Sangiovese tra fuochi e fornelli - Andrea Zanfi

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la frutta alla carne, le uova al pesce. Era sufficiente che il piatto rispettasse le prescrizioni mediche e dietetiche dell’epoca. Questo significava che il cibo doveva essere “miscelato” secondo la sua natura, combinando nel modo giusto gli ingredienti, le salse e le spezie. Il pesce era ritenuto di natura fredda e umida, quindi si credeva che i metodi migliori per cuocerlo fossero quelli che lo riscaldassero e lo seccassero, abbinandolo alla frittura con un passaggio al forno, oppure stagionandolo con

calde spezie essiccate. Così come secco e caldo era valutato il manzo e per questo di preferenza era servito bollito e, preferibilmente, arrostito doveva essere il maiale, per la sua natura calda umida. In alcuni ricettari si indicavano degli ingredienti alternativi, basandosi su quelli abitualmente usati nella preparazione dei piatti, che giocavano sulla natura umorale dei sapori, un po’ come farebbe un cuoco contemporaneo sostituendo in una torta di mele, nel caso uno non ne fosse provvisto, quest’ultime con il cavolo verza o, nel

caso di una zuppa di rape, quest’ultime con delle pere. Il mondo gastronomico cambiò. Vi fu un altro step e il cucinare divenne elemento di crescita sociale. Del resto è ciò che sostiene l’antropologo Richard Wrangham che ci definisce “le scimmie che sanno cucinare, le creature del fuoco”, modificando il concetto dell’animale parlante di Aristotele, e integrando la teoria dell’animale razionale, sociale e politico di Platone e Socrate. L’uomo, secondo Wrangham, si è evoluto grazie alla “cooking hypothesis”, secondo cui ci saremmo trasformati da scimmie in Homo imparando a cucinare il cibo che mangiamo. Ecco dunque una grande verità che si scontra con quanti stentano a concedere all’enogastronomia la dignità culturale che le compete, rifiutando l’idea che l’alimentazione sia il fattore decisivo dell’evoluzione umana e l’origine della nostra stessa civiltà. Il cucinare rese più sicuri gli alimenti, amplificò e arricchì la gamma dei prodotti commestibili e il gusto stesso, riducendo gli sprechi e incrementando l’ammontare dei fattori energetici e nutrizionali per l’essere umano, migliorando di fatto la vita e i benefici per il cervello, favorendo in ultima analisi la nostra evoluzione a livello anatomico, fisiologico, psicologico e sociale. È chiaro quindi che tutto partì dal fuoco. Non ha importanza comprendere quale sia l’origine di tale evento,

ma sta di fatto che con quella fiamma iniziò una nuova era e nacquero diverse preparazioni dei cibi: da quella a fuoco vivo a quella mediante pietre arroventate, fino a giungere all’introduzione della cottura a vapore e la costruzione dei primi strumenti utili a cucinare, come le rustiche griglie o gli spiedi. Il crinale tra ignoranza e cultura venne tracciato proprio a partire dalla scoperta e dall’uso del fuoco ai fini della cottura. Una metodologia che si modificò nel tempo, variando le tecniche e le usanze relative alla preparazione e alla consumazione dei cibi, scandendo le varie epoche storiche e l’evoluzione della cultura umana. Si tratta di elementi che divennero, tutti, fondamento rituale nel tempio per la preparazione del cibo, posto in rudimentali recipienti in terracotta o, più tardi, in quelli in metallo. Ogni cosa ritrovata, infatti, narra l’evoluzione delle civiltà che si sono susseguite più delle lettere e della pittura. Fiamma viva, brace, cottura in buca, su pietre concave o grosse lastre, in conchiglie, in stomaci di animali o in recipienti in ceramica, oppure avvolgendo il cibo in foglie messe sotto la brace: furono queste solo alcune delle tecniche per nutrirsi in passato, molto diverse da quelle rappresentate qui, che disegnano scenari di un’altra era. Comunque si osservi l’argomento, è chiaro che al centro di tutto brillava e brilla il fuoco, una volta espressione 19


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