direttore del Museo d’Arte Moderna di Tirana e promotore del recentissimo TICA (Tirana Institute of Contemporary Art), ha voluto sottolineare come l’arte sappia infiltrarsi tra le pieghe di una città apparentemente resa impermeabile alla creatività. In questo frastagliato quadro il successo maggiore è stato ottenuto dal progetto di un giovane artista e curatore italiano, Stefano Romano, protagonista di un’esperienza a metà strada tra la pratica artistica e la riattivazione urbana. Si tratta di un gruppo di interventi puntuali, performance, operazioni consumate nell’arco delle ventiquattr’ore all’interno di spazi significativi della capitale, prodotte ogni volta da artisti diversi chiamati da curatori contattati a loro volta dallo stesso Romano. Il titolo del progetto 1.60 Insurgent Space ha diverse declinazioni: OnepointSixty fa riferimento al tempo impiegato dall’otturatore della macchina fotografica prima di scattare il flash, una frazione di secondo, InsurgentSpaces richiama i luoghi che sono protagonisti di questi eventi fulminei, luoghi marginali, piazze, mercati, mezzi di trasporto pubblici, edifici abbandonati, popolari, obsoleti, mentre Cittadinanza Impermanente, idea più volte espressa nei numerosi articoli a lui dedicati dal curatore, è l’insieme ipotetico di tutti coloro che usufruiranno di questi spazi, persone in transito che non vogliono appropriarsi di luoghi non-istituzionali per poi renderli parte di un sistema codificato ma semplicemente ospiti temporanei, non permanenti appunto. Voluto da Edi Muka e cresciuto attraverso l’attenzione che i media del paese hanno dedicato ad ogni evento 1.60 raccoglie un sistema di esperienze dai molteplici caratteri. Iniziato nel 2005 e terminato a settembre del 2006, dopo 47 eventi che hanno visto la partecipazione di 60 artisti, come spiega lo stesso Romano: «1.60 è nato anche come bisogno di aprire una discussione riguardo alle frontiere albanesi, chiuse per i suoi stessi abitanti. È come se fosse stato imposto un flusso (ufficiale) in un’unica direzione, quella in entrata, come se l’Albania dovesse assorbire tutto ciò che l’occidente produce, senza possibilità di rigetto. In realtà come la natura insegna, una valvola di sfogo da qualche parte deve pure esserci e forse dopo le ondate di clandestini dei primi anni ‘90, oggi quella valvola potrebbe essere l’esportazione di nuovi modelli culturali verso l’ormai sempre più decadente Europa occidentale». Non è un caso se questa esperienza ha saputo relazionarsi in modo tanto empatico con la città, risvegliando l’attenzione degli albanesi con episodi così efficaci. Nessuna volontà di permanenza ma tracce che lentamente scompaiono come nell’opera di Jakup Ferri che ha inserito una serie di disegni tra le macerie del Bar degli Artisti, ex ritrovo degli studenti dell’Accademia, oggi ridotto a rudere. L’intervento, en plein air, montato in rapidità, è ancora visibile nei piccoli brandelli di carta che ricoprono, come una suggestiva carta da parati, le pareti scrostate. Memoria del luogo che fu, fantasmatica presenza, ipotesi di vita dello spazio, occupato e subito abbandonato. Altre volte al luogo si è sostituito l’attraversamento, il percorso, come nel progetto di Nikolin Bujari che ha concentrato la sua attenzione sulle nuove pensiline per gli autobus collocate in varie zone della capitale. Gli spazi liberi delle pensiline sono stati occupati dalle immagini pubblicitarie e nessuno ha pensato di lasciare uno spazio per gli orari o il tragitto degli autobus. Coprire, anche solo per un giorno, i messaggi commerciali con apposite segnaletiche urbane, ha prodotto una nuova attenzione da parte degli utenti che per la prima volta hanno visto questi spazi secondo una logica di utilità pubblica. L’autobus è stato anche il luogo dell’azione di Sislej Xahfa, il quale ha fornito carta e penna a tutti i passeggeri di un mezzo pubblico chiedendo loro di disegnare i luoghi più significativi incontrati lungo il tragitto. Saper guardare la città e raccontarla attraverso le immagini è, di nuovo, un modo per richiamare l’attenzione sulla cultura urbana, affrontato qui in modo leggero ed efficace. Ma gli esempi sono davvero molti, dalla proiezione di video in un ex cinema a luci rosse, famoso a Tirana, allo scambio di biancheria in un mercato. Alcune di queste esperienze hanno rasentato l’illegalità come è avvenuto con tre mostre collocate in una residenza universitaria, forse più simile ad un dormitorio che ad un decoroso alloggio per studenti. Qui tre artisti, Shkurti, Shkreli e Pema hanno creato un’atmosfera quasi da rave ricordando ai loro coetanei quanto l’espressione artistica possa incidere, anche solo nell’arco di una notte, sulla visibilità dei luoghi.
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