Bye Bye Circo Massimo

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Fabio Ranzolin Bye Bye Circo Massimo Montoro12 Contemporary Art, Roma 16 febbraio – 29 marzo 2018

Mostra a cura di Amalia Nangeroni

Progetto editoriale a cura di Fabio Ranzolin Coordinamento redazionale Amalia Nangeroni

Finito di stampare nel mese di febbraio 2018

www.m12gallery.com


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* Sabrina Ferilli al Circo Massimo, 2001 * Anna Magnani in “Mamma Roma�, regia Pier Paolo Pasolini, 1962


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MASSIMO CIRCO


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Caro Fabio, oggi, nelle opere presentate nella mostra Bye Bye Circo Massimo, riconosco molti dei tuoi ragionamenti sulla tradizione italiana e le sue contraddizioni. Capisco che Roma per te è lo scenario perfetto per narrare di corpi che si accumulano nella Storia, e i cui ricordi si disperdono nella tradizione culturale.

La parola tradizione condivide con tradimento la stessa radice: entrambe derivano infatti dal verbo latino tradere, che etimologicamente si riferisce a una consegna, a un passaggio, a una trasmissione. Tu consegni all’interpretazione dello spettatore alcuni oggetti prelevati dal tuo vissuto personale ma anche frammenti e esperienze appartenenti ad altri soggetti, di cui ti impadronisci, tradendoli e ponendoli talvolta in relazione a elementi organici e oggetti industriali. “Lo sfogo tuo, lo prendo come tale, vive della tua sola esperienza, ora hai la mia”- con queste parole in prespaziato pvc oro, accogli i visitatori in galleria. Mi hai raccontato che ti sei appropriato di questa frase, tradendo il mittente originario, a sua volta traditore. Solo voi siete consapevoli del contesto in cui queste parole sono state concepite. A chiunque le legga invece, appaiono vaghe. Esse sono un indizio per comprendere gli equivoci provocati dalle tue opere. La mostra si sviluppa mediante una narrazione costruita attraverso l’evocazione di miti, simbologie, personaggi e avvenimenti. Per esempio, con l’opera To Lovers, A. and A. (2017) rimandi alla relazione tra Adriano e Antinoo, come quella tra Giove e Ganimede. La scatola da scarpe è un pretesto per presentare Antinoo come Nike vittoriosa della passione omoerotica, mentre le acque del Nilo in cui il giovane amante perse la vita, sono evocate dai cosmetici Tesori d’Oriente. Pasolini e quello che successe a Ramuscello sono invece lo spunto per l’opera Passivo, Passivo, Passivo (2017) e quì Roma, città dove l’intellettuale si trasferì a seguito di


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quell’episodio, la ricordi con il profumo di Laura Biagiotti, rubato a tua madre. In The fable never dies of natural death (2017) presenti una figurina Panini di Francesco Totti, ingrandita e stampata su di una bandiera immobile. E poi l’Italia capovolta, in omaggio a Luciano Fabro, su di una spilla kitsch, nell’opera Like victory without victorious (2017)... Tutti questi elementi mi sembrano simboli efficaci per contestualizzare una critica al consumismo più che mai urgente oggi. Ciò mi ricorda che viviamo in un periodo definito dal filosofo e sociologo Gilles Lipovetsky, ipermoderno, dove il vettore dell’estetizzazione del mondo è il consumo*. Già nei tuoi scritti in cui mi raccontavi del * G. Lipovetsky, progetto Bye Bye Circo Massimo, citavi la “scomparsa delle J. Serroy, lucciole” denunciata da Pasolini, e il dramma psicologico L’esthétisation du dell’uomo borghese raccontato nei film di Fellini. È evidente che monde: vivre à l’âge attraverso questa mostra intendi stimolare una riflessione sulla du capitalisme artiste, Gallimard, Parigi cultura italiana, presentando una società in crisi, i cui valori 2013. culturali sono in continua trasformazione. E poi penso alla statuina senza testa, riproduzione taroccata della Pietà di Michelangelo, sul centrino da tavola di tua nonna in Mamma! Mamma! Why don’t you look at me while I’m dying? (2017), oppure al portachiavi con i cornetti portafortuna di Fortune hanging by a thread (2017); ma anche all’acqua della fontana di Trevi, imbottigliata in una serie di bottiglie di plastica in Non sono che una puttana lo sai?! Non c’è rimedio, sarò sempre una puttana! E non voglio essere altro!! (2018) o alla foto che ritrae tua sorella in Foie Gras (2018). Questi oggetti, emersi da incontri fortuiti o prelevati dal tuo contesto familiare, acquisiscono nuovi livelli di significato attraverso l’esposizione in galleria. E in questo vedo assimilata la lezione di Danh Vo. Come lui, scegli spesso oggetti appartenenti alla tua storia familiare, e li presenti così come li hai trovati, oppure li poni in relazione a nuovi elementi, comprimendo temi e epoche in rappresentazioni equivoche. Attraverso l’uso del ready-made contraddici e reinterpreti le radici culturali italiane, ed è nella conversazione tra gli oggetti, che colgo una riflessione sulle virtù dei mores maiorum - nucleo della morale tradizionale della civiltà romana: il poter confidare sulla parola data (fides) viene tradito in Handle with intimacy no. 34 (2016); l’autocontrollo ma anche il rispetto per la tradizione (gravitas) vengono messi in discussione in Passivo,


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Passivo, Passivo (2017); pietà, devozione, patriottismo e protezione verso il prossimo (pietas) sono capovolti in Like victory without victorious (2017); in The fable never dies of natural death (2017) ironizzi sulla dignità nel rappresentare un popolo (majestas); e infine affidi alle parole della Lettera a Lucio no.1 (2018) - estrapolata dalla rivista pornografica omosessuale Doppiosenso – una critica all’ideale dell’uomo romano (virtus). Quando condividi la bellezza dell’indifferenza duchampiana non nell’atto del prelievo ma nella consegna dell’oggetto allo spettatore – intuisco che vuoi ragionare sul concetto di dislocazione insita nel ready-made. Di conseguenza è solo nella soggettività di chi fruisce le opere che l’oggetto può trovare un senso. Questo concetto poi, si somma alla volontà di riflettere sulle produzioni storiche, quindi sociali e culturali, e sulla loro attribuzione di valore e significato nel tempo. La Storia, che impassibile registra costanti mutamenti, dimostra che l’energia potenziale della cultura è in perenne stato di equilibrio indifferente. Se come scrive Nicolas Bourriaud ne “Il radicante”: *

N. Bourriaud, Il radicante. Per un’estetica della globalizzazione, postmedia books, Milano 2014, p. 159.

«l’individuo del XXI secolo apprende concretamente la cultura sotto forma di merci, distribuite da istituzioni e mercato»*, allora i tuoi objects, vanno considerati in una prospettiva di appropriazione. Nelle tue opere gli oggetti di consumo, soggetti al costante gioco di corrispondenze tra domanda e offerta, evocano simboli culturali, e lasci a noi il compito di decretarne il valore.

Mi interrompo qui, questa lettera è fin troppo lunga.* Amalia

*

In una prospettiva di appropriazione, ho deciso di rendere omaggio alla tua pratica citando una frase di Patricia Falguières, tratta dal catalogo della mostra Slip of the Tongue (Fondazione Pinault, Punta della Dogana, 12 aprile 2015 – 10 gennaio 2016), Marsilio, Venezia 2015.


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1. Handle with intimacy no. 34 _ lo sfogo tuo, lo prendo come tale, vive della tua sola esperienza, ora hai la mia

p. 16

2. Fisting in the heart (introduction)

p. 20

3. To lovers, A. and A

p. 26

4. Non sono che una puttana lo sai?! Non c’è rimedio, sarò sempre una puttana! E non voglio essere altro!!

p. 30

5. Lettera a Lucio no. 1

p. 34

6. Like victory without victorious

p. 36

7. Mamma! Mamma! Why don’t you look at me while I’m dying?

p. 38

8. Foie Gras

p. 42

9. The fable never dies of natural death

p. 44

10. Fortune hanging by a thread

p. 48

11. Passivo, Passivo, Passivo

p. 50


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Tutte le metafore ritrovavano un senso: ho tenuto quel cuore tra le mani. *

M. Yourcenar, Memorie di Adriano, a cura di L. Storoni Mazzolani, Einaudi, Torino 1981.

Quando lo lasciai, il corpo vuoto non era piÚ che una preparazione anatomica, il primo stadio d’un capolavoro atroce.


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1. Handle with intimacy no. 34 _ lo sfogo tuo, lo prendo come tale, vive della tua sola esperienza, ora hai la mia _ 2016 prespaziato in pvc edizione 1/2 dimensioni determinate dallo spazio


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DESCRIZIONE

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Il testo a parete è parte dell’opera Handle with intimacy (2016), una raccolta di appunti dell’artista. Il lavoro autobiografico introduce concettualmente il pensiero della mostra. Un anno fa Ranzolin era a Roma per firmare il contratto lavorativo con la galleria Montoro12 Contemporary Art. Nel pomeriggio dello stesso giorno, aveva organizzato un appuntamento con un ragazzo conosciuto tempo prima a Padova. Un pischello belloccio, un attore in erba, una romantica fantasia erotica. Il giovane abita a Roma per motivi di lavoro, ma solo dopo due anni si era organizzato un vero appuntamento. Il viaggio dell’artista partiva dalla Città Santa verso il quartiere Pigneto, direzione: Bar Necci, il celebre locale frequentato da Pier Paolo Pasolini. Durante il tragitto in un autobus affollato, Ranzolin ricevette un messaggio molto lineare, casto e puro per certi aspetti. Nella sua semplicità il testo appariva dignitoso, seppur seccamente ingenuo. L’attore non si sarebbe presentato, e con una semplice battuta da copione, scarsamente eloquente, avrebbe chiuso il sipario. Questo accadeva ai piedi del monumento del Circo Massimo. L’artista si sentì parte di una triste commedia, personaggio schernito di uno spettacolo di pietre, a due passi dalle vestigia di un circo del 329 a.C. La frase a muro rappresenta in sé una successiva e definitiva risposta del ragazzo ricevuta il giorno seguente, in conseguenza ad una lettera di sfogo scritta dall’artista in tono formale. Il metodo di lavoro di Ranzolin si basa spesso sull’appropriazione, lecita ed illecita, di fatti, cose e parole sue o di altri. Seppur la vicenda rappresenta un momento di pura intimità, l’artista se ne appropria e lo rende manifesto: ora il traditore è tradito. La frase, apparentemente vaga, si erge trionfante come incipit e non più come atto finale; dà voce non più ad una narcisistica presa di posizione, ma ad una storia collettiva e paradossale.


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2. Fisting in the heart (introduction) _ 2018 frammento in pietra vicentina da statua (inizi ‘900 circa), 5 elementi in ottone: asta, piattina, collana, catenina, ciondolo a cuore inciso 226x41x10 cm


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DESCRIZIONE

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Un braccio tronco, a pugno chiuso, tiene fra le mani qualcosa, forse una fiammella o forse una toga in stile greco. Il tempo costringe l’osservatore ad immaginare. L’arto fluttua nello spazio, tenuto da una sottile asta d’ottone che pende dal soffitto. Il gesto è violento, rude e per certi aspetti allude a pratiche sessuali estreme o alla violenta propaganda politica e filocomunista. La scultura in pietra vicentina degli inizi del ‘900 circa, si contrappone alla collanina sottile e lineare in ottone. Il gioiello è stato commissionato e realizzato a mano da una giovane artigiana veneziana, una superstite allo sfruttamento turistico e commerciale della laguna e all’emigrazione dei suoi abitanti storici. La collana ha come elemento principale un docile pendente a forma di cuore, dalla linea semplice e volutamente kitsch. Sullo stesso sono state incise a mano le parole “Baci stellari”, celebre slogan autoreferenziale della showgirl romana Valeria Marini, famosa per la sua procace sensualità, per l’uso del suo stesso corpo come prodotto imprenditoriale e per il suo indubbio carisma scenico. Il lavoro quindi, mette in conversazione riferimenti retorici e altamente dissonanti, tuttavia tutti egualmente basati sul riconoscimento corporeo e simbolico. L’opera inoltre enfatizza i riferimenti ad una sensualità sfacciata e provocatoria.


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3. To lovers, A. and A. _ 2017 legno Obeche e Okoumè, tenda frangiata in poliestere, bevanda Campari, asta e lamina in ottone, frammento in pietra veronese da statua (1850 - 1910), scatola da scarpe Nike, bagno crema Tesori d’Oriente “Aegyptus” 500ml, spugna da imballaggio, frammento di corteccia d’olivo dimensioni determinate dallo spazio


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DESCRIZIONE

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L’opera è dedicata all’amore fra Adriano e Antinoo; per fare ciò l’artista ha voluto realizzare un’istallazione scenografica e appariscente. In qualche modo la loro storia è teatro: reinterpretata, riscritta e ripresa nel corso del tempo. Con tale lavoro Ranzolin ricostruisce i simboli e frammenta le due figure, utilizzando oggetti contemporanei che concettualmente ritraggono i personaggi storici. Il primo elemento che colpisce è la tenda frangiata in poliestere che tocca e scavalca una struttura in legno. L’estremità delle frange è stata colorata a mano dall’artista e la tonalità è resa grazie all’utilizzo dell’alcolico Campari: tipica bevanda italiana, nata nel 1860 a Milano, oggi leader mondiale nella produzione di bevande alcoliche ed analcoliche. Il bitter è il prodotto di punta dell’azienda e viene utilizzato per la realizzazione di cocktail largamente consumati nel Nord Italia; circa dieci anni fa la famosa colorazione era ottenuta dalla miscela di cocciniglia, un colorante naturale (E120) realizzato con una specifica specie di insetti fitofagi, un sacrificio simile a quello che in antichità si faceva per la realizzazione del color porpora. Tale pigmento, infatti, si estraeva dal murice comune (mollusco) e veniva utilizzato per colorare i tessuti - tecnica della tradizione fenicia, tradita alla cultura romana. Nell’antica Roma, inoltre, solo i funzionari politici e di prestigio potevano sfoggiare ornamenti purpurei e solo l’imperatore aveva il permesso di indossare la toga ricoperta da ricami di color porpora. La fascinazione del colore rosso derivava proprio dalla sua vitale simbologia di potere, sesso, battaglia e sangue, e se oggi il Campari diventa cruelty free il suo slogan rimane Red Passion. Sul lato destro dell’intera installazione giace una testa di Giove in pietra veronese, padre di tutti gli Dei pagani che nella riproduzione presentata assomiglia ad Adriano. Per certi aspetti, infatti, questo viso tondo, dai morbidi ricci e la folta barba, ricorda la bellezza savia dell’imperatore romano. La scultura è un frammento mal conservato databile tra la seconda metà dell’800 e primi ‘900. L’elemento era parte integrante di una serie di lavori inseriti in una villa nobiliare veneta, probabilmente in stile Palladiano. È verosimile credere che il gusto neoclassicista rispolverava valori estetici e simbologie culturali rinascimentali, romane e di conseguenza greche, appropriandosi delle figure degli dei e riproducendoli con materiali locali. Tale modalità infatti, non è diversa da ciò che accade oggi nell’industria globalizzata. Per quest’opera la scelta di Giove non è assolutamente casuale, poiché la divinità greca era famosa per la sua creatività e vitalità passionale: Giove era promiscuo, adultero, possessivo, patriarcale, fertile e seduttore. Fra le sue avventure, dalle molteplici metamorfosi, ve ne è una particolarmente poco narrata: quella fra il Dio e Ganimede. Questa briosa liaison fra una matura ed affascinante divinità e un giovane appena adolescente, bello ed efebico, è stata il modello per il costume sociale della pederastia greca. Antinoo, anche lui famoso per la sua docile sensualità, instaurò con Adriano un rapporto di natura catamite, assumendo il ruolo di amante


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DESCRIZIONE

passivo e privilegiatissimo. Tuttavia la vita del giovane durò poco. In uno dei lunghi viaggi imperiali infatti, il ragazzo cadde dalla barca ed affogò nelle acque del Nilo, in nord Africa. Così si spiega l’oggetto nel quale la testa di Giove è appoggiato: la linea di shampoo e bagno crema Tesori D’Oriente offre esperienze per la cura del corpo e il proprio benessere, sfruttando una simbologia orientale e seduttiva, costituita da immaginari esotici e conturbanti, per regalare al consumatore occidentale un viaggio dei sensi extracontinentali. Il prodotto in questione gioca sul marketing legato all’onirica visione dell’Egitto, con note di papiro, iris e giglio blu del Nilo. Senza dover scomodare la contemporanea fissazione per il corpo ed il suo ideale di benessere, l’iconografia di Antinoo si configura su un’idea di glabra bellezza e perfezione; Adriano stesso, per far sopravvivere un simile incanto, fece scolpire innumerevoli statue, raffigurazioni in affreschi e monete del viso del fanciullo. La sua figura iconografica diventò poi Hermes, Bacco e addirittura la divinità egizia di Osiride, in un perenne gioco di mescolanze religiose e tradimenti culturali. Il simbolo di Antinoo divenne, inoltre, una città (Atinopoli), un fiore (il loto rosso), e dalla sua caduta nelle acque del Nilo, specchiandosi nel cielo, si tramutò addirittura in costellazione. Simbolicamente Antinoo può essere visto come Nike vittoriosa della passione omoerotica, feticcio sessuale e di status come le scarpe Nike, la cui scatola è riposta sotto la struttura in legno. In dialogo con gli elementi, è stato inserito anche un frammento di corteccia d’olivo centenario. Quest’oggetto è stato raccolto da terra nei giardini della prestigiosa Villa Adriana a Tivoli (RM), negli stessi spazi in cui il corpo di Antinoo giace, sepolto da un sofferente Adriano straziato dal dolore di tal perdita.


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4. Non sono che una puttana lo sai?! Non c’è rimedio, sarò sempre una puttana! E non voglio essere altro!! _ 2018 50 bottiglie di plastica PET trasparente a collo largo, tappo bianco, modello Everytime 500ml, nastro adesivo in pvc stampato a colori dimensioni determinate dallo spazio


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Ancora una volta l’artista viene sedotto dalla silhouette di oggetti industriali prodotti in serie. Per la mostra Bye Bye Circo Massimo, Ranzolin installa, nell’intero spazio espositivo, otto gruppi di bottiglie in plastica PET trasparenti, riempite d’acqua e unite fra loro da un nastro adesivo che recita ripetutamente la frase “con cor contrito”. Tale metodo installativo ne enfatizza il valore concettuale. L’opera appare come un ingombro, una serie di prodotti industriali disordinati nello spazio, oggetti pronti ad essere spediti o appena scaricati da qualche ditta di trasporto. La scritta sul nastro, inoltre, imita perfettamente le etichette di prodotti alimentari venduti nei supermercati. Essa è un’allitterazione onomatopeica tratta da una preghiera cristiana di origine campana del 1830. Tutte le cinquanta bottiglie di plastica sono state riempite, una ad una, dall’artista con acqua raccolta direttamente dalla Fontana di Trevi di Roma. Con tale gesto volontario, l’artista associa un prodotto usa e getta con il simbolo mediatico del consumo culturale e del turismo di massa per eccellenza di Roma. Il monumento storico è da sempre utilizzato come un emblematico e sensuale palcoscenico della finzione cinematografica e non solo. Per certi aspetti la fontana, non è molto diversa dalla descrizione che fa Maddalena di se stessa ne La dolce vita (1960) di Federico Fellini. «Non sono che una puttana lo sai?! Non c’è rimedio, sarò sempre una puttana! E non voglio essere altro!!» è una frase da lei espressa a Marcello Mastroianni, nella cosiddetta “Stanza dei discorsi seri”. Nel pronunciare tali parole e nel definire la sua identità, Maddalena comunica attraverso lo scarico di una fontanella inattiva che permette di fare eco alla stanza sottostante. In qualche modo tali parole descrivono allegoricamente il ruolo stesso del celebre monumento in Piazza di Trevi; la fontana, infatti, viene illuminata, toccata, fotografata e gli si lancia denaro tutto il giorni, nella speranza che essa soddisfi i nostri più mortali desideri. Inoltre Ranzolin fa un netto riferimento ad un’usanza romana antica: si pensa infatti, che in passato era tradizione per le donne raccogliere l’acqua della fontana e farla bere al proprio marito, poiché si credeva che augurasse buon auspicio e fedeltà durante il periodo passato al fronte. Il gesto di inserire l’acqua in anonime bottiglie monouso in plastica, innesca inevitabili parallelismi con la Storia, e riferimenti concettuali al consumo di massa, alla serialità e allo scambio tipici della società contemporanea.


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E le capricciose apparizioni di questa ragazza della fonte cosa vorrebbero significare? Un’offerta di purezza, di calore al suo protagonista? Di tutti i simboli che abbondano nella sua storia questo è il peggiore.

* “8½” 1963, regia Federico Fellini

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5. Lettera a Lucio no. 1 _ 2018 ritaglio dalla rivista Doppiosenso 25x5 cm


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Le “Lettere a Lucio” sono state un importante paragrafo della rivista pornografica Doppiosenso fondata nel 1976. Il magazine era considerato il primo periodico più venduto in Italia rivolto al pubblico omosessuale maschile, e vantava pubblicazioni continuative messe in vendita nelle edicole. All’epoca la “stampa libera” faticò a lungo prima di disfarsi delle leggi fasciste contro la “stampa oscena”; tuttavia tale rivista riuscì a superare l’occhio vigile della censura. Doppiosenso infatti, pubblicava servizi fotografici squisitamente erotici, fotoromanzi, annunci per incontri, articoli di cultura queer, pubblicità e i consigli di Lucio, il quale elargiva una serie di giudizi rispondendo alle domande frequenti dei lettori. Un suggestivo ed inquietante parallelismo inoltre, all’interno della mostra, si innesca con il romanzo Mémoires d’Hadrien di Marguerite Yourcenar (1951). Lucio Elio Cesare fu il figlio adottivo e successore designato dell’imperatore romano Adriano. Nel romanzo si marcano le stravaganti abitudini del politico, nonché amico e fidato consigliere del protagonista, egli stesso lo descrive come: «avido di tutti i piaceri, compresi quelli del pensiero e degli occhi. (…) Seguitava ad essere assurdo, ironico e gaio», di indole frivola e avvezzo ai pettegolezzi godeva di una rosa di giovani amanti ambo i sessi che lo seguivano per tutto il regno. Con questo lavoro, l’artista espone direttamente le parole di un lettore della rivista Doppiosenso, e attraverso una narrazione di frammenti e citazioni, dislocati nel tempo e nello spazio, evidenzia una critica del costume intellettuale romano, che viene spesso rappresentato da un gruppo di uomini narcisi, promiscui e vacui.


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6. Like victory without victorious _ 2017 struttura in ottone, frammento in pietra vicentina da statua (1759 circa), camicia in cotone firmata Valentino, spilla in plastica made in China 157x70x20 cm


6.

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L’opera ha come elemento principale un braccio scolpito in pietra vicentina. L’arto mozzato appartiene ad una scultura di Sant’Antonio, patrono di Padova, originariamente pensata per decorare una villa veneta del 1749. Reduce da una demolizione abitativa, esso è stato installato in una struttura d’ottone saldata a caldo. Protratto al cielo, enfatizza un certo richiamo al divino, tuttavia, per altri aspetti evoca il tradizionale saluto romano, promosso poi nel XX secolo dal Fascismo affinché sostituisse la stretta di mano ritenuta “borghese” e poco igienica. Nella medesima struttura formalmente minimale viene stesa una camicia celeste firmata Valentino. Il capo d’abbigliamento si presenta in cattive condizioni poiché è consumato nei polsini e nel colletto. Tale indumento è stato acquistato dal nonno dell’artista, riutilizzato poi da Ranzolin stesso. La scelta del brand di alta moda non è casuale, ancora una volta la mostra Bye Bye Circo Massimo mette in conversazione identità omosessuali romane, realizzando così un’orchestra di creatività e citazionismo che si muove fra più discipline. La griffe, oggetto di desiderio per tutti i cultori del fashion, è universalmente sinonimo di alta classe e creatività, tant’è che l’industria del settore considera lo stilista come l’ “ultimo imperatore” della moda. Sulla camicia, inoltre, è stata applicata una spilla kitsch made in China acquistata dall’artista nel tragitto che collega la galleria alla Fontana di Trevi di Roma. Tale spilla raffigura la penisola italiana colorata dalle bande della bandiera dello stesso Paese. La camicia, una volta stesa, ribalterà lo “stivale” italiano ricordando immediatamente l’opera di Luciano Fabro l’ “Italia capovolta”, lavoro simbolo dell’Arte Povera e dell’artista torinese. Il lavoro evoca una sorta di totem al fallimento o al prestigio, in un perenne gioco di simbologie culturali e di costume storico. L’artista riflette sul fatto che fra la partita del tempo e della cultura non vi è alcun vincitore ed alcun perdente.


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7. Mamma! Mamma! Why don’t you look at me while I’m dying? _ 2017 legno Obeche e Okoumè, lamina in ottone, scultura in resina, centrino in cotone 37x70x40 cm


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Il titolo dell’opera è un grido silenzioso e profondo; un richiamo di un figlio, alle soglie della vita, alla madre che ora, suo malgrado, non lo può più guardare. Il lavoro è costituito da una riproduzione della Pietà (1497-1499) di Michelangelo. L’oggetto è in scala minore, quasi tascabile, ed in precedenza era appoggiato sul comodino nella camera della nonna paterna dell’artista. L’opera è un semplice ready-made. La sculturina era adagiata sopra il centrino demodé cucito a mano dalla stessa nonna, il quale serviva presumibilmente a simulare un altarino personalizzato in miniatura, a dire dell’artista “francamente squallido”. La storia aulica rinascimentale nel made in China da souvenir. La riproduzione inoltre risulta danneggiata irreversibilmente poiché la testa della bellissima Vergine si è persa: ora un corpo decapitato - e vestito dal celebre tessuto increspato - raccoglie la magra figura del Figlio di Dio. È inevitabile ricordare la cronaca italiana: domenica 21 maggio 1972 alle ore 11.30, László Tóth, un geologo australiano di origine ungherese, colpì ripetutamente la Pietà di Michelangelo con un martello gridando: «Sono Gesù Cristo, risorto dalla morte». La vergine fu la parte più danneggiata, si staccarono cinquanta frammenti: il braccio fu spaccato, il gomito frantumato, il naso divelto e le palpebre distrutte. Il restauro venne avviato immediatamente nei laboratori dei Musei Vaticani. Tale tragedia culturale portò ad altra tragica cultura autoreferenziale: Paolo VI, al secolo Antonio Maria Montini, attribuì al gesto vandalico l’icona di una Chiesa piangente, aggredita internamente dal male. «Il fumo di Satana è entrato nelle sale dei sacri palazzi», dichiarò Montini qualche giorno dopo, chiamando in causa il male, i simboli del cristianesimo e oscuri presagi per il futuro della Chiesa. Ranzolin ragiona sui miti del patrimonio artistico e della cultura italiani decaduti, vittime dell’imitazione e del tarocco. La collettività assiste a questo accadimento, come una madre che guarda il proprio figlio morire, perdendo la testa.


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Quando gli Dei non c’erano già piÚ, ma Cristo non era ancora apparso.

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M. Yourcenar, Memorie di Adriano, a cura di L. Storoni Mazzolani, Einaudi, Torino 1981.


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8. Foie Gras _ 2018 fotografia analogica a colori (dalla raccolta I exist, 2016) 14x10 cm


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DESCRIZIONE

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Il foie-gras è uno dei prodotti gastronomici più rinomati della cucina francese, letteralmente si tratta di fegato d’anatra o di oca fatto ingrassare tramite alimentazione forzata. Una procedura alimentare del tutto invasiva che provoca una patologia nell’organo animale facendolo ingrandire in maniera smisurata. L’opera consiste in una semplice fotografia analogica. La scatto ritrae la sorella dell’artista in una posa goffa e scarsamente elegante. L’abbigliamento del soggetto, inoltre, ci riporta alla moda pacchiana degli anni 2000. La foto è stata eseguita presumibilmente da qualche compagno di classe della ragazza, in gita scolastica per la prima volta a Roma. Il soggetto introduce la propria mano nella cavità orale della Bocca della Verità (1632), in quanto, la suddetta figura, gode di grande fama popolare come veste d’oracolo. Tale scatto, inserito nel contesto della mostra, riporta alla mente il film Vacanze Romane (1954) di William Wyler, in particolare la scena in cui Audrey Hepburn – per la prima volta nella capitale - viene sedotta dal mito ed intimidita, offre con prudenza il proprio palmo al mascherone.


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9. The fable never dies of natural death _ 2017 frammento in pietra vicentina da statua (fine ‘800 circa), asta e piattina in ottone, stampa a colori su tessuto acrilico varie dimensioni


9.

DESCRIZIONE

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Il 2017 verrà ricordato anche per la fine dell’impero calcistico dell’ “ottavo imperatore di Roma”. L’ “addio” di Francesco Totti in veste di calciatore e capitano è avvenuto il 28 maggio 2017. Quaranta minuti di puro pathos: lo stadio era pieno, ordinato, commosso, mentre Totti - con famiglia al seguito - incalzava il corteo in suo onore. Migliaia di cittadini piangenti assistevano al suddetto spettacolo; il telecronista, scosso, evidenziava questo palpabile sentimento collettivo. L’ultimo saluto di Totti sul campo da gioco è forse la ricostruzione contemporanea di quello che poteva accadere agli antenati romani dinnanzi all’imperatore. La parola “favola” è stata utilizzata dal calciatore stesso nella sua lettera di congedo: « Mi piace pensare che la mia carriera sia per voi una favola da raccontare ». L’uomo diventa mito e il mito diventa racconto. Con questo lavoro l’artista evidenzia quanto la storia culturale, i suoi flussi, esordi e conclusioni, siano una scelta principalmente volontaria e intellettuale. La suddetta vicenda è parte integrante della storia popolare e culturale italiana e in quest’opera ne diventa retorico manifesto: una figurina del Calcio Panini, infatti, è stata stampata in versione bandiera ed è tenuta da un braccio mozzato in pietra vicentina di fine ‘800. In un lavoro volutamente irriverente, l’artista realizza un equivoco stilistico nel percorso espositivo, prendendo seriamente poco sul serio anche il concetto stesso della mostra in sé.


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10. Fortune hanging by a thread _ 2017 portachiavi con cornetti rossi, catena da bagno con pomello in porcellana decorata 86x3,5x2,5 cm


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Il titolo del lavoro e i suoi componenti lasciano poco spazio a diverse interpretazioni. L’opera è costituita da un banalissimo portachiavi di fattura asiatica, che riprende i codici popolari del folclore napoletano: due cornetti rossi utilizzati come amuleti portafortuna nella tradizione partenopea. Seppur la fattura sia di scarso pregio e la sua realizzazione non abbia nulla a che vedere con l’artigianato locale, tale portachiavi è venduto, al pari degli altri, nella via principale di Napoli. L’oggetto è uno dei tanti risultati speculativi del commercio globalizzato. Il portachiavi è semplicemente unito e fatto dialogare con un cimelio di viaggio dell’artista: una catena dello sciacquone per il bagno, nello specifico da una sequela di anelli in ottone che presenta all’estremità un pomello in porcellana decorato da disegni floreali in stile Ironstone Staffordshire inglese del XIX secolo. Ancora una volta, il riferimento non è affatto un caso, poiché a partire dal 1791, sotto la guida di Charles J. Mason, l’artigianato inglese iniziò a realizzare questa particolare decorazione e a produrre porcellane copiando quelle cinesi, ai tempi molto costose a causa del loro elevato valore e prestigio.


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DIDASCALIA

11. Passivo, Passivo, Passivo _ 2017 legno Obeche e Okoumè, lamina in ottone, profumo Roma Laura Biagiotti 75ml, ovatta da imballaggio, nastro adesivo trasparente, frammento in pietra vicentina da statua (metà ‘900 circa), terra 30x200x100 cm


11.

DESCRIZIONE

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L’opera Passivo Passivo Passivo ha senz’altro un’aura sessuale: enunciata dichiaratamente dal busto nudo - che offre impudente il suo sedere di pietra - e dal profumo Roma di Laura Biagiotti; e concettualmente dalla terra secca - materiale raccolto dall’artista il 30 settembre 2017 a Ramuscello in provincia di Pordenone, precisamente 68 anni dopo dal fatto che condannò Pier Paolo Pasolini di “atti immorali a danno di minori”. Nel ‘49, all’età di ventisette anni, un giovane maestro di scuola, poeta quasi laureato e militante comunista, consumò proprio in quel prato, torbide tenerezze con quattro ragazzini, uno di 15, gli altri di 16. Tutti maschi. Pasolini offrì dei dolci per ricevere carezze. Alla fine diede loro 100 lire e se ne tornò alla festa del paese. Il primo rapporto dei carabinieri reca la data del 15 ottobre 1949; il 28 dello stesso mese, alle 5 del mattino, il poeta partì dalla stazione di Casarsa verso Roma per trasferirsi definitivamente. L’atto sessuale qui sopra citato, era avvenuto il 30 settembre del 1949 e portò la carriera di Pasolini a una dura svolta: fu espulso, infatti, dal Partito Comunista Italiano e licenziato dalla scuola. Dopo tale avvenimento, inoltre, il suo rapporto con l’omosessualità, sia privato che pubblicò, divenne sempre più conflittuale. La vicenda di Ramuscello rivela molto dello strano destino di questo autore, della sua mitizzazione, dell’uso o, come forse sarebbe meglio dire, del consumo della sua figura. La terra, inscatolata fra l’oro dell’ottone, stride: questo materiale naturale, ordinario, elementare, diventa portavoce di un patrimonio concettuale profondo che innesca un collegamento storico diretto ed assolutamente specifico. L’elemento del prato - con il suo fertile terriccio - è e resterà sempre un luogo pasoliniano per eccellenza: spazio aperto all’esperienza amorosa nei romanzi, nei film, nelle vicende della sua vita vissuta. Nella poesia Coccodrillo (1968), Pasolini scrive: Nei salotti non si può fare l’amore, e neanche nei letti. Occorre un prato di periferia, un pezzo di deserto, la steppa, la brughiera insomma tutti i posti dove l’erba è poca, bruciata e calda; i costoni mediterranei, dove crescono piantine selvatiche che la madre non raccoglie, la madre rimasta con le creature più piccole, nei vicoli. Con questo lavoro Ranzolin attiva in qualche modo un’indagine sul costume dell’Italia tra il secondo dopoguerra e l’epoca del boom economico attraverso Pasolini e gli scandali costruiti intorno alla sua vicenda. In lui stesso la tensione politica convive con la pulsione passionale. L’Italia di fronte ai suoi occhi infatti, cambia perché egli percepisce il mutamento


52 dei corpi, sente il loro assoggettarsi a modelli culturali omologanti, coglie attraverso di loro l’alienazione e la mutazione antropologica prodotta dal neocapitalismo. Così si spiega il profumo Roma di Laura Biagiotti, usato dalla madre dell’artista. Mamma e Roma, altra felice coincidenza. Tale profumo è un prodotto industriale che tenta, con la sua fragranza mescolata all’alchool, di diffondere l’olezzo erede dei codici, delle note e delle tradizioni della capitale. Destinato ad un uso superficiale nelle pelle, ad una seduzione epidermica, annulla in qualche modo la peculiare identità della città e dei suoi abitanti. Omologa. L’opera è una struggente dedica al Pasolini uomo e al suo umano desiderio di riconoscimento e affetto. Contro ogni tentativo di normalizzazione o di ridurre la figura dell’intellettuale italiano, Ranzolin si focalizza nel descrivere l’ “equivoco amore” di Pasolini, un aspetto complesso, fonte di profondo dolore e solitudine.


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Non esiste niente di nascosto che non si debba manifestare; e niente accade occultamente, ma perchĂŠ si manifesti.

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Dal Vangelo secondo Marco, 4,22, op. cit. in “La ricotta�, regia Pier Paolo Pasolini, 1963


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