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Un condannato a morte è fuggito /Cinema

UN CONDANNATO A MORTE È FUGGITO

di Francesco Castracane

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Questo articolo inizia con il titolo di uno dei più importanti film della storia del cinema, una pellicola del 1956, di uno dei registi della Nouvelle Vague francese, Robert Bresson. Un lavoro costruito con una grande sobrietà di immagine, che sarà comunque la cifra stilistica di questo grande regista. Il film, tratto dal racconto autobiografico di André Devigny, racconta dell’evasione da un carcere di un componente della resistenza francese durante la seconda guerra mondiale. Perché iniziare da questo film? Perché il dibattito sul significato rieducativo della detenzione è strettamente intrecciato con la riflessione sulla pena di morte. Quindi in questo articolo si parlerà anche dei film sulla pena di morte e sulle condizioni carcerarie. Fin dalla sua nascita, infatti il cinema si è occupato di parlare di tali questioni. Raccontare le dure condizioni della vita carceraria, ha il senso di mostrare la dicotomia fra quanto le leggi dichiarano e la sua reale applicazione nella realtà.

Ma vorrei dedicare questo articolo a Giulio Salierno, autore di un volume stampato nel 1976 che si chiama: “Autobiografia di un picchiatore fascista”. Giulio Salierno alla fine degli anni ’40 del ‘900 è iscritto alla sezione romana di Colle Oppio del Movimento Sociale Italiano. Frequenta la Roma del sottobosco fascista dell’epoca, costituito da transfughi della Repubblica Sociale Italiana, palestre di boxe, picchiatori e personaggi non proprio onesti, fino a diventare allievo dello spiritualista di destra Julus Evola. Sogna di uccidere il capo partigiano Audisio, ma durante il furto di una macchina ne uccide il proprietario. Scappa in Francia, si arruola nella Legione Straniera ma alla fine viene arrestato e portato in Italia. In carcere comincia a studiare, si laurea in sociologia e prende le distanze dal suo passato. Nel 1968, l’allora Presidente della Repubblica Saragat gli concede la grazia. Da allora Salierno, che grazie allo studio ha capito i propri errori, sarà impegnato assieme a Franco Basaglia nell’apertura dei manicomi e nella riforma carceraria. Nel 1976 appunto, scrive questo libro dove racconta la propria esperienza di “picchiatore fascista”. Finisce gli ultimi anni della sua vita a insegnare sociologia all’Università di Sassari. Ho voluto raccontare questa storia perché emblematica di come lo studio e le occasioni di riflessione che si possono avere in carcere, possano divenire lo strumento per ripensare in maniera critica al proprio passato.

Di esempi in tal senso ce ne sono moltissimi. Ma ora l’intendimento dello scrivente e quello di svolgere una breve ricognizione di alcune delle opere che si ritengono essere più interessanti e significative, più o meno in ordine cronologico:

L’uomo di Alcatraz di John Frankenheimer, USA 1962

L’uomo di Alcatraz di John Frankenheimer, USA 1962

Ovviamente in questo breve viaggio nel cinema non può mancare un film del 1962 “L’uomo di Alcatraz” di John Frankenheimer. Il film, fotografato in uno splendido bianco e nero, è tratto dalla biografia di Robert Stroud, una persona che nel 1909 fu condannata a morte per omicidio, ma al quale fu poi commutata la pena in ergastolo. La sobria recitazione di Burt Lancaster ci mostra un personaggio, che durante la detenzione impara ad allevare volatili fino a scrivere decine di libri sull’allevamento degli uccelli. Successivamente, con lo studio in carcere, riuscirà a scrivere un trattato sulle condizioni carcerarie. Le autorità degli Stati Uniti tentarono di bloccare la produzione del film, senza riuscirci.

Brubaker di Stuart Rosenberg, USA 1980

Brubaker di Stuart Rosenberg, USA 1980

Un Robert Redford di annata è invece il protagonista di “Brubaker” del 1980, dove al nuovo direttore del penitenziario viene impedito di attuare le riforme necessarie per cambiare le condizioni dei detenuti.

American History X di Tony Kaye, USA 1998

American History X di Tony Kaye, USA 1998

E’ del 1998 uno dei film più interessanti sul percorso di ripensamento della propria vita che può avvenire in carcere. Si parla di “American History X” con un Edward Norton componente di un gruppo di suprematisti bianchi in carcere per avere ucciso due neri, che durante la detenzione si rende conto che gli unici due che lo hanno aiutato sono due neri. Un finale tragico ma un ritmo e un montaggio incessante, che lasciano lo spettatore in ansia fino alla fine.

Il profeta di Jacques Audiard, Francia 2009

Il profeta di Jacques Audiard, Francia 2009

Invece, nel “Il profeta” del 2009, un arabo analfabeta viene condannato a 7 anni di reclusione. In carcere impara a leggere ma scala rapidamente le scale del mondo criminale, in una struttura carceraria dove i detenuti vengono abbandonati a se stessi.

Il figlio dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, Belgio/Francia 2002

Il figlio dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, Belgio/Francia 2002

Assolutamente degno di nota il lavoro “Il figlio” dei belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne (2002). Olivier insegna falegnameria in un centro che si occupa del reinserimento di giovani disadattati e usciti da riformatorio. Un giorno un Assistente Sociale gli chiede di accogliere come apprendista un ragazzo di 16 anni, che 5 anni prima ha ucciso suo figlio. Un film frugale, quasi eversivo, che non lascia scampo allo spettatore e lo interroga dalla prima all’ultima scena: cosa fareste voi? Accettereste di seguire l’assassino di vostro figlio? E se sì perché? E se no perché? Una macchina costantemente attaccata ai protagonisti, come è nello stile dei Dardenne, per sviluppare una riflessione profonda sul concetto di vendetta, di perdono, di risentimento o di rinascita. Non si dice il finale.

L’enfant dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, Belgio/Francia 2005

L’enfant dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, Belgio/Francia 2005

Sempre dei fratelli Dardenne, non si può non citare “L’enfant” (2005), una cruda storia di bambini venduti a trafficanti.

Interessante ma forse un po’ troppo didascalico il film “4 Minuti” di Chris Kaus (2006). Una giovane donna è in carcere per un omicidio ed è considerata estremamente pericolosa. Invece l’insegnante di piano ne intuisce le potenzialità e nonostante le grandi difficoltà, alla fine la ragazza riuscirà ad esibirsi, per 4 minuti appunto, ad un concorso musicale.

The Experiment di Paul Scheuring, USA 2010

The Experiment di Paul Scheuring, USA 2010

Da non perdere il film “The Experiment” (2010), di Paul Scheuring, mai distribuito in Italia e reperibile solamente in DVD. Il film si ispira all’esperimento realizzato dallo psicologo statunitense Dottor Zambardo, all’Università di Stanford nel 1971. A un gruppo di persone, 26 per l’esattezza, vengono coinvolte in un esperimento, dove 16 di queste saranno i prigionieri e gli altri 8 le guardie. Nonostante le buone intenzioni, lentamente ma inesorabilmente, le guardie cominciano a comportarsi da guardie e i detenuti da detenuti, fino a giungere a un livello di violenza incontrollabile.

XIII emendamento (13th) di Ava DuVernay, USA 2016

XIII emendamento (13th) di Ava DuVernay, USA 2016

Il XIII Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, recita: «Né schiavitù o servitù involontaria, eccetto che come punizione per un crimine per cui il soggetto dovrà essere debitamente incarcerato, esisterà sul suolo degli Stati Uniti, o in ogni altro luogo». La regista statunitense Ava DuVernay, partendo da quanto scritto, crea un provocatorio documentario, intitolato appunto “13th” (2016), per dimostrare come la giustizia del suo paese sia particolarmente feroce con i neri. Essi vengono condannati ai lavori forzati, continuando quindi, per certi versi a mantenere parte della popolazione afroamericana nella dimensione psicologica della schiavitù.

Cesare deve morire dei fratelli Taviani (2012)

Cesare deve morire dei fratelli Taviani (2012)

Si vuole concludere questa breve rassegna con due lavori italiani: il primo è “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani (2012), vincitore dell’Orso d’Oro al Festival del Cinema di Berlino. Nella sezione alta sicurezza del carcere di Rebibbia sono rinchiusi detenuti che hanno commesso reati diversi, molti dei quali legati alla criminalità organizzata, condannati a pene che vanno da un minimo di quattordici anni fino all’ergastolo. Nell’ambito di un laboratorio teatrale, alcuni di costoro vengono coinvolti nell’allestimento del Giulio Cesare di William Shakespeare per la regia di Fabio Cavalli. I fratelli Taviani non si limitano a documentare il lavoro di preparazione dello spettacolo, riuscendo piuttosto a raccontare l’incontro tra un gruppo di uomini e l’arte attraverso un testo che, essendo incentrato sulla violenza delle lotte di potere, li tocca da vicino. Vengono mostrati i provini, le prove, a volte anche le discussioni fra i detenuti, che non sono detenuti qualsiasi, ma autori di reati di sangue. Ma i registi non ci dicono cosa abbiano compiuto. Poi avviene lo spettacolo all’interno del Teatro del Carcere. E forse per la prima volta i detenuti/attori scoprono una dimensione diversa della propria vita. Per queste persone il carcere è una ipotesi prevista, ma alla fine del film, nell’ultima scena, uno dei detenuti rientra in cella, e guardando la macchina dice: «Da quando ho conosciuto l’arte, questa cella è diventata una prigione».

Dustur di Marco Santarelli, Italia 2016

Dustur di Marco Santarelli, Italia 2016

Ma in conclusione non è possibile non citare il bellissimo documentario “Dustur” di Marco Santarelli (2016). Nella biblioteca del carcere bolognese di Dozza, un gruppo di detenuti arabi, coordinati da Fra Ignazio e dal mediatore culturale musulmano Yassin Lafram, discutono della Costituzione italiana, affrontando temi come l’uguaglianza, la libertà, il diritto al lavoro e all’istruzione. Tali questioni vengono confrontate con le leggi dei paesi di provenienza. Alla fine i detenuti provano a scrivere una nuova “Dustur”, una nuova Costituzione. Nel cimitero di Casaglia, luogo simbolo della strage di Marzabotto, Fra Ignazio e uno dei detenuti stilano una nuova Costituzione. Un lavoro veramente straordinario, purtroppo poco visto e conosciuto che meriterebbe una maggiore diffusione.

Francesco Castracane: Educatore professionale nell’ambito delle dipendenze patologiche

Un condannato a morte è fuggito di Robert Bresson, Francia 1956

Un condannato a morte è fuggito di Robert Bresson, Francia 1956