Archivio Nisseno - Anno IV, n°7

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GINO VARSALONA

ne pubblica del tempo e nella critica storica successiva fu bollato con il nome spregiativo di “beghismo”, a dire che le denunce anonime scaturivano da risentimenti, da rancori e non da un disinteressato spirito critico e generavano nella vita pubblica delle città un’atmosfera da cortile. Nel nostro caso, almeno, però, possiamo affermare che essi, in quanto accompagnati dai rapporti della polizia giudiziaria, ci aiutano a tratteggiare meglio il profilo storico dell’età che abbiamo preso in esame. Alla trattazione abbiamo voluto premettere qualche riflessione storicopolitica relativa alla riforma podestarile nazionale per offrire al lettore elementi utili alla comprensione della problematica locale. A questo punto allo scrivente corre l’obbligo di far presente che è suo fermo proposito ampliare quanto prima la ricerca per giungere ad una conoscenza più ricca del periodo fascista a Mazzarino. 1. L’istituto del podestà.

Il tratto fondamentale che definisce il regime fascista è l’aspirazione a voler informare la società tutta, da cima a fondo, dello spirito del fascismo, di quel modo specifico di concepire il rapporto tra individuo e società, tra individuo e Stato, che fu proprio della dittatura mussoliniana. Un’impresa del genere aveva bisogno che tutti i livelli strutturati della vita sociale marciassero all’unisono con lo spirito che emanava dal centro. E se si presentava piuttosto problematico avere totalmente dalla propria parte istituzioni come la Chiesa, l’esercito e la corona, un livello della struttura dello stato, che era possibile piegare ai disegni totalitari del regime, era costituito dagli enti territoriali (Province e Comuni). I Comuni, soprattutto, negli ultimi decenni di vita dello stato liberale, in seguito all’affermazione dei partiti di massa (popolari e socialisti), avevano espresso una grande vivacità di partecipazione politica, finendo col diventare, tra il ‘21 e il ’22, il bersaglio e l’avversario principale proprio del nascente movimento fascista che aveva individuato nei comuni “rossi” e “popolari” le roccaforti del “bolscevismo” da abbattere, contro cui riversare, quindi, tutta la carica della violenza squadristica. L’omologazione e la subordinazione istituzionale della vita degli enti locali allo spirito e alla struttura del regime non si realizza subito al momento della presa del potere ma negli anni, diciamo così, della svolta dichiaratamente autoritaria, tra il ‘25 e il ’28, nel contesto dell’emanazione delle “leggi fascistissime”, quando il fascismo perviene ad una più “matura” consapevolezza di sé e dei suoi obiettivi. Infatti, negli anni precedenti, anche se politicamente, prima attraverso la coercizione squadristica, poi attraverso gli strumenti legalitari dello scioglimento dei consigli e del commissariamento, aveva sottomesso i comuni alla sua volontà, il fascismo si era mostrato incerto circa il profilo politico-giuridico da assegnare ai comuni nel nuovo asset66


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