A memoria. Storia a fumetti di Sesto Fiorentino

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Con il patrocinio di


a memoria Storia a fumetti di Sesto Fiorentino testi: andrea meucci disegni: diletta pasquini

Con approfondimenti ipertestuali tratti dai volumi Tutto quello che avreste sempre voluto sapere su... Sesto di Elena Andreini e Francesca Gambacciani Sesto. Una bella storia di Daniele Niccoli

apice libri


La foto di copertina del Palazzo Comunale è di Piero Cerretelli.

I volumi A memoria. Storia a fumetti di Sesto Fiorentino (10 €) Tutto quello che avreste sempre voluto sapere su... Sesto (10 €) Sesto. Una bella storia (12 €) sono in vendita in libreria e su Amazon

© 2019 «apice libri» di Stefano Rolle - Sesto Fiorentino (fi) isbn

978-88-99176-87-7

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presentazione

Ogni popolo ha sempre tramandato la propria identità attraverso la memoria. Gli antichi greci raccontavano gesta eroiche e valori attraverso le poesie degli aedi, nel Medioevo i trovadori cantavano le gesta dei paladini e, poi, ai grandi poeti i Signori del Rinascimento affidavano il compito di cantare le glorie della città e della famiglia regnante. Con il trascorrere del tempo ogni comunità ha trovato diversi stili e modi per tramandare la propria storia e con essa la propria identità: oggi con questo volume illustrato si vuole raccontare la storia della nostra Città in un modo nuovo, per raggiungere con le immagini una parte di questa comunità che certe storie non le ha mai sentite raccontare dai nonni o dagli anziani. Oggi Sesto Fiorentino è una città variopinta e multiculturale, una città che accoglie persone di varie nazionalità alle quali vuole raccontare le proprie storie, per far conoscere la propria identità e rafforzare in loro il senso di appartenenza a una grande comunità. E allora immagini e parole illuminano di una nuova luce luoghi dove passiamo tutti i giorni, colorano espressioni verbali apparentemente bizzarre e curiose, ci presentano personaggi illustri nella dimensione locale e ci insegnano i valori di lotta e solidarietà che si sono manifestati in questa città quando la Storia è passata per le sue strade. Proprio alle giovani generazioni di sestesi si rivolge il mio invito, affinché la lettura di questo libro sia per loro un arricchimento della conoscenza della storia del proprio territorio e soprattutto l’acquisizione della consapevolezza di far parte di una comunità, con la quale costruire il futuro di questa città. Buon divertimento! silvia bicchi assessora alle politiche educative e all’ambiente del comune di sesto fiorentino

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Guida alla lettura

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* Viene definita “proletariato�, secondo la terminologia del filosofo Karl Marx, la classe sociale dei lavoratori.

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* Tra gli Etruschi era frequente l’uso di venire sepolti con i propri leggendari e magici tesori.

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* Il nome della città, infatti, deriva da sextus ab urbe lapis, ossia “al sesto miglio” dalla città di Firenze.

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* Paolo, fratello di Carlo Lorenzini (il vero nome di Collodi) fu per molti anni direttore della Manifattura Ginori.

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* Celebre quotidiano che pubblicava come supplemento il «Giornale dei bambini», sul quale venne scritto, a puntate, Pinocchio.

Proprio così: nella prima versione della storia, del 1881, la vicenda di Pinocchio si concludeva col burattino impiccato dal Gatto e la Volpe a una quercia. #

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* Esistono studi che legano il personaggio di Sherlock Holmes (creato alla fine dell’Ottocento dallo scrittore inglese Arthur Conan Doyle) a Sesto Fiorentino, in particolare per il racconto l’Avventura della casa vuota. Un busto in bronzo del famoso detective si trova all’interno della Biblioteca “Ernesto Ragioneri” di Sesto.


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* Si trattava di un’organizzazione che faceva parte delle Società Italiane Affratellate, nata con lo scopo di coordinare a livello

nazionale gli sforzi politici degli operai. # “Il Tondo” era l’area ricreativa dei sestesi alla fine dell’Ottocento. Vi era ubicato un circuito, appunto “il Tondo”, dove si correvano le corse dei cavalli e quelle con i velocipedi.


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* Le Cooperative sono Società nella quale sono gli stessi soci e lavoratori a gestire in comune un’azienda, secondo principi di solidarietà , mutualità e democrazia, senza sottostare alla figura di un imprenditore.

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 * Il malessere sociale del 1898 era diffuso in buona parte dell’Italia: c’erano state molte manifestazioni, soprattutto contro l’aumento del prezzo del pane. La destra liberale temeva un’ascesa del socialismo e il governo di destra di Antonio di Rudinì cercava con ogni sforzo di eliminare gli estremismi che potessero mettere in pericolo la “normalità statutaria” del Paese. # Le trecciaiole lavoravano la paglia in lunghe trecce che servivano alla fabbricazione di cappelli.


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* Dopo l’assassinio per mano di un attentatore serbo di Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria, le aspirazioni imperialistiche delle nazioni europee esplosero con violenza nella guerra durata dal 1914 al 1918, che innescò una serie di alleanze e di rivendicazioni territoriali, concludendosi con la sconfitta degli “Imperi centrali” come la Germania, che fu l’ultima a deporre le armi.


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* Nel 1919-20 c’era stato il cosidetto “biennio rosso”, in cui in tutta Italia gli operai avevano manifestato, scioperato e occupato le fabbriche, incoraggiati dalla Rivoluzione comunista russa del 1917. I successi ottenuti in campo politico dai socialisti provocarono la reazione degli avversari: presto i moti furono repressi con forza in tutto il Paese e il fascismo stesso si pose in prima fila contro il “pericolo rosso”.


* Benito Mussolini, dopo aver militato nel Partito Socialista, fu il fondatore del Partito Nazionale Fascista.

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* Segretario federale fascista di Firenze e ispettore toscano dei Fasci regionali, responsabile di molte violente azioni squadriste, fra le quali quella del febbraio 1921 in cui rimase ucciso il sindacalista fiorentino Spartaco Lavagnini.

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* Speme = speranza.

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* Anche per il malcontento seguito alle pesanti sanzioni economiche inflitte dai vincitori della Prima guerra mondiale alla Germania, il popolo tedesco aveva permesso l’ascesa al potere di Adolf Hitler e del Partito nazista, le cui mire espansionistiche e di dominio ideologico e razziale dettero inizio a un conflitto tra la Germania (e le altre forze dell’Asse) e le principali nazioni democratiche (gli Alleati). # Una staffetta faceva da collegamento tra le varie formazioni armate, permettendo la trasmissione di ordini e la distribuzione di beni alimentari, medicine e armi.


* Radio Cora era una radio clandestina, che coordinò i partigiani della Resistenza toscana con i comandi degli Alleati. #

CLN = Comitato di Liberazione Nazionale, organizzazione che coordinò e diresse la Resistenza in Italia.

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* la mattina dell’8 febbraio 1944 un gruppo di bambini guidati dal giovane chierico Teofilo tezze, di rientro dalla scuola dopo un allarme aereo, furono investiti dall’esplosione delle bombe sganciate in quel luogo, per errore, dagli aerei alleati nei pressi del “Collegino”, i locali dove la marchesa Gerini ospitava alcune famiglie di indigenti. Morirono ventitré bambini e Teofilo.


* GAP = Gruppi di Azione Patriottica, ovvero piccoli gruppi di partigiani che si occupavano di isolate azioni alleate, nati per inziativa del Partito Comubnista Italiano.

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Da: Sesto. Una bella storia

La fiera e il mercato Nel 1822 fu inoltrata al Granduca di Toscana la richiesta di istituzione, nel popolo di Sesto, di una fiera annuale da tenersi il 29 agosto in occasione della Decollazione di Giovanni Battista. La festa può considerarsi la progenitrice dell’attuale fiera che si tiene fra la fine d’agosto e i primi di settembre. All’inizio fu soprattutto una fiera del bestiame e dei prodotti agricoli, con i sensali pronti a facilitare le contrattazioni tra venditori e acquirenti. Secondo un documento dell’Archivio del Comune di Sesto, già nel 1872 la Fiera non era più solo la sede del commercio di grasce, mercerie e bestiame, ma rappresentava anche un momento di divertimento e socializzazione che prevedeva la corsa dei cavalli sciolti lungo la via Vittorio Emanuele e la corsa dei velocipedisti in costume. Significativo il fatto che già in quella domenica di settembre del 1872 fosse prevista la tombola pubblica in piazza del Municipio, intervallata da concerti musicali e seguita da uno spettacolo di “fuochi d’artifizio”. Insieme alla richiesta della fiera annuale, al granduca di Toscana fu inoltrata la richiesta, poi accettata, per un mercato settimanale che trovò collocazione prima in piazza della Chiesa, poi nell’attuale piazza IV novembre e quindi, dopo lo spostamento del cimitero, nell’attuale piazza del Mercato. Con la creazione, nel secondo dopoguerra, di piazza Spartaco Lavagnini, il mercato di Sesto si è allargato e ha assunto le attuali dimensioni.

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Da: Sesto. Una bella storia

Il fiume dei morti “Il primo monumento dell’architettura fiorentina”, così il professor Giacomo Caputo definì la tomba etrusca della Montagnola. Fu lui, alla fine degli anni ’50 a occuparsi, degli scavi che portarono all’identificazione dell’importante reperto archeologico. Fin dall’Ottocento numerosi archeologi avevano ipotizzato che il tumolo che si trova a Quinto in prossimità del torrente Zambra (che in lingua etrusca significa “fiume dei morti”) potesse essere una tomba etrusca. A favore dell’ipotesi giocava anche il rinvenimento, poco più a sud, della tomba della Mula e di quella del giardino di villa Torrigiani poi andata distrutta. All’inizio del 1959 i ricercatori, dopo aver constato il carattere artificiale della collinetta, iniziarono la ricerca dell’ingresso. Il 3 luglio finalmente riuscirono a penetrare nella tomba attraverso un’apertura probabilmente praticata da antichi tombaroli. Una volta dentro procedettero a ritroso per individuare il vero ingresso. Dopo aver rimosso circa 120 cm di terra e sassi utilizzati al momento della chiusura, realizzarono che la tomba era costituita da tre camere. Due rettangolari e una circolare (tholos) caratterizzata da un pilastro centrale che ha un valore esclusivamente ornamentale visto che la tomba si regge grazie a un perfetto sistema di contrappesi.

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Da: Sesto. Una bella storia

Il paese dei balocchi Ti mando questa bambinata, fanne quel che ti pare; ma se la stampi pagamela bene per farmi venir la voglia di seguitarla.

Queste le parole con cui Carlo Lorenzini, detto Collodi, accompagnò un suo contributo al «Giornale dei Bambini» diretto da Ferdinando Martini. Quella “bambinata” prese il nome Le avventure di Pinocchio e fu pubblicata per la prima volta il 7 luglio 1881. C’era una volta un re – direte miei cari bambini. E invece no. C’era una volta un pezzo di legno...

È così che si apre il libro poi diventato uno dei più famosi tra quelli dedicati all’infanzia. Così celebre da essere tradotto in più di 250 lingue. Secondo solo a Il piccolo Principe, di Antoine de Saint-Exupéry. Si può ben dire che, com’era nei propositi dichiarati nel secondo capitolo, Geppetto, il padre di Pinocchio, abbia fatto veramente il giro del mondo. Pinocchio quindi è universale; ma dov’è nato realmente? Molte sono le città che tentano di accaparrarsi l’onore della sua nascita. Prima fra tutte, Collodi, in considerazione dello pseudonimo dello scrittore. A San Martino in Colle, nel territorio di Capannori, sono convinti di possedere la quercia dove il burattino fu impiccato dal Gatto e la Volpe. A San Miniato Basso ricordano che cento anni fa il paese si chiamava proprio Pinocchio. Dove sta la verità? Solo nella mente del Lorenzini, ovviamente. Qualche considerazione però si può fare: Carlo Lorenzini nacque a Firenze in via Taddea, studiò a Firenze e, sempre nel capoluogo toscano, svolse la sua attività di giornalista e scrittore. - 11 -


Pinocchio è quindi di Firenze? No! Carlo Lorenzini, negli ultimi anni della sua vita, abitò, insieme alla famiglia del fratello, in via della Petraia a Castello nella villa Il Bel Riposo. Nel 1871 Castello era parte del territorio del comune di Sesto Fiorentino. Conclusione: Pinocchio è sestese? Nessuna certezza assoluta, solo qualche valutazione: – Nella stessa via della Petraia esisteva un falegname che per il suo naso rosso era detto i’Nappa e poteva ricordare Mastro Ciliegia. – Il paese dei barbagianni poteva essere benissimo quella Colonnata sede della Manifattura Ginori, da cui gli operai uscivano belli grigi dopo una giornata di lavoro. E chi era il direttore della Manifattura in quei tempi? Paolo Lorenzini, il fratello di Carlo. – A Sesto, in piazza del Comune, si svolgeva la Fiera. Sbagliato pensare che fosse il paese dei balocchi? Oppure poteva esserlo il sagrato della Castellina il giorno della festa di San Giovanni con Patano, storico fiaccheraio sestese, nei panni dell’omino di burro. – E quell’immenso acquitrino che si trovava all’Osmannoro non poteva essere il mare di Pinocchio? – La fata Turchina? Pare fosse Giovanna Ragionieri, la piccola figlia del giardiniere di villa “Bel Riposo”, morta negli anni ’50 del secolo scorso e oggi sepolta nel cimitero di San Michele a Castello. Molto altro si potrebbe dire circa il campo dei miracoli (villa Gerini), l’osteria del Gambero Rosso in via delle Porcellane o sull’ortolano Giangio, veramente esistito, per definire la sestesità del burattino, ma in fondo non importa, perché Pinocchio, come tutti i personaggi di fantasia, è cittadino del mondo e appartiene a tutti. Piuttosto mi chiedo se Pinocchio è solo l’impenitente e irriverente burattino famoso per le sue bugie o qualcosa di più e di diverso. Io per esempio lo vedo come un rivoluzionario pentito. Nasce povero e diverso (è di legno). Ha un padre anziano e sin- 12 -


gle; nella seconda metà dell’Ottocento, ai tempi di Pio IX, doveva essere un fatto assolutamente al di fuori delle regole. Già questo potrebbe fare di Pinocchio l’icona dei reietti. Ma non basta. Appena nato, il burattino abbandona la famiglia (Geppetto), si prende gioco del potere costituito (passa in mezzo alle gambe dei carabinieri in uniforme), rifiuta la scuola e le sue regole (vende l’abbecedario); ignora i consigli “sensati” di quell’antipatico ben pensante del Grillo Parlante e infine si intruppa con dei mascalzoni come il Gatto e la Volpe. La parabola del burattino ingenuo e dispettoso si sarebbe dovuta concludere con l’impiccagione (quindicesimo episodio), ma le numerose proteste che arrivarono al direttore e all’autore convinsero Collodi a continuare la storia. Così dopo aver continuato con le brutte compagnie (Lucignolo), finalmente Pinocchio si trasforma in un bel bambino educato, giudizioso, accettabile e controllabile. Così integrato e perfetto da accettare tutte quelle regole che aveva precedentemente trasgredito: Com’ero buffo quand’ero burattino e come ora sono contento di essere diventato un ragazzino perbene.

Pinocchio, diventato bambino, perde tutto il suo spirito rivoluzionario e non ha più niente da raccontarci e da insegnarci. Non a caso il libro termina con il bambino nuovo che guarda con commiserazione il vecchio burattino: Appoggiato alla seggiola, col capo girato su una parte, con le braccia ciondoloni e con le gambe incrocicchiate e ripiegate a mezzo, da parere un miracolo se stava ritto.

Eppure, in un mondo ipocrita dove i ricchi e potenti fanno finta di piangere per le miserie altrui, avremmo ancora tanto bisogno di quel burattino così bravo a ridere, e a farci ridere anche per la sua povertà: Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina.

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Da: Sesto. Una bella storia

Il Ricciolone e la Manifattura Nacque a Firenze il 7 gennaio 1702 e morì a Livorno, ma è stato uno dei cittadini più importanti di Sesto. Con l’idea, del 1735, di impiantare nella villa Le Corti, appena acquistata dai Buondelmonti, una Manifattura per la produzione della porcellana, ha drasticamente cambiato il destino della nostra città. Carlo Ginori è vissuto nel periodo in cui il granducato di Toscana è passato dalle mani dei Medici a quelle dei Lorena. Era uno degli uomini più in vista di Firenze e, dopo la morte di Gian Gastone de’ Medici, fece parte del Consiglio di Reggenza che governava la Toscana. Nel 1737, durante un viaggio diplomatico a Vienna per rendere omaggio al nuovo granduca Francesco Stefano, prese contatto con Claudius Innocentius Du Paquier, il fondatore della Manifattura di porcellane di Vienna. Per il suo ambizioso progetto, il marchese Ginori aveva infatti bisogno dei preziosi consigli di un esperto. All’epoca in Europa esistevano solo due industrie di porcellana, quella di Vienna e quella di Meissen, e la ricetta per la sua realizzazione era ancora un segreto ben custodito. Fu solo grazie alle sue eccezionali doti diplomatiche che il Marchese Ginori riuscì ad avere le informazioni necessarie all’avviamento delle attività della Manifattura e a procurarsi le maestranze specializzate indispensabili per la buona riuscita del progetto. Portò a Sesto maestri pittori con l’intento di insegnare ai giovani operai l’arte della decorazione che, da allora, è stata trasmessa da una generazione all’altra. I primi due “acquisti” furono Carlo Wendelin Anreiter, decoratore, e Giorgio delle Torri, fornaciaio. A Sesto furono subito ribattezzati come i “due alemanni”. Al secondo subentrò, qualche anno più tardi, Jacopo Fanciullacci, primo rappresentante di una famiglia contadina sestese destinata ad avere un ruolo dirigenziale all’interno della Manifattura. Grazie alle sue doti diplomatiche, il marchese Ginori riuscì anche ad avere la concessione, da parte del Granduca, per l’importazione del caolino, la materia prima necessaria per la produ- 23 -


zione della porcellana. Il trasporto del prezioso e indispensabile materiale fino alla Manifattura era costoso, complicato e richiedeva molto tempo. Fu necessaria tutta l’ostinazione del Marchese per superare le difficoltà. Il caolino, proveniente da Vienna e dal Veneto, veniva imbarcato a Venezia su navi che circumnavigavano l’Italia risalendo il Tirreno fino a Livorno. Da lì veniva caricato su imbarcazioni fluviali adatte a risalire l’Arno fino a Signa. L’ultimo tratto, infine, era affidato a barrocci e animali da soma. Un’operazione complicata ma che decise il futuro di Doccia, Colonnata e di tutta Sesto. L’opera di Carlo Ginori a Sesto non si limitò a questo. Il giardino della sua villa di Doccia fu trasformato in un rinomato orto botanico anche grazie all’opera del giardiniere bavarese Ulrich Prugger, un altro degli “acquisti viennesi” del marchese. Nel 1739 dotò la villa di una serra, dove coltivò un centinaio di diverse piante esotiche tra le quali, ananas, vaniglia, caffè, tè e papaia. Possedeva più di duecento piante di agrumi e il suo giardino era ricco di garofani, ranuncoli, giacinti, narcisi, iris e tulipani di ogni varietà. Con l’idea di allestire una fabbrica di scialli fece pervenire dalla Turchia anche numerose capre d’Angora. Carlo Ginori fu insomma un uomo molto intraprendente e di grande conoscenza. Avrebbe potuto fare molto di più, anche per Sesto, se le sue idee politiche non lo avessero portato allo scontro con il conte di Richecourt, l’uomo più potente di Firenze e, di fatto, reggente al posto del granduca Francesco Stefano. Con tardivo riconoscimento, nel 1935 i sestesi gli dedicarono una statua, poi rimossa, sulla piazza Ginori. Il Marchese era raffigurato con la tipica parrucca settecentesca e per questo i sestesi lo ribattezzarono il Ricciolone.

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Da: Sesto. Una bella storia

Il Tondo In un’epoca in cui neanche a Firenze esisteva un ippodromo per il trotto, Sesto si dotò di una struttura per le corse dei cavalli sì a fantino, sì a sedioli.

L’impianto fu costruito nella zona dove oggi si trova piazza Edmondo De Amicis, non a caso definita dai sestesi “i’Tondo”. L’impianto misurava 500 metri e fu inaugurato il 28 agosto 1890, in occasione della fiera. Pare che all’evento fossero presenti circa 4.000 persone. Promotore dell’iniziativa fu il proprietario di un allevamento di cavalli a San Donato in collina, tal Giorgio Fossi. L’anno d’oro dell’ippodromo fu il 1893. In quell’anno si svolsero a Sesto anche alcune competizioni internazionali. Già dall’anno successivo iniziarono però le difficoltà. La coincidenza delle date con Bergamo, Rimini e Napoli e, soprattutto, l’inaugurazione dell’ippodromo delle Mulina alle Cascine, ne decretarono il declino. Nel 1896 il Tondo fu modificato per ospitare corse ciclistiche, ma questo sport ancora non attirava grandi folle e così dall’anno successivo fu utilizzato solo per qualche festa. Dopo anni di decadenza il 9 luglio 1905 l’Amministrazione comunale decise di acquistare i terreni, circa 24 mila metri quadrati, per la cifra di 20 mila lire. L’area fu affidata alla cooperativa Rimaggio che la utilizzò per la costruzione di case popolari. L’accordo prevedeva anche che 6.800 di questi metri quadri fossero utilizzati per la scuola elementare. I lavori per la realizzazione dell’edificio scolastico, progettato dall’ingegner Ettore Granchi, iniziarono l’11 novembre 1909 e furono completati il 4 agosto 1914.

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Da: Sesto. Una bella storia

Il maestro A vent’anni dall’unificazione nazionale, Sesto era ancora un paese che non aveva sperimentato lo scontro sociale. Un mondo ovattato e compassato in cui vigeva la pace sociale imposta dal marchese Ginori e in cui le uniche attività associative, soprattutto le Società di Mutuo Soccorso, erano controllate dalla borghesia liberale. A smuovere le acque furono i trasferimenti a Sesto, per motivi di lavoro, di tre professionisti di chiare idee repubblicane: il pretore Ulisse Tanganelli, il chimico della manifattura di Doccia, Giuseppe Soldaini e, soprattutto, il maestro elementare Ferruccio Orsi. Orsi era un convinto mazziniano chiamato a insegnare nella scuola di Sesto nel 1878. Con le sue idee e con il suo fare battagliero riuscì a dare vigore al collegio sestese della Fratellanza Artigiana e contribuì a diffondere le idee che prepararono il terreno al socialismo. Anche grazie alla sua attività nel 1891 furono fondate le cooperative di consumo di Sesto, Querceto e Quinto Alto. Una volta nominato direttore didattico delle scuole del comune, si mise subito in contrasto con la Giunta cui rimproverava l’esiguità degli stanziamenti per le spese della pubblica istruzione. Riuscì ad avvicinare alle idee repubblicane giovani della media e piccola borghesia, gli stessi che qualche anno dopo sarebbero stati i primi dirigenti del Partito socialista sestese: Emilio Checcherini, Alfredo Contini, Carlo Catanzaro e Pilade Biondi. Orsi insegnò a Sesto Fiorentino per sedici anni, fino al 1893, e si distinse, oltre che per le sue qualità di agitatore sociale, anche per le capacità di scrittore e poeta. La prefazione, scritta da lui stesso, del volumetto di poesie Stonature, ci dà un’idea del profilo del personaggio, anche in questo caso polemico nei confronti dei componenti del consiglio comunale: Ho parecchi difetti (È vero moderatissimi e piissimi padri del Consiglio?) quello tra gli altri di vestirmi un po’ all’antica e di viaggiar troppo fra le nuvole. Confesso però che nel segreto del mio cuore ringrazio il Cielo d’avermelo dato quest’ultimo difetto perché dav- 63 -


vero, quando richiamato dai campi della fantasia ridiscendo in terra non ho punto da compiacermi della realtà che mi circonda.

Lo scontro tra il maestro Orsi e la Giunta comunale si inasprì nel 1891 a seguito di una conferenza che Orsi tenne in occasione delle elezioni amministrative e che provocò il licenziamento dell’esponente repubblicano. Il provvedimento rientrava nel programma di politica repressiva che gli esponenti del potere locale adottarono nel tentativo di soffocare il dissenso. Nello stesso periodo, e per gli stessi motivi, il pretore Tanganelli fu trasferito a Siena e il chimico Soldaini a Napoli. Il seme però aveva già attecchito. Ne sono prova i risultati delle elezioni amministrative del 1889 che videro protagonista la Fratellanza Artigiana, in grado di conquistare circa cinquecento voti e di far eleggere cinque candidati che andarono a comporre un gruppo di minoranza in consiglio comunale. Contemporaneamente sul territorio nacquero ben quattro cooperative, Colonnata, Sesto, Querceto e Quinto Alto, che negli anni successivi avrebbero svolto un ruolo fondamentale per l’affermazione del partito socialista. La parabola politica del maestro Orsi volgeva però al termine. I sestesi avevano imparato così bene le sue lezioni che impressero una spinta operaistica al movimento sestese che il maestro non condivise. Nuovi protagonisti si stavano affacciando sulla scena politica del paese.

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Da: Tutto quello che avreste sempre voluto sapere su... Sesto

Il primo sciopero femminile fu nella Piana: a guidarlo le trecciaiole Fu una delle manifestazioni più grandi dell’Ottocento italiano, e forse il primo movimento femminile nel nostro paese. Fu lo sciopero delle trecciaiole, nel maggio 1896, a vedere le donne in sciopero scendere in strada e rivendicare i propri diritti al grido di “pane e lavoro”, cercando di bloccare l’allora importante industria della paglia anche con azioni di forza. Tutto ebbe inizio il 15 maggio del 1896, secondo alcuni cronisti tra Brozzi e San Donnino, secondo altri a Signa o a Quarrata: quel che è certo è che le trecciaiole dichiararono uno sciopero che in breve tempo si allargò in tutti i 63 Comuni della provincia di Firenze, facendo esplodere l’intero comprensorio della paglia. Ma quali furono le cause? Innanzitutto in quegli anni nella Piana, come nel resto d’Italia, i mutamenti dei metodi di produzione e alcuni anni di carestia portarono una parte consistente dei lavoratori ad abbandonare i campi per cercare impiego nell’industria e nella manifattura. Questo fu anche per le donne: figlie e mogli di contadini e mezzadri si offrivano di “fare la treccia”, arrivando a ben 85.558 trecciaiole nella Provincia nel 1895. Circa un terzo aveva meno di 15 anni. Ovviamente l’aumento del bacino di lavoratrici disponibili fece abbassare il livello delle paghe. A questo andò a sommarsi la crisi generale dell’industria della paglia fiorentina. Fino a pochi decenni prima il cappello di paglia di Firenze aveva dominato il mercato internazionale, ma in quegli anni – ironia dei corsi e ricorsi storici – si era trovato in difficoltà per la concorrenza… dei cinesi. Sì, anche - 69 -


allora l’importazione dall’estremo oriente creava problemi, così come la concorrenza della manodopera a minor costo. La concorrenza poi spingeva a doversi inventare sempre qualcosa di nuovo: i “fattorini”, gli intermediari tra i padroni committenti e le trecciaiole, premevano per “trecce fantasia” e prodotti sempre più elaborati. Quello che era un “lavoretto domestico”, qualcosa che poteva esser fatto a casa mentre si sfaccendava e si guardavano i bambini, o per strada, mentre si camminava e si chiacchierava, diventò un lavoro di precisione, più faticoso e simile ai processi di produzione industriale. Si lavorava al chiuso tutto il giorno, spesso in locali poco illuminati e insalubri. Mentre le paghe continuavano ad abbassarsi; erano il 50% o 75% in meno rispetto a 10 anni prima, si arrivò a pagare 10-20 centesimi al giorno, salari talmente bassi che non permettevano nemmeno l’acquisto di mezzo chilo di pane. Una paga da fame nel vero senso dell’espressione. Ma organizzarsi in sciopero era per le donne difficilissimo perché al timore del padrone si sommava spesso l’ostilità dei mariti e padri che non accettavano che la propria moglie o figlia scendesse in strada a protestare. Di fronte al peggiorare della propria condizione però si arriva al punto di non ritorno. Tra il 15 e il 16 maggio tantissimi nuclei di lavoratrici incrociarono le braccia, lasciarono a terra le trecce di paglia destinate a dar vita ai famosi cappelli fiorentini, si riunirono in piazza e nelle strade chiedendo pane, diritti e un salario adeguato. La piana, da Pistoia a Firenze, fu sconvolta dal tumulto delle donne in sciopero. Persone umili, molto spesso analfabete, abituate a stare in casa, che d’improvviso rivelarono una forza che non si poteva ignorare, e che arrivò anche a manifestazioni violente. “Barrocci” di fattorini pieni di trecce vennero ribaltati - 70 -


e dati alle fiamme, si registrarono conflitti con le forze dell’ordine, addirittura vennero bloccati e saccheggiati i tram a vapore per Firenze. Le donne, in tutta la piana, cercarono di bloccare la produzione nelle fabbriche, invitarono gli operai allo sciopero; a Sesto dovettero intervenire i carabinieri a cavallo mentre un corteo di donne e ragazzini sfondava le vetrine dei fabbricanti a sassate e chiamava alla protesta gli operai della Ginori. Intanto venne fatto circolare un volantino che invitava non soltanto tutte le trecciaiole, ma tutti gli operai a unirsi “contro i capitalisti”. Sempre a Sesto, con l’aiuto delle trecciaiole agguerritissime di Signa, venne circondato il palazzo del Municipio, e solo le promesse di aumenti salariali fatte dalla Camera di Commercio di Firenze in rappresentanza dei fattorini e dei negozianti, annunciate dal Prefetto, riuscirono a calmare per il momento le donne. Per questo episodio dieci trecciaiole furono arrestate e sottoposte a giudizio per “eccitamento allo sciopero”, e condannate a pene varianti da 7 a 42 giorni di reclusione; diverse altre donne furono arrestate in tutta la provincia. Ebbero però un avvocato difensore d’eccezione: Giuseppe Pescetti, proprio lui, il futuro deputato socialista (e quello della statua che da Sesto indica Monte Morello) che lavorò gratis per difendere le “buone trecciaiole” e le incitava intanto a unirsi alla Camera del Lavoro di Firenze. Le proteste continuarono per diversi mesi: la questione arrivò ai vari livelli istituzionali dove furono istituite commissioni d’inchiesta, ci furono dibattiti in Parlamento e titoli sulle colonne dei principali periodici del tempo. Vennero bloccate delle fabbriche, e le donne entrarono nelle stanze per accertarsi che nessun “crumiro” continuasse il lavoro; i gendarmi, i fabbricanti e i fattorini incontrati per strada venivano insultati e provocati al grido - 71 -


di “boia!”. Ancora a settembre un corteo di donne partito da Signa, e accresciutosi strada facendo, arrivò a Lastra provocando tumulti che costrinsero alla chiusura la celebre fabbrica Santini. Per l’industria della paglia la crisi verrà definitivamente superata ai primi del Novecento, con la ripresa di domanda per il “cappello di paglia di Firenze”, e l’affermarsi del distretto della paglia nella zona del signese – un distretto che ha continuato a essere produttivo fino agli anni ’50 e oggi raccontato dal Museo della Paglia e dell’Intreccio di Signa. Per le trecciaiole però già tutto è cambiato; nel corso del 1896 si vanno costituendo le prime cooperative e società di mutuo soccorso, che in ogni paese dell’area contano diverse centinaia se non migliaia di iscritte (addirittura 800 a Scandicci, 1.200 a Sesto), e che andranno a costituire il primo tessuto di aggregazione politico femminile e popolare. In un’epoca dove solo una minoranza (e maschile) aveva diritto al voto nel nostro paese, la rivolta delle trecciaiole fu un evento storico che dimostrò la forza delle donne, anche le più umili, non solo come mogli e madri ma anche come cittadine e lavoratrici. F. G. Francesca Gambacciani, 6 maggio 2015

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Pescetti e l’indice verso Morello Almeno di nome, a dire il vero, è piuttosto conosciuto: Giuseppe Pescetti ha a lui una scuola intitolata, la media Pescetti appunto, e un busto di bronzo in largo Cinque Maggio – che spesso si trova, suo malgrado, a reggere in mano un gelato. Ma quanti sestesi conoscono la storia di questo personaggio? Sebbene non sia nato a Sesto ma a Castelnuovo Berardenga – provincia di Siena – nel 1859, la sua storia è strettamente legata a quella del comune sestese. Laureato in giurisprudenza, avvocato, fu inizialmente repubblicano e nel 1885 creò un’associazione in difesa dei diritti del fanciullo. Ma proprio per via di questa esperienza, che lo portò a contatto con tante condizioni di miseria, maturò una diversa coscienza politica; fu tra i promotori della Camera del Lavoro, e in seguito fra i sostenitori della Lega Socialista Fiorentina.

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Già consigliere comunale a Firenze, nel 1897 fu protagonista a Sesto di una svolta “storica”: candidato alle politiche, riuscì a ottenere più voti del candidato conservatore uscente, il marchese Carlo Ginori, diventando il primo deputato socialista toscano. In occasione di moti popolari, come quello (appunto) del maggio 1898 o il grande sciopero delle trecciaiole, si interessò della vicenda in difesa dei popolani arrestati, offrendo anche il suo apporto professionale di avvocato gratuitamente. Fu deputato fino alla sua morte, a Firenze nel 1924. Tra le questioni di cui si interessò, oltre ai temi sociali in difesa delle classi meno abbienti e soprattutto dei ragazzini, si ricordano la posa della prima pietra della Biblioteca Nazionale a Firenze e il rimboschimento di Monte Morello. La montagna aveva infatti fino agli inizi del ’900 un aspetto in gran parte brullo, simile alla Calvana; fu per iniziativa del Pescetti che si procedette a ripiantare gli albere e oggi le colline sono coperte da boschi. È questo il motivo per cui la sua statua, in largo Cinque Maggio, ha un braccio piegato e una mano che indica a sinistra, verso i monti. Qualcuno per favore lo dica ai buontemponi clienti della vicina yogurteria, che ogni tanto gli lasciano in mano un bicchierino. F. G.

Francesca Gambacciani, 20 settembre 2014

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Odoardo, Anilina, Raffaello e Delio: i 4 morti del 5 maggio “Ei fu siccome immobile…”. Per molti, dire 5 maggio significa riferirsi alla celeberrima poesia di Manzoni, dedicata alla morte di Napoleone il 5 maggio 1821. Eppure, a Sesto Fiorentino, il 5 maggio è la ricorrenza di un’altra giornata particolare, commemorata fra l’altro dalla nuova saletta consiliare (“Saletta 5 maggio” appunto) recentemente costruita accanto al Comune, nonché dalla piazzetta “Largo 5 maggio” posta sull’altro lato. Era la primavera del 1898 e in tutta Italia divampavano le proteste popolari per la tassa sul macinato. Il prezzo del pane aveva subito un aumento del 30% e oltre, per ragioni politiche internazionali, per la scarsa annata agricola e soprattutto per l’alto dazio imposto al consumo. Il monarca e il governo reazionario, incapaci di gestire altrimenti la questione, decisero di puntare sulla repressione, ponendo intere città e aree del paese sotto lo stato d’assedio: Napoli, Firenze, Livorno, Pisa, Spezia, Messina, Milano. La sospensione delle garanzie costituzionali e il potere in mano militare condussero in quelle giornate a vere stragi; emblematico è rimasto il cannoneggiamento della folla di civili da parte del generale Bava Beccaris a Milano. Anche Sesto Fiorentino pagò il suo tributo di sangue. Scrive lo storico Ernesto Ragionieri: “La mattina del 4 maggio 1898 il pane aumentò ancora di tre centesimi, e questa fu la proverbiale goccia che dette inizio alle manifestazioni di piazza con tentativi di assalto ai forni. La mattina del 5 circa seicento donne, e ragazzini, tornarono in piazza “costringendo il sindaco a indire per il pomeriggio una riunione di fornai, mentre da Firenze e da Prato cominciarono ad affluire - 51 -


rinforzi di carabinieri e di agenti di pubblica sicurezza”. Chiedevano “il lavoro e il rinvilio [ribasso del prezzo] del pane a meno di 30 centesimi il chilo”. Nel tardo pomeriggio “alla folla delle dimostranti si aggiunsero gli operai che ritornavano dalla Manifattura di Doccia. La giornata ebbe un epilogo tragico: si sparò sulla folla di dimostranti”. Morirono in seguito alle ferite di arma da fuoco Odoardo Parigi, ventenne, operaio nella Manifattura Ginori; Anilina Banchelli, vedova con una figlia ventenne, il mugnaio Raffaello Mannini di Colonnata, padre di quattro bambini; il piccolo Delio Contini, di 9 anni, figlio di un macchinista delle ferrovie. Pare che molti feriti fossero stati colpiti alla schiena, segno che si era sparato deliberatamente e con ferocia. La memoria di quella giornata, oltre che nel libro di Ernesto Ragionieri Storia di un Comune socialista, è stata commemorata da svariate pubblicazioni anche recenti, oltre che nella lapide posta in Largo 5 maggio. Lapide che, rimossa in epoca fascista, fu poi risistemata. Una curiosità: quando due anni più tardi, il 29 luglio 1900, l’anarchico Gaetano Bresci uccise a Monza il re Umberto I, tra i morti che intendeva vendicare indicò espressamente anche i quattro di piazza del Comune a Sesto. Francesca Gambacciani, 25 settembre 2014

F. G.

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La caduta del Comune Rosso Altro che sfiducia e commissariamento. Senza nulla togliere alla profonda crisi politica e istituzionale che ha segnato il Comune nei tempi recenti di Sara Biagiotti, non può non venire in mente il paragone con quella che fu “la caduta del Comune Rosso” nel 1922, così come la raccontò lo storico Ernesto Ragionieri. Una storia dai toni ben più drammatici, che invita a moderare adesso i termini visto che – per quanto sia aspro e acceso il confronto politico – siamo per fortuna in democrazia e certi modi davvero fascisti, dittatoriali, e certi colpi di mano sono soltanto un ricordo. È il 1921 quando il conflitto politico presente in Italia sin dalla fine della guerra si inasprisce duramente, con la nascita da un lato del Partito comunista, che fin da subito trova iscritti e si costituisce in sezioni anche a Sesto, ottenendo buoni risultati elettorali (il primo partito rimane però nel Comune il Partito socialista); dall’altro lato con l’intensificarsi delle spedizioni punitive fasciste che dal marzo dilagano per tutta la provincia. Non c’è da scordare che siamo a un anno e diversi mesi prima della marcia su Roma e del colpo di Stato mussoliniano, e ribadirlo serve a sottolineare quanto le autorità italiane anche da queste parti avallassero di fatto le illegali violenze fasciste. In barba allo Statuto Albertino, e a ogni principio di legalità e democrazia, le forze dell’ordine chiudevano volentieri un occhio e spesso anche tutti e due di fronte a spedizioni violente di gruppi di uomini in molti casi armati, in formazioni paramilitari, che di fatto aggredivano e spesso uccidevano gli avversari politici. Nel febbraio l’uccisione a colpi di pistola di Spartaco Lavagnini in via Taddea a - 81 -


Firenze; poi, come si legge in un giornale dell’epoca («Il Comunista» del 21 ottobre 1921): Ogni giorno, dal quartiere generale dell’esercito bianco, da Firenze, partono camion carichi di giovani armati, muniti dell’elmetto d’acciaio, forniti di benzina e di bombe incendiarie. […] Nei paesi i camion portano il terrore. Scortati da autoblindate, seguiti dai carabinieri e dalle guardie regie gli uomini di Perrone invadono le sedi operaie, le abitazioni private, estorcono dichiarazioni, proclamano ostracismi nelle amministrazioni elette dal popolo, esiliano i capi dei sindacati, bastonano gli operai e se v’è un simulacro di resistenza uccidono anche. Poi le autorità denunciano ed arrestano chi ha tentato di difendersi e chi non ha ceduto subito. E le leghe dei braccianti, dei contadini, degli artigiani si sfasciano sotto l’intimidazione dei guerriglieri bianchi e nelle sedi bivaccano i soldati.

L’autore dell’articolo parla di esercito bianco, che ancora i simboli del fascismo sono sul nascere, ma si trattava ovviamente dell’esercito “nero”. A Sesto Fiorentino la prima incursione fascista arrivò il 18 maggio 1921, quando un camion di fascisti, proveniente da Prato, arrivò in piazza Ginori e in modo indiscriminato aprì il fuoco, uccidendo un ragazzo di 17 anni, Renato Ceccherini, e ferendo altre due persone. Le forze dell’ordine invece di agire contro di loro intimano ai cittadini di rincasare, mentre i fascisti sfondano la porta del Comune (all’epoca l’amministrazione era retta da socialisti riformisti), depositano una lettera minatoria sul tavolo di un ufficio e ripartono tranquillamente per Firenze. Su quella stessa sera altre cronache riportano minacce ancora più pesanti da parte dei fascisti al sindaco Annibale Frilli. Si legge sul quotidiano «L’Ordine Nuovo» del 20 maggio 1921: - 82 -


Alle 22 giunse a Sesto un altro camion di fascisti proveniente da Firenze che avevano il compito di imporre le dimissioni al sindaco di Sesto. Questa volta i fascisti non erano soli perché erano fiancheggiati e protetti dalla forza pubblica che – per colmo di ironia – era stata mandata colà per il ristabilimento dell’ordine. I fascisti circondarono il palazzo comunale e cercarono di penetrarvi per le finestre giacché il portone d’ingresso era chiuso. Saputo di quanto avveniva il sindaco Frilli, che dimora a Quinto, abbandonò la moglie che trovavasi gravemente ammalata e si recò al municipio a prendere il suo posto di responsabilità. Appena giunto gli furono imposte le immediate dimissioni dalla carica ma il Frilli rifiutò energicamente. Rispose che avrebbe messo a disposizione dei fascisti la propria persona piuttosto che il mandato affidatagli dalla volontà popolare.

Davvero un vecchio sindaco di cui i sestesi possono andare orgogliosi, segno che talvolta no, i politici non sono tutti uguali. I titoli dei giornali del 1921 sono un susseguirsi di cronache di “strani” e “misteriosi” fatti di sangue: «Il Nuovo Giornale, 24 aprile: Un misterioso ferimento a Sesto e un altro presso Vaiano; «Il Nuovo Giornale», 26 aprile: Gravissimi incidenti a Sesto - Tremenda colluttazione all’interno di un circolo, colpi di rivoltella a lumi spenti, numerosi arresti; «La Nazione», 6-7 agosto: Un bracciante percosso da un imprenditore a Sesto. Una lunga scia di sangue con diversi morti e feriti, quasi tutti giovanissimi; e non era che l’inizio. Solo col nuovo anno, a inizio del 1922, si costituisce a Sesto il primo vero “Fascio di combattimento”. A richiamare il dispiegamento di forze fascista è lo sciopero dei lavoratori Richard Ginori, all’epoca fabbrica con diverse migliaia di operai, che contro le condizioni da fame imposte dalla proprietà sono in vertenza da più di un mese. Subito i fascisti accorrono a difendere le istanze padro- 83 -


nali intimando la fine dello sciopero, facendo seguire spesso alle parole i fatti, aggredendo gli operai. Alla fine la vertenza sindacale fallì e gli operai tornarono al lavoro con lo stipendio decurtato. Una vittoria per i fascisti che dette slancio al passo successivo: la “conquista” vera e propria del Comune. Si iniziò a rivendicare ad alta voce le dimissioni della giunta, si intimorirono altre associazioni e sindacati (come l’associazione agraria) a rinunciare a scioperi e richieste, si iniziò la vera caccia all’uomo contro gli oppositori politici. Nonostante la strenua volontà di non cedere alle intimidazioni, il sindaco Frilli, la giunta e tutto il consiglio non ce la fecero a proseguire il mandato in questo clima di crescente minaccia. Il 6 agosto 1922 si tenne l’ultima seduta del consiglio comunale, e anche se «Il Nuovo Giornale» in quella occasione titola Una tranquilla seduta del Consiglio Comunale di Sesto, si intuisce che fu un evento tutt’altro che tranquillizzante. Come annunciato l’amministrazione di Sesto, giunta e maggioranza dei consiglieri, rassegna in massa le dimissioni e le consegna il 9 agosto al Prefetto. Le dimissioni hanno come motivazione la mancata tranquillità per poter disimpegnare il proprio compito, e il fatto che non si sentivano più garantiti nella loro regolare funzione dall’appoggio del Governo nazionale. Il 10 agosto si insedia il Commissario prefettizio, il generale Ambrogio Magnaghi, due mesi prima della marcia su Roma e dell’inizio vero e proprio del Governo fascista. Così cadde il Comune Rosso, e ci vollero vent’anni di dittatura e una guerra sanguinosa prima di tornare ad avere un sindaco e delle istituzioni democratiche a Sesto Fiorentino. Francesca Gambacciani, 2 gennaio 2018 F. G. (poi rivisto e aggiornato)

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Agnoletti? Laurea in storia Per tutti a Sesto “l’Agnoletti” è il Liceo Scientifico, molti sanno anche che il nome completo é Anna Maria Enriques Agnoletti, ma in quanti sanno realmente chi sia? Qualcuno afferma “era un matematico”, mettendola in relazione con l’indirizzo di studi della scuola. Il matematico illustre, in realtà, era lo zio, Federigo Enriques; Anna Maria era invece laureata in storia medioevale. Cosa la lega allora alla scuola sestese? La sua morte: partigiana e medaglia al valore militare, Anna Maria Enriques Agnoletti fu uccisa a Cercina. Nata nel 1907 a Bologna, di origine ebraica, si laureò in storia medioevale e trovò impiego presso l’Archivio di Stato di Firenze, lavoro che perse nel 1938 a causa delle leggi razziali. Essendosi convertita al cattolicesimo, venne assunta dalla Biblioteca Vaticana a Roma, e aderì inizial-

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mente al Movimento Cristiano Sociale, poi al Partito d’Azione, a cui aveva aderito anche il fratello Enzo, futuro senatore della Repubblica. Prese parte a un’operazione di spionaggio, Radio Cora, destinata a raccogliere informazioni da trasmettere, via radio, agli Alleati. Grazie a un infiltrato nei gruppi partigiani, Anna Maria fu arrestata e insieme alla madre condotta a “Villa Triste”, l’edificio in via Bolognese dove i nazifascisti “interrogavano” i partigiani. Qui lo scantinato era gestito dalla banda di aguzzini organizzata da Mario Carità, e denominata appunto Banda Carità. Nonostante le torture subite, Anna Maria non parlò; atto che le valse la medaglia d’onore, ma ormai postuma. Fu infatti condotta dalle SS a Cercina, lungo il greto del Terzolle, il 12 giugno 1944, e qui fucilata assieme ad altri sei compagni. Il monumento a Radio Cora a Cercina, che commemora anche Anna Maria Enriques Agnoletti, è tutt’ora celebrato, e una corona d’alloro viene deposta ogni anno in presenza delle istituzioni il 12 giugno. F. G.

Francesca Gambacciani, 10 settembre 2014

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Il XIV luglio: presa della Bastiglia? No, la battaglia della Fonte dei Seppi Una delle vie traverse di viale della Repubblica, a Sesto, si chiama via XIV Luglio. A ricordare la presa della Bastiglia del 14 luglio 1789, verrebbe da pensare, e invece no. La data che qui si vuole commemorare è il 14 luglio 1944: la battaglia della Fonte dei Seppi. Raccontano le cronache che la mattina di quel 14 luglio un piccolo gruppo di partigiani (12 o 14 persone, a seconda de racconti che discordano) di una delle “bande” presenti a Monte Morello, nel tentativo di andare a difendere dei contadini dalle razzie dei soldati tedeschi, fu preso poco sopra “gli Scollini” dal fuoco incrociato di due mitragliatrici. Del gruppo, uno soltanto si salvò, Silio Fiorelli detto appunto Saltamacchie, che si dice approfittò della nube di polvere per strisciare a terra senza mai alzarsi, saltando poi giù, attraversare macchie arbusti e pruni, e raccontare l’accaduto. Nello scontro aveva perso il fratello Egizio Fiorelli.

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Sul seguito, ci sono poi racconti discordanti. Secondo una versione, il comandante di una brigata partigiana, Loder Pirro detto “Gambalesta”, nonostante l’altissimo rischio di incontrare dei nemici tornava da solo poche ore dopo sul teatro dello scontro, al fine di nascondervi sottoterra alcuni contenitori con i nomi dei morti, per mantenerne la memoria. Secondo altre versioni dei sopravvissuti, furono don Ezio Giovannini, giovane prete di Colonnata, e altri contadini della zona che, al momento di dare una sepoltura un minimo degna ai ragazzi nei piccoli appezzamenti coltivati attigui alla zona del combattimento, ne segnarono il nome. Secondo alcuni, con un biglietto attorno al braccio, secondo altri, con un foglio dentro una bottiglia posta vicino alle gambe. I racconti e i ricordi, dopo tanti anni, sono poco chiari. Di recente il tentativo di dare una ricostruzione all’avvenimento e di mantenere la memoria dei caduti è stato fatto da Stefano Fiorelli, sestese membro dell’Anpi (e figlio del sopravvisssuto Silio) con una mostra fotografica, “la Battaglia della fonte dei Seppi”. La mostra è stata ospitata sotto le logge del Comune di Sesto e poi in tanti centri della Toscana; “adesso, per il settantesimo anniversario – racconta Fiorelli – stiamo aspettando il via libera dell’assessore per portare la mostra anche nelle scuole”. Francesca Gambacciani, 1 ottobre 2014

F. G.

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