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il futuro dell’edilizia Il settore della costruzione Innovare, scomparire o sopravvivere?

di Angelo Luigi Camillo Ciribini Università degli Studi di Brescia

Nel momento in cui le misure di finanziamento e di incentivazione della riqualificazione dell’edilizia residenziale (specialmente privata) e di infrastrutturazione della mobilità e del territorio paiono garantire prospettive favorevoli per il settore della costruzione e dell’immobiliare nei prossimi anni, nonostante le note criticità relative agli andamenti generali dell’economia e della politica a livello internazionale, specie in termini di produttività e di inflazione, la forte sollecitazione che il versante della domanda pubblica e privata sta esercitando sul versante della offerta privata sollecita un cruciale interrogativo sulla necessità di riconfigurazione del tessuto professionale e imprenditoriale che si basa sugli effetti reciproci riguardanti la digitalizzazione e la sostenibilità e i relativi valori. In altri termini, si tratta di capire se la offerta privata di lavori, di servizi e di forniture sia in grado di rispondere adegua- tamente alle richieste ricevute nell’arco temporale assegnato, anche in dipendenza del contesto amministrativo in cui essa sia tenuta a muoversi, ma pure è auspicabile comprendere se ciò potrà avvenire anche con il concorso di realtà imprenditoriali sinora percepite come relativamente esterne, dotate di considerevole capitale umano e finanziario, che stanno, peraltro, internalizzando conoscenze, competenze e abilità tradizionalmente detenute dagli operatori convenzionali. Non sembra, tuttavia, del tutto convincente la convinzione secondo cui, in assenza di innovazione, gli operatori economici siano minacciati di scomparsa dal mercato, nel senso che il settore, nel passato, è sempre stato in grado di assimilare parzialmente e incrementalmente il cambiamento, senza mettersi realmente in discussione.

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Ciò non significa, ovviamente, che il mercato nei primi due decenni del nuovo secolo non si sia notevolmente trasformato, ma, comunque, resta la constatazione che alcune sfide strutturali siano rimaste sempre sostanzialmente poco evase: da un secolo a questa parte, investendo le identità degli attori, oltre che i loro sistemi di convenienza, come dimostra la questione, annosa, della cultura industriale. Per quanto concerne, in particolare, la digitalizzazione, vi sono due aspetti che devono essere attentamente considerati.

In primo luogo, anzitutto, per quanto riguarda la pubblica amministrazione, nella duplice funzione di acquisizione e di esecuzione dei contratti pubblici (ad esempio, per gli investimenti in capitale fisso sociale) e di gestione dei processi autorizzativi (ad esempio, per il rilascio dei titoli abilitativi), prevale attualmente una concezione della digitalizzazione improntata alla remotizzazione e alla digitalizzazione, come è evidente per le piattaforme telematiche dell’e Procurement e per quelle inerenti all’edilizia privata e alle attività produttive.

Si tratta di una impostazione che, spesso, è incentrata sul documento, sia pure nella sua forma immateriale, anziché sul dato, possibilmente strutturato, in quanto tale.

È evidente che un simile approccio alla trasformazione digitale non possa che essere riduzionista, ma, al contempo, è innegabile che esso sia inscritto più facilmente in una interpretazione maggiormente generale del tema e, dunque, più facilmente comprensibile e familiare sia alla collettività sia ai decisori.

In secondo luogo, alla costante espansione delle applicazioni digitali al settore non si accompagna una sufficiente maturità digitale, sia perché essa è proposta come semplice sommatoria di soluzioni tecnologiche decontestualizzate da un ecosistema e da una metodologia sia perché le caratteristiche (a titolo esemplificativo, dimensionali) degli operatori economici non posseggono le congruenti capacità di investimento.

Per questa ragione, il rischio principale consiste nella possibilità che si rafforzi, da un lato, l’interpretazione più banale della digitalizzazione, mentre, da un altro lato, esiste la possibilità che la dilatazione impressionante dell'universo digitale resti confinata ai campioni nazionali e alla letteratura o alla pubblicistica, mentre la reale implementazione capillare nella pancia profonda del mercato delle soluzioni (dei metodi e degli strumenti) elementari rimane affatto di là da venire.

Di fatto, potrebbe registrarsi una preoccupante convergenza tra la mancata integrazione tra Information, Risk & Project (Portfolio & Programme) Management, la scarsa cultura del dato, la critica introduzione della digitalizzazione nei quadri giuridico-contrattuali e negli ambiti socio-tecnici.

Al fondo, occorre, inoltre, osservare come la digitalizzazione stia divenendo progressivamente un elemento abilitante la sostenibilità ambientale, sociale ed economica, anziché rimanere in qualità di agente autoreferenziale.

Bisogna, perciò, interrogarsi su quale possa essere, a dispetto dei tentativi di aggregazione, una via credibile per la digitalizzazione del sistema delle costruzioni, pervaso dalla micro e dalla piccola dimensione delle organizzazioni, per quanto essa possa essere stato in piccola parte recentemente ridimensionata.

Tutto ciò, a prescindere dagli obblighi legislativi e dai meccanismi incentivanti, riporta a due esigenze fondamentali: ripartire dalle esperienze, in gran parte analogiche, maturate col Super Bonus 110% e, più in generale, con quelle, molto parzialmente digitali, relative all’intero Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr), per ragionare sulla evoluzione del sistema settoriale, o meglio, dell’eco-sistema digitale legato a esso.

È necessario comprendere quali ripercussioni, di natura organizzativa, queste misure possano avere veramente generato come legato in termini di innovazione. Al fondo, la priorità andrebbe assegnata alla rivisitazione delle relazioni tra la componente committente, quella professionale (o meglio, interprofessionale, tra professioni tecniche e non tecniche) e quella imprenditoriale (articolata nelle declinazioni tra attori della costruzione e dell’immobiliare oltreché tra entità attive nella catena di fornitura), così come al rapporto tra soggetti pubblici e soggetti privati nelle formule partenariali, in funzione della rigenerazione urbana.

Iniziative quali il Campus Edilizia Brescia, prossimo a costituirsi in fondazione, e l’European Digital Innovation Hub Dihcube, promosso da Ance, che vede una importante presenza di Ance Brescia (e di Eseb) e dell’Università degli Studi di Brescia, si rivelano, quindi, decisive per passare a un piano meno retorico e più pragmatico, capace di supportare una transizione digitale e sostenibile che rimane difficile e non priva di incognite. L’Hub, in effetti, operando nei dominî della informazione, della formazione, anche tramite coaching, e del testing before investing, con oneri accettabili per i tessuti poc’anzi citati e con una predisposizione a essi prossima, parrebbe l’entità meglio attrezzata all’uopo.

Non si dimentichi che, ad esempio, in Francia, il sistema delle costruzioni sta affrontando da anni il tema della digitalizzazione nelle infrastrutture tramite il Projet National MINnD in termini sistemici, a tal punto che, traguardando il 2050, sta avviandosi a un dialogo alla pari con sistemi analoghi, come quello dell’aerospazio o quello dell’autoveicolo.

Più di tutto, la partita ultima si profila, al proposito, essere quella attinente al rapporto tra il settore della costruzione e dell’immobiliare e quello della finanza, da intendersi nel doppio risvolto agente tra le raccomandazioni emanate dalla European Banking Authority (Eba) sulla finanza sostenibile e sui criteri Esg (Environmental Social Governance) e le linee guida, sempre della medesima autorità, relative a Loan Originating and Monitoring (Lom): digitalmente abilitabile?