Carlino Piccardi Terzino

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CARLINO PICCARDI Terzino (Nei ricordi della moglie Fiorenza e dei figli Andrea, Paolo e Marco)

Nella foto: Carlino, Romeo Menti (quinto e sesto da sinistra) e altri viola della stagione 1938 1939


Carlo Piccardi con la maglia e lo scudetto conquistato in Coppa Italia.

Nel 1947 1948. Carlino, al Milan, ritrova gli amici Morisco (alla sua destra) e Buzzegoli con la maglia della Salernitana. Per la neopromossa in A la loro esperienza risultava fondamentale. A fianco, La fama che accompagna Carlino spazzarotaie nelle figurine dell’album Lavazza.

Sono in tanti quelli che ci hanno cercato dopo l’appello finito sul web e sui quotidiani alla ricerca dei familiari di Carlino per festeggiare i 90 anni della Fiorentina. E’ una cosa che ci ha dato grande piacere perché significa che la memoria del babbo, a Firenze, regge ancora. Regge anche grazie ai richiami alla sua figura che di tanto in tanto generosi cronisti rinverdiscono. A quasi mezzo secolo dalla sua scomparsa si è presentata una nuova occasione per ricordarlo insieme ai tanti altri giocatori viola di un passato più o meno lontano. La sua carriera sportiva è nota e può essere facilmente recuperata in volumi e siti web. Ecco allora che con mio fratello Andrea abbiamo deciso di fare noi una sorta di omaggio a nostro babbo ed abbiamo affrontato il primo problema. Della carriera sportiva di Carlo Piccardi, per nove anni terzino mancino e più volte capitano della Fiorentina (dal campionato 1937 1938 al campionato 1946-1947) poi nel ‘47 ‘48 al Milan e infine per due stagioni all’Atalanta (’48-’49 e ’49-‘50), noi tre figli abbiamo visto, a seconda dell’anno di nascita, poco o niente. Andrea è nato nel 1944 a Suzzara, Paolo a Firenze nel 1949. Marco, ultimogenito nel 1957, quando Carlo non solo aveva smesso di giocare a calcio, ma abbandonata l’Atalanta, come si legge in uno dei necrologi a lui dedicati nel 1971, Si ritirò quasi in silenzio (contrariamente al suo carattere impetuoso) e non volle più avere contatti diretti con l’ambiente del calcio[ ...].ma si occupò della Fiorentina soltanto come un tifoso qualsiasi. Era un assiduo frequentatore dello stadio ed era amico di tutti i giocatori, vecchi e giovani. Per questo abbiamo scelto di partire dall’album di famiglia (qualche centinaio di foto che mia madre, Fiorenza Delcroix, ha conservato gelosamente fino alla sua recente scomparsa) per poi attingere dai ricordi raccolti fino a ieri (nostri, dei colleghi calciatori e di coloro che lo hanno conosciuto o visto giocare al calcio), da lontane cronache sportive, dalla corrispondenza con Fiorenza fino ad arrivare ai necrologi dedicatigli. L’idea è quella di rivedere con l’aiuto di queste testimonianze, quale fosse la vicenda sportiva e umana di un calciatore (forse meno singolare di quanto si possa pensare) che ha giocato in serie A del 1938 al 1950, attraversando per intero gli anni della seconda guerra mondiale. Un percorso che ci ha portato anche ad approfondire i giudizi più comuni espressi sulle sue qualità tecniche.


Bambino con uno dei cani da caccia del padre Settimo.

Il campo di Marte nel 1956.

A destra in alto. La Guerrina ad inizio ‘900.

A fianco. I genitori: Guerrina Ulivelli e Settimo Piccardi.

Di sicuro, a casa, non parlava molto del suo passato sportivo ma se questo è vero, quanto è vero che si allontanò repentinamente e prematuramente dall’ambiente professionista (finendo a gestire il bar/pallaio/tabacchi/ biliardi/ sala carte messo su in Viale Malta dalla nonna Guerrina e dal nonno Settimo), questo non voleva dire che Carlino non continuasse ad amare la Fiorentina e a frequentare lo Stadio. Marco (Bachino, ultimogenito e abbastanza piccolo per passare con lui senza pagare biglietto) è stato con lui per tante domeniche nelle poltroncine di tribuna coperta profittando della tessera a vita che una generosa Fiorentina gli aveva offerto con riconoscenza. D’altro canto, i fratelli Andrea e Paolo la domenica avevano altro da fare perché dopo avere militato nelle formazioni giovanili dei viola degli anni 60 e 70 continuavano a calciare nelle categorie minori.


Era però alla Guerrina (che probabilmente fu il primo bar di quartiere del Campo di Marte e che ancora oggi mantiene il nome della nonna visto che Settimo, appassionato cacciatore, pare non potesse rientrare nella categoria degli stakanovisti) che noi figli abbiamo ascoltato racconti leggendari su Petrone, Menti, Piola, Mazzola, Liedholm, Bertil e Gunnar Nordhal, Gren, sullo stesso Carlino e tanti altri ancora. Quando, nel 1950, Carlino decise di abbandonare la carriera sportiva per gestire quell’attività, la Guerrina si fece Bar Sport dalle lettere maiuscole. Insomma, non il bar dei sostenitori viola ma un ritrovo di calciatori, ex calciatori, giornalisti sportivi, atleti di diverse discipline (tra i tanti ci ricordiamo di Silvano Meconi, tre volte olimpionico di lancio del peso, Giordano Goggioli, Gigi Raspini), desideratissime operaie della Sidol in pausa pranzo (all’epoca la fabbrica era in via Calvi), meno appetibili operai della fabbrica di valigie di Mario Leone (sulla via del Campo di Marte), componenti di rigido sesso maschile delle famiglie delle affollate case popolari di viale Malta e, naturalmente, tifosi viola: tutti appassionati di calcio e... abili Generazioni della Guerrina. Una splendida giocatori di carte e biliardo. operaia della Sidol davanti allo sporto con Si era in una sorta di area viola dove gli uomini di sport Icilio Lunghi (detto Bobi) abitante alle case (molti dei quali fiorentini che avevano condiviso infanzia e popolari. adolescenza con i meno famosi frequentatori della Guerrina) si ritrovavano al tavolo da gioco con gli amici di sempre. Le discussioni sportive erano naturalmente animate ma se ogni tanto volavano carte, sedie e stecche non era per una discussione sul match quanto piuttosto per l’errore del compagno di tressette o per un pallino finito in buca. Forse è anche per questa scelta fatta da Carlino (e più avanti ne conosceremo i motivi) che fino alla sua morte nel 1971 (ma anche oltre) lui è rimasto nel cuore dei fiorentini

Alla Guerrina, in speciali occasioni, si celebrano anche feste nuziali. Nelle foto sopra e a fianco, il pranzo di matrimonio di Bianca e Silvano Ulivelli (socio di Carlino) nel giardino dell’ex pallaio. La foto sopra raccoglie i dipendenti del bar... Carlino lavorava quanto basta!


A fine carriera, a cena con Beppe Bigogno (dal 1930 al 1942 mediano viola, poi allenatore della sua squadra e quindi di Milan, Torino, Lazio, Udinese, Inter e Nazionale B), Andrea Piccardi e il tifosissimo viola Beppino Frati.

Alla Guerrina gli unici “indesiderati” (non ufficiali) erano bambini, ragazzi e donne. Questi, che pure frequentavano l’ingresso adibito a Bar, difficilmente si azzardavano a superare la soglia che introduceva alla sala biliardi, alle sale da carte e al giardino, vero impero dei biscazzieri. Il motivo diviene ovvio quando si pensi che per bambini, ragazzi e donne si debba intendere figli e mogli, accolte con rispetto solo in casi di emergenze domestiche. Noi fratelli, al pari del babbo “ragazzi di strada“, eravamo però i figli di Carlino nati e a lungo residenti sopra la Guerrina e, per l’appunto, Carlino più ci vedeva e più contento era. Così, visto che lui non ne parlava volentieri e che il concetto di privacy, anche per un idolo delle folle era un qualcosa di lontano a venire, noi chiedevamo alla “Guerrina” e qualsiasi fossero domanda e interlocutore, la risposta aveva quasi sempre la stessa premessa Te per sapere chi è i tu’ babbo devi prima pensare che a lui interessano tre cose: la famiglia, la Fiorentina, Firenze (un po’ meno il lavoro). Quello che poi noi si è capito nel tempo, è che la passione per la Fiorentina e Firenze altro non era che un atto naturale verso una squadra e una città che gli avevano regalato fama, stima, affetto, lunghe quanto grandi amicizie e, come vedremo, gli avevano anche, probabilmente, salvato la vita.

Carlino, Romeo Menti, Ubaldo Farabullini e Beppe Bigogno.

Con Ferruccio Valcareggi nel 1940 .

Davanti alla drogheria di Borgo Albizi di Beppino Frati (in gabbanella nera) con Uccio, Gino e Zino Franci. Il generoso Beppino, in tempo di guerra, aveva contribuito all’alimentazione degli amici calciatori e delle loro famiglie.


Sopra e in fondo a destra. L’altra faccia della vita di un calciatore. Una partita a tamburello. Nella foto grande a destra si riconoscono Carlino (con maglia a righe orizzontali) e, alla sua sinistra in camicia bianca e tamburello, Zino e Gino Franci.

In Versilia con costume ascellare.

A guardare le foto del suo lungo periodo alla Fiorentina (che, tra l’altro, copre tutto il periodo bellico) e a differenza degli anni al Milan e all’Atalanta (i tifosi milanesi e bergamaschi non ce ne vogliano), l’aspetto di Carlino (a dire il vero, come quello di molti dei suoi colleghi calciatori) crediamo si possa definire solare. Giovani tra i 17 e i 20 anni, in buona parte dei casi provenienti da un ceto sociale che potremmo definire oggi (salvo poche eccezioni) come basso o medio basso e che consciamente o inconsciamente si trovano a vivere una vita che in tanti avrebbero voluto vivere. Il nostro amico Ivan Baldanzi (alle sue memorie ricorreremo più volte) ci ha raccontato della propria incredulità e gioia quando, durante un torneo giovanile organizzato al Padovani, fu scelto dagli osservatori della Fiorentina. Eppure, selettivi occhi viola vigilavano anche sui più improvvisati campi di gioco del Campo di Marte, la cosa era risaputa. Forse è anche per questo che, fino alla scellerata ristrutturazione di Italia 90, si è continuato a giocare a calcio sotto lo Stadio, su terra e catrame, nonostante le dolorose abrasioni che tutti, immancabilmente, si portavano a casa. Quando si parla delle differenze tra il calcio di oggi e quello di ieri solitamente si conclude con Oggi sì che sono dei privilegiati. E’ vero ma, secondo noi, bisogna intendersi. Una volta messi da parte gli stipendi, pensando al ritmo degli allenamenti (sostanzialmente, come ha raccontato Menotti Avanzolini, qualche giro di campo e la partita con la seconda squadra del giovedi, cui partecipava il nostro Ivan), allo stile di vita, allo stress dei divi di oggi e guardando a queste foto, viene da pensare che i calciatori della prima metà del secolo scorso facessero una vita migliore (con le debite eccezioni naturalmente, ma in questo pensiamo di essere fedeli al pensiero e alle regole rilassate seguite da Carlino per tenersi in una giusta forma atletica). Ci spieghiamo meglio. Figlio di una modesta commerciante, Carlino in una quindicina di anni di professionismo riuscì a comprarsi una casa in Via Mamiani (naturalmente al Campo di Marte) e, con l’aiuto di Guerrina, Settimo, del fratello Dino (piccolo industriale di inchiostri) e della zia Vittoria (amatissima sorella), ad ampliare lo stabile della Guerrina dove tutta la famiglia ha a lungo abitato. Non molto in confronto ad oggi e questo soprattutto grazie ai tre anni divisi tra Milan e Atalanta vissuti non con soddisfazione ma con grande sacrificio se non come un vero e proprio esilio.


Insomma guadagnavano molto meno sentivano Firenze e la Fiorentina come la loro città e la loro squadra ma si rompevano altrettanto meno i c., anzi erano meno stressati. Niente a che vedere con gli allenamenti dei giorni nostri, con le attuali regole su alimentazione, way of life, astinenze ecc. D’altro canto erano altri tempi: la dieta era fatta dal menù del giorno del trattore e, anche se già qualche collega cominciava a subire pesanti scherzi per avere espresso l’intenzione di praticare l’astinenza del pre partita, nessuno si sognava di nascondere nulla (almeno fin tanto che era capace di garantire una buona prestazione in campo).

Le due foto sopra. Carlino con Poggi. Con Bigogno (alla sua sinistra) e Ubaldo Farabullini accosciato).

Dopo la retrocessione in B (1937 1938). In allenamento e in ritiro a Reggello.

Un prepartita a Venezia

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Paolo, quarto da sinistra in piedi, in una formazione degli allievi della Fiorentina.

Paolo, barbuto terzo da destra, nella squadra del Galluzzo degli anni settanta.

Il tesserino di riconscimento di Andrea, anche lui nelle giovanili viola.

Carlino ha iniziato a gestire la Guerrina, prima insieme al fedelissimo socio Magherini e poi con la famiglia di Silvano Ulivelli (praticamente zii e cugini) ma è anche vero che, come anticipato, la voglia di lavorare del babbo si fermava a un quanto basta di un metro pienamente condiviso dalla famiglia e a quel che gli piaceva fare: il denaro gli interessava fino ad un certo punto. Anche per questo, lo vedremo meglio dopo, non ha voluto continuare la sua carriera nel mondo sportivo. Due grandi insegnamenti, quelli su lavoro e denaro, che ci ha lasciato e per i quali, ora che anche noi abbiamo superato i 60 anni percependo con maggior chiarezza di quanto la vita sia unica e breve, non finiremo mai di essergli riconoscenti. Cinque anni fa è morto nostro fratello Paolo, quello di noi che più è stato vicino a Carlo e i cui ricordi avrebbero potuto dare un contributo ben più incisivo del nostro. Anche a lui piacevano il calcio, gli amici, il babbo. Dire che Paolo aveva poca voglia di studiare è un eufemismo: lui già alle elementari non sopportava la scuola e ... non ci andava. I miei iniziarono allora ad accompagnarcelo fin dentro l’uscio ma impararono presto che era uno sforzo inutile: entro la prima ora sarebbe scappato. In questi frangenti eravamo tutti e tre sfortunati e pensavamo al babbo come ad una sorta di indovino. Al Campo di Marte erano in molti a conoscerci, in tanti frequentavano il nostro bar e, ma questo lo avremmo capito più tardi, in tanti quotidianamente salutavano Carlino, con Oh, ho visto qui bischero di tu figliolo a ..., fosse questi Andrea, Paolo o Marco. Fu così che scoprirono dove Paolo passava le mattinate con il cugino Cuccolo (così sopranominato per la smodata passione per lo zucchero e che, appena deambulante e ancora alle prese con problemi glottologici, scendeva al bar per reclamare dallo Zio Callo la sua modica quantità). Insomma, i due si nascondevano da una settimana sotto il ponte sull’Africo (allora non tombato) del Viale de Amicis fino al suono della campanella. Fu così che, dopo averle tentate di tutte, il babbo decise di tenerlo a lavorare con se alla Guerrina... Così fa meno i’ bischero: pia illusione. Paolo ha lavorato a fianco del suo mito Carlo fino alla morte e ha concluso la sua carriera calcistica, dopo aver esordito nelle giovanili della Fiorentina tra Dicomano, Galluzzo, Lastrigiana e San Casciano. Firenze per anni ha ospitato un gruppo di universitari australiani che avevano formato una squadra di calcio inserita in un torneo amatoriale che subiva il gioco duro delle avversarie. La moglie Lori ci racconta che la squadra d’oltreoceano aveva un quarantenne oriundo fiorentino: Paolo, la cui presenza aveva l’effetto di limitare il gioco duro degli avversari. Autorità di un fiorentino? No no, lui gliele rendeva con gli interessi. Come il babbo ha amato la sua famiglia ma è rimasto, fino all’ultimo giorno, un guardingo quanto ingovernabile uomo (libero).


Ci raccontavano che Carlino aveva i calcio nì sangue e, al pari di tanti suoi colleghi, e si dava poche arie. Era consapevole di essere solo uno dei tanti ragazzi fiorentini (anzi del Campo di Marte) cui una serie di circostanze fortunate aveva garantito una vita breve, visto che è morto a 52 anni, ma diversa da quella della maggior parte di amici e coetanei. Nella foto a fianco (che dovrebbe rimandare ai primissimi anni trenta), si riconosce bambino tra adolescenti (terzo in piedi da sinistra) con una maglia analoga a quella abbandonata dalla Fiorentina nel 1929. Si potrebbe trattare di una squadra rionale (forse quella del circolo Menabuoni di San Salvi) che avrebbe recuperato preziose maglie donate dai viola. Fu probabilmente in quella situazione che Carlo (visti anche i soggettini della foto) dovette presto imparare a farsi rispettare sul campo (una delle sue caratteristiche che poi esalteranno cronache e i tifosi). E’ certo che finì sotto osservazione prima di Ottavio Baccani e poi di Ferenc Molnar (classe 1891, allenatore ed ex centrocampista magiaro che nel 1926 aveva abbandonato la La prima squadra di Carlino. Nella foto più in carriera di calciatore per divenire allenatore e così approdare alto sembra non avere più di dodici anni. alla guida della Fiorentina del 1938, l’anno della Nella seconda è più maturo ma pur sempre retrocessione) e quindi di Rodolfo Soutschek (classe 1895, adolescente. allenatore ed ex centrocampista austriaco che, nella stagione In basso a destra l’allenatore Ferenc Molnar. 1938 1939 riporterà la Fiorentina in Serie A)

Tra 1933 e 1936. Le quattro foto sembrano rimandare ad una Fiorentina allievi in allenamento al campo Padovani. In quella a fianco, Carlino è il quarto da sinistra. Alla sua destra Gino Franci (sarà poi osservatore e allenatore delle giovanili viola) e, inchinato al centro, Zino Franci mentre Scagliotti è accosciato alla sua sinistra.


La Fiorentina in una formazione della stagione 1938- 1939: Poggi, Menti, Griffanti, Celoria, Tagliasacchi, Michelini, Magli, Piccardi, l’allenatore Soutschek. Accosciati: Grolli, Di Benedetti, Cuffersin.

Carlino fa il suo esordio in prima squadra il 6 marzo 1938 (Fiorentina Liguria 1-1), gioca 26 partite e compie 19 anni L’unico aspetto positivo della stagione fallimentare -scrive Sandro Picchi nel suo 1926-2006 Fiorentina 80 anni di storia – è il lancio dei giovani: tra loro c’è anche Carlino Piccardi che diventerà un pilastro della difesa viola. Un debutto in giovane età che non fu prerogativa di Carlino: Menotti Avanzolini e Furiassi arrivano alla Fiorentina dalla Vis Pesaro a 17 anni, Menti a 16 anni giocava nel Vicenza. La società reagisce alla retrocessione con un’azzeccata campagna acquisti (arrivano, tra gli altri Romeo Menti e il portiere Griffanti), attingendo al vivaio e chiamando Soutschek ad allenare. E’ una scelta vincente che riporta la Fiorentina in Serie A dopo aver chiuso la B al comando di una classifica a 18 squadre. Il ritorno in A, coincide con un campionato della Fiorentina deludente (si salverà per differenza reti chiamando il nostrale Giuseppe Galluzzi a sostituire Soutschek.) ma vince la Coppa Italia e si classifica per la Mitropa Cup (cui dovrà rinunciare per la dichiarazione di guerra a Francia e Inghilterra del 10 giugno 1940). Galluzzi, fiorentino, classe 1903 supera il “metodo” e introduce il “sistema” con i terzini schierati sulle fasce, la marcatura fissa a uomo e la disposizione in campo WM. Carlino gioca 26 partite di campionato e tutte le 6 di Coppa Italia.

Con maglia e scudetto di Coppa Italia.

15 Giugno 1940. Cinque giorni dopo la dicharazione di guerra, la Fiorentina batte il Genova 1-0 e vince la Coppa Italia. Si riconoscono: Morselli, Da Costa, Piccardi, Celloria, il marchese Ridolfi, il generale Vaccaro, Tagliasacchi. Accosciati: Baldini, Ellena, Bigogno (con la coppa) e il massaggiatore Farabullini.

Sopra e a fianco: Carlino con Menti e gli altri viola in trionfo.


La stagione del 1940-41 è invece quella della “Bella Fiorentina”. I venti di guerra ritardano un campionato che inizia il 6 di ottobre. Ciononostante, un po’ tutte le grandi squadre (Bologna, Milan, Juventus) si rafforzano, alla Fiorentina arrivano Valcareggi, Geigerle, Di Benedetti, Degano. I viola formano una squadra giovane che dà spettacolo, con una media di due gol a partita dovuta, soprattutto, a Menti (17 reti), Di Benedetti (13), Valcareggi (7). 16 marzo 1941. Il fine partita di Fiorentina- I giocatori hanno avuto modo di assorbire il sistema di Torino (2-1). Galluzzi e lottano alla pari con le migliori del campionato. Concludono la Coppa Italia ai quarti di finale e finiscono il Campionato in quarta posizione. Carlino, nelle stagioni 1940 1941 e 1941 1942 gioca 54 partite.

Armando Frigo. Sarà sottotenente dell’esercito italiano. Catturato e fucilato dai nazisti in Croazia dopo l’'8 settembre 1943.

Sotto la curva durante la stagione 1941 1942: Carlino, Furiassi, Menotti, Avanzolini, Morisco, Ellena.

16 marzo 1941. Fiorentina-Torino (2-1) Penzo, Piccardi, Frigo, Menti, Baldini; Valcareggi, Poggi, Griffanti. Accosciati: Lovati, Ellena, Di Benedetti.

Una Fiorentina della stagione 1942-43. Morisco, Gei, Poggi, Piccardi, Buzzegoli, Avanzolini, Michelini, Valcareggi. Accosciati: Bollano, Griffanti, Suppi.


Con Romeo Menti in una cornice da Luna Park.

La Fiorentina è ora squadra forte, temuta e compatta. Al giovanissimo asso Romeo Menti si aggiunge l’esperto Beppe Bigogno, mediano viola di lunga data che ritorna a Firenze nel 1939 per rimanerci fino al 1942. Ferrucio Valcareggi mostra tutta la sua classe a centrocampo. Però, guardando ancora una volta alle foto, sembra di percepire che la solidità della squadra viola trovi un valore aggiunto nella profonda amicizia e reciproca stima che lega calciatori che, fuori e dentro lo stadio, simpatizzano. Purtroppo noi possiamo parlare, senza paura di essere smentiti, solo dei colleghi che le circostanze post calcistiche hanno trasformato in una sorta di zii (Beppe e Uccio in particolare). Tuttavia, il cemento della squadra è confermato dalle foto in cui si vedono giovani che si abbracciano, stringono, scherzano e che ci parlano di profondo affetto, simpatia, empatia. Insomma questi stanno insieme non solo perché giocano nella stessa squadra di calcio. Così, solo per fare un esempio, quando gli ex colleghi dopo anni rammentavano Meo Menti (morto insieme al Grande Torino nella tragedia di Superga del maggio 1949 con il tesserino viola nel portafoglio) a qualcuno venivano ancora le lacrime agli occhi e ogni tanto si andava a mettere un fiore al cimitero dell’Antella dove, non a caso, ancora oggi riposa.

Infortunato al piede destro, con Beppe Bigogno.

Campionato 1938 1939.Romeo Menti, Carlo Piccardi, Eligio Vecchi.


L’ansia della retrocessione nelle pagine di Nuto Innocenti de La Nazione del 31 dicembre 1938


27 ottobre 1940. Fiorentina-Ambrosiana. I capitani Piccardi e Campatelli si scambiano i gagliardetti.

9 dicembre 1940. Fiorentina Atalanta (1-1) . In azione Fabbri (A), Cominelli (A) e Valcareggi mentre Piccardi respinge di testa.

Sulla linea di porta.

Ci “pensa”Uccio

Carlino viene ricordato come terzino “picchiatore” anche per alcuni episodi plateali che più di altri hanno esaltato i tifosi e che, naturalmente, erano rimasti nel loro cuore e in quello dei compagni di squadra. Ma è ancora Ivan a raccontare e anche a alterarsi un po’. Guarda tu devi pensare che Carlino ha esordito in prima squadra a 18 anni. Faceva i’ terzino non i’ centrale o l’attaccante e, a quell’epoca, i’ terzino doveva giocare come giocava i’ tu babbo. Per me che ero più giovane di lui e che negli stessi anni giocavo nel suo ruolo, lui era il modello da imitare . E’ però vero che, quando ci si prenda la briga di andare a leggere le cronache dei match di quegli anni raccontate dai cronisti del tempo, non è raro incontrare racconti, come quello di Guido Capra su la Nazione del 20 e 21 novembre 1938 che, scrivendo di Fiorentina Prato (Coppa Italia 1-1) osserva che, in una squadra apparsa nel suo complesso lenta e priva di scatto, sono da registrare le brillanti prove di Menti, di Tagliasacchi e di Piccardi che è al momento attuale il miglior terzino viola, e di Griffanti. Carlino ha da poco compiuto 19 anni e magari è in un momento fortunato, ciononostante in un altro match di fine carriera viola, raccontato da Carlo Claverini per un Napoli Fiorentina dell’8 giugno 1946 (finita 1-1, con i viola in 10 uomini) si legge: Sicchè anche quando il Napoli, contenute le sfuriate dei viola, passò al contrattacco, le sue azioni difettando di coesione, furono una facile preda di un giocatore come Piccardi, insormontabile, deciso e onnipresente e di un tempista come Eliani [...tanto] che i viola hanno abbandonato tra gli applausi della folla così cavalleresca sempre con la squadra di Firenze. Indubbiamente tra gli ospiti la palma va assegnata a Piccardi seguito ad una stretta incollatura da Avanzolini, dall’infaticabile Rallo, da Eliani, Boilano, Gritti, Eberle. Non resta allora che tornare alle memorie di Ivan. Carlino per lui era forte nelle mischie, sui calci d’angolo (li il difensore doveva fare pulito), buon colpitore di testa e al volo per le rimesse dirette, ottimo nelle scivolate sull’avversario anche se pigliava ogni cosa. Un mancino che co i’ sinistro faceva icchè voleva ma usava anche i’destro, aveva una forza tremenda, faceva paura ma era difficile che venisse espulso. D’altro canto Carlino ha indossato più volte la fascia di capitano viola e ad uno che viene spesso espulso non si dà quella fascia. Se la cronaca napoletana di Carlo Claverini lasciasse intendere un diffuso comportamento da gentiluomini nei calciatori e nel pubblico avversario, è meglio ricordare subito che il più delle volte il gioco era “rude” e gli arbitri avevano spesso paura ad intervenire troppo severamente. Il cronista della Nazione Beppe Pegolotti che, per intendersi ancora una volta e come racconta Giampiero Masieri, aveva giocato nel Livorno e...durante un match aveva rotto una gamba a Bernardini della Roma, racconta di un Fiorentina Bari (stessa stagione abc, 2-0) dove l’arbitro, che come altri colleghi aveva adottato la filosofia del tirare a campare per evitare di continuare a correre nel dopopartita, avrebbe pensato Peggio per loro. Che importa se Piccardi atterrava con un


Si protegge il portiere in volo.

pugno Carlini, se Orlando ripeteva la malagesta con Magli, se Rallo e Orlando si azzuffavano e dovevano essere espulsi? Rise, divertito, anzi il signor Scotto [l’arbitro] quando Capocasale denudò Gei strappandogli la maglia ) per fermarlo mentre correva, solo, verso Costagliola. Chiosa oggi l’amico Ivan Baldanzi Uno come Carlino e faceva stare più tranquilli anche i compagni che giocavano in avanti, perché se Meo e Uccio subivano un fallaccio ci pensava Carlino (anche se i due amici non erano degli stinchi di santo) a rimettere in pari le cose, e questo lo sapevano bene anche gli avversari. Unn’era sempre così ma spesso ll’era così. Quello che è sicuro è che quando Carlino, Uccio, Beppe Bigogno, il Frati, Zino e Gino Franci e tanti altri amici ricordavano questi momenti si schiantavano dalle risate.

Una “finale” anticipata nelle pagine de La Nazione del 18 19 dicembre1938 ....................


Con i compagni all’Indiano delle Cascine.

Marco coi denti non ha mai avuto fortuna. A cinque anni prese la nefrite. I medici dissero ai genitori che sarebbe guarito togliendosi tutti i denti di latte. Inizio così un perioduccio che prevedeva un paio di estrazioni a cadenza settimanale. Allora abitavamo tutti in Via Mamiani e all’uscio accanto c’era il Vignoli, odontotecnico cinquantenne tifosissimo viola dalla nascita. Nello studio operava un dentista schivo ma conosciuto in tutta Firenze. Era un buon uomo. Aveva tre studi dentistici: uno in centro per i ricchi e benestanti, uno per i normali (quello in via Mamiani), uno per i poveri allestito in un convento. Nel tempo che gli restava faceva un salto a Montedomini. Il problema con lui era che preferiva curare i poveri poveri cui dedicava la maggior parte del suo tempo: nello studio di via Mamiani i pazienti ci passavano i pomeriggi. Pagavi di volta in volta somme irrisorie e al momento di pagare lui si sentiva in colpa e prima di prenderli domandava se non aveva chiesto troppo. Per farla breve, l’estrazione dei denti di latte era considerata una cosa da niente e, visti i ritardi del dottore e l’impazienza di Marco, spesso ci pensava (altrettanto egregiamente) il Vignoli, che ancora negli anni 60, non gli pareva il vero di avere intorno la mamma e figlio di Carlino per parlare del calcio che fu. Parlava solo lui perché alla mamma del calcio gliene importava davvero poco mentre Marco era troppo piccolo e comunque doveva stare a bocca aperta. Così mentre “Bachino” sudava a bocca spalancata, il Vignoli, ferri in mano, parlava dei bei tempi di Carlino eccitandosi e imitando le azioni di gioco tanto che Marco, alla fine di ogni seduta, fidando poco nella sua concentrazione, si riprometteva di non tornarci più. Il cavallo di battaglia dei racconti del Vignoli, tenaglie in mano e sempre più esaltato, era quello “dì solco”. Perché Menti, che l’era grande amico di tu babbo, e giocava ma giocava poco volentieri quando un c’era Carlino. Nella partita (purtroppo il Vignoli ci è venuto a mancare e la nostra memoria è quella che è) c’erano un mediano e un terzino avversari che avevano picchiato sulle gambe di Meo per tutto il primo tempo. Meo se ne doveva essere lamentato durante il riposo. Ecco, quando le squadre sono tornate in campo Carlino ha fatto un cenno a i’ terzino e a i’ mediano avversari, con la gamba sinistra ha tracciato una linea sulla sua tre quarti e poi con i dito gli ha fatto di no. Uno gli ha dato retta i mediano no e ha provato a penetrare... è volato sulla pista di atletica sotto la tribuna. Prima di mettere per scritto esagerazioni, o leggende, siamo tornati da Ivan che, non ricordandosi di questo episodio ce ne ha raccontato un secondo che, di fatto, legittima il primo, perché Questo l’ho visto co mi occhi (anche se l’episodio attende quel riscontro ufficiale sui tabellini da noi fallito). Insomma Carlino sarebbe stato il primo a dare una lezione al non ancora famoso e pur incorreggibile Benito Lorenzi (nella stagione 1946 1947 all’Empoli), ex Decima Mas cui la madre


Scivolata a spazzare

stessa aveva dato il soprannome di veleno. Di sicuro un grandissimo calciatore dal carattere “difficile” (cercate pure di lui sul web e stupirete). Fu probabilmente nella stagione 1946 1947 che Carlino avrebbe fatto un ultimo “regalo” ai tifosi viola: la “steccata massima”, vero o mitico cavallo di battaglia anche nei racconti della Guerrina. Lorenzi era una punta coi fiocchi che amava sfidare avversari (neanche i compagni di squadra si salvavano) e che in quella partita era andato via con una serie di finte a Carlino. Invece di correre a rete, si era fermato provocatoriamente per sfidarlo di nuovo. I’ tu babbo in qualche modo riuscì poi a buttare in fallo e a dirgli: guarda ‘un lo fare più”. Figuratevi, alla prima occasione Veleno ripete la scena... e lo andarono a riprendere sui cordolo della pista davanti alla Maratona e Carlino ‘un fu nemmeno ammonito. A differenza di Lorenzi, un rompeva i coglioni a nessuno ma se qualcuno lo andava a cercare e lo trovava. Anche Buzzegoli [aveva giocato in coppia con Carlino] l’era così ed erano in tanti, io compreso, non a tracciare linee ma a fare delle x sul prato per intimorire l’avversario.

L’arbitraggio di Lazio Fiorentina (18 febbraio 1946) in una cronaca di Alberto Ugolini.


Uno dei necrologi dedicati a Carlino

Quella con Ferruccio Valcareggi è stata probabilmente l’amicizia più forte. Ha coinvolto l’intera famiglia tanto che figli e nipoti continuano a frequentarsi. Le mogli, Fiorenza e Anna erano come due sorelle. Ferruccio viene spesso definito come uomo schivo e introverso: quasi l’esatto contrario di Carlino. E’ vero quando si parli al di fuori delle amicizie e dei familiari e di sicuro non era un chiacchierone, ma basta guardare alla foto a fianco, dove Ferruccio impala con un paio di corna l’inconsapevole massaggiatore Ubaldo Sotto lo Stadio. Forse l’auto usata per mitiche trasferte Farabullini, per intuire che noi abbiamo assistito a lungo la penisola. Si riconoscono Uccio (in piedi) e Ubaldo delle grasse risate quando (e succedeva spesso) Farabullini seduto. Carlino è sul sedile posteriore. Uccio e Carlino si incontravano nel privato con le famiglie e iniziavano a prendersi in giro.


Carlino, Poggi, Ellena, Bigogno, Morisco e Griffanti.

Con Renzo Magli.

Carlino, Griffanti (?), Menti.

Uccio chiamava Carlo dattero (alludendo alla sua testa allungata, l’altro suo soprannome era Norge, in omaggio al dirigibile di Nobile) e metteva in dubbio le sue qualità tecniche, Carlino lo toccava sulla rigida (?!) osservanza della disciplina sportiva in fatto di diete ed altro. Altre volte si divertivano a mettere nel mezzo l’altro pezzo da novanta della famiglia, lo zio Loris (Ciullini, sposo di Ida, sorella della mamma) nonché indimenticato cronista sportivo comunista, già presidente dell’ USSI. Lo zio se gli toccavi il partito diventava una iena e quindi, solo i fiorentini lo possono capire, vi potete immaginare l’inclemenza di Uccio e Carlino. Raramente i lazzi si rivolgevano allo zio Tullio (Duimovich, anche lui terzino della Fiorentina ai tempi di Carlino, a sua volta sposo di Mimosa, sorella di Fiorenza e Ida). Non si è mai capito se la clemenza era determinata dal fatto che Tullio appariva veramente come l’uomo più mite del mondo oppure dal fatto che, come succede agli uomini tranquilli, quando lo facevano arrabbiare era veramente un problema. Chiedete ancora una volta a Ivan Baldanzi (classe 1930), terzino del vivaio viola, che Tullio ha portato con se quando è andato ad allenare il Gela. Quello che è sicuro è che si sono divertiti come matti (anche se non sempre si sono trovati in situazioni tranquille) sia quando hanno giocato insieme, sia dopo. Nella foto in alto a sinistra, si vede quella che, con buona probabilità, è una delle tre macchine usate per la leggendaria amichevole Palermo Fiorentina già raccontata, per il 1946, da Menotti Avanzolini ed Egisto Pandolfini. Due (o, a seconda delle versioni) tre giorni di viaggio, 22 forature lungo una penisola dove resta difficile trovare cibo, una partita che i viola stanno per vincere interrotta da una feroce invasione di campo che necessita dell’intervento della cavalleria. Non raramente le trasferte più vicine si facevano utilizzando un camion scoperto ma i ponti erano ancora da ricostruire e toccava usare i barconi per gli attraversamenti come si legge in una cronaca di Franco Calamai riproposta più avanti.


Si scrive del contributo di vittime della guerra dato dalla Fiorentina. E’ doveroso rammentare quanti furono uccisi dai nazi fascisti tra 1943 e 1945: Bruno Neri, Vittorio Staccione, Armando Frigo (il primo aveva lasciato la Fiorentina nel 1936, il secondo nel 1931, il terzo fu richiamato alle armi quando militava nello Spezia) ma i familiari di coloro che hanno militato nella Fiorentina del tempo di guerra, sanno bene che le vittime tra i calciatori avrebbero potuto essere tante di più. Ad evitarne molte fu il marchese Ridolfi (magari La Fiorentina in divisa miliare. Tra gli altri con Carlino si profittando di un fascismo di guerra in profonda riconoscono Menti, Marchetti, Griffanti e Valcareggi. crisi e intento a millantare un senso di normalità) quando tanti calciatori si trovarono, ripetutamente, prossimi ad essere spediti sul fronte russo. Il marchese Luigi Ridolfi (e questo l’abbiamo sentito ripetere con le nostre orecchie e non solo dalla bocca di un pur onesto terzino) si adoperò ripetutamente per evitare quel drammatico destino ai suoi ragazzi, tanto che un contrordine arrivò, a valigie e saluti fatti, alla Stazione di Santa Maria Novella. “Favori” analoghi sono riscontrabili in molte altre società di Serie A del periodo bellico. In questa vicenda si è inserita la Roma per un discusso scudetto vinto dalla squadra capitolina nella stagione 1941-42. In sostanza, la Roma avrebbe vinto quello scudetto perché i suoi calciatori sarebbero rimasti nella Capitale mentre quelli delle altre squadre di A sarebbero finiti al fronte. A smentire quest’ipotesi viene una ricerca condotta dai tifosi romanisti che dimostra efficacemente come Fiorentina e Roma, abbiano goduto di un trattamento analogo a tutte o quasi le altre compagini del massimo campionato. Con questo in mente si può discutere meglio su chi siano i privilegiati e di sicuro, anche su questo, Ottobre 1940: in divisa militare. Carlino sarà d’accordo con noi. Si era dunque ancora nella Fiorentina del Marchese Ridolfi che nel 1942 viene chiamato a dirigere la Ferdercalcio ma continua a guardare alla sua Fiorentina tramite il proprio vice, Scipione Picchi che lo sostituisce alla presidenza. Finita la guerra Ridolfi si dovette forzatamente allontanare da Firenze e lo fece con un ennesimo beau geste più volte raccontato. La sua figura, compromessa con il regime fascista (fu “eletto” in forma plebiscitaria per tre volte deputato e fu federale di Firenze) si era fatta adesso ingombrante per la città e, forse, pericolosa (almeno per lui). Ne aveva ben donde (visto che ad oltre 45 anni dalla fine della guerra, dopo una evidente “riabilitazione” che lo vide presidente della FIDAL dal 1956 alla morte) gli si preferì, per Il Marchese Luigi Ridolfi. intitolare uno stadio voluto e almeno parzialmente pagato dal marchese, il pur illustre Artemio Franchi, Presidente UEFA.


Il giorno del matrimonio con Fiorenza (era il 1943).

Fiorentina Livorno nella cronaca di Roberto Gamucci (7 ottobre 1946).

L'ultima giornata del campionato di serie A (Genova Fiorentina 0-2) si disputò il 25 aprile del 1943. L’armistizio dell’otto settembre lasciò l’Italia non ancora liberata alla mercé dei nazifascisti combattuti dalle prime formazioni partigiane e dalle truppe alleate. Una situazione protrattasi fino all’aprile del 1945. Carlino, intanto, aveva sposato Fiorenza nell’estate del ‘43 (nessuno di noi si ricorda la data esatta anche perché in famiglia si è badato sempre poco a compleanni e ricorrenze). Il 29 maggio del 44, nasce a Suzzara (MN) il primogenito Andrea. Nel frattempo gli alleati, nell’avanzata verso Nord si avvicinano a Firenze. Il campionato è ovviamente sospeso al Centro Sud ma prosegue tra mille difficoltà a Nord (si interromperà nella stagione 1944 1945). Sembra che il Suzzara (nella stagione 1943 1944 finirà al secondo posto nelle finali B emiliane del Campionato di Guerra Alta Italia) abbia contattato Carlino che, un po’ per mantenersi in attività sperando nella ripresa calcistica dopo le ostilità e un po’ credendo di mettere più al sicuro la famiglia, fece le valigie e vi si trasferì. Col passare dei mesi, come nella Samarcanda di Vecchioni, il fronte si sposta sempre più a Nord ed è qui che si riaprono i ricordi di famiglia. La mamma infatti ha ricordato per tutta la vita il terrore di quando, col marito e il figlio di pochi mesi in braccio, decisero di attraversare il fronte per tornare nella Firenze liberata dall’agosto del 44. La paura più grande (il babbo aveva 25 anni), era che Carlino finisse in un rastrellamento e facesse la fine di tanti coetanei spediti nei campi di lavoro tedeschi, nei campi di concentramento o forzatamente arruolati nelle file nazifasciste oppure freddato sul posto come renitente alla leva (destino che riporta alla mente l’indimenticabile martirio dei 5 ragazzi di 21 anni fucilati al Campo di Marte). Come tutti i ragazzi di ieri e di oggi noi si faceva fatica ad ascoltare i genitori, specialmente quando si ripetevano. Così neanche Andrea si ricorda più di niente, se non la classica frase usata da tanti fiorentini quando non vengono ascoltati Un vu mi date né tinche né ceci. Comunque sia, anche questa volta andò bene e anche questa fu un esperienza condivisa con altri compagni di squadra che tornarono a Firenze subito dopo l’estate del 1944.


L’unico ricordo stampato e firmato da Carlino Piccardi.


La Fiorentina dell’immediato dopoguerra in un servizio di Franco Calamai.


18 novembre 1945. Fiorentina-Lazio (4-3).

22 settembre 1946. Fiorentina - Inter (3-3) Gregorini, Gritti, Chiodi, Piccardi, Eberle, Badiali. Accosciati: Avanzolini, Lamberti, Eliani, Marchetti. Sdraiato: Bollano

Gli allievi della Fiorentina nel 1945.

A destra. Manlio Grandi e Ivan Baldanzi rispettivamente portiere e terzino destro della seconda squadra della Fiorentina del 1946.

Nella Firenze liberata si ricomincia a pensare al calcio e molti dei giocatori viola si riuniscono al Padovani per poi iniziare, il 2 aprile 1945, e vincere quello che è conosciuto come il Campionato Toscano di Guerra. E’ noto che nella stagione successiva (1945 1946) il campionato si sdoppiò. Da una parte quello del Nord (tutte squadre di A), dall’altra quello del Centro Sud (il campionato Misto Bassa Italia formato da squadre di A e B). La Fiorentina è allenata da Beppe Bigogno, rientrano Menti, Magli, Eliani e Gritti debutta in viola di Gritti e la squadra si piazza quinta. Il campionato di serie A si riunifica per la stagione 1946-1947 cui partecipano 20 squadre. Brutta stagione per una Fiorentina in crisi che vede il succedersi di tre allenatori: Guido Ara, Renzo Magli e Imre Senkey. Griffanti se ne è andato l’anno precedente al Venezia, la porta viola si è fatta più penetrabile e subisce 69 goals. La formazione, dopo essersi vista annullare un gol nella terzultima giornata di campionato (che decreta il pareggio 2-2 e scatena una invasione di campo), si salva con il discusso pareggio dell’ultima giornata con il Bologna. In questa sua ultima stagione in viola Carlino gioca 31 partitesu 38.


Al Milan con Beppe Bigogno

Una formazione dell’Atalanta nel 1949. L’allenatore istriano Giovanni Varglien, Cergoli, Karl Hansen, Soerensen, Bertil Nordal, Piccardi, Casari. Accosciati: Edmondo Fabbri, Malinverni, Randon ,Angeleri, Dal Monte.

Alla vigilia di Atalanta Milan. Il sogno di Renzo Burini (goleador del Milan) seguito dall’incubo di Carlino (allora all’Atalanta).

E’ certo che in quell’anno a Carlino arrivano più offerte di trasferimento. Bigogno, nella stagione 1946 1947, aveva iniziato ad allenare il Milan e concluso il campionato al quarto posto. La stagione successiva vuole e ottiene Carlino che gioca 21 partite. Il Milan conclude quel campionato al secondo posto dopo il grande Torino. La mamma Fiorenza non ricordava volentieri quel periodo. Nei primi mesi Carlino, appena finita la partita domenicale, tornava a Firenze per arrivare la mattina presto del lunedi, stare in famiglia e ripartire la sera stessa. Non era la sua vita ma i soldi facevano comodo ora che c’era anche un figlio da mantenere. Carlino sembra risentirne anche nell’aspetto, appare provato e invecchiato ma in campo ce la mette tutta e continua a restare ai livelli di sempre. Fiorenza ed Andrea si trasferiscono a Milano.

L’anno dopo, arriva a Carlino un’offerta irrifiutabile dall’Atalanta, la stessa dove giocano lo svedese Bertil Nordhal, i danesi Karl Aage Hansen e Leschly Sørensen, Edmondo Fabbri, Il primo anno garantisce 21 presenze, nel secondo 26. Nella XXV campionato del 13 febbraio1949, si scontrano Atalanza e Lazio (1-1). La cronaca della partita registra che I migliori tra i padroni di casa sono stati Piccardi, Mari e Gremese. E’ Carlino a segnare il secondo (?) gol della sua carriera comunque sufficiente a fargli dichiarare, con la consueta autoironia, Anche le querce fanno i limoni. La famiglia si è trasferita a Bergamo dove Andrea inizia la scuola ma Carlino (forse con i soldi ottenuti dal trasferimento) si compra una Lancia Ardea e appena si presenta l’occasione (feste, turni di riposo o vacanze) torna a Firenze. All’epoca, erano necessarie dalle sette alle otto ore (a seconda dello stato delle strade e del numero delle forature, il traffico ci entrava poco) ma una volta tornati a Firenze, era sempre una festa. La folta rappresentanza scandinava dell’Atalanta, stimola una tournée (di cui sul web abbiamo riscontrato poco o niente) con 8 partite da giocare in Danimarca e Svezia. Qui possiamo attingere alle lettere che Carlino scriveva a Fiorenza e che, al di là delle normalissime righe di amore e nostalgia, ci illuminano sullo stato d’animo suo e degli altri giocatori, sui guadagni, le difficoltà e... la voglia comune di tornare in Italia.


Nel giugno 1950 con l’Atalanta in Svezia e Danimarca.

Nel 1950, intorno alla Sirenetta e in altri luoghi scandinavi.

Si tratta di una “gita” faticosa dove Carlino lamenta stanchezza e insofferenza. Cinque partite in Danimarca e tre in Svezia: tutte, sembra di capire, in città diverse (le lettere arrivano da Copenaghen, Viborg Naestved e Stoccolma). Più o meno una partita un giorno sì e un giorno no con trasferimenti che impegnano anche 12 ore. In una lettera si lamenta del cibo ma fortunatamente Oggi sono arrivati due dirigenti nostri. Hanno portato due lattine d’olio, così finalmente, abbiamo potuto mangiare un po’ di pomodori come si usa da noi [...]E Paolo [nato l’anno precedente] cosa fa ? E’ sempre birbone? Quando torno a casa voglio sentirmi chiamare babbo. Fai in maniera che un po’ di bene lo voglia anche a me. Ancora, da Naetved, ritorna sul cibo scrivendo Oggi la partita è iniziata alle 20. Siamo andati a cena che erano le 23. Anche qui grande abbondanza di roba ma niente a che fare con la cucina italiana. Mangiamo per riempirci lo stomaco. Anche questa partita l’abbiamo vinta 4-2. E’ stata la partita più dura. Sono contento di essere stato anche oggi tra i migliori [...]. Già all’epoca si ritenevano i costumi delle donne scandinave più liberi di quelli delle italiane e la mamma non doveva aver gradito più di tanto quella trasferta. Carlino non finisce di tranquillizzarla Mi manchi tantissimo. Alle volte anche i miei compagni si accorgono che soffro. Allora mi prendono in giro. Però mi ammirano [?!]. Pensa ai regali Vedrai che comprerò una radio di quelle a batteria che si ascolta in qualunque posto senza che serva la spina elettrica. Sono molto belle e costano meno che in Italia [...] Sono già passate le una di notte. Sogni d’oro amore mio. Il compenso garantito era di 35.000 lire (il Sole 24ore ci dice che negli anni 50 un operaio guadagnava 30.000 lire al mese) cui si aggiungono 6000 lire di premio partita in caso di vittoria. La tournée avrebbe dovuto continuare in Germania ma Carlino ed i colleghi sono contrari a proseguire quell’ esperienza. Non vede l’ora di tornare a casa, partire per il mare e riposarsi. Quelle scandinave saranno le sue ultime partite da professionista. Carlino torna a Firenze, va al mare e poi torna nella casa di sempre sopra la Guerrina ma il momento di “tornare su” si avvicina. Dei quattro non ce n’è uno che voglia andarsene da Firenze. La Guerrina è condotta da terzi che mostrano però l’intenzione di lasciare. Il babbo, ancora una volta, prende la palla al balzo per iniziare una nuova vita. Avrebbe potuto continuare nel mondo del calcio. Magari frequentando come tanti suoi ex colleghi un corso allenatori oppure nella dirigenza, magari come osservatore o chissà cosa. La società


l’avrebbe sicuramente bene accolto e, secondo i racconti della mamma, altre offerte non gli erano mancate. Ognuna di queste possibilità avrebbe però significato allontanarsi, per più o meno tempo, dalla famiglia, destinata a crescere di un altro figlio, e da Firenze. E’ andata a finire che in 52 anni di vita Carlino è stato lontano da Firenze solo per 3 anni e questo gli è bastato ed avanzato. Praticamente dal 1950 si è mosso solo per andare a Lido di Camaiore al Bagno Manè per le vacanze da passare in famiglia e....con Uccio, Beppe, gli zii Loris e Tullio ecc. hanno fatto la fortuna del bar adiacente al bagno...i vacanzieri fiorentini venivano apposta per vederli con le carte in mano “incazzati” per una briscola o intenti a prendersi in giro.

ù

Al Lido di Camaiore. Carlino e Fiorenza con i figli, i nonni materni, la zia Mara e Carlo pizzicato dal babbo: era il cugino più “cattivo”, il suo preferito.

Marco Andrea e (naturalmente) Paolo Piccardi


Ringraziamenti Un sincero ringraziamento a Giampiero Masieri, Sandro Picchi, Luciano Lunghi, alla sezione storica della Biblioteca delle Oblate e a tutti gli amici e conoscenti che negli ultimi giorni (tempestati da nostre telefonate e mail) hanno contribuito ad interpretare gli episodi più lontani della carriera sportiva di Carlino. Un grazie particolare a Gigi Piccolo, altro ragazzo del Campo di Marte e amico di lungo corso, per il tempo dedicato alla revisione di testo e didascalie. Ci scusiamo comunque per eventuali scambi di persona e omissioni nelle didascalie. Punto di riferimento per il riconoscimento delle persone che compaiono nelle foto, sono gli appunti posti sul loro retro con calligrafie diverse, riconducibili ai cronisti che le hanno avute in prestito per i loro articoli e poi debitamente restituite. Il nostro album di famiglia e dunque l’iconografia che accompagna il testo avrebbe potuto essere più folto. Fatto è che molte delle foto date in prestito non sono più tornate indietro e, in un paio di casi, sono state carpite in malafede. Sappiamo dove sono finite, e abbiamo ripetutamente (e senza successo) chiesto con cortesia la loro restituzione...Carlino ci ha insegnato ad essere pazienti e cortesi quanto basta.


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