulazione dell’iter terapeutico successivo.

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tumorale prima dell’intervento chirurgico. Laddove, invece, tali pazienti non risultino candidabili alla chemioterapia (per presenza di comorbidità, di condizioni cliniche o di altri motivi che ne impediscano o controindichino l’utilizzo), la SCRT con chirurgia differita di 6-8 settimane dal termine della RT neoadiuvante, può rappresentare una valida alternativa. Tale trattamento è infatti in grado di produrre, seppure con minore frequenza rispetto alla LCRTCT, una apprezzabile riduzione del volume tumorale ed un certo numero di risposte patologiche complete. In caso, infine, di malattia con stadio preoperatorio cT4,N0-2,M0, vi è generalmente consenso sul fatto che un trattamento LCRTCT rappresenti, invece, la scelta da prediligere.

CHEMIOTERAPIA NEOADIUVANTE

Con l’ottimizzazione del trattamento locale, ottenuto in questi ultimi anni, grazie al miglioramento dell’approccio chirurgico e il passaggio dal trattamento postoperatorio a quello preoperatorio, la comparsa di metastasi è divenuta il modo predominante di ripresa di malattia del CR localmente avanzato. Per tale ragione l’intensificazione del trattamento chemioterapico appare essenziale per migliorare il controllo a distanza e la sopravvivenza del paziente con CR. L’integrazione dei nuovi chemioterapici e dei cosiddetti farmaci “target” nel trattamento combinato radio-chemioterapico (CRT) basato sulle fluoropirimidine è stata la strategia d’intensificazione più attivamente perseguita. Tuttavia, i risultati degli studi clinici randomizzati di fase III che hanno valutato l’efficacia dell’aggiunta di un chemioterapico di nuova generazione, come l’Oxaliplatino, al trattamento standard di CRT basato su fluoropirimidine, non hanno dimostrato un miglioramento sia delle risposte patologiche complete (pCR), sia della sopravvivenza. Inoltre, l’integrazione dei farmaci target nel trattamento CRT preoperatorio, sebbene attrattivo, ha prodotto bassi tassi di pCR quando è stato usato l’anticorpo anti-EGFR Cetuximab e tassi di pCR non particolarmente significativi con preoccupanti percentuali di morbidità chirurgica, quando ad essere utilizzato è stato l’anticorpo anti-VEGF Bevacizumab. Pertanto, sono state sviluppate alcune nuove strategie caratterizzate da differenze nella sequenza dei vari componenti del trattamento multimodale. Tra queste sembrano essere particolarmente promettenti la terapia chemioterapica d’induzione, praticata a dosi siste-

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miche prima del trattamento CRT, e quella praticata a dosi intense durante il periodo intercorrente tra la fine del trattamento radioterapico e la chirurgia, nel cosiddetto “waiting period”. Un’altra strategia terapeutica in corso di valutazione è rappresentata dal trattamento chemioterapico a dosi sistemiche senza radioterapia nei pazienti con CR localmente avanzato resecabile. Tuttavia, in questi ultimi anni l’evidenza che il CR rappresenti un eterogeneo gruppo di tumori con differenti implicazioni prognostiche, ha indicato quanto la valutazione del rischio rivesta un ruolo centrale nel trattamento di tale patologia tumorale. Allo stesso tempo, la diversità di risposta al trattamento preoperatorio e la scarsa aderenza al trattamento postoperatorio dopo trattamento neoadiuvante, indicano quanto una strategia adattata al rischio dovrebbe essere perseguita anche nel periodo postoperatorio. Su tali basi appare chiaro che in futuro soltanto la selezione dei pazienti, per le diverse strategie terapeutiche multidisciplinari, basata sulle caratteristiche clinico-patologiche piuttosto che sull’attuale approccio “one size fits all”, permetterà di minimizzare i trattamenti e allo stesso tempo massimizzare i risultati del trattamento del CR localmente avanzato.

RISTADIAZIONE Endoscopica L’osservazione endoscopica del CR localmente avanzato dopo RT e chemioterapia neoadiuvanti deve descrivere il “down sizing” (caratteristiche morfologiche) e il “down staging” (T ed N) del CR, confrontando tutti i parametri della neoplasia pre-trattamento con quelli post-trattamento, oppure le caratteristiche delle eventuali cicatrici e/o residui tumorali. L’accuratezza dell’EUS nella stadiazione del CR localmente avanzato dopo terapia neoadiuvante decresce per la flogosi, la fibrosi e la necrosi; prevale la sovrastadiazione dello stadio T, con incidenza variabile dal 40 al 50%. Nella nostra esperienza, in accordo con i dati della letteratura, l’accuratezza della EUS nella ristadiazione è del 61% e del 59% rispettivamente per gli stadi T ed N, a fronte di un’accuratezza dell’86% e del 58% rispettivamente per gli stadi T ed N nel gruppo di controllo non sottoposto a terapia neoadiuvante. Pertanto, l’EUS non sembra sufficientemente accurata nella ristadiazione del CR localmente avanzato dopo trattamento neoadiuvante.


Valutazione precoce della risposta al trattamento con la PET Vi è un crescente interesse per l’utilizzo della PET come indicatore di risposta alla terapia. Il livello di captazione del FDG cambia molto rapidamente in risposta al trattamento e può essere utilizzato come indicatore surrogato precoce. La validazione di questo concetto è stata ottenuta in pazienti con CR localmente avanzato sottoposti a trattamento neoadiuvante prima della resezione chirurgica dove si è potuto correlare il risultato degli esami preoperatori con i dati dell’anatomia patologica o altri endpoint. Vi sono forti indicazioni che la riduzione precoce del livello di SUV (standardized uptake value) della lesione a 12 giorni dall’inizio del trattamento neoadiuvante, correla con la risposta patologica completa. I pazienti con CR localmente avanzato sottoposti a radio-chemioterapia neoadiuvante nei quali si ottiene una regressione completa o subtotale del tumore (Tumor Regression Grade 1-2), vengono identificati con estrema accuratezza dalla valutazione della variazione precoce del SUVmedio del tumore primitivo (ΔSUVmedio, variazione percentuale tra il valore basale e quello a

12 giorni dall'inizio del trattamento) (Figura 4). Questi stessi dati PET correlano anche con la sopravvivenza libera da malattia e un'analisi multivariata dimostra che la variazione del SUV medio a 12 giorni dall’inizio del trattamento è l'unico parametro preoperatorio correlato al rischio di ricaduta (p <0.05). Il monitoraggio della risposta al trattamento tramite la PET/TC potrebbe avere un ruolo importante nella gestione multidisciplinare di pazienti con CR localmente avanzato, dal momento che la PET con FDG non è solo un buon predittore precoce di risposta patologica, ma anche un importante strumento prognostico.

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Morfofunzionale

Valutazione della risposta al trattamento con la RM Al fine di differenziare i pazienti responsivi da quelli non responsivi al trattamento neoadiuvante del CR localmente avanzato, allo studio morfologico di RM deve essere aggiunto uno studio di tipo funzionale, visto che criteri puramente morfologici (RECIST) hanno una bassa accuratezza diagnostica (55-85%), con sensibilità del 32-50% e specificità del 58-88%; non sempre ad una risposta positiva dopo terapia neoadiuvante corrisponde una riduzione della dimensione del tumore, co-

La significativa riduzione del SUV medio dopo soli 11 giorni dall’inizio del trattamento indica una buona risposta. Un nuovo studio PET eseguito circa tre mesi dopo documenta ulteriore riduzione della captazione. Questo paziente ha ottenuto una risposta patologica completa (TRG 1) sul campione operatorio. L’utilizzo della valutazione precoce (gg11) consente di avere indicazione sulla risposta con circa 11 settimane di anticipo. La capacità di predire la risposta offre la possibilità di modificare la strategia terapeutica se ritenuto necessario.

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Figura 4 Paziente con neoplasia del retto localmente avanzato sottoposto a trattamento neoadiuvante chemio-radioterapico (durata 5 settimane)

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Figura 5 RM assiale T1 pesata: ispezione visiva delle curve TIC ottenute prima (c) e dopo (d) il trattamento neoadiuvante. La TIC conferma l’infiltrazione perirettale visibile sulle immagini di RM prima del trattamento (a) mentre dopo il trattamento la TIC suggerisce che l’area di enhancement visibile sulle immagini di RM (b) è assimilabile a fibrosi indotta da radio e chemioterapia

si come risulta difficile differenziare il residuo tumorale dalla fibrosi. Studi recenti, riportati in letteratura, hanno evidenziato i vantaggi raggiunti dagli studi funzionali in RM con somministrazione in dinamica di mezzo di contrasto paramagnetico (DCE-MRI), in seguito ai quali è possibile elaborare curve intensità tempo (I/T) ottenute da una regione di interesse posizionata sulla lesione tumorale, da un radiologo esperto (Figura 5). L’analisi puramente visiva della curva I/T permette di valutare la risposta patologica completa (pT0) con una accuratezza diagnostica del 84%, che si abbassa al 78% in caso di risposta parziale (pT2). Mediante lo Standardized Index of Shape (SIS), è possibile determinare il valore di cut-off ottimale (3%) che consente di discriminare i pazienti responsivi da quelli non responsivi al trattamento neoadiuvante con una accuratezza diagnostica del 95% (sensibilità 94%; specificità 82%). Il SIS della RM può essere considerato complementare al SUV, utilizzato in Medicina Nucleare con la PET, per la valutazione della risposta alla terapia neo-adiuvante nei CR localmente

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avanzati al fine di orientare la strategia terapeutica, puntando a terapie personalizzate.

STRATEGIE CHIRURGICHE La chirurgia è l’opzione terapeutica principale per il CR. La strategia chirurgica si fonda sul principio, introdotto da Heald nel 1982, della escissione totale del mesoretto (TME). Essa prevede l’exeresi del retto e dell’involucro cellulo adiposo contenuto all’interno della fascia mesorettale, che deve essere integra, a protezione del tessuto contenente la neoplasia ed i linfonodi tributari. L’introduzione di tale approccio ha permesso una netta riduzione delle recidive locali nei pazienti affetti da neoplasie del retto medio e distale. Proprio la valutazione dell’integrità della fascia mesorettale costituisce un importante controllo di qualità dell’exeresi chirurgica, attualmente valutata dal patologo: insieme alla descrizione macrosco-


• la relazione del tumore con il complesso sfinteriale e la misurazione della distanza dal margine anale • la relazione con le strutture anatomiche adiacenti e la presenza di linfoadenopatie regionali ed extraregionali • le dimensioni della neoplasia ed il suo rapporto con la fascia mesorettale (MRF).

Le procedure chirurgiche sono quindi “stage tailored” ed adattate alle necessità del paziente, nel rispetto di una resezione oncologicamente radicale (R0). Nelle neoplasie del retto medio-distale, a meno di infiltrazioni evidenti dello sfintere e/o del piano degli elevatori, è possibile resecare l’organo con un intervento conservativo della funzione sfinteriale: si procede quindi ad una resezione anteriore o, in caso di interessamento dello sfintere interno, ad una resezione intersfinterica. In entrambi i casi è possibile ricostituire la continuità intestinale con un’anastomosi meccanica colo-rettale o colo-anale manuale. Il confezionamento di una stomia temporanea di protezione, preferenzialmente un’ileostomia loop, contribuisce a controllare le conseguenze cliniche di una eventuale fistola anastomotica. Indicata in tutti i pazienti sottoposti a radioterapia neoadiuvante e nelle anastomosi ultrabasse, essa potrà essere riconvertita, a guarigione anastomotica avvenuta, o dopo l’eventuale chemioterapia adiuvante. La resezione addomino-perineale sec. Miles con colostomia definitiva, che prevede la completa escissione del retto e dell’ano, è indicata in caso di franca infiltrazione del piano sfinteriale e nei pazienti in cui la conservazione dello sfintere sarebbe possibile, ma la funzione dello stesso è già insufficiente. È ormai dimostrato che la qualità di vita di un paziente portatore di stomia può essere migliore di quella offerta da una cattiva ricostruzione. L’intervento di Miles è un intervento ancora attuale e rappresenta circa il 15% delle procedure di resezione rettale in Italia. Attualmente è in corso di validazione una procedura chirurgica definita dagli autori anglosassoni “extralevator abdominoperineal resection”, variante del-

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la procedura descritta da Miles nel 1908: essa prevede una più ampia exeresi dei muscoli elevatori dell’ano ed offrirebbe un migliore controllo locale nelle neoplasie che interessano lo sfintere. Più ampie resezioni perineali necessitano, ovviamente, di strategie di ricostruzione che vanno dall’utilizzo di lembi miocutanei alle protesizzazioni biologiche. In caso di malattia localmente avanzata e di infiltrazione di organi adiacenti (neoplasie T4) è assolutamente necessaria una exeresi “en bloc” delle strutture anatomiche interessate o sospette per infiltrazione (o parte di esse, ove possibile), in una chirurgia multiviscerale che mantenga come obiettivo la resezione R0. In caso di estensione della malattia alle stazioni linfonodali laterali della pelvi è possibile una estesa linfoadenectomia. Tale approccio aggressivo, in combinazione con la terapia neoadiuvante ed adiuvante, permette di ottenere brillanti risultati di sopravvivenza libera da malattia e globale, riducendo il rischio di recidive locali. Tutte le procedure di exeresi rettali, anche quelle che coinvolgano altri organi intraaddominali, possono essere condotte con approccio miniinvasivo, mediante videolaparoscopia. Come per le neoplasie del colon, studi come il COLOR II dimostrano che l’approccio laparoscopico non differisce, in termini di radicalità oncologica, dall’approccio open. In termini clinici il vantaggio della laparoscopia è dato da una riduzione del dolore postoperatorio, una ridotta necessità di farmaci analgesici e una più breve degenza ospedaliera. L’eventuale positivo impatto sulla prognosi, descritto in alcune serie monocentriche, è in corso di valutazione in trial randomizzati multicentrici in corso. La chirurgia robotica sembra offrire vantaggi in termini di risparmio della funzione nervosa e della radicalità oncologica, grazie alla aumentata capacità di fine dissezione offerta dalla visione magnificata e tridimensionale e dalla riduzione del tremore della mano umana; alcuni studi attualmente in corso potranno eventualmente confermare la superiorità dell’approccio robotico rispetto alla laparoscopia tradizionale ed alla tecnica open. Il problema dei costi elevati e della diffusione delle procedure robotiche è oggetto di ampia discussione nella comunità scientifica: è da considerare in ogni caso che, a fronte di un maggiore impatto economico in termini di sala operatoria, la più rapida ripresa funzionale ed il miglioramento della qualità di vita sono da tenere in considerazione nella valutazione globale. Tra le principali innovazioni chirurgiche vi è l’approccio transanale al mesoretto (taTME alternativa al tradizionale approccio transaddominale (open o laparoscopico). Rispetto all’approccio tradizionale per via addominale, open o laparoscopico, la exeresi del mesoretto per

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pica del campione operatorio (mesoretto completo od incompleto) si definisce la distanza della neoplasia o di un linfonodo metastatico dal margine circonferenziale di resezione (CRM), che rappresenta un fattore fondamentale, sia per la prognosi, sia per la decisione terapeutica successiva di un trattamento adiuvante. Il planning chirurgico si fonda su elementi derivati dall’imaging radiologico, in particolare dalla RM, che definisce parametri anatomici fondamentali per la esatta definizione del tipo di procedura chirurgica da effettuare:

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via transanale permette di effettuare una dissezione più accurata soprattutto nelle zone anatomiche più distali ed anteriori nelle quali la chirurgia transaddominale ha obiettivamente dei limiti. Esperienze iniziali pubblicate da centri di riferimento mostrano un miglioramento della integrità della fascia mesorettale asportata e del margine distale, soprattutto in pazienti obesi, di sesso maschile e con pelvi stretta. Affianco ai tradizionali interventi di resezione d’organo (resezione anteriore, resezione addominoperineale) per le neoplasie rettali di piccole dimensioni è possibile effettuare una escissione locale. Attualmente essa è indicata solo nei pazienti con neoplasia in stadio iniziale (cTis-cT1). è ipotesi al vaglio in numerosi trials, nei pazienti con risposta completa dopo terapia neoadiuvante, l’escissione del residuo locale di malattia. Essa potrebbe permettere il salvataggio dell’organo e della sua funzione. L’escissione locale può essere effettuata mediante tradizionale approccio open o metodiche miniinvasive quali la TEM (Transanal Endoscopic Microsurgery) o la TAMIS (TransAnal Minimally Invasive Surgery), che permettono l’asportazione di lesioni di maggiori dimensioni ed a sede più alta nel retto. Le strategie chirurgiche per il controllo locale delle neoplasie del retto sono quindi varie ed in continua evoluzione, grazie anche alle innovazioni tecnologiche ed alla maggiore conoscenza dell’evoluzione biologica della malattia. La conservazione d’organo, obiettivo principale del trattamento multidisciplinare, e soprattutto lo sviluppo di tecniche miniinvasive, costituiscono il futuro dell’approccio chirurgico alle neoplasie del retto.

Budding, presenza di invasione vascolare extramurale, livello di invasione neoplastica, stato dei margini di resezione (prossimale, distale, margine circonferenziale del mesoretto), numero totale dei linfonodi repertati (almeno 30 e non 12 come fino a pochi anni orsono veniva indicato in tutte le casistiche), numero degli eventuali linfonodi metastatici. Di tutti questi criteri, sicuramente il Tumor Budding è destinato a definire meglio le interazioni tra neoplasia e microambiente. Infatti, tale parametro rappresenta una modalità di “dialogo” fra alcuni cloni cellulari maggiormente aggressivi ed il microambiente. Questi cloni sono in grado di riacquisire caratteristiche molecolari di tipo “staminale” e di attuare il meccanismo di “transizione epitelio-mesenchima” che conferirebbe alla proliferazione neoplastica una maggiore attitudine di tipo angioinvasivo e, dunque, metastatico. I dati oggi a nostra disposizione confermano che questo parametro è correlato alla possibilità di insorgenza di recidive locali o di metastasi a distanza. Ancora non è del tutto chiaro il significato di parametri quali la presenza di invasione vascolare linfatica e/o venosa intramurale e di invasione perineurale, che quindi non sono determinanti nel referto. Lo strumento del quale il patologo si avvale e che rappresenta tutt’oggi l’indicatore prognostico più attendibile è lo staging patologico. Per anni è stato utilizzato il sistema di staging Dukes, modificato da Astler e Coller, che è ormai da considerarsi obsoleto. Per la stadiazione patologica è consigliabile utilizzare la classificazione TNM sec. AJCC/UICC, 2009 (2010), in base alla quale le caratteristiche più importanti da evidenziare sono le seguenti:

ANATOMIA PATOLOGICA

L’esame anatomo-patologico del campione chirurgico rappresenta un importante indicatore dell’ andamento clinico successivo (prognosi) e può anche contenere informazioni di tipo predittivo. Tuttavia, ancora oggi, nonostante siano state emanate apposite linee guida da autorevoli associazioni quali il CAP (College of American Pathologists), spesso i referti sono sub-ottimali, privi delle informazioni fondamentali non solo per il chirurgo, ma soprattutto per l’oncologo medico. Si impone, quindi, la necessità della standardizzazione del referto anatomo-patologico, finalizzata a fornire dati riguardanti le caratteristiche intrinseche alla neoplasia, morfologiche e molecolari, e la reale estensione anatomica della stessa, confrontandola con i dati formulati in precedenza dalle metodiche di imaging. I seguenti criteri diagnostici minimi di tipo morfologico devono obbligatoriamente essere contenuti nel referto: istotipo, grado di differenziazione, presenza di Tumor

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• l’istituzione di due sub-categorie nell’ambito dei linfonodi metastatici (pN1a - b e pN2a - b) • l’introduzione del parametro V, per indicare la presenza o meno di invasione vascolare extramurale • l’introduzione del parametro R, per indicare l’effettiva radicalità chirurgica attraverso la valutazione dello stato dei margini di resezione con particolare riguardo al margine circonferenziale del mesoretto • l’introduzione della categoria TD (Tumor Deposits) per indicare la presenza, nello spessore del tessuto adiposo periviscerale, di focolai neoplastici discontinui rispetto alla neoplasia, non di natura linfonodale • la presenza del prefisso y davanti al prefisso p nella classificazione dei tumori sottoposti a terapia neoadiuvante • la presenza del prefisso r nei tumori recidivati dopo un intervallo libero da malattia.


Per quanto riguarda le caratteristiche molecolari del CR, l’unico test molecolare attualmente validato a scopo predittivo, è rappresentato dalla determinazione dello stato mutazionale degli oncogeni del gruppo RAS (All-RAS), il cui capostipite è il K-RAS. In corso di studio è l’effettiva utilità della determinazione della MSI (Instabilità dei micro satelliti), il cui impatto clinico è riconosciuto soprattutto nel cancro del colon, e della presenza di eterozigosi del cromosoma 18.

FOLLOW-UP Concluso il trattamento chirurgico e/o chemioterapico adiuvante per il CR, il paziente è sottoposto a controlli periodici che comprendono visite cliniche ed esami strumentali (radiografie, TC, RMN, ecografia, colonscopia). L’obiettivo primario della sorveglianza dopo intervento chirurgico radicale per CR è diagnosticare precocemente recidive locali o a distanza suscettibili di trattamento, in fase asintomatica e/o porre diagnosi precoce di neoplasie intestinali metacrone. Obiettivi secondari sono la prevenzione precoce di secondi tumori e la risoluzione di problematiche legate alla malattia, alle sequele dei trattamenti antineoplastici, alle turbe fisiche e psicosociali sviluppate mesi-anni dopo la fine delle terapie. Lo stadio della malattia al momento dell’intervento è tra i più importanti indicatori prognostici. La maggior parte delle recidive tumorali sono rilevate entro i primi due anni dall’ l'intervento chirurgico. A tal proposito è opportuno sottolineare come il follow-up endoscopico dei pazienti

oncology update

Nei pazienti affetti da CR localmente avanzato, sottoposti a terapia neoadiuvante, la valutazione patologica deve necessariamente comprendere, nel referto, il cosiddetto TRG (Tumor Regression Grade), parametro non ancora del tutto standardizzato, che andrebbe espresso mediante una classificazione di validato significato prognostico, quale quella di Mandard (1994) o quella di Ryan modificata da Rodel (AJCC/UICC 2009/10), attualmente preferibile.

Figura 6 Algoritmo per una sorveglianza endoscopica personalizzata dei pazienti sottoposti a chirurgia per cancro del retto localmente avanzato

Diagnosi di Cancro del Retto localmente avanzato Chirurgia Standard senza chemioradioterapia neoadiuvante

Chemioradioterapia neoadiuvante escissione completa del mesoretto Follow-up endoscopico standard

*Recidiva anastomotica precoce

Anastomosi colorettale indenne

Sigmoidoscopia ± EUS ogni 3-6 mesi per i primi 3 anni postoperatori

* La diagnosi di recidiva anastomotica precoce è indicazione immediata alla chirurgia

Chirurgia

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Sigmoidoscopia ± EUS a 3-6 mesi

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con CR debba essere personalizzato basandosi sul tipo di chirurgia effettuata e sulla somministrazione o meno di terapia neoadiuvante. Infatti i pazienti con CR localmente avanzato che sono stati sottoposti a chemioradioterapia neoadiuvante ed escissione completa del mesoretto durante l’intervento chirurgico sono a basso rischio di recidiva locale e sono sottoposti al follow-up endoscopico standard con colonscopie di sorveglianza a 1, 3, 5 anni dopo la chirurgia e poi ogni 5 anni. Al contrario, uno stringente follow-up endoscopico, con sigmoidoscopia ed EUS ogni 3-6 mesi per i primi 3 anni è raccomandato per quei pazienti con CR operati senza escissione del mesoretto e senza preventiva terapia neoadiuvante, perchè in questi pazienti l’incidenza di recidiva locale oscilla tra il 2% e il 30% dei casi nei primi 30 mesi dall’intervento (Figura 6). Comunque il follow-up dei pazienti operati per CR si basa inizialmente su controlli clinici e di laboratorio/ imaging ad una frequenza ravvicinata (tre-sei mesi), che si dirada nel tempo (una volta all'anno), dopo il primo biennio. Il follow-up dopo cinque anni ha lo scopo principale di individuare quei pazienti che sviluppano nuovi polipi o lesioni pre-cancerose, o seconde neoplasie. La prevenzione di seconde neoplasie deve concentrarsi sia nell’attuare i riconosciuti programmi di screening (tumore della mammella, tumore della cervice e tumore del colon), sia nel valutare tumori secondari ai trattamenti effettuati per guarire la neoplasia iniziale. Grazie alla collaborazione di tutti gli specialisti si può così offrire al paziente una completa sorveglianza della malattia oncologica e delle problematiche ad essa connesse.

GESTIONE DELLO STADIO IV

Lo stadio IV di malattia comprende pazienti, con qualsiasi T ed N, con metastasi in un singolo organo (fegato, polmone, ovaio, linfonodi extraregionali, stadio M1a) o in due o più organi o nel peritoneo (stadio M1b). In caso di malattia metastatica resecabile la strategia terapeutica prevede diverse possibili opzioni. In prima linea una chemioterapia con diverse combinazioni di antitumorali (FOLFOX, FOLFIRI, CapeOX), con l’aggiunta o meno di anticorpi monoclonali anti-VEGF (Bevacizumab) o anti-EGF (Cetuximab, Panitumumab), secondo le indicazioni emerse dall’esame di K-RAS, (più di recente anche di N-RAS e B-RAF), che deve sempre essere eseguito nei pazienti metastatici. Suc-

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cessivamente alla chemioterapia di prima linea si può procedere alla chirurgia con intento curativo sul tumore primitivo e sulla/e lesione/i secondaria/e in uno o più stadi, oppure si può eseguire un trattamento combinato neoadiuvante con radio-chemioterapia prima della chirurgia stessa. Alternativamente il trattamento neoadiuvante con radio-chemioterapia può essere effettuato in prima linea con successivo approccio chirurgico in uno o più stadi. In tutti i casi, va valutata l’opportunità di continuare un trattamento con chemioterapia, successivamente alla chirurgia, anche in caso di resezione curativa R0. Nel caso di malattia metastatica non resecabile l’approccio può cambiare a secondo che il tumore primitivo sia sintomatico (occlusione, sanguinamento) o meno. Se la malattia metastatica non resecabile non è sintomatica la chemioterapia gioca un ruolo preponderante. I diversi schemi terapeutici (FOLFOX, FOLFIRI, CapeOx, ed altri), con l’aggiunta dei vari anticorpi monoclonali quando indicato, sono progressivamente impiegati nelle linee successive di trattamento secondo la progressione di malattia. Se invece il tumore primitivo è sintomatico, questo può esser controllato da chemioterapia sistemica e dalla radio-chemioterapia palliativa. Altrimenti, può essere necessario ricorrere ad una chirurgia con intento palliativo, quale la resezione colorettale o la semplice colostomia, oppure a procedure endoscopiche quali lo stenting o il trattamento con laser. L’impiego delle procedure endoscopiche in alternativa alla decompressione chirurgica è cresciuto nel tempo; esso si avvale soprattutto del posizionamento di stent auto-espandibili (SEMS) e in misura sempre minore di trattamenti ablativi. L’impiego dei SEMS, ancorchè sia difficile ricavare dalla letteratura dati riferiti selettivamente al retto, ottengono nelle neoplasie colorettali una percentuale di successo tecnico del 96% e clinico del 92%. Il 75% dei pazienti con ostruzione evita la colostomia e il 90% di quelli protesizzati muore con uno stent ancora funzionante. In presenza di segni peritoneali e nel sospetto di perforazione la procedura è controindicata. Gli stent presentano essi stessi complicanze, la più temibile delle quali è la perforazione, immediata o tardiva, che si verifica nel 4-6 % circa dei casi ed è stata considerata più frequente in corso di chemioterapia e di impiego del Bevacizumab, benchè la questione abbia aspetti controversi. La recidiva dell’ostruzione si ha nel 29% dei casi, per migrazione dello stent e “ingrowth” o “overgrowth” tumorale.


Take home message

• Il trattamento dei pazienti con cancro del retto deve essere multidisciplinare e personalizzato per il singolo paziente sulla scorta del suo stato di malattia • Ecoendoscopia e Risonanza Magnetica sono esami fondamentali per la stadiazione loco-regionale • La radio-chemioterapia neoadiuvante è utilizzata nella malattia localmente avanzata, per migliorare la resecabilità chirurgica, ridurre la probabilità di recidive locali, incrementare le probabilità di salvataggio dello sfintere e migliorare la sopravvivenza del paziente • La valutazione precoce della risposta al trattamento mediante PET è predittiva di risposta alla terapia neoadiuvante e della prognosi della malattia • La strategia chirurgica è basata sul principio dell’escissione totale del mesoretto e tiene conto dello stadio della malattia e dell’efficacia della terapia neoadiuvante • Il follow-up dopo chirurgia dei pazienti con cancro del retto è personalizzato in base alla escissione o meno del mesoretto e alla somministrazione o meno di terapia neoadiuvante

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Per contrastare l’invasione tumorale delle maglie della protesi sono disponibili degli stent rivestiti: essi tuttavia sono soggetti a un maggior rischio di migrazione, inconveniente che rende il successo clinico nel mantenere la pervietà del lume simile a quello degli stent non rivestiti. I SEMS sono impiegati sia come terapia definitiva con intento palliativo, sia come bridge to surgery nei casi di occlusione da tumore resecabile; in questo caso si può praticare successivamente un intervento chirurgico in un sol tempo, non preceduto da colostomia e in condizioni di compenso metabolico. Il 6-7% dei casi inizialmente trattati con intento palliativo, grazie ai migliori risultati delle terapie mediche oncologiche viene secondariamente ricondotto all'operabilità. In tal caso, la protesizzazione da palliativa si trasforma in bridge to surgery.

CONCLUSIONI

Corrispondenza Mario De bellis Dipartimento di Anestesia, Endoscopia e Cardiologia Struttura Complessa Endoscopia Diagnostica ed Operativa Istituto Nazionale Tumori IRCCS "Fondazione G. Pascale" Via Mariano Semmola - 80131 Napoli Tel. + 39 081 5903228 Fax + 39 0815903824 E-mail: m.debellis@istitutotumori.na.it

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Il management delle neoplasie rettali è complesso e prevede l’integrazione multidisciplinare in tutte le fasi, diagnostica, terapeutica e di follow-up. Il trattamento integrato in centri ad alto volume offre l’opportunità di ottenere la “cura” della malattia in una elevata percentuale di casi. La chirurgia da sola è opportuna solo nei casi iniziali, il trattamento della malattia localmente avanzata e metastatica presuppone una profonda conoscenza delle strategie multidisciplinari. Tale concetto andrebbe promulgato sia nella comunità medica, facilitando il riferimento del paziente a centri di provata esperienza e con certificata attività multispecialistica, sia nella popolazione generale. L’innovazione tecnologica e lo sviluppo di nuovi farmaci ed approcci terapeutici, ha permesso, ed in un prossimo futuro lo farà ulteriormente, di migliorare i risultati in termini di sopravvivenza e di qualità di vita.

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