Architettiverona 125

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Consiglio dell’ordine • Presidente Amedeo Margotto • VicePresidenti Laura De Stefano Matteo Faustini • Segretario Enrico Savoia • Tesoriere Daniel Mantovani • Consiglieri Cesare Benedetti, Michele De Mori, Stefania Marini, Diego Martini, Leonardo Modenese, Michele Moserle, Francesca Piantavigna, Chiara Tenca, Morena Zamperi, Ilaria Zampini

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Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959 Terza edizione • anno XXIX n. 2 • Aprile/Giugno 2021 rivista.architettiverona.it

https://architettiverona.it/rivista/

Direttore responsabile Amedeo Margotto

Direttore Alberto Vignolo

Editore Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona Via Santa Teresa 2 — 37135 Verona T. 045 8034959 — F. 045 592319 architetti@verona.archiworld.it

Redazione Federica Guerra, Angela Lion, Luisella Zeri, Damiano Capuzzo, Filippo Romano, Leopoldo Tinazzi, Laura Bonadiman, Giorgia Negri, Marzia Guastella, Nicolò Olivieri, Elisa Montagna, Filippo Ganassini, Davide Graniti, Francesco Varesano rivista@architettiverona.it

DISTRIBUZIONE La rivista è distribuita gratuitamente agli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona e a quanti ne facciano richiesta all’indirizzo https://architettiverona.it/distribuzione/

Art direction, Design & ILLUSTRATION Happycentro www.happycentro.it

Concessionaria esclusiva per la pubblicità Promoprint Paolo Pavan: T. 348 530 2853 info@promoprintverona.it

contributi a questo numero Stefanos Antoniadis, Luciano Cenna, Cristiano Girelli, Gerardo Semprebon, Luigi Stendardo, Arnaldo Toffali

reportage Fotografici Lorenzo Linthout, Marco Toté

Stampa Cierre Grafica www.cierrenet.it

Si ringraziano Michele Bazzani, Angelo Bertolazzi, Michele De Mori, Franz Kuen, Federica Provoli, Massimiliano Valdinoci

L’etichetta FSC ® garantisce che il materiale utilizzato per questa pubblicazione proviene da fonti gestite in maniera responsabile e da altre fonti controllate.

Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.

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PROGETTO

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Guardare al territorio di Damiano Capuzzo

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editoriale

storia & progetto

Gira la ruota di Alberto Vignolo

Solidità germanica di Angela Lion, Alberto Vignolo

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progetto

Tre pezzi semplici di Leopoldo Tinazzi

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PROGETTO

Scatola nera di Damiano Capuzzo

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progetto

Calcio con rigore di Giorgia Negri

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INTERIORS

La cura dell’architettura di interni di Davide Graniti

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interiors

dossier

odeon

Cent’anni di colori pastello di Filippo Ganassini

Il parco come forma urbis di Luigi Stendardo, Stefanos Antoniadis

Sul centro in Veneto di Marzia Guastella

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Buon vino fa scuola di Laura Bonadiman

odeon

Prossima fermata: parco

Isolati dal Ghetto: una storia urbana di Federica Guerra

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Libero tra le pieghe di Alberto Vignolo

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Sui binari delle procedure di Arnaldo Toffali

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portfolio

odeon

dossier

Viaggio in provincia: con le spalle al lago di Federica Guerra

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itinerario

odeon

dossier

dossier

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Quasi architetti

Legnago New Renaissance: il puzzle urbano di Francesco Varesano

Verona Porta Verde di Alberto Vignolo

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La Lessinia dipinta di Oreste Valdinoci

studiovisit off

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Campagne cinesi di Gerardo Semprebon

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Porte ancora aperte di Cristiano Girelli

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odeon

Ci mette il becco LC: del “rigore” di Luciano Cenna

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Gira la ruota

I mutevoli giudizi che si frappongono fra le scelte progettuali e la loro messa in atto

Testo: Alberto Vignolo

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Che sia quella della fortuna, o più semplicemente l’ingranaggio che segna l’inarrestabile volgere in avanti dei giorni e degli anni, a una ruota sembra talvolta affidato il destino mutevole e imprevedibile dei giudizi che si frappongono fra le scelte progettuali e la loro messa in atto. Certo, tutto passa indiscutibilmente attraverso leggi e regolamenti, ma anche attraverso la loro umana, e pertanto singolare (o potremmo dire rotante) interpretazione. Un piccolo ma significativo esempio al riguarda ce lo offre una vicenda osservata dal punto di vista privilegiato – quasi un palco di proscenio – della nostra sede ordinistica. Proprio qui infatti, nell’area dove negli anni Trenta avvenne l’edificazione dei Magazzini generali e poco più in la della Manifattura tabacchi, sorgeva uno dei manufatti della cinta fortificatoria d’epoca absburgica, il Forte Clam, costruito nel 1848 all’interno della prima cerchia del Campo trincerato. Riutilizzato dall’Esercito Italiano col nome di Forte Porta Nuova fino alla fine della Prima Guerra mondiale, fu per l’appunto raso al suolo senza timori referenziali per lasciare spazio alla viabilità lungo l’asse di accesso alla città da sud, e ai grandi insediamenti pensati per lo sviluppo

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01-02. Illustrazioni di Isabella Fabris (www.isabellafabris.it). .

di Verona. Quel piccone demolitore era certo figlio del suo tempo, e poco meno di un secolo dopo il volgere della ruota del giudizio ce lo fa appare insensato e inopportuno. Tant’è che quando si è messo mano al recupero dei primi edifici degli ex Magazzini, tra il 2012 e il 2015, un doveroso lavoro di indagine archeologica preliminare ha rinvenuto alcuni brani di murature del forte, documentandoli accuratamente per avvalorare gli studi al riguardo ma giungendo alla conclusione che tali resti potessero tornare a riposare in pace nelle viscere della terra. E dunque, ricoprendoli accuratamente. Un giro di ruota questa volta molto rapido ci porta al 2021, quando sul versante opposto di viale del Lavoro – perfetto asse di simmetria delle strutture latenti del forte – un analogo ritrovamento nell’area di cantiere della ex Manifattura Tabacchi ha portato a un esito opposto. Ora è stato infatti annunciato il recupero e la valorizzazione del reperto all’interno del futuro parcheggio interrato, ovvero una sostanziale musealizzazione di questa piccola porzione del muro perimetrale di Forte Clam, pochi metri a fronte dei circa 22 mila metri quadrati

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dell’intera fortificazione. Ne risulterà probabilmente un grazioso elemento di arredo per l’autorimessa, una sorta di gadget a favore di parcheggio, in fondo una opportunità che i progettisti sapranno cogliere al meglio. Cosa è cambiato, al di là del salto topografico oltre il viale? Davvero è opportuno investire risorse, sia pur private, per mettere in risalto il frammento interrato di un forte che non c’è più, a fronte dei molti forti sparsi nel territorio comunale ancora in buono stato e sicuramente meritevoli di interventi che

« Tutto passa indiscutibilmente attraverso leggi e regolamenti, ma anche attraverso la loro umana interpretazione » potrebbero favorirne un uso non solo contemplativo? È stato formalmente corretto decidere di reinterrare i frammenti ritrovati nel 2015, così come lo è ora la scelta di metterli in evidenza: ma certo nel pensare a quale possa essere il giudizio, in casi del genere, fa girare la testa. Si potrebbe ampliare questo

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ragionamento dai beni monumentali a quelli paesaggistici, per i quali esiste una vastissima casistica di “giramenti”. L’oggettività è certo una tensione a cui si può solo tendere, affidandosi a criteri di scientificità, alla letteratura, al valore di esempio e di unicità, al rapporto con il contesto, oppure – soprattutto un tempo – a un purovisibilismo inteso in senso estetizzante. Ma quando si parla di belle arti – e quest’ultima tra le tante declinazioni nominali ministeriali in materia, che ruotano anch’esse con uno spin particolarmente vorticoso, appare particolarmente foriera di leziosa ambiguità – non c’è dubbio che i

giudizi del momento diventano determinanti e inesorabili, capaci di cambiare in un punto il destino relativo a un bene. Come del resto avviene nel momento dell’apposizione di un vincolo. È come una dichiarazione di santità: cambia completamente lo status di un bene attraverso una dichiarazione di appartenenza, e in quanto tale va rispettato come atto di fede. Dà inizio al culto, ai riti e alle pratiche consone al nuovo status. E come per ogni culto, sta ai suoi sacerdoti interpretarne il senso e dare indicazioni: precetti. Ma parroci e curati, creature del Signore, girano pure loro.

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PROGETTO

Scatola nera

L’ampliamento degli spazi amministrativi e direzionali di un complesso produttivo è l’occasione per restituire contemporaneità e una nuova immagine agli ambienti di lavoro

Progetto: Studio Nico Sandri Testo: Damiano Capuzzo Foto: Simone Bossi

Pastrengo

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01. Veduta d’insieme dell’edificio con il sistema di facciata che ne rende dinamica la percezione. 02. Lo scultoreo portale di ingresso realizzato in estrusi di alluminio verniciato. 03. Un’immagine di cantiere rivela la presenza dell’edificio preesistente, inscatolato dalle nuove volumetrie.

Progettare i luoghi del lavoro è uno degli ambiti della pratica architettonica in più rapida evoluzione. Funzionalità degli spazi, adattamento alle tipologie operative, vivibilità degli ambienti (anche verso l’ottimizzazione della produttività), vanno di pari passo con una imprescindibile domanda di riconoscibilità, a supporto della comunicazione e degli investimenti aziendali. L’avvento delle tecnologie digitali ha ridimensionato in parte i principi che stavano alla base dei grandi edifici per uffici, e che avevano condotto alla spasmodica ricerca dell’open a ogni costo. Il classico concetto di scrivania personale, ambito destinato al singolo lavoratore (ma al contempo spazio limite), ha ceduto il posto a una maggiore flessibilità operativa, con spazi per incontrarsi, confrontarsi, mangiare e addi-

« Una composizione di grandi lame metalliche giustapposte in orizzontale forma un diaframma permeabile che inscatola letteralmente i volumi architettonici » 02

rittura per attività extra lavorative. La crisi pandemica ha poi indotto a scoprire nuove soluzioni organizzative, ridimensionandone la futuristica visione a semplice quotidianità (non certo del tutto risolta) e aggiungendo al dibattito nuove nozioni che l’architettura dovrà saper interpretare. È un cambio di filosofia che incide prettamente sul layout in termini di progettazione, ma che si ripercuote necessariamente su tutti gli aspetti dell’edificio. Esempio del cambiamento in atto, con l’ulteriore complessità di un’operazione svolta a partire da un edificio esistente, è l’ampliamento degli uffici dello Scatolificio del Garda a Pastrengo, un progetto del giovane studio di architettura di Nico Sandri. Ci troviamo nella zona industriale ai margini dell’abitato, dove il complesso degli edifici produttivi – il cui primo nucleo risale agli anni Settanta – restituisce anonime immagine

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di serialità costruttiva, accontentandosi di rubare qualche scorcio sul Monte Baldo. L’azienda, fondata nel 1969 per la produzione di articoli cartotecnici sull’onda dell’allora fervido settore calzaturiero locale, ha accresciuto il proprio know-how giungendo oggi a dedicarsi al settore alimentare, per il quale realizza contenitori di vario genere. La ricerca su caratteri di efficienza e funzionalità, ma certamente anche su design e comunicazione, definiscono concetti ben noti a una realtà che, nell’occasione del 50° anniversario dalla fondazione, ha deciso di far coincidere un necessario ampliamento della parte dedicata agli uffici con un radicale intervento di refreshing operativo e stilistico. La prima immagine del progetto che balza all’occhio è una composizione di grandi lame metalliche, estrusi in tinta bronzo ossidato giustapposti in orizzontale a formare un diafram-

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PROGETTO

Scatola nera

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ma permeabile che inscatola letteralmente i volumi architettonici; alcune di queste lame scivolano rispetto alle altre, rendendo sfuggente la definizione dell’involucro e restituendo la percezione di un giocoso movimento nelle vedute di scorcio dalla strada. Questo delicato equilibrio è infranto da uno scultoreo elemento di rottura, una sorta di spigoloso stargate, a fugare ogni dubbio sul dislocamento dell’ingresso. Avvicinando lo sguardo, diviene chiaro come la composizione di elementi metallici assolva al ruolo di ombreggiamento delle retrostanti finestre degli uffici, oltre a integrare l’illuminazione di facciata e i camminamenti per la manutenzione delle vetrate; mentre i pochi elementi verticali a cui è affidato il loro sostegno attraverso fissaggi a scomparsa, fungono al contempo da pluviali. La questione di maggiore importanza è però un’altra, ovvero l’organizzazione volumetrica e compositiva dell’edificio. Il diaframma metallico di facciata, supportato dalla colorazione nera dei volumi arretrati che amplifica la profondità delle ombre proiettate, restituisce una percezione unitaria dell’intervento che rende impossibile distinguere le due porzioni. L’edifico preesistente, un fabbrica-

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to a due piani che necessitava di piena operatività durante le fasi di cantiere, è stato letteralmente avvolto dall’ampliamento che interessa in pianta il lato nord, e che si innalza per ripiegarsi in copertura fino a raggiungere il fronte opposto. Operazione che, attraverso il ricorso a elementi portanti prefabbricati in calcestruzzo, ha restituito in tempi di cantiere strettissimi un’architettura che appare come un corpo unico, reso ancora più omogenea dal rifacimento globale delle finiture. Gli stessi interni concorrono ad una visione unitaria con i pilastri e i tegoli delle robuste strutture lasciati a vista, come nella parte esistente, con un ricorso alla finitura per uniformarne l’apetto. Varcato lo stargate per raggiungere l’arioso foyer, il calcestruzzo a vista domina la scena. La percezione è però tutt’altro che pesante: al contrario, il colore chiaro del cemento e le riflessioni che si rincorrono tra la pavimentazione semi lucida in microcemento, le superfici vetrate e quelle metalliche dei parapetti, dei serramenti e delle due passerelle che tagliano la tripla altezza a livelli diversi, amplificano la luce naturale invitando a percorrere con lo sguardo l’intero volume. Una nota di calore che ammorbidisce il carattere austero è data da due partizioni rivestite

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04. Piante di progetto: piano terreno, primo, secondo. 05. L’ingresso è dominato dal cemento a vista, compreso il desk della reception realizzato su disegno. 06. La hall d’ingresso con gli innesti di superfici dalla finitura nobile. 07. Sezione prospettica in corrispondenza della tripla altezza sull’ingresso. 08. Il percorso attorno alla scala si confronta con le vicendevoli vedute sulle prospicienti sale riunioni.

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Scatola nera

PROGETTO 09. L’ufficio del presidente con la scrivania custommade in lamiera cruda di acciaio. 10. Nell’atrio una parete in marmo statuario fronteggia il cemento pigmentato nero della scala-ascensore. 11. Sezione prospettica longitudinale. 12. Una passerella attraversa il vuoto sull’ingresso inquadrando il ritratto del fondatore dell’azienda. 13. Dettaglio della scala in calcestruzzo a vista.

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in marmo bianco statuario e in legno di noce, citazione dello stile sobrio ma prezioso degli interni d’ufficio americani degli anni Sessanta. La colonna ascensore al centro dell’atrio, alla quale sono appese le rampe della scala, domina con la sua altezza l’intero ambiente, con l’imponenza che deriva dal cemento a vista pigmentato in nero. È un rimando di elementi che costringono a spostare lo sguardo sulla dimensione verticale dell’ampio e luminoso volume, che sopperisce a una pianta non troppo generosa per dimensioni. Un gioco ricercato, dal momento che a mezza altezza, sopra al desk custom-made in cemento, gli occhi incontrano una sorprendente opera d’arte di Giorgio Tentolini: è il ritratto del fondatore dell’azienda, realizzato mediante la sovrapposizione di maglie di rete metallica. L’impostazione distributiva degli spazi è di facile lettura; la tripla altezza permette infatti l’accesso diretto agli uffici, suddivisi per funzione ai diversi livelli. Il piano terra ospita la logistica e l’interfaccia con gli autotrasportatori, ai quali è riservato un ingresso diretto sul fronte principale, come anche per gli operai della produzione che sfilano sul retro del desk, ottemperando alla separazione dei flussi. Il secondo piano, che ancora si confronta con

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committente Scatolificio del Garda Progetto architettonico arch. Nicolò Sandri collaboratori arch. Lorenzo Piccinini geom. Giuseppe Faccincani (D.L.) ing. Bruno Fasoli (strutture) imprese e fornitori Faccincani Costruzioni (impresa generale), Moretti Interholz (strutture in legno), Lunati Prefabbricati (strutture in cemento), Massignani & C. (strutture metalliche, rivestimenti in alluminio, serramenti), SM Arredamenti (contract interni) Cronologia Progetto e realizzazione: 2018-2019

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PROGETTO

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14. La sala conferenze all’ultimo livello è animata da un soffitto in legno con travi a posa inclinata e alternata.

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Nico sandri

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la porzione esistente – distinguibile solo dai giunti strutturali – accoglie amministrazione e direzione, caratterizzate da partizioni vetrate che, oltre a garantire maggiore profondità e connessione visiva tra gli ambienti, favoriscono un’omogenea diffusione della luce naturale. Diverse sale riunioni sono disposte attorno alla scala, dalla quale si mantengono staccate, accrescendo la dinamicità di utilizzo dei rispettivi ambienti attraverso il rimando visivo alle attività che vi si svolgono. Una passerella ad accesso riservato, che sormonta l’ingresso al piano terreno, connette invece l’ufficio del presidente a quello del direttore, consentendo scambi diretti e riservati senza rinunciare all’affaccio sul cuore dell’edificio. L’ultimo livello, l’unico interamente nuovo, è dedicato a una sala conferenze polivalente per circa 200 posti. La grande copertura in legno lamellare adotta un’alternanza nell’inclinazione di posa delle travi principali, che ritmano così la profonda spazialità del soffitto. La sala si estende a nord su una grande terrazza, dalla quale scopriamo il lato interno delle schermature metalliche e da dove, sempre grazie allo slittamento tra singoli elementi, viene ritagliato uno scorcio vista sul Monte Baldo, tributo all’unica accezione di valore paesaggistico del contesto.

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Il colore nero, citazione ricorrente nei progetti di Nico Sandri (cfr. Piano sequenza in bianco e nero, in «AV» 106, pp. 16-23), ritorna nuovamente nei bagni a servizio della sala polivalente, dove è divertente scoprire che al di sopra della batteria di lavabi, invece dei soliti specchi, un vetro extra chiaro permette una vista sull’intero complesso produttivo, che il posizionamento dell’edificio direzionale aveva fino a qui mantenuto in secondo piano. Ritornando alla riflessione iniziale sull’evoluzione dei luoghi del lavoro, la nuova sede dello Scatolificio del Garda centra l’obbiettivo di una rigenerazione globale dell’architettura aziendale, attraverso un’immagine caratterizzate ma non finalizzata a se stessa. I nuovi spazi si rivelano capaci di comunicare con il cliente, facendo propria la concezione che siano le persone, ossia gli utenti dell’edificio, i primi e veri clienti da soddisfare.

Nato a Verona nel 1986, si laurea nel 2011 all’Accademia di Architettura di Mendrisio. Appassionato di arte e di musica, ha vissuto e lavorato a Reykjavík (IS), Stoccolma (SE) e San Paolo (BR). Nel 2017 ha aperto lo studio nico sandri a Verona, che si occupa di progettazione architettonica a diversa scala e programma. La ricerca artistica dello studio si basa sui concetti di intruso/ filtro/percorso. Lo spazio e la struttura sono i due elementi costruttivi principali per creare un atmosfera che vede come centro progettuale l’uomo. Tra i suoi lavori, un interno domestico nel centro di Verona (cfr. «AV» 106, pp. 16-23), il cocktail bar The Soda Jerk («AV» 114, p. 107) e lo showroom LP22 a Verona Sud («AV» 117, pp. 8285). In corso di realizzazione una nuova villa sul lago di garda, il restauro di una casa degli anni ‘70 in provincia di Verona e il restauro di una porzione di villa del 400 in provincia di Milano. www.nicosandri.com

15-16. Dettagli della struttura a vista in calcestruzzo rivelano la semplicità costruttiva, divenendo elementi di caratterizzazione estetica.

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PROGETTO

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17. Le facciate sono animate dalla particolare composizione di estrusi in alluminio. 18. Dalla terrazza all’ultimo livello si apre uno scorcio mirato sul panorama del Monte Baldo.

19. La scala di sicurezza è inglobata nel disegno delle lame in facciata.

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PROGETTO

Guardare al territorio Il nuovo edifico direzionale all’interno di un vasto comparto produttivo ripensa al contesto montano e all’identità del luogo come strategia di comunicazione rivolta a un ampio panorama internazionale

Progetto: Studio SCR

Testo: Damiano Capuzzo Foto: Giovanni Peretti

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Roveré Veronese

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La dicotomia tra locale e globale che spesso anima il dibattito sullo stile e sulla contestualizzazione dell’architettura, sembrerebbe trovare fertile materia di confronto in alcune delle strategie di un settore non sempre incline all’etica del progetto, ovvero quello produttivo. Presa coscienza dell’importanza che l’industria riveste nei contesti economici di riferimento e di quanto spesso insegua politiche di internazionalizzazione, diviene interessante notare come, per molte di queste realtà, sia proprio la capacità di esportare un carattere identitario locale a regalare la chiave di accesso al mercato su larga scala. Esempio di un simile approccio, che trova riscontro nell’affermazione della diversità come valore positivo e propositivo, è alla base delle scelte compiute dal Forno Bonomi, azienda leader mondiale nella produzione del

« Una funzionale trasparenza degli ambienti lavorativi sintetizza la volontà di apertura e innovazione dell’azienda » savoiardo, la cui attività si è mantenuta radicata al territorio nonostante le innegabili difficoltà ad esso legate. Anche sul versante architettonico, la realizzazione del nuovo edificio ad uffici recentemente completato all’interno del complesso produttivo di Roverè Veronese, conferma questo spirito in controtendenza: quello di una committenza che ha inteso rimanere salda al luogo in cui il primo forno venne aperto già nella metà dell’Ottocento, con un’importante progetto di imprenditoria locale a

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01. La composizione del volume è affidata alla progressione di tre diversi ordini. 02. Individuazione dell’edificio all’interno del vasto complesso produttivo. 03. Scorcio del fronte dall’ingresso principale.

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salvaguardia della comunità montana della Lessinia. In continuità con tale visione, l’approccio al progetto dei nuovi uffici è passato attraverso la formula del concorso a inviti, con il coinvolgimento da parte della committenza di quattro studi veronesi chiamati all’interpretazione del tema, con particolare riferimento sia alle complesse relazioni con l’imponente realtà produttiva preesistente, sia con un contesto paesaggistico di comprovato fascino. Va certamente detto che il susseguirsi di ampliamenti di una fabbrica dalle sorprendenti capacità produttive e tecnologiche, aveva fino ad ora ignorato il dialogo con l’intorno, risolvendosi in una serie di volumi cementizi che, pur nella necessità di rispondere alle complesse esigenze della produzione e della logistica, dimenticava la bellezza del crinale di insediamento, giungendo a risultati non poco impattanti. L’occasione di realizzare un singolo edificio dalla forte valenza comunicativa, quello direzionale, pur sulla base di un perimetro pianificatorio ed economico ben definito, non poteva che portare con se un cambio di rotta nelle relazioni con l’intorno.

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PROGETTO 04. Piante di progetto.

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È quindi nella relazione con il paesaggio che lo Studio SCR di Massimo Casali e Riccardo Roveda, selezionato dal concorso a inviti, sceglie di instaurare un dialogo che ricerca i presupposti di una dichiarata volontà di redenzione. La loro proposta aveva colto l’attenzione della committenza proponendo una bilanciata commistione tra l’utilizzo di materiali che mantengono un rapporto con la tipicità locale, pur nell’ottica della totale reinterpretazione, e una più tecnologica modalità d’impiego, che dà luogo a una funzionale trasparenza degli ambienti lavorativi sintetizzando così la volontà di apertura e innovazione dell’azienda. Posto all’estremità sud ovest dell’imponente complesso produttivo, sul margine opposto rispetto al primo edificio qui realizzato nel 1975, il nuovo edificio direzionale diviene visibile grazie alla sua posizione planimetrica lievemente avanzata già risalendo la strada verso Velo Veronese, quando l’attenzione è catturata dal profondo sbalzo della pensilina metallica che sormonta l’edificio. Un marcato segno d’ombra rivela la presenza di una terrazza che, oltre a smaterializzare la porzione sommitale del volume, accompagna l’attenzione del visitatore verso il panorama che la stessa contempla. La tripartizione orizzontale che caratterizza il ritmo dei prospetti anticipa chiaramente le modalità di utilizzo degli spazi interni, assegnando alla porzione centrale – quella destinata agli uffici – una dinamica alternanza di moduli vetrati e di lastre monolitiche di pietra locale della dimensione di 270x100 cm, incastonate in supporti di acciaio verniciato ancorati alla struttura portante. La precisa suddivisione del fronte in questa macro griglia modulare dà la

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regola entro la quale collocare una o l’altra tipologia di partizione esterna, verso la duplice ricerca di una corretta proporzione esterna e di un funzionale illuminamento naturale degli ambienti interni. La fluidità della facciata così ottenuta, resa mutevole dallo scorrere dei riflessi del cielo sulle specchiature vetrate, è incastonata tra un basamento scuro e compatto – che concorre a colmare le diverse quote del terreno, accrescendo la percezione della parte centrale dell’edificio anzi descritta – e un coronamento che ripropone il colore micaceo del basamento. La sottrazione di una porzione del volume sommitale prelude al generoso sbalzo della copertura, il cui

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Committente Bonomi S.p.A. progetto architettonico Studio SCR arch. Massimo Casali arch. Riccardo Roveda Collaboratori arch. A. Roveda, arch. A. Lobbia, int. designer D. Sala ing. Giorgio Pomini, ing. Paolo Savegnago (progetto strutture) direzione lavori arch. Riccardo Roveda (direzione artistica e architettonica) arch. Gilberto Meneghini (direzione strutturale) imprese e fornitori Costruzioni Guerra (opere edili), Mozzo Prefabbricati (strutture), Fasani Celeste (involucro), Cubi (impianti), Mazzimpianti (impianti), Eurotherm (impianti), Graniti Fiandre (pavimenti), Mastruzzi (arredi interni), Arredoluce (illuminazione), Audioservice Multimedia (impianti multimediali), Artecotende (tende) cronologia progetto e realizzazione: 2018-2020

05-06. La doppia altezza in corrispondenza dell’ingresso restituisce un carattere dinamico, facilitando al contempo la comprensione delle spazialità interne.

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PROGETTO 07-08. La sala conferenze al piano seminterrato interamente rivestita in legno; le pareti laterali integrano nel disegno una panca che aumenta il numero di sedute. 09. Disegno del prospetto principale.

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spessore è annullato dai bordi rastremati. A quest’ultimo livello troviamo una sala polivalente per incontri, workshop e conferenze, la cui superficie si raddoppia nella terrazza rivolta a ovest, dalla quale la vista sulla vallata sottostante si concede pienamente. Dal punto di vista organizzativo, le aree di lavoro sono suddivise tra gli uffici operativi al livello inferiore e le aree amministrative e dirigenziali a quello superiore; una doppia altezza in prossimità dell’accesso principale rende evidente lo schema distributivo. La sala riunioni principale, intitolata al fondatore dell’azienda Umberto Bonomi, è collocata in corrispondenza di un disassamento volumetrico che, spingendone l’angolo meridinale al di fuori del filo della facciata, riserva al posto d’onore del grande tavolo riunioni un suggestivo cono visuale sull’esterno.

Altri due piani parzialmente interrati, di carattere maggiormente tecnico, non sono visibili dal fronte principale, grazie a una sezione che li rivela solo nella porzione retrostante affacciata sulla parte produttiva. Il prospetto su questo versante è decisamente più introverso, con poche e puntuali aperture ricavate nell’estensione sulla facciata del rivestimento metallico di copertura. Al primo seminterrato, esternamente definito dal basamento di appoggio dell’intero edificio, è posta una sala conferenze la cui unica grande apertura sul fronte nord inquadra la parte originale dell’insediamento, risalente agli anni Settanta. Porosità visiva, trasparenza e illuminazione naturale, il cui valore è accresciuto da un’attenta suddivisione acustica e funzionale dei diversi ambiti e dalla possibilità di schermare le superfici vetrate sia interne che ester-

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ne, sono temi centrali nel disegno degli interni; il panorama esterno è una risorsa accessibile da quasi tutte le postazioni lavorative, annullando il confine tra la scrivania e il paesaggio. Se è vero che l’architettura riflette su di sé una responsabilità che non può essere considerata come libertà espressiva indipendente, legata al solo ambito disciplinare, per cui occorre misurare ogni trasformazione del territorio indipendentemente dal mero giudizio estetico, è altrettanto riscontrabile come la qualità del progetto in ambito produttivo risenta sovente di una pressione funzionale che tende ad appiattirne gli intenti compositivi. Lo spirito con cui lo Studio Casali Roveda ha scelto di porsi in questo progetto, rappresenta un’opportunità di attenta riflessione sui valori delle diverse identità locali, della geografia e più in generale di quella storia che troviamo radicata in ogni territorio, capace di fortificare e caratterizzare ogni architettura, ogni abitante e ogni singolo e differente patrimonio culturale.

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studio scr Nato da una fortunata collaborazione iniziata nel 2006 tra Massimo Casali e Riccardo Roveda, lo Studio SCR propone progetti nei campi del design, degli interni e dell’architettura. Negli anni sono stati inoltre approfonditi aspetti legati al restauro architettonico e monumentale e alla riqualificazione dell’edificato storico. Da sempre gli architetti condividono la medesima passione nel confrontarsi sui processi di trasformazione e valorizzazione, promuovendo il loro personale concetto di “contemporaneo”. «AV» ha presentato nel numero 90 (pp. 24-29) il complesso residenziale Montegrappa a Verona. www.studiocasaliroveda.it 10

10. La presenza di luce diffusa e di elementi vetrati restituisce scorci che annullano la distinzione tra interno ed esterno. 11. Dettaglio dei controsoffitti a doghe in estruso di alluminio verniciato. 12. Scorcio di uno dei corridoi vetrati di accesso alle diverse aree degli uffici.

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13. La vista del prospetto sud restituisce la tensione del profondo aggetto della pensilina metallica. 14. Dettaglio di facciata: le lastre in pietra locale sono sorrette da un telaio in acciaio verniciato. 15. Il prospetto est si confronta con i prospicienti volumi produttivi. 16-17. La grande terrazza panoramica estende la dimensione della sala polivalente e restituisce una piena vista sulla vallata. 14

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PROGETTO

Tre pezzi semplici

Capacità di adattamento al contenitore e flessibilità degli spazi progettati sono i tratti comuni di tre progetti di architettura degli interni al servizio del lavoro e della formazione

Testo: Leopoldo Tinazzi

Verona

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I casi studio raccolti in questa rassegna sono tre progetti di spazi per il lavoro e la formazione, in cui hanno sede rispettivamente un incubatore di impresa, una scuola e una startup. Tre realtà innovative e di recente fondazione, che rappresentano l’evoluzione più avanzata del tessuto imprenditoriale veronese. Ognuno di questi interventi si è confrontato con un’architettura esistente; il tema condiviso è quello del recupero di strutture industriali sotto utilizzate o dimesse, ma con condizioni di partenza e obbiettivi da raggiungere diversi. In comune, tuttavia, questi lavori hanno uno spirito: la capacità di adattamento al contesto e la flessibilità degli spazi progettati. Si tratta di vere e proprie operazioni di trasformazione, che non si limitano a recuperare lil contenitore, ma lo implementano e lo attualizzano con gesti spaziali rico-

« Tre progetti di spazi per il lavoro e la formazione in cui hanno sede un incubatore di impresa, una scuola e una startup» noscibili. Significativo è anche il fatto che, dove in passato avvenivano la produzione e il commercio, oggi trovino sede realtà imprenditoriali legate al mondo dei servizi. Questi tre progetti sono infatti esempi importanti che, oltre a rappresentare dei modelli per le soluzioni progettuali, raccontano di come sia in atto un cambiamento su più livelli, in cui le trasformate condizioni dell’economia spingono per un’evoluzione a livello urbano, testimoniando tra l’altro quanta ricchezza nascosta ci sia nelle strutture da recuperare del nostro patrimonio edilizio.

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311 Verona 01. Lo spazio condiviso durante un evento di formazione. 02. Facciata dell’edificio recuperato all’interno del complesso ex Galtarossa. 03. Elementi di arredo di recupero nello spazio d’ingresso. 04. Il “muro dei partner” di 311.

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311 Verona

Il progetto di recupero del capannone industriale in cui ha sede l’innovation hub 311 fa parte dell’area in gran parte dismessa dell’ex gruppo Galtarossa, storica azienda veronese proprietaria di officine meccaniche e fonderie. All’interno di questi enormi hangar si è svolta una vicenda iniziata nel 1901, e che per tutto il Novecento ha segnato la storia dell’industria cittadina. Dal 2015 è attivo un programma di riconversione di queste ex cattedrali produttive, con al centro i temi dell’educazione e dell’innovazione, chiavi di un rinnovamento a vocazione terziaria del complesso. Il punto di partenza è stato identificato nello spazio attualmente occupato da 311, contenitore di idee e progetti legate ai giovani che si affacciano sul mondo del lavoro, sostenuto e diretto dalla fondazione Edulife. L’allestimento dei nuovi ambienti, curato dallo studio NDS di Benedetta Nicolich, si è dovuto confrontare con una visione in rapida evoluzione, data la natura sperimentale del programma, con la necessità pertanto

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311 - PIANO TERRA

Tre pezzi semplici

PROGETTO 05. Layout degli spazi di 311 all’interno delle ex Officine Galtarossa. 06. La libreria in lamiera progettata come elemento divisorio da NDS.

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di un assetto fluido e reversibile degli spazi. Da questa premessa è derivato un layout adattabile che, definendo lo spazio grazie a pochi elementi fissi, lascia respirare la scatola edilizia, mantenendo la percezione del grande open space. Nello specifico, l’intervento ha articolato la distribuzione degli spazi attraverso la creazione di alcune stanze, solidi che dialogano tra loro e con la struttura esistente, rimanendo al di sotto dell’imposta delle grandi travi in calcestruzzo soprastanti. Queste stanze sono dei volumi insonorizzati e rivestiti in multistrato, tagliati con dei profili a falda irregolari, con un elegante infisso in ferro nero e vetro che ne garantisce l’accesso e l’illuminazione naturale. La loro presenza suddivide la grande sala in varie zone dedicate ad attività indipendenti ma comunicanti.

A completare l’organizzazione dei diversi settori sono state disegnate delle librerie bifacciali alternate a mobili NICOLICH ad DESIGN contenitori bassi, che corrono in- STUDIO quadrare le diverse aree con i tavoli da lavoro e gli arredi lounge. In questo arcipelago di socialità e lavoro avviene un continuo scambio di idee, reso possibile da un progetto di architettura di interni che ha saputo modulare i generosi spazi a disposizione in diverse occasioni di incontro tra gli utenti dell’incubatore. 311 è stato nel 2015 il primo spazio di questo tipo ad essere riattivato secondo il modello di riconversione degli spazi industriali nordeuropei e americani. Ad oggi la sua configurazione è ancora attuale e pur essendo cambiato molto, mantiene lo spirito dell’intervento iniziale, che anzi, grazie al suo impianto ne ha reso possibile la continua evoluzione lungo questi anni.

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Committente EduLife SpA Progetto architettonico e direzione artistica Nicolich Design Studio arch. Benedetta Nicolich collaboratori arch. Luigi Slaviero arch. Irene Meneghelli imprese e fornitori Dossi Arredamenti, Ciemmeti Tinelli (soluzioni metalliche), Verde Fontana Cronologia Progetto e realizzazione: 2016

07. I grandi tavoli dello spazio co-working. 08. Lo spazio condiviso all’entrata in una diversa configurazione. 09. Veduta generale dall’ingresso. 07

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PROGETTO

Tre pezzi semplici

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Moodart

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Moodart 10. Il backyard garden della scuola. 11. La zona reception. 12. Piante dei tre diversi spazi utilizzati dalla scuola, riportati alla medesima quota.

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13. L’apertura ad arco che conduce alla cucina comune all’interno di uno dei tre spazi della scuola. 14. Spazi per la didattica.

La fashion school Moodart si definisce come uno spazio di formazione e apprendimento continuo, una scuola di alta formazione fondata da due ragazze veronesi nel 2011. Da allora ha visto una crescita ininterrotta, che l’ha portata ad espandersi in tre diversi spazi all’interno di un piccolo complesso ex-produttivo nel quartiere ZAI. La ristrutturazione della struttura è stata portata avanti sin dall’inizio dallo studio AAPA, la cui titolare Sara Pasini, è anche docente della scuola. L’approccio progettuale, ci racconta, riflette necessariamente questa storia in rapida e costante evoluzione. I tre spazi si sono sviluppati in successione in seguito all’implementazione e alla differenziazione delle esigenze didattiche. Al primo spazio al piano terra, in cui si trovano ora la segreteria e le aule per l’apprendimento frontale, si sono aggiunti uno spazio per la ricerca e gli eventi e uno spazio per gli shooting e le presentazioni al piano terra, cor-

redato di una cucina-mensa comune per gli studenti. Il progetto si avvale quindi di strumenti flessibili, come strutture leggere create ad hoc e arredi basic, facilmente personalizzabili e intercambiabili. Il primo spazio vede una successione di uffici didattici, completamente rivestiti con una carta da parati che avvolge l’ingresso della scuola. Da questo involucro iniziale, si passa al corridoio comune, dal quale si accede alle aule frontali e alla segreteria, affiancata da uno spazio lounge. Lo spazio è definito da semplici interventi che regalano all’ambiente una personalità in linea con lo stile della scuola: le campiture a zona con i colori istituzionali, una parete attrezzata in legno multistrato, il ridisegno grafico della pavimentazione e la reinterpretazione glamour del cartongesso con l’apertura ad arco rendono questo spazio un microcosmo immediatamente identificabile. Il secondo spazio si trova al primo piano di un altro braccio del complesso ed è una grande aula rettangolare, scandita dalla presenza di una se-

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Committente Moodart Fashion School Progetto architettonico AAPA collective arch. Sara Olga Pasini arch. Giulia Nicoli arch. Anna Garziera Cronologia Progetto e realizzazione: Sede 1: 2015 Sede 2: 2016 Sede 3: 2018 Tutte le sedi: 2019-2021 Fotografia Maurizio Zatachetto @ikkio

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PROGETTO

Tre pezzi semplici

15. Lo spazio in condivisione della caffetteria. 16. Il volume utilizzato come teatro di posa al cui interno è posto il negozio sperimentale. 17. La cucina con il piano in cemento.

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rie continua di finestre industriali che affacciano sulla corte interna e dalle travi in acciaio della copertura. Oltre ad un recupero essenziale delle parti edilizie, la lunga navata è stata suddivisa tra una zona comune sul lato finestre ed una zona uffici composta da stanze in cartongesso, la cui forma riprende l’archetipo della casa, variandola a seconda dello spazio disponibile in altezza. Questa serie di piccole casette, chiuse da infissi industriali in ferro, offre una macrostruttura i cui diversi interni sono personalizzati dai docenti, che qui hanno i loro uffici. L’ambito comune è attrezzato con elementi di arredo recuperati, configurabili in diversi modi a seconda delle esigenze. Il terzo spazio si trova al piano terra di un piccolo corpo di fabbrica, più basso, che chiude la corte interna del complesso. Questo piccolo capannone

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è stato reinterpretato come un luogo ibrido, funzionale sia alle presentazioni che alle attività dei laboratori. La sala principale è stata corredata di un piccolo volume che contiene uno spazio negozio sperimentale, caratterizzato da un ampio infisso/vetrina apribile, realizzato con profili in ferro di carattere industriale. A completamento di questo ambito per la sperimentazione e il lavoro comune si trova una zona cucina. Anche qui la personalizzazione dello spazio è perfettamente aderente allo spirito della scuola: gli elementi utilizzati come il

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18-19. Le “casette” nello spazio al secondo piano.

piano in cemento della cucina, i tavoli comuni su cavalletti, il rivestimento a parete in moduli di multistrato e l’illuminazione fatta da una costellazione di bulbi a soffitto contribuiscono a creare un immaginario decor industriale pienamente in linea con le ispirazioni internazionali del mondo fashion.

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Tre pezzi semplici

PROGETTO Milkman 20. La grande parete curva in policarbonato al primo livello. 21. Dettaglio della zona dedicata alle piante verdi da interno.

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Milkman

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La sede della startup digitale Milkman si trova all’interno di un anonimo edificio nel fitto tessuto industriale di Verona Sud. Gli uffici si sviluppano su due piani, necessari ad accogliere le postazioni di lavoro per gli ottanta dipendenti che compongono il team aziendale. L’intervento di studio wok si è confrontato con un ambiente caratterizzato dalla presenza di un involucro edilizio già definito, comprendente infissi, partizioni interne, controsoffitti e impianti a vista. Il progetto ha

visto quindi la necessità di relazionarsi con queste preesistenze, caratterizzate da un aspetto di edilizia standard abbastanza recente, cercando attraverso soluzioni strategiche di definire una personalità aderente all’immagine di questa nuova azienda. A livello distributivo il progetto, adattandosi in parte alle strutture esistenti, prevede su entrambi i piani una zona centrale open space e un perimetro costituito da uffici privati e sale riunioni. Questo assetto si riflette nella scelta de rivestimenti e degli arredi fissi che disegnano i vari ambiti. A pavimento una moquette rende unitario lo spazio secondo le destinazoni: gri-

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22. I tavoli da lavoro dietro la grande parete curva al primo livello. 23. Zona lounge al primo livello. 24. Il tema ricorrente del tendaggio a chiusura di pareti attrezzate.

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gia negli spazi di lavoro, azzurra nelle sale riunioni e a strisce grigio azzurre nelle zone ibride. A parete, la suddivisione tra zone aperte e spazi di lavoro individuali è definita da strutture in multistrato accoppiate a pannelli di policarbonato, che ritmando la sequenza delle partizioni danno diversi gradi di profondità visiva all’involucro. In alternanza ai settori in policarbonato, queste con-

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tro-pareti lignee vengono attrezzate con sedute e armadi guardaroba. In aggiunta alla reinterpretazione del guscio perimetrale, è stata studiata per entrambi i piani un’isola attrezzata che fa da perno visivo e suddivide lo spazio centrale. Al livello inferiore, una grande parete curva in multistrato e policarbonato suddivide lo spazio comune dei tavoli da lavoro, accogliendo un phone booth e uno spazio

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Tre pezzi semplici

PROGETTO

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25. Piante del primo e del secondo livello. 26. Una piccola area riunioni con lo sfondo delle pareti in policarbonato.

per piante da interno, creando un’isola sioso. La scala, il tendaggio e la paredi verde al centro dell’ufficio. Al pia- te sono elementi comuni che vengono no superiore un blocco rettangolare di resi interpreti della loro stessa essenza contenimento è circondato su tutto il formale, indipendentemente dalla reperimetro da una grande tenda azzur- lazione che hanno con altre parti edira che fa da sfondo all’ agorà centrale, lizie o di arredo. dedicata alle riunioni e alle celebra- Da questo progetto emerge una dizioni dell’ufficio sinvolta abilità « La suddivisione tra zone nell’accostare le riunito. In questa sono presenti due parti che comaperte e spazi di lavoro blocchi seduta pongono l’archiindividuali è definita da scultorei, mobili tettura degli instrutture in multistrato e componibili in terni, assieme a accoppiate a pannelli diverse configuuna grande caparazioni a seconcità di controllo di policarbonato » da delle esigendelle risorse a dize. L’inserimento di questi oggetti sposizione. Con pochi elementi, stutotemici, così come del mobile tenda dio wok è riuscito a riorganizzare un e della parete curva al piano inferio- contenitore senza grandi qualità in dire, rappresenta il vero valore aggiun- versi episodi che donano dinamicità e to del progetto, grazie alla capacità di benessere allo spazio lavoro di questa connotare l’organizzazione spaziale di giovane startup, riflettendone a pieno un significato immaginifico e fanta- lo spirito innovativo.

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Committente Milkman SpA Progetto architettonico studio wok arch. Marcello Bondavalli, arch. Nicola Brenna, arch. Carlo Alberto Tagliabue collaboratori arch. Federica Torri imprese e fornitori Rabatto, Cerea (falegnameria), Manerba, Mantova (arredo ufficio), Tarkett (moquette) Cronologia Progetto e realizzazione: 2019 fotografia Federico Villa studio

27. Dettaglio della parete in policarbonato dall’interno della saletta cucina.

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PROGETTO

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28-29. L’agorà aziendale al secondo livello. 30. Materiali: l’incontro tra le moquette e il multistrato. 31. Open space uffici al secondo livello.

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PROGETTO

Calcio con rigore

Il nuovo quartier generale della più rappresentativa squadra calcistica veronese coglie l’occasione del recupero di un fabbricato industriale per proporre una nuova immagine

Progetto: Baldini Masotto architetti Testo: Giorgia Negri Foto: Marco Toté

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Verona

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01. La nuova sede dell’Hellas Verona FC: prospetto e ingresso su via Olanda. 02. Il rivestimento in policarbonato ha permesso di ridisegnare i fronti senza apportare modifiche sostanziali all’involucro. 03. Un frammento del prospetto sud visto da via Francia. 04. L’aspetto del fabbricato prima dell’intervento progettuale.

La storia dell’Hellas Verona, la più importante e rappresentativa squadra calcistica della città, ha lontane radici: la sua fondazione risale al 1903 presso il Liceo Maffei di Verona, e approda alla massima serie per la prima volta nel 1957. Sostenuta da migliaia di tifosi, nel 1985 compie la storica impresa diventando Campione d’Italia; gli anni successivi proseguono con un lento declino verso le serie inferiori, per poi riuscire a risalire nuovamente alla vetta nell’ultimo decennio. Per mantenere una squadra competitiva ai massimi livelli, negli ultimi anni la Società è cresciuta e ha ampliato gradualmente l’organico, manifestando di conseguenza la necessità di ampliare la sede sociale. Dopo anni di trasferimenti e locazioni temporanee – l’ultima delle quali peraltro poco distante dall’attuale, all’interno dello svettante Veronaforum progettato da Mario Bellini – è stata col-

« Il nuovo rivestimento in lastre di policarbonato ha permesso di rimodulare le facciate senza intervenire direttamente sulle aperture esistenti » ta l’opportunità di riunire in un unico quartier generale tutte le attività. Nel cuore di una ZAI animata da un grande fermento architettonico, la Società ha trovato la sua casa in un un ex deposito di materiali cartacei di costruzione recente (2011) costituito da due edifici, quello principale sviluppato in altezza – originariamente con un grande magazzino al piano terra e uffici e laboratori ai piani superiori – e un secondo volume, in aderenza al precedente, su un unico livello. Il complesso, che vanta una superficie utile di circa 1.700 metri quadri, si colloca in un isolato compreso tra via Olanda e via Francia, all’interno di un tessuto produttivo densamente costruito. Situato in posizione arretrata rispetto al ciglio della strada, risulta interamente visibile e accessibile solo da via Olanda, mentre gli altri tre

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lati dell’edificio, tra i quali uno completamente cieco, confinano con le proprietà adiacenti. Le richieste agli architetti Baldini e Masotto da parte della committenza erano chiare: la nuova sede doveva essere dotata di tutti gli spazi funzionali necessari a soddisfare le nuove esigenze lavorative e, nello stesso tempo, diventare un luogo emblematico e riconoscibile. L’impostazione strutturale dell’edificio esistente si è rivelata, di fatto, una buona base di partenza: non sono state necessarie modifiche né alla struttura portante, costituita da elementi prefabbricati, né al vano scala e ascensore. L’involucro esterno, costituito da pannelli prefabbricati, è stato anch’esso conservato con le sue aperture originarie, salvo il grande portone sul fronte principale e il nuovo ingresso.

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PROGETTO

Calcio con rigore

05. Piante ai piani terreno, primo e secondo. 06. Disegno del prospetto sud, affacciato all’interno dell’isolato e quasi impercettibile dalla strada. 07. Il policarbonato è utilizzato anche come partizione interna degli spazi di lavoro collocati al centro del fabbricato.

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Il progetto adotta un concept industriale: i colori, i materiali e le tecnologie parlano di fatto lo stesso linguaggio del contesto, ma l’edificio riesce ad emergere e distinguersi grazie all’uso del policarbonato. Questo materiale è l’elemento chiave utilizzato per conferire una nuova immagine alle facciate esterne: la nuova pelle traslucida è semplicemente sovrapposta all’involucro esistente sui tre lati finestrati, costituita da grandi lastre che coprono l’intero sviluppo in altezza dell’edificio, fissate ai pannelli prefabbricati grazie a una sottostruttura a montanti orizzontali. Il nuovo rivestimento ha permesso di rimodulare le facciate senza dover intervenire direttamente sulle aperture esistenti, semplicemente coprendo quelle superflue e sottraendosi a quelle essenziali con dei riquadri di diverse forme e dimensioni che conferiscono ai prospetti dinamicità, accentuata ulteriormente dal contrasto cromatico tra il policarbonato e il grigio scuro dei pannelli sottostanti. Il prospetto su via Olanda, l’unico interamente visibile dall’esterno, rappresenta il biglietto da visita della nuova sede: di giorno il nome e il simbolo della Società – due mastini che racchiudono la scala simbolo della città – risplendono sul fondo grigio scuro dei cancelli di ingresso e del basamento dell’edificio, mentre di sera vengono riprodotti da un proiettore esterno direttamente sul nuovo rivestimento. L’illuminazione notturna della facciata è realizzata principalmente da un secondo proiettore, sempre

posizionato all’esterno, mentre due strip led giallo e blu, installate in corrispondenza di due riquadri finestrati, riportano anche all’esterno i colori della squadra. All’interno, il nuovo layout ha imposto il cambio d’uso a terziario del corpo principale – mentre il volume adiacente è rimasto adibito a deposito, per materiale sportivo e lavanderia – e colloca al piano terra le funzioni di carattere “pubblico”. Appena entrati, si viene accolti in una hall a doppia altezza sulla quale affaccia un nuovo piano soppalcato, sorretto da una struttura in acciaio e con un solaio in lamiera grecata a vista, aggiunto sfruttando l’altezza del magazzino originario. Dalla hall con annessa una piccola sala d’attesa si prosegue direttamente verso uno spazio multifunzionale, pensato principalmente per l’organizzazione di eventi con la stampa e gli sponsor e dotato all’occorrenza di una piccola cucina di servizio; questo spazio comunica con la sala stampa, dotata di tecnologie all’avanguardia per la registrazione e la produzione video, dove è stato ritagliato anche un piccolo studio radiofonico per le registrazioni di “Radio Hellas”. Ai piani superiori si trovano gli uffici e le sale riunioni dei diversi ambiti: al primo piano il Settore Giovanile, la Biglietteria e il Calcio Femminile; al secondo piano gli uffici Stampa, Marketing, Grafica e Servizi per lo stadio; infine al piano più alto, come di consueto, sono collocati gli uffici di rappresentanza come quello del Presidente e del Direttore e l’Area sportiva.

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Committente Hellas Verona F.C. progetto architettonico e direzione lavori arch. Massimo Baldini, arch. Matteo Masotto collaboratori ing. Roby Scardoni (strutture) ing. Flavio Bottura (impianti))

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imprese e fornitori La Fenice (opere in policarbonato) Amperia (impianti elettrici) Mazzi Impianti (impianti meccanici e idrotermosanitari) Scaligera Arredamenti (arredi)

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Cronologia Progetto: luglio 2018 Realizzazione: febbraio 2019-marzo 2020

08-09. Negli spazi interni due striscie verniciate giallo e blu richiamano i colori ufficiali della società. 10. L’atrio di ingresso è arricchito da alcuni cimeli relativi alla storia della società calcistica. 11. Lo spazio a doppia altezza dell’ingresso sul quale affaccia il nuovo soppalco.

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Calcio con rigore

PROGETTO 12-13. Dettaglio del parapetto e veduta dall’atrio del vano scala. 14. Illuminazione serale del prospetto su via Olanda.

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baldini MASOTTO Costituito nel 1996, Baldini Masotto Architetti è uno studio formato da Massimo Baldini (1965) e Matteo Masotto (1966), entrambi laureati a Venezia. Improntato a una massima libertà di pensiero e cura nei dettagli, il Il metodo di lavoro dello studio si basa su un’interazione costante delle diverse figure, in cui committenti, ingegneri e consulenti specializzati vengono coinvolti durante tutto il processo di progettazione al fine di ottimizzare il risultato. www.studiobaldinimasotto.it

I colori e i materiali utilizzati all’esterno vengono ripresi con continuità anche all’interno: gli arredi e le finiture si alternano sui toni del grigio, tra il microcemento a pavimento e le tinteggiature di pareti e soffitti. Le uniche note di colore (giallo e blu) sono date dagli arredi negli spazi comuni e da due strisce decorative verniciate che corrono lungo le pareti della scala e degli uffici. Anche il vano scala è ravvivato dal colore giallo del parapetto e dai tagli di luce artificiale ricavati nel controsoffitto, mentre le finestre esistenti vengono tamponate per diventare espositori di foto storiche e trofei. Il policarbonato viene infine utilizzato anche ai piani degli uffici sotto forma di pareti divisorie di alcuni ambienti di lavoro, in modo da consentire l’ingresso della luce naturale anche verso gli spazi più centrali che non godono di illuminazione diretta, garantendo allo stesso tempo la privacy di chi lavora.

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STORIA & PROGETTO

solidità germanica

Un’architettura industriale di inattuale ricchezza è custodita nel complesso degli ex depositi e uffici Autogerma a Verona Sud in attesa di un futuro destino urbano

Testo: Angela Lion, Alberto Vignolo

Verona

Foto: Lorenzo Linthout

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Nella profonda ZAI ai margini di Verona Sud, tra via Germania e via Porsche – una toponomastica che non è casuale, come vedremo – si trova un ampio comparto produttivo dismesso, espressione di una vicenda architettonica singolare che racchiude a sua volta un significativo brano di storia veronese, e non solo. L’area, attualmente di proprietà di Cattolica Assocurazioni, nacque per ospitare l’insediamento veronese di Autogerma, importatore italiano del gruppo automobilistico tedesco Volskwagen, poi trasferitosi nel 1994 si è trasferita al Quadrante Europa in via G. Gumpert. Il nome della via è nuovamente un indizio eloquente: Gerhard Richard Gumpert era infatti un diplomatico dell’ambasciata tedesca che si innamorò dell’Italia e, quando si ristabilirono i rapporti commerciali tra gli ex paesi nemici, ottenne il mandato di importatore ufficiale per l’Italia delle vetture Volkswagen, compreso il popolare Maggiolino. Nel 1954 venne costituita così Autogerma, con sede a Bologna sostanzialmente per ragioni logistiche, in virtù della sua posizione baricentrica nella penisola. Entra in scena a questo punto un secondo protagonista della vicenda: si tratta di Ivo Tagliaventi, ingegnere, assistente di Giovanni Michelucci presso l’Istituto di Architettura e Urbanistica dell’Università di Bologna, dove questi insegnava, e anche nello studio fiorentino del maestro. Con Michelucci, Tagliaventi lavora a opere quali l’edificio d’angolo tra via dello Sprone e via Guicciardini a Firenze, l’edificio INA sul Lungarno del Tempio e il quartiere Isolotto, sempre nel capoluogo toscano, e la Chiesa di Larderello in provincia di Pisa. Tagliaventi conosce Gumpert a Bologna e diventa il progettista della prima sede di Autogerma nel capoluogo emiliano, un edificio urbano che ospitava gli uffici, il magazzino, il salone espositivo

01. Particolare del fronte del Magazzino ricambi. 02. Veduta aerea nel contesto urbano del Magazzino ricambi appena realizzato (1965). 03. L’ingresso dei treni al Magazzino ricambi e a fianco la pensilina sul binario all’aperto. 04. Ampliamento del Magazzino, 1983: veduta delle baie di carico. 05. Veduta del fronte posteriore dell’ampliamento del Magazzino.

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STORIA & PROGETTO

06-07. Prospetto e pianta del primo progetto, maggio 1964. 08. Planimetria generale del progetto realizzato, settembre 1964. 09. Piante dell’area uffici e servizi, settembre 1964. 06

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e ai piani superiori vari appartamenti (oggi l’edifico è sede dell’ACI). Sono anni di crescita tumultuosa: tra il 1954 e il 1964 lungo le strade circolavano 300.000 automezzi, il traffico era pressoché inesistente. Sempre nel 1954 nel nostro paese prendeva avvio l’avventura televisiva con le prime trasmissioni in bianco e nero. L’anno successivo debutta la Fiat Seicento e prende il via fenomeno della motorizzazione di massa; la diffusione dell’auto stimola il possesso di altri beni durevoli. Il paese comincia a vivere il miracolo economico con una crescita che stupisce i vicini europei. Autogerma è parte di tale crescita, e nel 1960 si amplia in un nuovo edificio, sempre a firma dell’ingegnere Tagliaventi, in un’area di venti ettari lungo il Reno. L’amministrazione della città, retta dal PCI, è però ostile per ragioni ideologiche allo sviluppo di un’attività del “nemico” germanico, tanto da ribattezzare la strada dov’era sorta l’azienda “via Marzabotto”, a ricordo dell’eccidio compiuto dalle truppe tedesche nei comuni dell’appennino bolognese e in spregio ai loro discendenti. Si pongono così le basi di un’operazione che oggi definiremmo di marketing urbano, ma che è stata semplicemente astuzia e opportunismo democristiano nell’eterna disfida politica con gli avversari comunisti. L’amministrazione comunale di Verona, guidata da Giorgio Zanotto, fa ponti d’oro a Gumpert, mettendo a disposizione un’area del Consorzio ZAI compresa tra due vie battezzate per l’occasione “Germania” e “Ferdinand Porsche”, il creatore del Maggiolino da cui nascerà la Volkswagen.

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10. Il fronte principale del Magazzino ricambi con in primo piano la “sala comando” circolare e, sul fondo, la Palazzina uffici. 11. L’interno del Magazzino ricambi è caratterizzato dai grandi lucernari a unghia. 12. Il Magazzino ricambi in funzione, veduta dell’epoca. 13. La scala di accesso al mezzanino degli uffici.

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Missione compiuta: nel 1965 viene aperto a Verona il nuovo magazzino ricambi di Autogerma, progettato da Ivo Tagliaventi, che sarà seguito nel 1974 dall’edificio per gli uffici con il trasferimento definitivo della società in riva all’Adige. Nel 1983 l’ampliamento del magazzino è solo una tappa di passaggio: la

costante crescita dell’azienda porterà alla decisione da parte della casa madre – nel frattempo subentrata a Gumpert, che morirà nel 1987 – di trasferirsi al Quadrante Europa. Oggi Volkswagen Italia, l’ex Autogerma, ha 1.000 dipendenti, un indotto di 12.000 addetti e un fatturato di 3,5 miliardi di euro. 13

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STORIA & PROGETTO

14. Sezione trasversale della Palazzina uffici con l’adiacente volune destinato a sala eventi e formazione. 15. Particolare dell’innesto volumetrico tra i corpi della Palazzina uffici. 14

L’architettura

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L’area individuata per il nuovo insediamento logistico gode di un raccordo ferroviario che la rende ottimale per lo scopo a cui è destinato: accogliere le merci in arrivo dopo un viaggio lungo 1.000 chilometri dalla fabbrica Volkswagen di Kassel, appositamente creata per la produzione di parti di ricambio, e da qui smistarle nelle varie concessionarie e officine italiane via gomma. Un primo progetto firmato da Tagliaventi, datato maggio 1964, propone un’architettura dal forte segno espressivo, con una grande copertura triangolare a lente e costoloni strutturali con plastiche semi archeggiature. Accantonata questa proposta, presumibilmente di complessa realizzazione, a settembre 1964 viene presentato e rapidamente approvato il progetto poi realizzato a tempo di record: dieci mesi per 130.000 metri cubi, ossia 433 metri cubi al giorno, sottolineano con orgoglio le comunicazioni aziendali. “Grazie al lavoro italiano è cresciuta, in un tempo incredibilmente breve, una costruzione modello. Gli stranieri che sono venuti ad ammirarla affermano che in nessun altro Paese sarebbe stato possibile realizzare un’opera di tale ingegno in così poco tempo”. L’impianto planimetrico del grande magazzino,

circa 17.000 metri quadri, è derivante dalla forma del lotto, arrotondato su un versante dalla curva morbida dei binari di raccordo alla rete ferroviaria. Su questo lato si attestano i vagoni merci che entrano nel magazzino dove, al riparo dalle intemperie e con l’impiego di ponti trasportatori, carrelli e sollevatori, lo scarico dei ricambi avviene rapidamente con il minimo di fatica. Parallelamente al binario interno, fuori corre un secondo binario di raccordo, separato da una vetrata e protetto da una semivolta a sbalzo. La spazialità di quest’ambito ricorda quella di una stazione metropolitana di una grande città europea. La vasta superficie coperta del magazzino è caratterizzata da dettagli di raffinata eleganza, in relazione all’uso utilitaristico dello spazio. Il punto di appoggio del solaio di copertura sui pilastri prende la forma di un “capitello” tronco-conico contenente l’illuminazione artificiale (i tiranti metallici ora presenti sono parte dell’adeguamento sismico realizzato negli anni scorsi). A dare chiarezza e luminosità allo spazio sono le finestre a unghia poste sulla secante delle cupolette ribassate a pianta circolare, elementi che punteggiano la copertura con una morbida ondulazione ben evidente nella veduta dall’alto del magazzino. Sul versante opposto alla banchina ferroviaria, sul fronte prospiciente l’ingresso da via Germania, a fianco delle baie di carico per

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riproposti da Tagliaventi nella successiva gli automezzi – poi chiuse perché spostate palazzina degli uffici. Ma ciò che trasmigra da sulla parte in ampliamento del magazzino, un edificio all’altro, pur cambiando tipologia che ne ha portato la superficie totale a 26.000 architettonica – dalla piastra monopiano del mq – si trova una fascia a servizi e uffici, con magazzino ai corpi in linea che raggiungono un mezzanino in cui è incastonato una “sala i cinque piani degli uffici – è una coerenza di comando” che riprende a scala maggiore linguaggio, di disegno degli elementi e di uso la geometria delle cupolette in copertura. dei materiali. L’intero L’evidenza morfologia magazzino ricambi di questo elemento « Nel 1965 viene aperto e gli altri edifici che architettonico definisce a Verona il nuovo completeranno il la testata d’angolo del magazzino ricambi Autogerma complesso sono magazzino, aggettando rivestiti da lastre sul fronte e sul fianco. progettato da Ivo Tagliaventi, in rosso Verona La scala che conduce seguito nel 1974 dall’edificio bocciardato, con una al mezzanino è una per gli uffici » dovizia di dettagli – rampa curvilinea nell’attacco a terra, autoportante, un nell’arrotondamento degli angoli con pietre oggetto quasi barocco nella sua eloquenza sagomate, negli innesti dei tagli vetrati binati, formale e rappresentatività. Ritroviamo qui eccetera – che sorprende per la sua ricchezza, le tracce di elementi di finitura degli interni – progettuale prima ancora che in riferimento al boiserie, pavimentazioni, controsoffittature budget veramente d’altri tempi. – tipici del momento storico a cavallo tra Nel palazzo degli uffici, datato 1974, gli anni Sessanta e Settanta, e che saranno

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16-17. La palazzina uffici realizzata nel 1974 su progetto di Ivo Tagliaventi. 18. Una scalal interna di collegamento nell’ala destinata a uffici e formazione.

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STORIA & PROGETTO

19-20. L’atrio di ingresso della Palazzina uffici e la scala a pianta triangolare. 21. Pianta dei piani terra e rialzato della Palazzina uffici, febbraio 1973.

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una raffinata hall dà accesso alle aree amministrative e alla direzione all’ultimo piano; la scala è ricavata in un settore circolare che fuoriesce dal sedime dell’edifico, dandogli risalto formale. Dall’alto di questo edificio si coglie la peculiarità delle diverse strutture e il loro rapporto con il contesto, mediato dai filari di Pinus Pinea tanto amati da Gumpert, espressione di un ideale mediterraneo e romantico del nostro paese. Un secondo corpo di fabbrica, parallelo e collegato a quello degli uffici, ospita la mensa, usata anche come sala riunioni e per le presentazioni di nuove vetture, aule di formazione per i tecnici e un’officina in cui venivano sperimentati i casi più difficili delle auto in commercio o di nuovi prodotti. Anche l’edificio della centrale termica è un piccolo gioiello: un padiglione in cui le costolature in calcestruzzo armato della copertura convergono a raggiera verso il fulcro cilindrico della canna fumaria, a formare un lucernario semicircolare che conferiscono allo spazio una luminosità da ambiente sacro. 21

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22. La spazialità interna dell’edificio destinato a centrale termica. 23. Dall’alto della Palazzina uffici, veduta sulle coperture del Magazzino ricambi.

Fonti delle immagini Archivio Consorzio ZAI (disegni). 22

Presente e futuro

Dopo un masterplan firmato da Cino Zucchi e presentato con il Piano degli Interventi del 2011, che prevedeva la quasi totale sostituzione dei volumi esistenti con degli edifici prevalentemente residenziali (cfr. «AV» 92, pp. 68-73), l’area è entrata in possesso di Cattolica Assicurazioni. Gli edifici sono stati oggetto di una serie di adeguamenti sismici, tecnologici e normativi preliminari, in attesa di definire la progettualità futura. L’accessibilità dell’area, l’estensione dei grandi spazi liberi, gli investimenti già attuati per adeguarli, la qualità spaziale e la ricchezza dei materiali, fanno sì che sembra ipotizzabile un riuso, almeno della maggior parte degli edifici, piuttosto che una loro semplice sostituzione. Confidiamo che quella lungimiranza che sessant’anni fa il visionario Gumpert ebbe per Autogerma, e la sua ‘fiducia nel futuro’, possano essere di ispirazione.

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INTERIORS

La cura dell’architettura di interni

L’inaspettata eleganza e le accoglienti finiture di una clinica dentale nascondono un sapiente gioco di contrasti che ha come ispirazione una galleria d’arte Progetto: arch. Vittorio Longheu Testo: Davide Graniti Foto: Federica Bottoli

Nonostante i turbamenti emotivi che ci attanagliano ogni volta che dobbiamo recarci dal dentista, esistono casi in cui, prendendo forza dal mondo degli interni d’autore, è possibile quietare le nostre puerili paure approfittando del potere taumaturgico dell’architettura. Perché questo succeda, c’è bisogno però di un professionista di spessore, capace di catalizzare le emozioni positive scaturite dal corretto uso dello spazio e della materia; per fortuna, in questo caso, tutto questo si esprime con successo grazie dal lavoro di Vittorio Longheu. Laureato allo IUAV nel 1988, Longheu vanta una carriera trentennale caratterizzata da numerosi progetti, premi e pubblicazioni, senza mai abbandonare il ruolo di professore universitario. La sua visione progettuale pone attenzione alla materia e alla relazione che si crea tra elementi e tecniche costruttive, dando forza all’idea che il primo compito dell’architetto sia quello di saper costruire con cura. Troviamo questa attenzione nel progetto per lo studio dentistico “Smile Gallery” a Verona, nato dal proficuo dialogo tra progettista e committente, un appassionato collezionista d’arte che ha saputo dare spazio alle idee dell’architetto senza porgli freni, anzi assecondando i suoi intenti guidato da una personale visione del progetto vicina all’idea di ricerca e sperimenta-

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01. Schizzo concettuale dell’intervento. 02. Esploso assonometrico. 03. Veduta dal foyer di ingresso sulla parte terminale della “galleria” in direzione dell’accesso al corridoio distributivo degli ambulatori.

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committente Smile Gallery - dott. Davide Cariani progetto architettonico e direzione lavori arch. Vittorio Longheu collaboratori arch. Roberta Tognoli imprese e fornitori Bottoli Costruzioni Mondini arredamenti Pibamarmi Cronologia Progetto e realizzazione: 2018

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zione artistica. L’intervento si sviluppa al piano terra di un edificio posto nella ZAI, entro spazi già utilizzati ad uso commerciale e servizi. L’ambiente originario, poco significativo e caratterizzato da una pianta aperta, è stato completamente ricomposto per dare vita a un progetto ispirato, non a caso, all’immaginario di una galleria espositiva. L’obiettivo principale è stato quello di creare un ambiente capace di coniugare le esigenze dello studio dentistico con l’attenzione verso il mondo dell’arte, in particolare nei confronti delle esperienze percettive dei fruitori. Da qui lo sdoppiamento del linguaggio espressivo, reso attraverso un raffinato uso di nuances e texture. Se da un lato, infatti, per le aree comuni dell’attesa vengono utilizzati i toni caldi e accoglienti che traggono spunto dal repertorio domestico, con lo scopo di accogliere il paziente e aiutarlo nel conciliare le emozioni nega-

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tive, dall’altro per gli ambulatori vengono usate finiture più astratte, crude e riflettenti, volte a creare una alterazione percettiva. Entrando nella clinica si viene immediatamente proiettati in uno spazio unitario, caratterizzato dal bancone centrale e dalle raffinate finiture delle pareti e del pavimento: pietra calcarea, legno e colorazioni dai toni sobri ed eleganti, con la luce naturale a far riverberare le matericità ruvide. Il tutto è completato con un arredamento caratterizzato da linee morbide e tondeggianti. Il ritmo è sobrio e accogliente, ma al contempo incalzante: quella che di fatto è una sala d’attesa viene scardinata nella sua logica per abbracciare un’idea di spazio totale che ha la capacità di far assaporare le opere d’arte, distribuite a parete. Dietro al front desk è posto un volume ligneo contenente armadiature a tutta altezza, che nascondono in maniera

04. Veduta esterna: gli scuri si mimetizzano con la facciata quando chiusi, lasciando però delle fessure di luce. 05. Veduta interna dell’ufficio posto entro il volume ligneo retrostante il bancone.

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La cura dell’architettura di interni

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06. La porta del bagno per i visitatori è nascosta nella parete lignea a listelli verticali. 07. Nel foyer, il bancone e la pavimentazione si sviluppano in continuità grazie all’uso del medesimo materiale lapideo. 08. Pianta: lo spazio aperto di accesso si contrappone alla distribuzione organizzata degli ambulatori. 09. Nel corridoio di distribuzione degli ambulatori, due pareti specchianti sul fondo moltiplicano lo spazio.

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quasi impercettibile la porta dell’ufficio retrostante. A destra dell’ingresso, mimetizzato da una parete lignea a listelli verticali densa di ombre, troviamo il bagno per gli utenti. Dalla parte opposta si sviluppa l’ultimo tratto del foyer, che distribuendosi a ridosso del volume dell’ufficio, caratterizzato su questo lato da una parete semi opaca in legno e vetro, conduce verso la parte operativa della clinica.

Qui il paradigma cambia, i toni diventano più scuri e le superfici omogenee. La luce che domina gli ambienti è quella artificiale, controllabile e più funzionale. L’uso di materiali più riflettenti, e nel corridoio il gioco del doppio fondale specchiante, crea un’ambientazione distorta che confonde la percezione. L’espediente emula una installazione artistica, e sintetizza l’approccio di contrasto tra le due ambientazioni che compongono la clinica. La volontà di distinguersi e di creare qualcosa capace di andare fuori dai canoni ha dato origine a un progetto di interni al contempo elegante e sobrio ma anche inaspettato, sicuramente unico nel suo genere. L’esperienza progettuale messa in atto dall’architetto Longheu è stata in grado di sintetizzare l’espressione di uno spazio che vuole stupire e al contempo fare sentire a proprio agio chi ne fruisce, dando vita ad una contrapposizione tra sentimentale e razionale. Un intervento che ha la capacità di veicolare le emozioni di chi lo vive, trasportandolo in un percorso che lo guida verso un’esperienza di cura.

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Cent’anni di colori pastello

Uno spazio retail nel centro di Verona introduce un’immagine contemporanea legata allo stile internazionale dei progettisti e alle collezioni moda proposte Progetto: Stamuli AB

Testo: Filippo Ganassini

Foto: Francesco Stelitano

Questo progetto è stato commissionato nel 2019 da una delle più grandi società di distribuzione di contemporary fashion in Italia, con l’obbiettivo di un rinnovamento sia nello stile dei negozi al dettaglio sia dell’immagine globale dell’azienda. A Verona la realizzazione del secondo punto vendita cittadino, situato in pieno centro storico in Galleria Pellicciai, è stata affidata a Stamuli AB, uno studio fondato da architetti e designer italiani con sede a Stoccolma. Un network ampio e multiculturale ha consentito a Stamuli di realizzare numerosi progetti di spazi retail per committenti americani, scandinavi ed europei per alcuni dei maggiori brand internazionali.

Per Macondo, il design intent è partito dalla tipologia delle merci in vendita – capi d’abbigliamento ready to wear e alta moda, scarpe e accessori di lusso – e dalla necessità di dare al committente un contesto di vendita contemporaneo, in linea con la freschezza delle collezioni proposte. Le linee sono pulite e leggere, i colori pastello, le campiture piene, le forme e gli spazi sono fortemente influenzati da uno stile moderno: tutti elementi che seguono una certa contaminazione scandinava e indicano lo stile dei progettisti stessi. Gli spazi del punto vendita veronese sono caratterizzati con elementi che non sono necessariamente connessi

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01. L’ingresso posto su Galleria Pellicciai. 02. Le vetrine affacciate sul fronte di vicolo Balena. 03. Veduta interna con un bancone e le cabine prova.

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Cent’anni di colori pastello

alla struttura architettonica: pareti li centrali danno l’idea di essere una bianche fanno da sfondo a un reticolo riuscita reinterpretazione delle “vecdi binari in acciaio inox, tubi orizzon- chie” credenze casalinghe, spogliate tali e verticali che diventano mensole dei cassetti e semplificate nelle modao semplici barre appenderia, che det- nature, per l’esposizione dei piegati. tano il ritmo dello spazio rimandando A questi elementi si accostano display alla mente trabattelli e impalcature, prodotto più semplici: cubi e parallecon la chiara volepipedi poggiati « Linee pulite lontà di creare un a terra che poslook industrial. sono essere accoe leggere, colori pastello, Effetto enfatizstati o utilizzati campiture piene, forme zato dai binasingolarmente, a e spazi fortemente ri a soffitto per favore della flesinfluenzati da uno l ’ illuminazione sibilità dell’espoe dagli impianti sizione, oppure stile moderno » tecnologici di rifissi quando si scaldamento e raffrescamento a vista. uniscono alle strutture verticali creIn contrapposizione, troviamo ele- ando un podio su cui troneggiano gli menti di arredo fissi rivestiti in la- accessori più lussuosi. minato di diverse tinte pastello, con Particolare è il posizionamento della finiture opache o lucide; i camerini cassa, nascosta dietro a una struttusono grandi volumi incastonati nelle ra lignea apribile rivestita da grandi nicchie delle stanze, e i grandi tavo- specchi: questa soluzione permette un

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04. Assonometria esplosa con la sequenza delle tre stanze che conpongono il negozio. 05-06. Gli elementi di arredo centrali e il reticolo di appenderie in acciaio inox sono svincolati dalla struttura architettonica.

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07-08. Gli elementi di arredo fissi e i volumi dei camerini incastonati nelle nicchie delle stanze sono rivestiti in laminato di diverse tinte pastello, con finiture opache o lucide. 09. La stanza centrale, più piccola e intima, è destinata agli accessori e alle scarpe.

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utilizzo totale della superficie disponibile per la vendita assistita. La pavimentazione del negozio è stata completamente rifatta in microcemento colorato, la finitura e la texture è stata ottenuta carteggiando la superficie più volte da artigiani locali specializzati. Le diverse colorazioni non si limitano alle soglie delle stanze, si susseguono delimitate da tagli obliqui che sconfinano negli spazi attigui amalgamadoli. La successione degli spazi e quindi del percorso di vendita ha una progressione precisa, studiata secondo la tipologia della merce esposta. Entrando da Galleria Pellicciai si ha subito un forte impatto visivo, grazie alla luminosità dell’ambiente in netto contrasto con la penombra del passaggio coperto. Qui il cliente ha una prima panoramica sui prodotti in particolare sugli abiti femminili; i capi d’abbigliamen-

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to si possono vedere appesi e in un secondo momento toccati ed esaminati sul grande tavolo centrale. La seconda stanza, più piccola e raccolta, accoglie gli accessori e le scarpe: il cliente si può specchiare, sedere o camminare attorno al podio centrale provando i capi. La terza e ultima stanza è dedicata all’abbigliamento uomo: è quella con maggior superficie, studiata appositamente l’approccio agli acquisti della clientela maschile per i quali, generalizzando, “quel che non si vede non esiste”. Tutte le stanze hanno superfici finestrate che lasciano intravedere scorci delle vie della città e viceversa; alcune di esse sono lasciate completamente libere, schermate solo in parte dagli abiti appesi o dalle mensole degli accessori, altre sono più chiuse, grazie a pannelli Led in cui è riportato il logo del negozio e al volume dei camerini.

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committente 247 / Macondo progetto architettonico Stamuli AB, Stockholm direzione creativa/brand Moon Agency, Copenhagen imprese e fornitori Kosmos Italia (general contractor) Siciliano Arredamenti (mobili) Telemotor (illuminazione)

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Cronologia Progetto e realizzazione: 2019

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DOSSIER

Prossima fermata: parco Con la presentazione del masterplan promosso dall’amministrazione comunale entra nel vivo la riconversione dell’ex Scalo ferroviario di Verona, attesa da tempo. Sul tema non sono mancate riflessioni anche su queste pagine, tra proposte d’archivio e il disegno di una radicale opzione “zero volume”: una ipotesi irrealistica, non solo per i costi che andrebbero a ricadere per intero sulla comunità, ma per l’occasione davvero unica di costruire una parte di città che possa fungere da cerniera per l’intero quadrante di Verona Sud. L’accordo raggiunto tra i soggetti in campo prevede una congrua quota di volumetria da costruire nell’ex scalo come controparte per la realizzazione del parco: centomila metri quadrati di superficie utile lorda, con un mix tra funzioni pubbliche e private, che compensano di fatto l’acquisizione al patrimonio pubblico dell’area a verde. Ma il vero tema da porre è quello degli effettivi contenuti di questa futura nuova edificazione: che dovranno essere in grado di “fare città”. Su questo fronte, si misurerà la capacità attrattiva di Verona all’interno di un sistema competitivo tra città, che proprio il passaggio della linea Alta velocità potrà esaltare, modificando i ruoli territoriali e le relazioni fra poli metropolitani, come già avvenuto nei capoluoghi serviti dal sistema. Il masterplan che presentiamo è in realtà, da un punto di vista formale, un progetto “a scadenza”: si tratta di un corredo immaginifico destinato a essere superato nel momento in cui verrà aggiudicato il bando per l’assegnazione dell’area. Nella gara lanciata a gennaio 2021, in fase di svolgimento, i quattro soggetti rimasti in corsa sono chiamati a sviluppare un concept progettuale sulla base delle linee guida del masterplan. A breve si attendono gli esiti. Resta da capire, a fronte di un mercato immobiliare in forte evoluzione negli scenari post pandemici, se vi saranno funzioni forti capaci di sostenere effettivamente la costruzione di una nuova centralità urbana. 123 125

Il parco come forma urbis

Lo scenario di trasformazione dell’area dell’ex-scalo merci di Verona Porta Nuova e le linee guida per il masterplan sulla cui base verrà assegnata a gara l’area

Verona Porta Verde

Il concept di progetto per la nuova stazione sulla linea Alta Velocità propone un hub urbano rivolto verso il quadrante meridionale della città

Sui binari della procedura

La complessità amministrativa di una trasformazione urbana così incisiva richede un’architettura burocratica che ne organizzi tempi e ambiti

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DOSSIER

Il parco come forma urbis Lo scenario di trasformazione dell’area dell’ex-scalo merci di Verona Porta Nuova e le linee guida per il masterplan sulla cui base verrà assegnata a gara l’area Testo: Luigi Stendardo, Stefanos Antoniadis Immagini: R eLOAD

Immaginare un parco che si estende per circa 45 ettari, in una posizione strategica che lambisce il cuore della città di Verona e si candida ad essere un hub urbano, non solo logistico ma anche sociale, culturale ed economico, significa proiettare scenari che coinvolgono l’intera città e prefigurare spazi collettivi capaci di essere espressione di molteplici visioni sul futuro della città. A scala territoriale, il pensiero portante per queste visioni è certamente quello di spostare il baricentro della città consolidata di Verona più a sud, bilanciando così il peso della città storica che insiste a nord del fascio infrastrutturale ferroviario. L’attività di studio e ricerca per la redazione di un masterplan per il parco nell’area dell’ex scalo ferroviario di Porta Nuova non rappresenta un esercizio isolato ma si relaziona e si coordina con una serie di altri episodi, tra interventi già approvati e in fase di definizione, che mirano a rivoluzionare l’accessibilità nella zona sud della città. Tra essi ricordiamo un nuovo innesto alla tangenziale, il ribaltamento del casello autostradale di Verona Sud e l’arrivo della linea dell’Alta Velocità ferroviaria in corrispondenza degli ultimi binari (quindi sempre a sud) della stazione di Verona Porta Nuova. Queste significative trasformazioni infrastrutturali fanno dell’area urbanizzata di Verona che si estende tra l’autostrada A4 e la ferrovia Milano-Venezia a tutti gli effetti la nuova porta della città. La rigenerazione dello scalo ferroviario non trae le mosse solo dall’aggiornamento del sistema di

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infrastrutture grigie e pesanti, ma anche dalle trame dei corridoi verdi alla scala territoriale arricchite dalla presenza di recenti e futuri parchi urbani, di cui il Verona Central Park diventa, indubbiamente, il fulcro per posizione strategica ed estensione. Lungo una giacitura nord-ovest sud-est, si può riconoscere infatti una direttrice verde che scende lungo il corso del fiume Adige e attraversa il nucleo della città a ridosso delle mura difensive. Se si considera inoltre la costellazione di altri ambiti verdi, alcuni già realizzati (Parco Bastione delle Maddalene, Parco

01. Direttrici territoriali verdi. 02. Ex scalo merci di Verona Porta Nuova, 2019 (foto di S. Antoniadis). 03. L’estensione di Verona Central Park in rapporto ad altri parchi veronesi.

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masterplan area ex scalo merci di verona committente Comune di Verona

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San Giacomo) e altri sui quali si sta condensando l’attenzione dell’amministrazione – area del Basso Acquar, Depuratore Acque Veronesi, Forte Santa Caterina, per la cui rigenerazione è stata stipulata un’altra convenzione con il Dipartimento ICEA dell’Università degli Studi di Padova –, è facile leggere tutti i tasselli di un mosaico verde innervato dalla mobilità dolce ciclo-pedonale. Quello che per immediatezza comunicativa, oltre che ovviamente per la massiccia estensione di verde, viene sinteticamente definito parco è, di fatto, molto più di un parco in termini di complessità, di intersezione e sovrapposizione di diversità di spazi, forme e relazioni. Il cosiddetto Verona Central Park che occuperà l’area dell’ex scalo merci del parco ferroviario di Verona Porta Nuova non è pensato come un’enclave verde, perimetrata e pertanto separata dalla città, quanto piuttosto come una forma urbis concepita come parte integrante della struttura urbana; un’area a bassissima densità edilizia e ad altissima densità di relazioni, nella quale diversi tipi di spazi costituiscono una densa sovrapposizione di layer che si estendono

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Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale (ICEA) Università degli Studi di Padova Gruppo di ricerca: Luigi Stendardo (progettazione architettonica e urbana – resp. scientifico) Michelangelo Savino (pianificazione urbanistica – resp. scientifico) Angelo Bertolazzi (coordinamento e processo) Stefanos Antoniadis (progettazione architettonica e urbana) Enrico Redetti (pianificazione urbanistica) Giovanni Sommariva (editing) Cronologia Accordo Comune di Verona-DICEA: maggio 2019 Presentazione: dicembre 2019

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oltre il perimetro dell’ex scalo ferroviario, così come la rete di infrastrutture grigie e verdi, pesanti, leggere e leggerissime che la innerva. Un’area che non presenta mai un retro: non esiste solo una polarità attrezzata in corrispondenza della nuova stazione AV Porta Sud – come comunemente si sarebbe portati a credere pensando alla tipologia urbana del piazzale della stazione – bensì una seconda polarità residenziale e di servizi sulla propaggine sudovest del parco, che assieme ai quartieri Golosine e Santa Lucia rafforza l’idea di un fronte urbano – non un “lato

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04. Ex Scalo merci, ortofoto allo stato attuale. 05. Progetto: veduta da sud-ovest a volo d’uccello. 06. Verona Central Park, masterplan. 07-08. Schema relativo alla viabilità carrabile e concept del parco.

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B” della città – che si affaccia da sud e diventa parte integrante della rigenerazione. Il parco non è una riserva protetta, quanto piuttosto una delle possibili espressioni concrete della città del prossimo futuro, delle sue aspettative e delle sue visioni. Per lavorare in questa direzione, il progetto di trasformazione dell’area non poteva limitarsi alla individuazione di superfici, volumi e destinazioni d’uso che rappresentassero una equilibrata risposta ad una domanda quantitativa e a vincoli e obiettivi di sostenibilità del progetto, ma doveva entrare nel vivo della definizione di concreti scenari spaziali e formali che, ancorché non prescrittivi, fossero idonei a rivelare le potenzialità di trasformazione di luoghi che oggi costituiscono uno scarto in spazi urbani desiderabili. Così il progetto ha lavorato sulla forma urbana, sui tracciati, sui tessuti edilizi, sulle linee infrastrutturali, sulle superfici, sui volumi e sulle masse, non intesi come quantità bensì come elementi formali di definizione dello spazio. Ha studiato ancora la forma del suolo e i salti di quota, che nell’area studio sono presenti in maniera significativa, trasferendo sui

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09. Veduta generale da sud-est a volo d’uccello.

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piani di sezione verticale un lavoro di configurazione degli spazi che spesso resta appiattito sulla proiezione planimetrica, approccio che ha permesso di riorganizzare i diversi spazi e le molteplici relazioni formali e funzionali in un modo più ricco e interessante che ha peraltro ottimizzato le risorse nelle direzione di una amplificazione delle aree verdi e degli spazi aperti. Se a garanzia di una sostenibilità economica, oltre che di regolare presidio, tutte le principali operazioni di trasformazione di una vasta area ferroviaria dismessa a parco urbano devono poter stanziare significative porzioni di superficie a iniziative di valorizzazione immobiliare, il Verona Central Park massimizza le superfici verdi rispetto a quelle edificate in misura assolutamente significativa rispetto al rapporto tra costruito e inedificato presente in tutti gli altri grandi parchi presi a riferimento (Park Spoor Noord ad Anversa, Bayerischer Bahnhof Parken a Lispia, La Sagrera a Barcellona, Parco Scalo Farini a Milano, Parco Scalo Ravone e Prati di Caprara a Bologna) e con i quali si potrà porre come effettivo competitor e attrattore internazionale.

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Il progetto ha lavorato inoltre sulla riattualizzazione di tipologie formali consolidate nella struttura urbana e nell’architettura dei parchi per disegnare anche su questo piano una rete di corrispondenze tra la città storica e la Verona del prossimo futuro, per innescare quindi processi di appropriazione sociale e culturale e di generazione di senso di appartenenza.

« Il progetto di trasformazione dell’area definisce scenari spaziali e formali idonei a rivelare le potenzialità di luoghi che oggi costituiscono uno scarto » Così, grazie alle differenze altimetriche, si è concepito un sistema infrastrutturale che disegna le linee grigie e pesanti prevalentemente ipogee, laddove man mano che si risale in superficie la trama delle connessioni diventa sempre più verde e leggera. Questo sistema innerva una serie di spazi che reinterpretano in chiave contemporanea

concept formali tanto accreditati nel vocabolario delle forme urbane quanto innovativi nelle relazioni che propongono. Nel parco, schematicamente descrivibile secondo lunghe fasce con andamento ovest-est, è quindi possibile individuare diversi luoghi collettivi. Lungo il confine settentrionale, bordato dalla ferrovia, il bosco urbano, una rivisitazione del giardino inglese, con la sua fitta vegetazione arborea fa da barriera tra l’infrastruttura a nord e il resto del parco a sud. Radure ritagliate nella massa vegetale danno luogo a stanze verdi che si configurano a volte come spazi a doppia altezza che dialogano con i patii di sottostanti spazi semi-ipogei, destinati al commercio, al terziario, alla ristorazione e al tempo libero. Questi prospettano sul lungo cretto, un’incisione nel suolo che solca tutto il bosco e che separa la fascia boschiva a nord, concepita per separare il parco dalla ferrovia, da quella a sud nella quale si aprono le stanze verdi e i patii che contengono i sistemi di collegamento verticale tra la quota del cretto e quella del bosco. Il cretto è concepito come un go-through space, un lungo percorso pedonale e ciclabile in trincea di

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09. Le stanze verdi dialogano con i patii di sottostanti spazi semi-ipogei destinati al commercio, al terziario, alla ristorazione e al tempo libero. 10. I binari della futura stazione AV affacciati sul parco. 11. La spiaggia urbana, un vasto sistema di prati dedicato al tempo libero. 12. La promenade plantée, asse principale del parco.

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ampiezza variabile e a cielo aperto, lungo il quale si affacciano locali commerciali, servizi e attrezzature, che restano coperti dal bosco. Al di sotto del cretto corre la viabilità carrabile affiancata dai parcheggi interrati e dalle piazzole di scarico e carico e dai depositi dei locali sovrastanti. Alle due estremità del cretto si aprono a ovest il giardino all’italiana, una piazza in leggera pendenza disegnata da aiuole di siepi e vegetazione bassa e più rada, e a est il piazzale della nuova stazione AV di Verona. Il giardino all’italiana è la copertura della rotatoria ipogea nella quale si innesta il nuovo sottopasso che ristabilisce il collegamento tra la città a nord e quella a sud della ferrovia. Sul fronte nord di questa piazza prospettano i salti di quota nei quali sono disegnati i locali commerciali, mentre chiudono il lato sud, in posizione leggermente dominante, le officine per la manutenzione degli affetti che trovano spazio in vecchi edifici riconvertiti. Immediatamente ad ovest della piazza le case al parco, su un poggio a quota leggermente superiore, costituiscono un insieme di residenze di qualità e di servizi di quartiere, dotati di parcheggi. Dal limite orientale della piazza si diparte una lunga promenade plantée, l’asse principale del parco, parallelo al cretto. Questo viale alberato, percorribile a piedi o in bicicletta, separa il bosco urbano a nord dalla spiaggia urbana a sud, e termina a est con il liston, il polo terziario del parco, dal quale svettano le due torri che costituiscono un landmark a grande scala che dialoga con le torri e i campanili della città storica a nord della ferrovia. Il liston, che mutua il suo nome dai tipici spazi urbani pavimentati delle città venete, si sviluppa davanti al piazzale della nuova stazione AV e si propone come nuovo hub degli incontri e degli affari. È costituito da una piastra destinata ad attività commerciali e parcheggi che si estenda per due livelli nel sottosuolo, dalla cui copertura verde in totale continuità altimetrica con il resto del parco svettano le due torri destinate ad attività terziarie, ricettive e residenziali. Proprio come accade sull’altro versante del fascio dei binari nella stazione esistente, anche per il nuovo fabbricato viaggiatori il piano del ferro è a quota superiore (+ 5 m) rispetto allo spazio pubblico

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antistante, ovvero la porzione più orientale del cretto. Sfruttando la peculiare differenza altimetrica, al piano dei binari una sala ipostila di betulle accoglie i viaggiatori che scendono dai convogli dell’Alta Velocità: il parco è la nuova porta di Verona Sud. A sud della promenade plantée e compresa tra questa e i quartieri Golosine e Santa Lucia, si estende l’ampia fascia di verde che costituisce la spiaggia urbana. Si tratta di una superficie verde estesa disegnata da diverse forme di vegetazione che evoca le ampie spiagge del litorale alto-adriatico. Uno spazio versatile che consente diverse attività sportive, ma anche dedicate al tempo libero, alla musica, agli eventi che possono trovare spazio in un vasto sistema di prati che accoglie piastre sportive e frammenti di forme verdi che evocano i filari dei vigneti della Valpolicella, individuando ambiti parzialmente circoscrivibili per lo svolgimento di eventi all’aperto come in una sorta di arena diffusa. La spiaggia urbana è innervata trasversalmente, in direzione nord-sud, da una serie di infrastrutture lineari leggere, spine attrezzate che a mo’ di pontili attraversano la spiaggia e si estendono verso il

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Luigi Stendardo, PhD, è professore associato di Progettazione Architettonica e Urbana presso l’Università di Napoli ‘Federico II’. Svolge attività di ricerca nel campo della progettazione architettonica, urbana e del paesaggio e in quello della trasformazione e conservazione del patrimonio costruito antico e moderno, con un particolare focus sullo spazio pubblico collettivo e sugli spazi residuali, dismessi o abbandonati della città contemporanea. stefanos antoniadis

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bosco urbano, misurando il parco e fornendo punti di ancoraggio per attrezzature diverse. Le spine attrezzate rappresentano quindi dispositivi di attraversamento del parco così come fili fissi lungo i quali condensare piccole volumetrie, anche effimere, utili a servire il parco e a favorirne la frequentazione. In prossimità delle loro estremità meridionali trovano spazio aree parcheggio e volumetrie più urbane che ergendosi a ritmo cadenzato costante, costituiscono una misura del lungo fronte del parco su Stradone Santa Lucia. Le estremità a nord fungono da attraversamento del cretto e da punti di accesso e risalita verso il bosco urbano con stanze verdi.

Laureato in Architettura all’Università IUAV di Venezia, è dottore di ricerca in Architettura e Costruzione a “Sapienza” Università di Roma e Doutor em Urbanismo all’Universidade de Lisboa (DD PhD). Dal 2011 svolge attività di ricerca e didattica sul tema della forma del territorio contemporaneo in diversi atenei. Dal 2017 è membro del laboratorio ReLOAD del Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale dell’Università degli Studi di Padova.

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Verona Porta Verde Il concept di progetto per la nuova stazione sulla linea Alta Velocità propone un hub urbano rivolto verso il quadrante meridionale della città Testo: Alberto Vignolo

Uno dei nodi destinati ad avere un ruolo urbano fondamentale all’interno del processo di riconversione dello Scalo ferroviario di Porta Nuova è sicuramente la nuova stazione della linea AV/ AC. Mentre i cantieri sul tratto della linea in entrata nella provincia di Verona da Brescia procedono con grande evidenza di mezzi, e si avviano sul versante opposto verso Vicenza, per il cruciale punto di interscambio della stazione è stato formalizzato un primo concept progettuale, attorno al quale si è definito il masterplan frutto degli accordi tra Comune di Verona e Gruppo FS. Chiamata “Verona Porta Verde”, con una specularità non cardinale rispetto alla preesistente stazione di Verona Porta Nuova, già dal nome rende evidente il principio progettuale basato su uno stretto rapporto tra edificio e parco, con l’obiettivo di stabilire un continuum paesaggistico tra la spazialità interna del nuovo fabbricato viaggiatori e il verde e la vegetazione all’esterno nel parco. Dimentichiamoci quindi il tipo architettonico della stazione con la sua retorica urbana, il viale di accesso incentrato sul fronte monumentale e i volumi interni smisurati: non è stagione di gigantismo, e forse le stazioni AV già realizzate in Italia – tra cattedrali nel deserto, sia pur firmate da archistar in voga, e abnormi spazi ipogei ingestibili – suggeriscono di aggiustare il tiro. La configurazione morfologica del nodo ferroviario veronese ne fornisce l’occasione. La nuova stazione si colloca sul versante meridionale del sedime ferroviario, in corrispondenza dei tre sottopassi di accesso ai marciapiedi ferroviari – uno dei quali realizzato ex novo – circa 4,5 metri al di sotto del piano del ferro e in continuità con la quota

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01. Inquadramento urbano del nodo ferroviario di Verona Porta NuovaPorta Verde con la rete delle connessioni intermodali. 02. Il sistema dei sottopassi che, connettendo i due fabbricati viaggiatori, dà accesso ai binari. 03. Modello volumetrico della nuova stazione posta sul versante meridionale del sedime ferroviario.

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Committente Rete Ferroviaria Italiana Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane nuova stazione AV/AC di Verona Sud Porta Verde con aree funzionali e servizi intermodali correlati progettO Direzione Stazioni RFI Cronologia Concept: 2020

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04. Render della stazione Alta Velocità, landmark urbano all’interno del nuovo parco. 05-06. Piante alla quota dei sottopassi e alla quota del ferro tra la stazione di Verona Porta Nuova e Verona Porta Verde. 07-08. Le sezioni evidenziano i due sistemi sovrapposti: il flusso dei viaggiatori alla quota dei sottopassi, e l’increspatura del suolo come attraversamento e riconnessione degli spazi pubblici.

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della città storica. Il sottopasso esistente a est viene prolungato, mantenendo l’attuale carattere urbano ciclo-pedonale ed emergendo in un ambito esterno al fabbricato viaggiatori. Il volume di Verona Porta Verde si articola in due sistemi sovrapposti: il primo, alla quota dei sottopassi, connette i flussi dei viaggiatori della nuova stazione con la quota di campagna e del contesto; il secondo si pone come un landmark urbano di attraversamento e riconnessione degli spazi pubblici del Masterplan. Un’increspatura del suolo che dà luogo a una sorta di ponte verde, che i render ci mostrano lussureggiante e “più verde del verde”. I nuovi spazi si attestano a partire dal livello di riferimento dei sottopassi, e si raccordano all’intera area di trasformazione attraverso un sistema di aree esterne pubbliche, funzionali all’intermodalità di stazione, con una particolare attenzione al trasporto pubblico, alla micromobilità elettrica e alla rete della mobilità ciclo-pedonale. Al suo interno, il nuovo fabbricato è destinato ad ospitare sui due livelli le

« Il concept è basato su uno stretto rapporto tra edificio e parco: un continuum paesaggistico tra la spazialità interna del nuovo fabbricato viaggiatori e la vegetazione all’esterno » funzioni di accoglienza dei viaggiatori, di accessibilità, orientamento, circolazione, servizi primari e ristoro, oltre al ticketing e alle attese. Complessivamente, gli spazi nel nuovo fabbricato viaggiatori occupano all’incirca un terzo di quelli della “vecchia” Porta Nuova, con la quale sono organicamente connessi. Nelle dichiarazioni d’intenti del progetto trovano, come oramai d’obbligo, ampio risalto i temi della sostenibilità, dalle strategie passive dell’involucro edilizio fino agli elevati livelli di efficienza energetica; il design dovrà garantire un comfort visivo e acustico, grazie all’illuminazione naturale e alla creazione di un microclima che renda piacevole l’uso degli spazi per gli utenti e per gli addetti.

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Sui binari delle procedure La complessità amministrativa di una trasformazione urbana così incisiva richede un’architettura burocratica che ne organizzi tempi e ambiti Testo: Arnaldo Toffali

La realizzazione di una trasformazione urbana molto significativa per dimensioni e ruolo quale quella dell’ex Scalo merci, comporta un’architettura burocratica e amministrativa sicuramente meno suggestiva degli aspetti progettuali ma altrettanto importante. L’origine del processo attuativo va fatta risalire al Protocollo di Intesa sottoscritto il 5 luglio 2019 tra Regione Veneto, Comune di Verona e Gruppo Ferrovie (comprendente FS Sistemi Urbani, RFI-Rete Ferroviaria Italiana e Mercitalia Logistics). Sono state così definite le finalità di tale accordo, indirizzato alla riconversione a parco urbano delle aree dello Scalo non interessate dalla linea Alta Velocità/Alta Capacità, e alla creazione di una nuova polarità urbana in attuazione di quello che il PAQE (Piano di Area Quadrante Europa) aveva definito Polis Paradeisos (art. 28 NTA). Il “cuneo verde” del parco è un elemento di valorizzazione ambientale dell’area, a protezione della salute dei cittadini e con funzioni ricreative e sociali; altri obiettivi posti erano il riuso temporaneo degli edifici esistenti e la realizzazione del nuovo accesso da sud alla Stazione Porta Nuova. Su queste basi è stato istituito un tavolo tecnico tra i firmatari del Protocollo d’Intesa, ai quali si è aggiunto il Dipartimento DICEA dell’Università degli Studi di Padova, incaricato dal Comune di Verona (5/06/2019) di approfondire gli elementi di orientamento e ridefinizione morfologica e urbana dell’area, e di elaborare un’ipotesi progettuale (Masterplan) e delle linee guida progettuali propedeutiche al bando di gara da parte di FS.

01. La piazza di accesso della nuova stazione di Verona Porta Verde.

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Dal punto di vista urbanistico, va ricordata la complessità del quadro normativo sovraordinato, che deve fare i conti con gli aspetti relativi alle Reti transeuropee – con il nodo di Verona crocevia dei Corridoi Europei –, con quelli relativi alle valutazioni ambientali (VAS-VIA Vinca) e anche all’impatto sul Patrimonio UNESCO di cui Verona fa parte dal 30/11/2000. Il Piano di Area Quadrante Europa, come sopra ricordato, individuava già nel 1999 lo Scalo come un’area di trasformazione. Da ultimo, l’approvazione da parte della Regione Veneto del nuovo Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (2020) ha introdotto una specifica normativa riguardante l’interesse pubblico di aree afferenti ai caselli autostradali e ai nodi del sistema AV/AC, norma che si è rivelata utile e pertinente al caso veronese. A livello comunale, il quadro normativo individua a partire dal Piano di Assetto del Territorio i contesti territoriali destinati realizzazione di Programmi complessi. Nel Piano degli Interventi, la Disciplina

operativa determina gli interventi attualmente ammessi nella Zona Ferroviaria, mentre la Disciplina Programmatica identifica l’area dello Scalo per un Progetto Strategico. Infine il PUMS - Piano Urbano della Mobilità Sostenibile recentemente adottato (2020) indica tutte le azioni strategiche della mobilità, che vedono naturalmente quest’area particolarmente interessata. Su queste basi è stata definita una Scheda Tecnica di Sintesi comprendente i parametri e le carature urbanistiche, sintetizzabili nella Superficie Utile Lorda pari a 100.000 metri quadri, e gli usi ammessi, che comprendono un articolato mix di funzioni pubbliche e private attorno a spazi pubblici di elevata accessibilità. Non è consentito l’insediamento di grandi strutture commerciali (aventi superficie di vendita superiore a 8.000 mq). La Scheda riporta inoltre gli indirizzi per la progettazione, riguardanti la rigenerazione urbana finalizzata alla sostenibilità ecologica, il contenimento dell’uso del suolo, l’integrazione sociale, la qualità degli spazi

« L’accordo assicura il coordinamento delle azioni, la determinazione dei tempi, le modalità e il finanziamento di ogni altro adempimento» pubblici, la qualità architettonica e l’integrazione infrastrutturale. All’interno di questo percorso, nel 2020 è stato siglato un Addendum al Protocollo di Intesa, a seguito di nuovi fattiintervenuti: l’approvazione del nuovo PTRC della Regione Veneto, le delibere del CIPE (2019-2020) con l’approvazione dei progetti preliminari del nodi di Verona della rete AV/AC, l’adozione del PUMS (2020) e infine la definizione del nuovo fronte sud della Stazione AV/AC. Altro elemento non trascurabile è stata l’emergenza sanitaria, che ha travolto anche i parametri immobiliari attendibili e quindi le previsioni di natura tecnico-economica inizialmente definite

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nel tavolo tecnico. Nell’addendum sono state precisate le finalità e gli impegni sia parte di FS Sistemi Urbani – cui spetta l’individuazione di un operatore economico interessato all’acquisizione e alla trasformazione dell’area – sia da parte degli Enti territoriali, con la valutazione degli interessi pubblici della proposta di trasformazione e l’attuazione dell’iter urbanistico procedurale e degli atti autorizzativi. L’elemento chiave che consentirà in termini tecnicoamministrativi di portare avanti il progetto è l’Accordo di Programma. Alla luce dei presupposti del PTRC, il Comune di Verona intende infatti promuovere presso la Giunta regionale, di concerto con i soggetti proprietari dell’area ferroviaria, la conclusione di un Accordo di Programma di interesse regionale ai sensi dell’art. 32 della L.R. 35/2001, secondo le Disposizioni attuative della Delibera della Giunta Regione Veneto n. 2943 del 14/12/2010. L’accordo assicura il coordinamento delle azioni, la determinazione dei tempi, le modalità e il finanziamento di ogni altro connesso adempimento. In questo processo va ricordato che la giunta regionale deroga per questa tipologia di accordi la normativa vigente, e quindi continua ad esercitare le sue competenze sulle varianti agli strumenti urbanistici anche territoriali. Quindi l’accordo è un atto di programmazione finalizzato a semplificare l’azione amministrativa e a rendere più celere l’attuazione di un obiettivo di interesse pubblico.

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Identificazione delle aree di progetto nel masterplan Legnago New Renaissance, arch. Jacopo Rettondini.

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Legnago New Renaissance: il puzzle urbano

Sul centro in Veneto

Porte ancora aperte

Idee e strategie per la tutela, la regolamentazione e la pianificazione dei centri storici

A partire dalla scorsa riflessione di LC su queste pagine, un nuovo contributo sul dialogo necessario ma talvolta conflittuale tra progettisti e Soprintendenza

Le ipotesi progettuali sviluppate all’interno di un masterplan perseguono l’obiettivo di una maggiore coesione urbana tra centro storico e aree periferiche a ridosso del canale Bussè

102. Isolati dal ghetto: una storia urbana Le trasformazioni urbanistiche e architettoniche del quadrante di vie affacciate su piazza Erbe in un volume che ne racconta le vicende e i protagonisti

105. Ci mette il becco LC: del “rigore” Una impostazione di metodo e un modo di pensare e agire nel mestiere di architetto

98. Libero tra le pieghe A un anno dalla scomparsa di Libero Cecchini, l’intitolazione a suo nome della Sala consiliare dell’Ordine trova forma nell’incisione di un suo motto all’interno di simboliche pietre d’inciampo

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Legnago New Renaissance: il puzzle urbano Le ipotesi progettuali sviluppate all’interno di un masterplan perseguono l’obiettivo di una maggiore coesione urbana tra centro storico e aree periferiche a ridosso del canale Bussè Testo: Francesco Varesano

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Per fare fronte a tali condizioni morfologiche oramai sedimentate, l’amministrazione di Legnago ha promosso uno studio, in parallelo alla redazione del nuovo Piano degli Interventi, con l’obiettivo di sviluppare una maggiore coesione tra il centro storico e le aree periferiche del canale, sfruttando i vuoti urbani per valorizzare gli spazi pubblici, così da rendere i luoghi della città meno slegati. L’incarico è stato affidato all’architetto Jacopo Rettondini, nato e cresciuto in questi luoghi; la sua appartenenza al territorio gli ha dato l’occasione di sviluppare un progetto “sincero” per la sua città, portando le giuste attenzioni al vivere della comunità. Il masterplan Legnago New Renaissance prende spunto, già dal nome, dal concetto della città ideale rinascimentale. È un insieme di azioni precise che stabiliscono l’ordine dei luoghi, legnandoli tra loro attraverso linee che stabiliscono le direzioni e gli assi visivi, in uno schema urbano che si integra con le necessità dei giorni nostri e con

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l problema urbano della città di Legnago ha origine sul finire dell’Ottocento, quando un’alluvione catastrofica costrinse ad abbattere le mura di origine medioevale. La demolizione, conclusa nella prima decade del Novecento, portò Legnago a perdere la sua identità di città murata, lasciando libero arbitrio all’espansione del tessuto urbano fuori dal centro e a ridosso del canale Bussè, considerato un vero e proprio ostacolo fisico e limite artificiale. Assieme alle demolizioni dell’apparato difensivo, la ricostruzione post-bellica – dopo i bombardamenti del 1945 che coinvolsero Legnago e il suo territorio – ha dato origine a tre sistemi urbani non legati tra loro: il centro storico, a ridosso dell’Adige; la porzione urbana intermedia, nata dalla demolizione delle mura storiche, che ha come limite via Matteotti e che termina con il Parco Monumentale; l’espansione industriale e residenziale dal canale Bussè in poi.

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01. I nuovi edifici nell’area della Darsena, ricomposti secondo una nuova regola urbana. 02. La fortezza di Legnago, 1866, con evidenziate le aree del centro interessate dal masterplan. 03. Schema morfologico delle strategie e azioni: riqualificazione urbana puntuale, nuovi equilibri spaziali, interconnessioni urbane. 04. Legnago New Renaissance: assonometria generale di progetto.

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05. Ex Caserma Rebora, ipotesi di riutilizzo a polo culturale. 06. Ambito Piazza della Libertà, assonometria generale. 07. Via XX Settembre, veduta della sistemazione urbana che dà risalto al Teatro Salieri.

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le forme che nel tempo hanno assunto. L’idea si sviluppa seguendo una connessione teorica tra centro storico, parco e darsena, e si riassume nella realizzazione di un percorso che metta in diretta connessione il sistema urbano composto dalle piazze e dalle vie del centro con il grande vuoto costituito dal parco monumentale, per arrivare al nuovo polo commerciale che negli ultimi anni si è sviluppato al di là del

limite imposto dal canale Bussè, area un tempo occupata dal vecchio zuccherificio. Il nuovo “asse teorico” si interseca così con le polarità esistenti, generando una tessitura ben precisa, evidenziando quei luoghi che ad oggi si trovano non integrati nel sistema di percorrenza pedonale della città, e che per qualità architettonica e interesse storico dovrebbero in qualche modo essere riattivati. L’approccio progettuale è quindi tematico, trasformando i singoli luoghi in “capitoli” caratterizzati da temi specifici, analogamente alle Città Invisibili di Calvino, dove luoghi apparentemente diversi sono legati da un unico filo conduttore. L’abitante è così libero di muoversi all’interno della città a piacimento, seguendo una trama non imposta ma fluida, fatta di pieni e di vuoti. È come se ogni elemento andasse a riprendere il suo posto all’interno di un grande puzzle. La riqualificazione coinvolge quattro ambiti, a partire da quello di Piazza della Libertà a ridosso dell’argine del fiume Adige, dove si erge il

Torrione Medioevale, ultimo reperto del glorioso passato di città murata. L’azione progettuale si risolve in un sistema di pedonalizzazione con marciapiedi più larghi e la riduzione dei posti auto, insieme all’implementazione dei sistemi di illuminazione e di arredo urbano. L’asse così sistemato assumerebbe il ruolo di percorso monumentale principale, connettendo il centro con l’area della stazione e del parco monumentale. Il percorso si muove quindi verso la zona del Teatro Salieri. L’intera “piazza”, seppur mai denominata tale, si identifica in una concavità urbana di forma romboidale che prende gli allineamenti dalla geometria dell’antico bastione tardo cinquecentesco, abbattuto in epoca napoleonica. La sua forma è divisa a sua volta in quattro porzioni triangolari dall’incrocio tra Viale XX Settembre e Viale dei Caduti, sui quali affacciano rispettivamente il teatro , alcune ville degli anni Trenta, il Museo Civico Fioroni e l’area dell’attuale municipio. L’area è

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percorso funzionale, le numerose barriere architettoniche e la vicinanza con la stazione rendono tale area di difficile accesso e poco sicura. La proposta progettuale prevede un sistema di percorsi in quota, un passaggio emozionale tra gli alberi a connessione con la città e la darsena. Con la demolizione della cascina esistente, si lascia spazio a un edificio contemporaneo, multifunzionale

« Il nuovo “asse teorico” si interseca così con le polarità esistenti, generando una tessitura ben precisa » e completamente aperto nel verde, adatto a ospitare manifestazioni di diverso genere. Il percorso sospeso del parco converge nella sua estremità sud-est a ridosso del canale Bussè. Il limite del canale, privo di attraversamenti, ha impedito alla maglia della

città storica di espandersi al di là, dove la città contemporanea si è sviluppata seguendo regole proprie. Il masterplan definisce innanzitutto una nuova connessione attraverso una piazza-ponte, luogo di socializzazione e di incontro. La riqualificazione si sposta poi sul fronte urbano della darsena: il progetto ‘darsena sociale’ consentirebbe di recuperare il waterfront attraverso la sostituzione edilizia degli edifici esistenti e la loro ricomposizione secondo una nuova regola urbana, ispirata a esempi nord-europei. All’interno del nuovo quartiere, funzioni residenziali, direzionali e commerciali si innestano a spazi pubblici con piattaforme galleggianti e banchine a filo acqua, secondo un’idea di città dove le persone possono abitare affacciate sull’acqua. Il canale Bussè non sarebbe più vissuto come elemento di divisione, ma come elemento integrato all’interno del progresso urbano. Il puzzle è così completo, e tutti gli elementi hanno ritrovato il loro posto.

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liberata dalla vegetazione spontanea, permettendo così agli edifici di dialogare tra loro. Attraverso pavimentazioni di colori e materiali differenti, il sistema del verde e l’arredo urbano, l’antico bastione demolito ritrova la sua geometria a definire lo spazio pubblico, con maggiore spazio e visibilità per edifici quali il teatro. L’ex Caserma Rebora, attualmente abbandonata e utilizzata come magazzino, viene recuperata svuotandone gli interni e lasciando solamente il muro di cortina esterna, che diventa un recinto permeabile al cui interno sono posti volumi minimali. Gli spazi interstiziali si relazionano con l’esterno attraverso le aperture dell’edificio originario. Per la ex caserma è previsto un ruolo culturale, con spazi dedicati al teatro, sale concerti, un bar ristorante e una biblioteca. L’area del Parco Monumentale, tra il margine del tessuto di espansione novecentesca e il canale Bussè, assume il ruolo di cerniera di tutto l’intervento. Attualmente, la scarsa illuminazione, la mancanza di un

legnago new renaissance Opere di riqualificazione urbana del centro e collegamento con la Darsena del Bussè Committente Comune di Legnago RUP: arch. ing. Alessandra Pernechele progetto arch. Jacopo Rettondini con: Archiplan Studio (arch. Diego Cisi, arch. Stefano Gorni Silvestrini) arch. Oreste Sanese cronologia incarico: luglio 2020 presentazione: marzo 2021

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08. Ambito Darsena, assonometria generale. 09. Il percorso sospeso all’interno del Parco Monumentale.

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Libero tra le pieghe A un anno dalla scomparsa di Libero Cecchini, l’intitolazione a suo nome della Sala consiliare dell’Ordine trova forma nell’incisione di un suo motto all’interno di simboliche pietre d’inciampo Testo: Alberto Vignolo

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« Accanto alla conoscenza rimane il tema della conservazione delle opere cecchiniane, alcune delle quali compromesse » via Oberdan, è stata utilizzata una forma grafica che bene rappresenta, anche alla piccola scala, il significato delle parole di Libero. Tra le doghe di legno della pavimentazione dell’area antistante la sala, sono state infatti inserite sottili lastre in pietra grigia recanti l’iscrizione, a formare delle simboliche pietre d’inciampo. Accanto a tali parole, il sigillo professionale di Libero: il timbro con il mitico numero “diciassette” e la sua firma, con la quale ha siglato i progetti delle molte opere realizzate

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nella sua lunga carriera, e che rappresentano la sua eredità. Proprio la cerimonia di dedicazione della Sala Libero Cecchini, all’inizio del mese di maggio 2021, ha rappresentato l’occasione per fare il punto sulle iniziative per promuovere il suo immane lavoro e farlo conoscere ai giovani architetti, di cui lui ha sempre voluto circondarsi nel lavoro dello studio e nel farsi portatore del suo ruolo di protagonista e testimone di molte più significative vicende architettoniche e urbane della città. A questo fine si dedica l’Associazione Culturale Architetto Libero Cecchini, istituita a Verona nel 2009 in occasione del novantesimo compleanno dell’architetto per promuoverne la figura attraverso varie iniziative culturali, in primis la grande esposizione monografica allestita nel 2011 presso il Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri, curata assieme al suo monumentale catalogo (Libero Cecchini. Natura e archeologia al fondamento dell’architettura, Alinea) da Barbara Bogoni. Sono poi seguite altre esposizioni tematiche: sempre nel 2011 presso la sede del Centro Italiano di Cultura a San Francisco (California), a Lazise sulle tematiche del paesaggio e della pianificazione nel paesaggio, a Grezzana sull’attività progettuale in Lessinia e Valpantena, fino allo scorso settembre 2019 per i 100 anni

01. Il timbro con il numero 17 e la firma di Libero Cecchini in una delle pietre posta all’ingresso della Sala consiliare dell’Ordine Architetti di Verona. 02. Progetto per l’installazione delle pietre (prima versione). 03. L’intitolazione della Sala consiliare. 04. “Inserirsi nelle pieghe del paesaggio”.

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Inserirsi tra le pieghe del paesaggio” è un’espressione che Libero Cecchini era solito usare nel raccontare la sua architettura e il suo modo di porsi, che fosse nei riguardi del contesto naturale, di quello costruito all’interno di in un contesto urbano, o ancora nello svelare strato dopo strato la storia racchiusa nelle sedimentazioni archeologiche. Questa espressione è stata presa a prestito per un omaggio che l’Ordine degli Architetti di Verona, a un anno dalla scomparsa di Cecchini, ha voluto tributare a colui che è stato fino ai suoi cent’anni il decano degli architetti veronesi, intitolando a suo nome la Sala consiliare nella sede di via SantaTeresa. Per questo ideale passaggio di testimone da Guido Trojani, cui era intitolata la sala nella sede storica di

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05. Preview di alcune pagine del sito dell’Associazione Culturale Architetto Libero Cecchini, archivio digitale delle opere del Maestro veronese.

dell’architetto, con la rassegna Libero 1:100 presso lo spazio M15 agli ex Magazzini Generali a Verona, in collaborazione con l’Ordine degli Architetti P.P.C. di Verona. Ora i prossimi passi: come racconta Vittorio Cecchini, l’Associazione sta lavorando alla predisposizione di un sito dove si potranno consultare gli innumerevoli disegni dell’archivio, uno strumento fondamentale per approfondire la conoscenza di opere esemplari. In parallelo, è sorta l’idea di un museo virtuale a lui dedicato, con interviste e testimonianze: un progetto sviluppato da Elisabeth Foroni, che ha lavorato a fianco di Libero per alcuni anni, nell’ambito di un Master in Digital Exhibit. Accanto alla conoscenza, rimane però il tema della conservazione delle opere cecchiniane, molte delle quali entrate in un ciclo di vita temporale che ne ha compromesso l’integrità. è un tema delicato, perchè gli adeguamenti alle esigenze contemporanee, agli standard e alle tecnologie attuali sono possibili se fatti con rispetto dell’opera: ecco perchè la conoscenza è un punto di partenza – e l’archivio digitale in questo senso può avere una grandissima utilità – che deve però affiancarsi a una necessaria sensibilità progettuale. Ma ci sono alcuni segnali positivi: finalmente è stato sciolto il nodo che porterà alla riapertura degli Scavi Scaligeri, straordinario connubio tra la storia della città disvelata negli spazi disegnati da Cecchini e lo sguardo contemporaneo dell’arte fotografica, che qui tornerà ad essere esposta. Inoltre, per la ex sede della Banca Cattolica a Palazzo Mosconi, da tempo dismessa e oggetto di numerosi studi e ricerche (cfr «AV» 120, pp. 68-71), è in corso un iter di tutela monumentale. In attesa, tra le pieghe delle carte.

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Sul centro in Veneto

Idee e strategie per la tutela, la regolamentazione e la pianificazione dei centri storici Testo: Marzia Guastella

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opo l’ampio approfondimento dedicato al Piano Folin per Verona (cfr. «AV» 124, pp. 74-85), prosegue la riflessione sui centri storici del Veneto attraverso progetti e iniziative che ripropongono il tema. Il grande patrimonio regionale diventa spesso oggetto di confronto per la sua autenticità costantemente tutelata e consolidata, a partire dagli anni Ottanta, con il censimento di circa quattromila comuni riportato all’interno di una importante raccolta, gli Atlanti dei Centri Storici. Identificazione e salvaguardia furono gli obiettivi primari di questa lunga operazione che consentì alle amministrazioni di approcciarsi in modo consapevole agli strumenti di pianificazione, gli stessi che oggi si ritrovano a dover affrontare una situazione di forte regresso. Gli effetti deturpanti causati dalle nuove consuetudini, a favore dei flussi turistici di massa, e dall’assenza di interventi innovativi hanno portato ad un crescente spopolamento dei centri storici e al totale abbandono di quelli minori, privandoli della loro capacità di divulgare tradizioni e cultura. Con tale premessa si è aperto il webinar del 5 marzo scorso dal titolo L’urbanistica dei centri storici del Veneto organizzato da INU VenetoIstituto Nazionale di Urbanistica in collaborazione con FOAV-Federazione Regionale Ordini Architetti PPC Veneto, che ha riportato gli esiti di idee e strategie adottate per adempiere alla tutela, regolamentazione e pianificazione dei centri storici nel contesto attuale. Il centro storico viene considerato solitamente come una porzione urbana rilevante ma esclusa dal resto della città; questa tendenza riflette un atteggiamento condotto per

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anni che, nel tentativo di tutelarne l’identità costituisce una parte di infrastruttura della città storica, ha contribuito al progressivo isolamento. contemporanea” ha ribadito Bertrando Bonfantini, “Non dovrebbe esistere la distinzione tra centro professore di urbanistica al Politecnico di Milano, storico e città contemporanea” ha spiegato nel suo intervento ricordando che “bisogna Franco Alberti – Dirigente della Pianificazione lavorare su piani urbanistici capaci di proporre Urbanistica della Regione Veneto – per illustrare un ruolo infrastrutturale definendo un progetto una visione collettiva secondo la quale bisogna che sappia pensare al centro storico oltre il centro andare oltre quel storico”. Si parla di perimetro fittizio e una tutela attiva in « Il grande patrimonio regionale intraprendere una grado di contrastare diventa oggetto di confronto politica di inclusione; quella passiva in atto, costantemente tutelato un’idea diffusa ormai che ha comportato una da tempo e rafforzata perdita di funzioni, arte e consolidato a partire con la seconda Carta di e identità. Dunque la dagli anni Ottanta » Gubbio che, negli anni questione non si limita Novanta, introdusse solo al piccolo nucleo il concetto di territorio storico esprimendo centrale ma all’intera città che deve adattarsi alle chiaramente la necessità di connettere i centri nuove esigenze dell’abitare senza smarrire le sue antichi ai fenomeni urbani, sociali ed economici caratteristiche; bisogna avviare un processo di ma anche al contesto paesaggistico e ambientale. rigenerazione che intervenga su tutto ciò che sta È necessario considerare il centro storico come intorno al tessuto storico perché “se le luci intorno un sistema che innerva la città e partecipa alla sono spente, il centro vive del riflesso di se stesso pianificazione odierna perché “la città storica e fatica a mantenersi” ha aggiunto l’arch. Marisa

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01. Una mappa tratta dall’Atlante dei Centri Storici del Veneto (anni Ottanta). 02. La locandina dell’incontro digitale promosso da INU Veneto e FOAV.

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Fantin nel raccontare la strategia utilizzata per la città di Vicenza contraddistinta da un attento studio, dall’esterno verso l’interno, che ha portato al rinnovamento di parchi e infrastrutture a ridosso del centro senza dimenticare la tutela di quegli edifici con un valore intrinseco rispetto allo spazio. Anche nel piano di Belluno, illustrato dall’assessore Franco Frison, emerge un approccio qualitativo non indifferente per la pianificazione omogenea che, a partire da interventi puntuali, ha saputo valorizzare le peculiarità degli edifici e riorganizzare comparti urbani, servizi e infrastrutture. Aumentare la residenzialità, rendere i centri storici dei poli attivi interconnessi al sistema urbano e riorganizzare le funzioni disciplinando gli usi turistici sono punti essenziali per una pianificazione attenta e flessibile finalizzata alla conservazione del passato attraverso la rigenerazione, un progresso che è possibile avviare solo recependo le dinamiche di trasformazione e superando quell’antitesi tra nuovo e antico.

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Isolati dal ghetto: una storia urbana

Le trasformazioni urbanistiche e architettoniche del quadrante di vie affacciate su piazza Erbe in un volume che ne racconta le vicende e i protagonisti Testo: Federica Guerra

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ai una vicenda come quella dell’antico ghetto ebraico di Verona, dalla sua fondazione al degrado, dalla demolizione fino alla ricostruzione, ha rappresentato un modello dell’evoluzione della città contemporanea e del dibattito che, in tutte le epoche, si è svolto intorno ai temi delle trasformazioni urbane. Il libro recentemente pubblicato di Valeria Rainoldi, Il Ghetto di Verona e la sua sinagoga, ha l’importante merito non solo di raccontare lo svolgersi delle vicende legate alla trasformazione degli isolati compresi tra piazza Erbe, via Mazzini, via Pellicciai e vicolo San Rocchetto, ma soprattutto quello di inserire gli eventi verificatesi in circa trecento anni di storia urbana, raccontati peraltro con precisione documentaria “chirurgica”, in un contesto di più ampio respiro, che va dall’inserimento delle vicende locali in un quadro storico transnazionale al confronto con il dibattito architettonico e urbanistico dell’epoca, dal raffronto con vicende analoghe in altre città all’inserimento della vicenda del ghetto ebraico nelle dinamiche urbane complessive di Verona. È quindi, da un lato, un libro completo sulla storia di un’ampia porzione del centro storico della città, per merito della ricca documentazione portata a supporto delle differenti questioni affrontate e, soprattutto, per la sistematizzazione della documentazione già pubblicata frammentariamente in altri testi che affrontavano l’argomento, ma è soprattutto l’esempio di un approccio molto interessante ai temi delle trasformazioni urbane. Perché Rainoldi parte proprio dalla scala ampia, quasi da urbanista, analizzando la consistenza urbana degli isolati a

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partire dal primo rilievo dell’area effettuato nel 1776, che restituisce l’entità spaziale del ghetto da sovrapporre al suo stato di conservazione che emerge dai primi Antichi Estimi provvisori del 1757. E poi via via attraverso il Catasto Napoleonico e quello Austriaco, per concludere con i documenti della Congregazione Municipale d’Ornato per arrivare a comprendere l’oggetto di cui si parlerà nel volume: un inquadramento quanto mai necessario, se si vuole seguire il filo del ragionamento dell’autrice. E poi cominciano i resoconti sui diversi progetti che interesseranno il ghetto, dopo la dichiarata necessità della sua demolizione finalizzata a un miglioramento igienico- sanitario, evidenziata dal Comitato Sanitario Veronese a partire dal 1889. Il primo fu il progetto, promosso ai primi

del Novecento da un comitato appositamente costituito, per la realizzazione di un Politeama, a cura dell’architetto Giovanni Giachi di Milano, prospiciente la piazza Erbe in sostituzione della schiera di edifici malsani del ghetto, con il noto dibattito intercorso tra Dall’Oca Bianca e i difensori della pittoricità del luogo, e i sostenitori di un necessario rinnovamento igienico ma anche formale dell’isolato. Di questo dibattito, che fece naufragare il progetto Giachi, rimase negli anni a seguire l’idea che la cortina delle case sulla piazza fosse necessariamente da conservare a differenza dei retro tra via Nuova (via Mazzini) e via Pellicciai, sottoponibili a un necessario sventramento. Di poco successivo il progetto promosso dalla Cassa di Risparmio che, a seguito della necessità

01. Uno dei primi rilievi del ghetto di Verona, compiuto dai periti Antonio Pasetti e Giovanni Frattini nel 1776. Riporta i livellari, ovvero i contratti di locazione e, più in generale, gli strumenti di credito come i prestiti a interesse. 01

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leggibili, rispetto alla semplice facciata da sempre ascritta al Fagiuoli. È così che questo libro ci chiarisce come ogni trasformazione urbana sia esito di un intreccio di diversi impulsi, di tipo culturale, economico e sociale, ma anche esito del cambio del gusto e dei rivolgimenti della politica, del successo di alcuni protagonisti e dell’oblio di altri, e come solo ricostruendo tutti i tasselli di questo complicato puzzle si possa descrivere adeguatamente la città.

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di ampliare i propri uffici di via Garibaldi, propose la realizzazione di una nuova sede all’angolo tra via Nuova e piazza Erbe, sempre in sostituzione dei noti edifici; il progetto fu aggiudicato tramite concorso nel 1913 all’architetto Giovanni Battista Milani di Roma. Bocciato dalla Commissione Superiore delle Belle Arti nel 1917, mise la parola fine all’idea di intervenire sul fronte della piazza. Ma è proprio dagli anni Venti che iniziano, invece, a concretizzarsi i progetti di demolizione dei tre isolati che costituiscono il corpo denso del ghetto ebraico. Promossi dall’amministrazione comunale fascista con il sindaco Vittorio Raffaldi, gli interventi di demolizione si articolarono in tre stralci corrispondenti ad altrettanti isolati (quello tra via Nuova, vicolo Nuovo, via Pellicciai e via Portici il primo, quello tra via Nuova, vicolo S.Rocchetto, via Pellicciai, e vicolo Nuovo il secondo e quello tra via Nuova, via Portici, Corte Spagnola e Corte Segattina il terzo). Le demolizioni si svolsero a tappe tra il 1924 e il 1928, favorite anche dalla disponibilità economica del Comune di Verona a seguito di un lascito testamentario (Eredità Criconia), puntualmente indagato da Rainoldi. Ogni edificio demolito dette spunto a un progetto di ricostruzione, di cui l’autrice riferisce accuratamente l’iter, le diverse ipotesi e i protagonisti, tra tutti Ettore Fagiuoli e Francesco Banterle. Vasto fu anche il dibattito suscitato a livello locale e nazionale, per il ruolo avuto da personaggi come Gustavo Giovannoni o Adolfo Wildt, per i riferimenti alla nascita in quegli anni della normativa sulla tutela e conservazione dei monumenti, nonché per gli scontri tra progettisti e Sovrintendenza, tra Sovrintendenza e Ministero, tra Podestà e Sovrintendenza. Un quadro pressoché completo e definitivo della vicenda del ghetto ebraico. In questa storia che racconta tutto degli edifici più noti, il Supercinema e la casa Pincherle (F. Banterle), la casa Tretti, la Banca Nazionale del Lavoro (E. Fagiuoli), l’hotel Touring (C. Cristani), prende particolare rilevanza la vicenda della costruzione della Sinagoga a cura di Giacomo Franco (1864) e il successivo rifacimento di Ettore Fagiuoli (1929), cui l’autrice ipotizza una attribuzione più ampia degli interventi oggi

Valeria Rainoldi il ghetto di verona e la sua sinagoga Cierre Edizioni, 2020, pp. 204 Sull’opera di Fagiuoli, a sessant’anni dalla sua scomparsa (1961), un altro volume presenta un differente aspetto: Francesco Pitondo, Il Palazzo delle Poste e Verona e l’opera di Ettore Fagiuoli, Cierre Edizioni, 2020.

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02. Giovanni Battista Milani, Can Grande, progetto vincitore del Concorso per la realizzazione della nuova sede della Cassa di Risparmio (1913). 03. Giovanni Giachi, Progetto per un Politeama in Piazza delle Erbe (1898).

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Porte ancora aperte A partire dalla scorsa riflessione di LC su queste pagine, un nuovo contributo sul dialogo necessario ma talvolta conflittuale tra progettisti e Soprintendenza Testo: Cristiano Girelli

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prire le porte della Soprintendenza, spalancarle agli architetti, chiamandoli a collaborare alla fase istruttoria dei progetti… Parole di LC, decano di noi ‘eterni studenti’ posti di fronte all’insindacabile e unilaterale giudizio del babau Soprintendenza, ‘mostro’ agente con riflesso condizionato a qualsivoglia progetto tendente a modificare lo status quo edilizio e per definizione ostile a ‘revisioni bilaterali’. Parole sante, quelle di LC. Mi preme condividere una riflessione: qual è l’arcano e misterico ‘linguaggio’ corrente nel dialogo tra architetti e Soprintendenza resposabile di tale stallo? Di quali competenze siamo padroni nel problematico campo delle istanze riassunte nell’articolo 9 della Costituzione, a fronte delle infinite richieste mosse dal mercato? Il campo di gioco è unicamente quello storico oppure allargato al vernacolo delle novelle tecnologie? Per non dire del trend generatosi con leggi urbanistiche redatte da economisti (il Piano Casa, gli ecobonus…) che a breve, temo, faranno gemmare nel timbro la specifica di Architetto Fiscalista/Ecobonista?! Ha ragione LC nel non sopportare un diniego postale da parte di chi agisce nel comune interesse, che sappiamo essere sostanzialmente protettivo dei beni paesaggistici, culturali e ambientali, così come espresso dalla legge, laddove il faro giurisprudenziale orienti alla “preservazione dell’integrità fisica del bene, nella valorizzazione della funzione del bene culturale inteso come massima fruibilità per il singolo e le formazioni sociali”: parole condivisibili, se accorderanno di collocare il sospirato ascensore all’Archeologico cittadino. Carlo Scarpa, oggi, a Castelvecchio, avrebbe possibilità di intervenire

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con la medesima poesia espressa a suo tempo? Si dirà: di poeti, come Scarpa, ne nasce uno ogni secolo. Vero è che, restando entro le mura di Castelvecchio, Giuseppe Pino Tommasi pochi anni or sono riuscì a installare una geniale e poetica struttura nella Torre dell’Orologio. Vengo al punto: se il progetto è buono, se il racconto progettuale posto in scena parla di Architettura, che conosce la Storia, credo non vi sia Soprintendenza che tenga; è vero, esiste il precedente veneziano di Wright, e allora? Condivido l’elogio di LC mosso al dott. Tinè – archeologo – circa il linguaggio da questi usato per il fabbricato industriale di Mangiarotti, cogliendone il timbro dell’architetto che conosce cagione, non impaludato nell’ambito istituzionale del ruolo. Parole saggie quelle di LC: ma a quali orecchie devono ronzare? Nella prassi dei crediti formativi, ritengo fondamentale includervi un viaggio dentro la Soprintendenza, perché siamo figure professionali congruenti e coincidenti a quelle soprintendenti: occorre dare credito alla professione, recuperando il terreno perso dal frazionarci in architettipianificatori-paesaggisti-conservatori, espressione di una disciplina evaporata in etichette professionali al pari dell’avvocato fiscalista, divorzista, penalista, privandoci del ruolo che, unico nelle professioni, è quello di colui che conosce cagione. LC, tra le righe, suggerisce che a breve saremo chiamati a rimeditare lo spazio urbano: la complessità del tema esigerà figure specialistiche (così come i registi si avvalgono di fonico, tecnico luci, ecc.) ma il carattere, nel contesto promosso dal copione, lo decideremo noi. Alla stregua dei titoli di coda di un film, difatti, «AV» ben specifica in calce a ogni architettura il nome di Committente, autore del Progetto Architettonico,

Direttore Lavori, Strutturista, Impresa: il regista rimane inteso essere il Progettista, capo di una equipe che a esso si rivolge in quanto è colui che conosce cagione. Sbagliamo professione se rifiutiamo il ruolo di registi dello spazio che, inesorabilmente, manipoliamo e modifichiamo; le attività umane hanno scena in architetture: gli avvocati nei Tribunali, i medici negli Ospedali... Noi – quale incredibile destino! – abbiamo l’intero pianeta tra le mani, e questa immensità ci spaventa. Se si aprissero le porte della Sovrintendenza, come saggiamente auspica LC, potremmo finalmente far recepire ai clienti (di campo pubblico quanto privato) che gli Architetti in cuor loro rispondono alla meravigliosa equazione data da forma-funzione-significato, ben distante dal dozzinale conto di tot metri cubi fratto oneri diviso SAU: una dimensione che fonde tecnica, storia e visione politica, cui occorre esserne coscienti artefici. Altrimenti, lo scrisse tempo fa Filippo Bricolo su «AV», la nostra professione diviene mimetica al taxista: qualsiasi destinazione, l’architetto ti ci porta. Credo che a noi spetti il ruolo di Soprintendenza, coscienti registi delle letture (anche politiche) di ciò che rende unico il nostro meraviglioso lavoro, rispettosi manipolatori dell’immenso paesaggio in cui viviamo e del miesiano dettaglio architettonico; il futuro ci chiamerà a formulare nuove strategie su ciò che sopravvive dello spazio cittadino. Il palazzo della Soprintendenza può essere il Quartier Generale di una rinascita professionale che, partendo dal dettaglio, sappia far comprendere il generale, in senso anche politico: una nuova stagione cui dovremo far fronte comunitariamente. Le parole di LC, bandiera di quella meravigliosa stagione in cui architetto è colui che conosce cagione, sono davvero profetiche.

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Ci mette il becco LC: del “rigore”

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01. Franco Albini nel celebre ritratto eseguito da Irving Penn (Fondazione Franco Albini).

Una impostazione di metodo e un modo di pensare e agire nel mestiere di architetto

Testo: Luciano Cenna

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el nostro mestiere di architetti, il termine “rigore” viene usato saltuariamente, spesso assegnandogli un significato riduttivo. Oggi, essere rigorosi non sembra corrispondere a una impostazione del modo di pensare e di agire, quanto a una pratica di altri tempi rapportabile alla disciplina militare o dei collegi inglesi dell’ottocento. Cosa ha a che fare il rigore con il nostro mestiere non sarà facile dirlo nelle poche righe del mio scritto: mi ci proverò, benchè l’abbiate già capito. Per farlo, mi vedo costretto a citare esperienze personali. A tale proposito devo ringraziare la mia buona stella (alcuni la chiamano diversamente) che mi ha concesso il vantaggio di frequentare lo IUAV negli anni felici dell’Istituto, avendo come maestri De Carlo, Gardella, Albini, Samonà, Zevi, Benevolo e altri. Tanto più che nel caso di De Carlo e Benevolo sono stato loro assistente per molti loro cicli di insegnamento in cui il rigore era regola didattica e sinonimo di etica. E come l’etica, anche il rigore è un” calibro”. Con esso misuriamo la qualità di quanto stiamo progettando; quel calibro lo usiamo per valutare la

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fedele sovrapposizione tra i contorni del problema che stiamo affrontando e l’idea che se ne sta impossessando; per verificare la giusta proporzione tra i due ingredienti, quello strettamente teorico e quello geometrico spaziale; per giudicare se l’idea sia debole, sfuocata nei confronti del tema oppure troppo ingombrante, eccessiva, fuori scala (il fuori scala è frequente). Anche il linguaggio dell’architettura deve fare i conti con il “rigore”; cosa che avviene se il progettista fin dalla fase iniziale del farsi del progetto affronta l’insieme degli aspetti: l’organizzazione spaziale, il sistema strutturale, funzionale, verificando continuamente congruità e coerenza. Quando ciò non avviene e uno dei componenti è irrisolto, l’intero progetto entra in crisi, segnalandoci, se vogliamo prenderne atto, che non funziona più nulla. Allora può accadere che si voglia salvare il progetto forzandone il carattere espressivo per nascondere le carenze, oppure operare con altre suggestioni funzionali che non fanno che peggiorare la qualità del lavoro fatto. Il benedetto rigore in questi casi ti consiglierebbe di ricominciare daccapo, rimettendo tutto in discussione. Ed è così che il rigore diventa metodo, e che il metodo è il rigore quando progettiamo avendo risolti via via i problemi, per lo più tecnici, senza troppe approssimazioni: come avviene quando riteniamo di poter risolvere alcuni aspetti inadeguati in un momento successivo senza renderci conto che ciò produrrà altri squilibri che, nel loro insieme, pregiudicano la limpidezza dell’idea iniziale. Ah, l’idea! Questa altro non è se non una sintesi del meglio che il progetto sarà in grado di esprimere. Talvolta l’idea non è contenuta nel progetto dell’edificio, ma nel contesto: nel caso di villa Ottolenghi di Scarpa, sta soprattutto nella

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collocazione della casa a ridosso delle strada a monte; nel caso del Museo di Rovereto di Botta, sta nell’aver insinuato l’edificio tra i palazzi della strada; nel caso di Castelvecchio di Scarpa, nella esaltante e prodigiosa collocazione di Cangrande. Ma gli esempi non mancano. Né quelli in cui l’idea è frutto di una intuizione iniziale, né invece quelli in cui deriva da approfondimento paziente di aspetti tecnologici o funzionali del progetto. A questa seconda categoria mi pare di poter avvicinare l’alta qualità dei progetti di Albini, che ho conosciuto prima come studente dei suoi corsi allo IUAV e poi lavorando nello studio di Milano da lui chiamato. Tralascio gli aneddoti al riguardo di quel molto impegnativo periodo per la mia inadeguatezza rispetto alla sua maestria; ma considero ancor oggi fondamentale quell’esperienza per l’unica cosa che ho imparato lavorando nel suo studio: lavorare ore e ore sul progetto senza stancarsi di cercare con metodo e rigore. E se quando ti pare di avere finito, sei convinto (e tu lo sai): bene! Altrimenti ricomincia con calma e fiducia. Anche di questo è fatto il “rigore”.

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QUASI ARCHITETTI

Buon vino fa scuola Tra i temi ricorrenti nella sperimentazione didattica legata al territorio veronese, la produzione vinicola e gli spazi ad essa correlati si prestano a ipotesi progettuali di riuso o di nuova costruzione

Testo: Laura Bonadiman

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Il territorio veronese non manca di offrire spunti progettuali destinati a fare da palestra nel momento di sintesi finale degli studi nelle scuole di architettura. Tra questi, la produzione agricola più pregiata, quella vitivinicola, gode di grande attenzione. L’economia della regione è fortemente legata al turismo e alla nascita di percorsi enogastronomici per la valorizzazione di prodotti tipici, generando una attenzione crescente alla progettazione degli spazi connessi a tali attività, dalle cantine ai centri enologici. Il rapporto tra spazi per attività agricole e territorio si radica nella tradizione della villa veneta, mentre quel che resta degli edifici un tempo adibiti a produzioni fiorenti – tabacchifici, zuccherifici e simili – pone il tema di un loro recupero e riuso.

sitivi, spazi per attività ludico-culturali e collegamenti ciclopedonali. Composto da quattro edifici, lo zuccherificio è inserito in una vasta area (circa 32.000 mq) isolata su tutti i fronti: a ovest dal torrente Alpone, a nord da un fabbricato di recente costruzione e a sud dalla strada Regionale 11. La morfologia del progetto si basa sulla sovrapposizione della geometria

dei fabbricati esistenti con un asse inclinato, derivante dalla connessione tra la ciminiera dello zuccherificio e il campanile dell’Abbazia di Villanova. In questo modo si genera un dialogo sia tra due landmark ben riconoscibili, a suggerire un legame tra la zona residenziale e quella industriale di San Bonifacio. Attorno a una piazza centrale si sviluppa il parco viti-vinicolo, fulcro di tutto il progetto.

scuola Politecnico di Milano Scuola di Architettura, Urbanistica, Ingegneria delle Costruzioni Corso di Laurea Magistrale in Progettazione Architettonica Architettura e Spazio Interno titolo Winenot – Centro di ricerca per la sperimentazione enologica progetto Giulia Battocchia, Elisa Carraro relatori prof. Roberto Rizzi correlatore: prof. Marta Averna anno accademico 2018-2019

dallo zucchero al vino

Il filo conduttore della tradizione produttiva agricola porta il nostro percorso nell’est veronese, a San Bonifacio, alle cui porte si trova l’ex complesso saccarifero Eridania, con la sua ciminiera alta circa 50 metri, simbolo di archeologia industriale. Abbandonato dagli anni Ottanta, è stato recentemente ricostruito per ospitare funzioni commerciali e direzionali. In controtendenza con questa scelta, Winenot – progetto di Giulia Battocchia ed Elisa Carraro, che si è classifica al secondo posto al Premio di studio Luca Andreasi nel 2019 – ha proposto un centro di ricerca enologico sperimentale, punto di riferimento per la cultura viti-vinicola di Verona e provincia, assieme a servizi per i cittadini, un parco turistico-espositivo che alterna vitigni e padiglioni espo-

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01. Winenot: veduta di progetto con lo zuccherificio e il parco turistico-espositivo. 02-03. Planimetria e sezione di progetto. 02

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QUASI ARCHITETTI tra vigneti e ville storiche

Si inserisce in questo contesto di valorizzazione della produzione agricola di pregio il progetto di Milena Fornaciari, Irene Salamini e Beatrice Savio, che prende spunto da un concorso indetto nel 2014 dalla Cantina Valpolicella di Negrar, in collaborazione con YAC (Young Architects Competitions) e Ordine Architetti di Verona. Obiettivo era la trasformazione della cantina da stabilimento industriale a manifesto architettonico, così da simboleggiare un’azienda leader del settore. Frutto di molteplici ampliamenti successivi al primo nucleo risalente al 1945, il complesso della cantina si mostrava come un insieme di elementi senza continuità e senza un linguaggio architettonico coerente, a cui si doveva far fronte contestualmente alla progettazione di nuovi spazi in ampliamento. La tesi ha seguito le linee guida del concorso approfondendo il legame con la Valpolicella, legata per antonomasia alla produzione vinicola. Prima

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04-05. Vedute di progetto: la passerella ciclopedonale nel parco e lo zuccherificio.

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Una passerella ciclo-pedonale posta a un livello sopraelevato si snoda tra interno ed esterno del perimetro di progetto, risolvendo la discontinuità del sistema territoriale. Sul bordo dell’area, un percorso attrezzato definito “Biblioteca degli Alberi” collega le differenti quote del progetto. All’interno dello zuccherificio, gli spazi sono studiati per poter ospitare contemporaneamente sia attività enologiche che espositivo–turistiche. Una scultorea scala ispirata al truciolo del grappolo d’uva conduce i visitatori attraverso la cantina sperimentale fino all’ultimo piano, dove si trova una sala degustazione.

ancora delle numerose cantine, il suo territorio è riconoscibile per la tradizione delle ville venete, connubio tra la produzione agricola e il luogo di residenza di campagna per l’aristocrazia. L’analisi delle ville-fattoria disegnate da Andrea Palladio, in particolare Villa Thiene e Villa Emo, ha posto le basi per il progetto di un nuovo volume, una villa-fattoria contemporanea posta a definire il nuovo fronte della cantina. Al suo interno sono previsti spazi amministrativi, spazi per l’intrattenimento culturale ed enogastronomico, un museo e un auditorium. In posizione più arretrata troviamo invece la parte produttiva, che ripropone lo schema palladiano della corte centrale con barchesse laterali, e un edificio di testa con la sala degustazione, punto di incontro tra area pubblica e area produttiva. Le funzioni pubbliche, come l’auditorium e il museo del vino, possono essere utilizzate in maniera autonoma, separando il contesto aziendale-produttivo da quello culturale-educativo. In una cantina vinicola ogni fase ha

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scuola Politecnico di Milano Scuola di Architettura, Urbanistica, Ingegneria delle Costruzioni Corso di Laurea in Architettura Architettura degli Intern titolo Tra vigneti e ville storiche: una nuova cantina per la Valpolicella 07

un ruolo fondamentale per la riuscita del prodotto, e gli spazi devono essere studiati in maniera meticolosa. I vari ambienti produttivi sono distribuiti secondo l’ordine del processo di vinificazione, dal conferimento delle uve all’analisi delle stesse nei laboratori, e alla loro lavorazione, compreso l’appassimento. Nei piani ipogei, dove si possono ottenere particolari condizioni di luce e aereazione, sono

ricavati gli spazi destinati alla maturazione e invecchiamento del vino. Il metodo di vinificazione verticale, che risale all’Ottocento, rende più facile lo spostamento di mosti e vini tra le varie aree attraverso l’utilizzo di pompe meccaniche. Terminato l’invecchiamento, il prodotto viene imbottigliato e ritorna al piano terra, dove si trovano gli spazi di stoccaggio.

progetto Milena Fornaciari, Irene Salamini, Beatrice Savio relatore prof. Luca Basso Peressut anno accademico 2018-2019

06. Tra vigneti e ville storiche: pianta piano terra. 07. Sezione prospettica: in evidenza gli spazi ipogei dedicati all’invecchiamento del vino. 08. Esploso assonometrico funzionale. 09. Studio degli accessi in base al processo di vinificazione.

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Architetti veronesi raccontano la loro esperienza professionale “fuori dalle mura”

Campagne cinesi

La ricerca sul campo in ambito accademico ha condotto un giovane architetto veronese nella Cina lontana geograficamente e culturalmente dalle città più note

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Testo e foto di: Gerardo Semprebon, Politecnico di Milano

Architetto e assegnista di ricerca nel Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, Gerardo Semprebon nel 2020 consegue due Dottorati di Ricerca: presso il Politecnico di Milano e presso la Shanghai Jiao Tong University. Nell’ambito della sua ricerca, che esplora strategie di progetto per lo sviluppo rurale con focus in Italia e Cina, ha vissuto a Shanghai e a Pechino per circa due anni; nel 2019 si sposta presso la Beijing University of Civil Engineering and Architecture grazie alla Ermenegildo Zegna Founder’s Scholarship. Dal 2017 è membro dell’Associazione degli Accademici Italiani in Cina e, tra 2017 e 2020, della Sino-European Partnership Project in Urbanization, Development programming for Zhangyang Village, Hanjiang, Putian, Fujian Province.

Fino alla mia prima visita a Shanghai, nel dicembre del 2016, non avevo mai avuto passioni particolari per l’Oriente, e quando, un anno dopo, si è presentata la possibilità di trasferirmi in Cina nell’ambito del programma di doppio dottorato, ho provato la tipica titubanza di chi sa da cosa si sta allontanando ma non ha la minima idea di quello a cui sta andando incontro. Anche perché andavo per fare una ricerca nelle campagne, luoghi lontani geograficamente e culturalmente dalle città più note, che, come raccontato in questa rubrica nei numeri passati, sono diventate mete frequenti di professionisti in cerca di successo “fuori dalle mura”. Non è un caso se l’antropologo Bryan Tilt, dopo

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01. Schemi in pianta dei 15 edifici tradizionali dello Zhangyang Village. In evidenza lo spazio cruciforme dedicati ai rituali che emerge come invariante dello spazio. Sulla destra, Gerardo Semprebon. 02. Dongda Village, Fujian Province, agosto 2017. 03. Jiankou Village, Fujian Province, agosto 2017. 04. Liang Village, Shanxi Province, settembre 2019.

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dieci anni di lavori sul campo nelle campagne del Sud-Ovest, nel 2010 scrisse “ho spesso riflettuto che affronto meno shock culturale quando smonto da un aeroplano decollato dalla costa Ovest degli Stati Uniti ed atterrato a Pechino di quando salgo su un treno o un autobus per spostarmi dalle aree urbane cinesi a quelle rurali”. In effetti, i viaggi sui silenziosi convogli, che oggi permettono di coprire i 1.000 chilometri che separano Shanghai e Pechino in quattro ore e mezza, sono narrazioni alienate di un mondo rurale in preda a rapidi e travolgenti sconvolgimenti degli assetti spaziali. Interi comparti residenziali formati da torri ripetute a perdita d’occhio scorrono rapidi nel finestrino, lasciando vedere ritmicamente gli stretti vuoti che separano gli edifici, disposti sulle rigide scacchiere che organizzano i superblocks, isolati grandi anche trenta volti quelli di Barcellona. Non è raro trovare scheletri di edifici incompiuti, che testimoniano l’estrema volatilità dei processi di sviluppo, spesso caratterizzati da instabili cicli di crescita e crisi, come anche ammassi di macerie e

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calcinacci abbandonati da tempo, residui di piani abortiti, oppure insediamenti tradizionali tagliati violentemente dalle linee del faraonico sistema infrastrutturale realizzato negli ultimi anni. Ma la campagna dove ho concentrato i miei interessi di ricerca, in seguito a un accordo tra il Politecnico di Milano, la Shanghai Jiao Tong University e l’amministrazione locale, ha caratteristiche diverse. In particolare, si tratta di un remoto villaggio di 1.500 persone circa nella Provincia del Fujian, che giace in una piana attraversata da un fiume ed è circondata da verdi colline, che, secondo le pratiche geomantiche del fengshui – letteralmente vento-e-acqua – corrispondono ad una configurazione propizia per il proficuo scorrere del qi, il soffio vitale. La Provincia del Fujian, oltre ad essere rinomata

per la cucina a base di pesce, si contraddistingue per una vivacissima cultura tradizionale, dove i tre grandi filoni di pensiero cinesi – Taoismo, Buddhismo e Confucianesimo – si intrecciano e si mescolano alle mitologie locali legate agli antenati e danno forma a un originale mondo folkloristico, oggetto, dopo gli anni difficili della Rivoluzione Culturale, di un fenomeno di revival tanto interessante quanto contradditorio. L’insediamento si trova a quaranta minuti dalla città più vicina, Putian, città che diede i natali a Mazu, la Dea dei Mari nella mitologia cinese, a cui si rivolgono pescatori e marinai per invocare fortuna e protezione, e a cui tutti i putianesi sono molto devoti. A testimonianza del fondamentale ruolo giocato nella costruzione dell’identità locale, nel 2009, il culto della dea Mazu è stato iscritto nelle liste UNESCO come patrimonio culturale dell’umanità. Tra parentesi, Cina e Italia ospitano il maggior numero di luoghi appartenenti alla lista degli UNESCO World Heritage Site, con 55 località ciascuno. Tornando al villaggio, sono entrato in stretto contatto con le abitudini e i ritmi della società rurale cinese, grazie anche al fatto che, mancando strutture ricettive e di ristorazione, per condurre le mie operazioni ho soggiornato in diverse occasioni nelle abitazioni dei contadini. Infatti, molte delle abitazioni multipiano sono occupate solo

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05. Inquadramento geografico di Zhangyang Village (Fujian Province, Putian City, Hanjiang District, Xinxian County). 06-07. Pingyao Ancient City, Shanxi Province, settembre 2019. 08. Liantang Water Town, Shanghai, dicembre 20166

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a metà, solitamente ai piani bassi, dal momento che lo spazio domestico è abbondantemente sovradimensionato rispetto al numero di persone che le abitano durante l’anno. Questa pratica è alimentata da molteplici fattori, legati al regime d’uso temporaneo dei suoli, all’assenza di regolamenti restrittivi efficaci, che permettono a chi ha le risorse finanziarie di costruire in altezza per ritagliarsi una vista privilegiata sul paesaggio, e ai grandi esodi verso i villaggi d’origine che si verificano in occasione delle principali festività cinesi. Oltre alle immancabili cisterne per l’acqua, non è raro trovare i ferri di ripresa a coronamento di edifici temporaneamente interrotti, oppure piccoli padiglioni, avulsi dalla natura morfo tipologica della casa, usati come luoghi di contemplazione. La maggior parte delle residenze appena costruite, inoltre, espone stravaganti motivi ornamentali, liberamente estratti “dall’armadio della storia”, applicati a finestre, loggiati e terrazze. Colonne, lesene, fregi, frontoni, balaustre e chi più ne ha più ne metta, giustapposti in stile greco, romanico, barocco o neoclassico, compongono il repertorio formale dominante. Le mie ricerche si sono concentrate in larga parte sulle ricadute spaziali dei processi di trasformazione sociale ed economica in corso, riflettendo sui nodi problematici che il progetto di

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09-10. Schicang Village, Zhejiang Province, gennaio 2018. 11. Shimotou Village, Shanxi Province, settembre 2019.

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architettura è chiamato ad affrontare. La ragion d’essere di questa indagine trovava fondamento nella volontà di proporre vie alternative alla demolizione integrale dell’insediamento e conseguente ricostruzione con maggiore densità e “stile unitario”. Tali interventi erano già stati programmati da un’azienda para-statale locale nel 2014 e approvati dalle autorità, al fine di aumentare la produttività dei suoli agricoli e innestare uno sviluppo economico incentrato sul turismo rurale. Queste azioni si inseriscono all’interno di una macro-politica nazionale finalizzata alla rinascita delle campagne e ad azzerare la povertà assoluta, obiettivo rivendicato dal Partito nel 2020, secondo i tempi annunciati. È in questo contesto che ho rinvenuto anche un fragile patrimonio culturale legato alle forme di commemorazione degli antenati e a rituali di diversa natura che ancora si svolgono, nei templi familiari ad esempio, e che sono ormai le uniche costruzioni sopravvissute alle recenti ondate di urbanizzazione “dal basso”. Questi edifici, realizzati in terra cruda e carpenteria lignea, che

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ospitano spazi domestici, spazi liturgici e spazi di lavoro, rappresentano le ultime testimonianze di una cultura e un sapere tramandati di generazione in generazione. Essi sopravvivono in ragione del fondamentale ruolo di ingraziarsi gli spiriti degli antenati, attraverso pratiche divinatorie finalizzate a ricevere beni materiali: come buona salute, buoni raccolti e buone finanze. Sono queste architetture vernacolari, basate su precise regole compositive che emergono come invarianti dello spazio e come strutture morfologiche all’interno di un tessuto costruito labilissimo, che ancora impegnano le maestranze locali nel costruire e riparare secondo criteri tradizionali, mantenendo in vita alcuni tratti di una cultura secolare che timidamente resiste alla stravolgente transizione sociale in corso. Ed è questa la Cina rurale che fino a poco fa rappresentava l’80% della popolazione cinese, e che oggi sta velocemente scomparendo a causa principalmente del rampante sviluppo urbano e industriale. È una Cina lontana dalle luci dei riflettori della geopolitica internazionale. Eppure,

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12-14. Zhangyang Village, Fujan Province, agosto 2017-dicembre 2018. 15. Zhangyang Village, Fujan Province, durante il Festival dei Contadini, settembre 2018.

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è una Cina che occupa da svariati anni un posto prioritario nell’agenda politica di Pechino, vigorosamente impegnata nell’appianare le drammatiche divergenze economiche e sociali che dividono campagne e città, e a mitigare il processo di svuotamento demografico delle aree rurali. Il rigidissimo sistema di registrazione della popolazione, che divide la società in due classi di persone, cittadini rurali e cittadini urbani che godono di diritti diversi, pone la Cina di fronte ad una delle più grandi contraddizioni del suo presente. Diminuire le diseguaglianze significa garantire gli stessi diritti a tutti, ma così facendo, ancora più contadini abbandonerebbero i propri villaggi per cercare fortuna in città. Ma la più grande migrazione della storia dell’uomo è ormai in atto da decenni e sta riplasmando i territori cinesi. Secondo i dati ufficiali, tra il 2012 e il 2017 più di 80 milioni di contadini sono diventati cittadini urbani, con un ritmo di 16 milioni all’anno. Questi numeri incredibili sono in linea con il piano formulato nel 2005 di urbanizzare 350 milioni di

contadini entro il 2030. In realtà è proprio così che la Cina ha fondato la sua crescita, facendo leva e sfruttando le miserevoli condizioni dei lavoratori migranti, che erano disposti ad accettare condizioni terribili pur di lavorare in città e guadagnare qualche soldo da mandare alle loro famiglie. L’altro aspetto, molto più evidente, è l’incessante processo di urbanizzazione che permette allo Stato di speculare sull’acquisizione di suoli rurali, di proprietà delle cooperative dei villaggi, che, una volta designati urbani e passati nelle mani dei governi locali, vengono venduti a prezzi moltiplicati agli sviluppatori per un arco di tempo che varia a seconda delle funzioni che ospiteranno. Negli ultimi anni sono state progettate circa 400 nuove città, di cui molte con più di un milione di abitanti e molte già realizzate. Questo ci dà la dimensione della sfida, tanto nelle sue potenzialità, per chi voglia cimentarsi nel progettare la città del futuro, con tutti i se e i ma che conosciamo relativi alle nuove città cinesi; quanto nelle sue problematiche, che hanno ricadute su scala globale. Basti considerare che

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16. Stato di progetto di una porzione di insediamento. Ipotesi di riassetto del sistema degli spazi pubblici di Zhangyang Village.

17. Sezione a scala urbana (stato di progetto). 18. Suggestione di progetto. Ipotesi di riassetto del sistema degli spazi pubblici di Zhangyang Village.

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il 20% della popolazione mondiale vive in Cina e la Cina dispone soltanto del 7% delle terre coltivabili. Se è pur vero che fino a non molto tempo fa, la Cina non poteva concedersi il lusso di pensare il proprio sviluppo in modo sostenibile, come la storia di tutti i paesi occidentali bene insegna, ora si assiste a un grande sforzo per invertire la rotta e puntare verso forme di sviluppo sostenibili. Nonostante il divario con le città sia ancora evidente, emergono chiari segni di un generale miglioramento delle condizioni di vita nelle aree rurali cinesi. Anche se intrise di accenti retorici, le politiche di sviluppo rurale stanno mobilitando un ampio spettro di discipline, chiamate ad allearsi per guidare la transizione verso una condizione di vita medio prospera, cercando di limitarne gli impatti. In realtà, l’ambizione è quella di essere pionieri nell’integrare crescita economica, sviluppo tecnologico, salvaguardia ambientale e protezione culturale, facendo leva sugli stimoli politici ed economici provenienti dalle amministrazioni pubbliche, nelle modalità racchiuse nella nozione

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di capitalismo di stato. Lo slancio cinese nel riconquistare una posizione di guida nello scacchiere globale, posizione che secondo molti ha mantenuto fino alla guerra dell’oppio, getta le basi per la formazione di una nuova dimensione culturale per il progetto di architettura, emerso chiaramente nelle partecipazioni del Dragone alle ultime Biennali di Architettura veneziane. In questo momento storico, la Cina è il più grande laboratorio del pianeta, il più vasto campo di applicazione dove la scienza può misurarsi, tanto che oggi la Cina detiene il primato di brevetti registrati. Procedendo la scienza, come è noto, per “prova ed errore”, assistiamo costantemente a successi e fallimenti che sfidano i perimetri della conoscenza e dei settori disciplinari. Nei miei due anni in Cina ho vissuto per la maggior parte del tempo a Shanghai e a Pechino, dove, oltre alle istituzioni, diversi circuiti di italiani ed associazioni operano attivamente e permettono di inserirsi velocemente nel network dei connazionali, come, nel mio caso, la Community degli Architetti e Designer

Italiani, nata su iniziativa del Consolato Italiano a Shanghai, allora guidato da un altro veronese “fuori dalle mura”, e l’Associazione degli Accademici Italiani in Cina. Ho avuto anche la possibilità di spostarmi in diverse città, spesso per partecipare a conferenze internazionali ed esporre i risultati delle mie ricerche. Questi momenti di confronto sono risultati fondamentali per interloquire con le “voci cinesi”, quelle che potevano confermare, smentire e contestualizzare il mio lavoro. Ma soprattutto, considero le incursioni nelle campagne le esperienze più significative e autentiche, dove sono entrato in contatto con quell’anima, visibile ai “pochi” che si avventurano nella Cina rurale, che oggi sopravvive alla prova del tempo e della modernizzazione. Da questo viaggio ai margini degli itinerari turistici, è emerso un riflesso meno noto della Cina contemporanea che rivela modi di vivere lontani dalla nostra sensibilità, ma non per questo meno autentici.

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Viaggio in provincia: con le spalle al lago

Una inattesa città lineare e temporanea sul waterfront del Basso Garda, tra Peschiera e Bardolino, vista lungo la passeggiata che costeggia il litorale Testi: Federica Guerra

Foto: Lorenzo Linthout

Peschiera d/G, Castelnuovo d/G, Lazise, Bardolino

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Tutta la sponda del basso lago che va da Peschiera fino a Lazise e poi ancora, attraversati i centri storici di Bardolino e Garda, fino a Punta San Vigilio, è segnata da uno stretto percorso ciclo-pedonale che costeggia a filo d’acqua il litorale. Percorrerlo rappresenta un modo insolito per entrare in contatto con la realtà lacustre, scoprendo una città lineare “altra” rispetto a quella che conosciamo lungo la strada Gardesana, su cui si aprono i bei centri storici e le vedute delle colline moreniche ma che, passando a qualche centinaio di metri dalla sponda del lago, nega la relazione con lo specchio d’acqua se non in fulminei squarci che si aprono tra i cipressi. Il percorso assume connotazioni diverse, configurandosi più come una somma di segmenti che come un tracciato unitario. In prossimità dei paesi risulta addomesticato da pavimentazioni di vario tipo e da allestimenti spesso molto “progettati”, che tuttavia giunti al confine comunale si interrompono e riprendono più oltre con caratteristiche diverse e spesso contrastanti; una sorta di catalogo di elementi dell’arredo urbano piuttosto che un percorso unitario. A tratti il tragitto torna, invece, alla sua originaria naturalità: una striscia in terra battuta, costeggiata a monte dagli ulivi e a valle da canneti a mezz’acqua o da piccole spiagge in ghiaino, segnando il salto tra la quota dell’acqua e quella più alta del terreno circostante. Ma il ruolo che esso assume lungo i suoi circa venti chilometri è sempre lo stesso: una linea di confine tra il “mondo di tutti”, il lago, e il “mondo di pochi”, quello degli immensi campeggi chiusi da reti da pollaio, intervallati da qualche bella villa storica o qualche recente intervento edilizio di qualità, meticolosamente custodi-

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01. Campeggi in prossimità di Peschiera, ancora chiusi per la stagione invernale. 02. Uno dei pochi hotel prospicenti la passeggiata, esempio di edilizia anonima e poco consona alla felice posizione a bordo acqua. 03-04. Scorci delle numerose ville chiuse da impenetrabili recinzioni che si susseguono lungo il percorso.

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to entro inaccessibili cancellate; una darsena, una villa anni Sessanta, un vecchio muro in sasso che lascia intravvedere un rigoglioso giardino, un deposito di barche. Sullo sfondo, gli scheletri ciclopici di Gardaland con le sue attrazioni imbalsamate dalla pandemia. Ma partiamo con ordine, volgendo le spalle al lago e provando a scendere di scala, per capire la reale consistenza di questa sequenza ininterrotta di manufatti che si protendono verso la sponda del lago, bramandone il contatto, sbarrato da questa sottile lingua di terra, presidio di integrità del bene comune.

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05. Spesso sono le stesse recinzioni l’elemento più interessante, rispetto alle modeste architetture che si avvicendano. 06. I ruderi di un vecchio muro in sasso custodiscono un rigoglioso tratto di campagna, miracolosamente sopravvissuto allo sfruttamento della costa. 07. Uno dei cantieri navali a filo d’acqua, con annesso porto di attracco per numerose imbarcazioni, alle spalle del parco acquatico Caneva. 08. Depositi temporanei di imbarcazioni coperte da immacolati sudari, che quasi invadono la passeggiata. 09. Una delle città temporanee di case “mobili”: in prima fila le piazzole per caravan e tende, in seconda, terza e quarta fila i bungalow che si adagiano sul lieve pendio. 10-11. Uno degli agglomerati di case mobili più problematici: le unità sono state issate su tralicci precari, per godere “dall’alto” del panorama lacustre. 12-13. Altri esempi di case mobili, campionario delle diverse soluzioni che tuttavia non cambiano la sostanza di interventi dichiarati come temporanei e in realtà ormai stanziali.

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Al confine tra Peschiera e Castelnuovo, dove il Forte Fenilazzo sbuca tra gli alberghi del Lido Campanello, iniziamo la passeggiata incontrando i primi grandi campeggi. È primavera e le piazzole di sosta vivono il loro momento migliore, inerbite dal clima tiepido, sottoposte ad attenta cura dei giardinieri, e soprattutto ancora vuote: potrebbero sembrare parchi pubblici, se non fosse per le colonnine di servizio che sbucano a dismisura, come minuscole lapidi, e li fanno assomigliare più a cimiteri di guerra. Qualche roulotte resta parcheggiata tutto l’anno, garanzia inequivocabile della destinazione d’uso. Sulla sponda resta una costruzione in abbandono con la sua darsena - impossibile ricostruirne l’originaria destinazione – una delle poche testimonianze di

un tempo vissuto a filo dell’acqua. Più avanti, costeggiamo i giardini di alcuni hotel e residence, tutti con l’immancabile piscina, simulacro turchese di un lago che è invece di un verde trasparente: come se il lago, al di là della recinzione, fosse irraggiungibile. Ma Castelnuovo si gioca tutto la sua onomastica “sul Garda” in un chilometro e mezzo, e non bada a spese quando si arriva in prossimità di Gardaland. Qui il lungolago si trasforma in piazzetta, l’autobloccante lascia il posto a un raffinato impasto cementizio che simula la terra battuta, il disegno sinuoso del verde accompagna uno spazio pedonale tutto sommato piacevole. A cui però il colosso del divertimento mostra le terga, non curandosi degli sforzi fatti dall’amministrazione comunale (che

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si autocelebra in una “raffinata” lastra in corten con il nome del sindaco promotore inciso a caratteri cubitali). Da qui in poi, la passeggiata si fa meno progettata e più naturale, e il dislivello con la quota delle numerose ville che si susseguono garantisce una reciproca privacy. Intravvediamo i tetti degli edifici, ammiriamo i giardini lussureggianti e sbirciamo attraverso le spesse cancellate, ma nulla è dato sapere degli edifici che si affacciano alla sponda da una quota privilegiata, e, d’altra parte, anche la nostra passeggiata si fa più quieta e silenziosa. Finché non siamo sorpresi, come un fulmine a ciel sereno, dalla veduta che si apre in prossimità del porto di Pacengo. La frazione di Lazise, il cui nucleo storico è a 500 metri dalla riva, vede tutto il litorale occupato da una

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sconfinata area camping, dove fanno sfoggio di sé le strutture più gettonate dal turista del nuovo millennio: le case mobili. Si tratta di micro edifici, in alcuni casi dal design contemporaneo, che si reggono su chassis a vista, facendoci sperare in un loro stazionamento temporaneo. In realtà questi oggetti non si muoveranno più dalla loro collocazione, configurando di fatto una città posticcia, una baraccopoli a perdita d’occhio, adagiata su balze sovrapposte di terreno, corredata di vialetti illuminati, aiuole, “centri servizio” (in realtà i bagni comuni!), aree parcheggio che garantiscono la pedonalizzazione, campi gioco, impianti sportivi e depositi di imbarcazioni; il tutto chiuso da lunghe reti metalliche plastificate che costeggiano tutta la passeggiata a lago. La

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sensazione che ne deriva è quella di essere spettatori inopportuni di una realtà tutta chiusa in sé stessa, violatori di una intimità cui non abbiamo accesso perché “al di qua della rete”, mentre “al di là” la privacy è quella del campeggiatore (quindi comunque assai poco praticata). Da qui fino all’abitato di Lazise i grandi camping costeggiano fittamente tutta la passeggiata, solo saltuariamente interrotti da qualche filare alberato e da uno sporadico tratto di campagna in cui si intravede, in lontananza, la bella villa storica denominata La Bagatta, oggi trasformata in residence turistico con annessa darsena a lago. Il catalogo delle case mobili è tutto sciorinato in questi pochi chilometri: si va dallo stile contemporaneo – rivestimento in legno, tetto piano, portico in acciaio – a esempi più tradizionali – pannelli

sandwiches, doppia falda, veranda in plastica –, da un sistema insediativo più denso con le casupole addossate alla recinzione a lago (le più richieste, immaginiamo) al modello città giardino con i moduli distanziati in ampie piazzole verdi. Una città lineare lunga quattro chilometri, abitata intensamente per cinque-sei mesi l’anno, e poi a lungo abbandonata. Nulla di eccezionale, è evidente, la stessa situazione si ripete su tutte le spiagge lacustri e marine italiane. Ma si sa, se “il mare d’inverno è solo un film in bianco e nero visto alla tv”, il lago non è da meno e vederlo d’inverno, o comunque fuori stagione, accompagnati nella passeggiata solo da un’infinita distesa di carrozzoni, lascia un po’ di sconcerto. Per fortuna arriviamo alle mura di Lazise, dove la passeggiata si interrompe temporaneamente, lasciandoci il tempo di riprendere fiato. Superato il nucleo abitato, il percorso riprende per un breve tratto con una pavimentazione dal disegno ipnotico, fino al recente hotel Corte Valier accompagnato da una serie di ville più urbane, alcune recenti, altre degli anni Settanta, gelosamente racchiuse entro i consueti giardini in rigogliosa fioritura primaverile. Finito il tratto pavimentato, la fascia che corre tra il lago e la strada va via via restringendosi; anche qui una serie di ville, qualche intervento contemporaneo – pane per i denti di «AV» – spesso frutto di riammodernamenti di edifici più datati, con esiti che si possono solo intuire perché sempre circondate da lussureggianti giardini inaccessibili. Qualche superstite edificio degli anni Cinquanta e Sessanta, di poco arretrato rispetto al percorso pedonale, testimonia un diverso rapporto col lago: non cancellate o muri di cinta, ma ampie vetrate che condividono

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col passante la veduta del lago. Alla quota della passeggiata si aprono le rimesse per le barche, con i binari di scivolamento degli scafi verso l’acqua. Mentre scende la sera, sembra che in certi tratti il paesaggio abbia ripreso una propria nozione di ordine. Anche il trattamento della superficie della passeggiata, con un modesto e poco appariscente ghiaino lavato, sposta la nostra attenzione finalmente sullo specchio d’acqua e sui suoi colori serali. Ma subito prima del porticciolo di Cisano veniamo investiti da una nuova ondata di bungalow. Questa volta la situazione è ancora più complessa perché si tratta di strutture datate e modeste, per di più issate su tralicci in ferro sul declivio a cui sono abbarbicate a file sovrapposte per garantire una “vista dall’alto” del panorama lacustre. Questa disposizione mette in mostra il lato inferiore delle casette, così che lo sguardo cade sui condotti fognari sconciamente esibiti alla vista dei passanti. Una situazione che porta a interrogarsi sulle autorizzazioni paesaggistiche di insediamenti di questo tipo, in nome di una presunta temporaneità che di fatto non sussi-

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ste, mentre la trasformazione del territorio è profonda e incisiva. Passato il nucleo di Cisano, la passeggiata prosegue ormai parallela alla Gardesana, e la fascia tra le due vie si va sempre più riducendo. Nel mezzo, qualche villa e ancora qualche campeggio, fino a Bardolino dove il percorso pedonale si innesta nel lungolago urbano. Oltre il centro, per un breve tratto il tracciato si arretra per lasciare spazio ad alcuni campeggi a bordo lago, ma poco oltre la vecchia stazione ferroviaria (oggi Circolo per Anziani) riprende il suo andamento sulla costa. L’ultima ondata di campeggi, quelli a nord di Bardolino – che peraltro rappresentano la storia degli insediamenti turistici gardesani – si mostrano più rispondenti alla tradizione di queste strutture, con le piazzole di sosta per tende e roulotte ordinatamente organizzate e chiuse alla vista da siepi, mentre ritornano i canneti sul versante a lago. Da qui fino a Punta San Vigilio il percorso pedonale corre ormai a poche decine di metri dal tracciato della Gardesana, non riservando al passante alcuna insolita scoperta che non sia già sotto

gli occhi dell’automobilista, compresa la fascia delle ville storiche dopo l’abitato di Garda. Non ci resta che volgere lo sguardo al percorso fatto. Risulta evidente come la conformazione geografica del basso lago abbia favorito questo tipo di sfruttamento del territorio, che infatti si ripropone specularmente anche oltre l’abitato di Peschiera verso Sirmione. Sarebbe interessante ricostruire la vicenda urbanistica dei diversi comuni attraversati, per indagare la vicenda paradigmatica di questo sprawl urbano, che ha interessato una tra le aree paesistiche più pregevoli del territorio veronese, e come queste vicende si siano intersecate al più generale tema della concessione ai privati (i gestori di campeggi) di ampie porzioni di bene pubblico (i beni demaniali) all’interno di una programmatica cessione di sovranità dell’ente pubblico a favore del privato. Ma la notte sopraggiunge e rientriamo in città.

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14-15. Due esempi del ristretto numero di interventi degli anni Cinquanta-Sessanta con gli edifici direttamente prospicienti la passeggiata. I binari favoriscono lo scivolamento degli scafi verso l’acqua. 16. Natura morta con pedalò. 17. Tutti i villaggi di bungalow sono dotati di servizi igienici comuni, spesso posizionati infelicemente proprio lungo la passeggiata. 18. La “Nave dei Pirati” mestamente imbragata nel suo sudario invernale.

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Portfolio: la lessinia dipinta di oreste valdinoci

Appartenente alla generazione storica degli architetti veronesi del secondo Novecento, Oreste Valdinoci (1927-2021) ha legato diverse tappe della sua esperienza umana e professionale alla Lessinia. Ne sono testimonianza non solo lavori come il Piano del Parco della Lessinia (1991-92) e il Piano Malghe, da lui redatti, ma anche l’impegno editoriale – con tre volumi dedicati all’architettura del paesaggio e agli insediamenti tradizionali – e un’attività pittorica coltivata con costanza negli anni, attraverso la quale ha insistentemente ritratto scorci di contrade e malghe lessiniche. La sommaria rassegna di opere che presentiamo come omaggio postumo a Oreste Valdinoci – per molti anni Segretario dell’Ordine, e anche Presidente dal 1983 al 1984 – attraversa in maniera trasversale l’intera produzione che ha accompagnato sottotraccia, dal 1965 al 2016, la sua vita professionale e la stagione più matura del riposo, e comprende olii su tavola, acquerelli e disegni a pastello.

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01. Ca’ del Diaolo (Badia Calavena), 1965, olio su tavola. 02. Paesaggio lessinico, 1967, olio su tavola. 03. Contrade, 1966, pastelli su carta. 04. Autunno in Lessinia, 1970, olio su tela. 05. Inverno in Lessinia (Camposilvano), 1980, olio su tela. 06-08. Contrade in Lessinia, 1994, acquerelli su cartoncino.

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09. Contrada in Lessinia orientale, 2003, tempera su carta. 10. Contrada (Lessinia), 2004, acquerello su cartoncino. 11. Contrada (Lessinia), 2006, acquerello su carta. 12. Contrada Zambellini, 2015, olio su tavola.

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13. Contrada Masi, 2015, olio su tela. 14. Contrada Tinazzo, 1995, china su carta. 15. Contrada (Lessinia), 2013, carboncino su carta. 16. Contrada (Lessinia), 1966, pastelli su carta.

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Dal 1890 solidità, utilità, bellezza

LA BACHECA DI AV

Serramenti - Basculanti - Sezionali - Carpenteria

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Residenza privata a Bardolino con serramenti Finstral Un progetto dello Studio Bazerla giardino che guardano verso il paesaggio circostante, andando a creare diverse situazioni spaziali che permettono di vivere in più modi l’abitazione, con particolare sensibilità all’uso degli esterni. è stata rivolta particolare attenzione anche alla sostenibilità dell’edificio, nell’ottica del risparmio e dell’efficienza energetica, perseguendo obiettivi di ottimizzazione delle risorse in un edificio quasi autonomo sotto il profilo energetico e che rispetti l’ambiente. Partner indispensabile alla realizzazione del progetto è stata FINSTRAL per aver saputo rispondere al meglio alle esigenze di linearità, design minimale e risparmio energetico richieste dal progettista. Chi costruisce casa oggi non si accontenta più di scegliere soltanto i materiali edili e i pavimenti. Ognuno vuole dare infatti alla propria abitazione quel tocco di personalità che la rende unica. Questa tendenza riguarda anche la scelta dei serramenti. Per questo Finstral ha sviluppato FIN-Project: un’innovativa serie di finestre e

serramenti in alluminio che offre infinite possibilità di personalizzazione. Un cuore tecnologico e termoisolante in PVC, per il lato interno, che spazia dall’alluminio, al legno, al For-Res, a tutto vetro, ed alluminio sul lato esterno. Con il sistema modulare FIN-Project Finstral ha offerto i migliori valori isolanti e massima libertà nella scelta di tutti i particolari del serramento, dal materiale fino ai colori e alle forme. Perché è grazie a tanti piccoli dettagli che si ottiene un risultato finale perfetto. Prodotti utilizzati - Elementi scorrevoli Fin-slide step-line Alu-Alu - Serramenti FIN-Project Nova-line - Vetri Max Valor/Multiprotect+ Bodysafe spessore 46 e 40 mm - Colore/superficie serramenti: Sablè 894 grigio scuro - Porta entrata Fin Door Planar mod. Style 01 colore interno F906 (grigio brillante), esterno 4006 (porpora traffico) Progetto Geom. Bazerla Christian StudioBazerla | INOLTRE s.r.l. info@inoltre.srl www.inoltre.srl info@studiobazerla.it www.studiobazerla.it +39 045 9583345 Strada delle Giare, 5A - Bardolino (VR)

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LA BACHECA DI AV

La villa è stata progettata per una giovane famiglia e sorge sulla collina di Bardolino, nello splendido scenario del Garda, valorizzando al massimo l’orientamento e la vista sul lago. In questo territorio, sviluppato completamente all’interno del grande anfiteatro morenico del Garda, la morfologia ondulata che degrada con delicatezza verso il lago, consente un clima temperatocontinentale con temperature miti per tutto l’anno. Da qui prende forma una scelta progettuale verso uno stile moderno e, al tempo stesso, attenta agli ombreggiamenti estivi e alle esposizioni solari invernali. Linearità delle forme e trasparenza sono gli elementi caratterizzanti l’involucro, composto da ampie vetrate, protette nella stagione estiva da schermature costituite da brisè soleil in alluminio, che si aprono sul contesto naturale prospiciente. Gli ambienti sono stati suddivisi in modo tradizionale, disponendo la zona giorno al piano terra, in diretta comunicazione col giardino e la loggia aperta, e al piano primo la zona notte, un’ampia terrazza e un tetto

studio finstral verona via giovanni ongaro 5 37135 verona Tel +39 045 583664 www.finstral.com/verona verona@finstral.com

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Etherma Doors pionieri del design e dell’isolamento termico

LA BACHECA DI AV

Etherma Doors è un marchio registrato da Alunova Srl che produce e commercializza porte d’ingresso ad alte prestazioni. Si inserisce nel mercato delle porte blindate di lusso, con una particolare attenzione all’isolamento termico e all’impatto ambientale. Il brand Il nome prescelto per il brand è “Etherma”, non solo per richiamare il risparmio energetico delle porte termoisolanti, ma anche per la somiglianza alla parola “eterna”, con l’obiettivo di indicare la solidità e durevolezza dei prodotti dell’azienda. Proprio come riferimento al fattore tempo, il logo del brand è un simbolo dell’infinito (realizzato come serpentina di uno scambiatore di calore) inserito all’interno di uno scudo, che indica il senso di protezione trasmesso da una porta blindata. La vision Perché c’era la necessità di un nuovo player nel mercato delle porte blindate? A spiegarlo è Michele Gobbi, CEO di Alunova. “Tutto parte da una ricerca di

mercato e da un forte cambiamento in atto nel mondo delle costruzioni. Oggi c’è una grande attenzione verso la riqualificazione energetica degli edifici per ridurre la dispersione di energia nell’ambiente, legata a una serie di iniziative di incentivazione”. “Etherma nasce per colmare un gap – sottolinea Gobbi – offrendo in primis sicurezza ed eternità dei materiali utilizzati, ma anche un concetto di termicità, per permettere alle persone di vivere il proprio ambiente domestico in totale benessere, senza sprechi energetici, e, al tempo stesso, per poter accedere agli ecobonus”. I prodotti Etherma Doors progetta e realizza porte d’ingresso ad alte prestazioni, mettendo al primo posto la qualità dei materiali e l’innovazione tecnologica, offrendo ampia scelta nella personalizzazione e customizzazione del prodotto. “Per noi una porta blindata di qualità deve garantire affidabilità e trasmettere un senso di protezione – afferma Gobbi – dalla scelta del design alle tecnologie di apertura e chiusura di una porta, l’innovazione è sempre al primo posto. I materiali di prima

scelta che utilizziamo, garantiscono solidità e durabilità nel tempo”. Dopo un anno caratterizzato dalla pandemia, durante il quale abbiamo riscoperto l’ambiente domestico in una nuova dimensione, una porta Etherma garantirà sempre alte prestazioni di vivibilità e benessere e una maggiore sicurezza quando si è fuori casa. I cataloghi Attualmente è disponibile sul mercato il catalogo Family, che comprende cinque linee artigianali di qualità superiore per incontrare ogni gusto e sensibilità in fatto di porte d’ingresso, ma sono in arrivo importanti novità. “Lanceremo presto sul mercato altri due cataloghi, Exclusive e Pivot – anticipa Gobbi – che saranno ancor più caratterizzati da ricerca del design, alte prestazioni tecnologiche di apertura e chiusura e materiali extra-lusso”. Gli obiettivi In quale futuro vuole proiettarsi Etherma Doors? “Gli obiettivi del marchio sono molto ambiziosi – afferma Gobbi – da qui ai prossimi anni vogliamo arrivare alla commercializzazione di un migliaio di porte all’anno”. La crescita sarà comunque dettata dalle politiche che verranno applicate. “È vero – conclude il CEO di Alunova – stiamo vivendo nell’era della grande incentivazione e la domanda sarà destinata a sgonfiarsi. Ma quando ciò accadrà, Etherma sarà protagonista di un nuovo mercato consolidato con prodotti che attualmente, almeno per quanto riguarda l’Italia, sono davvero unici”.

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alunova srl via g. amendola 18/20/22 37052 casaleone (VR) Tel +39 0442 38148 www.alunovagroup.com commerciale@ alunovagroup.com

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