TUTELA E VALORIZZAZIONE DELLA PARETE GRAFFITA DEL TUNKELBALT VALDASSA – COMUNE DI ROANA (VI)

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN PROGETTAZIONE E GESTIONE DEL TURISMO CULTURALE

TESI DI LAUREA

TUTELA E VALORIZZAZIONE DELLA PARETE GRAFFITA DEL TUNKELBALT VALDASSA – COMUNE DI ROANA (VI)

RELATORE PROF. MARCO GIAMPIERETTI

LAUREANDO ANDREA VALENTE

ANNO ACCADEMICO 2011/2012


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A mio padre Maurizio, instancabile ricercatore nel campo della micologia e mio primo insegnante A mia moglie Martina, per il sostegno, il supporto e la pazienza durante questo “cammino” Ma soprattutto a mia figlia Alice Vittoria, che ha dovuto rinunciare a importanti momenti di gioco con il suo papà, con la speranza che un giorno mi renda la dedica

Desidero ringraziare sentitamente: mia mamma per il consueto e contagioso entusiasmo e tutta la mia famiglia, anche quella “allargata” ed in particolare mia cugina Martina per il costante sostegno in questo percorso accademico; i miei colleghi e in special modo Roberta Forte, Massimiliano Calore, Federico Vescovi, Gabriele Valente e Vittorio Corà - oltre a Marco Stella - per avermi aiutato nel reperimento del materiale per la tesi; gli amministratori del Comune di Roana Valentino Frigo, Luigi Martello, Valerio Fabris e Dario Rebeschini e della Comunità Montana Lucio Spagnolo per l’accesso agli atti e la collaborazione personale; Maria Cristina Vallicelli della Soprintendenza di Padova per la costante disponibilità e collaborazione, Mario Porto, Davide Rodeghiero, Giampietro De Antoni e Augusto Paccanaro per l’appoggio professionale e morale. Chiara e Carlo di Archeidos per l’amicizia ed il supporto scientifico, Giancarlo Bortoli e Antonio Cantele per avermi suggerito alcune curiosità della Valdassa, Sara Ambrosini per le foto del Bisele, Luigi Nicolussi Castellan per la parte relativa alla storia delle Vezzene e di Luserna, Cristina e Francesca della Biblioteca di Asiago per la professionalità e lo zelo, oltre tutte quelle persone che hanno contribuito a sostenere questo lavoro.

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INDICE

Introduzione ………………………………………………..…………..

p.

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CAPITOLO I LA VALDASSA: UN BACINO DI STORIA, CULTURA E BIODIVERSITÀ

1.

Formazione geomorfologica della Val d’Assa …...………………….

p.

10

2.

La Val d’Assa nella Preistoria e nella Storia …...…………………… p.

12

3.

Biodiversità, elementi peculiari e curiosità del contesto vallivo ……. p.

19

4.

La parete graffita del Tunkelbalt: una questione ancora aperta ……... p.

23

5.

La problematica datazione delle incisioni rupestri ...………………... p.

26

CAPITOLO II PROFILI GIURIDICI DEL PATRIMONIO CULTURALE DELLA VALDASSA

1.

L’interesse culturale del Tunkelbalt dalla sua scoperta ad oggi …......

p.

28

2.

La Val d’Assa tra paesaggio e urbanistica …...….…………………..

p.

32

3.

Il Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC) e il Piano d’Area “Altopiano dei Sette Comuni” ….…………………………… p.

35

4.

Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) ………... p.

40

5.

Il Piano di Assetto Territoriale (PAT) ……………..………………...

43

p.

CAPITOLO III TUTELA E VALORIZZAZIONE DEL SITO DEL TUNKELBALT 1.

I primi passi dopo il ritrovamento …………….……………………..

2.

Il progetto del 1987: tutela e valorizzazione del Tunkelbalt nel più ampio contesto della Val d’Assa …………………………...………..

5

p.

47

p.

49


3.

Il progetto del 1988: tutela e valorizzazione dei graffiti e creazione di un museo archeologico ………………………………………....… p.

52

4.

Il progetto di recinzione del sito e la prevenzione degli atti vandalici

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56

5.

L’emergenza archeologica e i recenti progetti di restauro conservatip.

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vo …………………………………………….…………………..…..

CAPITOLO IV VALORIZZAZIONE E FRUIZIONE TURISTICA DEL “SISTEMA VALDASSA”

1.

Tutela e valorizzazione della Valdassa: i progetti del Comune di Roana ………………………………………………………………….

2.

3.

p.

62

e la fruizione del patrimonio culturale …………………………….… p.

67

Forme di gestione e di finanziamento per la tutela, la valorizzazione

Una proposta di valorizzazione e fruizione turistica del “Sistema Valdassa” ………………………………………………………...….

p.

69

Conclusioni …………………………………………………..…………..

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74

Appendice ……………………………………..……………..…………..

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76

Bibliografia …………………………………………………..…………..

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92

Sitografia …...………………………………………………..…………..

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INTRODUZIONE

“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” (Costituzione della Repubblica Italiana, Art. 9)

Una delle prime motivazioni che mi hanno spinto ad affrontare l’argomento di questa tesi è senz’altro l’allarme suscitato da un anomalo disfacimento delle superfici graffite del roccione del Tunkelbalt, nel territorio di competenza roanese della Valdassa. Sin da subito però, è stato evidente che una delle ragioni dell’interesse del sito è anche quello del suo inserimento in un contesto ambientale e storico eccezionale, che si distingue per un’offerta vastissima di testimonianze umane ed ambientali, abbracciando un arco di tempo altrettanto ampio. Sin dalle sorgenti dell’Assa, in territorio trentino, questa valle dà prova di una serie di attrazioni culturali difficilmente rintracciabili tutte assieme in altri luoghi. Partendo dalla piana delle Vezzene, area metallurgica dell’Età del Bronzo, si procede in territorio veneto attraverso la zona del Ghertele con i suoi antichi insediamenti malghivi e silvopastorali, si transita a pochi metri dal Tanzerloch1, si passa sotto il ponte di Roana incontrando qui le prime attestazioni graffite su massi e pareti e si continua incrociando la roccia del Tunkelbalt sulla sinistra orografica. Intersecata la vecchia strada comunale, si scende ancora attraverso una vegetazione selvaggia lasciando più in alto, sulle pareti della forra, i siti di St. Antönle, Romita, Rössle, Cava Ghelpach, del Bisele a sinistra e il Kestele e i ruderi del vecchio mulino della Rendela a destra. Proseguendo ancora il vallone si restringe ulteriormente, dando l’impressione di un vero e proprio canyon. Sulle alte pareti una miriade di spelonche carsiche, caverne e grotte che hanno ispirato le leggende popolari legate all’antica lingua cimbra2 o che spesso più tristemente, hanno dato riparo

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I “löchar” sono tipiche voragini carsiche che raggiungono anche, come nel caso del Tanzerloch o “Buso de la danza”, i 40 metri di diametro e gli 80 di profondità. 2 Si farà spesso riferimento, all’interno del testo, a nomi e soprattutto toponimi cosiddetti “cimbri”. Il cimbro è l’idioma parlato per secoli nei Sette Comuni Vicentini; la linguistica lo definisce una variante tardo medievale del Bavarese Superiore con infiltrazioni Alemanne, ma lascia in gran parte oscuri i riflessi riconducibili alle lingue delle popolazioni che nel primo millennio d.c. occupavano la pianura veneta, i Goti e i Longobardi. Oggi la

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alle truppe austriache ed italiane che della Valdassa fecero la loro prima linea dal 1916 al 1918, durante la Grande Guerra. Avanzando ancora, in un territorio ormai distante dalle abituali escursioni turistiche e proprio per questo ancor più affascinante e misterioso, nel territorio di Rotzo che confluirà in quello di Pedescala, domina dall’alto il villaggio protostorico del Bostel, in posizione predominante all’incrocio dove la Val d’Assa va a sfociare in quella, più grande e ormai pedemontana, dell’Astico. Questo invisibile filo rosso, che unisce interessi storici, etnografici, archeologici, geologici, ambientali e paesaggistici e conseguentemente turistici e sociali, ci può suggerire che la Valdassa è un serbatoio culturale da difendere e salvaguardare ma che con l’adeguato rispetto, seguendo strettamente le normative di tutela, conservazione e valorizzazione, può diventare anche una valida alternativa alle classiche forme di turismo, con la consapevolezza che questi beni del patrimonio culturale assumono ed aumentano il valore qualitativo dell’offerta turistica proposti in una visione d’insieme e strettamente correlati. In molti documenti e pubblicazioni che parlano dei graffiti rupestri della Valdassa si troverà scritto Tunkelbald, invece di Tunkelbalt. Ho preferito utilizzare la versione con “T” finale in quanto è stata usata recentemente anche dal Comune di Roana3 in atti ufficiali e perché, visto che il toponimo è stato coniato solamente dopo il 1980 e pur se la lingua cimbra ha una secolare tradizione di cultura orale, la linguistica aveva già messo a disposizione glossari e vocabolari che riportano il termine “bosco” con la traduzione di “balt” e non “bald”4. Tunkelbalt quindi, “bosco scuro”, anche se come si vedrà più avanti, pure il nuovo toponimo farebbe storcere il naso a qualche purista e appassionato di questo idioma minoritario. In questo lavoro si troverà invece indifferentemente riportato il termine “Valdassa” o “Val d’Assa”; i termini sono corretti ed utilizzati in queste due forme sin dalle fonti più antiche. La “Valle del Bisele” è denominata anche “Valle del Ghelpach”.

lingua cimbra appartiene alle lingue minoritarie tutelate dalla L. 482/1999 e dalla Legge Regionale 73/1994 che la riconosce specificatamente. 3 Ente proprietario del sito. 4 Bidese, 2001, pag. 138.

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CAPITOLO I

LA VALDASSA: UN BACINO DI STORIA, CULTURA E BIODIVERSITÀ

1. Formazione geomorfologica della Val d’Assa L’Assa è un torrente che ha origine da un gruppo di sorgive nella Piana di Vezzena5 e scorre tortuosamente prima verso est, poi in direzione sud verso l’Altopiano di Asiago quindi, incuneandosi in profondità circa all’altezza della Val Scaletta, dà origine ad un canyon fluviocarsico. Dopo circa un chilometro esso svolta decisamente verso occidente dando continuazione alla valle che confluirà infine nella Val d’Astico, provocando una divisione territoriale del Comune di Rotzo e di due frazioni del Comune di Roana (Roana e Mezzaselva) dal resto dell’Altopiano. La Val d’Assa è una tipica valle glaciale prodottasi in un intervallo di tempo non inferiore a 4 milioni di anni6 ma un contributo importante alla sua attuale morfologia si deve alla glaciazione di Würm7 . L’avanzata del ghiacciaio provocò un’incisione valliva modellandola con la caratteristica forma ad “U”. Successivamente, un vero e proprio fiume a regime stagionale formatosi dallo scioglimento del ghiacciaio, scavò ulteriormente il suolo delineando quel paesaggio costellato da bastioni rocciosi a strapiombo8. Nel Postglaciale la portata del fiume diminuì per la disostruzione di alcuni dei numerosi inghiottitoi carsici presenti nella zona, alternando poi anche in epoca storica la propria portata, sempre in relazione all’ostruzione o meno degli inghiottitoi. L’alternanza del regime fluviale, dovuto anche ad attività antropiche, contribuì al processo dell’attuale formazione geomorfologica del canyon9. 5

Passo di Vezzena, Levico, Trento; in alcuni testi si può ritrovare anche il termine “Vezzene”. Martello in Ass. Ass Taal, 2001, pag. 17. 7 Ultimo periodo glaciale, avvenuto nel tardo Pleistocene, tra 115.000 e 10.000 anni fa circa che interessò l’intero Arco Alpino. 8 Sauro in AA.VV., 2000, pag. 21. 6

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La voragine Tanzerloch nei pressi di Camporovere, è un interessantissimo esempio di cavità carsica, all’origine anche di molte leggende cimbre10. Le formazioni rocciose sedimentarie erose di origine prevalentemente marina sono quelle, partendo dallo strato più profondo, dei Calcari Grigi (Giurassico inferiore), del Rosso Ammonitico (Giurassico Medio e Superiore) e del Biancone (Cretacico Inferiore)11; lo strato più antico, la Dolomia principale, non affiora. Delle formazioni affioranti, solo i Calcari Grigi e il Rosso Ammonitico si prestano all’incisione in quanto il Biancone è scagliato e fittamente fratturato12. La gola è intersecata da entrambe le rive orografiche da ulteriori incisioni vallive, la più grande delle quali è la Valle del Bisele, particolarmente interessante per gli ampi ripari in roccia13 e le numerose grotte, mèta oggi di escursioni turistiche. Di queste cavità la grotta “Loite (o Leute) Kubala” rappresenta, con il suo caratteristico masso incastrato e in bilico tra le pareti, l’esempio più suggestivo.

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Ibidem, pag. 21. Zanocco, 1990, pag. 207. 11 Il periodo che va dal Giurassico Inferiore al Cretacico Inferiore corrisponde circa dai 200 ai 100 milioni di anni fa. 12 Martello in Ass. Ass Taal., 2001, pag. 17. 13 Ad es. la “Shaff Kugela”. 10

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2. La Val d’Assa nella Preistoria e nella Storia Fino al 1906, anno della costruzione del primo ponte che unisce anche oggi i paesi di Rotzo e Roana con il resto dell’Altopiano, il fondo della Valdassa era anche transito obbligatorio tra gli abitati di Canove e Roana attraverso la strada comunale del “Grabo”, e coincidente oggi con parte del sentiero CAI 80114, utilizzato a fini escursionistici. L’esistenza di una strada che passava trasversalmente il greto fin da tempi remoti 15 è conferma ulteriore che la portata del torrente Assa, avvicinandosi ad epoca storica, si era ridotta a mera attività di ruscellamento stagionale; si può ipotizzare quindi che la valle sia stata utilizzata anche sulla direttrice longitudinale per collegare la pianura veneta all’Altopiano e alla Piana di Vezzena, tramite un agevole passaggio che conduceva gradatamente in quota. Di questo passaggio di genti, di questa “autostrada dell’antichità”, potrebbe esserne testimone la vasta area graffita presente sulle pareti rocciose della valle e in alcuni altri contesti attigui. Durante gli anni ‘50 del XX secolo alcuni appassionati altopianesi scoprirono i primi graffiti su alcuni massi nella Valle del Bisele16 a cui seguirono i ritrovamenti negli anni ‘70 ed ‘80 delle pareti graffite della Romita, Rössle, Tunkelbalt e St. Antönle17. Del 1954/55 sono i primi contatti con le istituzioni accademiche, in particolare con il Prof. G. Presa dell’Istituto Lombardo di Preistoria di Milano18. I primi ritrovamenti nei siti “Cava degli Orsi” e “Grotta Obar de Leute” - zona del Bisele, ora conservati al Museo Civico di Vicenza e presso l’Istituto di Geologia, Paleontologia e Paleontologia Umana dell’Università di Ferrara19 sono costituiti da manufatti litici quali raschiatoi e punte, riferibili all’industria musteriana20, inquadrabile in Europa al Paleolitico Medio in un periodo tra i 50.000 e i 35.000 anni fa. Oltre alle lavorazioni silicee, nei sedimenti pleistocenici sono stati rinvenuti resti fossili di orso delle caverne, orso bruno, lupo, tasso, criceto, marmotta, stambecco e cervo. Le stazioni graffite della Val d’Assa e del Bisele invece, non presentando tracce di industrie litiche o di reperti organici, sono state da subito al centro di discussioni sulla loro datazione; 14

Sezioni Vicentine del CAI, 2011. Priuli in AA.VV., 2000, pag. 151. 16 Confluente nella Val d’Assa tra il paese di Canove e contrada Sculazzon. 17 Ass. Ass Taal, 2001, pag. 8. 18 Dalla relazione a cura di Associazione Ass Taal, allegata al progetto esecutivo ammesso ai benefici della L.R. n. 25/87 della Regione Veneto. 19 Gruppo Ass Taal, 1993, pagg. 100 e 102. 20 G. Presa E C. Maviglia, “Una stazione musteriana sull’Altopiano dei Sette Comuni” Rivista di Scienze Preistoriche, vol. IX, pp. 139-147, 1954. 15

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le incisioni, eseguite principalmente con la tecnica a polissoire21 presentano in effetti molte problematiche cronologiche, ancora oggi dibattute22. Altri sono i motivi di interesse per questa valle in termini di presenza umana; uno è certamente legato alla già citata strada comunale che risalendo dall’alveo verso il paese di Roana, costeggia una collina che si erge isolata sulla scarpata a nord, offrendo un riparo protetto e strategicamente sicuro23 e che ancora oggi porta il caratteristico toponimo di “Kestele24“, ovvero “castello” in lingua cimbra. Queste relazioni tra uomo e ambiente, questi antichi passaggi ed attraversamenti del territorio pertengono a dinamiche che dovrebbero essere approfondite anche per il villaggio del Bostel di Rotzo, posto sulla sommità di un pianoro sovrastante la parte terminale della Val d’Assa. L’abitato, che presenta due fasi di frequentazione25 indica, in quanto a documentazione archeologica, un’abbondante presenza di elementi ceramici di importazione dai centri di pianura, da un piccolo areale vicentino e da un ambiente retico-alpino26. Sulla piana del Vezzena, da dove nasce il torrente Assa e l’omonima valle, è attestata invece la presenza di numerosi forni fusori dell’Età del Bronzo le cui scorie sono ancora oggi abbondantemente rinvenibili27; tutta la zona della piana, che si caratterizza per l’abbondante presenza di acqua – necessaria ad alcune fasi della lavorazione del rame e del bronzo - indica un’importante attività di lavorazione metallurgica sin dall’epoca eneolitica. La mancanza dei minerali cupriferi negli altipiani di Luserna, Vezzena e Lavarone invece, suggerisce che l’estrazione doveva obbligatoriamente avvenire in altri luoghi, presumibilmente nel distretto metallifero dell’Alta Valsugana28 dove vi si trovano ricchi giacimenti di rame29. L’ubicazione dei forni sugli altipiani per contro, era dovuta al facile reperimento di grande quantità di legname necessario alla realizzazione delle carbonaie per la produzione del combustibile, elemento indispensabile per raggiungere le alte temperature dei processi di fusione.

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Ass. Ass Taal, 2001, pag. 34. Cfr. infra. 23 Priuli, 1983, pag. 17. 24 Non risulta che questa località sia mai stata indagata archeologicamente. 25 Bronzo recente-evoluto e finale, XII-X sec. a.c. e II^ Età del Ferro – romanizzazione. 26 Gruppo Ass Taal, 1993, pag. 129. 27 Archeidos, 2006, pag. 6. 28 Ibidem, pag. 5. 29 De Guio e Zammatteo, 2005, pag 111. 22

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La presenza dei pascoli inoltre, era fondamentale per il supporto all’attività metallurgica; solo attraverso il bestiame30 infatti si poteva contare su un’alimentazione adeguata per i lavoratori impegnati nel ciclo metallurgico, oltre a garantire il trasporto dei minerali31. Si venne così a delineare nel tempo quella “Via del Rame”32 che vedeva nella piana del Vezzena e dintorni il fulcro della lavorazione dal grezzo al prodotto finito in forma di pani e, nelle vie che ne dipartivano, il flusso degli scambi verso le regioni transalpine e i grandi centri della pianura padano-veneta. Erano scambi commerciali atti a procurare prodotti alimentari e oggetti di artigianato specializzato (in metallo, ambra, osso, pasta vitrea, ecc.) e per i quali il villaggio del Bostel a Rotzo e monte Corgnon a Lusiana fungevano da intermediari, essendo ubicati in posizioni strategiche su testate collinari agli sbocchi vallivi33. La via verso la pianura sembrerebbe quindi aver traversato l’Altopiano dei Sette Comuni in due direttrici che presumono un passaggio “obbligato” in Valdassa almeno fino all’intersezione con la Val Scaletta, pochi chilometri prima dell’attuale abitato di Camporovere, dove la valle principale si incassa rapidamente in profondità. Quest’ultima ipotesi non è suffragata da molte fonti storiche o da inequivocabili testimonianze archeologiche, ma osservando l’orografia dei rilievi che costeggiano il bacino dell’Assa, risulta assai poco probabile che si potessero scegliere vie alternative, che obbligatoriamente avrebbero comportato la necessità di un’ascesa a quote più alte e quindi a direttrici più scomode ed impervie.

Un accenno a questo proposito è rintracciabile nell’opera postuma dell’Abate Agostino Dal Pozzo, che a proposito delle vie che raggiungevano l’Altopiano nel ‘700 scrive: “Si può salire su queste montagne, chiamate con ragion la barriera e l’antemurale del territorio Vicentino per venti e più strade... ...le quali tutte sono più o meno malagevoli e scoscese. Parecchie sono praticabili per cavalli, altre per soli pedoni, ma niuna per i carri”. Vengono poi descritte una per una e in merito a quelle che salgono dalla “Valle dell’Astego”: “V’ha poi un sentiero appena praticabile ai pedoni pel torrente Valdasse...”34. In un intervento sul volume “Storia dell’Altipiano Dei Sette Comuni – Territorio ed Istituzioni”35 inoltre, l’allora ispettrice della Soprintendenza Archeologica di Padova, Elodia Bianchin 30

Generalmente capre e pecore. De Guio e Zammatteo, 2005, pag 112. 32 Sebesta, 1992. 33 De Guio e Zammatteo, 2005, pag 113. 34 Dal Pozzo, 2007, pagg. 157 – 159. 31

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Citton scriveva, riferendosi alla frequentazione umana dell’Altopiano durante le prime fasi dell’Età del Bronzo: “Il raggiungimento dell’Altipiano agli inizi dell’età dei metalli potrebbe essere stato motivato, oltre che da pratiche d’alpeggio e attività venatorie, dalle potenzialità minerarie degli altipiani di Vezzena e Lavarone, nel finitimo territorio trentino, a cui gruppi umani della fine del III e del II millennio a.c. avrebbero potuto accedere risalendo la Val d’Assa.” Anche Jacopo Bonetto, nell’interessante volume36 sulle vie di transumanza da Padova alla montagna veneta scrive: “importanza minore37, ma non trascurabile, dovevano rivestire le aree pedemontane e di versante tra la Valdastico e il Piave... ...dalle quali avevano origine sin da età protostorica flussi di transumanza «verticale» che veniva in età romana ad intersecarsi e integrarsi con gli spostamenti provenienti dalla bassa pianura. In tutto questo contesto, un ruolo dominante doveva essere svolto dall’acrocoro dei Sette Comuni, dove le tre grandi subregioni di Asiago, di Marcesina e di Vezzena rappresentavano scenari naturali di enormi potenzialità per l’allevamento ovino e caprino e dove per tutto il Medioevo e l’età moderna hanno trovato un ideale capolinea flussi massicci di migrazioni stagionali.”38

Relativamente al periodo che va dalla romanizzazione fino ad epoca altomedievale non vi sono descrizioni dettagliate della frequentazione stanziale umana in Altopiano, tantomeno per quanto riguarda la valle; questo può essere uno dei motivi per i quali anche la questione cimbra, in particolare l’origine di questa lingua minoritaria, è stata ed è ancora motivo di dibattito tra gli storici. Luciano Bosio, in merito all’ipotesi di un itinerario romano lungo la Val d’Astico, sembra confermare un accesso al territorio altopianese dallo sbocco vallivo dell’Assa nei pressi di Pedescala: “Possiamo solo ritenere che questa via dovesse toccare il paese di Pedescala, all’altezza del quale si apre sull’Altipiano dei Sette Comuni la Val d’Assa, e che una laboriosa mulattiera, partendo probabilmente dalla vicina frazione di Barcarola, risalisse questa angusta valle per raggiungere la località di Bostel – Castelletto...” 39. Nel 568 d.c., dopo un movimento migratorio durato secoli, si insediarono in Italia i Longobardi, consolidando le proprie strutture economiche e sociali e fondando numerosi Ducati, che godevano di una certa autonomia rispetto al governo centrale insediato a Pavia. 35

Bianchin Citton in AA.VV., 1994, pag 148. Bonetto, Le vie armentarie tra Patavium e la montagna, Assessorato ai Beni Culturali Provincia di Padova e Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Padova – 1997. 37 rispetto all’asse che seguiva il Brenta. 38 Bonetto, 1997, pagg. 147 e 148. 39 Luciano Bosio in AA.VV., 1994, pag 202. 36

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Il saggio di Simeone Zordan, “La Valle dell’Astico – Corte Longobarda” racconta come un documento del 1204 conferma che esistesse un “Ducato Vicentino”40. Esso era diviso in due parti, la “Curtis de Valle” con centro a Caltrano e la Corte dell’Altopiano, “con centro Rotzo ed il suo Castelletto”. Vi è una lunga descrizione sui confini della Corte ed in particolare, per la zona altopianese: “La destra... ...comprendeva tutte le montagne dell’Altopiano. Saliva sulle Vezzene e, lasciata da parte Luserna scendeva per la Val Tora, nell’Astico. Proseguiva quindi fino al greto del fiume e raggiunta Pedescala, saliva entro la Valdassa fino al torrente Ghelpak. Da qui volgeva a mezzogiorno, saliva per i Cavrari e divideva Treschè Conca ad ovest e Treschè Cesuna ad est. Si dirigeva quindi verso il Giovetto e Magnaboschi (Selva Magna) e costeggiava le montagne di Caltrano...”.

Una fondamentale testimonianza storica sull’importanza della Valdassa quale principale via di collegamento, compare poi in documenti del 1487 in merito ai passaggi da difendere durante la guerra tra Sigismondo - Duca d’Austria e Conte del Tirolo - e la Repubblica di Venezia. Paolo Zammatteo lo riporta direttamente dal testo di D. Reich, “Notizie e documenti su Lavarone e dintorni, 1973”: “...Di tutte queste strade e sentieri, la più comoda da battere era quella da Val d’Assa alle Vezzene, la quale appunto servì a vicendevoli invasioni ai belligeranti...”41. La vicenda viene riportata anche nella Storia dell’Altopiano dei Sette Comuni: “…tra il primo e l’8 giugno un buon numero, concentratisi a Caldonazzo, salirono sull’altopiano di Lavarone e di lì, attraversati senza contrasto i boschi delle Vezzene, scesero per la Val d’Assa nel cuore dei 7 Comuni;”42 Qualche anno dopo fu la volta di Massimiliano I° d’Austria; in tempi di guerra cambrica, dopo essersi fatto incoronare Imperatore dei Romani dal vescovo di Trento, Giorgio di Neideck, per passare “ostilmente” attraverso la Repubblica Veneta in direzione di Roma, Massimiliano decise di muovere da Caldonazzo verso le alture di Lavarone; di qui “si diresse a marce forzate verso la Val d’Assa”43.

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Nicolussi Moz, 2001, pag. 22. De Guio e Zammatteo, 2005, pag 24. 42 In AA.VV., Storia dell’Altipiano dei Sette Comuni – Territorio ed Istituzioni, pagg. 11 e 12, con fonte G. Onestinghel, La Guerra tra Sigismondo Conte Del Tirolo e la Repubblica di Venezia nel 1487 – in “Tridentum” – 1905. 43 Nicolussi Moz, 2001, pag. 108. 41

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Gli abitanti dei Sette Comuni, informati dell’imminente invasione “andarono incontro al nemico armati di archibugio e balestra”; ma l’esercito austriaco “sbaragliò quella piccola resistenza e aprì al grosso la via per Asiago. Dalla Val d’Assa affluirono verso il pianoro d’Asiago 4000 fanti e 1500 cavalli con ogni sorta di strumenti bellici. Qui, preso possesso d’Asiago, le milizie si attendarono.” E ancora “i soldati percorrendo tutt’attorno la conca, saccheggiavano Roana, Rotzo, Gallio, Foza e Canove.” 44 Poi la neve cadde abbondante e costrinse l’esercito a tornare verso Caldonazzo. Un’altra attestazione di quanto fosse considerato strategicamente fondamentale il passo vallivo si evince dagli scritti dell’Abate Modesto Bonato, nella sua Storia dei Sette Comuni, nel volume edito nel 1859, parimenti riferito al 1508: “…il luogo che si prese a fortificare con maggiore diligenza ed importanza di lavori, si fu quello che i nostri chiamano tuttavia la Scaletta del Rastello45 nel letto della Valdassa… …e che potendosi la Valdassa praticare poi da carri e cavalli, l’esercito di Cesare46, come altra volta, per di qua di preferenza, si sforzerebbe di irrompere verso le praterie di Asiago, d’onde proseguirebbe a Bassano.”47 Scendendo oggi da Passo Vezzena in direzione dell’Altopiano attraverso la Strada Provinciale n. 349, si scorge dopo pochi chilometri sulla sinistra l’Antica Osteria Al Termine; il nome non è casuale, anzi, conferma quello che da epoca protostorica può essere considerata una terra di confine; lo fu tra la cultura retica e quella paleoveneta48, lo fu certamente dal 917 d.c. grazie alla donazione di Berengario I° che concedeva i possedimenti dell’Altopiano (“dall’Astico al Brenta”) a Sibicone, Vescovo di Padova49; continuò ad esserlo per i cinque secoli50 di esistenza della Spettabile Reggenza dei Sette Comuni. Diventò poi frontiera, in seguito alle parentesi austriache e francesi di fine ‘700 e primi dell’’800, tra l’Impero Austro Ungarico e il Regno d’Italia. Dopo il 1918, la zona divenne linea di demarcazione amministrativa interna all’Italia e attualmente delimita la Provincia di Vicenza dalla Provincia di Trento. La Valdassa fu inoltre zona di interesse fondamentale nell’ambito delle operazioni belliche relative alla Grande Guerra, diventando negli anni centrali del conflitto la prima linea che contrapponeva gli eserciti austriaco e italiano. 44

Ibidem, pag. 109. Corrispondente all’attuale Val Scaletta. 46 Massimiliano I° d’Austria. 47 Bonato in AA.VV., 1994, pag. 13. 48 Bressan e Padovan, 2011, pagg. 12 e 13. 49 Bonetto, 1997, pag 149. 50 Dal 1310 al 1807. 45

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Essa, in particolare, è ampiamente citata in questo senso nell’opera di Carlo Emilio Gadda, Giornale di Guerra e Prigionia e nelle note autobiografiche di Lebel Bruschelli, trascritte da Lucio Fabi per le edizioni Mursia. Sono ancora oggi facilmente rinvenibili numerosi reperti bellici, ripari in grotta, resti di trincerazioni e numerosissime incisioni graffite, almeno nella parte di competenza roanese, spesso sovrapposte a quelle più antiche. L’elemento architettonico che più attira l’attenzione in tutta la Valdassa è tuttavia il “Ponte di Roana”, con l’imponenza dei suoi quasi 90 metri d’altezza. Ottenutane l’edificazione dopo molti anni di contrasti interni tra gli abitanti delle due sponde della valle, venne inaugurato il 17 luglio 1906 tra festeggiamenti sicuramente inconsueti tra gente di montagna dei primi del ‘90051. Per fermare l’avanzata austriaca della Strafexpedition durante la Grande Guerra, il ponte fu fatto saltare nel pomeriggio del 22 maggio 191652 ma pochi anni dopo venne ricostruito e il 24 settembre 1924 fu inaugurato l’attuale, dall’allora Presidente del Consiglio B. Mussolini53. Il manufatto è certamente un opera architettonicamente pregevole che oggi rappresenta anche un valore storico e testimoniale, oltre ad essere ormai divenuto un elemento caratterizzante dello skyline della valle.

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Lobbia e Bonato, 1998, pag. 44. Ibidem, pag. 55. 53 Ibidem, pag. 60. 52

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3. Biodiversità, elementi peculiari e curiosità del contesto vallivo L’aspetto vegetazionale individuato da un primo progetto54 di rivalutazione dell’area è senza dubbio un’altra peculiarità del “sistema Valdassa”. Caratterizzata da vegetazione di transizione, dal querceto misto al faggeto, la gola presenta condizioni microclimatiche, oltre a cospicui interventi antropici che hanno favorito la presenza soprattutto di Picea Excelsa (abete rosso). Presenza di felci, noccioli, salici, farfaracci, varie specie igrofile oltre a piante rare come la Primula Auricolae e la Cortusa Matthioli o ancora di altre con caratteristiche di altitudine più elevata, come il Pinus Mugo, il Rhododendrum Ferrugineum e il Rhododendrum Hirsutum, inducono a segnalare anche questo importante aspetto nella descrizione dell’area55. Il Carpino nero e l’Orniello invece, sono due inusitate tipologie di latifoglie presenti nel tratto roanese inferiore della valle56. Il patrimonio silvo-pastorale del Comune di Roana, con i suoi 7839 ettari, è il più esteso della provincia di Vicenza e il secondo del Veneto, rappresentando il 70% dell’intero territorio comunale57. Il “Piano di Riassetto Forestale” (2000-2009) ne ha rideterminato la suddivisione portando da sei a quattro le unità gestionali e individuando nella Valdassa un comprensorio a sé stante, composto di 85 particelle forestali per un totale di 2041,90 ettari, di cui l’89,1% a superficie boscata, il 3,4% ad arbusteto, il 2,1% a prateria e il 5,4 a “superficie improduttiva”, ovvero i sentieri, le strade silvopastorali, i rilievi rocciosi, eventuali fabbricazioni isolate58. A poche centinaia di metri dalla scarpata valliva, tra le località Toccoli e Rendela, sono da segnalare invece i sedimenti di depositi vegetazionali databili 2,5/2,0 milioni di anni fa; la scoperta, avvenuta in seguito a bonifiche della zona acquitrinosa ha indotto esperti della materia a svolgere degli studi scientifici, già negli anni ‘60, al fine di stabilire le specie vegetazionali del Terziario nel momento di transizione al Quaternario.

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Primo progetto di rivalutazione della Valdassa, a cura della Comunità Montana Spettabile Reggenza dei Sette Comuni, Comune di Roana e Associazione Ass Taal, 1987. 55 Tratto dalla relazione a cura di Associazione Ass Taal, allegata al progetto esecutivo ammesso ai benefici della L.R. 25/87 della Regione Veneto. 56 Rodeghiero, 2002, pag. 29. 57 Ibidem, pag. 19. 58 Ibidem, pag. 21.

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Sono state individuate molte specie arboree, alcune delle quali non più presenti in Europa: la Tsuga59, la Pterocarya, abbondanza di Fagus, Pinus e Picea, granuli di Taxus, resti di Quercus, di Castanea sativa e altri. Lo studio del “Deposito di Contrada Toccoli”, assieme al “Deposito del Fortino”, che apparteneva allo stesso contesto – ma che è stato separato in seguito all’incisione della Valdassa –, rappresentano gli unici due esempi in Altopiano tramite i quali sia possibile ricostruire la radicale trasformazione vegetazionale quaternaria, in quanto le espansioni glaciali altrove cancellarono gran parte delle tracce lasciate precedentemente, conservando limitatissimi lembi dei quali quelli di Contrada Toccoli e del Fortino sono due rari esempi60. Anche la fauna trova nella valle un riparo sicuro e protetto dalle attività umane; il “Piano Faunistico Provinciale” ha individuato nel Comune di Roana, nonostante tutto il territorio si presti alla proliferazione di animali selvatici, solamente due oasi di rifugio: le località Lintiche e Tannabek a Cesuna e la Valdassa, dal Clochabek alla Val Martello 61. Si annoverano, solo a titolo esemplificativo tra le varie specie presenti nell’ambito, il capriolo, il cervo, il camoscio presente sui sovrastanti monti Meatta e Verena, la volpe, la faina e la donnola, il tasso, il ghiro, lo scoiattolo, avifauna comune, i tetraonidi, i rapaci, anfibi e vipere ma anche lepidotteri e imenotteri, sino alla Formica Rufa, instancabile “progettista” dei caratteristici formicai che possono raggiungere in casi eccezionali i due metri d’altezza. Altre particolarità naturalistiche e idrogeologiche possono essere rintracciate nella zona delle sorgenti “Rust” e nell’area attigua alle cavità carsiche nei dintorni della Val Martello, presso il paese di Mezzaselva; in particolare, la grotta delle “Selighen Baibelen”, come il già citato Tanzerloch, alimenta da secoli le leggende popolari tramandate fino ai giorni nostri62.

Un ulteriore elemento di antropizzazione che sarebbe certamente degno di indagine è il sistema della vallecola del “Grabo”, con il suo mulino (foto) e le relazioni con l’abitato di Roana e la valle. Testimonianze locali ricordano ancora l’attività mugnaia almeno fino agli anni ‘50, epoca in cui si cominciarono ad abbandonare le tradizionali attività contadine per abbracciare un’economia legata all’edificazione e al turismo di massa.

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Oggigiorno presente solo in America del Nord e Giappone. Ibidem, pagg. 8-11. 61 Ibidem, pag. 56. 62 Frescura, estratto 1895, pag. 490. 60

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Del mulino, del quale si dice esista ancora la macina in pietra sepolta sotto gli abbondanti detriti oggi visibili, rimane solamente un rudere, con parte dell’alzato in pareti di sasso che evidenzia però ancora il foro che ospitava l’asse orizzontale per la ruota idraulica. Nel 2002, grazie al programma comunitario Leader II, azioni n. 5 e 12, venne invece inaugurato l’Ecomuseo del Ghertele, per recuperare la dismessa malga di proprietà del Comune di Roana. I progettisti intesero rivalutare una zona, quella del Ghertele, che già presentava importanti elementi legati prevalentemente ad un’economia silvo-pastorale, di malga e ad altre attività ad essa connesse, come le “calcare” e le “carbonare”. La località Ghertele, che in lingua cimbra significa “piccolo giardino”, occupa trasversalmente il letto della Valdassa ed oltre, a circa metà strada tra il Vezzena e Camporovere. Il sistema dell’ecomuseo comprende l’ex stalla della malga riattata a centro didattico e polifunzionale e il sentiero letterario63 che, partendo dalla stalla, si snoda per circa tre chilometri attraverso l’abetaia e i pascoli, fino ad arrivare a Malga Pusterle, tutt’oggi aperta e funzionante. Lungo la passeggiata si incontrano tre aree didattiche, a differenti tematiche, che raccontano l’immaginario popolare legato alla leggenda della “Ghertelina” e ad altri miti, i vecchi mestieri del bosco e le antiche attività delle malghe, che da secoli fanno parte della proprietà collettiva degli abitanti dei Sette Comuni. Purtroppo bisogna constatare che la gestione del centro non ha dato i risultati attesi – per varie motivazioni che saranno trattate in parte all’ultimo capitolo – e dal 2011 la struttura è chiusa. Da ultimo si vuol riportare la segnalazione di due miniere di materiali preziosi in Valdassa, che viene fornita dall’Abate Dal Pozzo nelle sue memorie storiche, testo fondamentale per chiunque voglia avvicinarsi alla storia dell’Altopiano dei Sette Comuni: “Si hanno indizj di miniera anche in due luoghi della Valdassa, cioè al principio di essa valle, in una fessura a sinistra del torrente, la vena della quale pare che attraversi il letto del medesimo, nel minerale della quale trovasi qualche piccolissima gemma di un color rosso chiaro simile al rubino, che potrebbe forse allettare allo scavamento... ...Più addentro nella Valdassa appiè d’una roccia, dove giù piomba l’acqua della vallicella, ch’è a levante della Chiesa di Rotzo, è stato

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È un sentiero a “mobilità dolce” che lungo l’itinerario propone delle tabelle con passi degli scritti di Mario Rigoni Stern, che trattano di argomenti inerenti al contesto come il bosco, gli animali selvatici, le stalle e il lavoro di malga.

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cominciato uno scavo, ed inoltrato alquante pertiche colla speranza, come dice la tradizione, di trovar dell’oro ovvero dell’argento�64.

64

Dal Pozzo, 2007, pag. 219.

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4. La parete graffita del Tunkelbalt: una questione ancora aperta La testimonianza più numerosa con più di 10.000 incisioni catalogate, più varia e più discussa della vallata è certamente la parete del Tunkelbalt, un roccione calcareo in rosso ammonitico di 50X15 metri65, affiorante dal fondo valle in un tratto particolamente stretto della stessa, a poche centinaia di metri dall’antica strada comunale. Il sito è stato individuato solo alla fine degli anni ‘70; sul volume Storia dell’Altipiano dei Sette Comuni – Territorio ed istituzioni66 Piero Leonardi racconta che la scoperta, presso località “Bistar – Lear”, poi rinominata “Tunkelbald” è da attribuire al prof. Mario Basso di Asiago e che la prima comunicazione ufficiale alla Soprintendenza competente si debba al sig. Giuseppe Rigoni Stern. Cita anche un successivo sopralluogo con l’ispettrice di zona della Soprintendenza. La comunicazione ufficiosa della scoperta venne divulgata invece tramite mezzi di stampa, già dal 1979 dal Gruppo Archeologico Vicentino67. La relazione del 17 giugno 1980 dell’ispettore di zona Marisa Rigoni attribuisce a Giuseppe Rigoni Stern la scoperta del sito; si segnalano inoltre le preoccupazioni per i primi atti vandalici. Del 1982 è invece la primissima pubblicazione scientifica, a cura di P. Leonardi – G. Rigoni – A. Allegranzi. La parete del Tunkelbalt, essendo l’area a maggior concentrazione graffita, fu interessata quasi immediatamente da campagne di rilevamento delle incisioni, precedute da una “pulizia integrale delle rocce ed in particolare dei settori incisi”68, con la direzione del dott. Ausilio Priuli69 che comunicò l’avvio della procedura con lettera alla Soprintendenza di Padova, ovvero che si sarebbe proceduto a “rilevamento, pulizia, catalogazione e studio delle incisioni”70. L’intera operazione condotta sotto la direzione del dott. Priuli e con l’entusiastica collaborazione di appassionati locali tra cui il gruppo culturale Ass Taal di Canove di Roana, durò dal settembre 1981 al settembre 198371.

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Dalle ultime misurazioni contenute nel progetto di restauro conservativo del 2010. Pagg. 216 e 217. 67 Protocollo n. 101 del 7/1/1980, lettera di Giuseppe Rigoni Stern alla Soprintendenza Archeologica di Padova. 68 Priuli, 1983, pag. 21. 69 Archeologo, direttore del Museo d’Arte e Vita preistorica di Capo di Ponte – Valle Camonica – Brescia. 70 Nota protocollo n. 9280 del 04/12/1981 della Soprintendenza Archeologica di Padova. 71 Priuli, 1983, pag. 56. 66

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Si procedette poi ad una classificazione dei glifi su basi tipologiche e comparative con altri siti72 alpini di arte rupestre attribuendone una datazione spalmata tra il Neolitico e l’età moderna, lungo un arco di tempo di circa seimila anni73. L’entusiasmo di questa e delle altre scoperte nella Valdassa e nella Valle del Bisele, le prime pubblicazioni scientifiche, le mostre fotografiche aperte al pubblico e il crescente interesse della comunità scientifica indussero gli Enti territoriali come il Comune di Roana e la Comunità Montana Spettabile Reggenza dei Sette Comuni ad attivarsi per la tutela e la valorizzazione, anche a fini turistici, della parete e di tutto il contesto; inoltre, le sempre più frequenti segnalazioni di atti vandalici sulle rocce incise dovuti alla notorietà delle recenti rivelazioni accellerarono i procedimenti amministrativi. I progetti si susseguirono denotando un continuum di attività negli anni dal 1987 al 1994, data in cui venne realizzata la recinzione del sito. I primi anni ‘90 videro la realizzazione di parte degli intendimenti progettuali, specificati nella relazione a corredo di una comunicazione del Comune di Roana all’Amministrazione Provinciale di Vicenza74. Altri interventi, sulle pertinenze, con la creazione di un’aula didattica all’aperto e tabellonistica si riscontrano negli anni successivi, grazie ad un piano di rivalutazione ambientale di parte dell’area valliva, con fondi del Programma Comunitario 5B. Purtroppo le ottime intenzioni progettuali proposte nel corso degli anni rimasero in gran parte sulla carta, nonostante l’ininterrotta attività di valorizzazione turistica che svolse - in particolare sul Tunkelbalt - il Gruppo Ass Taal prima e la società Archeidos s.r.l. poi, incaricata dal Comune di Roana con l’autorizzazione della Soprintendenza Archeologica. Dalla metà degli anni ‘90 non risultano altri interventi sulla parete se non un intervento di imbrigliamento del terreno sovrastante il roccione, svolto in economia dal Comune di Roana dopo un più ambizioso progetto, inviato in Soprintendenza75 dall’Ufficio Tecnico Comunale e che avrebbe dovuto riguardare l’applicazione di una tettoia a riparo delle incisioni per impedire il deflusso di acque di percolazione ed eventuali cadute di pezzi di roccia, ma che non fu mai eseguito. Lo stesso fu inviato a seguito di una prima segnalazione76 dell’architetto Carmelo Conti che nel 1998 notava la caduta di piccoli frammenti di roccia e da un’altra nota77 del sig. Calogero 72

Valle Camonica, Valtellina, Monte Bego, altri. Priuli, 1983, Proposta preliminare di definizione cronologica della Val d’Assa, tavola a pag. 51. 74 Protocollo n. 5888 del 09/06/1993 del Comune di Roana. 75 Protocollo n. 4304 del 01/06/2001 della Soprintendenza Archeologica di Padova. 76 Protocollo n. 4073 del 06/03/1998 della Soprintendenza Archeologica di Padova. 73

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Grado, al tempo accompagnatore ai graffiti per il gruppo Ass Taal, che lamentava la poca sicurezza del sito. Dopo un breve periodo di chiusura dell’area, a seguito dei lavori di imbrigliamento e di una convenzione78 tra il Comune e la Soprintendenza per l’accesso alla zona archeologica, le guide ripresero. Le visite, organizzate due volte alla settimana o su richiesta, per sette mesi all’anno, sono garantite anche oggi, nonostante sia evidente che il sito necessiti di forme di protezione e di conservazione piÚ adeguate. Dal 2009 si riscontravano i primi problemi di accelerazione anomala del decadimento strutturale della parete rocciosa, che avrebbero portato il Comune di Roana a segnalare alla Soprintendenza una sospetta emergenza archeologica, confermata nel dicembre del 2010 con la presentazione del progetto di restauro conservativo commissionato dal Comune di Roana con la direzione scientifica della stessa Soprintendenza79.

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Ibidem, n. 5012 del 27/03/2001. Siglata tra il Segretario Comunale di Roana e il Soprintendente il 15/07/2003. 79 Cfr. infra. 78

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5. La problematica datazione delle incisioni rupestri

Pur subendo i già citati problemi di attribuzione cronologica, si può certamente dire che i graffiti della Val d’Assa rappresentano una ricchezza testimoniale di prim’ordine, offrendo un ventaglio di ipotesi che ancora oggi non mancano di provocare discussioni anche tra gli esperti più accreditati. Essi raffigurano figure geometriche varie, figurazioni vegetali, animalistiche, antropomorfe, sessuali, figure di abitazioni, incisioni cuneiformi, simboli solari, figurazioni ed incisioni lineari non figurative, ideogrammi e segni alfabetici o numerici, stelle a cinque punte. Nel 1996 fu organizzato dall’associazione Ass Taal, in collaborazione con i Comuni di Roana e Gallio, un convegno internazionale con la partecipazione pluridisciplinare di eminenti archeologi, storici, geografi, geologi, rappresentanti della Soprintendenza per i Beni Archeologici e delle Università di Padova e Milano e di altri esperti per tentare di attribuire una datazione condivisa. Confronti tipologici, contestuali e, per la prima volta, considerazioni di carattere geologico, furono vagliati e discussi ma il convegno stesso portò alla luce l’evidente difficoltà di assegnazione di date certe e inequivocabili. E’ interessante osservare dalla fase dibattimentale pubblicata che i pareri, a tratti fortemente contrastanti, riflettono la specializzazione riferita agli assertori di una o dell’altra ipotesi; ad esempio, per citare gli estremi temporali delle varie teorie, gli archeologi protostorici tendono ad una attribuzione, per le incisioni più antiche, ad un’età del Bronzo recente o Età del Ferro, un medievalista è più propenso per una datazione medievale o addirittura basso medievale, anche per i graffiti ritenuti più antichi80. Sembra invece definitivamente abbandonata l’idea a riferimenti neolitici. Un aspetto innovativo del simposio citato fu certamente la testimonianza di Franz Mandl81, esperto dell’arte rupestre delle Alpi Austriache, il quale pose a confronto due significative aree dell’altopiano del Dachstein Orientale che presentavano significative somiglianze con i nostri graffiti, sia tipologicamente sia, per la prima volta da quando si discuteva sull’arte rupestre dell’Altopiano, con la formazione rocciosa su cui le incisioni insistono.

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AA.VV., Le Incisioni Rupestri della Val D’assa: ipotesi a confronto, si veda il dibattito da pag. 241 a pag. 253. 81 Con relazione presentata da Doris Bonaccorsi Hild.

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La roccia infatti, anche qui è composta di calcare solubile in acqua con una “crosta di disgregazione” facilmente incidibile; “il processo di disgregazione delle incisioni rupestri è quindi per lo più lo stesso”82. In Austria e in Baviera, sin dal 1980, furono avviati lavori di ricerca che non si basavano più solamente considerando il criterio tipologico, ma sviluppavano una ricerca comparata che tenesse conto anche della disgregazione delle tacche di incisione rupestri. Ovviamente anche questa teoria, per quanto valida, non può risolvere completamente il problema della datazione (che gli studiosi austriaci attribuirebbero per lo più ad un’attività incisoria di epoca moderna), essendo necessario valutare oscillazioni dovute a fattori esogeni quali gli agenti atmosferici e la variazione del livello del fondo valle. È inoltre importante indicare che nessuno studio geologico di sedimentazione ed erosione dell’alveo del torrente è stato mai condotto83, nonostante sia evidente da testimonianze locali che la forra, anche in tempi recenti (1957 e 1966), fu interessata da abbondanti alluvioni che possono anche aver modificato le pareti rocciose e conseguentemente gli spessori della crosta di disgregazione, oltre alle patine e agli ossidi. Rimangono inoltre fondamentali per una completa analisi plurisettoriale, gli approfondimenti su studi degli attraversamenti e degli insediamenti locali, come già indicato precedentemente. Da ultimo mi sembra necessario ricordare che, a prescindere da qualsiasi attribuzione cronologica delle incisioni, esse rappresentano pur sempre un’importantissima attestazione culturale, storica ed archeologica che deve essere protetta e conservata; se sul piano dell’interesse una datazione posteriore delle incisioni non fa alcuna differenza, la formulazione di una scala cronologica più certa potrebbe addirittura arricchire ed allargare la proposta culturale, di interesse e di studio per il Tunkelbalt ed il contesto vallivo.

82 83

Mandl in AA.VV., 2000, pag. 181. Priuli in AA.VV., 2000, pag. 246.

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CAPITOLO II PROFILI GIURIDICI DEL PATRIMONIO CULTURALE DELLA VALDASSA

1. L’interesse culturale del Tunkelbalt dalla sua scoperta ad oggi Per comprendere il senso delle iniziative finora attuate o proposte per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale della Val d’Assa occorre innanzitutto qualificare giuridicamente il sito del Tunkelbalt a partire dalla sua scoperta “ufficiale”, che risale alla fine degli anni ’70 del secolo scorso. Con nota del 2 novembre 1979 (prot. n. 7270), il Prof. Piero Leonardi dell’Istituto di Geologia di Ferrara scrisse alla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Padova, segnalando per la prima volta le incisioni rupestri e attribuendone la scoperta a Giuseppe Rigoni Stern e Mario Basso. All’epoca vigeva la L. 1 giugno 1939, n. 1089 (“Tutela delle cose d’interesse artistico e storico”), la quale sottoponeva a speciale protezione “le cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico”, comprese quelle “che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà” (art. 1). Secondo quanto previsto dall’art. 4 di tale legge, sarebbe stato compito dei rappresentanti degli enti locali interessati presentare “l’elenco descrittivo delle cose indicate nell’art. 1” di loro spettanza e denunciare “le cose non comprese nella prima elencazione e quelle che in seguito vengano ad aggiungersi per qualsiasi titolo al patrimonio dell’ente”, fermo restando che esse sarebbero state sottoposte alla normativa di tutela “anche se non (…) comprese negli elenchi e nelle dichiarazioni di cui al presente articolo”. Tuttavia, né dagli archivi della Soprintendenza, competente per la tutela, né da quelli del Comune di Roana, proprietario dell’area, risulta alcuna corrispondenza relativa alla descrizione e/o alla dichiarazione di interesse culturale del sito nel periodo immediatamente successivo alla sua scoperta. La prima comunicazione ufficiale di cui vi è traccia intervenne molto tempo dopo e – per così dire – “al contrario”, in quanto fu la Soprintendenza, il 22 agosto 1985, a notificare al Comune di Roana “l’importante interesse delle incisioni rupestri della Val d’Assa ai sensi dell’art.

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4 della L. 1.6.1939, n. 1089”84. In realtà, la stessa Soprintendenza aveva già invitato da qualche anno il Comune a collaborare alla protezione dell’area in cui erano stati individuati i graffiti rupestri, senza però dichiararne espressamente l’interesse culturale: ad una prima comunicazione del 198085 seguì un periodo di studi, conferenze e sopralluoghi86 che terminò con una riunione, tenutasi ad Asiago il 17 settembre 1982, presso la sede della Comunità Montana “Spettabile Reggenza dei Sette Comuni”, alla presenza di rappresentanti della Soprintendenza, del Comune di Roana e della stessa Comunità Montana, e una relazione conclusiva della Soprintendenza a firma della Dott.ssa Marisa Rigoni87. Sebbene la questione fosse già stata portata da tempo all’attenzione di tutte le istituzioni interessate, certo è che la notifica del 1985 costituisce una presa d’atto formale dell’interesse culturale del sito in base alla disciplina allora vigente. Non sembrano esservi dubbi, quindi, sul fatto che a partire da questa data il Tunkelbalt sia stato sottoposto a tutti gli effetti alla normativa di tutela delle cose di interesse artistico e storico. Ciò nonostante, la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto ritenne di notificare al Sindaco di Roana, con prot. n. 13975 del 3 ottobre 2011, l’avvio d’ufficio di un procedimento di verifica dell’interesse culturale del sito, ai sensi dell’art. 12, comma 2, del D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e succ. modd. (“Codice dei beni culturali e del paesaggio”). A prima vista la cosa potrebbe apparire sorprendente. Perché avviare infatti un procedimento di verifica quando la stessa Soprintendenza, nel 1985, aveva già notificato al Comune “l’importante interesse delle incisioni rupestri della Val d’Assa ai sensi dell’art. 4 della L. 1.6.1939, n. 1089”? Una targa in legno a lato della recinzione del Tunkelbalt – posata nel 1997 su progetto del Comune avallato dalla Soprintendenza, con inciso “Val d’Assa località Tunkelbald (bosco scuro) m. 826 slm - area archeologica vincolata ex legge 1089 del 1 giugno 1939”– è lì a ricordarlo. Inoltre, come si vedrà meglio in seguito, nel 1989 il Ministero dei Beni Culturali aveva autorizzato un progetto di restauro e conservazione della parete graffita dal costo considerevole, assumendone direttamente la spesa: il che dimostra come il suo interesse culturale fosse all’epoca del tutto evidente. Anche la Carta Archeologica del Veneto88, del resto, riconosce il sito come vincolato dalla L. n. 1089/1939, quale luogo di “interesse artistico, storico, archeologico o etnografico”, precisando che le incisioni sono sottoposte “a tutte le disposizioni” di tutela archeologica in essa contenute. Va infine ricordato che sul 84

Prot. n. 6054 del 22.08.1985 della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Padova. Prot. n. 6024 del 08.09.1980 della Soprintendenza. 86 V. infra, cap. III. 87 Prot. n. 5646 del 21.09.1982 della Soprintendenza Archeologica di Padova. 88 Le Zone Archeologiche del Veneto - Elenco e delimitazioni ai sensi delle leggi 1° giugno 1939, n. 1089 e 8 agosto 1985, n. 431, pag. 177. 85

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sito del Tunkelbalt insisteva anche un vincolo paesaggistico-ambientale ai sensi della L. 8 agosto 1985, n. 431 (c.d. “legge Galasso”), il medesimo imposto ai siti della “Cava degli Orsi” e della “Grotta Obar de Leute”, per i quali però, secondo la stessa Carta, non sussistono né vincolo archeologico né norme specifiche di tutela archeologica. Perché quindi, una nuova verifica dell’interesse culturale quando tutte le premesse lo davano come già acclarato e confermato? La risposta sembra essere che dopo l’entrata in vigore del Codice la Soprintendenza abbia inteso fugare ogni eventuale perplessità circa l’interesse culturale del bene servendosi degli strumenti messi a disposizione dalla nuova normativa. La disciplina codicistica della verifica contiene in effetti rilevanti novità rispetto al passato. Il regime previsto dall’art. 4 della L. n. 1089/39 – integralmente ripreso dall’art. 5 del D. Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (“Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali”)89 – era incentrato sulla redazione di “elenchi descrittivi” dei beni culturali pubblici da parte degli enti proprietari e sulla loro comunicazione alla Soprintendenza, la quale poteva a sua volta pronunciarsi con una lettera “declaratoria”: né l’una (la comunicazione) né l’altra (la declaratoria) avevano tuttavia un valore costitutivo del carattere storico o artistico dei beni trattandosi di meri atti dichiarativi, frutto di una collaborazione tra enti e Ministero per catalogare le cose già assoggettate a tutela dalla legge90. Naturalmente, un tale sistema dava luogo a non poche incertezze circa l’effettiva natura giuridica dei beni pubblici, portando ad una sorta di “presunzione generale di culturalità”91. L’art. 12 del Codice costruisce invece un percorso molto più lineare e in grado di condurre ad esiti sicuri. Esso stabilisce infatti che “i competenti organi del Ministero, d’ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono e corredata dai relativi dati conoscitivi, verificano la sussistenza dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico” nelle cose appartenenti agli enti pubblici, compresi quelli territoriali, “sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero medesimo al fine di assicurare uniformità di valutazione” (comma 2). L’accertamento dell’interesse, “effettuato in conformità agli indirizzi generali di cui al comma 2, costituisce dichiarazione ai sensi

89

A causa dei limiti imposti dalla legge di delega, il Testo Unico n. 490/1999 non poté consentire una radicale riforma del sistema, ma rivelò pur sempre capacità fortemente innovative, dovendo “riunire e coordinare tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali e ambientali”. Cfr. Tamiozzo, 2004, pag. 16. 90 Le dichiarazioni da parte degli enti territoriali sortivano anche un altro effetto, consistente nell’’assoggettamento dei beni compresi negli elenchi al regime proprio dei beni demaniali, così come previsto dagli artt. 822 e 824 del Codice Civile. 91 Barbati, Cammelli e Sciullo, 2006, pagg. 12-13, secondo cui l’unica incertezza della disciplina “riguarda il fatto se, oltre all’appartenenza del bene ad un soggetto pubblico (…) si richieda anche un fumus (o parvenza) di culturalità. Nel silenzio della norma la risposta affermativa pare la più equilibrata e più aderente alla ratio del meccanismo di accertamento previsto”.

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dell’articolo 13”, con la conseguenza che “i beni restano definitivamente sottoposti alle disposizioni” del Codice (comma 7). Se a ciò si aggiunge che tra i vari strumenti di governo del territorio che si occupano del sito – di cui si parlerà più ampiamente nei paragrafi successivi – ci sono alcune incongruenze circa la sua qualificazione e che non tutte le classificazioni testuali e grafiche coincidono92, si può ritenere che l’intenzione della Soprintendenza sia stata quella di fare finalmente chiarezza, arrivando ad una dichiarazione dagli effetti pienamente costitutivi93 che riconosca una volta per tutte l’interesse culturale del Tunkelbalt. Ma c’è di più. Nella nota inviata dal Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto alla Soprintendenza di Padova – in cui si chiede di procedere ad una verifica dell’interesse culturale del bene ai sensi dell’art. 12 del Codice, segnalandone l’urgenza e invitando il Comune ad “ogni possibile collaborazione” per i provvedimenti del caso94 – si fa riferimento all’art. 10, comma 3, lettera e), relativo alle “collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricompense fra quelle indicate al comma 2 e che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica rivestano come complesso un eccezionale interesse”. Non un “semplice” interesse, quindi, ma un interesse qualificato, addirittura “eccezionale”.

92 Ad es., sulla tavola n. 9 del PTRC, adottato con deliberazione di Giunta Regionale n. 372 del 17 febbraio 2009, il Tunkelbalt non è nemmeno segnalato, mentre i siti del Ghelpak e il Bostel sono qualificati come “zona archeologica”. 93 Secondo un orientamento condiviso da gran parte della dottrina e della giurisprudenza: v., ad es., Cons. St., Sez. VI, n. 678/2000 e n. 1479/1998, secondo cui il vincolo storico-artistico su un bene demaniale non scaturisce direttamente dalla legge, ma richiede la “preventiva adozione di un atto formale avente valore costitutivo”; nello stesso senso Tamiozzo, 2004, pagg. 45-46, in cui si osserva che la qualificazione di bene “riconosciuto” richiama la necessità di un atto formale. 94 Prot. n. 18805 del 03.11.2010 della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto.

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2.

La Val d’Assa tra paesaggio e urbanistica

Alla luce di quanto si è visto fin qui, si deve ritenere che nonostante il procedimento di verifica recentemente avviato dalla Soprintendenza il Tunkelbalt fosse già soggetto alla normativa di tutela delle cose di interesse artistico e storico almeno a partire dalla metà degli anni ’80. Lo stesso non può dirsi per la restante area della Val d’Assa, la quale non è stata considerata un luogo di interesse storico, archeologico, etnografico e/o ambientale meritevole di protezione ai sensi della L. n. 1089/1939 o della L. 29 giugno 1939, n. 1497 (“Protezione delle bellezze naturali”). Forse è anche per questo che le varie iniziative per la tutela, valorizzazione e promozione del sito succedutesi negli anni, con l’unica eccezione del progetto del 1987 (su cui ci si soffermerà più avanti) 95, non si sono mai collegate ad una proposta unitaria e organica di valorizzazione dell’intera zona Il progressivo ampliamento delle nozioni di “paesaggio” e “beni paesaggistici” registratosi negli ultimi decenni – e che ha trovato piena consacrazione con il Testo Unico del 1999 e il Codice del 200496 – ha tuttavia consentito di applicare anche alla Val d’Assa una serie di norme e strumenti a salvaguardia delle sue caratteristiche culturali e ambientali. La L. 8 agosto 1985, n. 431 (c.d. “legge Galasso”), che convertì con modificazioni il D.L. 27 giugno 1985, n. 312, recante “disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale”, fu la prima legge italiana che in modo radicalmente innovativo tutelava i beni paesaggistici e ambientali a prescindere dal riconoscimento del loro “notevole interesse pubblico” ai sensi della L. n. 1497/193997. Quest’ultima richiedeva la presenza di “cospicui caratteri di bellezza” – termine intrinsecamente soggettivo – naturale o estetica nelle cose da tutelare (art. 1), imponendo la formazione di due distinti elenchi – uno delle c.d. “bellezze individue” e uno delle c.d. “bellezze d’insieme” – da parte di una Commissione provinciale appositamente costituita (art. 2). La nuova normativa estendeva a varie aree, individuate in base alle loro caratteristiche morfologiche e/o culturali – tra cui “i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi”, “i territori coperti da foreste e da boschi” e le “zone di interesse archeologico” (art. 1) –, il vincolo paesaggisticoambientale previsto dall’art. 1 della L. n. 1497/1939, non considerandolo come un divieto assoluto di edificabilità o di modifica del territorio, ma come un complesso di obblighi derivanti da un più severo regime di autorizzazioni: accanto alla concessione urbanistico-edilizia del 95

Cfr. infra par. 2., cap. III. V., per tutti, Amorosino, 2010. 97 Tamiozzo, 2004, pag. 168. 96

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Comune era richiesto infatti anche un nulla osta regionale. Essa demandava inoltre alle Regioni il compito di sottoporre a “specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale il relativo territorio mediante la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali” (art. 1-bis), con un potere sostitutivo del Ministero in caso di inerzia o ritardo. La principale novità della legge Galasso era che i beni e le aree paesaggistico-ambientali venivano sottoposti a tutela per il solo fatto di essere stati inseriti in tali piani, senza la necessità di ulteriori provvedimenti amministrativi che accertassero la presenza dell’interesse del singolo bene o della singola area. Alcuni passi in questa direzione erano già stati compiuti in Veneto con la L.R. 27 giugno 1985, n. 61 (“Norme per l’assetto e l’uso del territorio”, promulgata lo stesso giorno del decreto-legge), che, nel disciplinare la gestione e la trasformazione del territorio regionale – secondo la previsione dell’art. 81 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 – mirava ad assicurarne un’“approfondita e sistematica conoscenza (…) in tutti gli aspetti fisici, storici e socioeconomici” e a salvaguardarne e valorizzarne le componenti ambientali e culturali mediante un articolato sistema di pianificazione urbanistico-edilizia. Sulla base di tale normativa la Regione, prima, e gli enti locali (Province e Comuni), poi, adottarono i relativi piani territoriali, nei quali venne ovviamente compresa anche la zona della Val d’Assa. Il sistema creato dalla L. n. 431/1985 è stato successivamente trasfuso nel Testo unico dei beni culturali e ambientali98 e recepito, con alcuni aggiustamenti, dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, come modificato dai D. Lgs. n. 62 e n. 63/2008. Dopo avere affermato che “il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici” (art. 2), confermando lo stretto legame tra le due nozioni risultante dall’art. 9, comma 2, Cost., il Codice definisce il “paesaggio” come “territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni” (art. 131, comma 1), riprendendo quasi letteralmente la formula di cui all’art. 1, lett. a), della Convenzione europea sul paesaggio (Firenze, 20 ottobre 2000). In conformità ai principi costituzionali, alla stessa Convenzione e alle relative norme di ratifica ed esecuzione (art. 132, comma 2), esso impone quindi al Ministero e alle Regioni di cooperare nella pianificazione territoriale e nella gestione dei relativi interventi al fine di “riconoscere, salvaguardare e, ove necessario, recuperare” i valori culturali e identitari di cui il paesaggio è espressione e di assicurare la conservazione dei suoi aspetti e caratteri peculiari (art. 133, co. 2). Quanto ai “beni paesaggistici”, essi vengono distinti in tre fondamentali categorie (art. 134)99: a) immobili e aree di notevole interesse 98 99

Alibrandi e Ferri, 2001, pag. 28 Tamiozzo, 2004, pag. 7

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pubblico (art. 136), individuati con apposito procedimento di dichiarazione (artt. 138-141); b) aree tutelate per legge, tra cui “i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi”, “i territori coperti da foreste e da boschi” e le “zone di interesse archeologico” (art. 142); c) ulteriori immobili e aree individuati per il loro notevole interesse pubblico e sottoposti a tutela dai “piani paesaggistici” elaborati congiuntamente dal Ministero e dalle Regioni (artt. 135 e 143-156). Scopo di tali piani è quello di disciplinare l’uso del territorio, con particolare attenzione alla salvaguardia dei valori paesaggistici (art. 135 comma 1), mediante apposite “prescrizioni e previsioni ordinate in particolare: a) alla conservazione degli elementi costitutivi e delle morfologie dei beni paesaggistici sottoposti a tutela, tenuto conto anche delle tipologie architettoniche, delle tecniche e dei materiali costruttivi, nonché delle esigenze di ripristino dei valori paesaggistici; b) alla riqualificazione delle aree compromesse o degradate; c) alla salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche degli altri ambiti territoriali, assicurando, al contempo, il minor consumo del territorio; d) alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati, con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO” (art. 135, comma 4). In assenza di apposite dichiarazioni di notevole interesse pubblico riguardanti la zona della Val d’Assa, e non potendola ricondurre con certezza ad alcuna delle aree tutelate per legge ex art. 142 del Codice, non resta che analizzare gli strumenti di pianificazione territoriale adottati dalla Regione e dagli enti locali per capire se essi siano in grado o meno di tutelarne e valorizzarne le specificità.

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3. Il Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC) e il Piano d’Area “Altopiano dei Sette Comuni” Conformemente a quanto disposto dalla L.R. n. 61/1985, il Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC) della Regione Veneto fu approvato con deliberazione del Consiglio Regionale n. 250 del 13 dicembre 1991 ed entrò in vigore all’inizio del 1992. Nonostante un certo ritardo rispetto alla previsione legislativa, si trattava pur sempre del primo PTRC di una Regione a statuto ordinario giunto ad approvazione100. Quale principale strumento di pianificazione territoriale della Regione (art. 3), esso si prefiggeva di programmare e disciplinare la gestione e la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio regionale sulla base del Programma Regionale di Sviluppo (art. 4) e nel rispetto dei seguenti obiettivi: 1) salvaguardia e valorizzazione delle componenti ambientali, culturali, economiche e sociali del territorio; 2) equilibrato sviluppo della comunità regionale attraverso il controllo pubblico degli insediamenti produttivi e residenziali secondo criteri di economia nella utilizzazione del suolo e delle sue risorse; 3) approfondita e sistematica conoscenza del territorio in tutti gli aspetti fisici, storici e socio-economici (art. 1). A tal fine il PTRC avrebbe dovuto, fra l’altro, indicare “le zone e i beni da destinare a particolare disciplina ai fini della difesa del suolo e della sistemazione idrogeologica, della tutela delle risorse naturali, della salvaguardia e dell’eventuale ripristino degli ambienti fisici, storici e monumentali, della prevenzione e difesa dall’inquinamento, prescrivendo gli usi espressamente vietati e quelli compatibili con le esigenze di tutela, nonché le eventuali modalità di attuazione dei rispettivi interventi”, determinare “il complesso delle direttive, sulla cui base redigere i piani di settore e i piani di area di livello regionale e gli strumenti urbanistici di livello inferiore” e “il complesso di prescrizioni e vincoli automaticamente prevalenti nei confronti dei piani di settore di livello regionale e degli strumenti urbanistici di livello inferiore”, ponendosi come “quadro di riferimento per ogni programma di intervento di soggetti pubblici o privati di rilievo regionale” (art. 5). All’interno di questo quadro, la salvaguardia delle zone di particolare interesse paesaggistico-ambientale avrebbe dovuto essere assicurata da appositi Piani d’Area volti ad individuare, tutelare e valorizzare le loro specificità. 100

Tutte le informazioni di questo paragrafo sono tratte da www.ptrc.it e dalla stessa documentazione cartacea disponibile in Comune di Roana

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Come previsto dall’art. 6 della legge, il PTRC si componeva: a) di una relazione in cui si indicavano gli obiettivi, i criteri e le principali priorità per l’attuazione degli interventi previsti dal piano e si definivano le aree da sottoporre a particolare disciplina o da assoggettare a piani territoriali con particolari direttive; b) di elaborati grafici e cartografici, distinti in 4 macroaree, dette “sistemi” – ambientale, insediativo, produttivo e relazionale –, contenenti le scelte di politica territoriale da attuare nell’intero territorio regionale e le prescrizioni che le Province e i Comuni dovevano osservare nei propri ambiti di competenza. Nel Titolo II (“Sistema Ambientale”), all’art. 34, si dettavano in particolare “direttive, prescrizioni e vincoli per aree di tutela paesaggistica di interesse regionale a competenza provinciale”, tra cui “quelle di importanza rilevante per il particolare interesse scientifico o ambientale, o perché l’ambito si congiunge e si integra con altre aree di rilevanza sovracomunale”. Tali aree venivano individuate nella carta progettuale n. 5, relativa ad “Ambiti per l’istituzione di parchi e riserve regionali naturali ed archeologici e di aree di tutela paesaggistica”, demandando alla Provincia l’emanazione di ulteriori disposizioni mediante un Piano Ambientale che avrebbe dovuto essere approvato dal Consiglio Regionale. Tra queste, nel settore “Alpino e Prealpino”, rientrava l’Altopiano dei Sette Comuni. Le norme specificamente dedicate alla sua tutela constavano di 40 articoli e di una serie di “concessioni” per progetti di sviluppo, per lo più turistico. Alcune località, tra cui la Val d’Assa, figuravano anche nell’elenco degli “ambiti naturalistici di interesse regionale”, insieme al versante settentrionale e a quello meridionale dell’Altopiano. Si provvedeva inoltre all’indicazione degli ambiti dei Piani d’Area previsti dalla legge. Il Piano d’Area “Altopiano dei Sette Comuni”, oggi denominato “Altopiano dei Sette Comuni, dei Costi e delle Colline Pedemontane Vicentine”, fu approvato dalla Regione con deliberazione di Giunta n. 792 del 9 aprile 2002, oltre dieci anni dopo l’adozione del primo PTRC101. La pianificazione qui si addentrava in profondità nel contesto ambientale con una relazione illustrativa, una serie di norme di attuazione distinte in direttive e prescrizioni/vincoli e il corollario degli elaborati grafico-progettuali relativi ai sistemi “delle fragilità”, “floro-faunistico”, “delle valenze storico – ambientali e naturalistiche”, “relazionale della cultura e dell’ospitalità”, anche in vista di futuri accordi con la Provincia Autonoma di Trento.

101

Il Piano d’Area, per legge di durata quinquennale, risulta oggi a “salvaguardia decaduta”.Se da una punto di vista formale esso ha perso quindi la propria efficacia, sostanzialmente mantiene intatta la propria utilità, fornendo indicazioni e orientamenti agli Enti locali per il governo del territorio.

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Nella relazione illustrativa, che precisava nel dettaglio i “sistemi” previsti dal PTRC, la Val d’Assa era ampiamente citata. In particolare, al punto 4.4 (“Sistemi tematici storiconaturalistici”) si diceva che: “il Sistema della Val d’Assa (…), per la presenza di eccezionalità storico-culturali, gli ambiti di interesse geomorfologico e le peculiarità faunistiche e vegetazionali, costituisce una risorsa di grande valore per l’Altopiano. Il Piano di Area ha come obiettivi la tutela e la valorizzazione turistica e culturale dell’area che garantisca nel contempo la conservazione dei caratteri specifici e una fruizione idonea delle risorse. Sono molti i siti e gli ambiti di interesse storico, archeologico e geomorfologico. L’area della Val d’Assa racchiude le tracce più suggestive degli “uomini altopianesi” dalle epoche più remote fino ai nostri giorni, ed in alcuni siti si intrecciano i segni del cacciatore preistorico con quelli del soldato della Grande Guerra”. E ancora: “Le Incisioni rupestri: lungo la valle le pareti ed i massi isolati incisi sono in grande numero. (Nel sito più noto, denominato Tunkelbald, poco lontano dalla strada che collega Canove con Roana scendendo nel fondovalle, sono state individuate più di 10.000 incisioni)”. La descrizione rinviava quindi alla tavola n. 4, dove erano specificate graficamente le categorizzazioni: nel tratto che va dal ponte di Roana fino all’altezza dell’abitato di Mezzaselva erano esplicitamente indicate le zone riportate in legenda come “incisioni rupestri”, sia pur prive di qualsiasi riferimento cronologico; erano invece indicate come “siti paleolitici” le grotte descritte al capitolo 1 e la Romita, definita come “Petroglifiti di Romita”102, che invece sappiamo avere le stesse problematiche di datazione del Tunkelbalt. La Val d’Assa veniva citata, sia pure in modo cronologicamente “approssimativo”, anche a pag. 46 della relazione, dove si diceva che: “Oltre ai segni della Grande Guerra, l’Altopiano custodisce ancora tracce importanti della preistoria (le incisioni della Val d’Assa, i ritrovamenti di Bostel, Val Lastaro, nella piana di Marcesina e così via) che consentono di conoscere usi e costumi di chi abitò questo territorio 50.000-10.000 anni fa”. Formalmente, la Val d’Assa era classificata come “area di tutela paesaggistica di interesse regionale di competenza provinciale” (v. punto 32 dell’allegato al PTRC: “Ambiti per l’istituzione di parchi e riserve regionali naturali e archeologici e di aree di tutela paesaggistica”). Alla luce delle precedenti citazioni nella relazione e nella cartografia, è tuttavia indubbio che il contesto presenti una certa valenza anche sotto l’aspetto archeologico, pur non rientrando nell’“ambito per l’istituzione di parchi archeologici di interesse regionale” previsto dal PTRC. Il 17 febbraio 2009, con deliberazione di Giunta n. 372, è stato adottato il nuovo PTRC, ai

102

Nella relazione è stato sempre utilizzato il termine “petroglifiti”; il termine corretto è invece “petroglifi”.

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sensi della L.R. 23 aprile 2004, n. 11 (“Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”). In attuazione dell’art. 117, comma 3, Cost., del Codice dei beni culturali e del paesaggio e della L.R. n. 11/2001 sul conferimento di funzioni e compiti alle autonomie locali, tale legge definisce “le competenze di ciascun ente territoriale, le regole per l’uso dei suoli secondo criteri di prevenzione e riduzione o di eliminazione dei rischi, di efficienza ambientale e di riqualificazione territoriale” (art. 1), nel rispetto dei principi di sussidiarietà, adeguatezza ed efficienza, e stabilisce “criteri, indirizzi, metodi e contenuti degli strumenti di pianificazione” per il raggiungimento delle seguenti finalità: a) promozione e realizzazione di uno sviluppo sostenibile e durevole, finalizzato a soddisfare le necessità di crescita e di benessere dei cittadini, senza pregiudizio per la qualità della vita delle generazioni future, nel rispetto delle risorse naturali; b) tutela delle identità storico-culturali e della qualità degli insediamenti urbani ed extraurbani, attraverso la riqualificazione e il recupero edilizio ed ambientale degli aggregati esistenti, con particolare riferimento alla salvaguardia e valorizzazione dei centri storici; c) tutela del paesaggio rurale, montano e delle aree di importanza naturalistica; d) utilizzo di nuove risorse territoriali solo quando non esistano alternative alla riorganizzazione e riqualificazione del tessuto insediativo esistente; e) messa in sicurezza degli abitati e del territorio dai rischi sismici e di dissesto idrogeologico; f) coordinamento delle dinamiche del territorio regionale con le politiche di sviluppo nazionali ed europee (art. 2). Secondo l’art. 3 della legge, la pianificazione territoriale nell’ambito regionale si articola oggi in: a) piano di assetto del territorio comunale (PAT) e piano degli interventi comunali (PI) che costituiscono il piano regolatore comunale (PRC), piano di assetto del territorio intercomunale (PATI) e piani urbanistici attuativi (PUA); b) piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP); c) piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC). Conformemente a quanto previsto dall’art. 24, il nuovo PTRC: a) contiene “i dati e le informazioni necessari alla costituzione del quadro conoscitivo territoriale regionale; b) indica le zone e i beni da destinare a particolare tutela delle risorse naturali, della salvaguardia e dell’eventuale ripristino degli ambienti fisici, storici e monumentali, nonché recepisce i siti interessati da habitat naturali e da specie floristiche e faunistiche di interesse comunitario e le relative tutele; c) indica i criteri per la conservazione dei beni culturali, architettonici e archeologici, nonché per la tutela delle identità storico-culturali dei luoghi, disciplinando le forme di tutela, valorizzazione e riqualificazione del territorio in funzione del livello di inte-

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grità e rilevanza dei valori paesistici; d) indica il sistema delle aree naturali protette di interesse regionale; e) definisce lo schema delle reti infrastrutturali e il sistema delle attrezzature e servizi di rilevanza nazionale e regionale; f) individua le opere e le iniziative o i programmi di intervento di particolare rilevanza per parti significative del territorio, da definire mediante la redazione di progetti strategici di cui all’articolo 26; g) formula i criteri per la individuazione delle aree per insediamenti industriali e artigianali, delle grandi strutture di vendita e degli insediamenti turistico-ricettivi; h) individua gli eventuali ambiti per la pianificazione coordinata tra comuni che interessano il territorio di più province ai sensi dell’articolo 16”. Nel far ciò, esso tiene conto delle importanti novità intervenute negli ultimi anni a livello normativo, amministrativo, culturale e paesaggistico. Nella fase di formazione del piano, la Regione ha conformato la propria attività al metodo del confronto e della concertazione con gli altri enti e amministrazioni e ha assicurato un’ampia partecipazione dei portatori di interessi pubblici e privati coinvolti, come richiesto dagli artt. 2, comma 2, lett. a), e 5 della legge. L’avere stilato un “Documento Programmatico Preliminare per le Consultazioni” adottato con Decreto di Giunta Regionale n. 2587 del 7 agosto 2007, nel quale si delineavano gli obiettivi e le strategie del nuovo PTRC, ha favorito infatti lo scambio e il confronto con le associazioni economiche e sociali e con i gestori di servizi pubblici e di uso pubblico, i quali hanno potuto effettivamente concorrere alla definizione degli obiettivi e delle scelte strategiche del piano. Nello stesso tempo, si è cercato di aggiornarne i contenuti avvalendosi della consulenza di cinque personalità autorevoli del mondo culturale veneto103, le cui riflessioni sono sfociate nella “Carta di Asiago – Fondamenti del buon governo del territorio” del febbraio 2004 e in un successivo convegno tenutosi nella stessa città nel 2006. A ciò possono aggiungersi il documento di studi “Questioni e lineamenti di progetto” del 2005, che rappresentò un primo avanzamento progettuale, il “Convegno di Praglia” del 2006, dal titolo “Il Veneto in Europa: i territori ad alta Naturalità”, che aggiunse un ulteriore tassello alla programmazione, e un secondo convegno, tenutosi ad Asiago il 2 marzo 2007, nel quale furono presentati i primi elaborati del nuovo PTRC.

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Ulderico Bernardi, sociologo; Ferruccio Bresolin, economista; Paolo Feltrin, politologo; Mario Rigoni Stern, scrittore; Eugenio Turri, geografo naturalista.

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4. Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) La L.R. n. 11/2004 prevede, agli artt. 22 e 23, l’adozione del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP)104. Esso è lo strumento di pianificazione che delinea gli obiettivi e gli elementi fondamentali dell’assetto del territorio provinciale, con riguardo alle sue prevalenti vocazioni, caratteristiche geologiche, geomorfologiche, idrogeologiche, paesaggistiche ed ambientali e in coerenza con gli indirizzi per lo sviluppo socio-economico provinciale; in particolare: “a) acquisisce, previa verifica, i dati e le informazioni necessari alla costituzione del quadro conoscitivo territoriale provinciale”, secondo le indicazioni contenute nell’atto di indirizzo di cui all’art. 50, comma 1, lett. f), della legge; “b) recepisce i siti interessati da habitat naturali e da specie floristiche e faunistiche di interesse comunitario e le relative tutele; c) definisce gli aspetti relativi alla difesa del suolo e alla sicurezza degli insediamenti determinando, con particolare riferimento al rischio geologico, idraulico e idrogeologico e alla salvaguardia delle risorse del territorio, le condizioni di fragilità ambientale; d) indica gli obiettivi generali, la strategia di tutela e di valorizzazione del patrimonio agro-forestale e dell’agricoltura specializzata in coerenza con gli strumenti di programmazione del settore agricolo e forestale (…); g) riporta i vincoli territoriali previsti da disposizioni di legge; h) individua e precisa gli ambiti di tutela per la formazione di parchi e riserve naturali di competenza provinciale nonché le zone umide, i biotopi e le altre aree relitte naturali, le principali aree di risorgiva, da destinare a particolare disciplina ai fini della tutela delle risorse naturali e della salvaguardia del paesaggio; i) individua e disciplina i corridoi ecologici al fine di costruire una rete di connessione tra le aree protette, i biotopi e le aree relitte naturali, i fiumi e le risorgive” e fornisce inoltre indicazioni sulla redazione dei Piani di Assetto Territoriale (PAT) di competenza comunale (art. 22, comma 1). Il PTRC è composto: a) da una relazione che espone gli esiti delle analisi e delle verifiche territoriali necessarie per la valutazione di sostenibilità ambientale e territoriale e stabilisce gli indirizzi per lo sviluppo socio-economico nelle materie di competenza provinciale; b) dagli elaborati grafici che rappresentano le indicazioni progettuali; c) dalle norme tecniche che definiscono direttive, prescrizioni e vincoli; d) da una banca dati (art. 22, comma 3). Nell’atto di indirizzo predisposto dalla Regione ai sensi dell’art. 50, comma 1, lettera e), della legge, contenente i criteri per una omogenea elaborazione del PTCP, è stata evidenziata una certa disomogeneità tra i piani provinciali adottati durante la vigenza della L.R. n. 61/1985, 104

Tutte le informazioni di questo paragrafo sono tratte da www.ptrc.it – sezione Piani Territoriali Provinciali – e dalla stessa documentazione cartacea presente negli archivi del Comune di Roana.

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quando pure erano previsti con la denominazione di Piani Territoriali Provinciali (PTP). Per il futuro si è raccomandato quindi l’utilizzo di una medesima grafica, di una simbologia compatibile con quella regionale e di una pianificazione coerente con le finalità contemplate dalle nuove norme sul governo del territorio. L’istituzione di un apposito Ufficio di coordinamento, atto a concordare, confrontare e coordinare le politiche dei vari enti sulla base dei principi costituzionali di sussidiarietà verticale, differenziazione e adeguatezza, dà la misura dello sforzo mirante a raggiungere la massima collaborazione e cooperazione interistituzionale al fine di assicurare una gestione territoriale unitaria. Il nuovo PTCP per la Provincia di Vicenza è stato adottato con deliberazione del Consiglio Provinciale n. 40 del 20 maggio 2010, “controdedotto” con deliberazione n. 30 del 10 maggio 2011. Esso è pervenuto alla Regione l’1 luglio 2011 ed è ancora in attesa di approvazione da parte della Giunta Regionale. Esso si compone di una relazione che ne espone la logica e gli obiettivi e di una serie di elaborati e grafici così identificati: •

“Carta dei vincoli e della pianificazione territoriale”;

“Carta delle fragilità”;

“Sistema ambientale”;

“Sistema insediativo-infrastrutturale”;

“Sistema del paesaggio”.

Particolarmente importanti, in questa sede, appaiono le disposizioni per “la tutela e la valorizzazione del patrimonio agroforestale”, “gli interventi a sostegno della naturalità, per la salvaguardia della flora e fauna, tra i quali la realizzazione dei corridoi ecologici”, le indicazioni relative al “turismo” e ai “territori della montagna”. Nell’ampia relazione introduttiva, il PTCP viene messo a confronto con i vigenti Piani d’Area della Regione per verificarne le compatibilità. Per quanto riguarda la Val d’Assa, esso appare compatibile con le previsioni del Piano d’Area – specialmente a quelle relative ai sistemi “relazione”, “della cultura”, “dei beni storico-culturali e dei sistemi tematici storiconaturalistici” –, di cui recepisce le direttive, fornendo suggerimenti per la formazione dei Piani Regolatori e dei Piani di Assetto Territoriale (PAT) comunali105. Nella stessa relazione si fa quindi riferimento al “Sistema dei Beni Archeologici di interesse provinciale”, procedendo all’individuazione dei “siti archeologici” alla Tavola n. 1 (Carta vincoli – nord) mediante rinvio al volume “Zone archeologiche del Veneto”, edito dalla Re105

Alcuni Comuni, di concerto con altre Amministrazioni, adottano i Piani di Assetto Territoriale Integrati (PATI) come previsto dalla L.R. 11/2004; non è il nostro caso.

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gione e dalla Soprintendenza nel 1987, integrato con i vincoli succedutisi fino al 2005. In realtà, la Carta individua come aree a vincolo archeologico anche altri siti106, non compresi nel volume, per i quali “è necessario che il PTCP formuli una normativa di salvaguardia, con l’obbiettivo che debbano essere fornite indicazioni per il loro recupero, se necessario, per il corretto utilizzo, e in generale per la loro valorizzazione rispetto al contesto in cui si collocano”107. La Val d’Assa e la Valle del Bisele (entrambe qualificate come area a tutela paesaggistica”, limitatamente, per quanto concerne la Valdassa, alla parte di competenza di Rotzo e di Roana fino a Forte Tagliata) 108 sono sottoposte agli ulteriori vincoli “corsi d’acqua” e “idrogeologico” per tutta la loro lunghezza. L’antico Forte Tagliata – importante sbarramento difensivo posto sulla strada sopra la Val d’Assa nei pressi di Camporovere, le cui fondamenta e parte dell’alzato sono attualmente sotterrati e non visibili –compare anche nella Carta “Sistema del paesaggio”, assieme al Ponte di Roana, quali “manufatti di interesse storico”. Nella Carta “Sistema ambientale” è elencata la moltitudine di grotte presenti nella forra, soprattutto nella Valle del Bisele, e l’intera area viene qualificata come “carsica”. Nella “Carta della fragilità”, invece, non sono riportati particolari rischi o dissesti geologici o idrografici, se non nella zona della Rendela, soggetta a frane, o in riferimento alle “scarpate di degradazione”, concentrate nella zona di Rotzo o, ancora, ai “canaloni e coni di valanga” sul versante nord-est di monte Rossapoan.

106

Si tratta di parte dei siti già elencati al Capitolo I. Dalla Relazione adottata ed allegata al PTCP, pag. 196. 108 In linea con quanto previsto dal PTCR del 1992. 107

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5. Il Piano di Assetto Territoriale (PAT) Secondo quanto previsto dall’art. 12 della L.R. n. 11/2004, la pianificazione urbanistica comunale si esplica mediante il Piano Regolatore Comunale (PRC), che sostituisce il precedente Piano Regolatore Generale (PRG) e si articola “in disposizioni strutturali, contenute nel piano di assetto del territorio (PAT), ed in disposizioni operative, contenute nel piano degli interventi (PI)”. Il Piano di Assetto del Territorio (PAT) è lo strumento di pianificazione che delinea le scelte strategiche di assetto e di sviluppo per il governo del territorio comunale, individuando le specifiche vocazioni e le zone non modificabili (“invarianti”) di natura geologica, geomorfologica, idrogeologica, paesaggistica, ambientale, storico-monumentale e architettonica, in conformità agli obiettivi ed indirizzi espressi nella pianificazione territoriale di livello superiore ed alle esigenze dalla comunità locale. Il Piano degli Interventi (PI) è lo strumento urbanistico che, in coerenza e in attuazione del PAT, individua e disciplina gli interventi di tutela e valorizzazione, di organizzazione e di trasformazione del territorio programmando in modo contestuale la realizzazione di tali interventi, il loro completamento, i servizi connessi e le infrastrutture per la mobilità. Il Piano di Assetto del Territorio Intercomunale (PATI), infine, è lo strumento di pianificazione intercomunale finalizzato a pianificare in modo coordinato scelte strategiche e tematiche relative al territorio di più comuni. In questa sede ci si soffermerà unicamente sul PAT che il Comune di Roana ha avviato con la formazione e l’adozione da parte della Giunta Comunale del “Documento Preliminare”109 previsto all’art. 5, comma 5, della L.R. n. 11/2004, la cui relazione conclusiva è stata approvata con deliberazione n. 3 del 19 gennaio 2010, previa concertazione con gli enti competenti in materia di gestione del territorio, le associazioni di categoria, le organizzazioni di volontariato e la cittadinanza in genere. Tenendo conto della Valutazione Ambientale Strategica (VAS), di cui all’art. 4 della legge, esso è strutturato per obiettivi, dai quali dipendono le scelte di organizzazione e gestione del territorio, e prevede, come da atti di indirizzo regionali, quattro tavole di sintesi: •

la “Carta dei Vincoli e della Pianificazione Territoriale”, nella quale sono evidenziate le parti di territorio sottoposte a vincoli di diversa natura;

109

Deliberazione di Giunta Comunale n. 53 del 3 maggio 2007.

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la “Carta delle Invarianti”, per le parti di territorio che si configurano come elementi immodificabili di natura geologica, ambientale, paesaggistica o storico-architettonica e che si configurano caratterizzanti dell’identità dei luoghi;

la “Carta delle Fragilità”, dove vi sono gli ambiti fragili, a rischio o di pericolo per il territorio;

la “Carta della Trasformabilità”, ovvero il progetto per il riassetto territoriale e le indicazioni per lo sviluppo sostenibile che devono necessariamente tener conto delle direttive degli enti sovracomunali e delle indicazioni delle carte di cui sopra.

Oltre a queste “Carte” e alla relazione accompagnatoria, il PAT si è dotato di norme tecniche per direttive e prescrizioni e di una banca dati riepilogativa dei contenuti del piano. Già dalla “Carta dei Vincoli” si può notare come la Val d’Assa, partendo da Forte Tagliata in direzione sud, e la Valle del Bisele (entrambe facenti parte degli “Ambiti naturalistici di livello regionale”) 110, siano considerate soggette a vincolo paesaggistico in quanto “zone di interesse archeologico”, a vincolo “per i corsi d’acqua” e per le “aree boscate” ai sensi del Codice, a vincolo idrogeologico e forestale ai sensi del R.D.L. n. 3267/1923 e in fascia di rispetto idrografico111. Rispetto alla cartografia regionale e provinciale, il vincolo relativo alle zone di interesse archeologico si allarga ulteriormente comprendendo la totalità dei siti graffiti e delle spelonche o cave di interesse preistorico elencati ai paragrafi precedenti. Nella “Carta delle Invarianti” la Val d’Assa e la Valle del Ghelpak sono considerate “invarianti geologiche”, mentre per quello che riguarda le “invarianti di natura storico-monumentale” esse corrispondono alle “zone di interesse archeologico”, qui classificate come “incisioni rupestri” e, per un lungo tratto tra il Ghelpach e l’Assa, anche “trincee”112. Le valli sono anche in zona “usi civici”113. Per la “Carta delle Fragilità”, esse sono “zone di tutela” in quanto “aree di interesse storico, ambientale ed artistico”. Rispetto alla carta provinciale il rischio valanghe del Rossapoan viene ridimensionato mentre l’area di frana della Rendela permane. La “Carta delle Trasformabilità” assume un importante ruolo per il futuro sviluppo in senso turistico-culturale dell’area valliva, inquadrata come ATO114 2.1 “Val d’Assa” e ATO 1.1 “Sistema naturalisti-

110

Norme di Attuazione del PTRC, art. 19. Ai sensi della L.R. 11/2004. 112 Si riferisce alle trincee della 1^ Guerra Mondiale. 113 L’uso civico nasce come figura giuridica nel diritto feudale e favorisce la collettività di riferimento, permettendo la fruizione di beni e frutti di un determinato territorio. Il corpus normativo per gli usi civici è costituito principalmente dalla Legge dello Stato 16/06/1927, n. 1766, dal relativo Regolamento di attuazione R.D. 26/02/1928, n. 332 e dalle successive norme (nazionali e regionali) in materia di usi civici. 114 Ambiti Territoriali Omogenei. 111

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co dei boschi e dei pascoli montani Verena - Meatta”. L’ambito naturalistico di livello regionale, citato dalla carta dei vincoli, corrisponde qui a “Corridoio Ecologico Principale” e ad “Ambito di interesse storico ed ambientale della Val d’Assa e della Valle del Ghelpach”; tutta l’area è attraversata da “Sentieri CAI” e “Percorsi di immersione rurale”. Per la parte a nord di Camporovere, diviene “Area di connessione naturalistica”, mentre l’ambito del Ghertele è classificato tra le “Aree di riconversione e qualificazione” specificandone i “limiti fisici dell’espansione”. Alcuni sentieri e strade contigui sono “Percorsi ciclo-pedonali di interesse ambientale”. La relazione accompagnatoria del PAT non fa altro che confermare gli indirizzi contenuti negli strumenti urbanistici fin qui considerati, perseguendo, tra gli altri, i seguenti obiettivi: •

la tutela e la valorizzazione del paesaggio rurale e montano, delle aree di importanza naturalistica ed ambientale e delle identità storico-culturali;

la promozione e la realizzazione di uno sviluppo sostenibile e durevole, finalizzato a soddisfare le necessità di crescita e di benessere dei cittadini, senza pregiudizio per la qualità della vita delle generazioni future, nel rispetto delle risorse naturali;

assicurare in via generale la salvaguardia delle qualità ambientali, culturali ed insediative del territorio al fine della conservazione, tutela e valorizzazione dei beni naturali, culturali, architettonici ed archeologici presenti;

l’individuazione degli ambiti di particolare valore ambientale e di particolari biotopi;

la tutela e miglioramento delle reti ecologiche naturali e seminaturali;

la tutela e valorizzazione degli elementi e delle forme di particolare interesse geologico (Valle del Ghelpach e Val d’Assa);

la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico della prima guerra mondiale e degli elementi di interesse storico testimoniale;

l’individuazione e valorizzazione dei percorsi storico-ambientali e testimoniali, dei sentieri alpini e delle strade interpoderali;

la salvaguardia dei corsi d’acqua, delle sorgenti presenti nel territorio ed in particolare di quelle utilizzate per fini potabili115.

Nel complesso, si può dire che, al di là dello specifico regime del Tunkelbalt, in tutti gli strumenti di pianificazione territoriale degli enti locali interessati l’area della Val d’Assa è stata adeguatamente riconosciuta e tutelata, sia sotto il profilo culturale (in particolare archeologico), sia sotto il profilo paesaggistico-ambientale. Si sono poste così le premesse per 115

Dalla “Relazione sintetica” allegata al PAT del Comune di Roana, finalità ed obbiettivi per il sistema ambientale.

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l’eventuale futura creazione di un parco naturale: una prospettiva senz’altro auspicabile, che contribuirebbe a rafforzare la salvaguardia del patrimonio naturale e culturale della valle e a riqualificare l’intera zona, favorendo anche lo sviluppo di attività turistiche ecocompatibili.

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CAPITOLO III TUTELA E VALORIZZAZIONE DEL SITO DEL TUNKELBALT

1. I primi passi dopo la scoperta Come si è già avuto modo di anticipare nel capitolo precedente, le istituzioni locali hanno manifestato fin da subito una grande attenzione per il sito del Tunkelbalt. Con deliberazione n. 388 dell’1 dicembre 1981, la Giunta della Comunità Montana “Spettabile Reggenza dei Sette Comuni” incaricò il prof. Ausilio Priuli – Direttore del Museo d’Arte Preistorica di Capo di Ponte116 (BS) e autore di una relazione sul tema che aveva suscitato notevole interesse nella popolazione, ottenendo un certo rilievo nella stampa nazionale – a tenere ad Asiago, nel periodo natalizio, una conferenza “sui graffiti rupestri scolpiti su alcune rocce della montagna che fiancheggiano la Val d’Assa di questo Altopiano”. Successivamente, il 20 gennaio 1982, il Sindaco di Roana scrisse alla Comunità Montana chiedendo “ogni possibile collaborazione attraverso l’Assessorato competente e un contributo sulle spese che si andranno a sostenere” per la valorizzazione di “interessanti graffiti di età preistorica”, che rappresentavano “un rinvenimento importantissimo sia da un punto di vista culturale che da quello turistico”117 . La Comunità Montana rispose in modo decisamente affermativo, chiedendo118 di poter conoscere l’ammontare delle spese previste nel “Piano di valorizzazione dei graffiti”, al quale sarebbe stata ben lieta di partecipare. Nel giugno dello stesso anno, con deliberazione n. 240, stanziò dunque la somma di Lire 3.500.000 per una “campagna di studio graffiti in località Valdassa del Comune di Roana”, precisandone la destinazione con successiva deliberazione n. 385 del 18 ottobre 1982. In tali documenti venne espressamente riconosciuto che la campagna condotta sotto la direzione scientifica del Prof. Priuli aveva “dato risultati sorprendenti”: dopo avere rilevato su carta numerose incisioni, il gruppo di lavoro era giunto infatti alle conclusioni che molte delle figure fossero di epoca preistorica. Venne stabilita quindi una maggiorazione della spesa“per effetto del protrarsi degli studi”, autorizzando il finanziamento di due missioni di “ricerca archeologica, rilevamen-

116

Capodimonte nel testo della delibera. Nota prot. n. 498. 118 Nota prot. n. 836 del 10/03/1982. 117

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to, studio, documentazione, esplorazione, analisi arte rupestre preistorica, protostorica e storica” nei mesi di giugno e settembre 1982. Nel 1983 furono organizzate ad Asiago (ad agosto) e a Roana (a dicembre) due mostre sulle campagne effettuate, con esposizione dei rilievi, le cui spese furono condivise tra il Comune di Roana e la Comunità Montana119. L’entusiasmo per l’evento fu tale che il bibliotecario che si era occupato dell’organizzazione della mostra ad Asiago dovette chiedere alla Comunità Montana “di poter trattenere i rilievi a grandezza naturale relativi ai settori n. 1, 2, 3 fino a lunedì 5 settembre, scadenza nella quale saranno consegnati alla Comunità stessa dal sottoscritto”, protraendo di fatto l’esposizione prevista inizialmente per il solo mese di agosto, “visto l’enorme successo e i notevoli consensi che la presente mostra sta ottenendo (n. 2 comunicati su TG3, articoli sui giornali, centinaia di visitatori, tra i quali anche docenti dell’istituto di archeologia di Padova)”120. Sempre nel 1983 venne dato alle stampe il primo volume121 sulle incisioni rupestri a cura del Prof. Priuli (250 copie del quale furono acquistate122 dalla Comunità Montana) e si accentuò ulteriormente l’interesse dei media per il sito del Tunkelbalt (al quale fu dedicato un apposito spazio nella rubrica“Cronache Italiane” del TG1). Non mancarono nemmeno gli apprezzamenti degli enti sovracomunali per la mobilitazione locale dovuta ai ritrovamenti: in una missiva della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Padova al Comune di Roana e alla Comunità Montana dell’8 marzo 1985 si esprimevano soddisfazione e plauso per la recente costituzione del gruppo culturale Ass Taal (in verità esistente dal 1983), che molto si prodigò per la valorizzazione delle incisioni e che operò attivamente almeno fino al 2001. Purtroppo, come spesso accade in questi casi, il fermento e l’euforia dell’opinione pubblica (locale e non solo) furono accompagnati anche da contestazioni e polemiche, relative soprattutto alla paternità della scoperta e alla denominazione del sito, di cui vi è traccia in alcune note pervenute alla Soprintendenza. Tanto che, nel luglio 1983, lo stesso Prof. Priuli comunicò123 di non poter rispettare gli accordi a suo tempo conclusi con gli amministratori della Comunità Montana “a seguito di “interferenze esterne”, di disaccordi locali e problemi politici interni”.

119

Deliberazioni della Comunità Montana, n. 389 del 13 gennaio 1984 e n. 9 del 3 gennaio 1985. Nota del Comune di Asiago prot. n. 3027 del 17 agosto 1983. 121 Ausilio Priuli, Le Incisioni Rupestri dell’Altopiano dei Sette Comuni, Priuli & Verlucca, 1983. 122 Delibera di Giunta n. 362 del 04/10/1983. 123 Nota protocollo n. 1050 del 23/07/1983 della Soprintendenza Archeologica di Padova. 120

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2. Il progetto del 1987: tutela e valorizzazione del Tunkelbalt nel più ampio contesto della Val d’Assa Il primo vero progetto per un intervento di tutela e valorizzazione dei graffiti della Valdassa fu il risultato di un lavoro congiunto tra il Comune di Roana e la Comunità Montana. Nel luglio del 1987, con la consulenza scientifica del gruppo Ass Taal e l’avallo della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Padova, i due enti presentarono di comune accordo un ambizioso piano di interventi per tutto il contesto vallivo. La pratica per la richiesta di contributo, del complessivo ammontare di Lire 350.000.000, fu istruita dalla Comunità Montana. Secondo quanto previsto dall’art. 1, commi 1 e 2, della Legge Regionale 4 giugno 1987, n. 25 (“Assegnazione di contributi agli enti locali per la esecuzione di opere pubbliche di interesse regionale finanziate con mutui della Cassa Depositi e Prestiti”), il Consiglio regionale avrebbe dovuto approvare entro il 31 maggio 1987 il programma delle opere pubbliche – predisposto dalla Giunta sentiti i rappresentanti regionali dell’ANCI, dell’UPI e dell’UNCEM e concernente, fra l’altro, i “beni culturali” – “da ammettere a contributo in favore degli enti locali ai fini del finanziamento delle opere medesime mediante concessione dei mutui della Cassa depositi e prestiti ai sensi dell'articolo 10 - quarto comma - del decreto-legge 2 marzo 1987, n. 55”. All’art. 3, comma 1, della stessa legge si precisava inoltre che la Regione avrebbe potuto contribuire al finanziamento delle opere nella misura “del 12% della spesa ammessa”. Nella premessa della relazione tecnica allegata al progetto si attestò che “A seguito di domanda in data 23/02/1987 (…), la Comunità Montana dei 7 Comuni è stata ammessa ai benefici di cui alla L.R. 25/87 per la realizzazione del ‘Progetto di tutela e valorizzazione dei Graffiti della Valdassa’ in Comune di Roana per l’importo complessivo di L. 350.000.000”. Conformemente alle previsioni legislative, con decreto n. 736 del 2 settembre 1987, la Giunta regionale confermò quindi la concessione di un contributo del 12%, corrispondente a Lire 42.000.000. Nello stesso decreto si faceva riferimento alla delibera n. 287 del 27 luglio 1987 della Comunità Montana, con la quale era stato approvato il progetto esecutivo dell’intervento, stabilendo che la spesa eccedente l’importo ammesso al contributo regionale sarebbe stata coperta contraendo un mutuo con la Cassa Depositi e Prestiti. Tuttavia, il 22 settembre 1987 la Cassa Depositi e Prestiti comunicò alla Comunità Montana (prot. n. 4403) la propria indisponibilità “alla concessione del mutuo in oggetto in quanto trattasi di opera non finanziabile”, facendo così venire meno anche il contributo regionale.

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Con nota prot. n. 11383/3.2.1 del 6 ottobre 1987, la Giunta ribadì infatti che quest’ultimo sarebbe stato erogato “con separato provvedimento a comprovata formale concessione del mutuo integrativo da parte della Cassa DD.PP. per la parte eccedente il contributo regionale”. Si trattava di un vero e proprio smacco alla causa di chi in quegli anni si prodigava per tutelare e valorizzare i graffiti del Tunkelbalt e l’intera area della Val d’Assa, con un entusiasmo che traspare chiaramente dalle carte dell’epoca e che è andato via via riducendosi con il passare del tempo. In particolare, il progetto del 1987 prevedeva una serie di ricognizioni preliminari volte ad individuare le specificità dell’area in relazione ad almeno cinque ambiti tematici principali124: •

paletnologico/archeologico, per la presenza, su tutta la lunghezza della parte sinistra della valle, di almeno cinque siti ricchi di incisioni rupestri e due siti con tracce di industria litica. Esistenza inoltre di altri numerosi roccioni isolati, caratterizzati da altre incisioni;

paleontologico, concordante con i due siti sopracitati, per la presenza di resti di fauna, in particolare di Ursus Spaeleus, Ursus Arctos, Canis Lupus e altri. Anche in questo senso, la zona presentava e presenta ancora un vasto territorio di ulteriore esplorazione scientifica;

geomorfologico, in tutta la Valdassa specialmente nelle valli del Grabo e del Ghelpach (o Bisele): la particolarità consisteva nell’insolita presenza nella vallecola del Grabo di un flusso costante d’acqua, cosa perlomeno singolare per la natura calcarea della zona e che permise, in tempi passati, lo sfruttamento di un mulino le cui tracce erano e sono ancora presenti; la valle del Bisele, invece, risultava particolarmente interessante per gli ampi ripari di roccia e le numerose spelonche carsiche;

vegetazionale, per i suoi aspetti microclimatici e quindi la presenza di piante rare o non propriamente endemiche e per i numerosi interventi umani;

storico, per le stazioni graffite di epoca storica ed in particolare per il ruolo della valle nel periodo bellico della 1^ Guerra Mondiale.

A seguito di tali studi si sarebbe dovuto procedere ad una classificazione dei siti in tre tipologie – archeologici, naturalistici e storici – e ad interventi, previsti per stralci, che avrebbero dovuto portare: •

alla realizzazione di un museo archeologico e di un sistema di protezioni passive per i primi;

124

Tratto dalla relazione a cura di Associazione Ass Taal, allegata al progetto esecutivo ammesso ai benefici della L.R. 25/87 della Regione Veneto.

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alla creazione di una serie di orti botanici per i secondi;

ad una messa in opera di percorsi per il trekking e il recupero dell’antico mulino per i terzi.

Nel complesso, l’iniziativa dimostrava una notevole ampiezza di vedute, non limitandosi a considerare i soli aspetti di interesse archeologico e paletnologico della parete graffita, ma allargando lo sguardo all’intero contesto culturale e ambientale della Val d’Assa, e una piena convergenza di obiettivi tra le istituzioni coinvolte, essendo condivisa da tutti gli enti preposti alla tutela, valorizzazione e fruizione dell’area.

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3. Il progetto del 1988: tutela e valorizzazione dei graffiti e creazione di un museo archeologico Il secondo progetto, commissionato l’anno dopo dal Comune di Roana all’architetto Carmelo Conti di Vicenza, si rifaceva sostanzialmente al primo con alcuni aggiustamenti. In particolare, venivano aggiornati i costi di realizzazione, si prevedevano interventi più specificamente rivolti alla parte archeologica, si ipotizzavano azioni volte alla valorizzazione e alla fruizione turistica del sito del Tunkelbalt (anche attraverso tecnologie di rilevamento fotogrammetrico e l’utilizzo di grafica computerizzata) e si sottolineava l’urgenza degli interventi per problemi di vandalismo. Pur trattandosi di un intervento più incisivo del precedente sotto il profilo archeologico, esso appariva prevalentemente concentrato sulla tutela della parete graffita e la valorizzazione delle pertinenze per accedervi, in un’ottica di fruizione del solo sito del Tunkelbalt e non più dell’intera area valliva. Ci si andava così allontanando da quegli obiettivi, inizialmente perseguiti dalle istituzioni locali e sicuramente condivisibili alla luce della normativa vigente, di salvaguardia del bene culturale all’interno di un contesto ambientale e paesaggistico più ampio. La proposta di realizzazione di un museo archeologico, anch’essa ripresa dal progetto precedente, completava il quadro. La normativa di riferimento, in questo caso, era unicamente quella statale. Il D.L. 7 settembre 1987, n. 371, convertito nella L. 29 ottobre 1987, n. 449, contenente“Interventi urgenti di adeguamento strutturale e funzionale di immobili destinati a musei, archivi e biblioteche e provvedimenti urgenti a sostegno delle attività culturali”, autorizzava infatti la spesa di 620 miliardi di Lire “per la realizzazione di un programma di interventi urgenti volto a garantire (…) l’adeguamento strutturale e funzionale degli immobili statali e di enti pubblici destinati a musei, archivi e biblioteche, delle aree archeologiche”. In attuazione del disposto legislativo, l’allora Ministero per i Beni Culturali e Ambientali adottò un decreto del 18 marzo 1988, intitolato “Istruzioni procedurali per la predisposizione del nuovo programma di interventi urgenti sui beni culturali ed ambientali, previsto dal decretolegge 7 settembre 1987, n. 371, come modificato dalla legge di conversione 29 ottobre 1987, n. 449”, secondo cui gli enti pubblici e i privati intenzionati a chiedere “l’intervento diretto o il contributo dello Stato” avrebbero dovuto “far pervenire entro il 20 aprile 1988 la domanda e la relativa documentazione alle competenti soprintendenze per i beni ambientali, architettonici, archeologici, artistici e storici”.

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Su queste basi si attivò direttamente il Comune di Roana, senza l’ausilio della Comunità Montana. Esaminando il carteggio del periodo si nota un’attività febbrile da parte degli uffici volta alla presentazione del progetto, specialmente nel mese di aprile. L’invio di tutta la documentazione entro i termini previsti dal decreto fu reso possibile grazie all’approvazione di due distinte delibere della Giunta comunale del 12 aprile 1988: la n. 120 per la parte relativa al museo archeologico e la n. 121 per i lavori sui graffiti. Con la delibera n. 121 (“Progetto dei lavori di tutela e valorizzazione dei graffiti della Valdassa. Opere per le incisioni rupestri in località Tunkelbalt”) si approvò il piano di interventi per la parete del Tunkelbalt, comprensivo della realizzazione o sistemazione di sentieri per l’accesso, passerelle e scalette, piazzole di sosta, parapetti, panchine, tabelloni didattici, segnaletica di indicazione, movimenti terra, imbrigliatura e arginatura di acque torrentizie, diserbatura, disboscamento, asportazione di muschi e licheni, pannellature di protezioni della parete, rassodamento della roccia, chiusura di fessurazioni ecc. Il tutto per un costo preventivato di Lire 359.814.000. Con nota prot. n. 4327 del 24 agosto 1988, il Sindaco, su suggerimento del progettista, informò la Regione di avere presentato il progetto al Ministero tramite la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Padova con la relativa richiesta di finanziamento. Il 7 settembre la Regione comunicò di essersi espressa favorevolmente in merito, fermo restando che la competenza sulla determinazione finale del contributo spettava al Ministero. L’iter procedimentale prevedeva anche una perizia di stima degli interventi da parte della Soprintendenza, che ridimensionò in Lire 150.000.000 il costo dei lavori125 . Il 28 dicembre 1989 il Ministero, con proprio decreto, autorizzò la spesa così stimata. Ad una richiesta di notizie126 del Sindaco di Roana circa lo stato della domanda di finanziamento per la somma ammessa, la Soprintendenza rispose127 che l’impegno finanziario gravava su un capitolo di spesa di competenza del Ministero, per cui la gestione amministrativa dell’intervento sarebbe stata svolta dagli uffici padovani. Successivamente, nel mese di dicembre 1990, una comunicazione128 del Ministero informò la Soprintendenza che il precedente decreto di autorizzava alla spesa era stato sostituito e che la nuova autorizzazione, per una spesa di pari importo, era stata decretata il 15 novembre 1990. La relativa comunicazione

125

V. perizia di spesa n. 72 del 31 agosto 1989, redatta a cura della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Padova per l’Ufficio Centrale per i Beni Ambientali, Architettonici, Archeologici, Artistici e Storici del Ministero. 126 Nota protocollo n. 1190/88 del 19/02/1990 del Comune di Roana. 127 Nota protocollo n. 1445 del 12/03/1990 della Soprintendenza Archeologica di Padova. 128 Nota protocollo n. 4223 dell’Ufficio Centrale del Ministero per i Beni Ambientali, Architettonici, Archeologici, Artistici e Storici.

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venne inviata al Comune il 5 gennaio 1991, specificando che i lavori sarebbero potuti iniziare solo dopo l’avvenuto deposito delle somme presso la Banca d’Italia. La concessione edilizia del Comune di Roana alla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Padova – visti i pareri della Commissione Edilizia comunale, della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Verona, dell’Amministrazione Provinciale e del Servizio Forestale Regionale – venne rilasciata il 17 maggio 1991 e i relativi lavori si svolsero tra l’estate del 1992 e quella del 1993. La relazione dell’Arch. Conti del 22 settembre 1993 descrive, in particolare, gli interventi di pulitura, spazzolamento con pennelli di nylon, le sette prove chimiche per individuare la procedura di pulitura più corretta, le fasi di stesura del trattamento protettivo a base di resine acriliche e siliconiche, oltre agli interventi strutturali e di rilevamento di cui si dirà al prossimo paragrafo. La comunicazione dello stesso progettista, attestante la conclusione definitiva dei lavori – comprensivi dei “lavori di correzione”, per opere in legno in collaborazione con il Servizio Forestale Regionale e alcune tabelle di indicazione – è dell’estate del 1997. Con la delibera n. 120 del 12 aprile 1988 (“Progetto dei lavori di tutela e valorizzazione dei graffiti della Valdassa. Ristrutturazione edificio comunale ad uso museo, sito in frazione di Canove”) la Giunta approvò il progetto di massima di adeguamento strutturale e funzionale di un immobile di proprietà del Comune, oggi sede della Polizia Locale, da adibire a museo archeologico dedicato ai graffiti, prevedendo a tal fine una spesa di Lire 203.900.400. La relativa richiesta di finanziamento venne inviata alla Soprintendenza alle Antichità delle Venezie di Verona il 15 aprile 1988 e da questa inoltrata ai competenti uffici del Ministero. Agli atti del Comune di Roana sono conservati due telegrammi, uno del 3 e uno del 6 ottobre 1988, nei quali il Sottosegretario ai Beni Culturali Beniamino Brocca, prima, e l’On. Laura Fincato, Capogruppo del Partito Socialista Italiano e membro della Commissione Cultura della Camera dei Deputati, poi, comunicavano la concessione di un finanziamento “per l’edificio” di Lire 150.000.000, successivamente destinato alle opere di tutela e valorizzazione del sito del Tunkelbalt. Nel frattempo la Giunta aveva approvato un’ulteriore delibera (la n. 270 del 26 settembre 1988) concernente “l’iniziativa per intervento ai sensi della L.R. 15/01/1985, n. 6 – adeguamento strutturale e funzionale di un immobile di proprietà comunale da destinare a museo archeologico”, nella quale si prevedeva di finanziare l’opera “con il contributo regionale e per la parte che non troverà copertura con tale contributo mediante ulteriore contributo ai sensi della legge n. 449 del 29/10/87”. Si intendeva così ottenere un doppio finanziamento per il medesimo intervento, da parte statale e da parte regionale. Solo in data 23 febbraio 1990

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si venne a sapere che la richiesta alla Regione era stata respinta “per carenza dei requisiti di legge”129. A quell’epoca il contributo statale di Lire 150.000.000 era già stato destinato alla parete graffita, cosicché il progetto di realizzazione del museo rimase senza la disponibilità finanziaria necessaria. Non stupisce dunque che il Comune di Roana, con delibera n. 347 del 26 settembre 1990, avesse ripresentato domanda di contributo alla Regione130 in base alla stessa L.R. n. 6/1985. Come autorizzato dalla delibera di Giunta n. 329 del 24 settembre 1991, la nuova istanza riproponeva il medesimo impianto progettuale, aggiornandone i costi di realizzazione e impegnando il Comune a provvedere al finanziamento, in caso di parziale sovvenzione regionale, con fondi propri. Da una nota redatta dal Capo dell’Ufficio Tecnico Comunale e allegata alla delibera di approvazione si evince che il cofinanziamento chiesto alla Regione ammontava a Lire 100.000.000, mentre il Comune avrebbe stanziato a bilancio la somma di Lire 173.263.641. I documenti d’archivio non offrono ulteriori indicazioni circa la proposta di realizzare un museo archeologico a Canove; non è dato sapere, quindi, se alla fine la Regione abbia deciso di non partecipare alla spesa o se il Comune, che al tempo non arrivava ai 4.000 abitanti, abbia comunque valutato di non procedere per gli eccessivi costi dell’intervento. Come è noto inoltre, la creazione di un museo non si limita alla mera ristrutturazione di un edificio, ma necessita di una direzione scientifica e gestionale e di un programma di attività culturali e di investimenti finanziari a medio-lungo termine che gli consentano di inserirsi nel tessuto socio-economico con un approccio condiviso e in modo sostenibile nel tempo.

129 130

Nota protocollo n. 1973 del Comune di Roana. Richiesta inviata con protocollo n. 5823 del 08/10/1990.

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4. Il progetto di recinzione del sito e la prevenzione degli atti vandalici Nel corso degli anni sono stati segnalati, sia al Comune di Roana sia alla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Padova, numerosi episodi di deturpamento, imbrattamento, distacco o prelievo di parti delle rocce graffite, a testimonianza del fatto che si tratta di un problema da sempre presente nella valle. Già nel 1984 il Prof. Priuli scriveva131 alla Soprintendenza, manifestando la preoccupazione che le recenti scoperte archeologiche, ampiamente pubblicizzate, potessero essere contaminate per asportarne delle porzioni, corromperne i significati o anche per puro sfregio. Successivamente, nel 1988, la stessa Soprintendenza denunciò132 la situazione al Pretore di Asiago. I rischi di danneggiamento dei glifi furono ampiamente sottolineati nel corso di un convegno tenutosi a Roana nel 1996133, dove si contestava addirittura la rappresentazione – e, conseguentemente, l’attribuzione cronologica all’Età del Bronzo – dei cosiddetti “pugnali remedelliani”134 incisi sulle pareti del Tunkelbalt. Nell’estate del 2011 è stato addirittura realizzato un filmato, reperibile su Internet, che mostra una visita “guidata” al Bisele e al Tunkelbalt135, durante la quale (al minuto 1.51) una bimba incide “ingenuamente” delle rocce, presumibilmente in località Bisele, e - nell’ultima parte l’accompagnatore illustra “tranquillamente” le incisioni del Tunkelbalt calpestando parte della roccia istoriata. È appena il caso di ricordare che il Tunkelbalt è un’area archeologica chiusa e recintata, accessibile unicamente mediante visita guidata da Archeidos s.r.l., un’impresa di analisi, monitoraggio, valorizzazione e consulenza nell’ambito delle risorse eco-culturali, a ciò autorizzata dalla Soprintendenza di Padova e dal Comune di Roana. L’accesso è stato possibile, dunque, solo con lo scavalcamento della recinzione da parte dell’accompagnatore e di alcuni partecipanti alla gita. Il video è ancora disponibile in rete, ma una copia è stata salvata ed è agli atti del Comune di Roana, al quale è stato segnalato il caso. L’idea di recintare il sito del Tunkelbalt per assicurargli un’adeguata protezione e preservarlo da atti vandalici era già contenuta nei primi progetti, del 1987 e del 1988. I relativi interventi furono tuttavia eseguiti solo parzialmente per carenza di fondi (aggravata dalla riduzione dei finanziamenti di cui si è detto al paragrafo precedente e dalla svalutazione monetaria delle somme, stanziate nel 1988 e materialmente spese solo nel 1992/93). 131

Nota protocollo n. 5716 del 14 settembre. Nota protocollo n. 4869 del 09/07/1988 della Soprintendenza di Padova. 133 Cfr. infra. 134 Riferito alla Cultura di Remedello (BS). 135 BCF 2011 - Visita guidata ai graffiti della Val d’Assa su www.youtube.com/watch?v=1FyZqE17T_k . 132

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Con comunicazione del 16 ottobre 1992, n. 5888, il Comune di Roana chiese quindi alla Provincia di Vicenza un contributo per la realizzazione delle recinzioni ai sensi della L. n. 142/1990136, essendo stato chiamato “dalla Soprintendenza Archeologica di Padova a proteggere con urgenza, mezzi adeguati e confacenti, il sito di cui all’oggetto che in questi mesi è stato rilevato fotogrammetricamente, disboscato e trattato ai fini conservativi”. Dalla relazione tecnica del Direttore dei Lavori che aveva predisposto il nuovo progetto di recinzione si evincono sinteticamente gli interventi fino ad allora realizzati con il precedente progetto del 1988: •

rilevamento topografico della strada di accesso e del sito;

rilevamento fotogrammetrico della parete rocciosa (scala 1:20);

rilevamento fotogrammetrico di n. 10 ambiti, fra i più importanti per figurazioni particolari, restituiti in scala 1:1;

disgaggio137 della parete rocciosa;

interventi sfoltimento alberature spontanee su fondovalle torrente Assa, su parete rocciosa e su cresta della stessa;

corsia preferenziale di scorrimento, a fronte della parete, con passerella in grigliato di legno di larice e corrimano.

Mancavano ancora pertanto, pur essendo state previste precedentemente, le protezioni passive di recinzione. A stretto giro di posta, la Provincia informava138 il Comune di Roana – ma la comunicazione era rivolta a tutti i Comuni della Provincia – di un bando per l’assegnazione di contributi, fino ad un massimo del 50% del preventivo, “per le iniziative di tutela, valorizzazione e restauro di opere di interesse artistico, storico, archeologico o etnografico”. Una prima richiesta di contributo per la protezione del sito del Tunkelbalt fu inviata il 22 dicembre 1992 corredata da progetto, relazione tecnico-scientifica, documentazione fotografica e preventivo di spesa per 11.000.000 di Lire. Una seconda richiesta, con una maggiorazione del preventivo a Lire 17.000.000 per l’aggiunta di pannelli didascalici posti su blocchi in legno, fu inoltrata il 9 giugno 1993. Seguì un ulteriore sollecito del Comune di Roana e finalmente, il 13 dicembre 1993, arrivò la conferma della concessione di un contributo provinciale di Lire 8.000.000. Nella relativa comunicazione veniva specificato che l’erogazione della somma sarebbe avve136

Nell’Ordinamento delle autonomie locali, all’art. 14 lettera c), tra le competenze delle province c’era anche la valorizzazione dei beni culturali, confermata con alcune variazioni all’art. 19 comma 1, lettera c) e comma 2 del D. Lgs. 267/2000. 137 Tecnica per la messa in sicurezza di una parete rocciosa. 138 Nota protocollo n. 6689 del 25/11/1992 del Comune di Roana.

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nuta solo dopo la presentazione di tutta la documentazione prevista dal regolamento per la concessione dei contributi e a lavori ultimati. Secondo quanto risulta da una nota del 7 febbraio 1994 (prot. n. 687), inviata dall’Arch. Carmelo Conti al Comune di Roana, fu possibile procedere con l’appalto dei lavori per la recinzione considerando il provvedimento provinciale come già esecutivo. Si tratta della recinzione che ancora oggi possiamo vedere, che il Comune di Roana ha cercato di mantenere in buono stato negli ultimi anni, ma che ora necessiterebbe di una sostituzione, cosÏ come i pannelli didascalici, ormai consunti.

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5. L’emergenza archeologica e i recenti progetti di restauro conservativo Nell’estate del 2009, con la ripresa delle visite dopo la pausa invernale, venne segnalata verbalmente da Archeidos s.r.l. all’Ufficio Cultura del Comune di Roana un’insolita accelerazione del disgregamento della crosta rocciosa del Tunkelbalt. Già dall’autunno del 2009 iniziò quindi un confronto tra il Comune di Roana e la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Padova per trovare una soluzione condivisa, secondo quanto previsto dall’art. 21 del Codice. Al fine di fronteggiare l’apparente emergenza archeologica, il Comune di Roana commissionò139, d’accordo con la Soprintendenza e sotto la direzione scientifica di quest’ultima, un progetto di restauro conservativo volto ad approfondire il caso e ad ipotizzare i possibili interventi140. Si sarebbe dovuto inoltre effettuare un lavoro di pulitura e consolidamento di una piccola porzione (1 metro quadrato) di roccia e valutarne il risultato al termine della stagione autunnale. Nel dicembre 2010 i risultati delle analisi e lo studio della documentazione disponibile negli archivi della Soprintendenza confermarono i timori di qualche mese prima: emerse infatti che nei lavori di pulitura e consolidamento della parete eseguiti nel 1992/93 erano stati utilizzati prodotti alghicidi a percentuale troppo bassa; a destare sorpresa era però soprattutto l’uso di Amuchina, un derivato dell’ipoclorito di sodio “che come noto produce nell’immediato un ottimo risultato ma è anche una sostanza che porta all’indebolimento e alla lenta disgregazione della superficie rocciosa”. Nella relazione tecnica geologica allegata al progetto si rilevava, su un campione di pietra esaminato, “una presenza di sali solubili molto elevata, assai superiore alla soglia dello 0,5-1%, che indica la necessità di estrarre i sali”. Tale fenomeno poteva derivare sia dal normale degrado del carbonato di calcio (per i solfati), sia dalla presenza di sostanze organiche putrescenti (per i nitrati), ma anche di “sostanze come le colle che possono essere state utilizzate come leganti e/o protettivi/fissativi delle superfici”. Quanto ai cloruri, scartata l’ipotesi di “sali utilizzati nei periodi invernali” – per ovvie ragioni, data l’ubicazione extraurbana del sito –, si concluse che essi potevano “essere ricondotti ai residui di errate puliture delle superfici con ipoclorito di sodio”. In realtà, va precisato che né presso il Comune di Roana, né presso la Comunità Montana, né presso la stessa Soprintendenza è stato possibile reperire durante le ricerche per il presente lavoro, un progetto o un documento che descrivesse la metodologia seguita nei lavori di puli139

Determina Uff. Cultura del Comune di Roana n. 215/09. Sopralluoghi, analisi chimiche di campioni di rocce, licheni, muschi, funghi e microorganismi, operazioni di rimozione e pulitura, studio su impedimenti di acque di percolazione, ecc. 140

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zia e rimozione di muschi e licheni o contenesse l’elenco delle sostanze chimiche utilizzate durante la campagna “Priuli” e che consentisse quindi di pervenire ad una valutazione obiettiva di questi interventi nell’analisi complessiva dei restauri effettuati. Il progetto di restauro conservativo fu successivamente inviato alla Regione per ottenere i benefici previsti dalla L.R. 8 aprile 1986, n. 17 (“Disciplina degli interventi regionali nel settore archeologico”). Tuttavia, il 28 settembre 2011 venne comunicato al Comune che “a causa della nota congiuntura finanziaria che ha determinato una forte contrazione delle risorse del bilancio regionale, per il corrente anno non è stato possibile sostenere il programma di interventi ed azioni di valorizzazione del patrimonio archeologico veneto”141. Nel gennaio di quest’anno il Comune di Roana ha perciò presentato una nuova richiesta di finanziamento alla Regione, ai sensi della medesima legge e avvalendosi dello stesso progetto di restauro conservativo142. Come previsto dagli accordi preventivi tra il Comune e la Soprintendenza, il progetto si compone di una relazione descrittiva della situazione attuale di una porzione di parete – ottenuta attraverso lo studio della documentazione relativa agli interventi degli anni ’90 e l’analisi di campioni di roccia e di due infestanti biodeteriogeni143 prelevati in situ – e alcune proposte di intervento. Premesso che, in base alle prove effettuate, l’intera parete del Tunkelbalt necessita di un restauro conservativo, nella relazione si dice che le zone trattate erroneamente – “riconoscibili perché tuttora più chiare in quanto aggredite in modo più limitato dagli agenti biodeteriogeni” –“presentano fenomeni di decoesione superficiale in uno stadio avanzato, con distacco di minuscole scaglie di roccia”, mentre le efflorescenze “risultano di facile rimozione meccanica”, pur consigliando dopo l’asportazione di applicare un biocida a largo spettro. Si è provveduto quindi ad effettuare un intervento-campione di pulitura della roccia, utilizzando prodotti alghicidi e acqua demineralizzata nebulizzata a bassa pressione, i cui effetti positivi sono oggi chiaramente visibili. Quanto alle soluzioni, ritenendo opportuno approfondire ed integrare i dati tecnici e documentali disponibili, si propongono una serie di interventi che vanno ad interessare l’intera superficie, tramite un rilievo con metodologia laser-scanner, al fine di acquisire virtualmente le tracce graffite, e una nuova ricognizione fotografica ad altissima definizione per poterli paragonare con i rilievi già eseguiti in passato e valutarne le variazioni di conservazione della parete. L’operazione dovrebbe continuare con ulteriori analisi chimico-strumentali in cromatografia

141

Nota protocollo n. 9199 del 28/09/2011 del Comune di Roana. Richiesta di contributo L.R. 17/86, inviata il 2 gennaio 2012, prot. n. 12220/11. 143 Muschi e incrostazioni di licheni. 142

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ionica per completare la mappatura delle zone interessate dalla presenza anomala di sali solubili e analisi biologiche dirette alla redazione di una tabella degli elementi biodeteriogeni infestanti presenti. Ovviamente questo tipo di intervento necessiterà di un ponteggio per poter operare anche nelle aree superiori della parete. Il vero e proprio intervento di restauro riguarderà quindi l’applicazione di impacchi di polpa di carta o di argille speciali (come la sepiolite o l’attapulgite) in acqua deionizzata; gli elementi biodeteriogeni saranno invece rimossi come da intervento campione già descritto. Una volta bonificate le sostanze saline in eccesso ed eliminati muschi e licheni, si potrà dare corso alle prove per il consolidamento e la protezione della roccia con due particolari prodotti, compatibili con le analisi effettuate. Solo dopo un tempo di monitoraggio idoneo, che potrà essere di alcuni mesi, si procederà con il trattamento di consolidamento e di stesura di un film protettivo sull’intera parete. La spesa per l’intera operazione di restauro è stata calcolata in circa Euro 250.000,00, IVA compresa. Il preventivo non è peraltro comprensivo delle ulteriori spese necessarie per l’allargamento e la sistemazione dell’ultimo tratto del sentiero (circa 500 metri lineari), funzionale all’accesso di mezzi di trasporto e operatori. Naturalmente, qualora si riuscisse ad ottenere il finanziamento, per l’affidamento dei lavori sarebbe necessaria una gara di appalto tra operatori specializzati nel restauro di beni culturali, ai sensi dell’art. 29, commi 6, 7 e 8, del Codice, la quale dovrebbe effettuarsi con le modalità previste dal D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 30, emanato lo stesso giorno del Codice e contenente “Modificazioni alla disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali”144. Va detto, in ogni caso, che gli interventi proposti si rifanno a prassi e metodi consolidati, ben noti alle imprese del settore e le cui indicazioni sono reperibili anche in rete145.

144

Cabiddu e Grasso, 2004, pag. 8. Si vedano, a titolo puramente esemplificativo, i siti www.docchem.ue o http://leonardodavinci.csa.fi.it/osservatorio/restauro/lolap.html#rest. L’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, nel proprio sito (http://iscr.beniculturali.it), offre inoltre un’ampia documentazione sul restauro; è particolarmente interessante nel caso in questione quella della Commissione NORMAL (Normalizzazione dei Materiali Lapidei). Nata nel 1977, su iniziativa di un gruppo di studiosi del Consiglio Nazionale delle Ricerche (in particolare i centri CNR opere d’arte) e dell’Istituto Centrale del Restauro (ICR ora ISCR), la Commissione si mise al lavoro conscia della necessità di individuare metodologie di studio unificate e specifiche per il settore della conservazione dei materiali lapidei, intesi sia le pietre naturali che i prodotti artificiali. Essa ha pubblicato negli anni una consistente documentazione, prendendo come ispirazione la base sperimentale degli interventi eseguiti e provvedendo alla distribuzione gratuita nei confronti delle Soprintendenze e degli altri eventuali Enti Pubblici interessati al settore. Nel 1996, con nullaosta del Ministero dei Tesoro, è stata firmata una convenzione tra l’allora Ministero dei Beni Culturali e l’Ente Nazionale Italiano di Unificazione (UNI) della disciplina in materia di beni culturali. Lo scopo era di creare delle norme tecniche valide su tutto il territorio nazionale per il recupero ed il restauro. Dal 2006, la Commissione Beni Culturali UNI – NORMAL è strutturata in analogia con l’organizzazione del Comitato Tecnico Europeo CEN/346 – Conservation of Cultural Property – e organizzata in cinque gruppi di lavoro. 145

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CAPITOLO IV VALORIZZAZIONE E FRUIZIONE TURISTICA DEL “SISTEMA VALDASSA”

1. Tutela e valorizzazione della Valdassa: i progetti del Comune di Roana La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale sono disciplinate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio nelle “Disposizioni generali”, che danno attuazione ai principi contenuti negli artt. 9 e 117 Cost. All’art. 1, comma 3, si legge che “Lo Stato, le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e la valorizzazione”. All’art. 3 si definisce la “tutela”, consistente “nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un'adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione”. Quanto all’esercizio delle relative funzioni146, l’art. 4 dà attuazione, per i beni culturali che non sono di diretta proprietà dello Stato, al principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., pur riconoscendo al Ministero un ruolo primario di coordinamento al fine di garantirne l’esercizio unitario147. Principio, questo, ribadito anche all’art. 5, dove si regolano i rapporti tra i vari enti secondo una strategia “cooperativa,” improntata alla condivisione, al confronto e alla concertazione, che caratterizza oggi tutti gli strumenti di governo del patrimonio culturale. La netta suddivisione delle competenze in senso gerarchico, prevista dalla normativa precedente, sembra dunque ormai abbandonata. Il Codice ci dice che solo attraverso una scelta condivisa e partecipata di tutti gli enti coinvolti è possibile addivenire ad una protezione e conservazione dei beni culturali, dovendosi in ogni caso assicurare “un livello di governo unitario ed adeguato alle diverse finalità perseguite”. L’art. 6 del Codice si riferisce invece alla valorizzazione, consistente “nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo svi146

Per funzioni di tutela si intendono sia quelle legislative che quelle amministrative; si veda per questa specificazione Barbati, Cammelli e Sciullo, 2004, pag. 112. 147 L’esercizio unitario delle funzioni in materia di tutela può anche essere demandato alle Regioni.

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luppo della cultura. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale”. Quanto all’esercizio delle relative funzioni, trattandosi di materia di competenze concorrente (art. 117, comma 3, Cost.), l’art. 7 ne detta solamente i principi fondamentali, nel rispetto dei quali le regioni dovranno esercitare la propria potestà legislativa. Nel Titolo II (“Fruizione e valorizzazione”), Parte II (“Beni culturali”), del Codice sono quindi specificate le caratteristiche degli “istituti e luoghi della cultura” (musei, biblioteche, archivi, aree archeologiche, parchi archeologici e complessi monumentali) che, se appartenenti a soggetti pubblici, “sono destinati alla pubblica fruizione ed espletano un servizio pubblico” (art. 101). L’art. 112, comma 3, stabilisce inoltre che “la valorizzazione dei beni culturali pubblici al di fuori degli istituti e dei luoghi di cui all’articolo 101 è assicurata (…) compatibilmente con lo svolgimento degli scopi istituzionali cui detti beni sono destinati”. Esso precisa inoltre, al comma 4, che “lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali stipulano accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione, nonché per elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e i programmi, relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica. Gli accordi possono essere conclusi su base regionale o subregionale, in rapporto ad ambiti territoriali definiti, e promuovono altresì l’integrazione, nel processo di valorizzazione concordato, delle infrastrutture e dei settori produttivi collegati. Gli accordi medesimi possono riguardare anche beni di proprietà privata, previo consenso degli interessati. Lo Stato stipula gli accordi per il tramite del Ministero, che opera direttamente ovvero d’intesa con le altre amministrazioni statali eventualmente competenti”. Si tratta di un passaggio molto importante, che impone alle amministrazioni di stipulare tra loro degli accordi per definire strategie ed obiettivi comuni, favorendo così la costruzione di una rete , sia su base regionale che subregionale, capace di dare vita ad un sistema integrato di valorizzazione dei beni, in un ambito territoriale definito148 e con il coinvolgimento delle infrastrutture e dei settori produttivi. Tali accordi possono essere infatti stipulati anche con i privati interessati “per regolare servizi strumentali comuni destinati alla fruizione e alla valorizzazione di beni culturali. Con gli accordi medesimi possono essere anche istituite forme consortili non imprenditoriali per la gestione di uffici comuni” (comma 9).

148

Barbati, Cammelli e Sciullo, 2004, pag. 117.

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Lo Stato, per il tramite del Ministero e delle altre amministrazioni statali eventualmente competenti, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono infine costituire, “nel rispetto delle vigenti disposizioni, appositi soggetti giuridici cui affidare l’elaborazione e lo sviluppo dei piani di cui al comma 4” (comma 5). Il Codice non specifica la natura di questi “soggetti giuridici”, dovendosi pertanto ritenere che essi possano assumere forma privatistica149. Anche nel caso della valorizzazione, dunque, sembrano non esistere più rigide ripartizioni di compiti secondo criteri gerarchiche e/o di competenza esclusiva, ma strategie flessibili che devono essere di volta in volta concertate e condivise. In questa logica “collaborativa” – non solo tra pubblico e pubblico, ma anche tra pubblico e privato – gli artt. 120 e 121 del Codice disciplinano le sponsorizzazioni dei beni culturali e gli accordi con le fondazioni di origine bancaria. Per quanto riguarda l’area della Val d’Assa, almeno per il momento non sembra rientrare tra gli istituti e i luoghi della cultura previsti dall’art. 101. Per i graffiti e le grotte del Tunkelbalt si attende ancora un’esatta qualificazione ai sensi del Codice, nonostante il vincolo già esistente in base alla L. n. 1089/39 e la sua attuale classificazione come “area archeologica” (v. supra, cap. II). Alcune premesse per la tutela e la valorizzazione della valle possono essere tuttavia dedotte dal PAT del Comune di Roana, che nella “relazione sintetica” allegata illustra le proprie scelte strategiche sia per il “sistema ambientale” sia per quello “produttivo”. Data la loro stretta attinenza con l’oggetto di questo lavoro, vale la pena di riportare parte dei contenuti della relazione relativi ai due sistemi. Per il sistema ambientale si intende “riconoscere, tutelare e valorizzare gli ambiti e le componenti paesaggistiche, naturalistiche, ambientali e storico-culturali di maggior pregio (i boschi, il sistema dei prati/pascoli e dei pascoli d’alpeggio, i coni visuali più significativi, i siti di interesse preistorico, le incisioni rupestri della Val d’Assa, i campi di battaglia e le fortificazioni della Grande Guerra, le forre della Val d’Assa e della Valle del Ghelpach…)”. E ancora: “Ciò nella consapevolezza - che si vuole qui ribadire con forza - che le risorse ambientali e la qualità del paesaggio costituiscono la “risorsa economica” più importante per Roana e per le sue possibilità di sviluppo anche turistico. In tal senso il P.A.T., nel riprendere e confermare le previsioni del P.R.G. vigente, individua l’ambito di interesse storico ed ambientale della Val d’Assa e della valle del Ghelpach per il quale rilancia la proposta redazione di uno specifico progetto integrato di tutela e valorizza-

149

Ibidem, pag. 117.

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zione delle risorse archeologiche, culturali, naturalistiche ed ambientali presenti finalizzato alla creazione di uno specifico sistema tematico demandando al P.I., sulla base di specifiche indagini, il compito di rilevare le eccellenze presenti (siti preistorici del Bisele, incisioni rupestri, vestigia della Grande Guerra, singolarità geologiche e geomorfologiche, peculiarità faunistiche e vegetazionali…) definendo le azioni finalizzare alla loro tutela e fruizione compatibile a scopo didattico e turistico”. Un passaggio importante è rappresentato dalle considerazioni contenute al paragrafo 3.3 che indica gli obiettivi del “sistema produttivo” e dove si riconosce che “il paesaggio, il clima, la qualità ambientale, le testimonianze storiche presenti sul territorio costituiscono un’indubbia risorsa turistica”. Il Comune, pertanto, “intende promuovere l’evoluzione delle attività turistiche, nell’ambito di uno sviluppo sostenibile e durevole, che concili le esigenze di crescita (soprattutto in termini qualitativi) con quelle di preservazione dell’equilibrio ambientale”. Quanto alle strategie del sistema produttivo nel settore turistico, il PAT “persegue un modello di sviluppo turistico “integrato” che sappia valorizzare le componenti ambientali, storicoculturali ma anche sportive e ricreative presenti nel territorio ricercando “nuove attrattività” per avviare un concreto rilancio del sistema turistico attivando strategie di sviluppo “multifunzionali”, dirette cioè alla diversificazione dell’offerta, e quindi maggiormente sostenibili da un punto di vista ambientale ed economico. Accanto alla valorizzazione delle risorse paesaggistiche, naturalistiche, storico-culturali presenti sul territorio (Val d’Assa, incisioni rupestri, campi di battaglia e fortificazioni della Grande Guerra…), con la realizzazione di una rete di percorsi di visitazione, opportunamente segnalati ed attrezzati, rivolti alle diverse tipologie di attività (escursionismo a piedi o a cavallo, mountain bike, nordic walking, sci escursionismo,…), il P.A.T. delinea infatti un più generale programma di riqualificazione e potenziamento dei servizi, delle attrezzature e degli impianti esistenti (riqualificazione e potenziamento degli impianti per la pratica dello sci, realizzazione di nuove attrezzature sportive e ricreative, nuovo campo da golf, qualificazione e potenziamento delle strutture turistico ricettive, realizzazione di nuove strutture specializzate per il relax ed il benessere, nuovi servizi alla persona (…), secondo modelli culturalmente avanzati, sia in funzione sia della popolazione locale che di quella legata alla fruizione turistica. In tal senso – come si è già avuto modo di evidenziare – il P.A.T. individua alcuni ambiti di eccellenza (“Contesti territoriali destinati alla realizzazione di programmi complessi”) per i quali promuove la definizione di appositi “progetti di rilevanza strategica” che dovranno attivare, anche attraverso la sottoscrizione di specifici Accordi di Programma, nuove sinergie e collaborazione tra gli Enti e

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soggetti coinvolti (sia pubblici che privati) in modo da conseguire concretamente gli obiettivi enunciati”. Sembra che, nonostante l’ampio ventaglio di indicazioni sul prossimo modello di sviluppo turistico comunale, l’ipotesi di azioni strategiche in funzione del patrimonio culturale della Valdassa sia qui più defilata. Restano comunque valide le indicazioni espresse nelle scelte strategiche del sistema ambientale, auspicando che il compito del PI, di “rilevare le eccellenze presenti (…) definendo le azioni finalizzare alla loro tutela e fruizione compatibile a scopo didattico e turistico” consenta anche di valutare le reali potenzialità del contesto culturale in termini di sostenibilità e futuro modello di sviluppo turistico.

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2. Forme di gestione e di finanziamento per la tutela, la valorizzazione e la fruizione del patrimonio culturale Molte sono le novità introdotte dal Codice e l’art. 115, che regola le “Forme di gestione”, è senz’altro una di queste, rappresentando però soltanto uno dei tasselli di un sistema di scelte che trova espressione anche in altre disposizioni legislative. La riforma dell’articolo 117 Cost. (introdotta con. L. cost. n. 3/2011), assegnando la valorizzazione dei beni culturali alla potestà legislativa concorrente, ne ha fatto uno degli ambiti sui quali insistono competenze sia statali sia delle autonomie territoriali150. Il tema della gestione dei beni culturali è poi direttamente connesso all’art. 118 Cost., che ai fini del riparto delle funzioni amministrative detta i due principi della “sussidiarietà verticale” (decentramento amministrativo-istituzionale) e della “sussidiarietà orizzontale” (apertura al privato)151. In questo quadro, l’art. 115 del Codice prevede due possibili forme di gestione dei beni culturali: quella “diretta”, svolta “per mezzo di strutture organizzative interne alle amministrazioni, dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico” o “in forma consortile pubblica” (comma 2), e quella “indiretta”, che si attua “tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata, da parte delle amministrazioni cui i beni pertengono” o di appositi soggetti giuridici da loro costituiti o partecipati (comma 3). Nel medesimo articolo si stabilisce quindi che la scelta fra le due soluzioni deve effettuarsi “mediante procedure di evidenza pubblica, sulla base della valutazione comparativa di specifici progetti” in termini di sostenibilità economico-finanziaria, aggiungendo che si potrà optare per la gestione indiretta solo “al fine di assicurare un miglior livello di valorizzazione dei beni culturali” (comma 4). Si definisce così il complesso sistema di “esternalizzazione” (o “outsourcing”) nella gestione dei beni culturali, ovvero l’insieme delle soluzioni attraverso cui le amministrazioni pubbliche assolvono i propri compiti istituzionali ricorrendo a risorse esterne, in particolare a finanziamenti e/o ad esperienze e mezzi dei privati152. Per quanto concerne le forme di finanziamento, alla luce degli artt. 117 e 118 Cost. e degli artt. 4, 5 e 112 del Codice, si può ipotizzare che la spesa per gli interventi di tutela e valorizzazione dei beni culturali debba essere ripartita secondo una logica di compartecipazione re-

150

Barbati, Cammelli e Sciullo, 2004, pag. 193. Ibidem, pag. 194. 152 Ibidem, pag. 197. 151

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golata da accordi, in base al principio di sussidiarietà e tenuto conto degli specifici obiettivi di governo e sviluppo di una determinata area. Per la partecipazione privata alla tutela e alla valorizzazione di un bene pubblico, oltre alla possibilità di sponsorizzazione già citata nel paragrafo precedente e regolata fiscalmente dall’art. 108, comma 2, del D. Lgs. 22 dicembre 1986, n. 917 (“Testo unico delle imposte sui redditi”), un’importante occasione si ha con l’art. 38 della L. 21 novembre 2000, n. 348 (c. d. “legge sul mecenatismo”), confluita nell’art. 100, comma 2, lettera m), del TUIR. In base a tale disciplina, le erogazioni liberali possono avere come beneficiari anche gli enti pubblici, per un versamento massimo pari al 2% del reddito d’impresa dichiarato; il versamento effettuato dalle aziende ne prevede la totale deducibilità. Le motivazioni per una simile scelta aziendale sono almeno due, un significativo risparmio fiscale e il fatto di aver contribuito alla salvaguardia del patrimonio culturale italiano153. Altre forme di finanziamento sono gli accordi con le fondazioni bancarie, già citate al paragrafo precedente. Per il caso del Tunkelbalt, l’Amministrazione Comunale di Roana sta predisponendo una richiesta di cofinanziamento secondo le direttive del bando contenuto nel sito web della Fondazione Cariverona154. E’ importante sottolineare che anche qui, nelle direttive, è prevista una sostenibilità del progetto proposto.

153 154

www.skeda.info . www.fondazionecariverona.org .

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3. Una proposta di valorizzazione e fruizione turistica del “Sistema Valdassa” Si può certamente affermare che il restauro conservativo del Tunkelbalt sia l’azione prioritaria da sostenere in questo momento; abbiamo visto come anche da solo questo sito funga da catalizzatore all’interno dell’area culturale e la sua protezione e conservazione è strettamente correlata ad ogni altro tipo di volontà di valorizzazione e fruizione turistica. E’ evidente inoltre che, dopo un recupero strutturale del sito, solo attraverso i controlli e la manutenzione periodica della parete sia possibile progettare azioni sostenibili a lungo termine. E’ altresì auspicabile che questo sia solo uno, seppur fondamentale, di quegli elementi che vanno a costituire il “patrimonio culturale Valdassa”. Come si accennava in introduzione, molti sono gli interessi culturali ed ambientali della vallata; dei più significativi di seguito si propone una tabella che rispetta il percorso geografico partendo dalla sorgente dell’Assa in Vezzena per arrivare allo sbocco vallivo. La tabella che segue vuol essere solamente una proposta esemplificativa dell’eventuale base per una proposta turistica e culturale.

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BENE CULTURALE O AMBIENTALE Forni fusori del Vezzena

Ponte di Roana

TIPOLOGIA DI INTERESSE PRINCIPALE archeologico etnografico, storico, ambientale, miti e leggende geologico, naturalistico, miti e leggende architettonico, storico

Siti Ponte, Ponte - Diga, Diga

archeologico, storico, naturalistico

Tunkelbalt

archeologico, storico, geologico, naturalistico

Ecomuseo del Ghertele Tanzerloch

Mulino della Rendela Stazione graffita di St. Antönle Siti graffiti di Romita I e II Sito Rössle Grotte e cava del Bisele Incisioni del Bisele Trincee e ripari del Bisele e Valdassa Grotta delle Selighen Baibelen e Sorgenti Rust Villaggio protostorico del Bostel

Etnografico, ambientale archeologico, religioso, storico, naturalistico archeologico, religioso, storico, naturalistico archeologico, religioso, storico, naturalistico paleontologico, paletnologico, geologico, archeologico, storico, ambientale archeologico, storico, religioso, naturalistico storico, naturalistico, geologico naturalistico, geologico, miti e leggende archeologico, naturalistico

PERIODO DI RIFERIMENTO età del Bronzo dal Medioevo ad oggi ere geologiche, epoca storica dal 1906 dalla II^ Età del ferro (dubitativa) alla Grande Guerra dall’Età del Bronzo (dub.) alla Grande Guerra epoca storica dal Medioevo (dub.) a epoca storica dal Medioevo (dub.) a epoca storica

TEMPO DI VISITA 2 ore dalle 2 alle 5 ore 2 ore 1 ora 1 ora

3 ore 1 ora 2 ore 2 ore

epoca storica

1 ora

dalla Preistoria ad epoca storica

3 ore

epoca storica

1 ore

Grande Guerra

2 ore

ere geologiche, epoca storica dall’Età del Bronzo all’Età del Ferro

2 ore 3 ore

I dati qui contenuti sono solo parziali e ovviamente dovrebbero essere rivisti alla luce di una loro applicazione per una proposta turistica, sia per la parte scientifica che per quella specificatamente tecnico - organizzativa, ma intendono far riflettere sulle potenzialità che potrebbe costituire la vallata ripensata in termini di prodotto culturale globale, integrato nelle sue differenti componenti. Sono potenzialità tra l’altro già presenti e che avrebbero necessariamente bisogno di restauri, ripristini e valorizzazione; non bisogna inoltre dimenticare le progettualità già esistenti, come la creazione di orti botanici e di una rete di sentieri di collegamento o l’attraversamento stesso dell’alveo seguendo la direttrice del canyon, sulle orme dei primi abitatori dell’altopiano tra una natura selvaggia ed impervia dal sapore “preistorico”. Un nuovo modo di intendere questo contesto culturale perseguirebbe anche le direttive dell’attuale Codice e di tutti gli strumenti di governo del territorio fin qui esaminati, permettendo la pianificazione degli interventi attraverso una visione comprensoriale.

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Non è un mistero che attualmente la gestione dell’Ecomuseo del Ghertele sia finanziariamente insostenibile, che le stazioni graffite della Valdassa non siano mai state valorizzate adeguatamente, che il mulino della Rendela sia ai più sconosciuto o che le grotte del Bisele siano lasciate alla visita degli escursionisti più avventurosi; solo il Parco Archeologico del Bostel funziona egregiamente sotto il punto di vista didattico e del tempo libero, ma è un’area che ha seguito una linea autonoma di gestione, legata ad altri tipi di progetto. Nel 2001, a seguito del programma comunitario Leader II già citato per l’Ecomuseo del Ghertele, la Comunità Montana si avvalse dell’azione n. 37 per stampare il volume “Tracce della Cultura Cimbra sulle rocce della Valdassa”155 e una serie di poster e dépliants che descrivevano le stazioni graffite. Il Comune di Roana allestì, con l’azione n. 3, un Laboratorio Archeodidattico sullo stesso tema presso le ex scuole di Camporovere, ma dopo tre anni risultava già chiuso per problemi di gestione; queste ed altre iniziative furono intraprese senza un vero e proprio progetto di coordinamento, risultando spesso come azioni scollegate tra loro e con lo stesso contesto fisico del bene. Pensando ai processi di progettazione e valorizzazione delle altre località descritte sopra ci si rende conto che dove sono stati realizzati, esse sono state pensate come entità autonome, chiuse, senza correlazione con un ambito più vasto, presentando da subito delle difficoltà gestionali; è difficile poter pensare oggi, visti anche i precedenti, ad una gestione dell’Ecomuseo del Ghertele o degli altri luoghi non conglobate in una sorta di “parco culturale diffuso”, che integri le caratteristiche individuali dei siti per offrire un prodotto turisticamente appetibile e concorrenziale. In questo il Comune di Roana si presenta come l’elemento trainante per il suo ruolo di Ente proprietario della maggior parte del patrimonio qui descritto, ma è evidente che una progettualità così complessa necessiterebbe della cooperazione e dell’appoggio degli altri enti locali interessati ai benefici in termini di indotto turistico e di quel governo sovracomunale con cui stipulare “accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione”156, oltre che di una larga concertazione con la popolazione. La costituzione di un Parco Archeologico o comunque l’istituzione di un ambito culturale circoscritto, riconoscibile, un contenitore che sappia coniugare valori culturali ed ambientali, trova nella Valdassa la condizione ottimale.

155 156

Si veda in bibliografia. Art. 112, comma 4), Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.

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A fini squisitamente teorici, con lo scopo di illustrare a grandi linee le possibilità offerte da questo grande bacino culturale, si propone di seguito un’idea di gestione dell’area, descrivendo almeno il vertice organizzativo per un’eventuale valutazione di progetto. Fatte proprie le indicazioni contenute all’art. 112, comma 4, del Codice, in merito ai piani strategici di sviluppo culturale dell’area e determinata la forma di gestione prevista dall’art. 115, previa concertazione con le principali associazioni di categoria, gruppi culturali, turistici, del tempo libero e collettività in genere, si dovrebbe procedere con una progettazione di tipo bottom-up157, della quale si indicano gli elementi base di cui sopra, applicati alla reale situazione del contesto e del “distretto turistico” di Asiago, riconosciuto territorio turisticamente rilevante ed omogeneo dalla L.R.158 4 novembre 2002, n. 33, e succ. modd.: -

Direzione tecnico-scientifica: si ritiene sia necessaria una direzione tecnico-scientifica per le peculiarità presenti nel sistema; esperti qualificati nel settore archeologico, storico, etnoantropologico, artistico ed ambientale possono fornire le corrette indicazioni per lo svolgimento di un programma turistico e culturale rigoroso e di una didattica coerente e specializzata, oltre a mantenere i rapporti con le istituzioni accademiche e con gli enti competenti in materia, a curare le pubblicazioni per la parte scientifica, a fornire pareri per interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio culturale, a organizzare seminari o convegni, ecc.; la sede della Direzione potrebbe essere individuata nel costituendo Museo Archeologico dell’Altopiano dei Sette Comuni159 a Rotzo, che nelle premesse presenta già alcune delle competenze richieste;

-

Direzione organizzativa e gestionale: con i modi previsti dall’articolo 115 del Codice, la direzione gestionale del complesso dovrebbe dotarsi di professionalità legate al campo dell’organizzazione turistica; esperti di marketing territoriale, di economia del turismo, di fund-raising, di brand management, di turismo incoming interni all’organizzazione o con modalità outsourcing ad agenzie autorizzate160, di guide turistiche professionali161. La stessa organizzazione potrà promuovere corsi di formazione e aggiornamento prope-

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Forma di progettazione “dal basso verso l’alto”, nella quale si pianifica la soluzione partendo da una situazione iniziale per raggiungere l’obbiettivo prefisso attraverso un percorso sequenziale; può essere inteso anche a livello sociale, dove il progetto è largamente concertato con la popolazione di riferimento. Le interpretazioni sono ambedue condivisibili. 158 E’ il Testo Unico delle Leggi Regionali in materia di Turismo; prevede all’art. 13 i “Sistemi Turistici Locali” (STL), ovvero “contesti turistici omogenei o integrati”. L’Altopiano di Asiago, con i suoi otto Comuni, è individuato come STL n. 11 all’allegato A. 159 Istituito con delibera di Giunta del Comune di Rotzo n. 13, del 23/07/2007. 160 Legge n° 33/2002 della Regione Veneto, artt. 62 e 63. 161 Ibidem, art. 82, comma 1).

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deutici all’esame di abilitazione per guida turistica o per persone interessate all’argomento. Dalla collaborazione tra il vertice scientifico, quello gestionale e dai vari soggetti pubblici e privati coinvolti nel progetto, si potranno cercare le collaborazioni per l’offerta turisticoculturale dell’intero Sistema Turistico Locale ed eventualmente per i programmi transfrontalieri previsti dal Piano d’Area162 “Altopiano dei Sette Comuni, dei Costi e delle Colline Pedemontane Vicentine”. È infatti auspicabile che, in linea con la legislazione vigente, si cerchi un’integrazione in termini di omogeneità dell’offerta turistica e del brand, e di coinvolgimento delle attività imprenditoriali private per un obbiettivo di sviluppo comune. La realtà culturale dell’Altopiano da sviluppare e proporre è già ricca di offerte integrabili con questa idea: il progetto regionale dell’Ecomuseo della Grande Guerra163, il Sentiero del Silenzio a Gallio, la rete dei musei naturalistici, storici ed etnografici, il Museo dell’Acqua di Asiago, il Museo Diffuso di Lusiana che comprende il Villaggio Preistorico del Corgnon, l’orto botanico, la Valle dei Mulini, il Parco del Sojo e il Museo Palazzon, la Cava Dipinta di Rubbio sono solo alcune delle strutture e dei luoghi già visitabili. Se a queste aggiungiamo le progettualità previste dai Piani Territoriali come il Parco Letterario di Tönle164 o la valorizzazione delle valli Frenzela, Gàdena e della Calà del Sasso ci si potrà rendere conto che esiste un vastissimo ambito sul quale poter concepire una formula turistica attrattiva, che permetta di predisporre pacchetti turistico-culturali complessi ma omogenei, anche per periodi prolungati e che quindi non coinvolgano solamente l’escursionista, ma anche il turista inteso in senso stretto165.

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Cfr. paragrafo 3., Capitolo II. www.ecomuseograndeguerra.it . 164 Dal romanzo di Mario Rigoni Stern, “Storia di Tönle”, Einaudi 1978. 165 Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale del Turismo (World Tourism Organization, UNWTO), un turista è “chiunque viaggi in paesi diversi da quello in cui ha la sua residenza abituale, al di fuori del proprio ambiente quotidiano, per un periodo di almeno una notte ma non superiore ad un anno.” L’escursionista è un turista atipico ed effettua la visita in giornata. 163

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CONCLUSIONI

Nel presente lavoro si è riflettuto sulle caratteristiche essenziali del patrimonio naturale e culturale della Val d’Assa – e in particolare del Tunkelbalt – mettendone in evidenza i punti di forza e le criticità e formulando alcune proposte di intervento per la loro tutela e valorizzazione. A tal fine, nel primo capitolo si è ricostruita la morfogenesi della valle, con i suoi costituenti geologici, dando conto anche di alcune curiosità mineralogiche; se ne è poi ripercorsa la storia, dai rinvenimenti pleistocenici alle tragiche vicende della Grande Guerra; infine, si sono analizzati i suoi caratteri identificativi, dalla flora (con particolare attenzione alle piante rare) alla fauna, dai relitti preistorici alle antiche strutture per i lavori dei pascoli e dei boschi, fino alle più recenti opere architettoniche. Si è osservata quindi più da vicino la parete del Tunkelbalt, descrivendola nei suoi vari aspetti e dedicando un apposito paragrafo alla questione, non ancora risolta, della datazione cronologica dei glifi. Nel secondo capitolo ci si è occupati dei profili giuridici della tutela e della valorizzazione del Tunkelbalt e della Val d’Assa alla luce della disciplina statale e regionale in materia di beni culturali e paesaggio e dei principali strumenti di pianificazione territoriale (PTRC, PTCP e PAT) adottati dagli enti interessati. Si è cercato in questo modo di dare maggiore concretezza all’analisi per arrivare alla formulazione di proposte realistiche e compatibili con il quadro normativo e amministrativo. Nel terzo capitolo, dedicato ai progetti di intervento sul Tunkelbalt dal suo ritrovamento ad oggi, si è partiti da un’analisi della situazione attuale del sito, che può definirsi di vera e propria “emergenza archeologica”. Si sono quindi sintetizzati i vari progetti finora presentati per la tutela e la valorizzazione della parete graffita, miranti a garantirne l’integrità, proteggendola dall’azione degli agenti atmosferici e dal rischio di atti vandalici, a ripristinarne le condizioni facendo ricorso alle più moderne tecniche di restauro e ad assicurarne la fruizione da parte del pubblico, anche mediante la realizzazione di un apposito museo archeologico. Nel quarto ed ultimo capitolo, specificamente dedicato alla valorizzazione della Val d’Assa, dopo un breve quadro riassuntivo delle competenze in materia e delle relative fonti di finanziamento, si sono evidenziate le grandi potenzialità dell’area dal punto di vista naturalistico e culturale, avanzando alcune ipotesi di intervento ai fini di una fruizione turistica “sostenibi-

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le”166, cioè compatibile con l’ambiente, la storia, le tradizioni e la realtà socio-economica dell’Altopiano, in linea con le più recenti tendenze della politica italiana ed europea167. Non va dimenticato, infatti, che il patrimonio naturale e culturale di un territorio, oltre a rappresentare un’esperienza unica per il turista, con caratteristiche irripetibili e irriproducibili altrove, è innanzitutto l’espressione dell’identità delle popolazioni che vi risiedono. Un patrimonio che, nel nostro caso, non è fatto soltanto di boschi, fiumi, laghi e montagne ma anche di tradizioni, storia, lingua, usi e costumi: beni “intangibili” (o “immateriali”) di fondamentale importanza, che in Italia non hanno ancora un adeguato sistema di salvaguardia168, nonostante alcuni recenti tentativi in questo senso169. Se anche uno solo dei suggerimenti, delle idee, delle proposte contenuti in questo lavoro contribuirà ad ispirare l’azione di chi ha a cuore lo sviluppo futuro della Val d’Assa e dell’intero comprensorio roanese, esso avrà dunque raggiunto il suo scopo.

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Sulla definizione di “sviluppo sostenibile” v. il rapporto Il nostro futuro comune, elaborato dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite nel 1987 (c.d. “Rapporto Bruntland”), secondo cui la sostenibilità è un“equilibrio fra il soddisfacimento delle esigenze presenti senza compromettere la possibilità delle future generazioni di sopperire alle proprie”. Per il turismo ciò avviene quando “le attività turistiche non alterano l’ambiente, non ostacolano lo sviluppo di altre attività sociali ed economiche e nel contempo riescono a mantenersi vitali in un territorio turistico per un periodo di tempo illimitato. Tutto ciò mira a garantire la redditività del territorio nel lungo periodo con obiettivi di compatibilità ecologica, socio-culturale ed economica”. 167 A questo proposito è molto interessante la consultazione di www.climalptour.it, progetto finanziato dalla Comunità Europea il cui obiettivo è “sviluppare strategie sostenibili di adattamento per il turismo nelle Alpi, per far fronte ai cambiamenti climatici in atto: un’ottima opportunità per pensare a nuovi modelli di turismo per le nostre Alpi”. 168 Come richiesto dalle Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (Parigi, 17 ottobre 2003) e per la protezione e la promozione delle diversità culturali (Parigi, 20 ottobre 2005). 169 Giampieretti, 2011, pp. 127-153.

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APPENDICE

1. La piana del Vezzena in Provincia di Trento, sorgente dell’Assa e sito eneolitico …...………………………………………………

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colo teatrale per il Festival Cimbro Hoga Zait nel 2007…………

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5. L’orrido del Tanzerloch la sera della rappresentazione ...…….....

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6. Il Ponte di Roana visto dal fondo della valle …………………….. p.

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7. Il ponte ripreso dalla strada provinciale….…..…………………...

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lavori di sistemazione durante l’estate 2011……………................ p.

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2. L’ex stalla del Ghertele, ora sede dell’omonimo Ecomuseo, durante la fase di costruzione di una carbonara ……………...…… 3. La piena del torrente Assa nei pressi di località Val Scaletta, il 1° novembre 2010 ……………………………………….…..……… 4. La voragine del Tanzerloch durante l’allestimento di uno spetta-

8. Sentiero di accesso alla parete graffita del Tunkelbalt, prima dei

9. Area didattica allestita nei pressi del Tunkelbalt, dopo i lavori di ripristino nell’estate 2011 ……………………………………...…

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10. Panoramica del roccione del Tunkelbalt …………………............

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11. Particolare dei settori nn. 8, 9 e 10 della parete ………....……...

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12. Alcuni frammenti della crosta rocciosa caduti dalla parete … …... p.

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13. L’evidente distacco di una porzione di roccia istoriata ...………...

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mulino della Rendela …………………..………............................

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19. Rudere dell’antico mulino della Rendela ……….………………..

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14. L’imbrigliatura del terreno sovrastante il roccione, effettuato dal Comune di Roana nel 2001 …………………..……….................. 15. Un cartello esplicativo danneggiato, all’interno dell’area recintata del Tunkelbalt, all’inizio dell’estate 2011 ……………....…...…... 16. La targa che evidenzia il vincolo archeologico ai sensi della L. 1089/39 per il sito del Tunkelbalt ……........................................... 17. Una rappresentazione teatrale sul fondo della Valdassa, durante il Festival Cimbro Hoga Zait, nel luglio del 2008 ………………… 18. La vallecola del Grabo, con il piccolo ruscello che azionava il

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20. Tracce dell’alzato dell’antico mulino della Rendela: all’interno è visibile il foro che ospitava l’asse orizzontale per la ruota idraulica …..……………………………………………………………... p.

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21. Particolarità geologiche della Valdassa: blocco di selce in matrice di Biancone ….………………………………………………...

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incastrato tra le pareti in località Bisele …….................................. p.

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22. La grotta della Leute (o Loite) Kubala con il caratteristico masso

23. Il riparo in roccia della Shaff Kugela sul sentiero di accesso al Bisele ………………………………………………………………..

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25. Il disegno del Tunkelbalt, di Vittorio Corà……………………….. p.

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24. Laboratorio di metallurgia protostorica al Bostel di Rotzo; sullo sfondo la ricostruzione scientifica di una casa retica …….............

26. Prove di pulitura e consolidamento di una piccola porzione di roccia del Tunkelbalt, nell’estate 2010……………………………

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