Roma e l'economia dell'arte contemporanea

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Roma e l’economia dell’arte contemporanea Una proposta di Azione

Stefano Monti, per Wikiroma

aprile 2016


Sommario 1. Introduzione ............................................................................................................................................................... 3 2. economia dell’intangibile, economia urbana ................................................................................................ 5 3. finanza ed economia reale nell'arte .................................................................................................................. 7 4. Meno dell'1 per cento ............................................................................................................................................ 12 5. Il Patrimonio di Roma ........................................................................................................................................... 15 6. La catena del Valore dell’Arte ............................................................................................................................ 19 7. Non solo eredità , produrre cultura ................................................................................................................. 24 Bibliografia 26

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1. INTRODUZIONE Per i non addetti ai lavori, individuare nell’arte contemporanea una possibile leva di sviluppo per la città di Roma potrebbe risultare quasi un’iperbole da campagna elettorale, una boutade pronunciata al mero scopo di attirare l’attenzione dei potenziali elettori. Un’analisi più approfondita però è in grado di identificare le capacità di sviluppo che questo asset può rappresentare, e le funzioni di leva economica e sociale che congiuntamente vengono coinvolte in progetti che mirano a creare un empowerment dell’intero tessuto produttivo urbano. Il XX secolo ha rappresentato uno dei periodi più vivaci dell’intera storia dell’umanità, modificando le strutture produttive, sociali, politiche, filosofiche e culturali, durante il quale sono state introdotte quelle innovazioni umane e tecnologiche che ancora oggi (e forse oggi con maggiore influenza che nel passato) plasmano la vita della società. Queste innovazioni non si sono limitate all’esperienza individuale nella propria dimensione più quotidiana, ma hanno introdotto vere e proprie modifiche strutturali in tutti i settori sociali, ponendo tutti gli attori di rilievo (dalla politica all’imprenditoria, dall’università al giornalismo) ad interagire in modo nuovo con un sistema geopolitico in rapidissima evoluzione. È innegabile oggi che quel processo di globalizzazione, più volte avviato durante la storia dell’umanità, si stia finalmente consolidando, così come è innegabile che tale processo ha favorito e a sua volta è stato reso possibile dall’emergere di nuove tecnologie. Questi “innegabili”, queste ovvietà apparenti, hanno comportato e continuano a comportare delle modifiche profonde al modo in cui gli individuo vivono, pensano, comunicano, acquistano e producono. La differenza è che se per i primi campi dell’agire umano queste introduzioni sono sempre palesi, meno evidenti (sempre per chi non si sia mai avvicinato ai temi cari all’economia) sono i cambiamenti generati nel settore della produzione di beni e servizi. Tali trasformazioni, che non sono percepite nell’agire quotidiano se non nella loro emersione più superficiale (la metaforica punta dell’iceberg), hanno introdotto un vero e proprio cambio di paradigma dell’intera economia mondiale. Questo paradigma, noto come passaggio da un’economia a prevalente componente industriale ad una economia a prevalente componente immateriale o di conoscenza, ha comportato numerose e profonde in tutto il settore produttivo, dalla produzione alla distribuzione, dalla finanza al marketing, fino al “retail” e all’acquisto. 3


Sul piano produttivo, ad esempio, si pensi a quanti beni di tipo prettamente manifatturiero “tradizionale” abbiano incorporato all’interno delle loro catene del valore elementi immateriali e come questi agiscano sia come elementi di riduzione di costi e di tempi, sia come fattori moltiplicativi del valore percepito. Si pensi al settore automotive, o alla fabbricazione di impianti e macchinari industriali. Oggi, i macchinari industriali rappresentano delle componenti estremamente sofisticate, dei veri e propri robot di ultimissima generazione, in cui ingegneria, informatica, studio dei materiali, ma anche sfere non immediatamente “costruttive” come lo studio dei pattern psicologici e delle interazioni tra uomo e macchina confluiscono all’interno del processo di progettazione e realizzazione. Si pensi, ad esempio, al tentativo di “industria totale” portato avanti da Tesla (industria automobilistica statunitense): la produzione di veicoli ad energia elettrica è demandata completamente ai robot, mentre gli umani si occupano della programmazione dei software. Perché fabbrica totale? Perché quegli stessi robot potranno essere utilizzati in altre mansioni che vanno ben oltre il cambio di prodotto: già qualche anno fa, uno di questi “robot”, che per intenderci non sono antropomorfi, erano in grado di “vedere” il viso di una persona e farne un ritratto in real-time. A ben vedere, la trasformazione è stata talmente profonda che oggi è davvero difficile distinguere tra le economie tradizionali e quelle cosiddette “creative”. La loro classificazione, infatti, si basa meramente sui beni e servizi finali (quelli che arrivano al consumatore), ma spesso condividono logiche, catene di valore e strumenti propri delle imprese “tradizionali”. Il motivo per il quale, all’interno di una riflessione legata all’arte contemporanea, le premesse si concentrino sull’industria dell’automobile, è quello di evidenziare che i cambi economici sono stati così profondi che oramai è l’intangibile a realizzare i più elevati standard di crescita, così come è la componente dei “servizi” a contribuire ad una quota molto rilevante all’interno della formazione della ricchezza umana ed economica di un Paese. E questo a prescindere dal settore di riferimento. Questa evidenza permette dunque di eliminare gli ultimi strali di uno scetticismo legato alle capacità dei cosiddetti intangibles di generare impatti concreti su di un territorio specifico, e permette di inserire tali asset all’interno di complesse strutture di creazione del valore.

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2. ECONOMIA DELL’INTANGIBILE, ECONOMIA URBANA Infatti, sul versante più prettamente territoriale, l’economia dell’intangibile trova immediata e diretta manifestazione all’interno dei più importanti circuiti urbani mondiali, e, anzi, è ormai la stessa componente intangibile a fare in modo che intere città siano considerate più importanti rispetto ad altre. Città come New York, Londra, Barcellona, Tel Aviv, Berlino o anche città meno famose come Bilbao o Santiago del Cile, hanno avviato già negli scorsi anni percorsi di estrema importanza (anche sotto il versante dell’ammontare degli investimenti) volti alla realizzazione di vere e proprie economie legate alla produzione di beni e servizi culturali. La presenza di un’industria culturale attiva, che garantisca una forte presenza di quelle che sono definite come leisure activities, non solo incide direttamente sulla qualità della vita dei cittadini, ma migliora anche l’inclinazione al consumo, e quindi ad un maggiore e più efficiente mercato urbano. Chiaramente le dimensioni che includono l’economia urbana sono ben più vaste, e non è certo questa la sede per approfondire la questione, ma l’emergere di cosiddetti cluster creativi è un fenomeno che ha coinvolto, nel mondo e anche in Italia, numerose città. In Italia, ad esempio, una delle prime iniziative in questo senso è quella di Milano, e a quartieri che come Zona Tortona hanno trasformato la propria vocazione da industriale a culturale, e che sono considerati best practice a livello internazionale. I motivi per cui tali fenomeni sono così rilevanti sono molteplici, e sono correlati ai differenti impatti che le industrie culturali e creative generano sul territorio: in primo luogo c’è l’effetto occupazionale e produttivo, in base al quale un’impresa genera ricchezza in modo diretto in un territorio di riferimento; in secondo luogo c’è l’aspetto della fruizione, per cui se all’interno di un territorio, e per semplicità si pensi al quartiere, si afferma un’offerta culturale variegata e valida, quel quartiere verrà molto più frequentato; con conseguente apertura di “servizi” che vanno dal banale bar ad interventi più complessi quali i coworking, i teatri ecc. (nascita di economie di prossimità) Questo aspetto di fruizione (si immagini ora la concentrazione di varie imprese culturali) tende a favorire lo sviluppo di quel determinato quartiere, sia per quanto riguarda l’aggregazione di imprese, sia per quanto riguarda fenomeni come il controllo sociale, il decoro urbano, ecc. Questi fenomeni faranno sì che il valore degli immobili, coerentemente con la qualità della vita, aumenti nel tempo, con conseguente interesse da parte di investitori privati ecc. Inoltre, e questo è un altro ingrediente importante dell’intero fenomeno, la commistione spaziale, la vicinanza di imprese (e quindi di lavoratori) a vocazione comune, possono rendere più agevoli processi di innovazione inter

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ed intra-settoriale, con il risultato di una potenziale creazione di progetti e prodotti innovativi, in grado di alimentare il circolo virtuoso. Il fenomeno è più complesso, ovviamente, e prevede una serie di sinergie che per semplicità sono state volutamente trascurate e che innescano a loro volta una serie di conseguenze e impatti positivi su tutto il territorio: dalla concertazione in fase di allocazione delle risorse da parte della Pubblica Amministrazione alla redazione di Piani di Sviluppo Integrato, dagli aspetti infrastrutturali alla capacità di recepire i fondi di finanziamento diretti ed indiretti dell’Unione Europea, fino agli impatti che tali industrie generano sui restanti settori dell’economia (livello di interdipendenza settoriale). Anche in questa versione scarna e sintetica, tuttavia, appare chiara l’importanza che queste industrie possono rivestire all’interno dello sviluppo urbano.

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3. FINANZA ED ECONOMIA REALE NELL’ARTE In questo scenario l’economia dell’arte, e ancor più l’economia dell’arte contemporanea, rappresenta un sotto-cluster molto peculiare. Il mercato legato a quest’attività è infatti un mercato di beni principalmente mobili, in cui nella maggior parte dei casi il valore intangibile è espresso all’interno della componente fisica dell’opera. Sotto il profilo teorico queste considerazioni differenziano l’arte (figurativa) da molte delle imprese culturali e creative: in queste ultime, infatti, come ad esempio quella della produzione audiovisiva, in cui a fronte di un’elevata struttura dei costi per la realizzazione del primo esemplare, corrisponde un valore tendente a zero per quanto riguarda la riproduzione (ad es. film, album musicali, produzioni letterarie, ecc.). Per quanto riguarda il mercato dell’arte, eccezion fatta per i casi di opere in copie numerate, è previsto un unico esemplare per ogni bene. Ma gli elementi di peculiarità del settore artistico sono molto più profondi se guardiamo alle differenti componenti del mercato di riferimento. Negli ultimi anni, infatti, il mercato dell’arte ha conosciuto, su scala globale, un trend di crescita ponderoso, soprattutto se comparato agli andamenti presentati dagli altri mercati: complice la crisi economica, questo settore è stato sempre più oggetto di operazioni di differenziazione dei portafogli di investimento, che tradotto in termini non finanziari significa, che sempre più individui hanno inserito all’interno dei propri investimenti totali, piccole quote di investimenti in opere d’arte, al fine di investire in un segmento in cui i fattori di rischio fossero differenti da quelli degli investimenti, per così dire, tradizionali. In questo senso appare evidente come l’andamento delle azioni di un’impresa sia soggetto a regole differenti di apprezzamento o svalutazione rispetto a quelle che invece determinano gli andamenti del valore di un’opera d’arte. Queste premesse hanno determinato una grande concentrazione (mediatica e di capitali) verso questo settore: basti pensare che, a livello globale, da Luglio 2014 a Giugno 2015, il solo mercato delle aste legate all’arte contemporanea ha realizzato un giro d’affari pari a 1.76 miliardi di dollari, registrando una flessione rispetto al periodo precedente, ma mostrando in ogni caso un tendenziale di medio periodo molto positivo, mostrando un aumento pari al 1800% rispetto al periodo 2000/2001, evidenziando un andamento over performante del comparto del mercato dell’arte nel suo complesso.

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Fig. 1: Andamento del Turnover per il Mercato dell’Arte Contemporanea; Fonte: Artprice; The Contemporary Art Market Report 2015

Questi livelli sono ovviamente ascrivibili a un set di fattori che concorrono alla realizzazione di questo risultato. Questi fattori spaziano da considerazioni di natura finanziaria a questioni di godimento estetico. Tra quelli della prima categoria, importante ruolo è quello giocato dai trend sempre più evidenti di concentrazione di ricchezza a livello globale. Sotto questo versante è da notare come negli ultimi anni il livello di Ultra High Net Worth Individuals, formati da coloro che dispongono di un patrimonio maggiore di 30 milioni di dollari, abbia mostrato una crescita costante negli ultimi 5 anni, così come i loro cugini più poveri gli HNWI (che dispongono di un patrimonio maggiore al milione di dollari).

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Fig. 2: Andamento di HNWI; Fonte: Capgemini; World Wealth Report 2015

Questa concentrazione incide sul mercato dell’arte sotto un duplice profilo: da un lato infatti, la concentrazione di ricchezza fa tendere al rialzo il valore delle opere più importanti (i cosiddetti top lot delle case d’asta), dall’altro un aumento nominale di individui super-ricchi aumenta gli acquisti legati al comparto. Stando al World Wealth Report, infatti, questa categoria di persone destini il 9% dei propri consumi per “Investments of Passion”, categoria che include anche l’arte (oltre a gioielli, diamanti, vini, monete, e mezzi di trasporto di lusso come barche o automobili). A questo si aggiunga anche il ruolo importante che ha giocato questo cluster in anni di difficoltà evidenti per gli altri settori di investimento tradizionali. In tal senso, è opportuno notare come l’MPS Art Market Value Index, che misura gli andamenti di un paniere di 10 società quotate su mercati finanziari operanti nel comparto artistico, mostri un tendenziale positivo nel periodo più profondo della crisi:

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Fig. 3: MPS Art Index, S&P, FTSE MIB: andamenti a confronto; Fonte: MPS Art Market Report II semestre 2015

Come si può notare, l’indice elaborato dal Monte Paschi riferito al mercato artistico ha riportato negli anni un differenziale positivo rispetto ai più rilevanti indici dei mercati. Questo ha sicuramente determinato un ulteriore ingresso all’interno di questo settore che oggi vale […], e che a differenza di altri titoli azionari, creatori di una ricchezza soprattutto finanziaria, ha il potenziale per mostrare notevoli impatti anche nell’economia reale. La componente nucleare su cui si fonda il mercato artistico, ed in particolar modo quello legato all’arte contemporanea, è l’opera d’arte, e quindi un oggetto fisico, concreto, che seguendo un percorso particolarissimo e per certi versi “misterioso”, acquisisce nel tempo un elevato livello di plusvalore. Essendo un oggetto fisico, a differenza delle grandezze finanziarie (azioni, obbligazioni e derivati), mostra un elevato livello di correlazione con altre tipologie di professioni. Ha bisogno, ad esempio, di un luogo fisico in cui sia ospitato (magazzino o caveau) o esposto (in genere gallerie d’arte contemporanea); necessita, al fine di essere valorizzato, di entrare a far parte di un catalogo (nel migliore dei casi “ragionato”) il che equivale alle interazioni tra artista-gallerista-curatore; può essere oggetto di esposizioni temporanee e quindi includere fattori di tipo assicurativo, di trasporto, di registrar, e infine può essere venduto (attraverso contatto diretto con il gallerista o presso le case d’asta). Il tutto senza contare i vari prestiti ai musei, che capitalizzano quell’opera (aumentandone al contempo il valore) creando offerta culturale e attrattività turistica, o le fiere, che includono ancora una serie molto ampia di professioni e d’individui. A questo sistema, infine, bisognerebbe aggiungere anche il settore dei “musei” di arte contemporanea, sia di quelli pubblici che di quelli privati, che negli ultimi anni ha conosciuto a livello globale trend analoghi a quelli mostrati dal mercato delle opere, con la costruzione tra il 2000 ed il 2014 di più musei di 10


quanti se ne siano costruiti durante tutto il XX secolo, ad un tasso di crescita che supera la costruzione di più di 700 musei l’anno. Anche qui, l’apertura di un museo coinvolge numerosissime professioni legate all’economia reale e territoriale (dalla manodopera edile alle campagne di comunicazione, dalle convenzioni con gli altri attori del territorio all’assunzione di giovani e meno giovani per attività educative, di guardiania). Si obietterà, a ragione, che anche azioni, obbligazioni e derivati hanno una base fisica; la differenza è che la compravendita di tali strumenti finanziari non implica professioni o attività non finanziarie (essendo immateriali non esistono costi di trasporto, di magazzino, ecc.). Questa materialità, questa esigenza di professionisti specializzati, questo elevato livello di “interdipendenza settoriale”, rappresenta una delle caratteristiche più importanti ai fini di questa riflessione e la ragione è di facile intuizione: un mercato, che mostra trend decennali di crescita, che include quelle economie intangibili e culturali rappresentate oggi dalle cosiddette industrie culturali e creative, e che al contempo mostra un elevato livello di fisicità e di interdipendenza settoriale, rappresenta necessariamente una leva di sviluppo notevole per un territorio urbano.

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4. MENO DELL’1 PER CENTO Nonostante i trend positivi, la mole degli investimenti, la capacità patrimoniale (in Italia risiede l’8% degli HNWI globali), la grande tradizione artistica e la disponibilità di capolavori di tutto rilievo, l’Italia ha avuto difficoltà ad inserirsi all’interno di questo mercato, giocando un ruolo molto marginale su scala mondiale. Guardando al periodo 2014/2015 emerge come tale mercato abbia generato, nel nostro Paese, un turnover pari a $7.1 milioni, a fronte di un mercato che nei soli USA, di milioni di dollari ne vale 650. In altri termini, il nostro mercato dell’arte contemporanea non vale nemmeno l’1% del mercato mondiale: meglio di noi hanno fatto, oltre agli Stati Uniti, anche Cina ($542.8 milioni), Regno Unito ($410.5), Francia ($35.6), Germania ($17.8), ma anche stati meno riconosciuti sul piano artistico come Qatar ($9.3) e Australia ($7.5). Una fotografia impietosa, soprattutto se si compara il dato di mercato dal punto di vista territoriale con la quota di mercato prodotta da opere di artisti italiani. In questo senso, stando sempre al rapporto di Artprice, l’Italia rappresenta il 4° mercato per “materie prime”, dell’intero comparto globale, con un’incidenza pari al 2.6% (quindi quasi il triplo del valore di mercato territoriale).

Fig. 4: Turnover del Mercato per Paese d'Origine degli Artisti; Fonte: The Contemporary Art Market Report 2015 12


Questo punto merita una riflessione: il mercato dell’arte mostra delle particolarità importanti per quanto riguarda i “fattori di produzione”; detto in altri termini, i fattori che concorrono alla produzione di un’opera d’arte sono molteplici e differenti in cui creatività, talento, ispirazione personale, cultura individuale si associano a “disponibilità territoriali” come la diffusione di una cultura artistica, la disponibilità di musei, gallerie e luoghi di incontro per giovani artisti, la presenza di un mercato primario, le accademie di belle arti, ecc. Se queste evidenze dimostrano l’ovvio vale a dire la constatazione che produrre opere d’arte non è la stessa cosa di produrre qualsiasi altro bene, meno ovvie sono invece le conseguenze di una tale affermazione. Nella maggior parte dei comparti produttivi, infatti, produrre un bene è una questione d’investimento: grazie alla specializzazione tecnica, oggi si possono produrre beni con manodopera non specializzata in qualsiasi Paese del mondo. Il fenomeno dell’outsourcing (vale a dire esternalizzare parti di produzione di un bene presso altre organizzazioni) ha mostrato negli ultimi anni la sua massima espansione: oggi non stupisce che un prodotto a marchio Italiano abbia delle componenti realizzate in Taiwan, altre in India, altre ancora in Cina. Essere “produttori” d’arte, invece, è una questione più complessa, e data la grande aleatorietà dei fattori in campo, la linea di tempo che separa l’investimento dalla produzione può essere molto lunga. Ciononostante, è intuibile che un mercato florido abbia delle ripercussioni su questi fattori di produzione: in un Paese in cui il mercato dell’arte contemporanea genera elevato valore aggiunto, emergeranno professioni e specializzazioni che potremmo definire come una sorta di “distributori”: gallerie, musei, spazi culturali indipendenti; luoghi in cui i produttori possono creare network, esporre le proprie opere, e creare contatti con quegli attori principali che sono sempre alla ricerca di nuovi talenti da valorizzare. Questa “catena del valore” semplificata al fine di rendere il discorso poco tecnico e noioso, permette l’emergere di nuovi artisti, che altrimenti avrebbero poche possibilità di intervenire sul mercato: in pratica, la prossimità territoriale pur in un contesto globalizzato come quello dell’arte contemporanea, svolge ancora un ruolo importante. Ne è testimonianza l’ascesa degli artisti contemporanei cinesi, che nel volgere di venti anni sono oggi tra gli artisti più importanti a livello internazionale: pur mantenendo delle specificità di tipo finanziario (l’arte contemporanea cinese rappresentava all’inizio una diversificazione di investimento all’interno del comparto artistico), e di tipo culturale (il senso di appartenenza alla cultura cinese ha fatto sì che molti collezionisti cinesi preferissero le opere dei propri connazionali), è indubbio che l’apertura di nuovi musei, nuove case d’asta, gallerie, art advisor etc. ha facilitato un processo di ascesa dell’espressione contemporanea cinese.

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Non è un caso, in altri termini, che i 3 player principali con riferimento al turnover totale del mercato contemporaneo, e rispettivamente USA, Cina e Regno Unito, abbiano un ruolo di rilievo anche per ciò che concerne la produzione. L’Italia in questa “classifica” è al quinto posto, e il confronto con la Francia dovrebbe far riflettere, e non poco. Quest’ultima infatti, a fronte di un turnover prodotto pari al 2% dell’intero mercato, contribuisce sul versante della produzione con un più discreto 0.8%. Il che lascia ipotizzare che, a parità di infrastrutture, l’Italia potrebbe giocare un ruolo ben più incisivo rispetto a quello in cui è relegata oggi. Basti pensare che città come Roma, fino a 10 anni fa non aveva un museo dedicato ai movimenti artistici contemporanei e che a Marzo 2016 le gallerie iscritte all’ANGAMC (Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) siano 8, contro le 42 di Milano1.

1 Chiaramente questo dato non è rappresentativo dell’universo statistico di riferimento, tuttavia riesce a fornire

in modo immediato un paragone tra due realtà territoriali distinte.

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5. IL PATRIMONIO DI ROMA Roma è la Città Eterna, l’Urbe, la città del Cristianesimo, la Capitale d’Italia, ma Rome è anche Cinecittà, l’immaginario cinematografico, Fellini e la Dolce Vita, ma anche Pasolini di Accattone e il suo Pigneto che oggi è teatro di Street Artist più o meno emergenti. È difficile poter definire con esattezza quali siano tutti i tesori artistici e culturali di Roma, anche perché nel nostro ordinamento, è prevista la cosiddetta presunzione di culturalità (Cecchi, 2015) che di fatto ha reso “legalmente” poco rilevante l’idea, che invece era stata introdotta nel nostro sistema legislativo agli inizi del ‘900 di realizzare un “catalogo dei beni culturali”. In questo senso tuttavia viene in aiuto il sito della Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Roma, che rende noti i Monumenti che rientrano nel proprio portato operativo. Per quanto sia riconosciuto globalmente il grande patrimonio culturale ed artistico presente sul territorio romano, l’elenco dei monumenti presenti nel solo Municipio I della città riesce a fornire in modo immediato la vastità e l’importanza di tale ricchezza.

Fig. 5: Municipio I di Roma; Fonte: Soprintendenza Speciale

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Nel solo primo municipio, infatti, diviso nei quartieri come evidenziati dalla figura, sono segnalati sul sito della Soprintendenza un totale di 542 Monumenti, in larga parte rappresentati da Chiese, Palazzi e Basiliche, categorie che insieme rappresentano piÚ del 75% dell’intero patrimonio catalogato (si vedano le tabelle 1 e 2 per maggiori dettagli).

Tab. 1: Numero di Monumenti per Quartiere; Fonte: Soprintendenza Speciale

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Tab. 2: Percentuale monumenti per categoria; ns. elab. su dati Soprintendenza Speciale

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Questa grande densità è stata ampiamente riconosciuta anche sul versante internazionale, con l’iscrizione presso la Lista dei Patrimoni Mondiali dell’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura), dell’intero centro storico, nonché delle proprietà del Vaticano e San Paolo Fuori le Mura. La consapevolezza che Roma abbia un patrimonio storico-artistico inestimabile è diffusa, ed è soprattutto per questo suo patrimonio che gode di quella fama mondiale che attrae ogni anno milioni di turisti (Monti, Bernabè, Casalini, Marchese, & Stuto, 2014). Secondo le cifre diffuse dal MIBACT, infatti, i visitatori dei luoghi culturali statali del Lazio, nel solo 2015, sono stati quasi 20 milioni (19.750.157), ponendo il Lazio al primo posto della classifica relativa (MIBACT, 2016). Queste cifre, tuttavia, potrebbero (dovrebbero) essere molto più elevate, se si considera che nel 2014, i visitatori del solo Louvre di Parigi sono stati pari a più di 9,26 milioni quasi un terzo in più rispetto a quelli che nello stesso anno hanno scelto di visitare il Colosseo e i Fori Romani (Statista, 2016) (MIBACT, 2016).

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6. LA CATENA DEL VALORE DELL’ARTE Questa fotografia, inoltre, mostra semplicemente lo status quo, o meglio detto, quanto di prezioso, meraviglioso, storico e artistico che ci è stato trasmesso dal nostro passato, ma una visione dettagliata prevede anche un’analisi dettagliata dell’attuale produzione artistica, la quale, mostra evidenze piuttosto differenti. Per meglio comprendere la questione è utile pertanto guardare alle differenti dinamiche che contraddistinguono il mercato dell’arte: una visione della catena del valore può essere schematizzata come in Zorloni ( (Zorloni, 2011):

Fig. 6: Value Chain dell'arte contemporanea; Fonte: Zorloni, Op.cit.

In modo più schematico si possono elencare alcune funzioni essenziali legate al mercato artistico: ▪ Istruzione (accademie, scuole di specializzazione); ▪ Produzione (Artisti, Collettivi); ▪ Esposizioni (Centri Culturali, Gallerie, Musei, Centri Espositivi, Musei Privati, etc.) 19


▪ Vendita (Vendita diretta degli artisti, Gallerie, Fiere, Case d’Asta) ▪ Valorizzazione (Critici, Storici, Addetti al Marketing dell’arte, ma anche attività di produzione e di circuitazione delle esposizioni temporanee); ▪ Trasporto ▪ Deposito (caveau) ▪ Attività assicurative ▪ Attività di Comunicazione ▪ Attività Publishing (Riviste, Stampa Generalista, Siti Web, ecc.) ▪ Conservazione e Restauro ▪ Attività di Investimento (Art Advisory, Family Offices, Fondi Hedge, ecc.) In quest’ampio ecosistema, ognuna delle categorie di attività svolge un ruolo cruciale all’interno delle dinamiche di formazione di valore delle opere d’arte, ed ognuna di esse, sotto un altro versante, risponde a delle logiche di rapporto di valorizzazione con il più ampio scenario territoriale. Con riferimento a questo particolare aspetto, l’arte, oltre i valori intrinseci propri di ogni mercato, è anche un settore che negli ultimi anni ha mostrato forti connessioni con il tessuto urbano. Volendo individuare le attività che più di altre incidono nel rapporto tra la produzione culturale e il resto dell’economia urbana, particolare rilevanza assumono le funzioni di esposizione e vendita, attività che normalmente vengono identificate con le strutture museali, le gallerie e le case d’asta. Tralasciando il versante museale, che trova nel MAXXI e nel MACRO i principali attori per il territorio romano, è opportuno invece approfondire il discorso per quanto concerne le gallerie e le case d’asta. Queste ultime, secondo la legislazione italiana e soprattutto secondo le politiche fiscali che sono adottate nel nostro Paese, si trovano in una condizione di svantaggio competitivo rispetto alle economie più avanzate. Da un lato, infatti, l’assetto normativo italiano prevede dei vincoli particolarmente restrittivi per la vendita di opere d’arte all’estero (con l’effetto indiretto di disincentivo anche al prestito delle stesse a gallerie e musei per esposizioni temporanee), dall’altro l’aspetto fiscale premia il possesso dell’opera d’arte piuttosto che la “vendita” garantendo al primo un regime fiscale di favore e sottoponendo il secondo all’aliquota IVA ordinaria del 22%. (European Commission, 2016) Questo duplice effetto ha evidenti conseguenze su tutto il mercato dell’arte in Italia, così come mostrato dal rapporto Tefaf 2016 (Arts Economics, 2016), e particolare riguardo proprio al mercato dell’arte contemporanea (Artprice, 20


2015). In questi settori, infatti, l’Italia non copre più dell’1% del valore di mercato generato globalmente, a dispetto dell’enorme potenzialità che il nostro Paese presenta.

Fig. 7: Quote di Mercato e Volume d'affari; Fonte: Tefaf Report 2016

Fig. 8: 15 Paesi top per volume d'affari; Fonte: The Contemporary Art Market Report 2015

Dal punto di vista territoriale, questo incide, ovviamente, sul numero di gallerie presenti nella città, sulla loro rilevanza, sul numero di case d’asta e il numero di auctions che queste organizzano durante l’anno, senza considerare il livello culturale e artistico dei lotti. Con riguardo al numero di player, è da segnalare che secondo quanto stimato dal report Tefaf, l’Italia mostra per l’intero mercato dell’arte una presenza molto più modesta di case d’asta rispetto a quanto emerge nelle altre economie in cui il mercato dell’arte è più solido, mentre i dealer (che nell’analisi includono sia venditori privati che gallerie) sono più numerosi.

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Tab. 3: Case d'asta e Dealer presenti sul territorio; Fonte: Tefaf Art Market Report; Op.Cit

Sotto questo versante, Roma non vanta primati rispetto alle altre città italiane, e soprattutto nel confronto con Milano, che rappresenta la zona più dinamica per l’arte contemporanea in Italia. Questo è vero sia per quanto riguarda le case d’asta, con Sotheby’s e Christie’s entrambe con auction house a Milano, così come anche l’italiana Finarte, da poco riaperta dopo anni di chiusura. Stessa sorte riguarda anche il livello delle gallerie, anche se manca un report italiano legato al mercato delle gallerie d’arte. Tra gli ultimi studi realizzati, quello presentato su Artribune (Gambillara, 2015) individuava le 20 gallerie d’arte italiane più “performanti”: tra quelle elencate soltanto 3 avevano sede sul territorio romano, e rispettivamente, la Galleria Lorcan O’Neill, la Galleria Mucciaccia e la Galleria F. Russo.

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Tab. 4 - Top 20 Gallerie d'arte in Italia; Fonte: Gambillara, Op. Cit.

Ancora piĂš evidente, infine il confronto con le altre realtĂ territoriali per quanto riguarda il livello di ricavi calcolato su base comunale, che rileva come ci siano in realtĂ ampi margini di miglioramento per il territorio romano.

Fig. 9: Ricavi Gallerie incluse nella Top 20 su base comunale; Fonte: Op. Cit

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7. NON SOLO EREDITÀ, PRODURRE CULTURA Il rapporto tra arte e territorio è un rapporto molto labile, soggetto a numerosissime variabili non sempre direttamente controllabili. L’affermazione di una città come produzione di cultura, e di arte in particolare, è il frutto di un’alchimia più che di una ricetta da seguire. Di quest’alchimia, tuttavia, si conoscono molte dinamiche, e soprattutto si conoscono quei fattori in grado di generare un processo virtuoso di crescita. Il mercato dell’arte, e ancor più il mercato dell’arte contemporanea, mostra un sistema del valore, più che una catena di valore in senso stretto, e le sue funzioni principali riguardano ambiti molto differenti, che pongono nello stesso settore, critici, creativi e assicuratori, venditori ed esperti d’arte, appassionati, collezionisti e infine investitori. Non è possibile agire su tutti i player in modo univoco e contemporaneo, ma è possibile individuare degli hub che permettano di attivare degli effetti positivi su tutti gli altri stakeholder coinvolti nel processo di creazione del valore. Per quanto possa sembrare banale ripeterlo, e per quanto già tante volte sia stato detto, è comunque un fatto che Roma sia celeberrima per il suo passato, e ben poco nota per le sue produzioni. Sicuramente sono presenti sul territorio artisti di talento e di valore, così come galleristi in grado di comprendere le esigenze di un mercato così difficile. Ciò che manca, in una città così vasta e multi stratificata come questa è una visione d’insieme, un “sistema” dell’arte, un polo, un centro o un quartiere attorno al quale i player del settore possano convergere. Ciò che manca è anche una visione da parte della pubblica amministrazione, che è stata posta, sfortunatamente, di fronte ad una serie di emergenze che non hanno sempre permesso la possibilità di creare una politica legata all’arte contemporanea di medio periodo. Il mercato dell’arte tuttavia, nonostante che sul versante globale abbia conosciuto nel 2015 il primo segno negativo dopo quasi un decennio di crescita ininterrotta, mostra notevoli potenzialità e non solo nelle sue dimensioni più aggregate, ma anche e soprattutto per le potenzialità di attivatore di processi economici su piccola scala, quali quelli che possono essere attivata nella dimensione di quartiere. Spesso si è argomentato che la produzione culturale romana sia in realtà frenata proprio dalla grande mole del suo passato storico ed artistico. È giunto, tuttavia, il tempo perché anche Roma avvii una riflessione di ampio respiro sul proprio ruolo in questa produzione, sfruttando anche il grande pregio di visibilità che gode per un passato che sembra un macigno solo fino a quando non si cambia prospettiva.

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Solo fino a quando non si avvia una politica credibile, concreta, piÚ operativa che altisonante, rivolta alla valorizzazione dell’esistente, e all’attrazione dei futuri talenti.

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Bibliografia

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