Epopea partigiana

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“Stella Rossa” … questa è la storia di mio fratello “Lupo”… “Brunetta” Bruna Musolesi – Add. Al Com. “Stella Rossa”

Questa è la storia d mio fratello « Lupo » e della sua brigata partigiana, la « Stella Rossa, » Mario Musolesi, il « Lupo », era bello. Non starebbe a me dirlo, perchè sono sua sorella, ma lo faccio per la verità, e anche per illuminare bene in queste pagine la sua figura fisica e morale. Fin da bambino fu chiamato « Lupo » per il suo carattere forte, avventuroso, irruento. Divenuto grande, il soprannome gli restò, e in periodo clandestino divenne il suo nome di battaglia. Fra alto, bruno, con grandi occhi, e capelli scuri che egli portava piuttosto lunghi e divisi nel mezzo. Parlava bene: tutti noi, di famiglia e del paese, lo stavamo a sentire ammirati. Era intelligente, avrebbe potuto far molta strada nella vita. Il suo coraggio, deciso e ragionevole, faceva di lui un vero comandante. Anche da piccolo egli era il capo dei suoi compagni, li guidava, li trascinava. Tutti gli volevano bene, pur temendolo qualche volta, per quel suo senso istintivo e sereno di giustizia. Anche essendo forte, non se ne valeva mai contro i più deboli, e accettava o provocava la lotta soltanto con i più forti di lui. Così è rimasto sempre, ed ha costituito poi la più bella ed attiva brigata partigiana della divisione Bologna. Fra nato nel ‘14 ed ha sempre vissuto con noi: mamma, babbo, sei sorelle: Lea, Laura, Lia, Anna Maria, Olga, io, e un fratello, Guido. Abitavamo a Vado, ma siamo anche stati molti anni a Bologna. Il « Lupo » faceva il meccanico specializzato. Fu sempre nemico del fascismo, odiava la sua politica, le sue persecuzioni, le sue oppressioni. Non voleva fare il soldato. Invece gli toccò di andare in Africa. Stette via due anni, e non scrisse quasi mai. Tornò sergente maggiore, con due decorazioni. Ma a Napoli, nel ‘42, fu degradato per « disfattismo». In Africa avrebbe dovuto dare un esame da perito meccanico. Fu scritto di là ai carabinieri del nostro paese per chiedere informazioni sul suo conto. I carabinieri risposero che era un antifascista, e per questo non ottenne la licenza. Lo rimpatriarono e fu deferito al Tribunale Militare di Napoli. Lo considerarono un individuo pericoloso e volevano mandarlo a Gaeta, ma il suo comandante diede di lui buone informazioni, e si contentarono di degradarlo. Questo fatto, naturalmente, alimentò ed accrebbe il suo odio verso il fascismo. L’otto settembre era caporalmaggiore all’8° centro, a Roma. Partecipò alla battaglia di S. Paolo. Dopo l’occupazione di Roma da parte dei tedeschi, tornò a casa. Cominciò subito la lotta contro i nazi-fascisti. Già verso la metà di settembre, il «Lupo », Guido e un certo Sammarchi di Vado cercavano armi a Bologna e studiavano i piani per costituire un gruppo partigiano. A metà di ottobre la polizia fascista era già informata dell’attività svolta dai miei fratelli, e iniziò in casa nostra una serie di perquisizioni che riuscirono negative. In quei giorni furono affissi in paese manifesti antifascisti. Un tenente della milizia disse: « Deve essere stato il « Lupo ». Mio fratello seppe di questa frase, andò difilato alla casa del fascio, e dette un mucchio di botte al tenente. Si prese una grande soddisfazione, ma fu arrestato dai carabinieri. Guido, Sanmarchi e il « Lupo » avevano fatto un giuramento: di continuare in tutti i modi la lotta, se uno dei tre fosse stato preso od ucciso. Perciò Guido, appena seppe dell’arresto del « Lupo » caricò la pistola, e andò dal maresciallo dei carabinieri. Era già pronta la macchina per portare il « Lupo » a Bologna. Allora Guido parlò col maresciallo, gli disse che se non liberava il « Lupo »

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