Fanzerta n. 2

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Fanzerta n. 2 - Dicembre 2020 nzerta.com anzerta.matese@gmail.com a_nzerta facebook.com/anzerta

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COS’È LA FANZERTA? «Il nome della nostra estrinsecazione prende ispirazione dalla più generica fanzine che indica un tipo preciso di rivista, solitamente a tiratura limitata ed autoprodotta, realizzata da appassionati del genere. Il nome origina dalla crasi tra fan(club) e (maga)zine. La caratteristica principale, che ci unisce e ci lega, è la passione che origina la produzione. Perché di fatto qui si parla di gente che sì, più o meno potrebbe fare anche questo di mestiere ma che soprattutto vuole dedicare semplicemente il proprio tempo a fare cose che ci piacciono.» Nata nel 2019, la Fanzerta è la variopinta manifestazione espressiva dell’associazione A’Nzerta. Giuridicamente, è definita come una rivista indipendente e autoprodotta, cioè non soggetta ad altrui dominio. Allegoricamente, simboleggia una miriade di cose differenti: un foglio bianco, un salotto, una tela e alcune volte anche una silent disco. La Fanzerta permette di sperimentare, con penna o matita che sia, le varie declinazioni della scrittura e dell’illustrazione. La nostra rivista è distribuita sia in forma cartacea, sia in digitale così da abbattere le distanze fisiche inevitabilmente intrinseche nella natura locale del nostro attivismo sociale e gli amanti dell’arte amatoriale. 3


Era Febbraio: a turno il salone di casa di uno degli ‘nzerti era invaso da chiacchiere e risate, confronti, allegri bicchieri di vino. Le diverse parole che riecheggiavano nell’aria prendevano man mano forma sui diversi taccuini. Alcuni abbozzavano scritti, altri facevano schemi. Era l’inizio del 2020, sognavamo un mondo nuovo, perché quello di prima ci piaceva più o meno. Eravamo spinti dallo stesso entusiasmo avanguardistico che aveva colpito i giovani di cento anni fa. Giocavamo su un accento: “Vènti, vénti”. Cercavamo di immaginare il nostro domani, il futuro da ventenni nei nuovi anni Vénti, le mode e le tendendenze che, un secolo fa, sognatori come noi avevano lanciato. I “noi” di quel passato recente, ma allo stesso tempo ormai più che remoto, non potevano immaginare che il nuovo mondo li avrebbe travolti come uno tsunami, spazzando via impietosamente quello vecchio, senza darci neanche il tempo di adattarci. Siamo abbastanza megalomani da pensare che questo è un segno: il nuovo mondo sta per arrivare e sarà tutto nostro. Anche oggi, un eco risuona nei salotti di casa. Ha un altro sapore e non lascia la stessa sensazione di tepore e compagnia. Proviene da un “vi sento a scatti!” oppure un “puoi ripetere?”. Nonostante e anche grazie a tutto ciò, i pensieri sono sempre stati un fiume in piena. Sono il motivo per cui nasce la Fanzerta_2: la biro non ha mai smesso di scrivere, anche se il mondo si è apparentemente fermato.

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Da “Vènti, vénti” c’è stato un percorso di stasi e riflessione che ci ha condotto al concetto di Esito. I contenuti sono venuti da sé, poiché ognuno di noi aveva innumerevoli emozioni da gestire. L’esito è diventato per noi un filo invisibile, che abbiamo seguito e declinato in ogni sua accezione: partendo da esito come forma di esitazione, siamo passati ad esito come risultato, o punto di arrivo di una trasformazione, esito come evasione; e ancora e-sito, ovvero i non luoghi dove abitiamo oggi, fino ad arrivare ad esi(s)to come quesito d’identità. Stagione dopo stagione, con colori, tratti e parole, abbiamo voluto ripercorrere gli eventi accaduti e il clima sociale, culturale, umano del 2020. Per questo troverete: storie di grandi eroi o presunti tali, di uomini dai mille volti, racconti di vicina attualità, così come di antiche pratiche divinatorie; mirabolanti peripezie di giovani in lotta contro il tempo e la sfiga, situazioni quotidiane, luoghi virtuali, viaggi interiori e tanto altro ancora. Il punto di vista è quello di ragazze e ragazzi in bilico tra speranze e disillusioni che, come ognuno di voi, cercano di tirare le somme di un anno terribilmente fuori dall’ordinario: la mente rivolta al futuro e gli occhi attenti al presente. Buona lettura! Gli scrittori della Fanzerta

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PRIMAVERA In un campo di grano Senza vita Incorniciato solo da ferro Arrugginito E cemento grigio Dove un tempo si affacciava la stagione dell’amore Ho lasciato un seme per la rinascenza. Domani Bagnata dall’agape della primavera ella sarà vita Mai offesa dall’inanimale che la abita.

Testo di Maria Laezza, illustrazione di Carlo Latino

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CENTOMILA, NESSUNO,

noone Esi(s)to?

Dal diario del dottor C., recentemente ritrovato nello studio in cui esercitava la professione di psichiatra. 30 Marzo 2030

Terza settimana dall’inizio della campagna Breathless, voluta dallo Stato come ultimo ed estremo tentativo per riportare i valori di PM2.5 in atmosfera, oramai perennemente fuori controllo, al di sotto dei valori soglia. A tutta la popolazione viene diffuso il messaggio: Rischiamo una catastrofe epocale. Restate a casa. Le strade sono vuote, le giornate sono vuote, il mio studio è vuoto. Non ero pronto a tutto questo. Anni e anni di studi sull’individuo, la sua psiche e le sue relazioni, hanno fatto di me un buon conoscitore della natura umana, ma non mi hanno di certo preparato a cosa si potesse pro-

vare a perdere ogni contatto sociale. Ma la mia è una storia ordinaria, non fa notizia. Voglio raccontare invece del signor Noone: da psichiatra, la sua unicità ha destato in me lo stesso interesse che la Drosophila melanogaster dagli occhi bianchi suscitò in Morgan nel corso dei suoi esperimenti sull’ereditarietà. Ho avuto in cura, per qualche tempo, il signor Noone: un caso particolare, unico nel suo genere. Un uomo di trentacinque anni, bassino, dalla corporatura esile. Mi piacerebbe potervi dare una descrizione più accurata, ma mi è impossibile intrappolare la sua personalità in una forma statica. Aveva infatti la peculiare abilità di modificare continuamente la sua identità, adeguandola di volta in volta alle persone e ai luoghi con cui si rapportava. La sua può essere definita un’identità fluida, che si arrende e si conforma al contenitore che la accoglie. Nel corso delle nostre prime sedute, condussi degli esperimenti per far emergere questo particolare fenomeno. Lo vidi atteggiarsi a dottore ed improvvisare un discorso sulle più recenti tecniche neurochirurgiche: “A parer mio, l’Awake Surgery ha dato ottimi risultati”; dialogare animatamente con un architetto e, sicuro di sé, affermare: “La sostenibilità di una costruzione è fondamentale, così come il dialogo con l’ambiente circostante”; per poi preparare abilmente un cocktail in una competizione tra barman.

Gli diagnosticai una particolare forma di sindrome da dipendenza ambientale, anche nota come sindrome di Zelig, causata da gravi difficoltà nell’area dell’intersoggettività. La sua, infatti, non era semplicemente la brillante esibizione di una personalità eclettica ma piuttosto la drammatica manifestazione di chi, non avendo una propria personalità e nel bisogno di essere accettato dalla società, indossa camaleonticamente i panni di chi ha di fronte. Dall’inizio di Breathless mi chiedo ogni giorno come Noone stia vivendo la solitudine. Mi sorprendo sempre nel realizzare quanto sia labile il confine tra identità personale e sociale e con quale facilità tutti quei meccanismi su cui costruiamo la nostra individualità possano essere messi in crisi. Goffman1 affermava che la società non è altro che “un insieme di palcoscenici in cui rappresentare noi stessi in modo diverso”; ma cosa succede ai commedianti una volta calato il sipario? Cosa resta dell’uomo quando la sua rete di relazioni sociali subisce un taglio netto? E quale può essere la reazione di un uomo come Noone, che vive fagocitando le personalità degli altri, nel momento in cui un evento drammatico come Breathless lo pone di fronte a se stesso? Di Noone, ho solo una lettera.

Chi ero? Ero le mie contra che ho avuto al volto. Fer ddizioni. Ero le mie ambizioni, anche se mai vostri sguardi mi sono ri itoie sul mondo. Ero ognuno di voi, anche se so realizzate, anche se solo pensate e desiderate una stanza piena di spec conosciuto. Ma ora? P rivato della vostra pr lo per quel singolo momento in cui vi ho incroc . Ero tutte le maschere stesso. Così, da centomila chi, così d’improvviso ogni mia immagine rifles esenza, cosa resta di me? Come un terremoto iato nel frenetico, e nei un avido cacciatore di m Noone, ora sento di essere rimasto uno, o forssa, deformata, proiettata, si è dissolta, lascia manda in frantumi lineamenti ruvidi al tattoe stesso. Ma non avendo più specchi in cui ricee nessuno. Nudo nella mia fragilità di esserendomi solo con me che un urlo sordo, matto. . Non avendo più voci da ascoltare non mi re rcarmi, non mi resta altro che prendere cons umano, sono divenuto st altro che ascoltare il ap Al cospetto di me stesso esito, e mi ritrovo a doaman suono della mia; ma cievò olezza dei miei che sento non è darmi: esi(s)to? Non so se Noone abbia trovato una risposta alla domanda “esisto?”, ma come lui, in fondo, tutti noi ogni giorno immagini di noi stessi in funzione delle aspettative del conproviamo a darvi un senso. Costruiamo e modifichiatesto in cui siamo inseriti, che quasi ci sfugge il senso della nomo noi stessi all’interno della nostra cornice relaziostra autonomia e della nostra identità, rendendoci dei nessuno. nale, e per fare ciò abbiamo bisogno delle relazioni Ma ora che siamo forzati a vivere isolati, siamo pronti ad accetumane così come abbiamo bisogno dell’aria. La netare di togliere le maschere e iniziare a convivere con noi stescessità di socialità è tale che anche solo la paura di si? Magari dovremmo imparare dagli anfibi: inabissarci nella esserne privati fa nascere in noi istinti di ribellione. A solitudine dell’uno, nell’attesa di poter tornare a respirare. volte però, siamo così impegnati a plasmare centomila

Sociologo canadese. I suoi studi colgono l’aspetto "drammaturgico" dell' interazione sociale. 1

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Testo di Chiara Ciccarelli, illustrazione di Andrea Ciccarelli


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Primavera 2019

Le nostre cose

Succede a tutti, a un certo punto nella vita si arriva ad una svolta, un evento casuale ed inaspettato che cambia il pensiero, i sentimenti, le azioni. Questa volta il cambiamento è stato collettivo, anche se ognuno è più isolato e incerto, ci si può riconoscere in situazioni e azioni comuni, dall’utilizzo degli stessi oggetti al vivere la stessa mancanza di lievito al supermercato. Così ciascuno è meno solo nella propria solitudine.

A casa

Primavera 2020

Una passione che ha fin da piccola, contatti umani con ragazzi che ancora devono conoscere il mondo, insegnare. È pomeriggio, ha correzioni da fare. Le piace il profumo della carta, quella che prende tra le mani per leggere parole e tracciare segni con la sua penna rossa. Anche cucinare le piace, mentre è impegnata, un impasto lievita in cucina, in attesa di diventare pane per la cena. È bello stare in casa dopo la mattinata passata a scuola, ma non vede l’ora di tornare l’indomani.

A casa Una passione che ha fin da piccola, contatti umani con ragazzi che ancora devono conoscere il mondo, insegnare. È pomeriggio, ha correzioni da fare. Le piace il profumo della carta, ma ora non può sentire quello delle pagine dei suoi studenti, si siede davanti al PC. Ancora deve capirne bene le funzionalità, ha imparato quel tanto che basta per assolvere il suo compito di insegnante, non può più usare penna e inchiostro. Anche cucinare le piace, aveva voglia di pane fatto in casa ma al supermercato di lievito nemmeno l’ombra. Era più bello stare in casa prima, non vede l’ora di tornare a scuola, non sa quando. Testo di Vittoria Martinelli, Illustrazioni di Carlo Latino

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Le magiche avventure bucoliche diSstefanuSsistu

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la notte più corta dell’anno, eppure a Stefano Sistu parve la più lunga. La notte di San Giovanni Battista, fra il 23 ed il 24 giugno, segna la vittoria del Sole sulle tenebre. Notte di magia e passione, quando il mito si risveglia. Non importa che tu viva nel 2020 e che queste siano dicerie di un passato lontano: alla Natura non si comanda e, fra le tenebre calanti, le forze cosmiche agiscono in modo inspiegabile sul mondo. Ma questo

Testo di Antonio Sasso, illustrazione di Carlo Latino

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Stefano l’avrebbe toccato con mano. Nell’afoso pomeriggio precedente, Stefano Sistu ed altri suoi compari si preparavano insieme a nonno Enzo per la raccolta delle noci, che ha luogo proprio in questa data perché -come diceva sempre il padre di nonno Enzo- “È a nuttata addò e piante so chiù vive”. E come dargli torto? Il Nocillo che ne usciva era delicato come miele, ma con la potenza di un sonnifero per elefanti e nonno Enzo esigeva che lo aiutassero per dargli, in cambio, qualche bottiglia di prezioso liquido. Così, armati di volontà e determinazione, Stefano e i suoi compari fecero tutto quello che andava fatto: accesero il fuoco, sistemarono i secchi ed i rastrelli per la raccolta e, poi, si diressero ad un falò vicino per la cena. Infatti anche le sorelle di nonno Enzo, ligie alla tradizione, si preparavano per un’uscita notturna alla ricerca delle “erbe medicamentose”, essenziali per i loro intrugli terapeutici. I ragazzi le deridevano di nascosto ogni anno, perché quando hai vent’anni e sei nato nel Duemila, al sentir parlare di incantesimi e pozioni, l’unica reazione spontanea che ti viene è ridere. Ma quella sera nessuno dei ragazzi fece minimamente caso alle due anziane signore, perché con loro c’era la ragazza più bella che avessero mai visto. Si chiamava Silvana e nel sottobosco, ai piedi delle piante di noci, lei e Stefano vissero le passioni che solo una notte così può regalare; tanto che il giovane crollò in un narcotico sonno e, al suo risveglio, la sua bella non c’era più. Pazzo d’amore corse a cercare aiuto dai suoi amici che, stanchi dal lavoro ed arrabbiati con lui per essersi sottratto agli ordini di nonno Enzo, gli dissero di lasciar perdere e che alla fine si era trattato soltanto di un’avventura. Ma questo non valeva per Stefano. Con la luna ancora alta nel cielo, si diresse al capanno

degli attrezzi e rovistò nella cassetta da pesca del nonno per cercare un piombino da pesca. Nonno Enzo gli aveva spesso parlato di un rito da praticare in quelle ore, capace di prevedere il futuro: se voleva saperne di più, sarebbe bastato andare delle sue prozie e portare un piombino da pesca con sé. Era disposto a tutto pur di sapere se avrebbe mai rivisto Silvana. E così, armato di piombo, si diresse dalle due anziane che lo accolsero calorosamente, felici di poterlo aiutare e curiose di scoprire l’esito del rituale. Presa la piccola sfera, una delle due donne la pose su di un cucchiaio, mentre l’altra preparava una ciotola con dell’acqua ed accendeva una candela. La prima diede il cucchiaio a Stefano, dicendogli di metterlo sulla candela ed aspettare che il piombo si sciogliesse per poi versarlo nella ciotola d’acqua gelida. Dopo qualche minuto, la pallina divenne liquida e Stefano versò il piombo fuso nell’acqua, non prima però di aver posto la sua domanda in modo così forte, nella sua mente, che pareva lo invadesse tutto. Una volta che il piombo ebbe preso la sua nuova forma solida, le due esperte di cultura esoterica diedero il loro verdetto: “Nu luong’ viagg’ t’aspetta, ma nun e’ tenè fretta!”. Scettico e deluso, Stefano salutò e ringraziò le due donne per poi dirigersi a casa dove si abbandonò nuovamente ad un sonno soporifero, accompagnato da un leggero venticello estivo. Durante quella notte, Stefano era stato pervaso da quell’ebbrezza che solo le donne ed il vino sanno darti. Il mattino seguente, rintontito e confuso, ripensò a quanto fosse accaduto, alla bella Silvana, al fatto che forse era stato solo un sogno e si chiese se davvero l’avrebbe mai rivista. Solo una cosa era certa: accadono davvero cose magiche nella notte di San Giovanni il Battista.

A Piedimonte Matese, il rituale del piombo fuso è una pratica divinatoria che ha lo scopo di prevedere il futuro. Esso viene effettuato nella notte tra il 23 e il 24 giugno, giorno di S. Giovanni il Battista, in concomitanza con l’arrivo dell’estate. Queste date, successive al Solstizio del 21 giugno, vengono considerate propizie anche per la raccolta delle noci (da cui il Nocillo) e delle erbe mediche (da cui infusi con funzioni curative).

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Piero era già sveglio da una ventina di minuti. Da almeno dieci però se ne stava immobile sul letto, steso a pancia in su e con la testa tra le mani. La luna era ancora alta in cielo, bianca e splendente, ma pensò che oramai valesse la pena tirarsi su nonostante sentisse gli occhi ancora pesanti.

Il Cimitero delle Scintille

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Si recò in cucina. La caffettiera, preparata soltanto poche ore prima per il mattino seguente, era già pronta sul fornello. Ora gli toccava attendere quei poco meno di dieci interminabili minuti prima di poter bere una tazza di agognato caffè. I suoi occhi gonfi e stanchi si rivolsero fuori dalla finestra e si persero tra le file di oleandri che adornavano le vie del paese. Rimase ad ammirarli giusto il tempo necessario. Il paese gli sembrò insolitamente quieto e silenzioso per essere una notte di luglio. Il caffè era ormai pronto, tuttavia aveva un aspetto torbido ed a Piero bastò una semplice occhiata, mentre lo riversava nella tazza, per immaginare quanto parimenti spiacevole potesse esserne anche il sapore. Decise piuttosto frettolosamente che quella triste e spenta brodaglia potesse essere un caffè più che accettabile visto che in realtà altro non era che un futile pretesto per accendere la prima di una innumerevole serie di sigarette. Al primo sorso, rabbrividì.

Testo di Davide Di Baia, illustrazione di Pietro Catapano

Mentre fumava senza sosta si chiese tra sé e sé a che punto fossero i preparativi per l’oramai imminente lancio del Rover Providence in rotta verso Marte. Poi, senza neanche rendersene conto, i suoi automatismi lo portarono a cercare ansiosamente il telecomando del televisore ma, una volta trovato, prima di pigiare il tasto di accensione, dedusse che forse una lobotomia di un paio di ore non era proprio ciò di cui avesse più bisogno, benché avrebbe gradito non poco che qualcuno parlasse e, soprattutto, pensasse al posto suo. Se qualcuno mai gli avesse chiesto di definirsi utilizzando una singola parola, probabilmente Piero avrebbe scelto la parola “nervoso”. Ed era questa l’impressione che dava anche agli altri, ma il suo tratto distintivo non era propriamente il nervosismo, quanto l’irrequietezza. Piero però, si guardava bene da quella parola: “irrequieto”. Per lui l’irrequietezza era cosa da animi gentili, nobili, era prerogativa di grandi artisti come i poeti romantici che tanto ammirava. Keats, Wordsworth, Coleridge. Chi era lui per paragonarsi a loro? L’unica cosa che avesse mai prodotto in vita sua era un’enorme pila di scartoffie che custodiva sul suo scrittoio. Una vasto mare di poesie lasciate a metà, strofe senza ritornelli, canzoni di cui aveva scritto soltanto poco più del titolo, racconti appena iniziati e disegni, disegni di ogni tipo, disegni appena abbozzati delle cose che vedeva in sogno, e che svanivano dai suoi ricordi non appena provasse a trascriverli con la grafite.

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Quando era di buon umore si riferiva divertito a quella moltitudine di fogli definendola il suo personale “Mirabolante Museo delle Cose Incompiute”. Altri giorni, invece, lo chiamava con disprezzo “il Cimiterodelle Scintille”, la tomba di tutti gli impulsi artistici che la sua esitazione gli aveva di fatto impedito diportare a compimento. Di ritorno in camera sua, passando davanti a quello scrittoio, quella notte Piero si sentì per un momento preda della stessa angoscia che ogni volta prosciugava l’inchiostro dei suoi pennini. Cercando di volgere lo sguardo altrove, i suoi occhi si imbatterono nelle pieghe delle lenzuola del suo letto sfatto. Gli sembrarono dune di quell’arida sabbia su cui, ad ogni risveglio, le sensazioni e le parole a cui cercava di dare una nuova forma continuavano ad arenarsi. I pianeti che aveva visitato in sonno, i ricordi più reconditi della sua vita, i desideri che sopprimeva. Niente. Niente di tutto ciò. Al mattino non rimaneva traccia di nulla, neanche dei meravigliosi mostri d’incubo che di quando in quando lo tormentavano mentre sognava. A quante storie eccezionali avrebbe potuto dare vita, a quanti personaggi indimenticabili dare una voce, a quante vicende incredibili un palcoscenico. Socchiuse gli occhi gonfi e sospirò. Poi ripensò alla sua mostra di fallimenti giurando a se stesso che non li avrebbe più definiti così. Dio soltanto sapeva quante altre storie a metà la sua mente avrebbe potuto partorire ancora. E semmai non fosse riuscito a concludere nulla per il resto dei suoi giorni? «Poco male»,pensò, quasi facendosene una ragione. Povero Piero, la sua esitazione non gli mostrava le cose per ciò che erano veramente. Le sue idee non erano morte, non erano bloccate in nessun vicolo cieco, se non quelli imposti dalla sua mente. Si sentiva schiacciato dal peso delle grandiose immagini che il suo spirito gli suggeriva, da quelle che non erano brutte idee, ma semplicemente idee a metà. Idee che, pertanto, si aprivano ancora ad infiniti scenari, infinite possibilità, infiniti finali vecchi e nuovi che prima o poi avrebbe ancora potuto imprimere su quella vasta distesa di fogli che, in gran parte, era rimasta ancora bianca come la luna di quella notte di luglio.


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Estate 2019

Le nostre cose

Succede a tutti, a un certo punto nella vita si arriva ad una svolta, un evento casuale ed inaspettato che cambia il pensiero, i sentimenti, le azioni. Questa volta il cambiamento è stato collettivo, anche se ognuno è più isolato e incerto, ci si può riconoscere in situazioni e azioni comuni, dall’utilizzo degli stessi oggetti al vivere la stessa mancanza di lievito al supermercato. Così ciascuno è meno solo nella propria solitudine.

Al mare Estate 2020

Scuole chiuse, giornate intere da passare in spiaggia, la stagione preferita per vivere la sua piena adolescenza. È un ragazzo nel periodo in cui ancora non capisce bene cosa stia succedendo al suo corpo, tante insicurezze che gli sembrano disgrazie perché non sa che molte svaniranno semplicemente crescendo. Nonostante questo, ogni giorno si sveglia volentieri per andare in spiaggia e vivere quella spensieratezza tipica delle giornate passate al mare. Mentre sta per uscire, con la porta di casa già spalancata, lo raggiunge la voce di sua madre, gli chiede se ha preso la protezione solare. È seccato dal fatto che ogni giorno questa signora che gli sembra iperprotettiva gli ponga le stesse raccomandazioni, tanto non si brucerà. Un sì frettoloso e corre incontro alla sua nuova giornata di leggerezza.

Al mare Didattica a distanza sospesa, giornate intere da passare in spiaggia, la stagione preferita per vivere la sua piena adolescenza. È un ragazzo ancora nel periodo in cui non capisce bene cosa stia succedendo al suo corpo, tante insicurezze che gli sembrano disgrazie perché non sa che molte svaniranno semplicemente crescendo. Nonostante questo, ogni giorno si sveglia volentieri per andare in spiaggia anche se non con così tanta spensieratezza. Mentre sta per uscire, lo raggiunge la voce di sua madre, gli chiede se ha preso l’igienizzante per le mani, gli raccomanda di non avere contatti ravvicinati. È seccato dal fatto che ogni giorno questa signora che gli sembra iperprotettiva gli ponga le stesse raccomandazioni, tanto il numero dei contagi è diventato irrilevante. Controlla di avere la protezione solare, ha paura di una scottatura dopo l’esperienza dell’anno precedente. Poi un sì frettoloso e corre incontro alla sua giornata.

Testo di Vittoria Martinelli, Illustrazioni di Carlo Latino

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Chi è il personaggio misterioso Per scoprirlo trova e cancella nello schema le parole elencate

D F A N Z E R T A R C S

E U R 0 M A T T E S A P

E T E R E T E S T I S A

T U F M S V I R U S A C

L R U A I S F I A M M E

O I B L T L W U H A N X

V E M E O R A N O R O C

I B N Y A A D V I N O K

R Z D P C M A R E O N O

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A Q U A R A N T E N A B

N A S A M I L C O N T E

A I M E D N A P O A A I

ANNO ATTESA BEIRUT BUFERA CASA CLIMA CONTE CORONA DPCM DUEMILAVENTI ESITO EURO FANZERTA FIAMME FLOYD KOBE MARE MES NASA NORMALE PANDEMIA QUARANTENA RESISTENZA RIVOLTE SISMA SPACEX TEST VINO VIRUS WUHAN


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IL CASO DI BEIRUT Volete sapere qual è l’esito di una rete di organi economico-politici disfunzionali? Nella migliore delle circostanze: strutture pubbliche estremamente scadenti. È il caso del nostro amato Bel Paese. Eppure -come si dice?- non sempre l’erba del vicino è più verde! Nella peggiore delle ipotesi, infatti, potreste trovarvi di fronte a un disastro ambientale e umanitario dalle proporzioni cosmiche, anche se non così catastrofiche e degne di nota agli occhi di un’opinione pubblica fagocitata dalla più grande crisi sanitaria del secolo. Sto parlando dell’esplosione avvenuta al porto di Beirut (Libia) il 4 agosto del 2020. Se ci siamo sconvolti o impressionati soltanto a guardare quelle immagini -mentre eravamo comodamente spalmati sul nostro divano- credo che chi abbia avuto la sfortuna di essere lì deve aver pensato al giorno del Giudizio Universale! Non è roba da tutti i giorni affacciarsi alla finestra e fiutare un fetore acre e metallico nell’aria, mentre un’immensa colonna di fumo nero incombe sulla tua città. All’improvviso, udire

un boato mostruoso e sentire la terra mancare sotto i piedi, il rumore assordante di centinaia di vetri infranti. Guardare interi palazzi di cemento sbriciolarsi come castelli di sabbia, mentre una folla impazzita si riversa in strada, urlando a squarciagola in un lamento infernale. Il tutto cercando di rimanere vivi! Come in un episodio di Dark, a questo punto arriva il flashback: nel 2013 una nave da carico russa salpa dalla Georgia con 2750 tonnellate di nitrato di ammonio, l’equipaggio composto da ucraini dall’aspetto rude. La Rhosus è diretta in Mozambico, ma viene bloccata a Beirut per problemi al motore: dopo un controllo al porto viene ritenuta non idonea alla navigazione, con grande sgomento e disapprovazione dei marinai. Vengono quasi tutti rimpatriati e dico “quasi” perché i quattro più ostinati restano a bordo. Finché il ricco proprietario della nave, voltato di spalle e con un sigaro acceso, telefona da un attico a Cipro: comunica all’autorità portuale libica che è in bancarotta e attacca, abbandonando la Rhosus e i suoi uomini ad un destino ignoto. Da quel momento, il caos più totale: creditori famelici ottengono mandati di arresto per l’imbarcazione, le scorte vengono saccheggiate ed esaurite in breve, mentre i quattro stoici naviganti rimango-

no imprigionati nel loro stesso vascello. Segue un veloce fotogramma: nell’aula di un tribunale, nel 2014, un giudice onesto permette ai quattro sventurati di tornare a casa. Al porto di Beirut, decine di operai trasportano il pericoloso carico di nitrato di ammonio in un hangar fatiscente, dove rimane incustodito e dimenticato fino al giorno dell’apocalisse. Così, come se avessero traslocato dei mobili o che so io, scatoloni pieni di panni vecchi, buste della spesa…non una quantità di materiale esplosivo sufficiente a provocare un terremoto di magnitudo 3.3! La conta dei danni? Un intero pezzo di litorale spazzato via, più di 200 morti (solo quelli ufficiali), quasi 10.000 feriti, oltre 300.000 abitazioni distrutte. La storia non ha un lieto fine e, proprio come in una serie TV guardata in una calda giornata di agosto, viene gettata nell’oblio. Il problema è che tutto ciò, per quanto

Testo di Federica Sasso, illustrazione di Marino De Nisio

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vago e lontano possa apparire, è accaduto davvero. Per quanto ci si ostini nella convinzione che le cause siano state fortuite e che si sia trattato di un drammatico incidente, è innegabile che il peggior disastro ambientale degli ultimi 34 anni sia la conseguenza di un’economia estremamente aggressiva che detta leggi ad una magistratura vigliacca e ad una politica confusa. Era sotto gli occhi di tutti, ma non sono serviti a niente i tanti reclami al tribunale, o le proposte di riutilizzo e gestione sicura di quel carico. Il solito scaricabarile (stavolta sia fisico che figurato) è costato caro alla povera Beirut che, ahimé, non ha ancora finito di pagarne il prezzo. Sarà vero quello che diceva Einstein: la stupidità umana è la cosa più infinita e grave che esista. Persino più dell’universo, persino più del Covid.


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Louise Glück, L’iris selvatico Giano Editore 2003 27


2020: Odissea sulla terra Resoconto di una piccola avventura del giovane Carlo Valdi, simbolo di un anno di sfighe affrontate con esitante dignità.

Napoli, 4 novembre AD 2020, nuovo dpcm: spostamenti limitati. Io, studente in affitto a nero in una delle milioni di case studenti fatiscenti e decadenti, qui non ci resto.

ORE 20.03: 2 ORE AL COPRIFUOCO

Con la soddisfazione di chi ha appena pranzato, alle ore 14 e 42 chiamo il proprietario per discutere di un patto economico, anche se mi sento come la Germania nel ’19 che dichiara la resa e firma il trattato di Versailles con le competenze di Di Maio che deve risolvere la crisi libica. Lo stronzo non accetta: o rimango e pago la cifra intera o lascio casa il prima possibile, a patto che domani ci vediamo per saldare i debiti (affitto di ottobre): ‘sto cazzo, me ne vado stasera e non ti lascio una lira, tanto hai la mia caparra che comunque non avrei rivisto (alla fine ci sei andato meglio tu).

Inizio ad impacchettare la mia vita con l’ansia di chi deve scegliere se tagliare il filo blu o rosso. Sorprendentemente riesco a fare tutto in tempo record, che fabbrica cinese levati: in un solo pomeriggio, tra tuffi e capriole, tra salti e corse, porto a termine il mio obiettivo, impacchettando tutti i miei averi napoletani: una chitarra, una Playstation 4, un laptop, 12 libri di narrativa, 4 saggi critici, 7 poster, una valigia di vestiti, una busta di cianfrusaglie varie accumulate nel tempo trascorso nella capitale del regno borbonico. A questo punto sorge un problema: dove vado? Stasera me ne devo andare per forza, voglio che domani quando lo stronzo entrerà in casa non trovi più né me né la mia roba. Elenco soluzioni improbabili a cui penso: 1) prenoto un B&B, subito scartata per mancanza fondi; 2) dormo alla stazione ed aspetto il primo treno di domani mattina, ma c’è il coprifuoco e non va bene neanche questo; 3) piangendo chiamo mio padre per farmi venire a prendere, non si può neanche questo perché la cancelleria del Sacro Campano Impero ha emesso una bolla che impedisce la mobilità interprovinciale (la mia casa natale si trova infatti a Raviscanina, in provincia di Caserta). Quando sto per rinunciare, seduto in un angolo con gli occhi gonfi e pronti a far esplodere cascate di lacrime, mentre dondolo rannicchiato con la testa tra le gambe, Eureka! Mi viene in mente Antonio, un mio vecchio amico del liceo che sento solo per gli auguri di Natale (a lui e famiglia!) e con cui al massimo ci scambiamo qualche like. Lo chiamo, esita. Gli ricordo di quando nel 2012 gli presentai la sua attuale ragazza e che mi deve un favore da allora. Accetta.

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ORE 21 e 12: -48 MINUTI AL COPRIFUOCO

stoicamente come la migliore delle partigiane al fondo stradale che fa schifo- cede e, sotto il peso degli anni e della responsabilità, si distrugge.

Inaspettatamente sono in anticipo rispetto alla tabella di marcia. Scendo di casa, inizia la battaglia. Io, armato di tutti i miei averi: la chitarra sulla spalla destra, la Play ed il computer in uno zaino sulla spalla sinistra, nella mano destra la busta con tutti i libri, con l’altra trascino il trolley su cui avevo sistemato l’altra busta con le cianfrusaglie varie.

Quoque tu rotella, filia mea! Da qui in poi caos, la busta di cianfrusaglie si riversa per terra ed i miei ricordi si spargono sui sanpietrini napoletani e intanto penso all’indissolubile contaminazione di questi da parte delle particelle di Covid (e di tutte le altre malattie che il suolo di una città storica come Napoli ha visto nel corso del tempo, vedi colera, SARS, mucca pazza, aviaria, peste bubbonica). In un disperato tentativo di recuperare il possibile, cercando di evitare che cada tutto il resto, mi sporgo troppo in là, decentro il baricentro e

Il campo di battaglia è pronto: l’esercito nemico di vrenzole armate di passeggini e buste della spesa è in posizione, le trincee del fondo stradale napoletano nascondono mille pericoli, i sacchi di munnezza proteggono i tiratori scelti, il tutto condito dal perenne caldo napoletano che neanche fossimo a Caracas (grazie tante riscaldamento globale!) Immerso nella giungla urbana, in mezzo a migliaia di persone (il che non aiuta perché mi fanno venire l’ansia del Covid), “aiutato” solo da lei, la FFP2, che mi protegge ma non mi fa ben respirare, mi manda in affanno: sono tutto rosso in faccia. Con quella mascherina a forma di becco e gli occhiali appannati sembro Paperino con la cataratta.

Caddi come corpo morto cade. A terra milioni di pensieri mi assalgono: avrò rotto il computer? O forse la Play? Che ore sono? Ma soprattutto, riuscirò a disinfettare tutto? Forse dovrò farne di tutto un falò, o in uno stimolo piromane dovrei bruciare tutto a casa, compreso la casa, perché infondo quello stronzo del proprietario se lo merita.

Nonostante tutte le difficoltà, avanzo senza esitare, col passo di Alex Schwazer (campione olimpico di marcia) sotto effetto di epo.

Nel frattempo -sarà la botta in testa- mi viene in mente il paese, il mio amato paese: la calma del vento autunnale che arriva dalle infreddolite montagne del Matese ed accarezza foglie, rami e cespugli, il cinguettio degli uccelli che saluta il dì accogliendo la sera. I miei pensieri onirici vengono bruscamente interrotti dalle urla di donne preoccupate per la mia incolumità che cercano di aiutarmi, ma io ho più paura di farmi contagiare che di essermi rotto un braccio. Mentre rifiuto l’aiuto dei passanti, mi rendo definitivamente conto che non sono a Raviscanina -dove tutto sarebbe stato più facile- mi rialzo da solo, mi ricordo di essere nella giungla urbana e che devo lottare per la sopravvivenza, mi rassetto, raccolgo tutto e mi riavvio.

Incontro ravvicinato del terzo tipo: ecco spuntare un animale molto comune nella giungla urbana, il venditore ambulante che si reinventa per l’evenienza spacciatore di mascherine (pezzottissime): “uè breddepitt” sento pronunciare, non ho tempo neanche di rifiutare e in un attimo da Schwazer mi trasformo in Alberto Tomba dei bei tempi e agilmente evito il tizio come il glorioso atleta evitava gli ostacoli dello slalom speciale. Sono totalmente concentrato sul mio obiettivo.

Oh acre dea bendata! Nell’evitare il disturbatore, la rotella del trolley che mi ha accompagnato in tanti anni da pendolare -proprio lei che ha sempre resistito

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ORE 21:55: 05 MINUTI AL COPRIFUOCO Non mi faccio prendere dallo sconforto, l’istinto di sopravvivenza funge da inerzia: anni e anni di documentari di Bear Grylls mi hanno insegnato che sopravvivere in ambienti ostili è anche e soprattutto questione di testa ed ignorando il dolore lancinante al ginocchio che la caduta mi ha provocato, percorro zoppicante gli ultimi metri che mi dividono dal traguardo. Nella mia testa ripeto come un mantra: corri Forrest, corri!

Il 2020 se ne va tra mille esitazioni ed incertezze, la conclusione è che sono tornato da dove sono partito.

Chissà cosa mi riserva il futuro.

22:03: COPRIFUOCO SCATTATO DA 03 MINUTI Un ormai me fuorilegge giunge al portone della salvezza, mentre aspetto che mi aprano mi guardo intorno e mi rendo conto che il mondo dopo il coprifuoco non è come lo immaginavo: non sono apparsi allo scoccare dell’ora i carri armati, elicotteri, droni e forse anche navi spaziali pronti ad aprire il fuoco su chiunque non si trovi chiuso in casa, anzi la questione sembra non toccare nessuno, ci sono ancora persone che circolano tranquillamente e mi chiedo: non è che scatta domani ‘sto coprifuoco alle 22:00? Non racconterò il resto della storia in cui Antonio mi apre e mi aiuta, raccogliendomi come un cane randagio, di come ho riportato tutto al paesello, perché sarebbe noioso. Quello che volevo dire è: questa storia accade in un lasso di tempo molto limitato, però è un simbolo di tutto l’andamento di quest’anno, ovvero una serie di sfighe che ho affrontato con difficoltà, cercando però di conservare faticosamente un briciolo di dignità umana.

To be continued...

Testo di Pasquale Valentino, Illustrazioni di Francesco Santagata

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Testo di Amalia Zoccolillo, illustrazione di Marino De Nisio

Aure interne

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GLI ANTIEROI NEGAZIONISTI come narratori di realtà alternative

Se ti chiami Donald Trump e ti becchi il Corona, significa che questa storia del karma funziona. Ciò che però ti fa essere meno entusiasta della notizia è come l’ormai ex Presidente dello Stato meno democratico tra gli stati esportatori di democrazia sia riuscito a rivoltare il suo fiero negazionismo dalla sua parte:

Mi sono s Mi sono seentiittoo ccoomme Sup e Supeerrmman an Si è parlato tanto di eroi in questo momento storico stra-ordinario (inteso come fuori dall’ordinario), ma poco si è detto su coloro che hanno agito seguendo il coro populista che cerca di affibbiare colpe o meriti ai soggetti che più hanno visibilità mediatica: i leader mondiali (o nel nostro caso, soprattutto regionali) e gli operatori sanitari.

quest’ultimo sarebbe, di conseguenza, colui che approfitta di una situazione di emergenza per realizzare i propri fini. Nel ventaglio di personalità che ci sono state propinate sullo schermo di questo interminabile duemilaeventi, quelle che per un motivo e per un altro ci hanno tormentato sono state due: un Donald Trump vestito da un Superman dotato di parrucchino biondo parlante e un Vincenzo De Luca camuffato da pifferaio magico, in grado di incantare chiunque ascolti il suo concertino.

Se questi ultimi sono stati etichettati dai più come “eroi”, per tutta la storia romanzata dell’OS come soldato moderno che entra in campo per combattere la guerra del virus, i primi, i politici, hanno avuto svariati mutamenti di personalità.

Il potere di un politico viene valutato dalla società più per le proprie doti oratorie che per l’efficacia delle proprie misure. È un lavoro machiavellico, che però va fatto per non perdere consensi. Senza soffermarci troppo sui loro caratteri, cerchiamo di osservare questi due antieroi da una prospettiva più ampia. Ciò che smuove entrambi i protagonisti di questo articolo è il negazionismo:

Questi paragoni dialettici saltano fuori solo in momenti di crisi e di estrema necessità. L’eroe è chi, in imprese guerresche o di altro genere, dà prova di grande valore e coraggio affrontando gravi pericoli e compiendo azioni prodigiose. L’antieroe rappresenta l’opposto:

«Il negazionismo non si limita a rimuovere la realtà, ma ne costruisce una alternativa». Il loro ruolo da antieroe si combina perfettamente con la loro retorica costruttrice di paraustielli poco fondati con il solo scopo di marciare subdolamente sulla questione Covid per consolidare il proprio elettorato. Il superman suprematista bianco ha sfoggiato tutta la sua notoria passione per la fake news (v.d. questione cambiamento climatico) per consolidare il proprio elettorato bianco in vista delle elezioni di Novembre, mentre il pifferaio magico ha usato le armi della menzogna e delle live su facebook per far credere ai suoi votanti di settembre di essere l’unico capace di gestire l’irresponsabile natura della popolazione campana.

La naturale tendenza dei politici è quella di aizzare il proprio elettorato verso un nemico comune per scrollarsi le colpe di dosso. Bisogna anche chiedersi, quindi, se sia nato prima l’uovo o la gallina, ovvero: se sia proprio il popolo a cercare un capro espiatorio o un eroe per la loro naturale tendenza a dare ordine ad una storia o invece se sia l’antieroe a dettarla in dolci pillole autoritarie. 38


Testo di Federica De Felice, illustrazione di Pietro Catapano

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Testo di Vittoria Martinelli, Illustrazione di Lina Iannitti


Le nostre cose Succede a tutti, a un certo punto nella vita si arriva ad una svolta, un evento casuale ed inaspettato che cambia il pensiero, i sentimenti, le azioni. Questa volta il cambiamento è stato collettivo, anche se ognuno è più isolato e incerto, ci si può riconoscere in situazioni e azioni comuni, dall’utilizzo degli stessi oggetti al vivere la stessa mancanza di lievito al supermercato. Così ciascuno è meno solo nella propria solitudine.

Autunno 2019

Nel negozio di cosmetici Spicca da lontano quello scaffale, color del buio e color dal profumo agrumato. Nero e arancio ad invogliare l’acquisto per la festa mascherata, in ordine si distinguono prodotti per il viso, per gli occhi, per le labbra. Lui entra, si avvicina, sceglie con cura gli articoli e si sofferma sul suo preferito. Un rossetto rosso completerà la sua arte, anticamente gioielli sbriciolati e applicati sulle labbra. Paga, soddisfatto, la busta tra le mani, incurante degli sguardi di disapprovazione che si soffermano sul suo volto truccato di ragazzo.

Autunno 2020

Nel negozio di cosmetici Spicca da lontano quello scaffale, color del buio e color dal profumo agrumato. Un ragazzo entra, si avvicina familiare in questo particolare negozio. Gli piace truccarsi, usare specialmente prodotti sulle sue labbra altrimenti ordinarie. Stesso luogo, stesso scaffale, intenzioni diverse. Di prodotti ne ha troppi per un solo viso, nessuna uscita lo attende, nessuna festa a cui esagerare nella sua passione sfrenata. Guarda combattuto gli articoli di cui non ha bisogno, sa che molti andranno ad ingrossare nei prossimi anni le pile di prodotti invenduti. Prende una decisione, afferra la mascherina accanto alla cassa. Paga, poco soddisfatto, la busta tra le mani, incurante degli sguardi di disapprovazione che si soffermano sul suo volto truccato di ragazzo.

Note Rossetto: Le prime forme di rossetto risalgono a 5000 anni fa e consistevano in gioielli sbriciolati e applicati sulle labbra. Yona Williams, Ancient Indus Valley: Food, Clothing & Trasportation.

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La grande e meravigliosa nuvola La libertà di guardare al di fuori della mia finestra mi fa sentire per un attimo privilegiata. La mia stanza, la porta è ancora chiusa. Chiudo gli occhi e avvicino le mani al vetro, sento le tinte del cielo, l’odore dei camini appena accesi, siamo già a novembre. È passato un mese da quando ho varcato la porta della mia camera e ora quel piccolo lembo di cielo mi sembra l’unica via di uscita. Sento la vita al di fuori della natura morta che sono diventata insieme ai mobili, al letto e al televisore. Vedo gli uccelli volare e li invidio, come non li ho mai invidiati. Non voglio voltarmi e rivedere la routine delle cose che mi appartengono ormai da settimane e continuo a fissare il cielo. Mi sento più leggera, come quell’unica nuvola che segna un temporale imminente. La osservo, la amo, voglio essere come lei. Ma la calma, quella che sento ora mentre sono in pace con quella visione celeste, è solo una via d’uscita dalla domanda: il tampone sarà negativo?

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cosa vedi fuori? Una cosa è certa, il COVID-19 ha cambiato radicalmente le nostre vite, i nostri rapporti sociali, lavorativi, nonché sessuali. Forse tra un anno ci dimenticheremo presto di quello che sta accadendo ed è già accaduto e la nostra “quotidianità” ritornerà quella di sempre; o, forse, non ce lo dimenticheremo mai più e tutto questo cambierà il Mondo e il modo di vivere il nostro presente, determinando un cambiamento epocale, se non già radicato nelle nostre menti: “Il cambiamento del XXI secolo”. Ci facciamo domande e cerchiamo risposte. Risposte che non sempre ci sono e quando ci sono, hanno forme e sono frutto di pareri diversi. Ciò che le accomuna è una ridondante volontà di miglioramento dello stato attuale delle cose. In realtà, ripensare al nostro domani appare un atto doveroso e opportuno, ma ponendo un’analisi generale appare riduttivo soffermarsi solo sui miglioramenti che potrebbero travolgerci. Premesse le chiacchiere introduttive, non sono qui a spiegare i miei pensieri teorici su come sarà il mondo e su cosa penso riguardo la situazione attuale. È facile pensare che questo virus fa star male solo le persone che hanno settanta o più anni, che i giovani sono tutti asintomatici o con qualche linea di febbre e con un po’ di tosse. È facile credere che dopo un paio di settimane di quarantena, due o tre tamponi, sia finito tutto. Pensiamo spesso: “tanto a noi non ci verrà mai”; non è vero.

A tal proposito, vorrei fare qualche domanda ad Andrea, un mio amico, che, purtroppo, ha contratto il COVID-19 ed è giusto sottolineare che “ha avuto e ha dei sintomi”. 1) Come stai? Forse la domanda più scontata e, a dire la verità, non so se dovesse essere la prima o l’ultima, però vorrei subito rompere il ghiaccio. Ad oggi mentre scrivo (10 Novembre 2020) è il mio primo giorno senza sintomi. Posso dunque dire, a fronte dei 16 giorni di isolamento, di sentirmi finalmente meglio, dopo settimane di tosse, febbre, dolori al petto mentre si respira. Tutti sintomi che, in un anno qualsiasi che non sia il 2020, non avrebbero preoccupato molto né me né la mia famiglia. Invece, quando poi ti riscontrano “la malattia del secolo”, ogni respiro affannoso ti preoccupa, così come ogni colpo di tosse o linea di febbre. Dopo averne sentite così tante a partire da marzo, non sai mai come il corpo potrebbe reagire da un giorno all’altro e pensi che, nonostante ti senta male, preferisci di gran lunga trascorrere i giorni di malattia a casa tua piuttosto che in ospedale. Questo fa un po’ paura, soprattutto quando le tue percezioni e le tue emozioni in questa situazione vengono amplificate. Chiuso da solo letteralmente in quattro mura, senza poter vedere nessuno. Legato alle voci che senti dietro la porta per comunicare con la famiglia, o a quelle dei medici che ti chiamano per monitorare le condizioni di salute. Insomma, adesso sto bene, spero di poter continuare le mie giornate senza sintomi e poter ripetere al più presto un tampone che dia esito negativo. Al momento è la sola cosa a cui penso. 2) Ci conosciamo da tempo e conosco molto bene le tue passioni e quanto ti affascini il mondo dello spettacolo. Ti sei formato come attore all’accade47

mia di Teatro e in più occasioni hai mostrato le tue doti canore. Immagino quanto questo mondo ti manchi. Cosa ne pensi della situazione che stanno vivendo tanti amici, colleghi e lavoratori in questo ambito? Prima che i contagi esplodessero di nuovo dopo l’estate e, prima che mi riscontrassero il Covid, ero in procinto di preparare due spettacoli dal vivo con i miei colleghi. Tutti e due, ovviamente, cancellati, senza sapere come e quando sarebbero ripresi. Ho ancora tutti gli spartiti e gli appunti sulla scrivania lasciati lì dal giorno che sono stato posto in isolamento. Ancora non li ho toccati. Un po’ perché non ne ho avuto le forze fisiche, un po’ perché psicologicamente mi fa strano riprendere in mano tutto quanto lasciato in standby. Mi ricorda il giorno e le sensazioni prima del tampone e mi porta in uno stato d’animo tra il triste e l’arrabbiato. Mi sono sentito con alcuni dei miei più cari amici che hanno condiviso con me gli anni del Teatro Bellini a Napoli. Alcuni di loro il mestiere dell’attore, del musicista, non lo hanno tenuto per “secondo lavoro” come me che, sempre attraverso l’arte, ho avuto modo di scoprire il mondo del servizio sociale e di intraprendere un percorso di studi per capire come mettere a disposizione di coloro che rischiano di essere emarginati non solo i servizi socio-sanitari, ma anche l’arte. Il mondo dell’arte, per alcuni, rappresenta il miglior modo per conoscere se stessi e far esplodere i propri talenti. L’esibirsi in uno spettacolo dal vivo per molti è la principale fonte di vita in termini di guadagno, di studio, di ricerca. Mi hanno inviato alcuni video delle proteste organizzate dai lavoratori dello spettacolo sia a Napoli che a Roma. Mi sono sentito in colpa per non poter essere presente anche io, bloccato fisicamente in una stanza senza poter uscire. In queste settimane ho letto e visto tante interviste di attori e di alcuni direttori di teatro, con cui ho


avuto modo lavorare in passato e a cui, dato il ruolo che occupavano, ho sempre guardato con una certa riverenza e ammirazione. È stato strano per me che li ho sempre visti forti, sicuri della loro posizione di rilievo, vederli in queste vesti così fragili, insicuri, senza lavoro, esposti ad una crisi senza precedenti.

A cura di Andrea Rao e Francesco Santagata con la collaborazione di Vittoria Biasiucci, illustrazione di Francesco Santagata

Ho letto e riletto la risposta che il Presidente del Consiglio Conte, sulle pagine del Corriere della Sera, ha indirizzato a Riccardo Muti, il quale in una lettera aperta gli chiedeva di ripensare alla decisione sulla chiusura dei teatri. Devo dire che per giorni non sapevo cosa pensare. Da un lato vedi una sanità e il personale che ne fa parte: “fatto a pezzi” dai tagli e dalla mala gestione che si manifesta così chiaramente oggi che abbiamo così bisogno di cure e di essere assistiti; dall’altro vedi gli attori e i lavoratori dello spettacolo, alcuni dei quali sono anche tuoi amici, che protestano per lo stesso motivo, esasperati per di più dalle chiusure dei teatri e di tutti i luoghi dove poter fare spettacolo dal vivo. Poi, però, ci ho pensato meglio - visto che quando sei in isolamento la maggior parte del tempo lo trascorri riflettendo - e mi è venuto in mente un messaggio che mi scrissero un po’ di tempo fa e che ho ancora conservato. Il messaggio si riferiva ad un’interpretazione che feci accompagnato al pianoforte dal mio caro amico e musicista Carmine De Martino, conosciuto in teatro. Il messaggio recita: “Mia nonna è affetta da Alzheimer, di solito non reagisce, è assente. Per caso ho visto la vostra interpretazione di “Malafemmena” e mia nonna dopo un paio di secondi ha cominciato a guardarmi e a sorridere canticchiando tutta la canzone portando il tempo con la mano. Grazie di cuore.” Questo messaggio è la cosa più bella che, con affetto, conservo. Mi ha ricordato del perché la cultura e quindi con essa il teatro, la musica, la danza, andrebbe supportata tutti i giorni, come e quanto la

do che nessuno e nulla possa togliertela. Nel “dopo” c’è la mia camera che mi isola da tutto e da tutti e la speranza di uscirne presto.

sanità. Una cosa importante non dovrebbe mai escluderne un’altra altrettanto importante. Tutti i settori, se funzionano, fanno della nostra società una bella società in cui vivere. E una bella società - funzionante - che cura il corpo, ma non lascia da parte l’anima, forma un bell’essere umano empatico. E, l’empatia, così come la medicina che progredisce potrebbero salvare il mondo.

Tra tutti i giorni che sto trascorrendo in isolamento c’è stato un giorno particolarmente difficile, che spero sia alle spalle e che ad oggi mi continua a far pensare. È stato quando ho avuto difficoltà respiratorie accompagnate da dolori insopportabili alla gabbia toracica, che sono aumentati gradualmente con il passare dei giorni. Al terzo giorno in questa situazione ho deciso di renderlo noto ai miei genitori che avevano mie notizie solo telefonicamente, non potendo entrare nella stanza dove mi trovo ancora oggi. E, forse, questo ha fatto sì che - fortunatamente - siano sempre risultati negativi ai tamponi di controllo e quindi abbiano potuto riprendere le loro vite fuori dalla quarantena a cui erano sottoposti. Mio padre, quindi, venuto a conoscenza del fatto che avessi dei sintomi più “aggressivi” dei precedenti giorni, si è messo in contatto con il medico di base che da procedura riferisce di telefonare la “USCA”, l’Unità Speciale di Continuità Assistenziale che si occupa dei malati covid in isolamento a casa. Quest’ultima a sua volta chiede di chiamare il 118 che invita a risollecitare la USCA, la quale però rende noto di richiamare il 118.

In uno spot diretto da Luciano Melchionna, regista con cui ho avuto la fortuna di lavorare a Napoli, c’è una frase che credo faccia riflettere molto quando si parla della situazione dei teatri nel nostro paese. Una situazione che l’epidemia ha esasperato, ma che purtroppo esisteva anche prima: “Un paese che non aiuta o stimola il suo teatro, o è morto o è moribondo”. 3) Riprendendo il concetto di ripensamento di cui parlavo prima, vorrei chiederti: qual è la tua riflessione sulla tua persona e sulla società in generale? La domanda sorge spontanea dalla condizione di isolamento a cui sei costretto e si posa su una riflessione che da sempre attanaglia la mia mente: “come si potrebbero - almeno - riformare i sistemi penitenziari”. Mi rendo conto che ad ogni persona verrebbero in mente cose diverse. Per cui, pensando al fatto di dover essere rinchiuso in una stanza da solo, senza aver modo di vivere il tuo quotidiano, cosa ti manca al di là della siepe? gli amici, un amore?

Una procedura che è andata avanti tutto il giorno, fino all’avvenuta visita da parte dei medici della USCA, che sono venuti a casa protetti da tute e maschere. Una scena che mi ha un po’ destabilizzato e che mi ha ricordato una scena del film “ET- l’extraterrestre”, quando i funzionari del governo si presentano in tute protettive e maschere a casa di Elliot per prelevare l’amico alieno. Racconto questo episodio perché la sensazione di impotenza e di totale dipendenza dagli altri in una situazione così problematica è abbastanza difficile da sopportare credo per chiunque. Cominci a farti mille domande pensando che forse potresti evitare di costringere i tuoi genitori a stare in pensiero

La mia vita al momento nella mia testa è divisa in: “prima del tampone”, “dopo del tampone”. Nel “prima” ci sono tutti i programmi di studio, di lavoro, lasciati in sospeso da un momento all’altro. Insomma c’è la solita vita, preso dagli impegni e dalle solite preoccupazioni giornaliere che ognuno di noi ha. C’è la quotidianità che molte volte uno dà per scontato pensan48

e attaccati al telefono - tutto il giorno - a richiedere una visita medica per un contagiato Covid. Oppure potresti evitare di far venire dei medici nella tua stanza che immagini piena di germi infettanti che possano mettere a rischio chiunque entri. Pensi che forse in altri paesi la procedura è tutta molto più semplice e che forse non è colpa tua, o forse sì. E, allora, ripensi a quanto sia bella l’indipendenza nella propria vita di tutti i giorni e a quanto essa ti manchi. A quanto bisogna essere grati quando ci si sveglia e ci si sente bene, senza la preoccupazione di dover chiamare qualcuno che ti aiuti. Pensi anche se sia giusto o no avere questi pensieri. Pensi però anche a quei messaggi e a quelle chiamate a cui nella vita di tutti giorni non dai peso. Quando ti scrivono “come stai?”. Quando ti chiamano per raccontarti qualcosa, così giusto per tenerti compagnia. Quando ti recapitano fuori il cancello di casa una busta piena di arance per poi scriverti “Carico di vitamine C in arrivo. Buongiorno”. Ecco! Queste chiamate, questi messaggi, questi gesti, per chiunque sia isolato da tutti, non per propria scelta, molte volte rappresentano l’unica via di fuga dai tuoi pensieri e dalle pareti che ti isolano. E cominci a dare peso a tutte quelle persone che in un modo o in un altro hanno cercato di esserci con sincerità e semplicità. Non so se sia scontato dirlo però cominci davvero a dare peso ai piccoli gesti, ai particolari, perché sono questi che fanno la differenza nei tuoi interi giorni chiuso in un rettangolo di mura. E, visto che mi è stata data l’opportunità di poterlo scrivere, a queste persone vorrei scrivere un semplice e grandissimo “GRAZIE”, sperando che possano leggerlo. 4) Cosa vedi fuori? Il mare, la mia musica dal vivo, il teatro, i miei allievi “speciali”, gli amici, la laurea, il vaccino.


Inverno 2019

Le nostre cose

Succede a tutti, a un certo punto nella vita si arriva ad una svolta, un evento casuale ed inaspettato che cambia il pensiero, i sentimenti, le azioni. Questa volta il cambiamento è stato collettivo, anche se ognuno è più isolato e incerto, ci si può riconoscere in situazioni e azioni comuni, dall’utilizzo degli stessi oggetti al vivere la stessa mancanza di lievito al supermercato. Così ciascuno è meno solo nella propria solitudine.

In aeroporto Inverno 2020

Lei ha poco più di vent’anni, universitaria in piena sessione invernale, è di ritorno dopo qualche giorno lontana da quelle vesti di studentessa che ultimamente le stanno un po’ strette. Ha la sensazione di stanchezza e appagamento della fine di un viaggio, in attesa in un aeroporto, osserva i volti dai lineamenti diversi a seconda della provenienza o destinazione. Al suo stesso Gate aspettano principalmente connazionali, qualcuno ha voglia di chiacchierare, le offrono un biscotto. L’impressione è quella di sentirsi a casa e in famiglia di quando si incontrano compatrioti in un territorio straniero.

In aeroporto Lei ha poco più di vent’anni, universitaria in piena sessione invernale, è di ritorno da tre giorni lontana da quelle vesti di studentessa che da un bel po’ le stanno strette. In attesa in un aeroporto, cerca di osservare i volti dai lineamenti diversi a seconda della provenienza o destinazione, ma non riesce a vederli tutti. Alcuni indossano una mascherina, c’è inquietudine e un po’ di sospetto. Anche se al suo Gate aspettano principalmente connazionali pochi sono quelli ansiosi di passare il tempo interagendo con gli altri. Lei è incerta, non sa se è una sprovveduta per non essere in allarme, se siano gli altri ad esagerare. Non vede l’ora di arrivare a casa, dove ritroverà la sensazione di essere in famiglia.

Testo di Vittoria Martinelli, Illustrazioni di Carlo Latino

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La stasi del corpo non corrisponde a una quiete L’UOMO SI MUOVE RESTANDO FERMO. LA TECNOLOGIA CHE LUI STESSO HA CREATO GLI PERMETTE DI GESTIRE MOMENTI DI INCONTRO, SVAGO, LAVORO IN UN UNICO SPAZIO. Se volessimo articolare il discorso in una chiave più ampia potremmo riprendere il concetto di “non luogo” a lungo analizzato da Marc Augé che ci ricorda che esistono: “tre categorie di spazio: quelli di circolazione, quelli di consumo e quelli di comunicazione, rappresentati rispettivamente dall’aeroporto, dall’ipermercato e dalla televisione”. Attualizzando il concetto oggi, la tv potrebbe essere sostituita da uno smartphone, sul quale viaggiano velocemente contenuti di ogni tipo. L’isolamento al quale siamo costretti amplia l’uso dei diversi dispositivi in grado di proiettarci su spazi virtuali liberi, aperti e accessibili a tutti. C’è sicuramente un impriting positivo del quale si osserveranno gli effetti ed essendo inevitabile è bene farne tesoro.

AL CONTEMPO, PERÒ, UNA RIFLESSIONE SORGE SPONTANEA: QUALI SONO I REALI STATI CHE STIAMO VIVENDO? Se la rete ci permette di valicare confini, rassicurandoci, al contempo, la costrizione a nuove abitudini, i continui divieti, gli stati d’animo dettati e alterati da un susseguirsi affannoso di dpcm, fanno sì che ognuno viva in continua tensione. L’incertezza fa da padrona

e ci rende schiavi di un tempo tanto fuggevole

che non siamo in grado di gestire.

Si è sospesi nell’impossibilità di progettare alcunché,

speranzosi di un “domani” migliore,

ma lontano agli occhi di tutti.

Non è questo il nostro quotidiano. Non ci appartiene. Nessuno sa quanto durerà.. Tu, però.. NON DESISTERE!

NON MOLLARE!

Diverrai nuovamente padrone del tuo tempo. 50


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Testo di Vittoria Biasiucci, illustrazione di Lina Iannitti


COSTRUIRE, ABITARE, VIAGGIARE: IL NATALE

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di nostalgia che si prova per un bel ricordo. Risalgo la scala con tacita rassegnazione e ritrovo il rassicurante tepore del mio salotto, debolmente illuminato dalla lampada sul tavolino e dal led della TV: la spengo, ormai ne sono nauseata. Metto su l’acqua e, una volta pronta, sprofondo nella poltrona accanto al balcone con la tazza fumante tra le dita: fuori non si muove una foglia, come se qualsiasi cenno di vita fosse stato risucchiato dal mondo e nascosto dalla nebbia densa. Non c’è nulla dell’atmosfera e della concitazione che precede un evento come il Natale. Se c’è un Dio, da qualche parte, non deve avere molta voglia di festeggiare. Mi chiedo perché un essere soprannaturale dovesse voler creare un intero, bellissimo universo per poi guardalo autodistruggersi. Mi rendo subito conto che è la stessa, identica cosa che fanno pure gli uomini: costruiscono delle cose e poi le sfruttano, finché non si annientano. Ci distinguiamo dal resto degli esseri viventi perché il nostro mondo dobbiamo edificarlo. Non ci viviamo dentro come le rondini, le balene, i coccodrilli, gli orsi: noi lo “abitiamo” e ci illudiamo di possederlo. Siamo fuori posto nell’armonia della natura e proviamo a sostituirla con la tecnologia, grazie alle quale sopravviviamo comodi. Mi guardo intorno e riconosco nelle mura di casa l’unica certezza in questi tempi di pura follia; eppure un senso di oppressione mi invade lo stomaco. Realizzo che non siamo fatti per ammuffire su una poltrona, ma siamo fatti per uscire ed esplorare. Lo sentivo sin da bambina, con la mia torcia giocattolo, in viaggio verso la cantina, alla scoperta dell’ignoto. Spesso si dice che tutta la vita sia un viaggio, ma perché proprio un viaggio? Può darsi che, con la nascita del suo unico figlio, il Dio di cui tutti parla-

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no volesse risponderci a questa domanda, svelandoci che la scintilla divina nell’uomo consiste nel suo eterno errare. Cristo viene alla luce come un comune mortale, in un luogo lontano da quella che doveva essere la sua città: è un viaggiatore già nel grembo della madre, quando lei e Giuseppe si dirigono verso Betlemme. Lì giungono anche i Magi, portando dei doni: Oriente e Occidente si incontrano, in un unico, miracoloso destino. È il segnale di una congiunzione tra due cosmi, ma anche di una rottura tra un vecchio sistema immobile e chiuso che viene sostituito da uno nuovo, aperto e dinamico. Forse è per questo che il Natale precede immediatamente l’inizio di un altro anno: indica che la Vita è un ciclo in movimento continuo, non una linea retta con punti di inizio e fine. Vivere, “e-sistere” dovrebbe significare proprio questo: “uscire fuori dal proprio sito”, entrare in contatto con lo sconosciuto e la paura di esso, per sapersi trasformare e reinventare. Mando giù l’ultimo sorso di tisana e sollevo lo sguardo al di là dei vetri: c’è molto di più di quello che sembra, lo percepisco. Qualcosa di dormiente, la cui rigenerazione silenziosa e costante è già in atto. Mi accorgo che, trasformando la mia prospettiva, mi immergo in modo naturale nel flusso delle cose. Il grave peso sullo stomaco scompare e la mente si proietta oltre il tempo storico, oltre lo spazio in cui mi trovo realmente. Senza saperlo, parto ancora una volta per arrivare chissà dove: sto cambiando insieme al resto delle cose, lo accetto e non soffro più. Diventare viaggiatrice di me stessa: ecco il buon proposito per il prossimo inizio! È proprio vero quel che si dice: il Natale è il periodo della speranza e della rinascita.

Testo di Federica Sasso, Illustrazione di Andrea Ciccarelli

Un paio di sere fa sono scesa in cantina per attingere alla mia scorta di tisane: di questi tempi l’aria fuori è così fredda, e la città così spoglia, che tenere qualcosa di caldo tra le mani sembra intiepidirti anche dentro. La scala è buia, ma non schiaccio l’interruttore accanto alla porta per illuminarla. Accendo la torcia del cellulare, poggiando il piede sul primo gradino. Lo facevo anche da piccola: con una torcia giocattolo in mano immaginavo di essere l’esploratrice di una grotta sotterranea. La mia fantasia vola ancora, soprattutto se il corpo è seduto la maggior parte della giornata. Entro in cantina, il familiare odore di chiuso e di polvere dritto nelle narici, seguito dalla fresca umidità del sottosuolo. Faccio per raggiungere gli scaffali della dispensa, ma urto con forza qualcosa di pesante e solido che mi blocca all’altezza degli stinchi. Abbasso il cellulare e vedo uno scatolone stracolmo di fili scintillanti alla luce della torcia in cui sono aggrovigliate piccole sfere rosse, blu, gialle, verdi: lo scatolone degli addobbi natalizi. Papà doveva averlo tirato fuori per dare una pulita, ma lo aveva lasciato tra i piedi. Lo maledico per un istante, ma poi sorrido: del resto è sempre stato il mio scatolone preferito. Non so perché, ma pensare al Natale mi mette addosso un’allegria che non so da dove proviene. È l’effetto che fa quella che si dice una “tradizione”: non sai da dove viene, ma la comprendi perfettamente, finché la percepisci tua e diventa qualcosa da custodire e trasmettere. Afferro la confezione di tisana alla cannella, ansiosa di mettere su il bollitore. Lancio un’altra occhiata allo scatolone in mezzo alla stanza, ma non sorrido più: il cuore si stringe e, in un lampo di lucidità, mi rendo conto che, a breve, sarebbe arrivato il Natale. Mi sale un groppo in gola, la specie


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6 Primavera, Marino De Nisio IG: marinosenzaossa 9 Centomila, Nessuno, Noone, Andrea Ciccarelli 13 2020, Paradigma Inc 14 Estate, Andrea Ciccarelli 22 Parole intrecciate, Marino De Nisio 23 L’esito, Renato Pinto FB: Renato Pinto - IG: reni_pi Fiverr: renipicomics Tumblr: renipi - Twitter: ReniPi 26 Autunno, Lina Iannitti 32 Going Nuts, Andrea Ciccarelli 34 We’re not incubators, Lina Iannitti 41 Astronauta 2020, Carlo Latino 42 La grande e meravigliosa nuvola, Giuliana Guzzi giuliana.guzzi@gmail.com - IG: giuliana.guzzi 44 Australia, Carlo Latino 45 Preda, Simone Paesano IG: simone_ugo 54 Vague, Andrea Ciccarelli 56 2020, Eleonora Castagna IG: frullatino_di_mandarino instagram.com/frullatino_di_mandarino/ FB: Eleonora Castagna illustratrice - facebook.com/frudima 57 Quarantena Medievale, Andrea Sardanelli Ig: drtybot - Fb: Andrea Sardanelli art e-mail:andreasardo95@gmail.com - fiverr:drtybot 58 Fragole, Lina Iannitti

Copertina a cura di Andrea Ciccarelli Quarta di copertina a cura di Andrea Masucci Direttore Marino De Nisio Vicedirettore Francesco Santagata Editorial Design Irma Zappoli Revisione editoriale Davide Di Baia


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