Amici del Musical #12

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musical

Dirty Dancing La famiglia Addams Sunset Boulevard Miss Saigon Dirty Rotten Scoundrels The Pajama Game Shrek Saverio Marconi Daniela Pobega Altea Russo e Felice Casciano

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Saverio Marconi I miei consigli per aspiranti autori di musical a cura della Redazione


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In occasione della seconda edizione di PrIMO, la cui fase preliminare si chiude il 15 dicembre 2014 con l’invio dei nuovi elaborati (regolamento su www.premioprimo.it), abbiamo pensato di chiedere a Saverio Marconi, il “papà” della Compagnia della Rancia e colui che assegnerà la “menzione speciale” di PrIMO, qualche consiglio per gli autori di musical originali italiani.

Partiamo proprio dalla prima edizione di PrIMO. Che valutazione può dare alle opere presentate? L’iniziativa di PriMO è molto interessante, importante e direi fondamentale per la crescita del Teatro Musicale italiano, ma è anche importante tenere presente il nostro mercato che non sta certo vivendo una bella stagione. È questo ultimo aspetto che è stato tenuto poco in considerazione nell’affrontare la creazione di nuove opere di Teatro Musicale. È necessario tener presente il nostro periodo storico perché, conoscendo la storia del musical a Broadway e nel West End si capisce chiaramente che ci sono state varie evoluzioni. Dal musical-operetta degli inizi (da No no Nanette al più drammatico Show Boat) si è passati alle commedie musicali dei grandi autori anni ‘30 (Anything Goes) per poi vivere con Rodgers & Hammerstein (da Oklahoma a Tutti insieme appassionatamente) la grande rivoluzione che mise per la prima volta musica, canzoni e coreografie al servizio della drammaturgia. L’avvento della musica rock ha portato con sé la nascita della rockopera (Jesus Christ Superstar) negli anni Settanta, mentre gli anni Ottanta hanno dato il via alla stagione dei megamusical (Les Misérables, The Phantom of the Opera, Cats). A cavallo tra gli ultimi decenni del XX secolo e i primi del XXI si sono alternati vari filoni: il family entertainment (Lion King, Mary Poppins), i grandi musical comici (The Producers, Spamalot) e i juke-box (Mamma Mia!, We Will Rock You).


E oggi? Bisognerebbe vivere il momento o cercare di andare oltre apportando una nota di originalità. Guardando oggi gli spettacoli in cartellone a Broadway e nel West End salta subito agli occhi che la maggior parte dei titoli sono titoli di film, sono poche le eccezioni. In Italia non possiamo certo paragonare il nostro pubblico a quello di Broadway o del West End e se loro cercano un titolo già famoso come film per creare un nuovo musical, noi cosa dobbiamo fare? Seguire la loro strada vuol dire ottenere i diritti del film che vorremmo trasformare in musical ma la cosa non è semplice ed è anche costosa. Ho avuto l’esperienza delle Notti di Cabiria, tratto da un film di Fellini!

Che consigli darebbe a un compositore che si accinge a scrivere per il teatro musicale, a un autore di liriche e a un librettista? Il soggetto è la prima cosa su cui riflettere prima di iniziare a scrivere le musiche e le liriche. È un soggetto che può interessare il pubblico italiano di oggi? È un soggetto che può essere raccontato in musica? È’ un soggetto che può essere giusto per il nostro mercato? Altro aspetto da non dimenticare è quello della drammaturgia. Il drammaturgo è una professione che non può essere improvvisata. È possibile immaginare un compositore che non conosca la musica? È facile capire quando chi


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scrive musica non ne ha le basi, ed è altrettanto facile capire quando un drammaturgo non conosce il suo mestiere. Questo è uno dei più evidenti ostacoli nel panorama del teatro musicale italiano. Uno spettacolo musicale dovrebbe avere un buon testo prima che il musicista incominci a pensare quale genere di musica è più giusto per raccontarne la storia. Un consiglio che mi sento di dare è quello di non puntare su uno spettacolo grandioso con un cast numeroso. Oggi le difficoltà di circuitazione sono enormi e bisognerebbe risolvere queste difficoltà con uno spettacolo agile. Cosa fa vincere uno spettacolo? Una bella storia. Ritorno su questo concetto perché è fondamentale.

Qual è il più grande errore che si può compiere nello scrivere un

musical? Pensare solo alla musica e non al racconto.

Come bisogna curare la presentazione (copione, trama, demo) di un nuovo progetto per interessare un produttore? Presentare il soggetto è la cosa più importante, io personalmente preferisco leggere prima la trama e se non la trovo interessante, la musica, anche se bella, passa in secondo piano.


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11|2014 w e b z i n e


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Qual è la procedura giusta che deve seguire a suo parere la genesi di un musical? Soggetto – Scaletta molto dettagliata – Stesura del copione con tutti i dialoghi – Scelta dei punti che possono essere raccontati in musica – Musica e liriche – Una lettura con un cast provvisorio per capire se il racconto è fluido – Correzioni – Workshop dove si continua a modificare. Perché, secondo lei, alcuni musical che avrebbero tutte le carte in regola per sfondare, poi si rivelano clamorosi flop? Pensiamo per esempio a titoli come Le Streghe di Eastwick, o i più recenti lavori di Andrew Lloyd Webber… Il mondo dello spettacolo è assolutamente un mistero! Se esistessero delle formule per avere successo, gli americani e gli inglesi non sbaglierebbero un colpo! Ma così non è! Quindi qualsiasi consiglio può essere utile ma nulla è legge!!!

a fianco, la copertina dello scorso numero della webzine dedicato allla grande festa a Torrita di Siena per la premiazione della prima edizione di PrIMO


Amici del Musical www.amicidelmusical.it sito ideato da Franco Travaglio webzine issuu.com/amicidelmusical ideazione e coordinamento editoriale Francesco Moretti

in redazione Stefano Bonsi, Alessandro Caria, Enrico Comar, Laura Confalonieri, Sara Del Sal, Diana Duri, Matteo Firmi, Roberta Mascazzini, Roberto Mazzone, Valeria Rosso, Enza Adriana Russo, Franco Travaglio si ringrazia Saverio Marconi n. 12|2014 21 novembre 2014

in copertina: Donatella Pandimiglio e Simone Leonardi in Sunset Boulevard (Todi, 31 agosto 2014)

Abbiamo fatto il possibile per reperire foto autorizzate e ufficiali. Per ogni informazione e/o chiarimento scrivete a: francesco.moretti@gmail.com


Facts & Figures

Ouverture Saverio Marconi

Dall’Italia Dirty Dancing La famiglia Addams Sunset Boulevard

Dall’estero Londra: The Pajama Game, The Curious Incident of the Dog in the Night-Time, Jersey Boys, Miss Saigon, Dirty Rotten Scoundrels, Forbidden Broadway La famiglia Addams Shrek Evita Les Misérables Le interviste Daniela Pobega Altea Russo e Felice Casciano Un po’ di news

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Dirty Dancing balli (poco) proibiti

Il film cult di una generazione rivive sul palco, ma non convince del tutto di Francesco Moretti

Milano,Teatro Nazionale, 04.11.2014 I numeri parlano chiaro: Dirty Dancing è un gran successo in questo autunno milanese, che ha visto debuttare anche gli Addams nostrani (ne parliamo in questa webzine, in un confronto a distanza con l’allestimento tedesco), e il musical parodia sulle 50 sfumature di grigio. 75.000 spettatori nel primo mese di repliche, che continueranno fino al 28 dicembre, hanno rivissuto dal vivo la storia della giovane Frances “Baby” Houseman, qui interpretata dalla brava e goffa al punto giusto Sara Santostasi, che in una calda estate degli anni Sessanta diventa donna tra le braccia del bello e tormentato Johnny Castle, il ballerino da villaggio vacanze che al cinema aveva volto e fisico di Patrick Swayze, mentre qui si materializza in corpo e tartaruga dell’altissimo Gabrio Gentilini. La trasposizione dal film, vero cult da quasi trent’anni, è fedelissima: la stessa Eleanor Bergstein, autrice

dell’originale, ha curato la trasformazione da pellicola a musical teatrale, rispettando battute, situazioni e frasi celebri che in sala i fan più accaniti anticipano e sottolineano con gridolini e applausi. Sta forse qui il vero limite di questo spettacolo, che nonostante l’impeccabile orchestra dal vivo (diretta da Simone Giusti) e un corpo di ballo in gran forma, paga lo scotto di questa eccessiva fedeltà: tempi cinematografici e tempi teatrali sono necessariamente diversi, e quello che su grande schermo è una battuta o un dettaglio che si risolvono e funzionano con il montaggio cinematografico, a teatro diventa una fastidiosa lungaggine. Il famoso villaggio vacanze Kellerman e tutte le ambientazioni del film sono rese con efficacia dai pochi elementi scenici e dall’uso intelligente e creativo delle videoproiezioni che invadono spesso gran parte della scenografia: con risultati invero sorprendenti,


come nell’attesa scena dell’allenamento in mezzo al prato o nel lago. Le tante e celebri canzoni dello show non “entrano” mai nella storia, ma sono solo un pretesto per far sentire delle belle voci - un plauso a Marco Stabile e Ilaria Deangelis, che intonano il brano-icona del musical I’ve had the time of my life - e far danzare l’ensemble; nel quale si distingue, per ruolo (interpreta Penny Johnson, la sfortunata compagna di

foto | Laura Bianca photografer

ballo del protagonista) e per physique du rôle, Federica Capra. Gli altri comprimari, da papà e mamma Houseman (Simone Pieroni e Natalìa Magni), a Lisa - sorella di Baby - Irene Urciuoli, al proprietario del villaggio Max Kellerman (Mimmo Chianese), svolgono con diligenza il loro compito. Quasi tutte le canzoni sono state mantenute in inglese, traducendo in italiano solamente i dialoghi e un


paio di brani tra i quali il celebre inno di Kellerman che apre il numero finale (le parole italiane sono di Simone Leonardi, anche regista associato di Dirty Dancing per l’Italia, mentre l’adattamento del libretto è di Alice Mistroni). Di questo musical anomalo dove i due protagonisti non cantano manco una canzone, alla fine rimane la sensazione di aver fatto sì un salto nel tempo e nella memoria cinematogra-

fica di una generazione, ma senza un reale coinvolgimento emotivo. Il pubblico, in ogni caso, apprezza e accorre, e le signore, ragazze e ragazzine, accompagnano ogni uscita di Gabrio Gentilini a petto nudo con urla di approvazione. Il ballo finale e l’altrettanto iconico salto dell’angelo - chissà perché, mi aspettavo una corsa dalla platea invece che pochi passi sul palco - sugellano uno spettacolo riuscito, per me, solo in parte.




foto | Robert Shami


Una famiglia un po’ particolare

Dal cartoon, alla serie televisiva, al palcoscenico, la famiglia Addams in salsa italiana dilaga in teatro, con qualche riserva di Roberto Mazzone

È in scena fino all’8 dicembre al Teatro della Luna di Milano La famiglia Addams, nell’adattamento italiano di Stefano Benni con la regia di Giorgio Gallione. Certamente uno degli spettacoli più attesi della stagione e, proprio per questo motivo, dispiace trovarsi di fronte a un risultato non ancora del tutto convincente. Uno spettacolo sicuramente ben confezionato, dal punto di vista dell’allestimento. Le scene di Guido Fiorato immergono abbastanza il pubblico nell’atmosfera giusta; ma soprattutto prendono un rigoroso possesso del palco, nonostante alcune tombe e soprattutto un coccodrillo risultino elementi ricorrenti (ma a volte “fuori posto” n.d.r.). Antonio Marras per i costumi è riuscito a coinvolgere la sartoria del Piccolo Teatro di Milano, ed è il risultato è più apprezzabile allo sguardo di qualsiasi tipologia di spettatore. Nella regia di Giorgio Gallione si ri-

conosce il tocco di qualcuno che nel arte comica all’italiana sa il fatto suo, ma giova ricordare che questo è un musical che arriva in Italia direttamente da Broadway e sembra che questo “dettaglio”, nello spettacolo così come viene presentato al pubblico, sia stato notevolmente trascurato. Anche Stefano Benni, nell’adattare il testo in italiano fa il suo lavoro, ma nulla più. Probabilmente non è di aiuto un testo originale piuttosto debole a livello drammaturgico, ma ciò non giustifica battute come “la ciliegina sulla merda”, oppure “in questa libagione / noi troviam la salvazione / che bella sensazione”. Anche l’adattamento delle liriche appare – a occhi non esperti – piuttosto forzato e poco attento all’atmosfera e al significato dello spettacolo nella sua totalità; per dirla in termini semplici, totalmente a servizio di una comicità ridanciana, senza ulteriori effetti. L’unico elemento che non fa dimenticare che quello che abbiamo di


fronte è, a tutti gli effetti, un musical, sono le musiche di Andrew Lippa, molte delle quali magari non rimangono in testa, ma sono gradevoli da ascoltare. Un plauso va all’energia e alla dedizione dell’ensemble di morti-checamminano, antenati più o meno

recenti del clan degli Addams. In questo allestimento, i protagonisti di richiamo, di cui si sapeva da tempo, sono due: Elio e Geppi Cucciari. Il primo, nei panni di Gomez, è un buon padrone di casa, ma di un Addams ha solo l’aspetto; la sua interpretazione fa il verso, in


modo eccessivo, al personaggio di se stesso. Geppi Cucciari (Morticia), tutto sommato potrebbe sembrare una rivelazione: nonostante le evidenti difficoltà in recitazione e canto, si dimostra a proprio agio nel ruolo e, in tale contesto, non ci si può lamentare.

Pierpaolo Lopatriello, che il pubblico è abituato ad apprezzare in numerosi musical di successo (da Chicago a Pinocchio), sa prendersi il suo spazio nella storia, canta e si muove coreograficamente, come quel giocherellone di Fester richiede, ma, in questo allestimento, appare



impiegato parecchio al di sotto delle sue potenzialità artistiche. Giulia Odetto, nei panni di Mercoledì (l’avevamo intervistata come duemillesima iscritta al gruppo facebook di Amici del Musical... le ha portato fortuna! n.d.r.) risulta la performer più completa, anche se dimostra ancora poca confidenza con i tempi scenici teatrali; lo stesso discorso vale per i coniugi Beineke (Clara Maselli e Andrea Spina), i quali si fanno notare soprattutto nella recitazione. Rapportato al rendimento in scena di un bambino, grande merito va all’interpretazione del piccolo Giacomo Nasta nel ruolo di Pugsley, che non teme le battute e il canto. Questa esperienza sarà per lui certa-

mente un ottimo biglietto da visita per il futuro, qualora decidesse di continuare a percorrere un sentiero artistico. Una sorpresa anche le doti umoristiche e vocali di Filippo Musenga, nei panni di Lurch, un basso dal timbro profondo e simpaticamente avvolgente. Completano il cast Sergio Mancinelli (Nonna Addams) e Paolo Avanzini (Lucas), amore neanche troppo clandestino di Mercoledì. Ci si augura che la lunga tournée di questo spettacolo ponga le basi per un periodo di rodaggio che lo porti a raggiungere determinati traguardi di compiutezza… Tuttavia, mancano le premesse, almeno per ora.


foto | Todi Festival


Anche in italiano,

questo Viale non tramonta mai

Applausi a scena aperta per la prima italiana di Sunset Boulevard, in un’unica, memorabile serata al Todi Festival di Roberto Mazzone

Todi, piazza del Popolo, 31 agosto 2014. Un maxischermo, una doppia fila di palme e la classica indicazione stradale recante la scritta Sunset Blvd. accolgono i circa 1500 spettatori che hanno assistito allo spettacolo conclusivo della ventottesima edizione del Todi Festival: la prima italiana assoluta di Sunset Boulevard, musical di Andrew Lloyd Webber su testi e libretto di Don Black e Christopher Hampton. Diretto da Federico Bellone, la serata è stata possibile grazie a un accordo tra il Todi Festival e la Really Useful Group, società che detiene i diritti dei musical di Webber. Giovanni Maria Lori, assistito da Marco Bosco, dirige la Broadway Musical Orchestra attraverso le memorabili pagine della partitura originale (che svela ritmi decisamente sincopati) e la piazza offre una buona resa acustica. Traduzione e adattamento italiano di Franco Travaglio sposano attraverso felici compro-

messi le parole dei testi originali e soprattutto il loro significato: la celebre With One Look nella nostra lingua viene tradotta Gli occhi miei, caricando di forza espressiva una singola componente dello sguardo (gli occhi, che rappresentavano appunto lo strumento principe che i divi del cinema muto utilizzavano per trasmettere emozioni al pubblico). La regia di Bellone è asciutta e sequenziale: tutti i componenti del cast, a partire dall’ensemble della Scuola del Musical di Milano, svolgono i loro compiti con abnegazione, trasmettendo così una apprezzata partecipazione emotiva. A vestire i panni della tormentata Norma Desmond, diva del “cinema che fu” caduta nell’oblio è Donatella Pandimiglio. Spettano a lei le pagine più conosciute del musical, tra cui la già citata With One Look e As If We Never Said Goodbye: ma, in generale, la sua interpretazione risulta inappuntabile, lei è praticamente Norma Desmond.



Simone Leonardi, interpreta lo squattrinato sceneggiatore Joe Gillis, un adeguato “padrone di casa”, che accompagna il pubblico nei “meandri” della vicenda. Marco Massari interpreta il flemmatico maggiordomo della villa Max von Mayerling, dal passato misterioso. Giulia Fabbri è una giovane e innamorata Betty Schaeffer e Renato Cortesi partecipa nel ruolo del celebre regista Cecil B. De Mille. Lo scalone che unisce gli ingressi di Palazzo del Popolo e di Palazzo del

Capitano nella piazza tudense diventa idealmente la scala della villa di Norma e completa in modo naturale la scenografia curata da Andrea Comotti; il pubblico ha anche potuto godere, all’inizio del secondo atto, dell’ingresso nella piazza della mitica automobile di Norma Desmond, un’autentica Isotta Fraschini d’epoca. Applausi a scena aperta, nei momenti più intensi di uno spettacolo, che ci si augura possa continuare a “inventare nuove magie”.

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Il Teatro con la “t” maiuscola

Reportage dal West End londinese: debutti, conferme, blockbuster, commedie e parodie nella patria europea della cultura teatrale di Franco Travaglio

Se le novità scarseggiano, se anche per le star come Lloyd Webber i grandi successi non sono che un ricordo, se a resistere sono solo più gli immarcescibili blockbuster anni ‘80, perché non puntare sull’usato sicuro?

Questo devono aver pensato i produttori di The Pajama Game, revival ben confezionato e tagliato su misura sulla star del West End Johanna Riding (Carousel,The Witches of Eastwick, My Fair Lady), orfana dell’ultimo clamoroso flop lloydwebberiano, Stephen Ward. Non fatevi ingannare dalla storia, che vede al centro le rivendicazioni sindacali di un gruppo di operai di una fabbrica di pigiami: nulla a che vedere con Billy Elliot (in cui tra l’altro la stessa Riding è stata a lungo Mrs. Wilkinson): la lotta di classe è puro pretesto per briose schermaglie amorose, pic-nic aziendali, buffe rappresaglie e serate al night (Her-

nando’s Hideaway è uno dei tanghi più celebri). È in questa scena che appare più azzeccata la regia di Richard Eyre (anch’esso reduce dallo sfortunato Stephen Ward, oltre a Mary Poppins, Guys And Dolls etc.), peraltro accurata ma senza grandi picchi di genio, e penalizzata a quanto pare da un budget non astronomico (la stagione era limitata e lo show allo Shaftesbury ha già chiuso). Convincente la prova della compagnia: al fianco di Riding il ‘burbero’ simpatico Michael Xavier, direttore dell’azienda contro cui lotta la pasionaria protagonista per poi finire inevitabilmente tra le sue braccia, con tanto di passi a due (coreografie di Stephen Mear) e duetti d’antan (score di Richard Adler e Jerry Ross). Solidi caratteristi e ottimi ballerini il resto del cast alla base di uno spettacolo che ci ha fatto sognare con la tipica frizzantezza del musical classico.



Felice parentesi nella prosa con The Curious Incident of the Dog in the Night-Time. E qui dobbiamo intenderci sul concetto di prosa: avete presente i soliti quattro titoli triti e ritriti degli Stabili italiani? Certe messe in scena polverose e la recitazione (s)cadente? Ecco, dimenticate tutto ciò: gli eventi della prosa UK sono tutt’altro: messa in scena sorprendente e innovativa (un piano cartesiano 3D con sapiente impiego di proiezioni, led e luci tradizionali, un uso dello spazio che non annoia mai, pieno di sorprese, aperture, colpi di scena, tra cui una scena di suspence più che cinematografica ambientata nella metropolitana londinese). Spettacolo nuovo di zecca (debuttato nel 2012) creato nella instancabile fucina del National Theatre (reduce dal globale successo del travolgente War Horse creato dalla stessa regista Marianne Elliot), recitazione fresca e coinvolgente. Non stupisce quindi notare che l’età media della platea è molto bassa, e che lo spettacolo è in scena da marzo 2013 (con qualche mese di stop non certo per problemi di sbigliettamento ma perché la galleria del primo teatro è crollata, e si è dovuto cambiare tea-

tro…) mentre la nostra prosa resiste in una stessa città al massimo due settimane. E dire che The Curious Incident non è affatto uno spettacolo da turisti, ha una trama spigolosa e impegnativa e non ha un nome famoso nel cast. Potenza della qualità e del conseguente piacere di andare a teatro (quanto sarebbe importante insegnarlo nelle nostre scuole, invece di insegnarne la noia…). La storia di Christopher, ragazzo autistico e genio matematico che parte indagando sul mistero di un cane assassinato e arriva a scoprire sconvolgenti verità sulla sua famiglia (vive col padre, distrutto dalla scomparsa della madre), brilla per intensità, ritmo, fluidità e chiara coerenza, supportato da un cast eccellente capitanato dal giovane Abram Rooney. Non manca la ghost track ad applausi abbondantemente conclusi, quando Christopher riprende la scena per spiegare in pochi secondi (con tanto di countdown) un problema matematico, trasformando una lezione teorica in concerto rock e dimostrando che nulla è tedioso quando ci si mette passione e spettacolarità. Meglio non aver fretta di uscire dal teatro!



Anche sulla scia del bel film di Clint Eastwood continua ad avere successo al Piccadilly Jersey Boys, biojukebox dei Four Season, che parte dalle loro hit (Sherry,Walk like a man, Oh what a night, etc) per tratteggiare un affresco - rigorosamente suddiviso in Primavera, Estate, Autunno e Inverno - degli Usa anni ‘60. Nella Newark degli italoamericani vediamo in scena uomini d’onore, screzi, piccole grandi tragedie famigliari, ascese e cadute, il tutto ammorbidito dall’angelico falsetto di Frank Valli. Mimetici, simpatici e versatili Michael Watson (Frankie Valli), Edd Post (Bob Gaudio), Jon Boydon (Tommy De Vito) e Matt Nalton (Nick Massi) riportano in vita i giovani

Four Seasons in una performance corale con l’ensemble impegnato in vari ruoli e caratterizzazioni di contorno. Un plauso particolare ai librettisti Marshall Brickman e Rick Elice, che hanno scritto uno show di scorrevole semplicità (a dispetto delle apparenze è sempre frutto di un lavoro complesso), e del regista Des Mcnuff che è riuscito ad amalgamare storia, costume, canzoni e nostalgia con grande pulizia e mestiere.



Con il revival di Miss Saigon torna un pilastro del megamusical, sottogenere che da quattro decenni tiene banco nei templi della lunga tenitura mondiale e che ci riporta a un’epoca in cui tutto era enorme e di ampio respiro: gli investimenti, i cast, le storie, gli allestimenti, le orchestrazioni. La Butterfly in salsa vietnamita di Schonberg e Boublil torna nel West End giusto in tempo per celebrare in grande stile - lo scorso 3 ottobre - i 25 anni dal debutto (ma a differenza del fratello maggiore Les Miserables, tuttora in scena, si fermò dopo “soli” dieci anni di repliche) con il ritorno delle star del primo cast, Lea Salonga e Jonathan Pryce, che potete rivedere qui in

un’esibizione speciale a fine serata. Lo spettacolo è un inno alle emozioni, con un allestimento se possibile più mozzafiato e di classe di quello del debutto, a cura di Laurence Connor (specializzato in revival di megamusical, avendo firmato le nuove edizioni di Les Miserables e Phantom of the Opera, nonché il recente Arena tour di Jesus Christ Superstar) e un cast travolgente. Come ama ripetere il suo produttore Cameron Mackintosh i musical non vengono scritti ma riscritti, e allora via libera a un’accurata revisione del libretto (molte scene sono state ripensate), delle liriche (talmente riscritte da risultare spesso irriconoscibili, anche nei momenti più


celebri in cui sarebbe stato più che naturale adagiarsi sugli allori), delle orchestrazioni che l’arrangiatore originale William David Brohn ha completamente ripensato e riarricchito. Mancano le parole per esprimere cosa si prova di fronte a una Storia così appassionante e ben raccontata e si rimane ammirati e sconvolti dalla disarmante freschezza di Eva Noblezada (Kim), dotata di spropositato talento e di un’aderenza al ruolo incredibile, il furbesco opportunismo dell’Engineer di Jon Jon Briones (ma quant’è “italiano” questo ruolo?),

la forza drammatica di Alistair Brammer (Chris), la potenza di Rachelle Ann Go (Gigi). Un gradino più in basso ho trovato Tamsin Carroll (Ellen), dalla gestualità troppo forzata e un tantino fuori ruolo, che patisce anche un personaggio per definizione “antipatico”, che non migliora di molto con la nuova (dimenticabile) aria Maybe, inedita al pubblico inglese ma già ascoltata nella recente versione olandese di Utrecht. Per chi non conoscesse la trama, al centro di lacrime e passione c’è


un’orfana di guerra costretta a prostituirsi, che vive una storia d’amore col giovane marine Chris. La caduta di Saigon separerà per sempre gli innamorati: Chris si rifarà una vita negli USA con Ellen, mentre Kim non lo dimenticherà mai, anche perché le ha lasciato un figlio. Il lieto fine non arriverà a salvare i loro destini: Kim morirà suicida affidando il bimbo alla coppia americana, ricreando la scena di una foto di vita reale (in cui una madre abbandona per sempre il figlio nelle mani di un soldato) che aveva fatto scoc-

care nei due autori la scintilla iniziale. Un’appassionante pietra miliare del melodramma moderno, ma soprattutto una dolente e crudele parabola sul sogno americano: The American Dream è anche l’eleven ‘o clock number (ovvero il numero più grandioso dello spettacolo, che cade di solito sui 2/3 del secondo atto) in cui l’Engineer, il protettore locale che sfrutta Kim e sogna un giorno di esercitare la sua professione, ma in grande, per lo Zio Sam, dà corpo sul palcoscenico ai suoi più sfrenati desideri a stelle e strisce.



Altro genere, altro divertimento con Dirty Rotten Scoundrels, la commedia musicale in scena allo storico Savoy e tratta dal film con la coppia di truffatori rubacuori Steve Martin e Micheal Caine, intitolato in Italia “Due figli di…”. Diretto e coreografato dal pluripremiato Jerry Mitchell, scritto e composto da David Yazbek (The Full Monty) con il libretto di Jeffrey Lane, il musical vede Robert Lindsay (già Fagin in Oliver) e il comedian Rufus Hound nei panni dei due imbroglioni Lawrence e Freddy, l’uno di alto e l’altro di basso bordo che scommettono di spillare 50000 $ alla “regina del sapone” Christine Colgate (nella nostra replica la brava sostituta Alice Fearn, di cui abbiamo potuto ammirare l’eccezionale bel-

lezza nei minimi particolari, essendo seduti in prima fila centrale!). Intrighi, travestimenti, malintesi e colpi di scena a ripetizione sono gli ingredienti di questa sorta di pochade moderna di buona fattura, che gioca più sulla simpatia degli interpreti che sul gioco scenico. Irresistibile il numero in cui Lawrence costringe Freddy a fingersi il suo fratello ritardato e dedito a disgustose pratiche, al fine di dissuadere una insistente aspirante consorte, così come il duetto “franscese” Like Zis/Like Zat tra il complice André e l’attempata Muriel, che è convinta che Lawrence sia un principe in guerra con gli usurpatori al trono. Il finale a sorpresa, la maliziosa giovialità di tutto lo show e le tante risate fanno di Dirty Rotten Scoundrels una serata di godibile spensieratezza.



Risate ancora più garantite per Forbidden Broadway alla Menier Chocolate Factory (prima di trasferirsi al più centrale Vaudeville), la parodia dissacrante che mette alla berlina tutti i musical di successo (per l’occasione in versione West End), dal Fantasma dell’Opera a Les Miserables (At the end of the day diventa At the end of the show con gli attori stremati e col mal di mare dopo tre ore di palco girevole, mentre Bring Him Home si trasforma in Bring It Down con Jean Valjean alle prese con una tonalità troppo alta), da Miss Saigon a Once (con tanto di rivendicazione sindacale dei musicisti

che si trovano disoccupati visto che la colonna sonora viene suonata dagli interpreti) per non parlare dei family show che sfruttano i bambini: i protagonisti di Billy Elliot e Matilda con Gavroche di Les Mis cantano infatti Exploited Children (bambini sfruttati) sulla melodia di Revolting Children dello stesso Matilda. Un West End vivo e vivace quindi, che sa ridere di sé stesso, tenta di rinnovarsi senza tradire la propria filosofia di entertaiment culturale, e garantisce sempre grandi emozioni con il Teatro, quello con la T maiuscola.


foto | Rolf Ruppenthal


Anche in Germania

è sempre una strana famiglia

Die Addams Family in salsa tedesca, tra La Cage aux Folles e il Rocky Horror Show di Laura Confalonieri

Merzig (D), 20 settembre 2014. Prima dell’ouverture si apre, seppur solo di un piccolo spalto, il sipario, per permettere al cugino It di uscire ad annunciare in una lingua tutta sua che è vietato usare registratori, videocamere e telefonini. Chiarito (si fa per dire) questo, parte la melodia che, con ritmici schiocchi di dita, da tempo immemore annuncia la famiglia più surrealmente macabra del mondo, gli Addams, passati dai fumetti del loro creatore Charles Addams negli anni Trenta attraverso numerose adattazioni televisive e cinematografiche, ora visibili a Merzig, cittadina tedesca al confine con il Lussemburgo, nella loro più recente reincarnazione, il musical di Marshall Brickman, Rick Elice e Andrew Lippa debuttato a Broadway nel 2010. Già il primo numero musicale, Bist du ein Addams (When you’re an Addams) fa presagire che la storia si reggerà soprattutto sulle gag. Nei testi le bat-

tute seguono ai giochi di parole, cui seguiranno altre battute salaci. Il regista Andreas Gergen, lui stesso divenuto famoso nel ruolo del figlio della comica Familie Heinz Becker all’inizio di questo millennio, può dimostrare ancora una volta il suo talento comico, lasciando tempo e luogo a personaggi e battute di far presa sul pubblico. La trama dello spettacolo. Mercoledì si innamora di un ragazzo comune e, per annunciare ufficialmente il loro matrimonio, lo invita a casa con genitori al seguito - sembra un riassunto raffazzonato di La Cage aux Folles e del Rocky Horror Show, il finale è poco originale, e anche la musica è poco orecchiabile. Gergen, quindi, deve per forza puntare il riflettore sui singoli membri del suo cast e dare a ciascuno di loro il giusto spazio per sviluppare il proprio personaggio. Il nome di richiamo in cartellone è, naturalmente, Uwe Kröger. La voce, se mai c’è stata, è andata, l’ac-


cento preteso spagnolo è quello che di solito i tedeschi usano per parodiare gli italiani, i gesti esageratamente teatrali. Gomez, insomma, da qualsiasi punto di vista lo si guardi, fa volutamente e/o involontariamente, ridere. La Morticia di Edda Petri si muove con una grazia irreale. Jana Stelley è una Mercoledì sadica, con lo sguardo truce e la balestra carica perennemente in mano, sempre in bilico fra slanci di romanticismo verso il suo innamorato Lucas

e di aggressività verso il suo fratellino Pugsley (Noah Walczuch, che ha il perfetto physique du rôle per la parte). Lo zio Fester di Enrico de Pieri ha il suo momento magico nell’assolo Sagt der Mond, ich liebe dich (The Moon and Me), durante il quale, per mezzo di trucchi scenici, fa addirittura una spaccata a mezz’aria. Anne Welte è una nonna che strappa applausi e risate imprecando e parlando dialetto. Una menzione particolare merita Gerhard Karzel, che quasi non


esce dal ruolo di Lurch neppure durante gli applausi finali: per tutto lo spettacolo attraversa la scena lento e compassato, senza proferire mai altro che un sospiro profondo alla volta. La punta di diamante della famiglia borghese in visita è April Hailer, una Alice casalinga solare in giallo girasole. Gli altri due membri della famiglia Beineke sono vistosamente sprecati nei loro ruoli, soprattutto vocalmente: il Lucas di Dominik Hees deve limitarsi a rispondere alle prof-

ferte amorose di Mercoledì in un duetto e il Malcolm di Ethan Freeman non ha neppure un’aria vera e propria. Gli antenati spettri (Monika Dehnert-Freeman, Hanna Kastner, Janina Moser, Benedikt Ivo, Oliver Mülich, Eric Minsk, Lucy Costello e Marc Schlapp) danno allo spettacolo un’atmosfera da Tanz der Vampire. Non essendo nobili, però, quando vogliono farsi passare per ritratti, si reggono da sé cornici grezze intorno alla testa.



Le scenografie di Christian Floeren e i costumi di Ulli Kremer riproducono pressochè fedelmente la serie televisiva. A Floeren bastano tre elementi mobili e una proiezione sullo sfondo per ricreare la diroccata villa vittoriana degli Addams, e gli effetti luminosi della ditta Audio Check gli sono molto d’aiuto. Danny Costello, abituato a coreografare all’aperto (ad esempio alla realizzazione di Sunset Boulevard a

Tecklenburg), riesce a vivacizzare anche il piccolo palcoscenico del teatro tenda di Merzig senza sacrificare troppo la qualità dei balletti. Peccato che i tecnici del suono non abbiano saputo mixare altrettanto bene le voci degli interpreti e il suono corposo dei dodici musicisti diretti da Tobias Deutschmann. Grande successo di pubblico, comunque, con recite aggiuntive a Merzig e l’allestimento in partenza per Brema.



I’m a believer

le favole si avverano anche nel musical che se ne fa beffe In scena in Germania un bell’allestimento di Shrek

di Roberta Mascazzini

Capitol Theater, Düsseldorf (D), 12 ottobre Una tranquilla domenica di un ancor caldo ottobre è scossa dal terrificante urlo di un orco verde di nome Shrek e la temperatura in sala sale ancora di più. È il giorno della prova generale, ma l’atmosfera è quella di una prima ed il teatro da 1.100 posti è pieno zeppo. Si inizia con un cosiddetto preshow: scambi di battute tra il regista, Andreas Gergen, ed i personaggi delle favole, come Pinocchio ed i Tre Porcellini, nel mal riuscito tentativo di farli interagire coi bambini presenti in sala. Buona l’idea, non la messa in atto, goffa, forzata e noiosa. Pazienza: era un trucco per dar tempo al cast ed ai tecnici di prepararsi e al regista di dire due parole sullo spettacolo. Ora il preshow consiste solo in qualche personaggio che gironzola tra il pubblico, come in Cats, e che accompagna in sala chi si attarda nel foyer. La trama di Shrek – das Musical è quella del film d’animazione della

Dreamworks e del musical già visto nel 2012 in Italia, ma qui con adattamenti alla cultura tedesca. Curiosamente, ma non proprio per caso - visto che lavora a pochi chilometri di distanza in Sister Act - in sala c’era anche Nicolas Tenerani, che in Italia vestì i panni del protagonista nella bella produzione di Shrek. Amici del Musical gli ha chiesto di esprimere la sua opinione, essendo la persona meglio preparata sull’argomento. “Tecnicamente è stato uno spettacolo molto bello, quasi perfetto”, racconta Nicolas. “Pochi elementi scenografici, ma realizzati in maniera eccelsa, un fondale a LED che riempiva il palco, costumi belli (ad eccezione di Fiona) ed un disegno luci semplice ma funzionale. Peccato per la band dal vivo ridotta a 7 elementi, e che in alcuni momenti ha sofferto di suoni "veri". Le emozioni sono state meno forti di quanto mi aspettassi, sicuramente dovute alla mancanza di rodaggio, ma posso affermare con certezza che se su quel palco


ci fosse stato il cast italiano lo spettacolo sarebbe stato superlativo! Rispetto alla versione italiana, le figure messe in risalto sono state quelle dei 4 protagonisti, non sviluppando tutto il mondo delle creature delle fiabe. Questo ha consentito il riascolto di pezzi come Travel Song,When words fail, I’m gonna build a wall tagliati nella versione nostrana. Sono orgoglioso che anche questa versione di Shrek the musical abbia anche del sangue italiano, avendo nel team tecnico Maria Chiozza, che sicuramente porterà quella sana passione artigianale che forse un po’ manca in terra tedesca. Shrek resta comunque una gioia per il cuore e le orecchie, ed ho fatto un bellissimo viaggio lungo Memory Lane durante tutto lo spettacolo.”

Non si può far altro che confermare quanto detto da Nicolas riguardo alle scenografie ed ai costumi, veramente sgargianti.Vale la pena, però, di soffermarsi sul cast. Questa volta la società di produzione Mehr Entertainment, che di solito non porta sul palco nomi famosi, ha riunito nello stesso cast alcuni attori piuttosto conosciuti in Germania. In primis, Andreas Lichtemberger, che ricopre il ruolo del protagonista e che per un anno è stato il padre scimmione (Kerchak) del nostro Gian Marco Schiaretti nel musical Tarzan. Andreas è un orco, a dire il vero, un po’ mono-tono, nel senso che ha una voce con poche sfumature ed una recitazione tutta uguale, che non svi-


luppa il personaggio. Più bravo il suo alternate, Frank Winkels, che, sa meglio differenziare le note, esprimendo così una più vasta gamma di sentimenti. Frank sa infatti dar vita non solo alla parte arrabbiata dell’anima di Shrek, ma anche a quella tenera, triste ed un po’ malinconica, che Andreas Lichtenberger non riesce a far emergere. Bettina Mönch, della quale vi avevamo già parlato in occasione del suo ruolo di Eponine ne Les Miserables (Magdeburgo,giugno/luglio 2013), è una Fiona insicura ed isterica, dolce ed arrabbiata, con molte sfaccettature. La sua voce è decisamente più sicura che nell’interpretazione del triste ruolo del musical di Schönberg e Bloubil, forse,

perché stavolta non deve lavorare in condizioni a lei sfavorevoli come successe la scorsa estate. La alternate di Fiona è Jessica Kessler, vista in quest’occasione nel ruolo di Cappuccetto Rosso, in cui ha dimostrato di avere una voce molto “nera”. Ma i personaggi che entrano davvero nel cuore, anzi, nelle risate, del pubblico sono Asino (Esel) e Lord Farquaad. Il primo, interpretato con grande energia e trascinante entusiasmo da Andreas Wolfram, riesce a strappare risate improvvise con grande nonchalance, a dispensare buoni consigli ed aiutare l’amico orco in difficoltà, nonostante la sua predisposizione all’ironia ed alla burla. Wolfram dà veramente l’im-



pressione di sentirsi a suo agio nei panni del personaggio che interpreta e, molto probabilmente, con l’aumentare del numero delle repliche, oserà essere ancora più spiritoso ed ammiccante verso un pubblico che ricambia con entusiasmo i suoi numeri. Lord Farquaad è stato interpretato durante la prima settimana, dalla prova generale fino a tutte le previews da Eric Rentmeister, in sostituzione dell’infortunato Carsten Lepper, titolare del ruolo. Carsten Lepper, già conosciuto per il Raoul nel Phantom, di cui doppiò anche la versione tedesca del film, e per il ruolo di Favell, il cugino di Rebecca nell’omonimo musical, è tornato in

scena domenica 19 ottobre per la première del musical e pare non abbia intenzione disertare troppo il palcoscenico, nonostante sia ancora sofferente per la rottura del piede. Tuttavia, Mehr Entertainment ha fatto centro individuando in Eric un perfetto alternate, che convince il pubblico e lo fa letteralmente morire dal ridere con le numerose battute espresse con un tempo comico perfetto. Il personaggio non è certo di facile interpretazione, poiché si deve recitare per tutto lo spettacolo stando in ginocchio, balletto compreso! Non era certo previsto che calcasse da subito le scene in questo ruolo, ma dato l’infortunio di Lepper ad un paio di settimane dalla prima,


ha avuto una grande occasione, che era nel contempo anche una difficile sfida. Dopo aver visto il musical due volte, possiamo affermare con certezza che l’ha vinta. Ăˆ previsto anche Paul Kribbe, altro nome conosciuto, come walk-in in qualche replica, ma date non sono conosciute. Il pubblico della prima settimana ha potuto godere, non solo della voce, ma anche della presenza live sul palco di Deborah Woodson, che

presta le sue potenti corde vocali soul al drago di guardia alla torreprigione di Fiona. La signora Woodson fa fatto impazzire il pubblico con la sua Voce (con la maiuscola) nera, non solo in senso figurato. Mentre alcuni attori dell’ensemble muovono il pesante e bellissimo drago (signora drago, per l’esattezza), lei canta e ancheggia sul proscenio rivolgendosi di-


rettamente al pubblico e mandandolo in visibilio con Donkeu pot pie e What happens to love?, Purtroppo, la sua presenza, dopo le previews e la prima, è solo un ricordo ed ora il drago si muove al ritmo della sua voce registrata. Molto bravi anche i personaggi delle favole, che sono veramente tanti per citare tutti i nomi. Le loro scene con le canzoni Story of my life e , soprat-

tutto, Freak flag, sono tra le piÚ belle del musical. Naturalmente, alcuni personaggi fanno parte della tradizione tedesca: Max und Moritz o Struwwelpeter. Merita sicuramente una menzione la coreografa Kim Duddy, che ha messo un po’ di stile vecchia Broadway in questa irriverente favola moderna, come nei bei numeri di ensemble dei personaggi delle fiabe. Molto simpatico il numero di tip tap dei topi: a sipario abbassato, si vedono solo dei piedi danzanti con cia-



battone a forma di topi grigi: sono i ratti che si muovono sulle note del flauto magico. Poi il sipario si alza ed appare l’ensemble dei roditori che accompagna la “primadonna” Fiona in un tip tap che le fa venire il fiatone e che per l’insieme di luci e passi ricorda in alcuni momenti Bob Fosse. Probabilmente si tratta di una citazione voluta, così come quella dal musical Elisabeth in cui Lord Farquaad dice “die Prinzessin gehört nur mir” (la principessa appartiene solo a me), citando la più famosa canzone del musical su Sissi, ed aprendo un ventaglio sull’acuto finale. Altre citazioni dalla cultura attuale sono sparse un po’ ovunque, da Harry Potter che vola sopra al fast food McHex (McStrega) alle battute che citano vecchi show televisivi tedeschi o canzoni dei Toten Hosen, peraltro originari di Düsseldorf, città nella quale il musical ha debuttato. Evidentemente il regista ama questi giochi, in quanto ne aveva fatto abbondante uso anche in The Addams Family. Le scenografie, semplici e funzionali con qualche elemento mobile e diverse eccellenti proiezioni sono di Sam Madwar. I molti e sgargiantissimi costumi sono di Mario Reichlin. Il disegno di luci e suoni si devono invece a Andrew Voller e Cedric Beatty e le divertenti traduzioni ad Heiko Wohlgemuth e Kevin Schröder. Il direttore musicale, Heribert Feckler, dirige una band di

appena sette elementi, come già sottolineato da Nicolas Tenerani. Al contrario di quello che si possa pensare in Italia, dove si tende sempre a svilire ciò che viene fatto in patria, quella di diminuire il numero di musicisti è una tendenza che sta sempre più prendendo piede in Germania, proprio a partire dalle due società di produzione più grandi. Per godere di una vera orchestra completa dal vivo bisogna far affidamento sui teatri stabili, che ricevono anche finanziamenti pubblici ed, evidentemente, fanno un’altra politica. Questo non deve però scoraggiarci dall’andare a vedere Shrek, un musical divertente, per famiglie, nonostante si tratti fondamentalmente di una favola per adulti. E siccome noi italiani siamo sempre in giro per l’Europa, magari capiterà a qualcuno di voi cinque nostri affezionati lettori di trovarvi nella città giusta il giorno giusto per poter ballare e cantare con Shrek, Fiona e tutti gli altri le note della canzone finale I’m a believer. Eccovi perciò le date del tour: 14.10.2014 – 04.01.2015 Düsseldorf, Capitol Theater 17.01.2015 – 31.01.2015 Berlino, Admiralspalast 04.02.2015 – 12.02.2015 Monaco, Kleine Olympiahalle 18.02.2015 – 28.02.2015 Zurigo, Theater 11 16.03.2015 – 22.03.2015 Vienna, Stadthalle F



Non basta cantare

Don’t cry for me Argentina

Al Lubiana Festival un allestimento “povero” della celebre opera rock di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice di Sara Del Sal

Lubiana (SLO), 18 agosto 2014 Il Lubiana Festival prosegue con la sua attività di formazione sul musical e quest’anno ha puntato su un altro titolo storico come Evita, e ancora una volta scegliendo di fare allestire lo spettacolo alla Bronowski Productions, che lo crea a Londra e poi lo mette in scena solo per il festival. Cinque repliche quindi, per un cast di artisti che lavorano in West End e che sono liberi e disponibili a passare qualche giorno nella capitale slovena. Un allestimento molto semplice, che tiene conto dello spazio, l’arena delle Krizanke, e della limitata tenitura. Facile per Hair o Jesus Christ Superstar, un po’ meno per un musical che avrebbe bisogno di una scenografia che contestualizzi la storia. Se si fa affidamento sulla fantasia del pubblico, ecco che anche uno spazio davvero povero di attrezzeria può però fare da sfondo alla storia di Eva, la ragazza che passando di letto in letto lascia la sua vita da adolescente

in un paesino dell’Argentina per intraprendere una serie di avventure che la porteranno al fianco di Juan Peron, l’uomo che guiderà il paese. Webber e Rice hanno reso questo lavoro uno dei più apprezzati del genere, e le musiche e le parole continuano a convincere e a vincere sul pubblico, nonostante gli allestimenti. A Lubiana non sono mancate le sorprese, e quindi ecco sul palco Catarina Sandison, giovane e grintosa, che ad Evita dà un carattere forte e tanta voce (che ha saputo sfoggiare in We will rock you a Londra), ma si tradisce, quando di fronte a un "thrill me" lo interpreta con il tono e la malizia di Magenta del Rocky Horror Show che ha portato in scena in Germania ed Austria. Troppo sanguigna e poco elegante. Kevin Stephen Jones ha offerto un Peron interessante, molto impostato, ma convincente, mentre non si può dire lo stesso del Che di Joel Harper Jackson. Sbagliato. In tutto. Do-



tato di una grande estensione vocale, praticamente inutile in questo spettacolo, questo Che ha dimostrato che la presenza scenica, per un personaggio come questo è necessaria, e che, senza quella, si rischia di scomparire nell’ensemble. Un cast ridotto all’osso, di soli tredici performer accompagnati dalla band dal vivo di nove elementi, che annoverava un performer premiato con l’Olivier Award: nell’ensemble infatti c’era anche James Jacob-Lomas, uno dei tre ragazzi che nel 2005 hanno debuttato nel ruolo di Billy Elliot nel West End.

Tom Brady, il direttore dell’orchestra, ha pensato di cambiare notevolmente gli arrangiamenti, togliendo poesia alla partitura, trasformando in un tango una colonna fondante come I’d be surprisingly good for you e accelerando notevolmente i tempi, per un risultato non del tutto apprezzabile. Insomma, Evita non è molto facile da portare in scena, e di sicuro ha bisogno di qualcosa in più di qualcuno che sappia cantare Don’t cry for me Argentina. Il pubblico sloveno ha apprezzato e accolto con calore un allestimento ancora da migliorare in molti aspetti.


foto | Barbara Palffy


Ich hab geträumt vor langer Zeit...

Problemi tecnici e un allestimento non sempre all’altezza per Les Miserables in scena a Linz di Matteo Firmi

Linz (A), 3 ottobre 2014 Una serata ventosa s’appresta ad accogliere la seconda rappresentazione de Les Misérables, nuova produzione del Landestheater Linz nella grande sala del Musiktheater Volkgarden. Il teatro è un piccolo gioiello di architettura moderna, ogni poltrona ha in

dotazione un monitor LCD per leggere il testo in 3 differenti lingue. L’allestimento curato da Matthias Davis è ben curato e funzionale, ma un po’ striminzito per uno spazio scenico veramente grande, così da risultare tetro e scuro. Susanne Nubrich disegna degli ottimi costumi, collaborando bene con il light designer.



Michael Grundner: il progetto luci riesce sempre a tenere viva l’attenzione dello spettatore. Serata storta, purtroppo, per la squadra dei tecnici del suono: spesso i microfoni risultano completamente sordi, con uno dei membri dell’ensamble che tira fuori la voce alla vecchia maniera. Kai Tietje guida i Bruckner Orchester Linz (ottima compagine orchestrale) in una meticolosa lettura dell’opera. Il cast della serata è degno per un colosso come Les Misérables: Cosette ha sempre carattere e ottima potenza vocale sia da giovane (Verena Kitzler, sicuramente una buona sorpresa tra qualche anno), sia da adulta, interpretata egregiamente da Barbara Obermeier (ottima presenza scenica e vocale). Eponine incuriosisce: è sempre “nascosta” dal ruolo che le compete, in questa serata interpretata da Ariana Schirasi-Fard. Jean Valjean (Christian Alexander

Muller), convince in ogni scena con una voce tonica e sempre calda. Javert, interpretato dall’ottimo Martin Achrainer, sfoggia presenza scenica da buon professionista, mentre talvolta la voce cala in potenza. Marius (Alen Hodzovic) entra in scena quasi in sordina, si conquista gli applausi a poco a poco, esplode con le sua capacità nel trio con Cosette ed Eponine. Fantine vince, ma non convince. La brava Kristin Holck mette grinta, e tanta, in tutte le sue scene, ma nel celebre I dreamed a dream non esplode e il pubblico risponde con un applauso solo di circostanza. Uno spettacolo bello e interessante, che parte molto in sordina, per finire nel migliore dei modi, in un teatro molto poco conosciuto in Italia. Un cast da ricordare, si avranno molte sorprese positive. Si replica tutta la stagione 2014-2015.


le

inter


amici del

musical

rviste



Daniela Pobega, il fascino della voce

La brava interprete, ancora per poco Nala nel Re Leone madrileno, racconta la sua recente esperienza in Ragtime e il rapporto con la propria voce di Enrico Comar

Madrid, 26 ottobre 2014 Non vedo Daniela Pobega da ormai quasi quattro anni, quindi non posso non cogliere l’occasione di questa mia breve sosta a Madrid in occasione del terzo anniversario della produzione spagnola di The Lion King, per fare una lunga

chiacchierata con lei di fronte ad un buon piatto di salmrejo, dopo lo spettacolo, e parlare anche della recente esperienza di Ragtime a Bologna (la cui recensione è stata pubblicata nello scorso numero di Amici del Musical)

Daniela Pobega cantante più o meno la conosciamo, ma di Daniela Pobega attrice cosa puoi dirci? Io nasco essenzialmente come cantante. Non ho mai avuto una reale formazione come attrice, né ho avuto la fortuna di molti giovani performer di poter seguire un percorso uniforme e completo presso un’autentica scuola di musical. Il mio percorso come attrice inizia nell’ormai lontano 2004, quando ho avuto la fortuna di conoscere Antonio Calenda



all’Università, dove teneva un corso di regia. Parlando con lui della mia passione per il teatro (all’epoca non era ancora un lavoro), siamo entrati in contatto. Sei mesi dopo mi ha chiamato per partecipare ad un laboratorio su Sogno di una notte di mezza estate, che infine mettemmo in scena con la sua regia. Successivamente ho fatto diversi masterclass e ho seguito un corso alla Guildford School of Acting. Il grosso della mia formazione comunque è avvenuta sul campo, imparando un po’ alla volta nel corso dei vari spettacoli. Saverio mi ha aiutato molto, credendo in me, nel mio istinto e nella mia spontaneità, scegliendomi per Pinocchio quando ancora non avevo una significativa esperienza teatrale. Poi sono arrivati altri ruoli, e collaborazioni con altri registi italiani, da Federico Bellone a Fabrizio Angelini, fino all’esperienza spagnola del 2011, che mi ha permesso di lavorare con una compagnia internazionale e di scoprire un mondo sotto alcuni aspetti molto diverso. Alle volte tutt’oggi temo di avere delle lacune rispetto ad altri miei colleghi, ma indubbiamente lavorare con diverse compagnie e conoscere diversi approcci e metodi, mi ha anche permesso di avere una visione più elastica e più varia del teatro, che credo mi sia in fin dei conti tornata spesso molto utile nell’interpretazione dei vari personaggi.

Parlando appunto di personaggi, dimmi qualcosa di Sarah; come hai affrontato questo ruolo? È un personaggio che ho sempre amato, sin da quando ho ascoltato per la prima volta Ragtime. In un certo senso è mio secondo sogno scenico dopo Nala, e mi ritengo davvero fortunata ad aver avuto l’opportunità di interpretarli entrambi. Quando ho saputo di una produzione di Ragtime in preparazione nel nostro paese, non potevo fare altro che aspettare e sperare... Finché un giorno, è arrivato un messaggio di Shawna, che annunciava lo spettacolo e chiedeva un provino. L’emozione è stata tanta, non solo per la prospettiva di portare in scena un nuovo personaggio dopo quasi tre anni, ma anche per avere finalmente l’opportunità di lavorare con Shawna e con la BSMT. Temevo di avere poco tempo per un ruolo così complesso (ho iniziato a provare due settimane prima del debutto, e l’intero spettacolo è stato costruito in poco più di tre settimane), ma per fortuna ho potuto contare sull’aiuto del regista Gianni Marras, con cui ho lavorato alla creazione del personaggio, e della stessa Shawna Farrell, per la parte canora e musicale.

Circa la parte canora, ho notato in Sarah, rispetto alla tua solita voce, una vocalità per certi versi più “nera”, con



un tentativo di avvicinarsi allo stile vocale dell’epoca. Si è trattato di una scelta consapevole? In parte. Io ad esempio sento più “nera” Nala, che però possiede sicuramente una voce più pop, mentre in Sarah utilizzo un’impostazione più classica, che, come dici tu, si ricollega al periodo storico e al tipo di personaggio. Da un certo punto di vista si è trattato di una scelta voluta (ho “divorato” il disco del cast di Broadway, con Audra McDonald nel ruolo di Sarah, e ne sono stata indubbiamente influenzata), ma probabilmente in un certo senso sono semplicemente usciti fuori i miei geni (anche in questo devo dire che interpretare Nala mi è stato molto utile, facendomi riscoprire un lato “black” che precedentemente restava più nascosto). In alcuni momenti, puntare sul belting come veicolo dei sentimenti più violenti, poteva essere una via più comoda, ma ho preferito adottare una tecnica mista, che ho sentito più autentica e vicina al personaggio.

Riascolti mai le tue performances, per valutare il tuo lavoro? So che molti cantanti non amano riascoltarsi; io invece lo trovo molto importante.Voglio avere una perfetta consapevolezza della mia voce, conoscerne i punti forti ed i limiti. Amo la voce. In modo quasi ossessivo. Mi piace ascoltare e analizzare la

voce in ogni dettaglio, sia quella degli altri che la mia. Certo, farlo durante l’esecuzione può essere dannoso e andrebbe anzi sempre evitato; ma riascoltarsi dopo, a mente fredda, è invece molto utile per fare autocritica (anche positiva) e per cercare di correggersi e migliorarsi. Mi capita a volte di ascoltare registrazioni di mie esecuzioni che non mi piacciono per nulla e che mi affretto a far sparire; alcune altre invece mi danno belle soddisfazioni.

Hai citato più volte Shawna Farrell. Lei è stata una figura importante per la tua formazione? Assolutamente sì! L’ho incontrata per la prima volta quando venne a Trieste per una masterclass, cui parteciparono altri futuri performer triestini. Molti di loro poi iniziarono a frequentare la BSMT, mentre io, impegnata all’epoca nella produzione di Pinocchio, finii per scegliere una strada differente. Nel 2010 frequentavo un corso di alta formazione in vocologia artistica a Ravenna tenuto da Franco Fussi e Silvia Magnani, e iniziai a recarmi frequentemente a Bologna, per incontrare Shawna e lavorare sulla mia voce. Anche per questo sono particolarmente felice per questo Ragtime, che ci ha permesso di lavorare finalmente insieme ad un progetto teatrale.



Casciano-Russo

una coppia… Felice, nella vita e nel lavoro

“Quando la vidi la prima volta, la presi per matta, perché mi disse: Tu sei mio marito!” di Enza Adriana Russo

Loro sono Felice Casciano ed Altea Russo, due degli interpreti di Frankenstein junior, il musical della Compagnia della Rancia, che ha accolto a teatro ben 150.000 spettatori in due stagioni e che ritorna in scena per la terza stagione consecutiva. Siamo a inizio novembre, a Palermo, alla prima tappa di quella che sarà anche quest’anno una lunga tournée. Felice ed Altea mi accolgono nel loro camerino del Teatro Al Massimo, cordiali e disponibili, nonostante manchi mezz’ora a quella che in gergo teatrale è la “chiamata”, cioè l’entrata in scena. Rispondono alle mie domande nella frenesia degli ultimi minuti, e quello che mi lascia stupita ma allo stesso tempo divertita ed ammirata, è la perfetta organizzazione e professionalità di questa compagnia, tale da non essere assolutamente disturbati dalla mia presenza, mentre sono impegnati a indossare il costume di scena, ad essere microfonati, a schiarirsi la voce, ed a prendere l’ultimo caffè per ritrovare la

giusta carica per l’entrata in scena. Altea si può definire la donna del sorriso. Con la sua figura filiforme e gentile, è un misto di dolcezza e simpatia. Figlia d’arte di Rosaria Russo, attrice napoletana, interprete di Filumena Marturano, è sulle scene da 18 anni. Nata come ballerina classica e poi passata con naturalezza anche alla recitazione, oggi ha una scuola dove insegna danza ad adulti e bambini. Felice all’apparenza sembra più timido e riservato, ed anche lui ha gli occhi gentili, proprio come la moglie; come lei è sulle scene da tanti anni, ed ha affrontato vari generi a tutti i livelli: teatro di prosa con registi del calibro di Calenda, il cinema, la fiction. Il suo ultimo successo nel musical è stato Sister Act, nel ruolo ridicolmente cattivo di Curtis Jackson. Proprio in Sister Act lo avevo già potuto apprezzare, anche per la sua bellissima voce, adatta al doppiaggio. Lui mi dice che è stato chiamato per questo, ma ha sempre rifiutato per


dare più spazio al teatro. Non si sente però di escludere il mestiere del doppiatore in un prossimo futuro. Felice ed Altea sono una coppia nel lavoro così come nella vita. In Frankenstein junior vestono rispettivamente i panni di Frau Blucher, acida, brutta, ma romantica zitella, e di Kemp, irreprensibile, rigido (anche fisicamente, con un braccio ed una gamba paralizzata), ed al tempo stesso imbranato ispettore di polizia. Altea, Felice, tornate in scena, con questo spettacolo, nella terza stagione consecutiva, ed anche stavolta, con una lunga tournée, cosa che succede raramente. Cosa ha amato la gente nel vostro Frankenstein Junior, tanto da farlo ritornare? E cosa direste a coloro che ancora non

l’hanno visto? ALTEA: Frankenstein Junior è un cult e come tale funziona da sé. Il musical (quello in lingua originale, in inglese è stato adattato dallo stesso Mel Brooks), ha un ritmo molto più veloce rispetto al film che se rifatto ai giorni nostri potrebbe apparire un po’ lento. Il nostro, in particolar modo, è uno spettacolo divertente, da non perdere, che ha la sua forza in un cast di talento ed azzeccato nei rispettivi ruoli, che ben si adatta ad un pubblico familiare, fatto da adulti e da bambini. Anzi spesso i bambini si divertono più dei grandi! FELICE: Frankestein è l’occasione giusta per vedere uno spettacolo ben diretto e ben interpretato. La regia di


Saverio Marconi e Marco Iacomelli ha reso perfetto il musical che a Broadway era più lungo.Il nostro somiglia molto di più al film, con il bianco e nero della pellicola e le atmosfere gotiche. Il pubblico ama gli spettacoli fatti bene e noi abbiamo superato anche la prova dei fan del film che escono pieni di entusiasmo e durante lo spettacolo ci danno un sacco di soddisfazioni ridendo e spesso anticipando le nostre battute. Io ancora non l’ho visto. Siederò in platea dopo questa intervista. I vostri personaggi sono come nel famoso film? Lo avete visto prima di iniziare le prove? A. Io avevo già visto il film, quando avevo solo nove anni, ma l’ho riguardato ovviamente prima di fare il pro-

vino puntando direttamente al ruolo di Frau che ho desiderato fare fin da bambina. L’ho guardato e studiato in lingua originale perché, senza nulla togliere alla doppiatrice italiana, avevo bisogno di sentire la voce dell’attrice Cloris Leichman così come era stata diretta da Mel Brooks e anche perché il suo accento è meno "tedesco" che nel doppiaggio italiano. Siamo in Transilvania infatti,dove l’accento è un misto di rumeno, moldavo e tedesco... F. Sappiamo che Mel Brooks tende a ridicolizzare i personaggi “tedeschi” perché da ebreo ha il “dente avvelenato”. Io mi sono preparato per il ruolo studiando la fisicità di Kemp fin da subito. Non è semplice recitare con un braccio perennemente pie-


da sinistra a destra: Altea Russo, Fabrizio Corucci, Felice Casciano e Roberto Colombo


gato e rigido e una gamba tesa su cui devi anche ballare! In questo spettacolo vi ritrovate a lavorare con un attore eclettico e d’esperienza come Giampiero Ingrassia. È la prima volta che lavorate con lui? Com’è come capo-compagnia? A. Giampiero è un performer fantastico, di grande talento. Ed è un capo comico capace di creare armonia all’interno del gruppo perché alleggerisce tutto, anche nei momenti di difficoltà. Lui vive con ironia e gioia e questo è importantissimo in un gruppo: se il primo attore crea tensione, il gruppo intero perde di forza e si crea una brutta energia. F. Io conoscevo già Giampiero perché abbiamo lavorato insieme nel Pianeta Proibito di Patrick Rossi Gastaldi.Ritrovo un amico e, come compagno di scena, un grande professionista. Fate lo stesso mestiere, ma siete anche una coppia nella vita. Come vi siete conosciuti? A. Io e Felice ci siamo conosciuti 14 anni fa, durante l’allestimento di A qualcuno piace caldo, il musical della Rancia che aveva protagonisti Alessandro Gassman e Gianmarco Tognazzi.Non lavoriamo insieme dal 2002, quando eravamo nel cast de La piccola bottega degli orrori, spettacolo firmato sempre dalla Rancia ed è da allora che non ci ritrovavamo nello stesso cast. Anche se abbiamo fatto le audizioni insieme, onestamente non ci aspettavamo proprio di essere presi entrambi!

Il colpo di fulmine è avvenuto in scena o dietro le quinte? In platea! (rispondono insieme sorridendo). Felice continua: Lei mi ha visto e mi ha “riconosciuto”, dicendomi: Tu sei stato mio marito in un’altra vita! Ed io le ho detto: Tu sei matta! E quindi Altea, alla fine, come hai fatto a conquistarlo? (le chiedo sorridendo) A.(divertita) Diciamo che a poco a poco mi ha riconosciuta... In amore ci si deve riconoscere... F. Per me in verità, non è stato così difficile, perché Altea è una donna di grande fascino, di valore, è intelligente... (A questo punto interviene Fabrizio Corucci, che si trova anche lui in camerino, mentre si prepara a vestire i panni del Mostro, esclamando; ...E lui è il marito! Tra le risate di tutti) Nel vostro lavoro siete sempre concordi? A casa ne parlate? A. Fare lo stesso mestiere è una fortuna per noi. Nonostante l’aspetto economico sia poco incoraggiante, noi ci capiamo benissimo. anzi ci prepariamo insieme per i provini scambiandoci consigli e sostenendoci a vicenda. E nonostante le difficoltà, sappiamo di poter sempre contare l’una sull’altro. C’è chi invece, sostiene che fare lo stesso lavoro possa allontanare i due partner... F. Sì, perché magari una persona che fa un altro mestiere, da "posto fisso", non può capire fino in fondo la matrice passionale del nostro lavoro. Il nostro non è semplicemente un la-


Una nota sullo spettacolo

Frankenstein junior è un musical che è stato considerato un piccolo “capolavoro di perfezione” dalla critica. Mette in campo le forze migliori del nostro teatro tra registi e interpreti, con le coreografie di Gillian Bruce. Tutti gli attori brillano senza mettere in ombra gli altri, e le due ore del musical scorrono veloci tra applausi e divertimento. Sono tutti da citare ed applaudire, ma mi permetto di menzionare Igor di Mauro Simone, la cui interpretazione ho particolarmente apprezzato, senza però voler nulla togliere a tutti gli altri. Lo spettacolo toccherà ancora molte città tra cui Firenze, Bologna e per un lungo mese, tornerà a Milano. Inoltre, la Compagnia della Rancia ha sposato una causa benefica, che accompagnerà gli artisti in molte città: si tratta della vendita delle caramelle del CIAI (Centro Italiano Aiuti all’Infanzia), e con soli 5 euro si potranno aiutare tutte le attività di questa associazione.


voro e basta: è la nostra vita, siamo noi. Tra noi non c’è competizione, perché al di là del lavoro, abbiamo l’amore, la stima reciproca, e gli stessi ideali e valori che ci uniscono. In questa occasione abbiamo organizzato tutto (famiglia e spostamenti vari) solo dopo che Saverio Marconi ci ha confermato che eravamo stati scelti, entrambi, per Frankenstein junior. Non è per niente facile. Anzi è durissima, ma ne vale la pena. Con voi, nella vostra famiglia ed in tournée, c’è anche vostro figlio Eduardo di cinque anni. Come vive il tour insieme a voi, l’atmosfera del teatro? F. È normale che vivendo questa atmosfera, lui tenda ad assimilare tutto quello che lo circonda.Vive questa atmosfera con gioia. È uno spettatore attento, ama ripetere le scene, le battute, soprattutto quelle di Igor, che gli piace in particolar modo. Ma non ci segue sempre in platea. In tutti i tre anni avrà visto solo una decina di repliche. Adesso dov’è? A. A casa con i nonni. Qui a Palermo, per questi dieci giorni di permanenza, abbiamo preso in affitto una casa e sono con noi i genitori di Felice che stanno con lui e lo mettono a letto ogni sera, quando noi siamo in scena. Con i nonni, si alternano anche le zie, nella varie città che tocchiamo. Noi vogliamo che Eduardo viva una vita la più normale possibile. Quando viene in teatro, lui comunque si sente in fa-

miglia, diventa la mascotte. Tutti lo coccolano e lui è contento. Dopo 10 giorni di permanenza a Palermo, in questo teatro, in questi luoghi, cosa porterete nel cuore di questa città? F. Palermo è arte e bellezza in ogni suo angolo. A. È una città meravigliosa. La conoscevamo, ma forse questa volta, grazie al fatto che Eduardo si sveglia presto al mattino costringendoci ad alzarci con lui, nonostante i nostri orari, abbiamo avuto modo di scoprirla di più: passeggiando per il centro storico abbiamo scoperto angoli, strade, persone e profumi che ci porteremo dentro. Il clima è stato fantastico e siamo stati davvero quasi in vacanza. Se un giorno Eduardo vi dirà che vuol fare il vostro stesso mestiere, cosa gli risponderete? A. Se nostro figlio ci chiederà di fare questo mestiere, non saremo noi ad impedirglielo. Sicuramente il “gene” dell’Arte passa nel DNA. Lo dico perché sono una figlia d’arte. Lui ha già dimostrato molto interesse per il musical e per il teatro in generale, quindi non mi meraviglierei. Ogni genitore desidera solo che il figlio sia felice, e noi lo incoraggeremo sempre qualunque cosa desideri fare. F. Io aggiungo che ognuno ha il diritto di seguire la propria strada, il proprio cuore, il proprio talento; ma chissà se, tra qualche anno, sarà ancora possibile in Italia, fare questo mestiere!


un po’ di

n


amici del

musical

news



la nuova stagione viennese

Tante novità e graditi ritorni per il 2015/16 dei Teatri Riuniti Viennesi di Matteo Firmi

È stata presentata da Christian Struppeck e dal CEO Thomas Drozda, assieme al coreografo Vincent Paterson, la nuova stagione dei Teatri Riuniti Viennesi. La programmazione del 2015/16 prevede graditi ritorni, innovazioni organizzative e un aumento dell’offerta produttiva. Al Ronacher, dove attualmente è in scena Mary Poppins, vedremo due produzioni: la prima è il celeberrimo Evita (in ottobre 2015), di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice; la seconda sarà una novità scritta da Rainhard Fendrich: si tratta di I am from Austria, una vera e propria dichiarazione d’amore all’Austria, e debutterà nella primavera del 2016. Al Raimund Theater ci sarà il lieto ritorno del duo Kunze – Levay: dopo più di 500 spettacoli in 6 paesi del mondo, sarà rimesso in scena Mozart!. La storia del piccolo genio salisburghese si riprenderà il palcoscenico dopo il debutto del 1999. L’allestimento sarà curato da Harry

Kupfer e Hans Schavernoch, che abbiamo già visto per la regia di Elisabeth, e vedrà una nuova canzone scritta per l’occasione. Nella primavera del 2016 Mozart! lascerà spazio ad un’altra nuova produzione, firmata Stephen Schwartz. Il celebre autore sta lavorando con Christian Struppeck per l’allestimento di Schikaneder: già annunciato nel marzo del 2013, lo spettacolo si basa sulla storia d’amore tra Emanuel Schinkaneder, sua moglie e il loro rapporto con la Vienna Musicale. Vari concerti sono inoltre in programma: si parte da settembre 2015 con VBW Musical Gala 2015 per festeggiare i 50 anni dalla prima produzione al Theater an der Wien. Musical Christmas e Jesus Christ Superstar sono previsti rispettivamente per Natale 2015 e Pasqua 2016, quando sarà in arrivo Messiah Rocks di Jason Howland e Dani Davis.










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