Dossier_Amianto

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SE LO CONOSCI LO EVITI “Se lo conosci lo eviti”. Recita così il titolo della campagna contro l’AIDS, che, a distanza di pochi anni ha portato i suoi frutti, con un notevole abbassamento del numero delle persone infettate. Grazie alla prevenzione. Purtroppo così non è stato per l’amianto. Utilizzato in tutto il mondo nelle lavorazioni dei più diversi manufatti, la Peste del terzo millennio, come è stato definito, ha colpito un numero indefinito di persone. Il picco è previsto tra il 2030 e il 2050. La sicurezza nelle fabbriche ha ceduto alle logiche del potere economico; i produttori alle lobby mondiali; le istituzioni hanno girato la testa dall’altra parte, lì dove bisognava bonificare anzitempo. L’amianto, tuttavia, oggi si può combattere con le armi della consapevolezza del pericolo e dei danni che produce, della prevenzione lì dove ancora lo si lavora, e della bonifica totale dei siti contaminati. Ma, soprattutto, si può evitare di morire di amianto solo smettendo di farne uso.

Amianto, cresce la consapevolezza Aumentano associazioni e organismi a tutela dei lavoratori esposti alla fibra killer. E aumenta anche la conoscenza dei casi a rischio. Se ne parla in questo dossier di L u c i a S c h i n z a n o pubblicato il 4 ma r z o 2 0 1 3

È sempre più forte la consapevolezza che “davvero si muore di amianto”, come ha detto adAmbient&Ambienti il prof. Giorgio Nebbia, ambientalista fin nel più profondo di ogni sua fibra. E la consapevolezza che si fa sempre più convinta e che richiede misure decise trova spazio in questo dossier – il secondo – che Ambient&Ambienti dedica all’amianto. Se nel primo dossier ci siamo concentrati su casi locali come quello dell’ex Fibronit e della Bridgestone di Bari per poi allargarci agli altri luoghi che hanno ospitato le fabbriche della morte, questa volta cogliamo i segnali di quanto si sta sviluppando in altre parti del mondo, soprattutto negli Stati Uniti, che vantano il triste primato di 10mila morti all’anno per malattie asbestocorrelate e che non hanno ancora New York. Nel crollo delle Torri gemelle sono state disperse nell'aria 2mila una legislazione che tuteli i tonnellate di amianto lavoratori esposti alla fibra-killer. Proprio dagli USA arriva la testimonianza di Linda Reistein, fondatrice dell’ADAO (Asbestos Disease Awareness Organization) l’associazione da anni impegnata nel sensibilizzare la popolazione e gli organi politici sugli effetti letali dell’amianto (non tutti sanno che il crollo delle Torri gemelle nel


2001 a New York mise in circolo 2mila tonnellate di amianto). E dagli Stati Uniti abbiamo raccolto anche le considerazioni del prof. Ronald Gordon,presidente del neonato International Asbestos Observatory. Una considerazione è d’obbligo: se in Italia vantiamo una legislazione all’avanguardia sul tema, se in Europa si monitora con attenzione il problema, se negli I "muri blu" della vecchia fabbrica della Fibronit, a Bari Stati Uniti c’è ancora molto da fare, la spinta all’associazionismo diventa fondamentale per ottenere comportamenti comuni tali da tutelare le vittime di chi con l’amianto ha convissuto. Ci siamo rivolti anche a studiosi italiani per capire quali strategie mettere in campo per difendersi dall’amianto, dallaprevenzione a livello domestico alle ricerche in corso per combattere il mesotelioma – o almeno per limitarne gli effetti – ; dallosmaltimento dei materiali contenenti la fibra allabonifica e messa in sicurezza degli edifici. Abbiamo toccato con mano quanto sia lungo e complicato da parte delle Pubbliche Amministrazioni individuare e monitorare gli scarti di amianto – solo in Puglia ci sono ancora 5mila capannoni con coperture in Eternit. Abbiamo riportato alla luce situazioni come quella delle 22 scuole milanesi che potrebbero essere addirittura abbattute; abbiamo ricordato le fasi del processo contro i dirigenti dello stabilimento Eternit di Casale Monferrato – conclusosi giusto un anno fa con la storica condanna dei “padroni”; abbiamo ricordato anche le lotte degli operai della fabbrica barese Fibronit, lotte raccolte in un libro bianco che racconta passo passo le vicende di operai, sindacati, magistrati, enti locali. E abbiamo voluto lanciare una proposta provocatoria: perchè non fare di quelle rovine “blu” che ancora stanno lì un museo civico permanente che ricordi, come un particolare museo dell’olocausto, gli orrori di cui la società del benessere è capace?


Piano Regionale Amianto, stanziati 2 mln di euro a sostegno dei comuni pugliesi . di G i u s e p p e L a v o p a pubblicato il 4 ma r z o 2 0 1 3

«Combattere lo smaltimento illecito del cemento amianto è il primo irrinunciabile passo per arginare il problema da un lato e per aumentare la consapevolezza e la cultura della legalità rispetto al tema dall’altro». Mosso da questa considerazione, l’Assessorato pugliese alla Qualità dell’Ambiente, rappresentato da Lorenzo Nicastro, ha destinato lo scorso anno i proventi dell’Ecotassa all’attuazione di un Piano Regionale Amianto. «Gli 870mila euro dei fondi Ecotassa – ha dichiarato tuttavia Nicastro – si sono rilevati insufficienti a soddisfare le richieste che sono giunte dai comuni; si è pertanto dovuto ricorrere ad altre risorse». Al primo bando di accesso ai fondi del Piano Nazionale Amianto hanno infatti risposto 47 comuni, di cui 38 con istanze perfettamente in linea con gli obiettivi per un importo finanziato di quasi 1,9 milioni di euro; a ciascuno di essi è andato un importo non superiore ai 60mila euro. I fondi erogati ai comuni, uniti a risorse degli enti locali hanno incentivato le rimozioni dei manufatti di amianto, anche piccoli, dalle proprietà. «Sulla scorta del successo di questa iniziativa – annuncia l’assessore – abbiamo individuato ulteriori 2 milioni di euro, all’interno del Programma regionale per la tutela dell’Ambiente, che permetteranno anche ad altri comuni di attingere ai fondi: l’obiettivo è ampliare sempre più lo spettro di azione e cercare un più ampio coinvolgimento degli enti locali e dei privati cittadini».


Combattere l’amianto in tutto il mondo: uniti si può La migliore soluzione per evitare di morire di amianto consiste nella cessazione dell’impiego di questo materiale. Con l’incontro della cultura latina con quella anglosassone sono state messe le basi culturali sociologiche e giuridiche per metterlo al bando di G i a n n i A v v a n t a g g i a t o pubblicato il 4 ma r z o 2 0 1 3

Nel 2006 la World Health Organization (WHO) ha dichiarato ufficialmente che la migliore soluzione per eliminare le patologie asbesto-correlate consiste nella cessazione dell’impiego di tutti i tipi diamianto. Non esiste un livello di esposizione minimo rispetto al quale il rischio di contrarre malattie da asbesto sia scongiurato. A sostegno delle tesi dello WHO, lo stesso anno interviene anche l’International Labour Organization (ILO), sostenendo l’eliminazione dell’uso dell’amianto a 360° e la bonifica degli ambienti di vita e di lavoro per prevenire l’insorgenza futura di malattie e morti causate dall’asbesto, visti i lunghi tempi di latenza. Solo in Europa sono 500mila le persone che potrebbero morire di malattie asbestocorrelate nei prossimi trent’anni. Nel corso dei lavori della Conferenza Internazionale organizzata dall’Osservatorio Nazionale Amianto il 15 novembre 2012, presso la Camera dei Deputati, dal titolo Lotta all’amianto – Il diritto L'auletta dei parlamentari a Palazzo Montecitorio dove si è tenuto l'incontro

incontra la scienza, si è sentita la necessità di costituire un’organizzazione internazionale che unisca sinergie, conoscenze scientifiche e obiettivi giudiziari raggiunti, per contrastare le lobby dell’amianto, che fuori dai confini europei e negli Stati Uniti in particolare – sono più di 10mila gli americani che ogni anno muoiono per malattie asbesto-correlate – sono ancora molto forti e operative. «Pochi uomini senza scrupoli hanno avvelenato e contaminato non solo il continente europeo ma continuano a farlo in altri continenti – avverte l’avvocato Ezio Bonanni presidente dell’Associazione Osservatorio Nazionale Amianto (ONA) -. Ecco perché una organizzazione internazionale di uomini e donne che a testa alta combattono i produttori di amianto, assassini della nostra civiltà, della nostra cultura oltre che di esseri umani». Ecco che dal dialogo con il prof. Ronald Gordon, direttore del Dipartimento di Patologia della Mount Sinai School of Medicine di New York – intervenuto al meeting nella capitale – e con il suffragio del prof. Giancarlo Ugazio, del prof. Renato Sinno, del prof. Pietro Sartorelli del comitato tecnico nazionale dell’ONA, nasce l’International Asbestos Observatory (IAO). Ne abbiamo parlato con l’avv. Ezio Bonanni


Avvocato Bonanni, con quali presupposti nasce la IAO? «Occorre mettere in relazione uomini e culture e credere e lottare per il progresso non solo economico ma anche umano e morale, con l’incontro della cultura latina con quella anglosassone e con la sintesi di tutti i valori che esprimono, riportati all’attualità e proiettanti nel La stretta di mano tra il professor Gordon, di fronte, e futuro. Queste sono le basi culturali e non solo l'avvocato Bonanni a suggellare la nascita dello IAO sociologiche e giuridiche – alla Conferenza internazionale è intervenuto anche l’avvocato John Eaves, il cui studio vanta sedi in mezzo mondo –

per mettere al bando l’amianto e quella idea di civiltà che si fonda solo sul progresso identificato con l’incremento del profitto che invece nega l’uomo che tradisce le sue stesse basi, morali e culturali e non solo umane e scientifiche». Perché ha scelto proprio gli Stati Uniti e il professor Gordon come partner? Negli Stati Uniti presso il Mount Sinai di New York ha studiato e lavorato il prof. Irving J. Selikoff, che nel 1964 organizzò una conferenza internazionale nel corso della quale tenne un intervento che impressionò così tanto, da far raggiungere l’unanimità scientifica sulla tesi del nesso causale tra l’esposizione all’amianto e il mesotelioma. A quel simposio internazionale – occasione, per molti scienziati indipendenti di acquisire dati fondamentali di conoscenza e di consapevolezza dei danni che l’amianto è in grado di determinare in tutti gli organi del corpo umano – intervenne anche il prof. Enrico Vigliani, che guidava la delegazione italiana e che illustrò la situazione nel nostro Paese. Fermo restando che l’aspirazione dell’International Asbestos Observatory è quella di articolarsi in tutti i continenti». Cosa l’ha spinto a scegliere il professor Gordon per dirigere il Comitato tecnico scientifico internazionale? «Ronald Gordon mi è stato presentato dall’avvocato Audrey P. Raphael di New York in occasione del mio impegno al 29th Annual International Symposium On Acupuncture, Electro-Therapeutics, & The Latest Related Medical Topics And Advancements presso la Columbia University nell’ottobre del 2011 e ci siamo intesi subito».


Quali sono i programmi della IAO? «L’ International Asbestos Observatory, oltre a Comitato tecnico scientifico internazionale presieduto dal prof. Gordon, sarà una rete di associazioni – la sede probabilmente sarà a New York, presso la Mount Sinai School – che si prefigge di mettere al bando l’amianto in tutti i Paesi del pianeta, interdire le lobby, assicurare alla giustizia i criminali produttori e utilizzatori dell’amianto, per cercare di porre fine all’olocausto delle vittime Ezio Bonanni

dell’asbesto, e di perseguire e realizzare il rischio

zero, secondo l’equivalenza già affermata dal prof. Ugazio: ambiente pulito uguale salute, ambiente contaminato uguale malattia. Per il mesotelioma in particolare non c’è una soglia sotto la quale il rischio si annulla». Avvocato Bonanni un’ultima domanda: lei è stato più volte già negli Stati Uniti, ha sentito parlare dell’associazione Asbestos Disease Awareness Organization (ADAO) e della sua CEO signora Linda Reinstein? «Sì, la conosco e abbiamo già preso contatti per una prossima stretta collaborazione». Come accennato dall’avvocato Bonanni, lo IAO nasce per volontà anche del professor Ronald Gordon che abbiamo raggiunto telefonicamente alla Mount Sinai School a New York. Professor Gordon, in seguito ai risultati positivi della Conferenza internazionale di Roma a novembre scorso, è stato istituito l’International Asbestos Observatory (IAO) e lei é statonominato presidente del comitato scientifico. Lei crede che le leggi in materia potrebbero essere uniformate dalla sinergia tra l’ONA e lo IAO?

«Mi auguro che il Comitato internazionale non solo renda possibile i cambiamenti nella legislazione in Italia, ma in tutta Europa e nel mondo, dal momento che l’amianto è un problema mondiale». Ronald Gordon

In Italia, per l’esposizione professionale, il limite di soglia è ancora 100 fibre/litro. Lei pensa che, come scienziato, si potrebbe eliminare completamente il rischio di malattie, portando l’esposizione a zero, dal momento che una singola fibra può essere dannosa e, in ogni caso, ogni esposizione si aggiunge alle altre?


«Il livello di 100fibre/litro è 10 volte i livelli indicati dal governo qui negli Stati Uniti. Inoltre, c’è una dichiarazione del nostro governo che ogni livello oltre lo zero è dannoso e contribuisce allo sviluppo della malattia. Anche il livello minimo è abbastanza alto in Italia; l’amianto è dappertutto, nelle costruzioni, nel sistema idrico ecc. Poco o niente è stato fatto per ridurre la presenza di amianto sia in Italia, sia in tutta Europa. Il problema è grave non solo per i lavoratori ma anche la grande massa». Professor Gordon, l’Osservatorio Nazionale Amianto ha scelto di espandere il suo lavoro in diversi Paesi europei e negli Stati Uniti d’America, dove lei ha accettato di presiedere il comitato scientifico. Quali misure lei pensa dovrebbero essere prese per indurre tutti i Paesi a bandire l’amianto e sconfiggere le lobby, visto che in molti stati del pianeta è ancora usato? «Farò quello che posso in base agli studi passati e all’evoluzione delle conoscenze scientifiche per convincere i governi europei così come quelli in Africa, Asia, Russia ecc. che fino a quando continueranno a utilizzare l’amianto ci sarà sempre un aumento delle malattie associate all’esposizione. Questo include il manifestarsi di tumori in diverse parti del corpo, in particolare nei polmoni e, nello specifico, mesoteliomi e asbestosi. Comprovando queste malattie con i fatti, mi auguro che i governi, come quello degli Stati Uniti vieti l’uso di questo materiale molto dannoso». Come potrebbe la neonata associazione internazionale suscitare l’interesse delle istituzioni del mondo scientifico americano, che sono la forza motrice del progresso? «Il neo costituito gruppo scientifico si adopererà per aggiornare i vecchi dati con nuove scoperte di scienziati di tutto il mondo, compresi quelli che fanno parte di questa commissione».


“Asbestos: Still Legal and Lethal in the USA” Linda Reinstein ha conosciuto Ambient&Ambienti grazie a Facebook e ci scrive dagli Stati Uniti. Ha fondato l’ADAO prima che un mesotelioma le portasse via suo marito Alan. Nel suo racconto la tragedia amianto negli States di r e d a z io n e pubblicato il 4 ma r z o 2 0 1 3

Nel 2003, dopo aver sofferto per nove mesi i sintomi e dopo molteplici visite mediche, a mio marito, Alan Reinstein, è stato diagnosticato un mesotelioma mortale. All’epoca, non avevo mai sentito parlare prima di quella malattia e come la maggior parte degli americani, pensavo che l’amianto fosse stato dichiarato illegale da molto tempo negli Stati Uniti. Putroppo mi sbagliavo. Ho trasformato il mio profondo dolore e la mia rabbia causati dalla diagnosi del mesotelioma di Alan in azione, fondando l’ADAO(Asbestos Disease Awareness Organization – Organizzazione per la Consapevolezza delle Malattie causate dall’Amianto). A causa di un’esposizione all’amianto, Alan è morto tre anni più tardi accanto a me e a nostra figlia allora tredicenne. Quasi un decennio dopo la diagnosi di Alan, i principi cardini dell’ADAO sono rimasti inalterati: educazione, supporto e solidarietà. Negli Stati Uniti, più di 10mila americani muoiono ogni anno a causa di malattie asbestocorrelate. Il 25% di queste morti è causato da mesotelioma. I fatti sono inconfutabili: l’amianto è un noto cancerogeno umano and non vi è un alcun livello sicuro di esposizione ad esso. Negli anni ’70, diverse leggi riguardanti la salute pubblica sono state emanate; nonostante ciò, da allora, pochi passi verso il divieto d’uso dell’amianto sono stati compiuti negli Stati Uniti.


Nel 1989, l’Ente Nazionale per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti (United States Environmental Protection Agency) ha emanato una norma decisiva per il divieto della maggior parte dei prodotti contenenti amianto. Tuttavia, nel 1991, questa norma è stata invalidata dal Quinto Circolo della Corte d’Appello di New Orleans (Fifth Circuit Court of Appeals in New Orleans). Attualmente, gli unici tre prodotti proibiti che contengono amianto sono: isolante per pavimenti, isolante per pareti e carte per l’edilizia. L’ultimo intervento fatto dal governo federale per proteggere il popolo americano dall’esposizione all’amianto è stato una dichiarazione sui pericoli che quest’ultimo comporta, da parte del ministro della Salute americano (Surgeon General). All’insaputa di molti americani, gli Stati Uniti continuano a far uso di amianto. L’Istituto Americano di Geofisica (USGS) ha stabilito che all’interno degli Stati Uniti l’impiego di amianto nel 2001 è aumentato del 13%, e 140 tonnellate di crisotilo sono state importate e stoccate negli USA per un utilizzo futuro. L’impiego di amianto negli Stati Uniti è stato stimato quasi intorno alle 2.000 tonnellate. I prodotti da costruzione rappresentano il 60% dell’intero consumo degli USA e il clorosoda all’incirca il 35%. Incommensurabile è il danno causato dall’uso di amianto all’interno degli Stati Uniti. L’11 settembre del 2001, quasi 3.000 persone persero la vita a causa degli attentati terroristici, ma il numero dei morti continua a crescere. Nel momento in cui crollarono le Torri Gemelle, detriti derivanti da materiale edilizio coprirono tutta la zona di Lower Manhattan, esponendo migliaia di altre persone ad agenti cancerogeni tristemente noti, tra cui vi erano oltre 2.000 tonnellate di amianto. Tuttora, residenti della zona e lavoratori dei servizi d’emergenza continuano a morire di tumori legati all’esposizione all’amianto subita l’11 settembre.


E l’esposizione ambientale, lavorativa e privata continua ancora. Malattie causate dall’amianto, contratte sul posto di lavoro non sono casuali. C’è differenza tra un operaio che cade da un’impalcatura e tra un lavoratore esposto ai rischi dell’amianto. Gli operai impiegati per la manutenzione delle gallerieche scorrono sotto la superficie della capitale Washington D.C., sono rimasti esposti all’amianto a lungo tempo subendone le conseguenze. Infatti, la polvere d’amianto era così spessa che il sovrintendente ai lavori era in grado di scrivere il proprio nome sulle tubature. Questo è un tragico esempio di violazione dei diritti dei lavoratori. Nonostante il governo federale abbia emanato multiple citazioni, gli operai hanno continuato ad essere esposti all’amianto. Nel Maggio del 2010, il presidente del Comitato Tumori Americano ha pubblicato un’importante relazione di duecento pagine intitolato “Riduzione dei rischi di cancro per cause ambientali: cosa bisogna fare” (Reducing Environmental Cancer Risk: What We Can Do Now). Il Comitato ha stabilito che “operai impiegati nel settore edilizio hanno undici volte più probabilità di contrarre il mesotelioma, causato dall’esposizione all’amianto sul posto di lavoro”. Tumori contratti sul posto di lavoro sono sempre più alla ribalta sui quotidiani. Disastri ambientali, causati o no dall’uomo, espongono il popolo americano all’amianto. I primi soccorritori e residenti furono esposti al pericolo dell’amianto, sia in occasione della distruzione e ripulizia in seguito all’uragano Sandy, sia quando la città di Joplin, nello stato del Missouri, fu colpita da un tornado. Infatti, furono rimosse 2.600 tonnellate di amianto dalla sola città di Joplin. La miniera “WR Grace Vermiculite” di Libby, nel Montana, è stata la causa di un alto prezzo economico ma soprattutto di vite umane. Quasi due terzi degli abitanti della cittadina ha sofferto o è morta per colpa dell’amianto e il governo ha speso più di 450milioni di dollari per risanare la zona dall’inquinamento tossico. L’obiettivo principale della fondazione ADAO è la sensibilizzazione del pubblico. Grazie al fatto che circa il 90% della popolazione mondiale abbia accesso alla rete informatica, ADAO si adopera tramite la pubblicazione online di dati e informazioni riguardanti, appunto, la sensibilizzazione del pubblico. La prevenzione dell’esposizione all’amianto è particolarmente difficile a causa della microscopica dimensione delle fibre di amianto, dell’errata visione dell’uso sicuro dell’amianto e del lungo periodo di latenza delle malattie. ADAO mostra liberamente immagini che mostrano 20mila fibre di amianto a


confronto con un chicco di riso o di un capello umano. ADAO inoltre condivide in tutto il mondo immagini che mostrano come identificare l’amianto in casa. Il dolore sprona l’azione. Vi sono solamente due modi per bloccare le malattie mortali legate all’amianto: prevenzione e cura. È doloroso vedere con quale lentezza si muovono i legislatori per porre fine ad uno dei più grandi disastri creati dall’uomo. ADAO è impegnata nel prevenire l’esposizione ambientale, occupazionale e privata. Come afferma la relazione dell’Associazione Internazionale della Sicurezza Sociale del 2011, il rapporto sul potenziale “spesa-beneficio” per gli investimenti in campo preventivo potrebbe essere pari ad 1:2,2 e forse anche maggiore in alcuni casi. La cooperazione per la prevenzione è fondamentale. Lapagina online “Condividi la tua esperienza”, dell’ ADAO, è in continua espansione. Pazienti e familiari di tutto il mondo condividono volentieri le proprie storie riguardanti diagnosi, cure mediche e, nella maggior parte dei casi, la morte. Questo processo di catarsi, rafforza i legami di cooperazione della comunità e indubbiamente influenza le politiche governative. Dal 22 al 24 marzo prossimi, l’ADAO terrà a Washinton D.C. laNona Conferenza Annuale Internazionale sulla Sensibilizzazione al Problema dell’Amianto (9th Annual International Asbestos Awareness Conference), durante la quale medici, scienziati, esperti, avvocati, pazienti e relativi familiari discuteranno delle “Nuove Tendenze e Tecniche di Prevenzione e Trattamenti delle Malattie Legate all’Amianto”. Linda Reinstein (Linda Reinstein ha co-fondato l’organizzazione no-profit ADAO (Asbestos Disease Awareness Organization – Organizzazione per la Consapevolezza delle Malattie causate dall’Amianto) nel 2004, in seguito alla diagnosi a suo marito Alan di un mesotelioma causato dall’esposizione all’amianto. Dopo la morte di Alan nel 2006, la signora Reinstein continua a rivestire la carica di presidente dell’ADAO, facendo da testimonial principale per la campagna di sensibilizzazione mondiale e da supporto alle comunità e alle loro iniziative. Riconosciuta come esperta con più di 35 anni di attività no-profit alle spalle nel costruire


e fare da supporto alla comunità, Linda Reinstein sviluppa e realizza tuttora campagne mediatiche per sensibilizzare il pubblico riguardo i pericoli dell’esposizione all’amianto e, inoltre, si presta come portavoce dell’ADAO difronte a organi governativi sia nazionali, sia internazionali, come il Congresso degli Stati Uniti e le Nazioni Unite.) Traduzione in italiano a cura di Guido De Mola


Amianto: un minerale prezioso noto sin dall’antichità Intervista al Prof. Rocco Laviano, docente di mineralogia applicata all’Università degli Studi di Bari, per conoscere meglio questo minerale così prezioso per il suo molteplice uso e molto pericoloso per la salute dell’uomo di A n t o n e l l o F i o r e pubblicato il 4 ma r z o 2 0 1 3

Utilizzato fin dall’antichità, l’amianto è stato sempre considerato un elemento misterioso e prezioso. Con l’amianto i Persiani e i Romaniavvolgevano i cadaveri da cremare e realizzavano stoppini per le lampade. Una credenza popolare attribuiva alle fibre di amianto un’origine animale: “lana della salamandra”; grazie al potere del suo mantello fatto di amianto, l’animale poteva sfidare senza danno il fuoco. Abbiamo intervistato il Prof. Rocco Laviano, docente di mineralogia applicata presso il Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali dell’Università degli Studi di Bari, per conoscere meglio questo minerale così prezioso per il suo molteplice uso e molto pericoloso per la salute dell’uomo. Professor Laviano, quali sono i minerali fibrosi noti commercialmente con il nome di amianto? Quali i più diffusi? Amianto (dal greco áµίαυτος= incorruttibile) o asbesto (dal greco άσβεστος= inestinguibile) è il nome commerciale attribuito ad alcuni minerali silicati idrati quando cristallizzano in maniera fibrosa. In questa definizione sono contenuti almeno trenta Amosite


minerali, di cui soltanto sei hanno avuto importanza tecnologica e commerciale. Questi ultimi appartengono a due diversi gruppi mineralogici: il “gruppo del serpentino” per il solo Crisotilo; il “gruppo degli anfiboli” per Amosite, Antofillite, Crocidolite, Tremolite, Actinolite. Il Crisotilo, la Crocidolite e l’Amosite hanno avuto una notevole importanza industriale, mentre i rimanenti sono stati usati saltuariamente. I minerali fibrosi si trovano in natura sotto forma di vene o fasci di fibre nella roccia madre. All’abito cristallino di tipo fibroso si accompagnano altre peculiari caratteristiche quali la possibilità, unica fra le fibre minerali, di essere tessute e le capacità d’isolamento nei confronti di elettricità, vibrazioni, suoni e calore. Questi minerali hanno anche la proprietà di dividersi longitudinalmente in lunghe e sottilissime fibre, impropriamente dette fibrille, ed è questa la causa della loro pericolosità nei confronti dell’uomo. Quali sono le rocce che contengono i minerali amiantiferi? Ci sono giacimenti sfruttati anche in Italia? I più importanti giacimenti si trovano in Canada, nella regione del Quebec, nell’ex URSS, nel distretto di Bazhenov, negli Urali e nella regione di Tuwa, in Siberia, in Rodesia, in Cina, negli USA, in Iugoslavia, in Italia, in Grecia e a Cipro. Simili a questi, ma più modesti, si trovano anche in Europa e Australia. Ricordiamo anche i giacimenti in rocce precambriane (il precambriano o archeozoico è l’era più antica della storia della Terra) della Rodesia e del Sud Africa. In Italia ci sono giacimenti di amianto a fibra lunga in Val Malenco (Sondrio) e a fibra corta presso Balangero nelle valli di Lanzo (Torino). Quali proprietà chimico-fisiche di questi minerali ne hanno diffuso l’utilizzo? L’enorme diffusione dell’uso dell’amianto era ed è dovuta alle sue eccellenti e svariate proprietà tecnologiche, quali ad esempio: -

resistenza meccanica (flessibilità, trazione);

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resistenza all’usura e buone caratteristiche di frizione;

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resistenza agli agenti corrosivi;

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resistenza alle alte temperature (incombustibilità);

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resistenza all’azione di agenti batterici;

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isolamento elettrico;

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proprietà fonoassorbenti;

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proprietà termoisolanti;

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alto potere adsorbente;

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facilità di lavorazione e applicazione.

È una convinzione errata quella che i minerali di amianto siano indistruttibili. Infatti, sebbene abbiano un’elevata resistenza rispetto ad altri minerali, sono anch’essi sensibili sia all’attacco chimico che


termico. Nonostante le loro relativamente alte temperature di fusione, i minerali di asbesto vengono completamente decomposti a temperature intorno ai 1.000°C o minori secondo la varietà. Quali sono stati i principali utilizzi? L’amianto è stato utilizzato in centinaia di materiali e prodotti, che spesso sono riportati in letteratura comeAsbestos Containing Materials (ACM): il Federal Register americano elenca oltre 3mila oggetti finiti che contengono amianto. I principali settori industriali in cui si utilizzava amianto sono quelli legati alla Asbestos Containing Materials (ACM)

cemento-amianto;

prodotti tessili (filati, tessuti, nastri e feltri)

materiali d’attrito (freni e frizioni)

carta e cartoni.

produzione di:

L’utilizzo forse più diffuso era quello di prodotti di cemento-amianto. Infatti, negli Stati Uniti d’America l’USEPA ha censito la presenza di materiali contenenti minerali di amianto in 31mila scuole e in 733mila edifici amministrativi e commerciali. Oggi sono presenti in commercio materiali di amianto o contenenti amianto? Dobbiamo tenere alta l’attenzione e la vigilanza sui materiali importati sopratutto dai Paesi di grandissima importanza economico-commerciale; è importante che tutti i materiali importati da Paesi in cui l’amianto non è vietato siano muniti di una dichiarazione che certifica l’assenza di amianto.

Quali sono le tecniche di analisi e le difficoltà di campionamento per una corretta diagnostica? Nel Decreto Ministeriale 6 settembre 1994 (allegato):“Normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie”sono contenute le indicazioni sulle tecniche analitiche e di campionamento. Il documento fa riferimento a due tipi di indicazioni:


a) “norme prescrittive” b) “norme indicative”, da intendersi come linee guida non prescrittive. Le tecniche analitiche di riferimento vanno intese come indicative. Le tecniche microscopiche – ottiche o elettroniche – permettono di fare distinzione tra le varietà asbestiformi e quelle non asbestiformi di uno stesso minerale ma forniscono dati solo in termini di numero di fibre presenti in un campione. La conversione da Crisotilo numero di fibre a valore ponderale – che costituisce l’espressione più adeguata dei risultati per un’analisi di campioni di massa – è soggetta a numerosi errori soprattutto se si impiega la microscopia ottica. Questi errori possono essere contenuti se si utilizza la microscopia elettronica

a scansione (SEM) integrata da microanalisi a Raggi X del campione. Viste le difficoltà di campionamento e analisi dei materiali contenti amianto e vista la pericolosità del minerale per la salute umana, per tutte le fasi dal campionamento all’analisi è necessario avvalersi di personale tecnico molto qualificato. Da questa breve intervista si comprende perché l’amianto, grazie alle sue eccezionali proprietà chimiche e fisiche, sia stato così largamente utilizzato e sia stato considerato un minerale prezioso e utile per l’evoluzione tecnologica dell’umanità. Come spesso succede, però, anche le sostanze naturali e preziose posso nascondere un aspetto pericoloso. La pericolosità può essere limitata ed eliminata solo con laconoscenza e la consapevolezza, due stadi evolutivi del pensiero che possono portare a compiere scelte alternative meno redditizie per alcuni ma sicuramente meno pericolose per la salute di tutti.


L’amianto; quanto ha a che fare con la vita? Ne parliamo con il professor Giorgio Nebbia, docente di Merceologia e noto ambientalista di F r a n c e s c a D i T o m ma s o pubblicato il 4 ma r z o 2 0 1 3

Giorgio Nebbia è stato professore ordinario, ora emerito, di Merceologia presso la Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Bari. Dottore honoris causa in Scienze Economiche e Sociali (università del Molise) e in Economia e Commercio dagli atenei di Bari e Foggia. Nonché ambientalista e parlamentare alla Camera e al Senato.

Professore, lei si occupa di risorse naturali, energia, merci. Quelle che chiama le “cose che hanno a che fare con la vita” (vedi il mondo delle cose). Le chiedo: l’amianto, quanto ha a che fare con la vita? «Con la vita biologica poco. Col nomeamianto (o asbesto) ci si riferisce ad un gruppo di minerali, presenti in varie parti del mondo, costituiti da silicati, che si presentano, unici fra tutti i minerali, in forma di fibre del diametro di 0,1-1 millesimo di Giorgio Nebbia millimetro e della lunghezza di alcune decine di millesimi di millimetro. Sottilissimi aghi durissimi che non si decompongono con i comuni agenti chimici e col fuoco. Per questa sua proprietà l’amianto ha sempre destato sorpresa e curiosità ed è stato utilizzato in molte applicazioni nella vita

quotidiana e commerciale. Lo conoscevano i Romani e ne parla, nei primi anni del Trecento, Marco Polo, meravigliato per le tovaglie, viste in Cina, che si lavavano col fuoco anziché con l’acqua. Già nell’Ottocento si è diffusa anche in Europa l’idea di utilizzare le fibre di amianto per farne filati e tessuti che si prestavano bene per oggetti e anche indumenti resistenti al fuoco. Per decenni le persone addette allo spegnimento degli incendi potevano avvicinarsi alle fiamme coperti da tute di amianto. Con amianto si facevano anche cartoni, quelli che vedevamo in casa e su cui si appoggiava il ferro da stiro e pannelli adatti come isolanti acustici oltre che termici. Poi si è scoperto che l’amianto poteva essere usato nei freni e nelle frizioni delle macchine e come isolante elettrico, termico, acustico.


Nei primi anni del Novecento è stato scoperto che l’amianto poteva essere miscelato con cemento; si potevano così produrre, con amianto-cemento, pannelli adatti per coperture di edifici, recipienti anche di grandi dimensioni, tubazioni. Tutti resistenti al fuoco e agli agenti chimici e duraturi; quasi eterni. Donde il nome di una marca di tali materiali, Eternit. Queste scoperte hanno spinto a cercare giacimenti di amianto in tutto il mondo e ad aprire cave per la sua estrazione in Italia, Russia, Canada, Australia, Brasile eccetera. Primo Levi, il chimico torinese ebreo che, dopo le infami leggi razziali fasciste, non trovava altre occupazioni, lavorò per qualche mese, in clandestinità, nella cava di amianto di Balangero, vicino Torino. Levi racconta questa esperienza nel libro: Il sistema periodico: “C’era amianto dappertutto, come una neve cenerina”. A dire la verità che qualcosa non andasse bene Resti di un tubo di cemento-amianto

lo avevano scoperto alcuni medici già nei primi anni del Novecento. Ma i pericoli per la salute di quei minutissimi aghetti indistruttibili che si depositavano nelle vie respiratorie dei lavoratori sono stati tenuti nascosti davanti al trionfo merceologico dei manufatti di amianto. Anzi; le fabbriche di manufatti di amianto-cemento si sono moltiplicate col nome di Eternit o Fibronit o Materit, a Casale Monferrato, Bagnoli, Bari, Rubiera, Massa-Carrara, perfino in Valbasento. Nel frattempo si è osservato che sempre più spesso comparivano tumori e si verificavano casi mortali non solo negli addetti alla produzione di manufatti di amianto, ma anche nella popolazione che abitava vicino alle fabbriche o nelle persone che venivano a contatto con fibre di amianto nelle industrie della gomma, in siderurgia, negli edifici, all’interno delle navi e dei vagoni ferroviari, nelle scuole. Dovunque l’amianto fosse stato impiegato come isolante termico, acustico, elettrico. Polveri contenenti amianto si sono diffuse nell’aria di New York dopo il crollo delle due Torri Gemelle. L’amianto si libera all’interno degli edifici anche in seguito allo sgretolamento dei pannelli di amianto-cemento, quelli che erano stati promessi “eterni”. Davvero, di amianto si muore. Finalmente si è formato un movimento internazionale che ha portato, in alcuni Paesi, al divieto dell’estrazione del minerale e dell’uso di manufatti di amianto e alla regolazione delle discariche di amianto e dei suoi manufatti. Nonostante questo, ancora nel mondo ogni anno si producono circa 2milioni di tonnellate di amianto, la metà delle quali in Russia, seguita da Cina, Brasile, Kazakistan, Canada. I danni mortali e alla salute sono ben emersi, fra l’altro, nel processo che a Torino ha portato alla condanna dei proprietari della Eternit di Casale Monferrato; proprio il 14 febbraio scorso è iniziato il processo di appello». Ci spieghi: come si bonificano gli edifici?


«Purtroppo, da quando è stata emanata la legge del 1992, l’amianto è ancora intorno a noi. Nel caso dei pannelli all’interno degli edifici l’unica cosa da fare consiste nel rimuovere i materiali e le coperture contenenti amianto e amianto-cemento con grande precauzione perché, nel maneggiare tali materiali, soprattutto se sono in opera da anni, si ha dispersione nell’aria delle fibre di amianto. Esistono I muri della fabbrica ex Fibronit di Bari coperti da una speciale vernice blu delle ditte specializzate che fanno tale rimozione con addetti opportunamente protetti. Anche qui occorre grande cautela perché, per far spendere meno soldi ai clienti, alcuni promettono deirivestimenti con vernici o altri materiali che non fanno altro che spostare il pericolo delle dispersioni dell’amianto in avanti nel tempo, senza eliminarlo».

E come si mettono in sicurezza i materiali contenenti amianto? «Tutti i caratteri così apprezzati dell’amianto – il presentarsi in sottilissime fibre, la sua resistenza al fuoco e agli agenti chimici – rendono molto difficile l’operazione di smaltimento e sepoltura dei residui di amianto, perverso dono della natura. Probabilmente l’unico, anche se scomodo, sistema di smaltimento è la sepoltura dei manufatti e dei materiali contenenti amianto in qualche deposito ben sigillato, eventualmente miscelato o ricoperto con cemento. Occorre però grande precauzione sia nelle imprese sia nei lavoratori per evitare che un apparente smaltimento si traduca di fatto in altra diffusione delle fibre. Dal momento che lo smaltimento dell’amianto richiede particolari norme e precauzioni e quindi comporta dei costi, sono in molti a disfarsi clandestinamente dei loro manufatti abbandonandoli nell’ambiente, all’aria aperta, talvolta al più in sacchi di plastica. Ciò aggrava il problema perché comporta non solo la sepoltura dei manufatti smaltiti male, ma anche la raccolta dei manufatti sparsi nel territorio – quante volte si vedono


lastre di amianto-cemento abbandonate nei campi o al margine delle strade? – ma anche la bonifica delle discariche abusive. In Italia ci sono ancora, disperse nel territorio,molte decine di milioni di tonnellate di amianto». Sgombriamo il campo da equivoci: si possono smaltire correttamente i rifiuti? «Talvolta si legge la proposta di “riciclare”, strizzando l’occhio alle mode ambientaliste e con l’illusione di spendere meno, i manufatti contenenti amianto per farne materiali di riempimento di strade o cave, ma questa mi sembra proprio una idea sbagliata. Per attuarla occorrerebbe “macinare” e frantumare le tettoie o i recipienti di amianto-cemento con liberazione di fibre nell’aria, lasciando in circolazione l’amianto in forma suscettibile di liberarsi di nuovo in futuro». Come ci si deve comportare quando si ha a che fare con strutture contaminate in casa, a scuola, nei luoghi di lavoro? «L’unica soluzione è affidarsi a imprese specializzate che siano affidabili. Le operazioni di rimozione e bonifica dei siti contenenti amianto mettono in circolazione molti soldi; lo smaltimento è costoso e costoso è il rispetto delle norme di sicurezza. Purtroppo possono esistere degli avventurieri che, spacciandosi come specializzati nelle operazioni con amianto, in realtà si limitano a ritirare, alla meglio, i materiali contenenti amianto smaltendoli in maniera non corretta, anzi pericolosa per gli addetti e per l’ambiente. Le autorità sanitarie e le Agenzie per l’ambiente (ce ne è una in ogni Regione, con uffici decentrati – vedi ARPA Puglia) sono in grado di dare consigli corretti e di suggerire le imprese affidabili. Utili informazioni anche sul sito del Ministero della Salute, alla voce “amianto”».


Amianto e mesotelioma, le scomode verità di Luciano Mutti A Bari, il professor Luciano Mutti l’ultima volta c’è stato per un confronto nell’ambito della mostra Eternit(à). Un gioco di parole apprezzato anche da lui, che con le parole, non solo ha dimestichezza ma le usa per ribadire convinzioni e concetti forse scomodi per qualcuno di F u l v i o D i G i u s e p p e pubblicato il 4 ma r z o 2 0 1 3

Nell’intervista che ha rilasciato ad Ambient&Ambienti, a margine del suo intervento a fine 2012 all’ex Palazzo delle poste di Bari, Luciano Mutti, direttore Gime (Gruppo Italiano Mesotelioma) non disdegna qualche frecciata, spiegando a che punto è la ricerca e svelando alcune certezze «che noi conosciamo in anticipo e altri leggono sulle riviste di locali e non su quelle scientifiche». Si toglie qualche sassolino dalla scarpa: «Non siamo più visti come dei venditori di fumo». Ribadisce «importanti sviluppi nello studio della genetica del mesotelioma» e invita a «superare le divisioni tra ricercatori di base e clinici». Il presidente del GiMe ha le idee chiare su presente e prospettive della ricerca Professore, a proposito di ricerca, lei più volte ha ribadito un concetto cardine: il segreto per andare avanti è almeno partire e superare le divisioni tra ricercatori di base e clinici. «È così, il metodo utilizzato in tutto il mondo, seppur con qualche difficoltà, è quello di integrare la ricerca preclinica con la ricerca clinica. Ci sono linee guida internazionali molto chiare in cui si dice che non si possono fare sperimentazioni cliniche se non esiste un razionale forte che ne possa in qualche modo far prevedere una certa probabilità di successo». In sostanza, esperimenti solo se si è sicuri di risultati: un cane che si morde la coda…

Luciano Mutti

«Infatti, è una cosa che ovviamente nel momento in cui si testano farmaci senza questo tipo di studi prima, diventa estremamente complicato ottenere risultati. La percentuale di efficacia di un trial che ha un razionale preclinico forte non supera comunque il 20% quando poi testato nell’uomo; invece la possibilità che un farmaco senza studio preclinico forte sia efficace nell’uomo non supera il 5%. Quindi, integrare questa ricerca di base che dà il razionale, cioè i meccanismi attraverso cui quel farmaco ha dimostrato già di funzionare in modelli sperimentali, consente di fare trials che siano più ragionevolmente efficaci di altri». Quindi lei invita anche a usare farmaci specifici in base alle anomalie? «C’è tutto un campo di questa cosiddetta personalize therapy, che è quella che studia i cancri in base alle anomalie genetiche che li correlano alla sensibilità ai farmaci. Cioè ci sono dei geni, la cui mutazione


ovvero l’espressione, permette di dire che quelle cellule di cancro che hanno quei geni alterati sono sensibili a un certo farmaco. Questo è il futuro: ora siamo in un periodo di mezzo, queste tecniche non sono standardizzate e non sono ancora completamente accettate in clinica per questione di costi, ma ci sono step intermedi come quello di valutare biomarkers specifici che consentono di predire, in base allo studio preclinico, che la cellula tumorale che ha quel biomarcatore sarà sensibile a un farmaco». A che punto siamo invece con gli studi della genetica del mesotelioma? «Ci sono due cose importanti. Innanzitutto a Cambridge, al Sanger Institute, si sta facendo il profilo genomico di tutti i mesoteliomi per cui, come si è avuto già per altri cancri, ilmesotelioma è stato inserito in questo atlante e permette di valutare quali siano le anomalie specifiche di un cancro. Quando avremo un profilo genetico omogeneo potremo capire più o meno quali sono le mutazioni più frequenti e ovviamente poi vanno valutate se queste Una radiografia di polmoni affetti da patologia asbestocorrelata

mutazioni sono importanti o meno in termini di

processo di cancerogenesi. Quindi, siamo su quella strada da lì deriva la possibilità di utilizzare farmaci in base alla differenza di espressione di geni»

In base a questo, cosa prevedete come risposta immunitaria? «I geni regolano anche la risposta immunitaria per cui ci sono una serie di modificazioni della capacità di indurre risposta immune contro la cellula tumorale anche in base ai geni che esprime, quindi alle proteine che interagiscono con il sistema immunitario». Intanto, a fine 2012 con la conferenza governativa di Venezia siete tornati un interlocutore “credibile”. «Se devo parlare specificatamente delle conclusioni di

Eternit(a). Un momento del convegno a Bari

Venezia, devo innanzitutto evidenziare che siamo contenti: Dopo aver detto che eravamo dei venditori di fumo, si sono accorti della fibulina 3. Probabilmente l’hanno letto su qualche rivista, ma noi lo sapevamo da un anno. Solo che adesso mi faccio una domanda: dato che è sperimentale, io vorrei

capire dove possono trovare un kit per dosare la fibulina 3, che non c’è, non è un comunque un metodo standardizzato nel range del valori, quindi ci vogliono tutti i valori normali per definire poi il valore patologico: vorrei capire proprio come faranno. La seconda conclusione cui sono giunti è la


presa in carico dei pazienti, ma vorrei capire cosa intendono, dato che non hanno proposto alcuni tipo di ricerca terapeutica. La terza conclusione è quella della banca biologica: eppure ce ne sono giĂ due, una a Pittsburgh (Stati Uniti) e una in Inghilterra. Lo stesso vale per i centri clinici: ci sono una serie di centri europei e statunitensi che stanno lavorando alacremente facendo trials pubblicati che dimostrano miglioramento della sopravvivenza. E infine, a proposito della ricerca sul mesotelioma: hanno detto che la ricerca sul mesotelioma non esiste, eppure all’ultimo incontro che abbiamo fatto a Boston devo dire di non aver mai visto tanti delegati, quasi 600, una massa di lavori pubblicati quintuplicata negli ultimi due anni e un numero di chemical trials almeno raddoppiatiÂť.


FIBRONIT: morire di amianto Breve storia dello stabilimento barese che fece ammalare la metà dei dipendenti di A l e s s a n d r a M a s t r o d o n a t o pubblicato il 4 ma r z o 2 0 1 3

«Alla CEMENTIFERA ITALIANA FIBRONITS.p.A. (ex SAPIC), fabbrica sita in Bari alla Via Caldarola n. 13, i dipendenti continuano ad ammalarsi e a morire». Si apriva così il ricorso presentato nell’aprile del 1974 alla Pretura di Bari – Sez. Lavoro da 128 dipendenti dello stabilimento barese, sostenuti nella loro azione legale da Cgil, Cisl e Uil e dai tre patronati confederali Inca, Inas e Ital. E, appellandosi all’art. 9 dello Statuto dei Lavoratorisulla tutela della salute e dell’integrità fisica nell’ambiente di lavoro, così proseguiva: «Questa, che potrebbe sembrare una dichiarazione allarmistica e demagogica, è invece probabilmente inadeguata solo per difetto alla gravissima situazione che regna in fabbrica sotto il profilo dell’igiene e della sicurezza nell’ambito del lavoro». La vertenza, primo step di un Alcuni momenti dell'ispezione in fabbrica eseguita dal Pretore di Bari, Dott. Vincenzo Binetti

lungo iter processuale destinato a

concludersi soltanto nel 1985 con la chiusura dello stabilimento, giungeva al termine di un biennio tormentato di lotte sindacali, culminate nel gennaio-febbraio del 1972 con agitazioni, scioperi e assemblee, segnate dalla partecipazione unanime dei lavoratori. Sconcertante il bollettino presentato in quell’occasione dai sottoscrittori del ricorso: nel 1971, un solo caso accertato di malattia professionale ricollegabile all’inalazione di polveri di amianto; nel 1972, 54 casi di asbestosi e 9 di silico-asbestosi; nel 1973 (relativamente al solo primo trimestre), 25 casi di asbestosi e 2 di silico-asbestosi, con una progressione a dir poco allarmante che non avrebbe tardato di lì a poco a far registrare i primi decessi.


Le lotte sindacali dei primi anni ’70 - Nonostante un resoconto così puntuale e documentato e l’amplissima mobilitazione operaia di quei mesi capace di smuovere le autorità e di coinvolgere l’intera società civile, bisognò aspettare ancora diversi anni perché il collegamento eziologico con le risultanze cliniche emerse a carico di numerosi lavoratori dello stabilimento barese venisse provato in modo incontrovertibile e trovasse piena certificazione anche per via giudiziale. A nulla erano valsi gli allarmi lanciati a gran voce dalle organizzazioni sindacali e del tutto insoddisfacenti, se non addirittura viziate da latenti connivenze con i dirigenti dell’azienda, si erano rivelate le perizie eseguite dall’ENPI e dall’Ispettorato del Lavoro, AMIANTO - libro bianco Fibronit Bari tendenti ad imputare i casi di malattia professionale allora accertati più alla fatalità o alla negligenza dei lavoratori colpiti (per via dell’omesso impiego di maschere protettive) che alla criticità della situazione ambientale. Sebbene la pericolosità delle polveri di amianto fosse già stata resa nota dalla letteratura scientifica nel 1935, quando presero il via le attività della FIBRONIT – ex SAPIC di Bari, le indagini condotte dagli enti competenti avevano, infatti, dimostrato per quell’epoca, e soprattutto in seguito ad una parziale bonifica degli impianti avviata a partire dal 1966-67, livelli tollerabili di polverosità ambientale (misurata in termini di concentrazione di fibre di amianto per cm³).


Anche a seguito delle lotte durissime intraprese dai dipendenti dell’azienda nei primi anni ’70 e della disposizione, nel gennaio del 1973, di nuove perizie a carico dell’Istituto di Medicina del Lavoro e del Centro Provinciale Antitubercolare, nonostante l’introduzione di qualche accorgimento teso a ridurre i rischi per i lavoratori, le condizioni di lavoro all’interno della fabbrica non erano mutate in modo sostanziale, soprattutto per quel che riguardava la pericolosità della lavorazione dell’amianto e del cemento. Sarebbe stata necessaria la morte di 16 dipendenti (primi di una lunga serie), a fronte dell’accertamento da parte dell’INAIL di ben 151 casi di asbestosi, perché le responsabilità dell’azienda, rea di non aver adempiuto al proprio dovere di «adottare tutti gli idonei AMIANTO - libro bianco Fibronit bar accorgimenti e le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e e la personalità morale dei lavoratori», venissero provate anche per via giudiziale e le autorità competenti disponessero la chiusura dello stabilimento barese e la relativa condanna della FIBRONIT S.p.A. al risarcimento dei gravissimi danni causati ai dipendenti. Anche dopo la chiusura, la FIBRONIT continua a mietere vittime Nel 1985 lo stabilimento barese della FIBRONIT chiudeva, dunque, i battenti. Ma si apriva, al contempo, una questione forse ancora più spinosa, destinata di lì a breve a coinvolgere drammaticamente l’intera città. I capannoni vuoti della fabbrica, non opportunamente bonificati e soggetti a progressivo degradamento con conseguente dispersione di polveri sottili nell’area circostante, non avrebbero tardato a trasformarsi in una vera e propria “bomba ecologica”, che negli ultimi anni ha provocato gravi patologie, e in alcuni casi anche la morte, di numerosi residenti del quartiere, suscitando un vasto movimento di opinione che ha coinvolto i cittadini e l’intera società civile. Ma questa è un’altra storia…


I grandi edifici blu della Fibronit: un Museo Civico a cielo aperto nel centro di Bari Negli ultimi vent’anni, benchè conoscessero la pericolosità del sito, le Giunte Comunali sia di centrodestra, sia di centrosinistra non si sono adoperate nei tempi e in modi idonei al caso di D o me n i c o T a n g a r o pubblicato il 4 ma r z o 2 0 1 3

Volando a bassa quota sulla città di Bari in prossimità del Campus del Politecnico, verso la costa del mare Adriatico, salta subito agli occhi una grande area con edifici“dipinti di blu” . È la grande area nel centro urbano della città che ospitava, sino ad alcuni anni fa, la Fibronit, un’azienda italiana nota per la produzione di semilavorati incemento-amianto per l’edilizia, area che da settembre scorso, è stata destinata a parco urbano: Parco della Rinascita. Ma ciò che incuriosisce della vicenda Fibronit a Bari è la “lentezza” operativa della Pubblica Amministrazione della città, governata negli ultimi vent’anni da Giunte I muri blu dell'ex Fibronit nella foto aerea di Gianni Avvantaggiato - si ringrazia il ROAN della Guardia di Finanza di Bari

Comunali composte da uomini politici delle coalizioni di centrodestra e di centrosinistra. Uomini che, a mia memoria, nonostante fossero a conoscenza della pericolosità del sito sia per le lavorazioni avvenute che per le stesse “coperture” dell’azienda, non si sono adoperati nei tempi e in modi idonei al caso. Queste sensazioni di “pericolo urbano” e la contestuale “lentezza dello Stato” per gli interventi d’urgenza necessari a tutelare la salute dei cittadini, sono sensazioni che mi hanno accompagnato in questi anni. Lo Stato, nella sua “elegante lentezza” che lo contraddistingue in tutti i suoi apparati operativi e decisionali, supportato da una burocrazia

Con lo sviluppo edilizio, la fabbrica si è trovata al centro degli abitati dei quartieri San Pasquale e Japigia - foto di Domenico Tangaro


zelante, ha impiegato anni per attuare un piano di bonifica e dopo averlo attuato, risolvendo l’emergenza sanitaria, si è tuffato in un’altra lunga, lenta, storia di recupero urbano supportato da una miscela di pensieri composti per l’occasione a promozione di “alti valori politico-sociali” che attraverso il Piano di Recupero, un “giocattolo” che puntualmente appassiona tutti, trovando ampio spazio nei “programmi politici” di tutti i sindaci, governatori e onorevoli i quali si impegnano, a parole e in prima persona nei famosissimi primi “cento giorni” di governo cittadino, a risolvere il caso. Come sempre, dopo le parole non si avverano i fatti. La Fibronit è sempre lì, seppur bonificata e “dipinta di blu”, un segno urbano forte, che indica visivamente che qualcosa è accaduto e ha “tacitato la coscienza” dei politici impegnati ad effettuare la prima e l’unica, sin’ora, fase di bonifica. L’edificio e l’area circostante, abbandonati a se stessi e alle intemperie, rappresentano e sintetizzano in sè tutta l’incapacità di governo degli uomini politici degli ultimi venti anni. È una sintesi fisica e visiva che mi porta al ricordo di simili “forti segni urbani” nella storia delle città come il Muro di Berlino o gli edifici spogli di Auschwitz, oggi trasformati a musei. Luoghi che La fabbrica, abbandonata a se stessa e alle intemperie, rischia di diventare una bomba ecologica al centro dell'abitato

ricordano un drammatico momento storico e l’importanza

dell’unicità della vita umana. Luoghi di storia e memoria che, una volta resi pubblici, sono stati sottratti all’oblio della memoria raccontando, attraverso “l’architettura residua” alle nuove generazioni, i gesti, le omissioni, gli occultamenti volontari e le errate scelte politiche, etiche, morali ed economiche. La Fibronit, a mio avviso, dovrà diventare, all’interno del parco urbano un Museo Civico permanente, perché è un luogo della memoria collettiva e come tale deve conservarsi, cristallizzato come “un’opera d’arte contemporanea” dipinta di “blu”, creata dalla somma dalle scelte sbagliate degli uomini del novecento; riordinata, messa in sicurezza permanente, senza demolire nulla e senza cancellarne i segni che sino ad oggi si sono sovrapposti, in modo che possa essere visitato ogni giorno dalle scolaresche, dalle nuove generazioni e dagli uomini che vorranno in un prossimo futuro governare la città di Bari. Un Museo Civico a cielo aperto, in cui deve essere chiaro e forte “l’urlo” visivo di denuncia, da comunicare a tutti i cittadini, un urlo che indica ciò che non si deve mai fare in un prossimo futuro in una società civile, diventando così un’architettura forte, educativa nella vita quotidiana di una città contemporanea.


Amianto, perché è (ancora) così difficile censire e “mappare” una provincia Troppi “abbandoni incontrollati” originano discariche a cielo aperto. Nel 2005 l’amministrazione provinciale di Foggia lanciò un monitoraggio del territorio per comuni, ma i risultati di questo screening non sono stati ancora diffusi di M a r i a G r a z i a F r i s a l d i pubblicato il 4 ma r z o 2 0 1 3

Che sia estremamente pericoloso per la salute è un dato ormai risaputo e riconosciuto; che sia ancora presente in larga quantità in numerose aree della provincia di Foggia e in piccole quantità in vecchi oggetti o piccoli elettrodomestici di uso comune, un po’ meno. Stiamo parlando dell’amianto – “killer silenzioso” come è stato universalmente ribattezzato – messo al bando, Amianto - Tettoia

nero su bianco, nel 1992 (anche se, di fatto, la produzione di componentistica varia basata su queste fibre estremamente resistenti è terminata già 30 anni fa). Nonostante ciò, individuare e monitorare la presenza di scarti di amianto non è assolutamente facile. E questo anche a causa del largo utilizzo che ne è stato fatto nei decenni passati: dall’edilizia al settore dei trasporti (come materiale termo e fono-isolante, ad esempio, di vagoni e carrozze), dall’industria all’impiantistica, solo per citare alcuni settori d’impiego. Abbandoni incontrollati Ancora oggi, infatti, sono tantissimi gli “abbandoni incontrollati” di scarti di amianto e cemento-amianto che originano vere e proprie discariche a cielo aperto. A queste presenze random,vanno ad aggiungersi lecoperture –

Amianto - Via Menichella, Foggia


purtroppo ancora presenti - di capannoni industriali (5.000 solo in Puglia, per un volume complessivo stimato superiore al milione e mezzo di metri cubi). In provincia di Foggia, i numerosi blitz messi a segno dalle efficienti Guardie Ambientali o le operazioni dei carabinieri nelNucleo Operativo Ecologico mettono in evidenza come sia ancora molto diffusa, per molti cittadini, la tendenza ad abbandonare e disfarsi impunemente dell’amianto – in forma di tettoie, pluviali o vecchie coperture; fusti di autoclavi, rivestimenti di vani caldaia – nelle cunette a bordo strada, poco fuori la città, senza adottare le necessarie precauzioni. Particolare scalpore riscosse, solo pochi mesi, il ritrovamento da parte delle Guardie Ambientali di Foggia di lastre di cemento-amianto tra gli scarti di materiale edile abbandonati nei giardini di Via Menichella, nel capoluogo dauno, in un’area verde cittadina distante pochi metri da alcune abitazioni e una scuola elementare. Mappatura del territorio - Certo, per operare attivamente bisognerebbe censire e monitorare costantemente il territoriosia nelle cosiddette “zone rosse” (come il Manfredoniano, ad esempio, dove c’è l’ex Enichem con il suo vecchio e pesante fardello e i suoi tanti interrogativi insoluti), sia in quelle zone a rischio, perché Enichem Manfredonia

spesso trasformate in

discaricherandom per l’individuazione delle quali è fondamentale la collaborazione della cittadinanza (andrebbe, tra l’altro evidenziato, che non segnalare la presenza di amianto o, peggio, disfarsene senza le dovute precauzioni è un reato che prevede pesanti sanzioni). Per quanto riguarda invece le istituzioni, uno degli interventi più significativi da questo punto di vista era stato lanciato nel 2005 dalla squadra dell’allora amministrazione provinciale che annunciava con una nota stampa ufficiale l’inizio di un’attività di censimento, da effettuarsi in tutti i comuni del Foggiano, sui siti a “rischio amianto” per una successiva bonifica. I risultati di questo screening, però, non sono stati ancora diffusi (o almeno non pubblicamente). Sull’argomento – dopo aver bussato, metaforicamente parlando, alle porte della “memoria storica” dell’assessorato competente – chi scrive non ha ricevuto ancora risposta. Scena muta anche dell’assessore all’Ambiente Pasquale Pazienza, per quanto riguarda progettualità e interventi necessari.


A Milano si respira ancora amianto nelle scuole? Nel capoluogo lombardo fa ancora scandalo la vicenda dell’amianto in ben ventidue edifici scolastici, tra medie, elementari e materne. Ma nulla si conosce ancora circa eventuali provvedimenti di I s a b e l l a M i l a n o pubblicato il 4 ma r z o 2 0 1 3

Lo scandalo dell’amiantonegli edifici scolastici milanesi è scoppiato circa un anno fa, ma sembra che il Comune ambrosiano, già dall’ottobre 2011, fosse a conoscenza della gravissima situazione in cui versavano gli edifici (oltre ventidue), frequentati quotidianamente da centinaia di bambini, senza, però, che nulla Milano dall'alto, a sinistra il grattacielo "Pirellone"

trapelasse o senza provvedere tempestivamente a rimuovere il “veleno”!

Ciò fino a quando il vaso di pandora non è stato scoperchiato, nel maggio 2012, cioè quando l’incresciosa notizia dell’amianto nelle scuole non ha fatto il giro della città ed è giunta ai genitori. Da allora, forte lo sgomento, il timore per la salute dei propri bambini, la rabbia nei confronti delle istituzioni che languivano, specie perchè di mezzo c’erano la salute o la vita di esseri umani (per di più minori), tanta la voglia di denunciare la vicenda e di operare in prima persona per riparare i danni. Quei danni che il Comune stesso avrebbe dovuto proprio evitare. Innumerevoli sono state le iniziative adottate, per lo più da parte delle madri dei bimbi coinvolti direttamente nel “pericolo” di contagio da amianto: ad es. la disponibilità ad accollarsi le spese per rimuovere le piastrelle in amianto presenti all’interno e all’esterno degli edifici, a mettere a disposizione gratuitamente le competenze ingegneristiche per stilare progetti di rimozione e a far

Una mamma accompagna la figlia a scuola


partire una denuncia corale, che coinvolgesse media e carta stampata. Anche l’ONA (Osservatorio Nazionale Amianto) ha preso a cuore la vicenda e, tramite il suo Presidente, l’avvocato Ezio Bonanni e l’iniziativa congiunta dell’avvocato Simonetta Macor, ha cercato di coinvolgere la magistratura, per indagare sul fenomeno e sulle attuali e reali condizioni degli edifici messi sotto accusa. È stato, infatti, depositato, proprio lo scorso 9 gennaio, un esposto della Macor alla procura della Repubblica di Milano, di denuncia dell’accaduto, con la speranza di soluzioni tempestive. Il caso sarà seguito dal Sostituto Procuratore della Repubblica Maurizio Ascione. La Macor, nel suo documento, descrive la nocività e la pericolosità dell’amianto come un problema Un disegno dei bambini di una scuola del capoluogo lombardo, riadattato in versione pericolo amianto

che non può essere soltanto “privato”, viste le ripercussioni

che esso può avere sull’intera comunità. «Nel Comune di Milano ci sarebbero da abbattere 22 istituti scolastici pieni di amianto»; scrive e ancora «il consigliere del PD Marco Cormio, ha presentato una mozione in consiglio, firmata anche dall’opposizione, per chiedere al Governo un contributo straordinario, che oltrepassi il vincolo di stabilità, che paralizza anche la Provincia». Anche se, come ci ha spiegato al telefono Anna Gallo, addetta stampa dell’assessore all’Educazione Francesco Cappelli (che attualmente si occupa della vicenda), il vecchio Governo aveva ignorato questa mozione. L’esposto, inoltre, riporta anche stralci di articoli di vari quotidiani a tiratura nazionale come il Giorno oil Giornale, pubblicati tra maggio e settembre 2012, in cui si denunciano gli scandali e che vengono presi come spunto per sottolineare alla procura i singoli punti di indagine. Si fa riferimento, ad esempio, al momento in cui la sconcertante notizia dell’amianto nelle scuole è giunta, il 16 maggio 2012, alle orecchie incredule dei genitori, al fatto, ancor più grave, che le istituzioni sapevano ma tacevano, oppure al fatto che gli interni e gli esterni di molti edifici, rivestiti con piastrelle in pvc, (nelle quali l’amianto è mescolato) esistono da anni e, da anni, i bambini ci stanno a contatto, respirando l’aria Campagna di verifica della qualità dell'aria presso la scuola primaria Ruffini di Milano, uno tra gli edifici inquinati

potenzialmente inquinata di quelle


stanze. Certo, il fatto che quell’amianto sia compatto e, quindi, pericoloso solo se frantumato, non rincuora affatto.L’esposto, inoltre, fa riferimento ad un programma del Comune per incapsulare, riverniciare o proprio rimuovere l’amianto presente, entro il 2015, sulla base di una mappatura che individua sei aree in cui la concentrazione di amianto varia (ad es. nella 1 è altissima, nella 6 è quasi assente). Ma due anni sono un tempo biblico se paragonato alla velocità con cui si inalano le singole fibre. Questi sono soltanto alcuni dei dati inseriti nel documento dell’ONA (clicca per visionare) e servono per segnalare alla procura la concreta pericolosità del rischio morbigeno dovuto alla reiterata esposizione alla concentrazione di fibre. Nonostante, dunque, la situazione descritta non sia delle più rosee, le ultime notizie che ci giungono sembrano piuttosto incoraggianti. Infatti la Gallo spiega che «l’assessorato ai lavori pubblici, in sinergia con quello all’educazione, ha approvato due appalti comunali, da 6mln € ciascuno, di cui uno già parte del vigente piano delle opere pubbliche, per accelerare le opere di bonifica delle scuole ancora inquinate. Perché fino all’intervento dell’assessore Cappelli e del vice sindaco Ada De Cesaris, la situazione delle scuole di Milano era veramente fatiscente.Certo aggiunge Gallo -, per risanare la situazione ci vorrà tempo e la manovra è complessa visto che, come è già accaduto nei mesi scorsi per la bonifica di altri edifici, i bambini dovranno essere spostati in altra sede e poi, per intervenire, bisogna prima aspettare gli esiti delle indagini, da svolgersi secondo le procedure ASL. I tempi non possono essere così celeri, ma l’impegno e i fondi ci sono».


Casale, la Spoon River del Po Un libro ricostruisce il processo di Torino contro i proprietari dello stabilimento Eternit, fino alla storica condanna: non si poteva non sapere e non si è fatto nulla per evitare il disastro di L u c i a S c h i n z a n o pubblicato il 4 ma r z o 2 0 1 3

Si fa presto a parlare di amianto come la “fibra-killer” e si fa presto anche a condannare – oggi – quelle fabbriche che hanno prodotto sì l’eternit – un tempo salutato come un materiale miracoloso per la sua dote di estrema resistenza- ma che hanno prodotto anche morte: anzi, morti, più di3mila nella fabbrica di Casale Monferrato e fuori di essa. Un po’ più lento risulta, invece, attribuire in sede giudiziaria le reali responsabilità a chi ha governato e gestito quelle fabbriche, perchè da parte di questi ultimi diventa quasi d’obbligo giocare allo scaricabarile e tendere a stemperare le colpe, dato che tutti “rispondevano al superiore” e chi era ai vertici “non sapeva ciò che si faceva lì”. Eppure questo teorema dell’ io non sapevo è stato smontato sia pur con grande difficoltà ed ha reso giustizia a un’intera popolazione di un paese – Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, dove ogni famiglia è stata segnata da uno o più lutti per Una manciata di fibre di amianto raccolta da un operaio munito delle opportune protezioni

mesotelioma.

Il processo per i fatti svoltisi nello stabilimento Eternit della cittadina piemontese dal 1952 al 2008, è quello svoltosi a Torino dal 2010, la cui storica sentenza del 13 febbraio 2012 ha fatto ormai giurisprudenza – la condanna a 16 anni di reclusione per i proprietari della fabbrica, il barone belga Louis de Cartier e il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny – ed ha aperto la strada ad analoghe azioni giudiziarie. Questo processo viene raccontato con grande partecipazione ma anche con profonda discrezione e rispetto per vittime e sopravvissuti dal giornalista Giampiero Rossi in Amianto – processo alle fabbriche della morte (Melampo). L’autore non è nuovo ad indagini sull’amianto e in questa sua ultima fatica, che vede la bella prefazione di Susanna Camusso, ricostruisce le fasi dibattimentali fino alla famosa “offerta del diavolo”, la foga e il rigore morale con cui il pmRaffaele Guariniello, insieme agli altri due pm Sara Panelli eGianfranco Colace, ha inchiodato alle loro colpe “gli eredi delle due famiglie che – scrive l’autore – dai primi del Novecento, fino ai divieti imposti dai singoli Stati, hanno dominato l’industria dell’amianto in Europa e in tutto il mondo”; inoltre dà un ruolo fondante a tutte le strategie di controinformazione attuate


dalla dirigenza, consapevole dell’effetto letale dell’amianto sin dagli anni ’50 (ed è di questi giorni la notizia della radiazione, da parte dell’ordine dei giornalisti del Piemonte, della giornalista Maria Cristina Bruno, che per anni aveva inviato informazioni su ciò che accadeva a Casale a una società di pubbliche relazioni che aveva tra i committenti anche l’Eternit). Dello stabilimento di Casale, Rossi ricostruisce la storia: perchè nacque lì e non altrove, quali erano i suoi rapporti con gli altri stabilimenti di Cavagnolo, Rubiera e Bagnoli, perchè venne dichiarato fallito nel 1986. L’autore segue passo passo il deliberato e sconsiderato tentativo di minimizzare gli effetti della fibra-killer e di privare di fondamento qualsiasi

La copertina del libro

azione di bonifica dei siti inquinati, perchè antieconomica: perchè investire nel miglioramento delle condizioni di lavoro dello stabilimento quando si sa che quello stabilimento verrà abbandonato dato che esistono tecnologie più

pulite di quelle legate all’amianto? Rossi però va oltre il semplice resoconto del processo: cita dati a livello nazionale e internazionale, segnala il vasto movimento d’opinione che ha superato i confini nazionali e soprattutto restituisce spessore e potenza alle tante piccole storie segnate dal mesotelioma: la panettiera, l’operaio, il professore, la ragazza, il sindacalista; su tutte svetta la storia di Romana Blasotti Pavesi, ormai ultraottantenne e non più capace di piangere, come lei stessa ha detto più volte, presidente dell’associazione familiari vittime dell’amianto e non tanto perchè lei di persone care ne ha perse cinque, ma perchè è stata quella che ha dato a tutti la forza di lottare e il senso di dignità di una battaglia civile da affrontare. Battaglia che viene sintetizzata dalla proposta di Guariniello di dare vita a unasuperprocura nazionale incaricata di agire sui reati ambientali. Giampiero Rossi, Amianto – Processo alle fabbriche della morte, Melampo, 2012, 160 pp., € 15,00


Asbestos: Still Legal and Lethal in the USA In 2003, after enduring nine months of symptoms and multiple visits to doctors, my husband, … di r e d a z io n e pubblicato il 4 ma r z o 2 0 1 3

In 2003, after enduring nine months of symptoms and multiple visits to doctors, my husband, Alan Reinstein, was diagnosed with deadly mesothelioma. At the time, I had never heard of the disease, and, like most Americans, thought that asbestos had long been banned in the United States. It has not. I turned intense grief and anger about Alan’s mesothelioma diagnosis into action by cofounding the Asbestos Disease Awareness Organization (ADAO). As a result of asbestos exposure, Alan died three years later with our then 13-year-old daughter and me by his side. Almost a decade after Alan’s diagnosis, ADAO’s core principles have remained constant – education, advocacy, and community. In the USA, more than 10,000 Americans die each year from preventable asbestos-caused diseases. 25% of those deaths are from mesothelioma. The facts are irrefutable: asbestos is a known human carcinogen and there is no safe level of exposure. In the 1970s, several significant pieces of legislation regarding public health were approved; however, since then, not many steps have been taken towards an asbestos ban in the United States. In 1989, the United States Environmental Protection Agency issued a final rule banning most asbestos-containing products. However, in 1991, this regulation was


overturned by the Fifth Circuit Court of Appeals in New Orleans. Currently, the only three banned asbestos-containing products are: flooring felt, rollboard, and corrugated, commercial, or specialty paper. The last action that the federal government has taken to protect the American people from asbestos was a 2009 statement from the Surgeon General about the dangers of asbestos. Unbeknownst to many Americans, the U.S. continues to use asbestos. The United States Geological Survey (USGS) reported that U.S. consumption of asbestos increased 13% in 2011, and 140 metric tons of chrysotile imported to the U.S. in 2011 was placed in stocks for future use. Asbestos consumption in the United States was estimated to be almost 2,000 metric tons. Roofing products were estimated to account for about 60% of U.S. consumption and chloralkali about 35%. The damage caused by asbestos use in the U.S. is immeasurable. On September 11, 2001, nearly 3,000 innocent lives were lost, but the death toll continues. When the towers collapsed, building debris blanketed Lower Manhattan, exposing thousands more to known hazards in the air, including over 2,000 tons of asbestos. Today, area residents and emergency service workers continue to die of cancer due to 9/11 exposure. Consumer, environmental, and occupational exposure continues in the United States. Occupational diseases are not accidents. There is a difference between a worker who falls from a crane and a worker who is exposed to occupational hazards like asbestos. In Washington D.C., employees were exposed to and sickened by asbestos while maintaining the tunnels under the nation’s capitol. Underground, the asbestos dust was so thick that the supervisor was able to write his name on the top of a pipe. This is a tragic example of worker rights violations. Although the federal government issued multiple citations, exposure continued. In May 2010, the U.S. President’s Cancer Panel released a landmark 200-page report entitled “Reducing Environmental Cancer Risk: What We Can Do Now”. The panel reported that: “Construction workers were found to be 11 times more likely to develop mesothelioma, due to asbestos exposures at the site.” Occupational cancers are on agency radars now more than ever before.


Environmental disasters, natural and man-made, expose Americans to asbestos. First responders and residents were endangered during Hurricane Sandy clean-up and when the Joplin, Missouri tornado ravaged the city. 2,600 tons of asbestos debris was removed in Joplin. The WR Grace Vermiculite mine in Libby, Montana has been expensive in dollars and lives. Nearly 2/3 of the town has suffered from sickness or died, and the government has spent $450 million dollars to clean up this toxic dump. ADAO’s top priority is education. 90% of people all over the world live in locations with access to a mobile network. ADAO uses online graphics to share facts and visualize data. Preventing exposure is especially difficult because of asbestos’ extremely small fiber size, public misconception about safe use, and the long latency period for disease to present. ADAO freely shares the penny slide, which shows 20,000 asbestos fibers compared to the size of rice and human hair that can fit under President Lincoln’s nose. ADAO also shares “Identifying Asbestos in the Home” graphics around the world. With pain, comes action. There are only two ways to stop deadly asbestos-caused diseases – prevention and a cure. It is painful to watch legislators move so slowly to end one of the largest man-made disasters. ADAO is committed to preventing consumer, environmental, and occupational exposure. As the International Social Security Association reported in 2011, the “cost-benefit potential for investments in prevention may be as strong as 1: 2.2, and even higher in some cases.” Partnering for Prevention is imperative. ADAO’s online “Share Your Story” feature is expanding. Patients and families around the world willingly share their unique stories about diagnosis, treatment and, for most, death. This process is cathartic, strengthens community bonds, and undeniably shapes policy.


ADAO returns to Washington, D.C. for the 9th Annual International Asbestos Awareness Conference. At the conference, doctors, scientists, professors, advocates, and patients and their families will discuss “The Asbestos Crisis: New Trends in Prevention and Treatment.” One life lost to asbestos disease is tragic; hundreds of thousands of lives is unconscionable. But together, change is possible.” Linda Reinstein co-founded the nonprofit Asbestos Disease Awareness Organization (ADAO) in 2004, after her husband Alan was diagnosed with mesothelioma, a cancer caused by asbestos exposure. Even after Alan passed away in 2006, Ms. Reinstein continues to serve as President of ADAO, spearheading the organization’s global-focused education, advocacy, and community support initiatives. Recognized as an expert with more than 35 years of nonprofit experience in building and sustaining grassroots advocacy, she develops and executes integrated social media campaigns to educate the public about the dangers of asbestos exposure, in addition to speaking to international audiences, including the United States Congress and the United Nations.


“Polvere. Il Grande Processo dell’Amianto” La recensione del film documentario di Niccolò Bruna e Andrea Prandstraller di F e l i c i t a S c a r d a c c i o n e pubblicato il 4 ma r z o 2 0 1 3

Una comunità tenace, combattiva e quella terribile – silente – morte che pian piano s’insinua e travolge Casale Monferrato, in Piemonte. L’accusa finale: disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antifortunistiche. La pena applicabile: 16 anni di carcere. Gli imputati: il n. 142 e il n. 243 nella classifica degli uomini più ricchi del mondo. Ovvero i principali azionisti della multinazionale più tristemente famosa , lo svizzero Stephan Schmidheiny e il belgaJean Louis de Cartier de laMarchienne. Testimoni a carico: 800 persone di Casale Monferrato, parenti delle vittime, in rappresentanza delle decine di migliaia che hanno lavorato, in un secolo, nei diversi stabilimenti Eternit di tutti i paesi d’Europa. Numeri che a livello mondiale lasciano ammutoliti: POLVERE Il grande processo dell'amianto - la locandina del film

centomila i morti stimati per mesotelioma. Ma sono loro gli ex operai e semplici cittadini i duri accusatori a “viso scoperto” che con grande compostezza intervengono nel film denuncia firmato da Niccolò Bruna e Andrea Prandstraller “Polvere. Il Grande Processo dell’Amianto” (clicca qui per vedere il trailer) in sequenze a volte dure, raccolte nei primi mesi delle udienze del processo penale contro i “padroni” dell’amianto, terminato poi il 13 febbraio 2012 a Torino con le condanne sopra riportate. Fermi immagine di un quotidiano apparentemente comune a tanti, unite ai numerosi sentimenti di speranza e alle tante ansie che si susseguono ad inevitabili momenti di sconforto. Una sofferenza che si rinnova ancora adesso. Non basta quella tragedia a ridare fiducia in un futuro migliore: la scia di morte non si arresta. La produzione di amianto nel mondo ha ripreso a crescere, infatti,


grazie all’enorme consumo delle economie in rapido sviluppo come India, Cina e Russia. La lobby dei Paesi esportatori, con in testa i Canadesi (che lo producono e lo esportano nei paesi in via di sviluppo,ma non lo usano), è potentissima e agisce nelle sedi internazionali per influenzare le politiche dei singoli Paesi Un triste destino mai concluso, come quello che ha unito nella sorte Luisa, donna combattiva fino all’ultimo, ex assessore dell’ambiente, Romana “la coraggiosa”, Bruno, Nicola, Raffaele, Fernanda, e tanti altri. Non sono altro che uomini e donne destinati loro malgrado a completare un elenco esteso ormai a macchia d’olio. E non lascia indifferenti. Il 14 febbraio scorso si è aperto il secondo POLVERE Il grande processo dell'amianto - un fotogramma del film grado di giudizio del processo, un’udienza lampo per ribadire “l’interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento”, ma è stata una giornata soprattutto significativa per rilanciare un appello rivolto alle giovani generazioni intervenute : “stop alla strage dell’amianto”. Perché non si può raccogliere un simile documento di vite spezzate d’eroi (così è corretto scrivere) senza osservare con amarezza come a distanza di anni siano pronte, e fino all’ultimo, a puntare il dito contro i loro assassini, pronte a dare energie per ottenere

una giustizia tentennante nel 2013: ciascuno di loro porta con sé da trent’anni il carico di lutti e di paure, esempio per noi di forza , per loro invece emblema di una determinazione sconfinata ad andare avanti.


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