Archivio Nisseno - Anno III, n°5

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IL CANTO DIALETTALE SICILIANO

IL CANTO DIALETTALE SICILIANO TANTE VOCI PER UNA SOLA ANIMA DI

MICHELE BURGIO

La presentazione del lavoro di Beppe Pellitteri in occasione del Convegno Affaccia a la finescia, amata ddia avrebbe potuto configurarsi come una semplice giornata del ricordo. I protagonisti di quello splendido lavoro, nato come tesi di laurea, hanno trent’anni in più. Molti di loro non ci sono più. Ma io credo che questa presentazione non sia avvenuta soltanto per ricordare, e la mia presenza, in qualche modo lo ha testimoniato se è vero che io non ero ancora nato quando questo lavoro vedeva la luce e, in tutta franchezza, ero ben al di là di ogni progetto dei miei genitori - o del Creatore, se preferiamo -. Non ho - non posso - avere ricordi legati all’esperienza di silloge di questi canti né tantomeno li avevo mai sentiti. Eppure fui trasportato da quelle parole, da quei versi purtroppo senza musica, di cui ho dovuto fino ad allora immaginare ed inventare col pensiero la linea melodica e indovinare persino la voce che li intonava. Però va detto che chi mise insieme a suo tempo questi canti era un giovane, ed anch’egli non era certo un protagonista, un produttore o un cantante di canzuni. E allora perché questo interesse per ricercare, per raccontare quello che non si è più o non si è mai stati? È facile rispondere che si ricerca nel passato per capire il presente, che una fronda che non sappia della propria radice è destinata a seccare, ma non è solo così. Io credo che, in primo luogo, quello che spinge i giovani ad interessarsi di fatti che li precedono sia la ricerca di ciò che per noi ha un valore in sé, è bello in sé. Non siamo nostalgici di quei tempi in cui per le strade acciottolate o malamente sterrate di Milocca, Naduri o Sutera non esistevano le auto né i rumori delle televisioni e l’alba era una scenografia di uomini secchi e silenziosi che conducevano i muli verso la campagna. Non siamo nostalgici dei tempi in cui la massima gioia per la maggior parte dei nostri avi era mettere a tavola una pignata di virduri e a quarant’anni si era vecchi e pieni di dolori. Ma i saperi connessi a quei momenti, l’arte di fare virtuli, le filastrocche che condivano gli attimi di allegria, i poveri dolci di semola, vino cotto e mandorle, che con semplicità profumavano le feste e, duri com’erano, pro-

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