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ANCL

Crisi, contorni &dintorni

All’interno dell’assemblea annuale dell’Ancl provinciale dell’11 ottobre 2010 il presidente in carica, il collega Luigino Zanella, ha invitato i presenti a considerazioni personali in merito alla complicata congiuntura economica che stiamo vivendo e di cui il nostro territorio non rappresenta purtroppo eccezione. Al termine del dibattito, assolutamente spontaneo e caratterizzato da interventi a braccio, è stato proposto di elaborare dei pensieri in libertà che contenessero le proprie opinioni. Il collega Danilo Notarnicola, ha accolto l’invito e con il suo intervento inauguriamo la pagina che la rivista dedicherà al sindacato di categoria.

Sono stato invitato a dare un mio parere su cosa potrebbero fare i Consulenti del Lavoro per contribuire alla “soluzione della crisi”. Tema interessante e forse impossibile per le mille concause che l’hanno determinata e perché ognuna di esse ha una propria particolare genesi, evoluzione ed incidenza nella crisi stessa; fare di tutte le erbe un fascio o esaminarne solamente alcuni aspetti non sortirebbe risultati apprezzabili. Il cimento però entusiasma e proverò a dare qualche contributo. Ritengo, e l’ho sostenuto in varie disparate occasioni, che sia utile, prima di proporre, esaminare “cose” ed antefatti che a prima vista possono apparire distanti dal problema: la “grande crisi”, come è stata definita, certamente così ampia da rendere indispensabile una assimilazione ragionata di tutte le sue componenti. P.I.L.. La corrente metodologia di valutazione, previsione e programmazione economica parte dal dato macroeconomico denominato P.I.L. (Prodotto interno lordo); in tutti i documenti di programmazione economica si ipotizza un aumento in percentuale del medesimo rispetto al risultato del periodo precedente: più il P.I.L. aumenta più il paese ha ricchezza disponibile. Da questa impostazione si evince che viene teorizzata la possibilità di una crescita continua ed infinita dell’economia. Ritenendo ciò impossibile si è in parte corretto il tiro indicando come elemento di crescita “continua” non solo il dato quantitativo (che non può essere infinito) ma anche, il dato qualitativo tant’è che si è anche aperto un filone di pensiero che

vorrebbe misurare non solo la “ricchezza” prodotta ma anche la “felicità” della popolazione di riferimento. Debito pubblico. Il debito pubblico entra a gamba tesa nel gioco degli equilibri economico-sociali restringendo il campo di azione (incentivi/disincentivi) dei vari governi. Il problema è stato ampiamente dibattuto e qui giova solamente ricordare, al di là della credibilità della nazione (garanzia di restituzione del debito), quale freno negli interventi ponga il peso degli interessi pagati dallo Stato per rinnovare (rinviare) il proprio (crescente) debito. Globalizzazione-credito. La globalizzazione resa possibile anche dall’enorme aumento della velocità della circolazione delle informazioni ha consentito vendere/acquistare qualunque cosa in ogni istante ed in qualsiasi parte del mondo. Il credito concesso (o millantato se non artatamente ingigantito e nascosto nel suo totale) ha consentito il proliferare di operazioni allo scoperto ed ha solleticato il fervore inventivo di banche e finanzieri; questi ultimi hanno visto la possibilità di enormi guadagni vendendo a caro prezzo il nulla ad una massa di inermi incoscienti (ed avidi) a cui si è fatto balenare l’idea di cospicui immediati guadagni. Scuola-famiglia-società. Il disgregarsi dell’istituzione “famiglia” unitamente ad una scuola progressivamente sempre più distante dalla cultura, una società che ha confuso l’idea di libertà con l’anarchia, sono fattori di disfacimento del tessuto sociale dove il “mio” assurge al “tutto” a discapito di ciò che circonda (e che lo rende possibile!). È sotto gli occhi di tutti la sgangheratezza dei costumi pubblici e privati; tale e tanta è la povertà d’impegno che i valori etici, democratici, morali sono pubblicamente derisi. Non v’è istituzione pubblica che non evidenzi indifferenza ai bisogni reali, che non si nasconda dietro regolamenti ottusi ed invasivi, che nel singolo funzionario non trovi inadeguatezza, inerzia e, o desiderio di scaricarsi qualsiasi responsabilità. La scuola quando semplicemente non forma crea forme di dipendenza “politica” inculcando nelle giovani menti una visione settoriale ben lontana dal pensiero acritico e


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