Fascismo vecchio e nuovo. Antonio Moscato

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Antonio Moscato

FASCISMO VECCHIO E NUOVO Storia e attualitĂ

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FASCISMO VECCHIO E NUOVO Storia e attualità Questo "Quaderno di Bandiera rossa" è stato pubblicato nel gennaio 1993. Lo ripropongo oggi perché molte delle analisi di allora, quando c'erano solo i primi sintomi di un ritorno del fascismo, possono essere utili anche oggi. Naturalmente nel frattempo molto è cambiato in peggio, soprattutto per la rinuncia della sinistra a svolgere il suo ruolo di difesa dei lavoratori, mentre il ricorso alla repressione illegale e alla violenza di Stato (da Genova agli omicidi nelle carceri), è una tentazione sempre più frequente, e ricompare lo squadrismo, sotto forma di "vigilantes" e ronde. I compiti dei comunisti sono dunque ben più difficili, e alcune delle formulazioni di questo quaderno possono apparire poco realistiche, a partire dalla proposta di "fronte unico": a chi farla? Ma intanto può servire vedere che il problema si poneva già allora, e che è stato un grave errore sottovalutarne i primi sintomi... 11 novembre 2009 Antonio Moscato


GERMANIA Parlino altri della propria vergogna, io parlo della mia. O Germania, pallida madre! Come insozzata siedi fra i popoli! Fra i segnati d'infamia tu spicchi. Dai tuoi figli il più povero è ucciso. Quando la fame sua fu grande gli altri tuoi figli hanno levato la mano su lui. E la voce ne è corsa. Con le loro mani levate così, levate contro il proprio fratello arroganti ti sfilano innanzi e ti ridono in faccia. Tutti lo sanno. Nella tua casa si vocia forte la menzogna. Ma la verità deve tacere. È così? Perché ti pregiano gli oppressori, tutt'intorno, ma ti accusano gli oppressi? Gli sfruttati ti mostrano a dito, ma gli sfruttatori lodano il sistema che in casa tua è stato escogitato! E invece tutti ti vedono celare l'orlo della veste, insanguinato dal sangue del migliore dei tuoi figli. Udendo i discorsi che escono dalla tua casa, si ride. Ma chi ti vede va con la mano al coltello come alla vista d'un bandito. O Germania, pallida madre! Come t'hanno ridotta i tuoi figli, che tu in mezzo ai popoli sia o derisione o spavento! Bertolt Brecht (1933)


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Cos'è il fascismo, come combatterlo Il fascismo è tornato ad essere un problema in Europa. Dalla Germania all'Italia, dalla Grecia alla Russia, dalla Croazia alla Spagna, dalla Francia alla Serbia, si moltiplicano le manifestazioni inquietanti di una ripresa dell'antisemitismo e del razzismo, le aggressioni contro sedi e militanti di sinistra, contro immigrati, contro le testimonianze dello sterminio nazista, contro i cimiteri ebraici e le sinagoghe. Il sacrosanto allarme di fronte a questi sintomi inquietanti non deve tuttavia far perdere la testa. Occorre capire bene cos'è il fascismo per poterlo combattere efficacemente. Occorre tra l'altro saper distinguere il fascismo da altri movimenti di destra che rappresentano un pericolo diverso e che vanno combattuti in altra forma. Naturalmente il fascismo va combattuto anche quando si presenta sotto altro nome e nascondendo i suoi progetti dietro una cortina fumogena "populista" e apparentemente "antimperialista", come fanno ad esempio Terza posizione o Movimento politico o come facevano nel 1965-1968 i "nazimaoisti" di Primula goliardica legati a Nuova Repubblica di Pacciardi (e con cui flirtava Pannella). Ma è poco utile dare del fascista a tutti: ad esempio alcuni gruppi della nuova sinistra degli anni Settanta definivano "fascista" Fanfani, Comunione e Liberazione, e spesso perfino il gruppo concorrente, ricorrendo anche alle sprangate per combatterlo. Molti compagni del Pci non avevano dubbi nel definire fascista non solo le Brigate Rosse, ma in certi casi anche Lotta Continua. Per anni la Cina maoista


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ha definito fascisti i dirigenti sovietici, che ricambiavano. È un vecchio vizio. Tra le ragioni della vittoria di Hitler nel 1933 ci fu anche la mancata unità del movimento operaio tedesco: i due maggiori partiti si scambiavano accuse sanguinose, e ciascuno considerava l'altro "fascista": in particolare il partito comunista, come tutti i partiti comunisti della Terza internazionale stalinizzata tra il 1929 e il 1933 considerava il socialfascismo (come definiva la socialdemocrazia) la forma peggiore di fascismo.1 Il pericolo di una vittoria di Hitler inoltre fu decisamente sottovalutato anche perché da tempo venivano definiti fascisti anche i governi democristiani di Brüning e von Papen (che erano conservatori, reazionari, ma non fascisti). La sottovalutazione del pericolo fu tale che ancora nel 1932 il partito comunista si associò a un referendum promosso dai nazisti contro il governo socialista del Land prussiano! Questo metodo è disastroso, non foss'altro perché gridando sempre al lupo non si riesce più a capire quando il lupo vero arriva. E ora, il lupo sta arrivando di nuovo.

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Va precisato che il risentimento dei militanti comunisti verso la socialdemocrazia (che aveva tra i suoi esponenti personaggi come Gustav Noske, il ministro che organizzò i "Corpi franchi" che assassinarono Rosa Luxemburg e migliaia di rivoluzionari) era più che comprensibile. Ma ciò non toglieva che la socialdemocrazia rimaneva il partito che organizzava la maggior parte della classe operaia, e che sarebbe stato necessario proporre l'unità d'azione contro il nazismo in base al comune interesse (Hitler attaccava tanto i rivoluzionari che i riformisti).


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Cos'è il fascismo Del fascismo sono state date molte definizioni, da diversi punti di vista. L'elemento essenziale è che si tratta di una dittatura aperta e spietata a cui ricorre il grande capitale in casi estremi, quando è con l'acqua alla gola e non funzionano più gli altri metodi per fronteggiare (o ingabbiare) il movimento operaio. Il fascismo al potere elimina tutti gli elementi di democrazia proletaria nella società borghese, cioè ogni forma di organizzazione politica, sindacale, cooperativa, ecc. della classe operaia. Per questo non si limita a vietare questo o quel partito operaio (come hanno fatto infinite volte altri governi autoritari borghesi in molti paesi) ma deve soffocare ogni forma di democrazia (in primo luogo sopprimendo ogni possibilità di rappresentanza parlamentare), per evitare che i rivoluzionari messi al bando utilizzino altri partiti per agire alla luce del sole. Il fascismo ha un altra particolarità: i suoi effettivi sono formati dalla piccola borghesia urbana e rurale stritolata dalla crisi economica e dalla lotta tra capitale e lavoro. Il fascismo è al servizio della grande borghesia, ma si appoggia soprattutto su una "polvere di umanità" a cui offre l'illusione di essere una forza indipendente, e che scaglia contro la classe operaia, a cui addebita la causa di ogni male. Il fascismo utilizza miti precedentemente usati da altre forze di destra e comunque radicati nell'ideologia delle masse più arretrate. Il confronto tra Russia, Italia, Germania nel primo dopoguerra conferma che non è sempre necessariamente l'antisemitismo il cemento principale per tenere insieme questa polvere di umanità, e per trasformarla


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in un movimento di massa in lotta per il potere: lo è in Germania, in Russia e in Ucraina (dove nel 1917-1920 è il cavallo di battaglia dei bianchi in lotta contro la rivoluzione), mentre in Italia l'elemento essenziale è lo sciovinismo e il colonialismo. In Italia nel 1919-1922 c'è il mito della vittoria mutilata, basato sulle frustrazioni per la mancata annessione dell'intera Dalmazia e di mezza Turchia, che erano gli obiettivi dei nazionalisti italiani al momento dell'entrata in guerra, e quello della missione civilizzatrice di Roma che preludeva alla riconquista della Libia (persa quasi completamente nel 1915) e a nuove spedizioni africane.

Il fascismo come soluzione estrema Abbiamo detto che il fascismo è una soluzione estrema a cui ricorre la borghesia quando non riesce più a esercitare il suo dominio. Tuttavia, già molto prima che la borghesia faccia questa scelta ci sono movimenti di tipo "fascista" e altri movimenti di destra oltranzista.2 Alcuni di essi rimangono gruppuscoli insignificanti, altri raggiungono consensi importanti e si offrono come carta di riserva. La loro pericolosità non è direttamente legata al peso elettorale. Ad esempio nel 1919 Mussolini non riuscì neppure ad essere eletto in parlamento, ma nel 1920 — di fronte all'occupazione delle fabbriche e ai segni di una ascesa rivoluzionaria — la grande borghesia cominciò a fi2

II termine "fascista" viene usato convenzionalmente per definire anche quei movimenti dello stesso genere che hanno preceduto l'esperienza italiana, e che quindi avevano altri nomi: ad esempio i "cento neri" nella Russia zarista, su cui contava Komilov per il suo colpo di stato del settembre 1917.


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nanziare e ad armare il fascismo (sotto l'occhio benevolo dell'apparato statale borghese). Anche il nazionalsocialismo rimase un gruppuscolo marginale (non era neppure il più forte nell'arcipelago dei gruppi di estrema destra tedeschi) fino al 1929, quando la borghesia tedesca si tappò il naso e cominciò a finanziarlo. Il 1929 è l'anno della grande crisi economica mondiale del capitalismo, che fece saltare tutti gli accordi di cartello per la spartizione dei mercati, con effetti catastrofici sulla Germania, il paese imperialista con il mercato interno più ristretto rispetto all'enorme potenziale produttivo. L'unico mezzo per conquistare nuovi mercati a quel punto era la guerra, e il nazismo era indispensabile per spezzare la prevedibile resistenza di un movimento operaio diviso e incoerente politicamente, ma ancora fortissimo socialmente, che poteva ritrovare la strada dell'unità d'azione di fronte alla prospettiva della guerra. Per questo i buoni borghesi liberali tedeschi, protestanti o cattolici, atei o ebrei (oggi sembra incredibile, ma ancora nel 1933 una parte notevole della borghesia tedesca di origine ebraica difendeva Hitler e si irritava per le critiche rivoltegli dalle comunità ebraiche di altri paesi europei), decisero di appoggiare il nazismo, considerando il suo antisemitismo uno sgradevole accessorio del tutto marginale rispetto alla "positività" (dal loro punto di vista) del suo programma di lotta al movimento operaio e di preparazione della guerra imperialista. In realtà, l'antisemitismo non era un accessorio, ma un ingrediente indispensabile per dare coesione a quel pulviscolo di umanità che costituiva la base sociale del partito nazionalsocialista, offrendogli un capro espiatorio, una spiegazione del tutto falsa ma verosi-


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mile (perchĂŠ basata su vecchi pregiudizi consolidati) della crisi economica. Era, come aveva detto lucidamente August Bebel molti decenni prima, il socialismo degli imbecilli.


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Scheda 1 LA LEGA NORD Esiste oggi molta confusione sulla natura sociale, le posizioni politiche e le prospettive della Lega Nord. Dopo il primo rigetto iniziale quasi tutti i partiti della borghesia e la borghesia stessa hanno cominciato a flirtare con il partito di Bossi. Ma la cosa piÚ grave è che il Pds, invece di combattere questa formazione reazionaria, ha moltiplicato le aperture nei suoi confronti, non escludendo di formare insieme delle giunte locali. In questo modo Occhetto sta contribuendo a dare credibilità alla Lega Nord e a una sua presunta politica di opposizione e di alternativa, seminando ulteriore confusione tra vasti settori di lavoratori che si sentono schiacciati per la mancanza di una vera opposizione politica e sindacale e traditi da accordi capestro come quello del 31 luglio e dalla rinuncia delle direzioni sindacali ad opporsi ai decreti antioperai del governo Amato. La Lega ha costruito le proprio fortune su una campagna di stampo qualunquista contro "Roma ladrona", contro la corruzione e il malgoverno. Ma, fin dall'inizio, i suoi dirigenti hanno fatto anche leva su sentimenti di tipo reazionario, razzista e xenofobo, contro i meridionali, contro gli extracomunitari e i "diversi". Sollecitando infine il perbenismo ipocrita e la furbizia bottegaia Bossi e compari sono riusciti a mettere insieme in questo modo vasti strati di piccola borghesia, commercianti, piccoli e medi imprenditori, artigiani e infine anche strati di lavoratori arretrati, molti dei quali sono passati dal voto alla Dc a quello per la Lega. Ma il partito di Bossi ha fatto presa anche in alcuni settori poco politicizzati del vecchio partito comunista. La Lega rappresenta socialmente gli interessi di uno strato di piccola e media borghesia che ha tratto vantaggio dal


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boom speculativo degli anni 80, che ha costruito le sue fortune (non sempre modeste, ma molte volte incerte) grazie all'evasione fiscale e contributiva e all'indebitamento dello stato. Negli ultimi anni, di fronte alla prospettiva dell'unificazione europea, delle grandi ristrutturazioni che sono in corso e che si svilupperanno, a un quadro economico via via più incerto, questi settori piccolo-medio borghesi hanno cominciato a impaurirsi, temendo di perdere i privilegi e le nicchie economiche conquistate all'interno del sistema capitalistico. Di fronte al restringimento di quella torta con cui parecchi avevano banchettato negli anni 80 a spese dei lavoratori, costoro hanno deciso di difendere la propria fetta con accanimento. Bossi e soci non hanno mai pensato di prendersela coi grandi capitalisti perché troppo potenti. Il cosiddetto sistema dei partiti tradizionali, le mangerie, le clientele, gli apparati di Roma (che per anni non erano stati messi in discussione da nessun settore della borghesia perché corrispondevano ai loro interessi, ma che nel nuovo contesto economico sono diventati un peso eccessivo anche per i grandi potentati industriali e bancari) erano il primo bersaglio obbligato. Nel clima di incertezza economica, i nuovi sostenitori di Bossi hanno ritenuto che la Dc non fosse più in grado di assicurare la difesa dei loro interessi, ma costituisce anzi fonte di spreco di risorse divenute più limitate. In questi strati piccoli borghesi del Nord c'è l'illusione e la speranza che, se il settentrione si separasse dalle altre regioni italiane, essi avrebbero la possibilità di entrare in Europa senza pagare i prezzi che invece dovranno essere pagati dai lavoratori, ma anche da loro stessi, messi sotto pressione dalla crisi economica e dai processi di centralizzazione del capitale.


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La polemica antiromana e contro tangentopoli non devono dunque trarre in inganno: la classe sociale contro cui si rivolge la Lega è l'insieme dei lavoratori, del Nord come del Sud, italiani od extracomunitari. La Lega non rimette in discussione in alcun modo l'attuale sistema capitalistico, su cui anzi molti dei suoi aderenti hanno costruito le proprie fortune; come tutti i partiti reazionari che utilizzano una demagogia populista e antisistema non se la prende coi più forti che teme e rispetta, ma con le classi sociali più deboli su cui pensano di poter scaricare interamente i costi della crisi. E infatti il partito di Bossi ha concezioni economiche e sociali neoliberali e si fa paladino di una deregulation selvaggia. È stato, fin dall'inizio, un deciso assertore della necessità di abolire la scala mobile; di deregolarizzare il mercato del lavoro, di comprimere i salari, (propone addirittura di ritornare alla vecchie gabbie salariali che le lotte degli anni 60 avevano fatto saltare costruendo l'unità di tutti i lavoratori italiani, strumento essenziale per le conquiste del '69 e degli anni successivi), di privatizzare il settore pubblico, delle controriforme su sanità e pensioni. Non è un caso che il governo Amato, contro cui la Lega si guarda bene di fare una opposizione decisa, portando avanti una politica neoliberale, stia realizzando in grande parte il programma economico di Bossi. La Lega rappresenta già oggi dunque un pericolo mortale per la classe lavoratrice, perché indirizza verso una soluzione di destra profondamente antisociale e antidemocratica il giusto malcontento e la rabbia di vaste masse popolari contro il regime che ha governato per quasi cinquantanni. Prima di poter dividere il paese in due, agisce per dividere la classe lavoratrice, per indirizzare le frustrazioni di settori popolari contro i diversi, contro i più deboli. Contro di


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essa occorre una battaglia sistematica, senza tregua e senza quartiere da parte delle forze del movimento operaio, per riuscire a strapparle l'influenza che ha conquistata su strati di lavoratori e anche per sottrarle, o per lo meno neutralizzare, l'impatto che ha in settori popolari di artigiani e di piccoli commercianti, schiacciati dal torchio della crisi economica. La Lega è sicuramente una forza reazionaria, razzista e xenofoba, al di là delle dichiarazioni e delle manovre del suo capo indiscusso e della politica del doppiopetto che questi, di tanto in tanto, pratica in base ai suoi calcoli politici e ai suoi progetti di potere. È legittimo però porsi una domanda: è anche una forza fascista? La risposta che deve essere data è articolata. Nella Lega esistono molti elementi costitutivi delle formazioni fasciste: in primo luogo la base sociale che organizza, vasti settori di piccola borghesia minacciati dalla crisi, un pulviscolo di umanità che pensa attraverso la Lega di poter contare o per lo meno di potersi difendere negli incerti tempi a venire. Volendo parafrasare la frase di Bebel sull'antisemitismo come "socialismo degli imbecilli", si potrebbe dire che la Lega costituisce "la protesta degli imbecilli contro la corruzione del sistema capitalistico". La Lega non è un normale partito qualunquista di destra, paragonabile all'Uomo qualunque, e facilmente riciclabile nell'alveo dei giochi parlamentari. Anche se questa prospettiva non può essere esclusa del tutto, la Lega ha dimostrato di perseguire un chiaro progetto di governo e di potere e i suoi capi hanno guidato finora le proprie truppe con determinazione verso questo obiettivo. Essa si nutre di tutte le scorie ideologiche che sono proprie anche di formazioni fasciste, ed ha una forte struttura gerarchica, con tanto di "duce" carismatico. Le forze che or-


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ganizza sono già in parte utilizzate contro il movimento operaio, e potranno esserlo molto di più in futuro. Tuttavia non dispone ancora, ed è un elemento fondamentale per una organizzazione fascista, di corpi militanti attivi di intervento violento contro il movimento operaio e larga parte del suo personale politico ha ancora abitudini e consuetudini che si collocano all'interno di un sistema democratico borghese pur in una versione autoritaria. Più in generale non sono ancora raccolte tutte le condizioni sociali ed economiche per la trasformazione da organizzazione reazionaria con potenzialità fasciste in forza fascista vera e propria. Le contraddizioni socio-economiche non sono ancora così acute, i margini economici della borghesia non sono del tutto erosi, non ci troviamo già di fronte a una situazione di disperazione sociale di strati piccoli borghesi. La Lega è espressione dunque di una fase transitoria. Il suo futuro non è iscritto nel pensiero di Bossi e dei suoi accoliti, dipende invece dall'evolversi della crisi, dal grado e dalla profondità dei processi di ristrutturazione, dalle dinamiche sociali. Se le condizioni complessive del sistema capitalistico peggioreranno drasticamente (cosa che non si può escludere) le tensioni si moltiplicheranno, masse di disoccupati saranno disponibili più di prima ad iniziative radicali e disperate; si farà più forte la necessità per la borghesia di trovare capri espiatori e di lanciare un più devastante attacco al movimento operaio organizzato. La Lega potrà essere questo strumento di assalto violento pur se con mutazioni ed anche rotture. Bisogna tenere conto che contemporaneamente agisce con particolare forza al Sud, ma non solo, un partito da sempre dichiaratamente fascista che cerca di conseguire successi politici ed organizzativi intervenendo negli stessi ambienti sociali della Lega anche se utilizza proposte politiche ideo-


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logiche diverse (federalismo da una parte, centralismo nazionalista dall'altro). La Confidustria finora ha storto un poco il naso di fronte a questi ultimi venuti che, tuttavia, le hanno già reso un buon servizio orientando a destra una vasta protesta di massa. Se venisse la necessità e l'ora gli industriali non esiterebbero un istante ad utilizzare la Lega come testa di turco contro il movimento operaio. Naturalmente per ora preferiscono come soluzione di "ricambio" alla Dc e al Psi quella moderata di Segni, La Malfa e compagnia, ma non hanno certo preclusioni di "classe" verso la Lega. La politica del Pds verso Bossi è invece, a dir poco, folle e suicida. Occhetto scherza col fuoco sul ciglio del baratro. Invece di combattere contro la Lega per ridare prospettiva a una ipotesi di sinistra e di classe, Occhetto le dà credibilità e le spiana la strada praticando un gioco pericoloso in cui sono gli altri ad avere il coltello dalla parte del manico. La cosa non stupisce per nulla vista la deriva politica inarrestabile di destra dell'attuale gruppo dirigente del Pds, ma contribuisce a rendere più difficile una risposta unitaria dei lavoratori dato il peso che questo partito ancora ha su milioni di lavoratori e sul movimento sindacale. È così compito prioritario di Rifondazione Comunista condurre una sistematica e vasta campagna di massa contro la Lega, mostrando la sua reale politica di collusione col governo, demistificando la sua fasulla alterità, combattendo contro i pregiudizi e le ideologie reazionarie che veicola tra i lavoratori; bisogna dimostrare che essa è strumento di divisione delle masse popolari, indicandola ai lavoratori come un nemico mortale da combattere; ma è soprattutto necessario organizzarsi concretamente a tutti i livelli, per prevenire che un giorno la Lega possa diventare uno strumento di attacco violento del padronato contro il movimento ope-


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raio. Ne va del futuro stesso di Rifondazione, della sua capacitĂ di costruire una prospettiva di alternativa da sinistra all'attuale sistema. Per tutte queste ragioni la Lega, pur non essendo ancora un fenomeno fascista, deve essere affrontata in quel quadro di insieme di battaglia antireazionaria e antifascista i cui lineamenti abbiamo cercato di illustrare in questo opuscolo.


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Il vuoto di ideali e di idee degli anni 80 e il neofascismo Il ritorno di ideologie razziste, xenofobe, fascisteggianti tra i giovani è maturato nel corso degli anni Ottanta per una serie di fenomeni di cui non era poi così difficile prevedere quali sarebbero state prima o poi le conseguenze. La politicizzazione che aveva caratterizzato gli ambienti giovanili negli anni Sessanta e Settanta è andata progressivamente spegnendosi, anche perché nessuna forza politica di sinistra ha voluto o saputo darle uno sbocco, organizzarla, farne uno strumento per cambiare la società italiana. I generosi ideali e la volontà di cambiamento di quel periodo sono stati criminalizzati o sbeffeggiati in nome degli affari, del successo, del rampantismo, della concretezza. Si è fatto credere ai giovani che bastava volerlo, essere dalla parte del più forte per farsi spazio nella vita e raccoglierne i frutti migliori. Il nuovo decennio si è aperto mostrando un volto ben diverso da quello che era stato presentato alla gioventù: difficoltà gravissime a trovare un'occupazione stabile, istruzione sempre più costosa e dequalificata, servizi sociali in crisi ecc. A farsi spazio e a raccogliere i frutti migliori sono stati solo i pochi furbi che hanno predicato ai giovani la concretezza e creato il mito di un'ascesa sociale che hanno realizzato però loro soltanto: speculatori, industriali, costruttori, uomini politici legati al loro carro, mafiosi del Sud e del Nord. La delusione, la rabbia e il disprezzo per lo stato di cose esistente nel nostro paese trova una sinistra in gran parte compromessa con questo regime: Bettino Craxi, che degli


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anni Ottanta è quasi un simbolo incarnato (al di là della stessa realtà che è ben più complessa) appare all'opinione pubblica come un uomo di sinistra; il Pds è stato più volte toccato dagli scandali, ma soprattutto non sembra e non è abbastanza differente dagli altri partiti e dall'intero regime. Non esiste una forza di sinistra capace di intervenire tra i giovani con decisione, parlandone il linguaggio e comprendendone i bisogni. Nel decennio trascorso, infine, dalle vicende nazionali e internazionali è venuta una lezione di segno opposto a quelle dei decenni precedenti duranti i quali i movimenti rivoluzionari dei popoli oppressi, uomini come Che Guevara, fenomeni come la teologia della liberazione ecc. mostravano che c'era una speranza e un futuro anche per i più deboli. L'ultimo decennio è stato quello della vittoria del più forte, delle sconfitte delle lotte operaie, dello strapotere della mafia, della vittoria facile della tecnologia e dei cibi precotti Usa nella guerra in Medio Oriente, di un assedio dalle campagne alle città che non è più lotta di liberazione ma emigrazione verso l'Occidente nella speranza di raccogliere almeno le briciole di ciò che al Terzo Mondo è stato rubato. I razzisti che infieriscono contro gli immigrati più poveri, che vanno nei giardini pubblici per aggredire, uccidere, bruciare i più emarginati (quelli cioè che non hanno nemmeno la possibilità di dormire al coperto) traducono in forma elementare la morale della storia dell'ultimo decennio. Molti di quelli che pontificano oggi sui mass-media sulla rinascita del fascismo (magari identificandola solo con i na-


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ziskin) sono largamente corresponsabili della creazione del terreno culturale che ha facilitato questo aberrante fenomeno. Per almeno dieci o dodici anni un numero sterminato di intellettuali "pentiti" (dopo brevi o lunghi trascorsi nella sinistra in ascesa, ma a volte ancora con la tessera del Pci e poi del Pds in tasca) hanno parlato con sufficienza del superamento dei vecchi ideali, del carattere obsoleto della distinzione tra destra e sinistra (anzi qualcuno, come Cacciari, ha perfino flirtato con i convegni della "nuova destra"). L'antifascismo poi era un residuato di tempi preistorici, il marxismo veniva costantemente presentato come "superato" e comunque insufficiente, e da integrare con nuove teorie (che risultavano poi in genere banali rifritture di vecchissimo ciarpame liberaldemocratico degli anni Venti). Chi continuava a definirsi e a tentare di essere marxista, chi osava parlare di imperialismo, o peggio ancora accennava a una contrapposizione tra riformismo e prospettiva rivoluzionaria, veniva considerato nella stessa sinistra ufciale un dinosauro.3 La crisi del "socialismo reale" ha fatto il resto. I danni sono stati grandi e hanno coinvolto molto di quello che restava della nuova sinistra, da cui ad esempio pro3

Al posto del concetto di imperialismo passava quello confusamente geografico di Nord e Sud del mondo, che alimenta un gran numero di equivoci e che non a caso è stato il cavallo di battaglia di Willy Brandt, cioè del piÚ lucido esponente di quella socialdemocrazia tedesca che piÚ di ogni altra ha bisogno di cancellare il concetto di imperialismo (dato il suo profondo e pluridecennale legame con l'imperialismo tedesco, di cui la SPD si fa ambasciatrice nel Terzo Mondo")


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venivano moltissimi insegnanti che si erano formati negli anni della grande ondata del movimento studentesco. Gran parte dei sessantottini, hanno finito per cedere a quel clima di liquidazione di valori, rinunciando a trasmettere almeno qualcosa delle idee che avevano animato i movimenti degli anni Settanta. Certo, molte sciocchezze erano state dette e scritte in quegli anni, molta ideologia fumosa e inconsistente aveva finito per impedire di cogliere in tutta la loro complessità i rapporti sociali e politici: nella produzione della nuova sinistra c'era molta acqua sporca, ma insieme ad essa è stato buttato anche il bambino. Sono state accantonate, dimenticate, considerate superate non solo le tematiche rivoluzionarie, ma le più elementari idee di solidarietà umana, di sostegno agli oppressi e alle vittime di aggressioni imperialiste. Negli anni sessanta, ad esempio, la solidarietà con le rivoluzioni algerina prima e vietnamita, l'attenzione alle grandi lotte anticoloniali dell'Africa, ai movimenti antimperialisti sorti sull'esempio di Cuba in America Latina avevano fatto maturare una prima leva dei giovani che avrebbero poi avuto un ruolo importante nelle lotte studentesche e anche operaie del 1968-1969. Senza saperlo, quei giovani riprendevano e facevano proprio il motto del precursore della rivoluzione cubana, José Martí (ripreso poi da Guevara), che raccomandava di sentire sulla propria guancia ogni schiaffo dato in qualunque parte del mondo a un altro uomo. Era stata questa sensibilità internazionalista e solidaristica che aveva portato i giovani di orientamento marxista a incontrarsi con la radicalizzazione cattolica, di cui sono stati simbolo uomini


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come Ernesto Balducci o Giulio Girardi, e che poi ha avuto un nuovo momento alto nell'impegno per il Nicaragua, anche con una forte presenza di volontariato a fianco di quella rivoluzione (che aveva ancora una volta la disgrazia di svilupparsi in un paese "tanto lontano da Dio e tanto vicino agli Stati Uniti"). Accantonare quelle idee, quell'impegno, o lasciarlo patrimonio di un piccolissimo nucleo di volontari, ha avuto tra i tanti effetti negativi quello di lasciare spazio a quelle ideologie razziste, xenofobe, intolleranti che erano invece state costrette a retrocedere e a nascondersi negli anni delle grandi mobilitazioni giovanili. I fascisti che avevano spadroneggiato fino alla metà degli anni sessanta nelle università italiane (con la protezione di polizia e magistratura), nel decennio successivo erano stati costretti a retrocedere, a nascondersi, a mimetizzarsi.4 Per questo la battaglia contro le radici culturali del fascismo non può limitarsi a descriverne i crimini storici, 4

Non a caso quando riaffiorano i fascisti tentano di assumere caratteristiche apparentemente antimperialiste e una fraseologia ricalcata su quella di sinistra. Ad esempio Movimento politico usa un simbolo che, pur essendo una svastica rielaborata, può essere confuso con una falce e martello molto stilizzata, e assicurava di essere solidale non solo con la causa palestinese ma con la stessa rivoluzione sandinista. L'appoggio alla Palestina in realtà era ed è chiaramente un modo per contrabbandare idee antisemite su un presunto "capitalismo mondiale ebraico" (purtroppo a volte accettato per rozzezza da certi settori dell'autonomia e da qualche frangia veterostalinista), quello al Nicaragua era puramente strumentale, senza implicazioni pratiche e serviva solo a far passare più facilmente l'idea (anch'essa non senza echi in settori della nuova sinistra) della lotta contro i "due super-imperialismi".


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ma deve essere condotta anche in positivo, ricostruendo quel tessuto di solidarietà e di internazionalismo che è stato un patrimonio del movimento operaio fin dai suoi primi passi, e che è stato suicida abbandonare.

Il terreno di coltura del fascismo Abbiamo detto che il fascismo utilizza pregiudizi e stereotipi radicati nella ideologia delle classi subalterne, e che l'antisemitismo è uno di essi, anche se non l'esclusivo. Soprattutto non è in ogni periodo l'argomento principale delle destre: ad esempio nella Francia alle prese con la decolonizzazione il "diverso" odiato è soprattutto l'arabo. Nel Caucaso, dove non c'erano ebrei o non erano identificabili come "diversi" (quelli georgiani erano contadini non distinguibili dagli altri per costumi e lingua) il bersaglio dei "cento neri" in epoca zarista erano gli armeni, che tra l'altro fino agli inizi del nostro secolo svolgevano funzioni di tramite commerciale tra impero russo e impero ottomano, e potevano essere additati al sottoproletariato come parassiti e sfruttatori. In Italia, oggi, il bersaglio principale delle tendenze fasciste e parafasciste sono "negri" e "marocchini" (presentati come spacciatori, corruttori, violentatori, parassiti) e soprattutto i Rom o "zingari", su cui viene rilanciata periodicamente anche l'accusa di rapire i bambini. Ricordiamoci come è stata alimentata in tutta Italia (con centinaia di migliaia di manifesti) la campagna su Santina Renda, la bambina palermitana finita probabilmente vittima di un maniaco, e la cui scomparsa, veniva invece attribuita a un rapi-


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mento da parte di zingari.5 Recentemente c'è stata molta emozione in Italia per un sondaggio sui pregiudizi antiebraici. Il dato è preoccupante, e porta alla luce un fatto reale: i pregiudizi ci sono, e non sono combattuti a sufficienza, sicché a volte penetrano anche nei settori più arretrati della sinistra, che riprendono il mito della onnipotente finanza ebraica o che sottolineano i cognomi ebraici di questo o quel giornalista per parlare di mani sioniste sull'informazione. Ma lo stesso sondaggio sui pregiudizi "razzisti", che risultato avrebbe dato se avesse fatto domande sugli zingari? Il fascismo si sviluppa sfruttando questi pregiudizi, ma non è l'unico a diffonderli o a ripeterli. C'è dunque bisogno di una tenace battaglia culturale contro di essi, comunque e dovunque si manifestino, senza peraltro equiparare ai fascisti tutti coloro che inconsapevolmente sono influenzati da quegli stereotipi. Le mobilitazioni popolari contro ospizi per immigrati extracomunitari, contro case di accoglienza per sieropositivi (altri "diversi" oggetto di una demonizzazione irrazionale) o di campi di sosta per i Rom sono state sempre sfruttate dalla destra fascista, ma sono state talvolta promosse (come è accaduto a Roma negli anni scorsi) non solo da sezioni del Psi ma perfino del Pci! La vigilanza dei comunisti non deve naturalmente esercitarsi solo nei confronti delle manifestazioni già compiutamente razziste e quindi utilizzate dai fascisti, o dalle "le5

Ogni tanto nella cronaca dei giornali, in piccolo, c'era la notizia di una famiglia di zingari bloccata sulla strada dall'isterismo collettivo che "riconosceva" Santina tra i loro numerosi figli, e rilasciata dalla polizia dopo giorni di indagini.


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ghe" (che non sono ancora un movimento fascista, ma potrebbero diventarlo, dato che hanno già molti punti in comune, e utilizzano molti ingredienti analoghi a quelli fascisti classici). Bisogna combattere tutte le manifestazioni di sciovinismo e di quello che un grande studioso dell'antisemitismo e del Medio Oriente, Maxime Rodinson, ha definito etnismo essenzialista, cioè ogni identificazione del bene con il proprio gruppo etnico (vero o presunto: ad esempio come identificare un tipo italiano all'interno del complesso mosaico di etnie e di culture del nostro paese?) e del male con un altro. Di simili esercitazioni al fanatismo ne conosciamo parecchie: un esempio da manuale è quello della tragedia di Heysel in Belgio. Non solo c'erano gruppi fascisti nelle tifoserie della Juventus e del Liverpool, ben visibili grazie alle bandiere con la svastica mimetizzata (quello che da noi è il simbolo di Ordine nuovo), ed entrambi responsabili delle violenze iniziali, ma quando il crollo della tribuna ha trasformato in catastrofe l'incidente, travolgendo casualmente un gruppo di sportivi italiani estranei agli scontri, tutta la stampa italiana ha presentato l'episodio come frutto della barbarie britannica e c'è stato chi ha riesumato lo slogan fascista della perfida Albione! Non è un caso che i fascisti reclutino abbondantemente nelle tifoserie arrabbiate, e che ne siano spesso i promotori. Il fanatismo sportivo è preoccupante non solo quando è apertamente sciovinista nel caso delle partite internazionali (si pensi alle orge di bandiere tricolori in occasione dei mondiali, che hanno sventolato per mesi su moltissime case ed edifici pubblici, prescindendo dal reale valore della


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squadra italiana) ma anche quando contrappone irrazionalmente una città all'altra, portando a incredibili conflitti intrecciati di insulti presi dalla terminologia razzista: "baresi ebrei" è stato a lungo scritto nella stazione ferroviaria di Lecce, mentre a Bari si rispondeva "leccesi ebrei". Altre volte si definiscono "lebbrosi" o "Aids" o "marocchini" o "africani" i tifosi della squadra opposta, quando non si inneggia apertamente ai forni crematori. Ma il guasto è già nel fanatismo in sé, nel considerare la propria parte la migliore e attribuire all'avversaria ogni male fisico e morale. È ovvio che non tutte le tifoserie sono "fasciste" ma certo sono un buon terreno di addestramento e di reclutamento.

Perché il fascismo risorge anche ad est? D'altra parte c'è una controprova che la sola battaglia delle idee contro il fascismo non basta. Nei paesi del "socialismo reale" non c'è dubbio che la propaganda antifascista, i documentali sui crimini hitleriani, ecc. non scarseggiavano certo. In Jugoslavia ad esempio per anni e anni gran parte dei film prodotti ricordavano la resistenza al fascismo e la lotta partigiana. Eppure, nella crisi politica e morale che ha sconvolto questi paesi abbiamo visto riapparire organizzazioni e simboli fascisti. Peggio ancora, quasi tutti i vecchi partiti comunisti (ribattezzatisi in genere socialdemocratici o con altri nomi) hanno scelto la strada dei conflitti interetnici, additando come nemici gli armeni in Azerbaigian, gli azeri in Armenia, i russi in Moldavia, mentre in Russia ci si scaglia contro i caucasici in genere (soprattutto i ceceni) ma anche


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contro i moldavi, gli ebrei, ecc. Inutile parlare della "pulizia etnica" a cui si sono dedicati serbi, croati, bosniaci "musulmani", macedoni, ecc. nella ex Jugoslavia, riprendendo non solo tematiche ma anche pratiche che furono caratteristiche del fascismo. C'è una spiegazione, che parte da alcuni inquietanti precedenti che la sinistra in Italia ha sottovalutato o ignorato: nel corso della seconda guerra mondiale l'Urss e i partiti comunisti più direttamente legati ad essa, soprattutto nei paesi dell'Europa centro-orientale, avevano caratterizzato la guerra più come antitedesca che antifascista. Una delle conseguenze immediate furono le violenze subite dalla popolazione civile tedesca al termine della guerra, dagli stupri in massa alla spoliazione di beni personali, dalla cacciata dalle case e dalle terre in cui vivevano da molte generazioni all'imposizione di durissime riparazioni per i danni di guerra. L'assurdo fu che si fecero pagare le colpe di Hitler anche a quella parte del popolo tedesco che non ne era corresponsabile (anzi era stata anch'essa vittima) e soprattutto a quelli che si erano recati a est sperando di poter realizzare il sogno di decenni, costruendo una società socialista su un pezzo di terra tedesca. Perché, assurdamente, i danni di guerra li ha pagati durissimamente solo la Germania orientale, mentre gli imperialisti accordavano aiuti consistenti per la ricostruzione dell'economia della Germania occidentale. Questo fu all'origine dell'enorme squilibrio economico tra le due Germanie, e di quel flusso migratorio che portò milioni e milioni di tedeschi a fuggire verso ovest, e del


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terribile anticomunismo della repubblica federale tedesca (mentre nelle prime elezioni parziali del 1945-46 in diverse città occidentali come Amburgo, Brema, ecc. il partito comunista aveva ancora avuto percentuali del 10-15%). Ma la conseguenza più tragica fu anche che nei paesi del cosiddetto "socialismo reale" si abituò la gente a ragionare in termini di colpe collettive di un popolo. Allora era il tedesco, ma durante e dopo la guerra Stalin fece deportare in blocco anche interi popoli del Caucaso, nonché i tedeschi del Volga (che risiedevano in quella regione da due secoli ed erano stati un baluardo della rivoluzione durante la guerra civile), o i Tatari di Crimea, introducendo un criterio di responsabilità collettiva di un popolo per le colpe vere o presunte di alcuni suoi membri che ha terribili analogie con la mentalità nazista. Così, anche se l'antifascismo era sancito dalle costituzioni, in quei paesi si alimentava una mentalità xenofoba pericolosissima (anche con l'ossessione del complotto esterno che giustificava la diffidenza verso ogni straniero). Di fronte al crescere del malcontento e delle contestazioni interne ricorrenti, si ricorse poi apertamente all'antisemitismo (ipocritamente ribattezzato antisionismo, mentre le sue vittime avevano solo la colpa di una lontana origine ebraica, ed erano comunisti da una vita). Si cominciò con il processo al segretario del Pc cecoslovacco Slánský (di 11 imputati su 14 si sottolineava che erano ebrei) e con il presunto "complotto dei camici bianchi" che riesumava in Urss la vecchia calunnia antiebraica dei medici assassini. Negli anni Sessanta si arrivò alla pubblicazione di scritti apertamente antisemiti, soprattutto in Ucraina, e alla ri-


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stampa del testo base dell'antisemitismo I protocolli dei saggi di Sion, in una tipografia dell'Armata Popolare in Polonia. Lo scopo era creare un diversivo, scagliare gli oppositori meno maturi non contro la burocrazia nel suo insieme, ma contro quella sua piccola parte che aveva cognomi ebraici. La classica funzione che ebbe l'antisemitismo come socialismo degli imbecilli nella Germania prenazista. Ecco perché non possiamo stupirci del riaffiorare di questa forma di barbarie proprio nei paesi in cui credevamo fosse stata meglio estirpata, e dove invece riviveva con funzioni diverse, intrecciandosi al nazionalismo (russo, romeno, ungherese, ecc.) coltivato al posto dell'internazionalismo che era patrimonio del movimento operaio fin dalle sue origini.

Come combattere il fascismo È evidente dunque che non basta combattere le idee che si dichiarano apertamente fasciste e parafasciste, ma occorre vigilare contro il loro riapparire in altra forma e sotto altro nome. Inoltre, non ci sono solo le idee, ma anche le organizzazioni! E sul modo di combatterle si pongono e si sono posti in passato grossi problemi alla sinistra rivoluzionaria: in certi periodi ad esempio il mito della "nuova resistenza" ha fatto parecchi danni. La resistenza è stato un grande momento della storia del nostro paese, ma ha avuto al suo interno anime diverse. Va difesa quindi da ogni denigrazione o negazione del suo valore, ma ogni esaltazione acritica può portare a diversi equivoci. La resistenza è stata un generoso moto di popolo, che voleva eliminare il fascismo colpendo le sue radici nel si-


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stema capitalistico, ma è stata anche una scelta di vertice interclassista, che ha impedito la formazione di Cln elettivi: erano sempre basati sulla rappresentanza paritetica dei partiti, per cui anche partiti borghesi privi allora di seguito popolare e soprattutto quasi assenti nella lotta partigiana (in cui era fortissimo soprattutto il peso dei comunisti e di Giustizia e Libertà ) condizionavano ogni scelta e impedivano di far pagare ai veri responsabili le colpe del fascismo. Ma questa presentazione acritica della resistenza si è intrecciata e a volte sovrapposta a una esaltazione del momento militare (che vi fu, e fu giusto e necessario) isolato al punto di pensare di poterlo riprodurre in altri periodi con le stesse forme. Alcune azioni antifasciste degli anni Settanta, non solo da parte delle Brigate Rosse, hanno avuto l'effetto involontario di disorientare ulteriormente larghi settori dell'opinione pubblica e della stessa base comunista, spingendola per reazione a rigettare in qualsiasi caso il ricorso alla violenza. Il metodo classico dei marxisti rivoluzionari (teorizzato efficacemente da Lenin durante la rivoluzione del 1905 nello scritto su La guerra partigiana) puntava a portare larghe masse (senza aspettare necessariamente tutte le masse) a capire la necessità di difendersi dagli attacchi fascisti alle loro sedi, alle minoranze etniche, ecc. rispondendo con decisione anche sul terreno dello scontro fisico ai livelli necessari, senza delegare il compito di fermare i fascisti (allora i cento neri) all'apparato repressivo borghese che li proteggeva e li armava. Il problema essenziale era per Lenin quello di coinvolgere settori importanti delle masse proletarie nell'organizza-


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zione di forme di autodifesa dagli attacchi "fascisti" (anche se poi all'interno delle iniziative di massa occorreva ci fossero anche compagni con un minimo di preparazione "tecnica" allo scontro necessario). Ogni fuga in avanti, ogni iniziativa presa a partire dal livello di consapevolezza di una piccola avanguardia ha al contrario effetti deleteri rispetto al compito essenziale, che è quello dell'educazione delle masse ai nuovi compiti imposti da una fase di attacchi fascisti armati.

È possibile e utile chiedere allo Stato borghese lo scioglimento delle organizzazioni fasciste? Una vecchia polemica degli anni Settanta riguardava lo scioglimento del Msi e in genere delle organizzazioni fasciste. È vero che uno degli articoli transitori della Costituzione repubblicana prevedeva il divieto di ricostituire sotto qualsiasi forma il disciolto partito fascista, ma non è un caso che (come molti degli altri articoli della Costituzione, d'altra parte) esso non abbia mai trovato attuazione. Chi avrebbe dovuto sciogliere il Msi? Le coalizioni borghesi che lo hanno tenuto per decenni come doppia ruota di scorta (per intervenire con i voti contrattati sottobanco a salvare maggioranze pericolanti, e come ricatto permanente sul movimento operaio)? Chi doveva decidere se era o no "fascista"? La magistratura, che nel 1944-1947 fu ricostituita senza epurazioni, con alla testa tutti gli uomini che avevano fatto la loro carriera sotto il fascismo? Un esempio interessante della pericolosità di questa delega allo Stato dei compiti del movimento operaio viene


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dalla Francia, dove nel 1936 fu varata per iniziativa del Fronte Popolare una legge contro le "leghe fasciste" che fu aggirata già nel biennio in cui le sinistre rimasero al governo (la polizia e la magistratura erano quelle di prima e "non vedevano" il cambio di nome sulle sedi fasciste riaperte il giorno dopo lo "scioglimento"). Poi, nel 1968, la stessa legge fu usata per sciogliere ... le organizzazioni della sinistra rivoluzionaria come la Jeunesse Communiste Révolutionnaire! Non sembra quindi molto sensato affidare allo stato borghese, e delegare concretamente a polizia e magistratura il compito di difendere il movimento operaio dalle aggressioni fasciste. Fino a ieri il problema sembrava astratto, ma l'attuale crescita delle opposizioni fasciste e parafasciste (o che possono diventare tali, come la Lega Nord) rende assai urgente una chiarificazione in proposito per superare le illusioni sulla "neutralità dello Stato" seminate per decenni in senso al movimento operaio. Nessun paese è immune dal rischio di una rinascita del fascismo in un momento di grave crisi economica e sociale, senza che — per la debolezza delle direzioni tradizionali del movimento operaio — si veda all'orizzonte una via d'uscita. Le masse piccolo-borghesi rovinate dalla crisi, e private soprattutto di quell'intervento statale che sorreggeva artificialmente le loro attività economiche fino a poco fa, possono facilmente essere scagliate contro la classe operaia, e il problema del fascismo diventa ben altro che quello di qualche "nostalgico"! Non dimentichiamo che il nazismo attecchì in Germania, il paese che aveva la costituzione più democratica (quella


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di Weimar è stata il modello per la nostra, tra l'altro), il paese di Goethe e Karl Marx, il paese in cui esisteva il più forte movimento operaio d'Europa (che conservò ancora quasi il 40% dei voti nelle elezioni del marzo 1933 manipolate da Hitler già al potere). Non dimentichiamoci che Pinochet era il capo dell'esercito "più democratico" dell'America Latina (lo definì così su l'Unità, un giorno prima del golpe, l'attuale segretario del Pcc, Volodia Teitelboim).

Fronte unico proletario e fronti popolari Di fronte al fascismo, se si ripresenta non come gruppuscolo marginale o partitino populista di destra tenuto insieme col cemento "nostalgico" ma come movimento di massa in lotta per il potere, i comunisti devono battersi per creare il più largo fronte possibile. Ma l'esperienza dei Fronti Popolari in Spagna e in Francia nel 1936-1938, e quello dell'unità nazionale durante la resistenza (in Italia, in Francia, in Grecia, in Belgio, ecc.) conferma che l'unità della classe operaia contro il mostruoso pericolo fascista non si rafforza ma si indebolisce allargandosi anche a forze borghesi, che possono avere loro ragioni per sbarazzarsi del fascismo in un momento dato, ma che hanno sempre interessi contrapposti a quelli dei proletari. È come se per combattere un pericoloso gatto i topi, oltre ad unirsi, chiamassero nelle proprie file... un altro gatto! Non si tratta di pregiudizi ideologici: tutta l'esperienza degli esperimenti di "allargamento" interclassista del Fronte Unico Proletario ci dice che esse hanno avuto esiti disastrosi (nel 1938-39 in Spagna e Francia) o hanno consentito agli interlocutori borghesi di ricavare il massimo dei


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vantaggi da quell'alleanza (in tutti gli altri casi).


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Obiettivi per unire i lavoratori La lotta contro la mentalità e l'ideologia razzista e fascista e perfino la concreta autodifesa dai suoi attacchi sono necessarie ma non sufficienti a sconfiggere il mostro che rinasce. La battaglia decisiva si combatte sul terreno della ricostruzione di un movimento di classe capace di difendere gli interessi essenziali di tutti i lavoratori. Quando il fascismo ha vinto, è stato sempre perché il movimento operaio era diviso e non assolveva ai suoi compiti. In Italia nel 1920-1922, in Germania nel 1929-1933, in Spagna nel 1936-1939 il movimento operaio era diviso perché i gruppi dirigenti delle sue organizzazioni più forti e storicamente radicate non difendevano gli interessi di classe, collaboravano (o tentavano vanamente di collaborare) con forze borghesi, adattando ad esse i loro programmi, provocando rabbia, disorientamento o reazioni estremiste in una parte dei lavoratori. La divisione del movimento operaio italiano non è stata provocata dalla scissione di Livorno (il Pcd'I nasce caso mai troppo tardi e con errori tattici che permetteranno alla direzione opportunista del Psi di mantenere nel partito una parte dei quadri più combattivi per alcuni anni decisivi), ma dalla scelta della direzione del Psi e della Cgl di non sostenere l'occupazione delle fabbriche del 1920 e di non dare uno sbocco politico al grande movimento dei Consigli di Fabbrica. In Germania la divisione del movimento operaio non consiste tanto nell'esistenza di due partiti operai (anche nella Russia del 1917 i partili principali della classe operaia era-


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no due, eppure fu possibile ai bolscevichi unire nei soviet, sulle parole d'ordine concrete contro la guerra e per la terra, la maggior parte dei proletari e dei contadini, battendo i tentativi reazionari di Kornilov e dei cento neri), ma nel fatto che il maggiore di essi, la socialdemocrazia, preferì allearsi con i borghesi contro i rivoluzionari, affidando ai Corpi franchi (bande di ufficiali reazionari e di mercenari che confluiranno successivamente nelle squadracce naziste) il compito di assassinare Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht e migliaia di spartachisti. Fu proprio quel terribile crimine che rese più difficile (negli anni successivi) far capire ai rivoluzionari che nonostante queste ed altre colpe dei suoi capi essi dovevano proporre ugualmente al partito socialdemocratico il fronte unico contro il pericolo fascista che minacciava l'intero movimento operaio. La divisione più grande del movimento operaio tedesco fu però facilitata dall'assenza di parole d'ordine adeguate e concrete contro la disoccupazione e l'attacco ai salari: Spd e Kpd si accusavano a vicenda di gravi colpe, e si combattevano aspramente, ma nel 1929 non avevano un programma che rispondesse concretamente alla terribile crisi del capitalismo. Così il nazismo riuscì a far accettare le sue parole d'ordine mostruose e criminali, ma che in quel momento apparivano concrete, a una parte dei disoccupati e dei piccolo borghesi rovinati dalla crisi.6 Altrettanto si potrebbe dire per la Spagna: quando 6

In effetti il fascismo, a suo modo, "risolse il problema dell'occupazione", dapprima con il vertiginoso aumento della produzione militare e la preparazione della guerra, e poi mandando milioni di proletari in divisa a uccidere ma anche a morire per conquistare gli "spazi vitali" ad est.


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all'attacco fascista rispondono le masse, che con pochissime armi attaccano le caserme, i generali rivoltosi vengono schiacciati in tutte le città importanti e in quasi tutto il paese, mentre quando il governo concederà ai partiti borghesi presenti nel Fronte Popolare di bloccare la dinamica della rivoluzione (cioè fermare le occupazioni e divisioni di terre in Aragona, bloccare il controllo operaio sulle fabbriche abbandonate dai padroni fascisti e occupate dai lavoratori, affidandole a funzionari governativi, ecc.), i fascisti riusciranno a vincere. L'unità con i partiti borghesi (vero "fantasma della borghesia" dato che il grosso dei capitalisti spagnoli in realtà stava direttamente dalla parte di Franco) ha diviso i lavoratori e ne ha preparato la sconfitta. "Rinviare la rivoluzione a dopo la vittoria" (come si diceva in base alla solita sciagurata teoria dei "due tempi"), significava trasformare la guerra civile in guerra convenzionale, in cui la superiorità militare dei golpisti e i loro potenti appoggi internazionali diventava decisiva.7 Oggi quindi, se vogliamo far tesoro di quelle esperienze del passato per evitare di ripetere gli stessi errori, dobbiamo soprattutto cercare di formulare un programma che 7

Una delle conseguenze più nefaste delle concessioni fatte ai partitini borghesi del Fronte Popolare fu il rifiuto (analogamente a quanto avvenne in Francia) di ascoltare la voce dei popoli oppressi delle colonie che chiedevano l'indipendenza. Così si rinunciò a tagliare l'erba sotto i piedi a Franco, la cui forza essenziale erano appunto i mercenari arruolati in Marocco tra gli strati più arretrati della popolazione, e che si sarebbero trovati in difficoltà di fronte a un'alleanza tra il Fronte Popolare e gli indipendentisti dei proprio paese.


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permetta di lottare efficacemente contro l'attacco padronale a salario e occupazione, e di riunificare i lavoratori su obbiettivi concreti, facendo fallire il tentativo di dividerli in base al colore della pelle, o in base alla provenienza da una regione o da un'altra.

1. Come difendere l'occupazione Da alcuni anni lavoratori sono impegnati in una difficile e a volte disperata lotta per salvare il loro posto di lavoro. L'attacco all'occupazione si è sviluppato quando ancora la forza operaia era molto grande e avrebbe reso facile una risposta generale, che le direzioni sindacali hanno evitato lasciando disperdere le energie in lotte condotte fabbrica per fabbrica, a volte reparto per reparto. Oggi è più difficile, ma non è impossibile la controffensiva, se si punta a unificare gli sforzi, a mobilitare tutta la classe operaia, anche quella non ancora sottoposta alla minaccia diretta al posto di lavoro, ma che lo sarà domani se intanto lascia senza aiuto chi è già colpito. Si tratta dunque di far pesare la forza politica e sociale della classe lavoratrice per fermare l'attacco dove già è cominciato, senza aspettare che la tattica padronale del carciofo continui a indebolire la forza contrattuale operaia. Prima di tutto quindi si deve resistere e difendere i posti di lavoro con la forza di tutti (attraverso un vero sciopero generale, prolungato fino a paralizzare tutte le attività del paese, facendo sentire che senza la classe operaia non si va avanti). Ma da anni i posti di lavoro si sono ridotti anche in altre forme, attraverso il mancato rimpiazzo di chi va in pensio-


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ne o si trasferisce ad altro lavoro. Oggi, ovunque, lavoriamo in meno e lavoriamo di più. Così la speranza di un posto per i giovani diventa un vero miraggio. Bisogna dunque riportare al centro delle piattaforme operaie la riduzione d'orario generalizzata a parità di salario che consenta di lavorare meno ma lavorare tutti, di creare nuovi posti di lavoro, di saldare la forza contrattuale di chi già lavora con quella dei disoccupati e dei giovani in cerca di prima occupazione. Ma occorre anche che il movimento operaio sappia formulare un programma che allo spreco insensato degli appalti (più o meno legati alle tangenti, all'arbitrio, al legame tra apparato statale e organizzazioni criminali non solo mafiose) contrapponga un progetto realistico di lavori socialmente utili che creino nuovi posti di lavoro, riconvertendo le industrie militari a fini pacifici, puntando al recupero ambientale, al recupero di zone agricole abbandonate. Ad esempio, invece di spendere miliardi dopo per rappezzare (male) i danni provocati da alluvioni e frane, varrebbe la pena di incentivare la ripresa di attività agricole tradizionali in zone collinari, che permettano di ristabilire l'equilibrio idrogeologico alterato quando la vecchia azienda agricola appenninica basata su un'integrazione di culture diverse (vite, alberi da frutto, foraggio per allevamento, grano) è stata distrutta per lasciar posto a monocolture industriali. È inutile entrare in dettagli tecnici ora: se si imponesse a livello politico una svolta in tal senso, sarebbero i lavoratori stessi a sapere bene come intervenire per prevenire il dissesto ambientale.


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Anche in altri settori non sarebbe difficile identificare attività socialmente utili e necessarie da creare, offrendo una prospettiva di lavoro ai giovani: assistenza domiciliare agli anziani e agli infermi, assistenza specializzata per il recupero all'interno delle strutture scolastiche normali di alunni in difficoltà per handicap o per l'ambiente familiare in cui sono inseriti. Nelle università, dove da anni la quasi totalità dei giovani laureati anche di ottimo livello non trovano uno sbocco perché tutti i posti sono occupati da una pletora di docenti (senza entrare qui nel merito del loro livello culturale, dell'utilità delle specializzazioni in cui l'insegnamento è stato parcellizzato e ancor meno sul loro impegno didattico), sarebbe possibile creare una nuova figura transitoria di tutore, affidando per un periodo determinato a giovani laureati il compito di guidare nei meandri di facoltà e dipartimenti le "matricole".8

2. Come difendere il salario reale Soprattutto su questo terreno il primo compito è essenzialmente difensivo, ma non può essere affrontato caso per caso o in lotte parziali e settoriali, o con pure richieste di recupero salariale (anche se si deve rifiutare ogni blocco 8

La figura del tutore, esistente in molte università anglosassoni, comincia ad essere introdotta in Italia ma in altra forma assai meno utile, affidando un compito in più a qualche professore sottoutilizzato (magari perché giustamente disertato dagli studenti per la sua astrattezza e pedanteria). Sarebbe assai più utile invece affidarlo a laureati freschi di studio che potrebbero trasmettere le loro esperienze e aiutare i nuovi arrivati a evitare di perdere tempo prima di cominciare a orientarsi nel caos universitario.


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della contrattazione articolata imposto da governo e padronato e accettato dalle confederazioni). In primo luogo bisogna opporsi infatti a quei tagli ai salari reali già fatti con i continui decreti governativi che hanno aumentato ticket e prelievi fiscali di ogni genere. L'obiettivo principale che può ridare ai lavoratori quella fiducia nella lotta che portò alle grandi mobilitazioni del 1969 e degli anni successivi (con le loro ricadute politiche in termini di spostamento a sinistra dell'elettorato e dell'opinione pubblica per un decennio), è naturalmente il ripristino della scala mobile dei salari e delle pensioni, annullando tutti i peggioramenti contrattati dalle confederazioni sindacali negli ultimi tempi (tra l'altro l'esperienza ha confermato che la scala mobile non era la causa dell'inflazione, che è continuata anche dopo il suo "raffreddamento" e poi cancellazione, ma consentiva di attenuarne i danni sui lavoratori). Una parte dei lavoratori del nord oggi può essere attratto dalla parola d'ordine infame del ripristino delle zone salariali differenziate per regioni. Si deve combattere questa assurda parola d'ordine di divisione dei lavoratori, spiegando che se oggi danneggerebbe i lavoratori del sud che sarebbero meno retribuiti, domani si ritorcerebbe proprio contro i "privilegiati", che perderebbero più facilmente il posto di lavoro per l'involontaria concorrenza dei lavoratori sottopagati nel sud.


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Scheda 2 GLI IMMIGRATI DAL “TERZO MONDO”. PERCHÉ FUGGONO E CHI LI FA VENIRE Oggi uno dei cavalli di battaglia dei fascisti più o meno mimetizzati è l'ostilità verso gli immigrati extracomunitari: approfittando dell'inesperienza della nuovissima radicalizzazione giovanile di questi mesi, vari gruppi neofascisti hanno avuto l'impudenza di organizzare "collettivi antirazzisti" nelle scuole. Infatti, dicono, "noi siamo contro il razzismo, ma anche contro una società multirazziale". Questa frase già li smaschera: non esistono le razze, esiste una sola razza umana. Questo concetto, che era patrimonio del movimento democratico e socialista già alla fine del secolo scorso è stato poi confermato dalla scienza: si veda il bel libro di M. F. Montagu, La razza. Analisi di un mito, Einaudi, Torino, 1966.9 Bisogna comunque rispondere non solo su questo terreno culturale elementare. Bisogna riuscire a spiegare i meccanismi di sfruttamento che hanno portato alla distruzione dell'economia dei paesi coloniali sia durante la dominazione diretta delle potenze imperialiste, sia durante l'attuale fase neocoloniale. Ad esempio far capire che i senegalesi vengono a cercar lavoro qui in Europa non per libera scelta, ma perché il loro paese è in rovina: se si prende come parametro il prodotto interno lordo, questo oggi nel Senegal è di 650 $ annui, che non solo è bassissimo (in Italia è di 16.500 $) ma è diminuito del 15% rispetto a dieci anni fa per effetto del crollo sul mercato mondiale del prezzo del principale e quasi unico 9

Ma a volte, per scarsa vigilanza, anche pane della sinistra (in passato anche molti sionisti), usa il termine "razza" riferendosi a ebrei o negri o gialli.


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prodotto di esportazione, le arachidi. Lo stesso si può dire per il Ghana, o altri paesi africani a cui il colonialismo prima e i regimi più o meno legati all'imperialismo successivamente hanno imposto la monocultura (a caffè, cacao, ecc.). Tutti i prezzi delle materie prime (con la sola, ma temporanea eccezione del petrolio negli anni Settanta) hanno avuto una flessione costante, e soprattutto hanno perso sempre più il loro valore rispetto ai macchinari necessari per estrarle, raccoglierle o trasformarle: è stato calcolato ad esempio che per acquistare un trattore oggi occorre un quantitativo di cotone dieci volte superiore a quello che era necessario venti anni fa. Cuba ad esempio si è indebitata gravemente anche con le grandi banche europee, che verso il 1975 (erano gli anni dei petrodollari, che le banche non sapevano come e dove investire e offrivano a condizioni allettanti ai paesi "in via di sviluppo") le fornirono grandi crediti per acquistare macchinari. I dirigenti cubani erano sicuri di poterli ripagare con lo zucchero, ma il prezzo sui mercato mondiale scese in due anni da 64 a 8 centesimi di $ per libbra (lo zucchero è praticamente scomparso dall'industria dolciaria e delle bibite, sostituito da dolcificanti sintetici). Cuba così, invece dì diventare autosufficiente e meno dipendente dall'economia sovietica, si indebitò pesantemente con le banche capitalistiche. Per questo dai paesi rovinati da questi meccanismi economici si sviluppano forti correnti migratorie, alla ricerca di una sopravvivenza che non è più garantita in patria. Spesso questi immigrati tentano di presentarsi come rifugiati politici, anche quando non lo sono, ma certo sono sempre vittime di un'ingiustizia di cui anche il nostro paese è complice, e quindi dovrebbero ottenere comunque asilo. Gli albanesi che hanno tentato di raggiungere il nostro paese, ad esem-


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pio, sono stati rovinati non solo dagli errori passati del gruppo dirigente che in nome del "comunismo" ha tentato un'impossibile autarchia, ma anche dallo scambio ineguale tra le loro povere materie prime e i macchinari che acquistavano e acquistano a carissimo prezzo in Germania o in Italia.10 Questi argomenti dovrebbero spiegare che non siamo estranei alla tragedia da cui tentano di fuggire quei disperati che vengono a cercar lavoro nel nostro paese. Ci sono molti altri argomenti per far capire che non è la loro "congenita incapacità" a rendere sempre più poveri quelli che vengono definiti PVS "paesi in via di sviluppo" e che invece sono "paesi in via di sprofondamento": basta pensare che cinquecento anni fa non solo il distacco tra Europa e Africa era assai scarso, ma l'Europa aveva molto da invidiare ad alcune grandi città del mondo arabo, dell'India o della Cina. Sono stati gli scambi ineguali, spesso imposti con le cannoniere (a partire dalla "Guerra dell'Oppio" contro la Cina) a modificare i rapporti a vantaggio dell'Europa e degli altri stati imperialisti, soprattutto negli ultimi centocinquant'anni.11 Poi, negli ultimi venti anni, l'indebitamento ha fatto il resto: i crediti offerti a condizioni favorevoli nel 1973-1975 sono stati trasformati in una trappola mortale dal ricalcolo dei tassi di interesse, arrivati a livelli superiori a quelli di qualsiasi usuraio, e tutelati dalla Banca Mondiale 10 Si veda su questo la documentazione riportata nell'articolo di A.Moscato Gli albanesi e l'Italia, in «Bandiera rossa» n. 15-16, luglio-agosto 1991. 11 Si tratta soprattutto degli Stati Uniti, sorti sul modello europeo, ed anzi come un pezzo di Europa costruita in un altro continente, ma anche del Giappone, l'unico paese asiatico che è riuscito a non essere colonizzato e che negli ultimi ottanta anni ha imparato rapidamente a riprodurre la tecnologia ma anche l'organizzazione politica e sociale degli altri paesi imperialisti.


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e dal Fondo Monetario Internazionale. C'è ancora un altro argomento che dovrebbe far riflettere: gli stessi italiani sono stati costretti a milioni a cercar fortuna o almeno un tozzo di pane in altri paesi, dall'Argentina agli Stati Uniti, dalla Francia alla Germania, dal Brasile all'Australia. Molti si sono assimilati e hanno trovato una collocazione rispettata in quei paesi, altri sono ancor oggi oggetto di discriminazione e pregiudizi. Spesso oggi un bergamasco o un brianzolo della Lega Lombarda guarda con disprezzo un calabrese o un siciliano, che a loro volta hanno pregiudizi verso i lavoratori tunisini o marocchini: eppure in Germania sono tutti insieme oggetto dello stesso disprezzo e degli stessi attacchi da parte degli xenofobi tedeschi (che siano Republikaner o teste vuote e rapate). Per sradicare il razzismo "bisogna anche far capire che i lavoratori extracomunitari arrivano qua con abbondanti complicità del padronato italiano, che ha bisogno di aumentare l'esercito industriale di riserva con una massa di disperati pronti ad accontentarsi di poco. Proprio chi ha bisogno di loro per far svolgere lavori pesantissimi e non protetti, rende poi difficile il loro inserimento regolare: ci vuole un contratto di lavoro per ottenere il permesso di soggiorno e viceversa, sicchÊ quasi tutti lavorano, ma senza protezione e senza contratto, e in condizioni tremende di alloggio. La maggior parte degli extracomunitari lavora nei campi e nell'industria, ma anche quei pochi che accettano lavori illegali o criminali (dal contrabbando allo spaccio passando per la piÚ comune vendita ambulante di prodotti da industrie italiane che lavorano in nero e non pagano una lira di tasse), lo fanno perchÊ costretti dalla fame, e lo fanno per conto di organizzatori italianissimi. Un contrabbandiere napoletano o brindisino che "usa" un rivenditore locale, deve assicurargli assistenza in carcere se preso, ecc. mentre tro-


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va comodo "usare e gettare" dei poveracci che pur di mangiare sono pronti a rischiare tutto, compresa la più terribile delle pene, l'espulsione verso la fame dei paesi d'origine. Fascisti e leghe che chiedono restrizioni alla concessione del permesso di soggiorno, dicendo di voler evitare così la criminalità, in realtà la facilitano: sono quelli tenuti al bando che accettano qualsiasi lavoro; chi riesce a regolarizzarsi lavora bene e riesce in genere a inserirsi facilmente nell'ambiente locale.12 Il pericolo viene proprio dalla legislazione discriminatoria, che ricaccia una parte degli immigrati nell'illegalità e li trasforma in concorrenti dei lavoratori occupati, perché costretti ad accettare qualsiasi condizione.

12 Tra l'altro varie inchieste sociologiche condotte tra gli immigrati, compresi quelli ammucchiati nei terribili ghetti come l'ex Pantanella a Roma, hanno rivelato che nel loro paese molti di essi erano operai o impiegati qualificati, e che tra essi (soprattutto tra i nordafricani e i senegalesi) c'era perfino un 20-25% di laureati.


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3. Parità di diritti e di retribuzione per gli immigrati Per le stesse ragioni per cui va rifiutata la proposta delle zone salariali differenziate per le diverse regioni italiane, va respinto l'attuale assetto che discrimina gravemente i lavoratori immigrati, soprattutto extracomunitari costretti al lavoro nero. Fascisti e leghe li attaccano e propongono di cacciarli, ma in realtà vogliono solo mantenerli nell'illegalità che consente il massimo di sfruttamento da parte di datori di lavoro, padroni di casa, ecc. A chi oggi è caduto in questa trappola perversa, che divide i lavoratori in base al paese di origine o al colore della pelle, va spiegato che solo se i lavoratori immigrati avranno pari diritti civili e pari retribuzione (ovviamente anche pari doveri, ma questo è fuori discussione e ci pensano già in tanti a pretenderlo) cesserà la possibilità del padronato di utilizzarli per togliere posti di lavoro esistenti ai lavoratori che una volta venivano chiamati "garantiti". Se a partire dai nuclei più coscienti raccolti oggi in Rifondazione comunista, nei Cobas, nei coordinamenti dei consigli autoconvocati, ecc., si riuscirà a elaborare un programma di controffensiva che permetta la ricomposizione dell'intero movimento operaio, sarà possibile anche recuperare una parte di coloro che in questi anni di arretramenti, di passività, di disorientamento, sono stati attratti dalle false soluzioni leghiste o perfino fasciste. Il movimento operaio deve sapere rispondere adeguatamente anche sullo stesso terreno ad ogni attacco fisico alla sua libertà e alle sue organizzazioni, ma deve sempre puntare al recupero dei singoli lavoratori che sono stati ingan-


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nati e trascinati in una logica di divisione e contrapposizione dalla demagogia razzista. SarĂ piĂš facile farlo se la battaglia in difesa delle idee di uguaglianza e di solidarietĂ si intreccerĂ a concrete rivendicazioni che permettano di riunificare la classe in difesa dei suoi interessi, dandole la forza per ricominciare ad attrarre anche i giovani disoccupati e a offrire uno sbocco politico agli altri ceti sociali rovinati dalla crisi del capitalismo.


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Scheda 3 IL REVISIONISMO DI ERNST NOLTE Ernst Nolte è uno storico tedesco noto per le sue teorie giustificazioniste sul nazismo come "reazione agli orrori staliniani". Si tratta di una vera e propria inversione del rapporto di causa ed effetto che si basa su un grossolano anacronismo. Nolte considera infatti come data di inizio del nazismo la conquista del potere nel 1933, che comunque non giustifica la sua tesi, perché il grande terrore staliniano non era ancora cominciato: si svilupperà a partire dall'uccisione di Kirov (dicembre 1934) e avrà le sue manifestazioni più terribili ed aberranti nel 1936-1938. Inoltre il nazismo del periodo 1929-1933, oltre a compiere già crimini di ogni genere per distruggere le organizzazioni dei lavoratori, è l'erede di tutte le forme di terrorismo di destra che hanno insanguinato la Germania come "controrivoluzione preventiva" a partire dal 15 gennaio 1919 , data dell'assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. In quel periodo la repubblica sovietica russa si difendeva in condizioni terribili dall'aggressione imperialista e dalle bande dei generali "bianchi", e non aveva compiuto nessun crimine. In quello stesso 1919 i "Corpi franchi" (mercenari di destra armati, sotto la supervisione del ministro della guerra socialdemocratico Gustav Noske, per sostituire l'esercito tedesco entrato in crisi alla fine della guerra e pervaso dalle idee rivoluzionarie) liquidarono nel sangue la Repubblica dei Consigli di Monaco di Baviera, mentre le forze congiunte di diversi paesi europei aggredirono e sconfissero la Repubblica dei Consigli sorta democraticamente in Ungheria, massacrando migliaia di comunisti, di socialisti, di ebrei. Quindi Nolte prima di tutto inverte l'ordine dei fattori: è


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proprio la sconfitta della rivoluzione in Germania, in Ungheria, in Italia ad opera delle "controrivoluzioni preventive" a facilitare l'involuzione della Russia sovietica. La rivoluzione è rimasta isolata in un paese molto arretrato, con una classe operaia forte e combattiva ma poco numerosa. L'assedio reale e terribile dei primi anni genera la psicosi da assedio permanente, la spietata guerra civile (che in realtà è una guerra interna ed esterna contro la giovane rivoluzione) costringe alla militarizzazione e lascia abitudini autoritarie in molti operai trasformati in commissari o ufficiali e staccati dalla loro base di origine. Ma a smascherare Nolte e i "revisionisti" (come vengono chiamati coloro che operano una "revisione" della storia per minimizzare le colpe del nazismo, in particolare per quanto riguarda lo sterminio di ebrei, zingari, slavi, ecc., presentando Hitler come un legittimo riflesso di autodifesa del popolo tedesco), ci pensano le loro dichiarazioni su fatti di oggi. Nolte, infatti, intervistato da «La Stampa» il 24 novembre 1992) in merito alle recenti aggressioni a turchi e presunti ebrei in Germania, ha risposto che "è dovere della polizia indagare accuratamente su questi casi. È cosa dei giornalisti scrivere i primi commenti. Spetta allo storico invitare al riserbo e dissuadere da giudizi troppo rapidi". Dopo questa nobile affermazione, Nolte si è affrettato a pronunciare un giudizio rapidissimo e sommario per rilanciare la tesi degli "opposti estremismi". Infatti egli riferisce notizie di stampa su "250 giovani, in parte a viso coperto, sembra di sinistra" che avrebbero "attaccato con pietre la stazione di polizia di Bad Freienwald", e su una manifestazione di fondamentalisti islamici che a Gerusalemme avrebbero "incendiato centinaia di bidoni della spazzatura, picchiato delle automobiliste e profanato la tomba di Mena-


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chen Begin", per ricavarne una sconvolgente teorizzazione: "Tutti ci ricordiamo i giganteschi scontri di Los Angeles. La conclusione corretta non è quindi «in Germania la violenza di destra aumenta in modo preoccupante», ma «in grandi parti del mondo la disponibilità alla violenza da parte dell'estrema destra e dell'estrema sinistra cresce in misura paurosa»". Non c'è male come "rigore di studioso": intanto mette sullo stesso piano bruciare vive due donne e una bambina turche e incendiare qualche bidone di immondizia (o si tratta di un lapsus che rivela che per lui gli immigrati sono spazzatura?). Poi mette in conto all'estrema sinistra gli integralisti islamici, protetti per anni da Israele nei territori occupati per soppiantare l'Olp, e che tutti i palestinesi di sinistra — pur non demonizzandoli e cercando di spiegare il fenomeno con la rabbia e l'esasperazione di settori meno politicizzati — considerano un pericolo, anche perché dividono i palestinesi su base religiosa (tra loro ci sono musulmani e cristiani, e anche moltissimi non credenti) mentre facilitano l'unione sacra degli israeliani, che verrebbero ricompattati da una guerra religiosa. Nolte considera di sinistra anche i moti di Los Angeles, che sono invece una protesta disperata — né di destra né di sinistra, perché non politica — di fronte alle violenze della polizia e alla indulgenza della magistratura, queste sì di destra perché inequivocabilmente razziste. E alla fine, la perla: alla domanda se c'è un pericolo nazista in Germania Nolte risponde categoricamente di no, "perché non esiste nessun forte partito di estrema sinistra, e quindi neanche un forte movimento di estrema destra. Esiste però un ampio abuso del diritto di asilo che è sancito dalla Costituzione, un abuso che colpisce la Germania più di ogni altro Paese in Europa. Su questa base nascono azioni crimi-


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nali di gruppi marginali e in genere giovanili, ai quali vengono cuciti addosso dubbiosi termini politici della destra". Un capolavoro di logica: la destra esiste solo come "reazione" (magari un po' esuberante...) a qualche provocazione, ieri la sinistra, oggi gli affamati del "Terzo mondo" o dell'est che vengono a cercare un po' di lavoro in quella piccola parte del mondo dove si concentrano le ricchezze predate (con lo scambio ineguale e il meccanismo del debito) a tutta l'umanitĂ . Grazie Nolte, per averci spiegato con un esempio fresco la mentalitĂ di quei bravi borghesi tedeschi non nazisti che del nazismo furono e sono complici e giustificatori.


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Scheda 4 LE ISTERIE COLLETTIVE, DAL PROCESSO BEJLIS AL CASO DI CHRISTOPHE BEDDELEEM Abbiamo accennato alla campagna di isterismo contro gli zingari scatenata da chi voleva ad ogni costo attribuire loro la sparizione della bambina palermitana Santina Renda. Non si tratta purtroppo di un caso unico. Alcuni giornali hanno riportato nell'ottobre scorso la notizia di un caso di isteria collettiva scatenata a Calais, in Francia, contro presunti bruti insidiatori di bambini, naturalmente nordafricani.13 Il tutto era iniziato il 25 settembre quando un bambino ha riferito al padre che un uomo stava facendo fotografie davanti alla scuola. Si accerterà poi che si trattava di un tecnico del comune che effettuava dei rilievi per lavori pubblici, ma un gruppo di genitori esagitati ha sparso la voce che si trattava di un maniaco. Il preside viene aggredito da genitori che protestano perché non fa nulla, mentre ci sarebbero già due bambini con la gola tagliata (altri giurano di averli visti sventrati dal mostro). In realtà non manca nessun bambino, ma chi soffia sul fuoco trova facili echi: dopo due giorni i bambini spariti secondo le voci popolari sarebbero tredici, mentre altri giurano di aver visto una ragazza tagliata a pezzi in una palestra di un'altra scuola vicina. La polizia viene accusata di passività, poi qualcuno scova "il mostro": Christophe Beddeleem, un ex drogato con la faccia butterata rientrato tre giorni prima da Parigi per stare con sua madre. L'assedio alla casa del poveretto è così grave che la polizia, per salvarlo, 13 La corrispondenza più completa è apparsa in inglese sull'Herald Tribune del 31 ottobre 1992, tradotta poi integralmente su Liberazione del 13 novembre.


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ferma il malcapitato. La folla infuriata sfonda comunque due volte la porta della casa della madre per trovare il "mostro" ("accusato", oltre che dalla faccia butterata, da qualche tratto somatico che ricordava il padre, tunisino). Inutile dire che Christophe è dovuto fuggire, anche se nessun bambino era stato ucciso e neppure molestato (ma a Calais le interviste ai genitori ansiosi che vanno a prendere i bambini a scuola continuano a raccogliere decine di "testimonianze" su stupri, uccisioni e atrocità varie mai esistite, ma che ognuno ha sentito dire da uno che "aveva visto con i suoi occhi". Era parecchio che non accadevano casi di intossicazione collettiva di questa ampiezza, che invece erano frequentissimi nel medioevo e anche agli albori dell'età moderna. I precedenti storici sono diffusissimi e hanno spesso avuto echi nella letteratura, dalla caccia agli untori ricostruita dal Manzoni nella Storia della colonna infame e poi nei Promessi sposi, ai processi alle streghe che hanno ispirato il dramma Il Crogiuolo di Arthur Miller. Erano drammi del fanatismo ma anche il sintomo di una grande inquietudine sociale. L'ultimo grande caso di isterismo collettivo era stato montato a freddo a Kiev dall'Ochrana, la polizia segreta zarista, nel 1911, contro un lavoratore ebreo di una fabbrica di mattoni, Mendel Bejlis, accusato di aver ucciso "a scopo rituale" un fanciullo, Andrei Yushchinsky. Il corpo, quella volta c'era, ma si scoprì presto che il povero Andrea era stato assassinato da delinquenti comuni di cui egli aveva casualmente scoperto il covo. Uno dei ladri e assassini era stato identificato mentre diffondeva, al cimitero di Kiev durante i funerali del ragazzo, dei volantini che incolpavano gli ebrei: era un delinquente ben noto alla polizia, di cui era presumibilmente confidente, nonché membro della "Lega dei patrioti" che dall'emble-


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ma zarista prendeva il nome di "Aquila doppia" (una delle organizzazioni che confluiranno nelle Centurie nere). I giudici che avevano seguito la vera traccia furono allontanati, e così i poliziotti con qualche scrupolo: il processo si protrasse per due anni, e si concluse solo quando gli assassini chiamati come testimoni dalla pubblica accusa si confusero e ammisero la loro colpa in aula (uno di essi, spaventato dalla confessione dei complici, tentò di fuggire saltando dalla finestra e rompendosi il collo). 14 Sembrava l'ultimo sussulto di una barbarie secolare, ma presto ci sarebbe stato chi avrebbe fatto resuscitare il mostro. Dobbiamo vigilare, perché l'infittirsi di nuove manifestazioni di isterismo e di criminalizzazione dei diversi rivelano non solo una disponibilità ad accogliere queste voci da parte di settori arretrati culturalmente, ma anche una regia non troppo occulta che cerca di utilizzare questo clima per scatenare pogrom, non solo contro gli ebrei, gli zingari o gli immigrati extracomunitari: non dimentichiamo che il nazismo si dedicò inizialmente allo sterminio dei malati mentali, e perseguitò costantemente omosessuali e altri "diversi". La demonizzazione dei malati di Aids, scacciati da ospedali o rifiutati dai quartieri in cui dovrebbero sorgere centri di accoglienza, si inscrive in questo genere di orrori. E la sini14 In realtà l'accusa (spalleggiata personalmente da quello zar Nicola II che oggi viene presentato come un'anima pia vittima dei cattivi bolscevichi) tentò di toglier valore a questa confessione e protrasse per qualche giorno la detenzione di Mendel Bejlis. Un bell'articolo sul caso venne scritto da Trotsky nel 1913 per la rivista socialdemocratica tedesca Die Neue Zeit, e fu poi nel 1918 riprodotto in un opuscolo delle edizioni «Avanti!», oggi disponibile in reprint: Lev Trotsky, Un dramma giudiziario (Il processo Bejlis), presso il Centro Studi Pietro Tresso di Foligno.


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stra deve impegnarsi anche su questo terreno, lavorando senza settarismi ma anche senza deleghe insieme al volontarismo cattolico impegnato da tempo su questo terreno.

Milano 16 novembre 1992 Antonio Moscato


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DA «TERRORE E MISERIA DEL TERZO REICH» (*) Quando nel quinto anno udimmo chi di se stesso proclama «Iddio mi manda», per la sua guerra già pronto, forgiati già tanks, cannoni, corazzate, e a punto nei loro hangars gli aerei, in tale numero che, levandosi in aria ad un suo cenno, oscurerebbero il cielo, volemmo guardare intorno a noi che gente, che specie d'uomini, in quali condizioni e pensieri, egli avrebbe raccolto la sua insegna. Li passammo in rassegna. Eccoli, vengono avanti. Una pallida confusa mandria. E innanzi, alta, su un drappo rosso una croce che porta un grosso uncino per la povera gente. E chi non può marciare a quattro zampe striscia per la sua guerra grande. Non si sentono grida o lamenti, non mormorii né domande per lo strepito delle fanfare. Con donne vengono e bambini scampati a cinque inverni, ma non ne vedranno altri cinque. I vecchi e i malati trascinano e ci fanno passare in rivista. Tutto il suo esercito intero. Bertolt Brecht

(*) ventiquattro strofe introducono altrettante scene della composizione teatrale


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