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Alfredo Lorenzi

Introduzione alla psicologia dei comportamenti violenti: descrizione,valutazione e prevenzione

Pubblicazione a cura della CRCV Centro Ricerca e Prevenzione Comportamenti Violenti Lucca.

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Indice

Prefazione 4

Cap. 1 Aggressività e violenza 1.1 1.2 1.3 1.4

Aggressività, violenza e modulazione sociale Basi biologiche dell'aggressività Influenze ambientali e sviluppo del SNC Modelli imitativi: media e aggressività Bibliografia e letture consigliate

Cap. 2

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I percorsi della violenza

2.1 Violenza tra partner 2.1.1 Fattori di rischio 2.1.2 Harassment 2.2 Violenza giovanile 2.2.1 Fattori di rischio 2.2.1 a in infanzia 2.2.1 b in adolescenza 2.2.2 Fattori protettivi 2.2.3 Bullyng 2.3 Tre situazioni problematiche coinvolgenti bambini 2.4 Adolescenti e gruppi a rischio 2.5 Considerazioni critiche sulla violenza giovanile Bibliografia

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40 41 43 45 47

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Cap. 3 Sex offenders e diagnosi di abuso 3.1 Introduzione 3.2 Parafilie 3.2.1 Pedofilia 3.3 Abuso e molestie sessuali 3.4 Valutazione dell'abuso sessuale intrafamiliare 3.5 Interventi sui sex offenders 3.6 Conseguenze della violenza e abuso sulla donna 3.7 Diagnosi di abuso sessuale sui bambini 3.8 La personalitĂ psicopatica Bibliografia

Cap. 4 4.1 4.2 4.3 4.3.1 4.3.2 4.3.3 4.3.4 4.3.5 4.3.6 4.4 4.5 4.6 4.7 4.7.1 4.7.2 4.7.3

53 54 56 59 63 64 66 68 71

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Interventi di prevenzione Introduzione Criteri generali Parent-family based strategy Parent-child interaction training program Multisystemic therapy program Functional family therapy Nurturing parenting program Adolescent transition program Confidential parenting Home visiting intervention Sistema emozionale e controllo degli stati emotivi Lo sviluppo della competenza emotiva Tre esempi di programma di intervento Intervento a livello scolastico su soggetti adolescenti Prevenzione della violenza sessuale in contesti extrascolastici Intervento sulla violenza domestica Bibliografia

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Appendice

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Prefazione

L'idea di scrivere questo libro è derivata dalla constatazione di quanto diverso è il panorama delle conoscenze e strategie d'intervento tra USA e Italia in merito alle tematiche di violenza nella vita quotidiana. Nelle città e nelle scuole americane si assiste a un progressivo incremento di programmi indirizzati alle famigli e soggetti a rischio, impiegando metodiche che, pur in assenza di dati definitivi, si stanno rivelando sempre più efficaci nel prevenire i comportamenti violenti. Il volume è suddiviso in quattro capitoli: nel primo sono esposte le teorie e le conoscenze più ampie sulla natura del fenomeno e le sue basi biologiche e sociali; il secondo e il terzo sono dedicati agli specifici contesti di violenza mentre il quarto illustra le principali strategie di intervento e le basi teoriche e metodologiche su cui si centrano. Proprio questo capitolo rappresenta una novità per il panorama professionale italiano, con l'auspicio di stimolarne l'interesse e promuovere istanze di aggiornamento. Scritto in uno stile sintetico, il libro vuole essere una introduzione aggiornata e rigorosa all'argomento rivolta agli operatori socio-sanitari, scolastici, studenti di psicologia e scienze della formazione e a tutti coloro che sono interessati ad una panoramica sulle tematiche di violenza o ad aspetti più specifici. Distribuito inizialmente in forma di appunti monotematici ai corsi di aggiornamento del personale sanitario, il volume racchiude una panoramica critica degli studi e ricerche più convalidate nel corso degli anni, escludendo linee teoriche e metodologiche rivelatesi incongrue e inefficaci, che purtroppo continuano a influenzare il campo di studio e di intervento. Sono stati ignorati i dati statistici italiani perché poco significativi e piuttosto nebulosi e poco tracciabili e trasparenti, una scelta purtroppo obbligata per un'esposizione rigorosa, per quanto breve e sintetica.

L'autore, laureato in scienze sociali, scienze biologiche e psicologia, si è occupato di ricerca di neuroscienze dello sviluppo e in questo ambito, ha cominciato a interessarsi ai soggetti adolescenti con aggressività espressa, anche in forma violenta e alle metodiche di prevenzione ambientale e comportamentale. Tiene corsi sulla prevenzione dela violenza e sulla competenza emotiva.

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Capitolo 1. Aggressività e violenza

1.1 Aggressività, violenza e modulazione sociale.

In ambito etologico, la teoria dell’aggressività intraspecifica di Konrad Lorenz, basata su metodologia osservativa attuata in contesti naturali, fa perno sul concetto di istinto e su componenti motorie che esprimono le diverse pulsioni che trovano espressioni nel comportamento. Il termine pulsione, in tedesco, è impiegato per denotare uno stato interno all’organismo e Lorenz lo impiega per denotare la componente energetica dell’istinto, che definisce: organizzazione neurofisiologica che si traduce in una serie di moduli comportamentali complessi. Una definizione priva di elementi vitalistici, cioè mistici e immateriali che al contrario avevano connotato le precedenti. Anche il concetto di energia è tipicamente neurofisiologico, riferendosi a una serie di condizioni e stati di eccitazione del SNC. Lorenz individua quattro grandi pulsioni: fame, sesso, aggressività e fuga, selezionate nel corso dell’evoluzione e alla base di corrispondenti funzioni fisiologiche, risultato di più pulsioni parziali, cioè di più di una pulsione che, agendo simultaneamente, determinano il comportamento motivato. L’analisi di motivazione è la metodica utilizzata da Lorenz per spiegare il comportamento e si articola in tre fasi: conoscere il contenuto degli stimoli, scomposizione del comportamento in moduli motori distinti e quindi analisi dei singoli moduli. Per attribuire un significato funzionale al comportamento, Lorenz segue un percorso interpretativo che collega l’analisi dei movimenti agli antecedenti e ai conseguenti; partendo da un contesto si considerano le relazioni che si stanno costituendo fra gli individui e l’ambiente, si analizzano le espressioni e i moduli istintivi di movimento e si mettono in relazione con le condizioni di arrivo . L’analisi di motivazione rappresenta una metodica che fonda anche la base etologica per l’osservazione del comportamento umano in contesti naturali, sul presupposto che ciascun individuo agisce sulla spinta di pulsioni variamente combinate, purché si comprendano le derivate delle pulsioni di base. Ad esempio la fame, non si riduce al semplice procacciamento di cibo ma ricomprende l’accumulo di ricchezza e tutto quello che si frappone con questi obiettivi; il sesso non riguarda solo la riproduzione ma combinandosi con altre componenti pulsionali e incontrando i fattori culturali, assume significati e valori complessi e sfaccettati; si pensi al valore della verginità o all’uso mercenario della funzione sessuale, solo per fare due esempi banali. L’aggressività 5


intraspecifica considerata da Lorenz, assolve dunque una funzione utile alla sopravvivenza, permettendo una migliore fitness individuale. L'aspetto critico dell'esposizione di Lorenz consiste nel tentativo di spiegare l'aggressività e la distruttività umana con la perdita dei meccanismi inibitori comunemente osservati in natura, presupponendo un abbassamento della soglia di innesco in relazioni a condizioni ambientali costrittive. Freud postulava l'esistenza di una pulsione primitiva originata dall'Es, denominata libido, oggetto di investimento psichico sotto forma di narcisismo e proiettata su oggetti, come libido oggettuale; solo in seguito l'autore ha descritto ulteriori componenti pulsionali autonome collocate nell'Io, in particolare la pulsione aggressiva. La libido, con la sua componente aggressiva, originandosi dall'Es è primitiva e al servizio del processo primario mentre quella in partenza dall'Io è al servizio del controllo della realtà e dell'omeostasi. Nel saggio “ Aldilà del principio di piacere “ del 1920, l' Autore arriva a delineare due grandi motori istintuali contrapposti; da una parte la libido e le pulsioni di vita, dall'altra la pulsione di morte, descritta come tendenza alla totale assenza di tensioni, di cui l'aggressività era la componente diretta all'esterno. Proprio la considerazione delle pulsioni di morte è alla base della teoria di Melanie Klein, che a partire dalle prime relazioni oggettuali postula l'esistenza di un meccanismo complesso, identificazione proiettiva, per mezzo del quale il neonato identifica il seno come oggetto che nutre e bersaglio del suo investimento pulsionale e come oggetto su cui proiettare le istanze aggressive e distruttive, derivanti dall'assenza di un Sé coeso, identificando nella madre un oggetto in grado di contenere queste spinte. Alla base della teoria, in sintonia con Freud e con Abraham è la concezione di una istanza aggressiva originaria, scaturente dall'istinto di morte. Altri autori, in particolare Kernberg e Kohut, si sono distanziati dalla concezione dell'istinto di morte, teorizzando una risposta aggressiva non dipendente da un istinto primitivo biologicamente determinato. La psicologia del comportamento non ammette componenti istintuali, per cui il comportamento è il risultato di un apprendimento derivante dall’interazione dell’individuo con gli stimoli ambientali. Gli psicologi del comportamento si sono interessati all’aggressività con il saggio del 1939 di Dollard e collaboratori “ Frustration and Aggressivity ”, in cui si sosteneva che l’aggressività era da porre in relazione con la frustrazione delle aspettative individuali e sociali. Le recenti sommosse nelle banlieues parigine possono essere interpretate, alla luce di questa teoria, come una reazione a condizioni di vita che non corrispondono alle aspettative dei ribelli, giovani nati in Francia, che hanno frequentato le scuole e non hanno accesso a posizioni sociali ed economiche corrispondenti a quelle dei loro coetanei, non potendo accedere a lavori ambiti e a tutto quello che ne consegue, come la possibilità di essere attraenti per coetanee di livello sociale superiore. Se questa teoria può spiegare l’aggressività e gli scoppi di violenza all’interno delle grandi città, dove disparità di condizioni di vita sono particolarmente eclatanti, non spiega l’aggressività individuale. Lo stesso Lorenz, nel suo saggio del 1964, “ Zur naturgeschichte der Aggression “, accenna all’insuccesso della pratica di allevare i bambini in assenza di frustrazione, rilevandone le conseguenze negative sul loro stato di salute mentale e constatando che da adulti, non erano affatto meno aggressivi degli altri. La teoria dell’aggressività formulata da Bandura e collaboratori, collega nel bambino l’osservazione del comportamento aggressivo e violento di un modello alle conseguenze che si producono: se il modello è stato premiato il bambino lo imiterà, se invece consegue effetti negativi il bambino non tenderà a conformare il suo comportamento a quello del modello. L’aggressività sarebbe dunque una opzione culturale, un comportamento da imitare a seconda 6


degli effetti che ricadono sul modello: un giovane manager di successo, aggressivo e spregiudicato, stimolerebbe altri individui a imitarlo, come i personaggi di un fumetto o di un film, premiati per le loro mascalzonate, diverrebbero modelli per i bambini. Un terzo approccio all’aggressività è quello derivante dalla psicologia evoluzionistica, che si richiama alla teoria dell'evoluzione, etologia, psicologia cognitiva e sociobiologia. Riconoscendo l’importanza dell’adattamento all’ambiente, i comportamenti sono riferiti a differenti piani evolutivi, quali la fitness ambientale, il successo riproduttivo, sia come specie che come individuo e la capacità di sopravvivenza. Appare subito chiara la differenza con gli altri approcci psicologici: qui si riconosce che l’organismo è dotato di un SNC capace di esprimere comportamenti istintivi, non diversamente dalle altre specie di primati non umani, pur non disconoscendo l’enorme peso dei fattori culturali e ambientali. Nell'ambito della psicologia evoluzionistica alcuni autori, tra i quali Cosmides e Tooby, attribuiscono un notevole peso alla teoria di Dowkins, nota come “ teoria del gene egoista '' (selfish gene). Si può definire altruista, in base a questa teoria, un comportamento che riduce la possibilità di riprodurre i propri geni a vantaggio dei geni altrui e non si deve confondere il comportamento altruista con quello prosociale, che non implica la riduzione di possibilità di sopravvivenza: cedere cibo ad altri quando se ne ha in eccesso è del tutto diverso dal cederlo quando se ne dispone in quantità appena sufficiente per sé. Dovrebbe essere sufficientemente chiaro, che il concetto di successo riproduttivo implica una dose elevata di comportamenti prosociali e altruisti, almeno quel tanto che basta a permettere alla prole di sopravvivere ma anche una notevole dose di egoismo, almeno quel tanto che basta a bilanciare il numero di geni condivisi, per cui i comportamenti altruisti sono meno probabili quanto minore è il numero di geni condiviso. I comportamenti egoisti non sono direttamente correlati con quelli di lotta e aggressività, infatti essere più o meno egoista non implica una corrispondente dose di maggiore o minore aggressività, che dipende invece dal contesto ambientale e dalle motivazioni degli attori. Le popolazioni primitive e gli animali sociali, hanno rappresentato un modello semplificato di indagine dei comportamenti di leadership e competizione; tra i primati non umani, le due specie più indagate sono gli scimpanzé e i bonobo, che differiscono più per gli aspetti comportamentali e sociali che per le caratteristiche fisiche. Gli scimpanzé sono organizzati in clan e ordini gerarchici e sono caratterizzati da manifestazioni aggressive di notevole intensità; i bonobo invece sono organizzati secondo un modello matriarcale in cui le femmine, non necessariamente le più giovani, sono in grado di influenzare e regolare l’aggressività e la competizione dei maschi attraverso una strategia concertata in cui il sesso è alla base delle relazioni generalmente più pacifiche di questa specie, nella quale non sono stati osservati casi di infanticidio e imboscate tra gruppi confinanti, né alti tassi di omicidio come invece rilevati negli scimpanzé. Dal momento che le due specie occupano ambienti simili, le differenze in relazione all’espressione dell’aggressività vanno ricercate nelle diverse modalità di organizzazione sociale. Nei bonobo il ruolo giocato delle femmine attraverso la loro continua disponibilità sessuale è essenziale nel ridurre i possibili focolai di violenza mentre negli scimpanzé i conflitti esplodono frequentemente in aggressività e violenza. Nelle nostre società tecnologiche non si considera l’aggressività un male in sé purché espressa nelle forme convenzionalmente accettate dalla maggioranza dei suoi membri. Ricoprire particolari posizioni sociali è collegato alla probabilità di successo riproduttivo sia tra gli scimpanzé, sia nei popoli primitivi che nelle società occidentali; nelle diverse culture si 7


associa l’espressione e controllo dell’aggressività alla sopravvivenza e riproduzione, mentre solo nei Bonobo, l’attività sessuale ha luogo in modo assai svincolato dalla riproduzione, assumendo caratteristiche comparabili a quelle delle nostre società occidentali. Nell’uomo l’aggressività è certamente espressa in modi più variegati e complessi tuttavia i meccanismi fondamentali non sono molto differenti, con alla base bisogni di affermazione, potere e controllo. Occorre però sottolineare che nella competizione umana sono presenti aspettative e relazioni ai valori che la differenziano da tutte le altre specie, in particolare per quanto riguarda il concetto di equità, che sottende la ragionevole fiducia che la competizione avrà luogo su un piano di parità e sarà vinta da colui che si rivelerà più idoneo: in sostanza che gli esiti della competizione rispecchino il principio che ciascuno abbia il suo, secondo i suoi meriti. La percezione che la competizione non sia avvenuta secondo criteri equi apre la strada ai soliti meccanismi compensatori, rivalsa sui subordinati e sui terzi, aggressività covata a lungo con progetti di rivincita, violenza e malattia.

1.2 Basi biologiche dell'aggressività

Nell'ambito delle neuroscienze comunemente l'aggressività è definita come la manifestazione di comportamenti offensivi, attivati da inneschi ambientali e finalizzati alla sopravvivenza. Gli inneschi sono stati selezionati durante l'evoluzione e sono relativi ai comportamenti di fitness ambientale, quali ricerca di cibo, sesso e difesa dai nemici ma ci sono anche inneschi appresi nel corso dell'esistenza, i quali rappresentano una linea differenziale tra individui in relazione alla fitness all'ambiente. Ad esempio, il topolino allevato in isolamento, una volta adulto e posto di fronte a un suo predatore naturale, si immobilizza completamente, compreso i bulbi oculari, una sorta di paralisi innescata da stimoli naturali; se il gatto mostrerà comportamenti di predazione e il topolino non ha vie di fuga, attiverà una seconda risposta istintiva per quanto paradossale, si ergerà sulle zampe posteriori, emetterà uno squittio molto acuto balzando all'attacco del predatore cercando di morderlo. Mac Lean negli anni '60 ha suggerito un modello funzionale del Sistema Nervoso Centrale (SNC), relativo al suo sviluppo filogenetico e funzionale. La sua teoria ipotizza che il nostro cervello si compone dei cervelli dei nostri progenitori e ne rappresenta l'evoluzione, così identifica un cervello primitivo o rettiliano, che corrisponde al midollo spinale e alla porzione inferiore del tronco encefalico, preposto al controllo delle reazioni autonomiche e istintive; un secondo cervello, paleocervello, comprende le strutture sottocorticali, particolarmente il lobo limbico e l'ipotalamo, responsabile degli stati emozionali, aggressività e sesso. Infine il terzo 8


cervello o neocorteccia coincide appunto con le aree corticali dei mammiferi e determina i comportamenti e le funzioni più evolute. Lo studio anatomo-funzionale del cervello lo divide classicamente in tre tronconi, romboencefalo mesencefalo e proencefalo che non coincidono perfettamente con il modello di Mac Lean; il proencefalo praticamente comprende il diencefalo, l'ipotalamo, lobo limbico e neocorteccia. Esplorare le basi neurali dell'aggressività rimanda alla ricerca dei circuiti emozionali, che si è visto condividono stesse strutture anatomiche ed evolutive; in questo parafrafo si accennerà in forma sintetica alle conoscenze più significative. Possiamo distingure funzionalmente il cervello in aree che si occupano di due modalità distinte di comportamenti (Le Doux, 1986): -comportamento emotivo, comprende le reazioni di lotta e fuga, ricerca di cibo, sessualità e relazioni sociali, mediato da porzioni del proencefalo prevalentemente di tipo limbico; -comportamento cognitivo, comprende le funzioni più complesse, pensiero, linguaggio, ragionamento e immaginazione, mediato dalla corteccia al di sopra del lobo limbico. Il comportamento emotivo deriva da unità funzionali distinte che mediano emozioni specifiche, partendo da inneschi naturali che sono trasferiti a una unità di valutazione che è in grado di apprendere dall'esperienza, disponendo della possibilità di formare ricordi di configurazioni – stimolo; in questo modo, con il tempo, l'individuo associa reazioni emozionali tipiche anche per inneschi appresi. Le risposte consistono in moduli comportamentali primitivi, specifici in relazione alla valutazione degli inneschi e selezionate dall'evoluzione per la sopravvivenza. l moduli del comportamento emotivo si sono formati prima di quelli cognitivi e quando parliamo di valutazione di uno stimolo, è bene avere presente che questa funzione non include un livello di consapevolezza perché in questa fase l'analisi e la valutazione cosciente non solo non sono utili ma farebbero perdere tempo prezioso che potrebbe costare la vita. Dunque la risposta si produce in modo autonomo ma successivamente lo stimolo viene trasferito alle aree di analisi corticali dove si ha anche consapevolezza. Un esempio: siamo in penombra e camminiamo, quando all'improvviso sentiamo che qualcosa si sta muovendo sotto il nostro piede e ci solletica la caviglia, improvvisamente trasaliamo e senza accorgercene alziamo la gamba impauriti, per scoprire che si tratta di un innocuo ramoscello. Il cervello emozionale si occupa prevalentemente di stabilire una detection e approntare una risposta, delegando alle porzioni corticali soprastanti la regolazione dei circuiti emozionali, coinvolgendo la corteccia prefrontale. Questa corteccia evolutivamente più recente, tra i mammiferi è posseduta solo dall'uomo, è suddivisa in aree, tra le quali quella che più interessa la regolazione delle emozioni e dell'aggressività è la corteccia orbitofrontale (OFC). Semplificando, le aree implicate nel circuito di regolazione delle emozioni sono: la OFC, amigdala, (si tenga presente che è una formazione bilaterale, praticamente sono due) corteccia cingolata anteriore (ACC), ippocampo, corteccia insulare, ipotalamo, striato ventrale e le loro strutture di connessioni.I principali studi sono stati effettuati su roditori, scimmie e uomo, sia su vivente che su cadavere con risultati che ancora non ci permettono di disvelare tutti i complessi meccanismi di regolazione fine dei circuiti coinvolti ma che tuttavia ci forniscono una base di dati scientificamente validata. Il punto cruciale del sistema sembra essere l'amigdala, una struttura a forma di mandorla collocata in posizione intermedia tra proencefalo e cervello primitivo, la quale ha rivelato la sua attività nella detection delle espressioni facciali di emozioni negative, quali paura, rabbia e 9


disgusto. Le evidenze sono molto esplicite: pazienti con lesione bilaterale del nucleo laterale dell'amigdala e solo di quello, mostrano difficoltà o incapacità nel riconoscere le espressioni facciali di paura. Non solo, l'incremento di scarica di questo nucleo in corrispondenza della percezione di immagini rappresentanti volti che esprimono paura o rabbia, si associa ad un innalzamento della frequenza di scarica delle aree corrispondenti a OFC e ACC. Il significato di questo incremento è stato posto in relazone con la regolazione dei circuiti dell'espressione delle manifestazioni di rabbia e paura. E' probabile che la ragione di un comportamento riflessivo sia dovuto all'incremento di scarica di queste due aree che retroagisce sulla stessa amigdala, inibendola. Individui caratterizzati da comportamenti particolarmente aggressivi e violenti, con impulsività rabbiosa sembrano essere deficitari proprio in questi circuiti, che non incrementano la scarica alla percezione dello stimolo, esercitando un effetto di “raffreddamento emozionale” come è stato coloritamente denominato. L'analisi di esami di neuroimaging che mostrano scarsa attività di queste due aree alla presentazione di stimoli innesco, ci permette di individuare strumentalmente e preventivamente i soggetti che manifesteranno comportamenti caratterizzati da una particolare forma di aggressività, connotata da impulsività ed esplosività non finalizzata. Non solo, anche la vulnerabilità alle aggressioni è stata correlata al malfunzionamento di queste due aree, con incapacità di “ribaltare” lo stato emozionale negativo in uno neutro. Inoltre una sensibile perdita di massa in queste aree è associata in circa il 60% dei soggetti violenti. Soggetti uccisi dopo scontri violenti e indagati alla neuroimaging, hanno quasi sempre mostrato anomalie nelle aree OFC e AAC, che essendo sottoperformanti si associano a perdita di volume neurale per deconnessione sinaptica. Viceversa soggetti individuati alla neuroimaging come probabili candidati ad emettere comportamenti violenti sono stati puntualmente confermati essere quelli che erano stati condannati per stupro e omicidio violento. Ci sono anche altri predittori di comportamenti di violenza, rabbia e suicidio realizzato con modalità cruente che fanno perno sul neurotrasmettitore serotonina, propriamente 5-idrossitriptamina (5HT), un'amina biologica con l'aminoacido triptofano idrossilata in posizione 5. Questa molecola è sintetizzata a livello dei pirenofori e trasferita tramite flusso assonale all'estremità dell'assone, che la libera nella fessura sinaptica. Possono esserci varie anomalie in questa fase: la sintesi è anomala per polimorfismo del gene che la codifica; il flusso assonale è difettoso per anomalie delle proteine del citoscheletro; il sito di rilascio non è dotato di enzimi efficaci per la sua liberazione in tempi sincroni; la ricaptazione presinaptica della molecola è poco efficiente; infine la proteina di trasporto plasmatico è anomala. Poi ci sono tutti i problemi che coinvolgono il livello post sinaptico e recettoriale che qui non elencheremo, limitando la descrizione dei punti problemtici che coinvolgono un solo neurotrasmettitore solo per rendere il livello di complessità biologico del funzionamento neurale. Il SNC contiene un canale ripieno di liquido, che si prolunga nel midollo spinale e lo avvolge, mantenendo il cervello in sospensione e proteggendolo da urti e traumi, in cui sono rintracciabili diversi metaboliti prodotto dell'attività metabolica dei neuroni. Uno dei metaboliti della 5-HT è l'acido 5-idrossi indolacetico (5-HIAA), la cui quantità si è visto correlare con la quantità di 5-HT a livello presinaptico (che non significa che coincide con la quantità liberata nella fessura). Il livello di 5-HIAA si è rivelato un buon predittore nell'individuare i ragazzi a rischio di violenza e suicidio violento e di adulti che andranno soggetti a recidive per azioni violente. Un'altra sostanza che ha mostrato correlare con i livelli di aggressività dei soggetti, costituendo un ulteriore indice per quanto sempre basata sui livelli di 5-HT è la fenfluramina, una sostanza agonista postsinaptico della 5-HT che quando viene somministrata a soggetti 10


normali determina un corrispondente innalzamento dei livelli di prolattina, fornendo un indice dei livelli di 5-HT del cervello. Coerentemente, i soggetti inclini all'impulsività e violenza presentano una risposta molto bassa nei livelli di prolattina quando viene somministrata una dose di fenfuramina, mentre i soggetti normali, di controllo hanno un netto innalzamento dei livelli di prolattina. Le indagini sui fluidi non hanno rivelato un'accuratezza predittiva sovrapponibile a quella della neuroimaging, anche per il livello di complessità dei percorsi serotoninergici e delle loro anomalie, come accennato sopra. E' possibile che bassi livelli di 5-HIAA correlino con altre caratteristiche quali tendenze a depressione dell'umore o più frequentemente a ciclicità alterata della regolazione timica e soprattutto segnalino la presenza di disturbi dell'area ossessiva e compulsiva, che sembrano legati al ruolo dell'amigdala, che è prevalentemente dopaminergica e a anomalie della proteina di trasporto della serotonina, che veicola la conduzione dei segnali dall'amigdala verso i centri deputati alla loro elaborazione nella corteccia prefrontale. Tuttavia è certo che i soggetti affetti da disturbi compulsivi mostrano caratteristiche di eccessiva attivazione di aree prefrontali mediali e laterali, esattamente l'opposto dei violenti. Un ultimo parametro predittivo di aggressività coinvolge l'enzima che idrolizza il triptofano permettendone la sua utilizzazione nella composizione della serotonina. Questo enzima, triptofano hidrossilasi (TPH) nei soggetti normali è codificato da un gene in forma L mentre nei violenti si osservano forme pleimorfiche alternative di tipo U. Il gene è denominato TPH A218C e la forma LL, cioè con alleli L è presente ngli individui normali, mentre quelle con solo allele L o con allele U oppure forma omozigote UU ha rivelato caratterizzare gli individui aggressivi e violenti. A livello postsinaptico, i recettori per la 5-HT sono densamente distribuiti a livello PFC e ACC, particolarmente i recettori serotoninici di tipo 2. Nei soggetti normali, la somministrazione di fenfuramina determina un incremento dell'assorbimento di glucosio a livello delle aree prefrontali, particolarmente la ventro mediale e limbiche implicate con l'attività dell'amigdala mentre nei soggetti violenti l'iniezione di fenfuramina non ha rivelato alla PET alcun incremento significativo di attività nelle aree corrispondenti. Il significato di questa differenza è ancora allo studio ma si può asserire che i violenti sono caratterizzati da anomalie nelle aree prefrontali e limbiche, dove la 5-HT svolge ruolo di mediatore fondamentale nella conduzione degli impulsi. Anche anomalie del lobo temporale sono implicate; particolari forme epilettiche che coinvolgono il sistema limbico di cui è parte, possono esitare in comportamenti caratterizzati da esplosioni di violenza scaricata su oggetti e persone, improvvisi, immotivati e non legati allo stato relazionale e ambientale che li precedono. Il cambiamento della tonalità affettiva è repentino, in concomitanza con la crisi epilettica delle strutture profonde, con durata compresa tra i due e i dieci minuti, seguita da rilasciamento muscolare, cui segue un periodo di disorientamento cognitivo, con derealizzazione e depersonalizzazione, di durata variabile tra dieci minuti e alcune ore, concludendosi con il recupero dello stato di equilibrio.

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1.3 Influenze ambientali e sviluppo del SNC

Il cervello dei primati non umani e soprattutto quello dell'uomo, è sottoposto ad un considerevole modellamento postnatale che si protrae fino alla piena maturità sessuale e anche successivamente, fino al termine della seconda decade di vita. Il ruolo dell'ambiente, in questa fase è fondamentale nel modulare le connessioni neurali che si realizzano tra le aree cerebrali, in relazione ad una scanzione temporale predeterminata. Un periodo critico, o sensibile, è una delimitata parte della vita di un organismo, in cui vengono stabilite e consolidate specifiche connessioni assonali, che divengono solitamente irreversibili e in cui il ruolo giocato dagli stimoli e dalla loro successione nel tempo è fondamentale; si parla anche di connessioni guidate dall'esperienza, a significare che gli stimoli ambientali si susseguono secondo una scanzione temporale precisa, fornendo l'innesco per la guida dell'accrescimento assonale verso le aree attivate dagli stimoli. In definitiva, un periodo critico di sviluppo è un particolare aspetto della plasticità neuronale, in cui fattori genetici e comportamentali si combinano durante tappe temporalmente definite, determinando una tipica connessione dei sistemi neurali coinvolti, che risultano calibrati, cioè connessi e regolati funzionalmente in una modalità tipica (Lorenzi, 1997). I periodi critici sono interdipendenti, nel senso che le calibrazioni in un circuito preparano la successiva tappa che interesserà altri circuiti e vie nervose, secondo un modello a cascata. Pertanto il deficit di regolazione non tende a generalizzarsi oltre un certo limite, dal momento che le connessioni sembrano seguire un andamento modulare, interessando aree cerebrali che veicolano funzioni specializzate. Riferendoci al ruolo degli stimoli ambientali, si deve porre attenzione alle loro caratteristiche, cioè qualità e intensità, tempo di inizio, durata e cessazione: in questo senso, gli stimoli sono giudicati adeguati quando rispettano i parametri selezionati nel corso dell'evoluzione della specie. Konrad Lorenz ha introdotto il concetto di periodo critico nell'ambito dello studio del comportamento, riferendolo alle osservazioni sui piccoli di oca selvatica che avevano mostrato come, in un ristretto arco di tempo susseguente alla schiusa delle uova, i pulcini sviluppano preferenze per un individuo cui sono esposti, attivando comportamenti di seguitazione. Gli etologi che dopo Lorenz si sono interessati ai fenomeni di imprinting e gli psicologi dello sviluppo, hanno concordemente rilevato che tale periodo non era così rigido come descritto da Lorenz; hanno pertanto proposto il termine più elastico di << periodo sensibile>> e di << finestra di opportunità>>, per indicare un arco temporale piuttosto ampio, in cui le esperienze possono comunque aver luogo. Dal momento che in letteratura si è continuato ad usare il termine originale, in questo lavoro si impiegherà il termine periodo critico (p.c.) riferendolo al significato di periodo sensibile. Lo studio del canto degli uccelli è stato per decenni al centro delle ricerche etologiche e neurobiologiche e seppure con le ovvie difficoltà di comparazione con il linguaggio dell'uomo, 12


ha fornito una serie di indicazioni sui p.c. relativi allo sviluppo del linguaggio e altre funzioni complesse. Una delle acquisizioni che ha dimostrato un grado notevole di generalizzazione in tutte le specie indagate tramite l'osservazione o sperimentalmente riguarda la possibilità di prolungare il p.c. quando le normali esperienze non hanno avuto luogo nei tempi previsti dall'evoluzione o quando hanno avuto luogo in modo alterato rispetto agli stimoli tipici della specie e dell'ambiente di sviluppo. Pertanto sono possibili due modalità di alterare i ritmi di sviluppo di un individuo: alterando la sequenza temporale in cui gli stimoli sono presentati, che può realizzarsi in modi diversi: ad esempio gli stimoli sono anticipati o posticipati oppure sono presentati per un periodo di tempo troppo breve o lungo gli stimoli sono presenti ma sono alterati qualitativamente o quantitativamente, ad esempio sono troppo deboli o al contrario troppo intensi o nell'insieme sono scoordinati e non raggiungono una raffigurazione strutturante E' stato rilevato che in queste situazioni, le esperienze tardivamente sperimentate hanno permesso il recupero della funzione deficitaria ma solo parzialmente e con permanenza di problemi comportamentali, inoltre è stato constatato che le esperienze tardive avevano maggiore efficacia quando erano realizzate mediante una continua ripetizione degli stimoli o con una stimolazione più intensa o con entrambe le modalità. In questo lavoro si considererà la possibilità dell'esistenza di un p.c. per l'attaccamento e le sue implicazioni quando è disturbato da condizioni ambientali sfavorevoli. L'importanza della relazione madre-bambino è stata rimarcata da sigmund Freud (1940) come << unica e inalterabile nel tempo, come primo e più forte oggetto d'amore e prototipo delle successive relazioni d'amore>>. Ainsworth (1973), definisce l'attaccamento << sviluppo di una relazione affettiva tra bambino e uno specifico caregiver che dura nei diversi contesti spaziali e temporali>>. I neonati normalmente sviluppano una relazione affettiva con i loro caregivers tra 6 e 12 mesi, in coincidenza con la capacitazione di generare aspettative riguardo il comportamento altrui (Lamb e Malkin, 1986). L'attaccamento secondo le osservazioni di Ainsworth (1967 e 1978), ha un significato anche qualitativo, potendo consistere di una forma sicura e una insicura. La forma sicura corrisponde alle caratteristiche relazionali del caregiver, quali la capacità di rispondere ai segnali del neonato in modo caldo e tempestivo; è una capacità che non necessità di essere appresa perché è stata selezionata dall'evoluzione ma alcune madri possono essere deficitarie a causa di disturbi e alterazione del rapporto madre-bambino durante la loro stessa crescita. L'evoluzione ha predisposto aree cerebrali deputate al riconoscimento delle espressioni delle emozioni del volto e a rispondere ad esse e ci sono evidenze che le donne dispongono di funzioni ulteriormente deputate a rispondere ai segnali dei neonati: l'attaccamento non coincide con il semplice contatto fisico, calore e vicinanza ma implica uno scambio di stimoli e risposte che coinvolgono aree cerebrali specificamente deputate che si attivano durante il corso di interazioni emozionali coinvolgenti e profonde, diverse da quelle che generano solo attrazione fisica e sessuale. La qualità dell'attaccamento influisce su molti aspetti dello sviluppo psicologico: sulla modalità di proiettarsi verso il mondo ed esplorare l'ambiente, il concetto di sé, la regolazione emozionale e la capacità relazionale. per regolazione emozionale, come funzione dell'attaccamento si fa riferimento alla capacità del caregiver di ridurre gli stati d'ansia e di paura che il neonato esperisce durante situazioni 13


nuove o in corso di rapido cambiamento e la sollecitazione a esplorare l'ambiente favorendo sentimenti di sicurezza, condizione che Bowlby definisce << esplorazione da una base sicura>>. la promozione del senso di autoefficacia è l'altra importante funzione dell'attaccamento e si realizza tramite la capacità del caregiver di rispondere in modo tempestivo e caloroso ai segnali del bambino, ai suoi bisogni e alle sue intenzioni. Se queste risposte sono correttamente emesse, il bambino rafforzerà il suo senso di autoefficacia e competenza emotiva e sarà in grado di padroneggiare le condizioni avverse e tollerare la frustrazione. Lo sviluppo di capacità relazionali e sociali prende l'impronta delle qualità dell'interazione con il caregiver, nel senso che il bambino tenderà a stabilire relazioni esportando il modello relazionale con il suo caregiver. In condizioni normali, cioè quando si sono realizzate le tre condizioni necessarie per un corretto sviluppo dell'attaccamento, relazione regolare e costante reciprocità delle interazioni capacità del caregiver di amministrare l'ansia del bambino entro la fine del primo anno di vita si osserva lo stabilirsi di un forte attaccamento qualitativamente sicuro ma non sempre le cose vanno per il verso giusto, principalmente quando un neonato nasce in un ambiente povero, in cui è probabile che si associno altre condizioni sfavorevoli per la possibilità di un attaccamento sicuro. Un interrogativo che ha impegnato i ricercatori era capire se la qualità dell'attaccamento era stabile nel tempo o se poteva trasformarsi. Teti et al: (1996), hanno rilevato in uno studio su un piccolo campione di bambini, che l'attaccamento sicuro dei primogeniti in età prescolare può diventare insicuro quando intervengono situazioni che alterano la relazione madre-bambino, in particolare quando la madre è soggetta a stati depressivi e ansiosi e per la nascita di un fratellino. Lo stato depressivo si è rivelato il più influente e frequente tra le condizioni correlate al cambiamento mentre il cattivo andamento della relazione coniugale ha mostrato scarsa influenza quando un solido attaccamento sicuro si era stabilito. Quando un neonato non ha possibilità di sviluppare un iniziale attaccamento e cresce in condizioni di deprivazione affettiva è comunque in grado di svilupparlo in una fase successiva ma la sua qualità, in questi casi, dipende da una serie di fattori. Lo studio longitudinale di Chisholm (1995 e 1998) su bambini rumeni allevati in orfanatrofi in condizioni di notevole deprivazione affettiva e successivamente adottati da famiglie canadesi, ha contribuito a chiarire una serie di quesiti in merito alle conseguenze di un mancato attaccamento iniziale. I bambini adottati antro i tre mesi e comunque prima dei quattro mesi di età, ai controlli effettuati a due anni e tre anni avevano sviluppato tutti un attaccamento sicuro con i loro genitori adottivi, quasi tutti appartenenti al ceto medio o medio-alto, buona istruzione ed elevata motivazione all'adozione di un bambino. I bambini adottati all'età di un anno o più, per circa un terzo hanno sviluppato attaccamento sicuro mentre i rimanenti due terzi hanno mostrato attaccamento insicuro e circa la metà mostravano relazioni disorganizzate e comportamenti bizzarri. Dunque, quando si verificano condizioni avverse l'attaccamento si realizza comunque ma 14


richiede uno sforzo ulteriore e si producono delle conseguenze negative <<sotto forma di deficit nella regolazione emozionale e capacità di formare relazioni con i coetanei improntate a un reciproco orientamento positivo>> (Maccaby, 1983). La qualità dell'attaccamento in ogni modo, non è l'unica variabile che influisce sullo sviluppo socio-affettivo, su tratti e disposizioni di personalità e sull'emergenza di problemi in infanzia: alcune funzioni, come la percezione di sé, richiedono il possesso di processi mentali che si sviluppano dopo che il primo fondamentale attaccamento ha avuto luogo (Sroufe et al., 1999) e in definitiva, sembra più probabile che esso possa costituire un modello, un prototipo per le relazioni strette dei primi anni di vita ma non necessariamente per tutte le relazioni future. I p. c., sono anche definiti << plasticità dipendente dall'esperienza >>, a significare che l'esperienza precoce nel corso di un delimitato arco temporale, denominato << finestra temporale di opportunità >> , guida il rimaneggiamento delle connessioni sinaptiche delle cellule cerebrali in modo particolarmente sensibile proprio durante una certa tappa precoce di sviluppo; trascorsa questa fase, la sensibilità tende a diminuire e pur essendo comunque possibile influire successivamente sulla plasticità, occorre una stimolazione più intensa e protratta nel tempo. Ci sono due tipi di esperienze che influiscono sulla plasticità neuronale: experience- expectant experience-dependent La prima si riferisce alle normali esperienze tipiche dello sviluppo di una specie e che hanno normalmente luogo in quanto sono parte dell'ambiente di vita della specie (ad esempio la visione, udito, acquisizione del linguaggio). Questo tipo di esperienza si basa, a livello neurofisiologico, sulla << potature selettiva >> delle sinapsi in sovranumero alla nascita. La malattia denominata << X fragile >>, che dipende da un gene difettoso per la codifica di una proteina che elimina le sinapsi in eccesso, dimostra che l'eccesso di sinapsi rappresenta un fattore causale di danno neuroanatomico e funzionale. La seconda forma riguarda le esperienze specifiche di un singolo individuo all'interno del suo ambiente fisico, sociale e culturale; la plasticità qui è veicolata da nuove sinapsi che permettono di originare ricordi e modalità di problem solving che troveranno impiego nelle situazioni future. Si tratta di esperienze che si collegano con la memoria a lungo termine e con l'apprendimento, due funzioni molto complesse che condividono alcune aree, in particolare la centralina dell'ippocampo. Ogni individuo, in base agli stimoli presenti nell'ambiente, ritrae esperienze che influiscono sulla sua capacità di conoscere il suo stato emozionale e quello altrui, reagire ad entrambi, regolare lo stato attentivo e motivazionale, sulle sue modalità di analizzare i dati e risolvere i problemi e sulle competenze e abilità. Un tema che richiede di soffermarsi ulteriormente concerne la complessa funzione indicata con il termine attenzione, che non è affatto una proprietà scontata del SNC quanto piuttosto una funzione che soggiace a una serie di processi di cablazione e regolazioni verosimilmente inseriti in p.c. precoce e che può essere affetta da numerose anomalie. Recentemente Harmon e Cox (1997) hanno proposto un modello che collega la funzione di processazione delle emozioni nel lobo frontale e la sua influenza sull'attenzione. La regione frontale sinistra sarebbe deputata a processare e regolare le emozioni definite << approach behavior >>, orientate all'avvicinamento agli oggetti mentre il destro sarebbe associato alle emozioni << withdrawal behavior >> che determinano allontanamento e ritiro. 15


Stati emozionali in risposta a stimoli esterni quali calma o irritabilità sarebbero influenzati dalla capacità del bambino di dirigere l'attenzione verso stimoli che generano benessere distogliendola da quelli che suscitano noia e irritazione; la differente capacità attentiva contribuirebbe a determinare asimmetrie nei lobi frontali in relazione alle diverse esperienze emozionali del proprio contesto di sviluppo. Neonati cresciuti con una madre depressa hanno mostrato difficoltà nell'acquisizione del controllo emozionale (Dawson et al., 1994 e Sameroff et al.,1982) probabilmente anche per l'insufficiente stimolazione ricevuta in ordine alla discriminazione attentiva di stati emozionali; è stato osservato infatti che la condizione depressiva materna si manifesta anche nella riduzione espressiva degli stati emozionali ostacolando il processo di kindling emozionale del neonato e più in generale, interferendo negativamente nella comunicazione madre-bambino. Dawson et al. (1994), basandosi su studi di neuroimaging, hanno osservato che l'attivazione asimmetrica dei lobi frontali sembra essere una funzione indotta dagli stimoli ambientali precoci, una experience-expectant, realizzata principalmente dalle risposte del neonato agli stati emozionali materni e hanno presupposto che per tale via, la corteccia frontale si vada cablando in modo da poter regolare lo stato di eccitazione (arousal) ed emozionale in relazione a quello del caregiver. Pertanto non sono solo influenti le condizioni genetiche alla nascita ma anche quelle ambientali concorrono a configurare la regolazione funzionale dei lobi frontali che tende a diventare stabile e difficilmente reversibile. Le esperienze precoci di abuso, maltrattamenti fisici ed emozionali influiscono negativamente sull'ippocampo secondo un meccanismo di retroazione proposto da LeDoux (1998). In situazioni di stress l'amigdala, deputata al riconoscimento di segnali ambientali elicitanti emozioni, istruisce l'ipotalamo affinché segnali al'ipofisi di attivare il rilascio dei fattori stimolanti la secrezione di ormoni dello stress. L'ippocampo, formazione coinvolta nella memoria a lungo termine e nell'apprendimento, nelle situazioni di stress è deputato alla valutazione cognitiva (appraisal) e se valuta la situazione come positiva, invia segnali che retroagiscono sull'amigdala, inibendola ma se lo stress permane per lungo tempo non riesce a mantenere la sua attività, entra in sofferenza ed inizia a degenerare, con evidenti perdite di dendriti e in seguito anche di corpi cellulari. Autopsie su cervelli di bambini che hanno subito abusi ripetuti e su soggetti affetti da disturbo post traumatico da stress hanno rivelato una chiara riduzione dell'ippocampo dovuta a perdita di sinapsi e corpi cellulari. Tra i sintomi tipici di questa condizione sono la perdita di ricordi legati agli eventi stressanti e difficoltà nel memorizzare eventi successivi ad esso connessi; tipicamente i soggetti che hanno vissuto un forte trauma emozionale provano notevoli difficoltà a rievocarlo, esempio di adattamento comportante conseguenze negative che si può cercare di limitare mediante la somministrazione di sostanze che vanno ad agire sull'ippocampo, inibendone l'attività in modo da prevenire la sua degenerazione conseguente a stress. Si sono da tempo consolidate evidenze che il feto reagisce alle manifestazioni di stress della madre e può subire effetti negativi riguardo lo sviluppo motorio e affettivo postnatale e sappiamo che traumatismi fisici si possono ripercuotere sul feto e possono derivare da una serie di cause incidentali o volontarie: tipicamente le cause incidentali possono essere prenatali, cadute accidentali della gestante, incidenti domestici e stradali; perinatali, condizioni che si verificano in prossimità del parto, ad es. cordone ombelicale lungo che si avvolge sulla testa e sul collo fel feto e altre condizioni che implicano anossia e sofferenza neurologica; neonatali, che ricomprendono le complicazioni che insorgono dopo il parto. 16


le cause volontarie sono da ricondurre a violenza sulla gestante, tipicamente violenza domestica e sul neonato o a condizioni di negligenza grave e trascuratezza. Altre cause possono dipendere da malattia, condizioni di povertà e isolamento della madre. Si può affermare che tutte le condizioni fisiche ed emozionali che hanno un impatto negativo sulla madre e in generale sul caregiver, si ripercuotono sul feto e sul bambino distorcendone il corso dei periodi critici, anche se al momento non è accessibile una conoscenza precisa dei fattori causali e dei loro effetti. Ad oggi non ci sono studi neurofunzionali sistematici sull'effetto dell'esposizione di bambini a violenza sia diretta che indiretta, come la visione di programmi violenti, sull'attività dell'ippocampo ma sapiamo che i bambini che hanno sperimentato abusi hanno sviluppato disturbi caratteristici, quali difficoltà di memoria, inattenzione e scarsa abilità nell'impiego di strategie di apprendimento che possono sottendere anomalie dell'ippocampo e che si possono confondere con disturbi tipici dell'infanzia, quali disturbi dell'apprendimento, di condotta e deficit attentivi, che hanno diversa origine eziologica. Nella cultura umana è stato osservato da molti autori, appartenenti a differenti discipline, che il processo di socializzazione e acculturazione dell'individuo ha assunto caratteristiche di eccessiva artificiosità e costrizione, nel tentativo di conformarlo alle continue e crescenti richieste di un ambiente sociale complesso e in continua trasformazione, sottoponendolo ad un training cognitivo stressante e inadeguato alle tappe di sviluppo predisposte dall'evoluzione, favorendo, in soggetti predisposti, lo sviluppo di sintomi e disturbi da maladattamento (vedi il complesso fenomeno denominato “hikiko mori” nei giovani giapponesi, caratterizzato da una particolare forma di ritiro sociale). I comportamenti fisicamente violenti non costituiscono una forma tipica che ricorre frequentemente nelle relazioni sociali, dove prevaricazione, coercizione e sopraffazione sono realizzate con manifestazioni aggressive non fisiche. Differenze di ruolo e di potere implicano condizioni che favoriscono la riduzione dei gradi di libertà individuali e situazioni di prevaricazione: proprio simili differenze riducono l’uso di violenza fisica all’interno di un gruppo, sul presupposto che gli individui possono realizzare i loro piani con impiego di minima coercizione fisica. All’interno di una famiglia il genitore può usare coercizione per fini educativi, in un’azienda il superiore può assumere provvedimenti contro gli inadempienti e lo Stato può usare violenza e impiegare armi per mantenere l’ordine pubblico. L’aggressività dipende anche dal particolare ruolo e funzione che un individuo sta svolgendo: minacciare l’esistenza di un cucciolo, in quasi tutte le specie scatena reazioni aggressive materne di notevole portata, che in circostanze diverse non sarebbero attuate: nell’esempio, l’aggressività è una risposta al servizio dell’altruismo ma occorre capire cosa si intende per altruismo in biologia e psicologia evoluzionista. Si è già detto che altruista è un comportamento che riduce la possibilità di riprodurre i propri geni, a vantaggio dei geni altrui in base al presupposto teorico che ogni individuo tende a massimizzare la trasmissione dei propri geni. Uno dei problemi principali per Wilson e Dowkins era proprio quello di spiegare i comportamenti altruistici, frequentemente osservati in natura, in quanto la teoria dell'evoluzione, fondata sulla fitness individuale, sarebbe falsificata. Dowkins individuò nella “ regola di Hamilton “ la chiave per interpretare il comportamento altruistico, che ricomprese in una teoria che denomino “ selfish gene”, che muovendo dalla regola di Hamilton, spiegava l'altruismo in termini di fitness inclusiva, dove inclusiva significa che parallelamente alla fitness individuale, per l'individuo è importante anche la propagazione dei geni dei 17


conspecifici. Sappiamo che i geni che un genitore riproduce in ciascun figlio rappresentano il 50% del suo corredo e più figli genera e più aumenta il numero di geni che gli sopravvivono; ne consegue che, in natura, un individuo che ha generato un solo figlio, sarà riuscito a far sopravvivere solo metà del suo corredo genetico e per questo impiegherà molte energie per cercare di farlo sopravvivere ma non altrettante energie impiegherà per la sopravvivenza di un ipotetico quarto o quinto figlio e più in generale, quanto maggiore è il numero di figli e quanto minore è l’investimento che un genitore è disposto a fare in ciascuno di essi per assicurarne la sopravvivenza. In altre parole le cure diminuiscono al crescere del numero dei figli, che è come dire che il comportamento altruista si attenua quando i geni sono stati tramandati in numero elevato. In natura i comportamenti altruisti sono in realtà comportamenti guidati da un istinto di sopravvivenza individuale e di specie: in fin dei conti due conspecifici condividono un numero di geni assai più elevato in confronto a qualsiasi altro individuo di specie diversa, constatazione che sta alla base dell’altruismo e della solidarietà. Ridurre le proprie possibilità di sopravvivenza a vantaggio di un estraneo rappresenta un comportamento sufficientemente egoista almeno quel tanto che basta a bilanciare il numero di geni condivisi.

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1.4 Modelli imitativi: media e aggressività.

Si ricomprende nel termine media, una eterogenea serie di mezzi, atti a veicolare informazioni. Si distinguono in: pubblici, come Internet, dove chiunque può inserire informazioni e formarne i contenuti; privati, cinema, TV, libri e giornali, dove, a prescindere da chi ne detiene la proprietà, solo alcuni formano i contenuti; multimediali, quando veicolano contenuti in base a differenti canali sensoriali; interattivi, quando l'utilizzatore può interagire a vari livelli e secondo diverse modalità. Preliminarmente si segnala che le ricerche sull'argomento, sono state, nel corso degli anni, assoggettate a critiche metodologiche che ne hanno posto in luce la scarsa validità e affidabilità. Nello specifico è stato opposto che i campioni non erano generalizzabili alla popolazione, la definizione di vilolenza era troppo ampia o al contrario troppo specifica, gli indici di violenza ricavati dai programmi TV erano basati su criteri soggettivi e nebulosi, infine le interpretazioni dei dati erano falsate dalla serie di problemi appena descritti e da altri fattori. Ad esempio, gli studi di Gerbner e Gross (1976), che all'epoca richiamarono anche l'attenzione dei media, ad una analisi critica si sono rivelati essere basati su ipotesi non verificate né falsificabili; la loro affermazione ipotetica che le informazioni cui una persona accede tramite la TV, ne condiziona l'interpretazione della realtà in relazione alla durata rappresenta una ipotesi non falsificabile, più una tesi che una ipotesi, che sarebbe insensato dimostrare perché non potrebbe che essere verificata. Anche gli esperimenti basati sul modello neurofisiologico, ad esempio Shachter (1964), Berkowitz e Alioto (1973), solo per citarne alcuni, sono stati assoggettati a critiche metodologiche che ne hanno minato la validità: iniettare adrenalina o creare condizioni artificiose di arousal non sembra un modello ecologicamente validabile. Gli studi dedicati al tema specifico dell'aggressività e violenza nei bambini, collegate al mezzo televisivo, che hanno rivelato maggiore validità nel tempo, sono stati quelli di Albert Bandura e collaboratori (1961, 1973), successivamente racchiusi in un modello unitario denominato “Learning theorie”, tradotto con “modello dell'apprendimento sociale”. Un esperimento semplice ed eseguito in un contesto naturale, che chiunque poteva riprodurre con facilità è divenuto un classico della ricerca psicologica. A un gruppo di bambini di un asilo fu mostrato un filmato in cui due adulti, uomo e donna, si scagliavano contro un pupazzo riempito di sabbia, in modo da poter oscillare ritornando in posizione verticale quando veniva colpito con calci e pugni. Dopo la visione del filamto i bambini venivano fatti entrare nella stanza dove giocavano ed era stato previamente collocato lo stesso pupazzo. Il gruppo di controllo era costituito da bambini che erano posti di fronte al pupazzo senza aver visto il filmato. I bambini del gruppo sperimentale iniziarono a colpire il pupazzo, mentre quelli del gruppo di controllo non 19


mostrarono comportamenti diversi rispetto agli altri giocattoli. In varianti successive, il filmato mostrava adulti che dopo aver picchiato il pupazzo erano ricompensati con caramelle oppure sgridati: anche in queste varianti, i bambini mostrarono di seguire i comportamenti dei modelli, colpendo con più forza quando il modello era ricompensato o inibendosi quando sgridato. Ai modelli adulti, sono stati sostituiti personaggi di cartoni animati, con stessi risultati; inoltre colpire un pupazzo identificato con il proprio sesso è risultato più facile, segnalato dal minor tempo necessario a vincere l'inibizione e i maschi si sono rivelati più aggressivi, sferrando più colpi e con più forza. I risultati, pur con le opportune cautele in relazione alla generalizzazione dei dati alla popolazione, dimostrano che una rappresentazione televisiva di comportamenti aggressivi e violenti, in base a criteri condivisi, è risultata efficace a modellare il comportamento dei bambini, in assenza di riproduzione immediata dei gesti. Gli studi di Bandura, furono oggetto di numerose interpretazioni sui reali meccanismi psichici coinvolti e racchiusi nel generico termine “imitazione”. Bandura avanzò l'ipotesi che il bambino sia predisposto a riprodurre i comportamenti osservati in base a uno schema mentale che include la valutazione degli effetti conseguiti. Se il modello veicola comportamenti aggressivi, il bambino lo imiterà se riceverà un rinforzo, costituito dalla valutazione delle conseguenze favorevoli che ricadono sul modello, oppure sarà disincentivato se il modello conseguirà effetti negativi o dannosi. Altri autori hanno invocato altri meccanismi e in definitiva cosa sia all'opera quando si parla di imitazione non è ad oggi del tutto chiaro, tuttavia una predisposizione innata e un paradigma basato sul condizionamento sembrano essere i due fattori più implicati. Gli studi longitudinali più accreditati in nordamerica, sono quelli di Huesmann (Huesmann et al., 1986), basati su un campione internazionale, che hanno mostrato una correlazione statisticamente significativa, per quanto modesta, tra visione di scene violente in infanzia e comportamenti aggressivi nella seconda decade di vita, in ragione di tre ore di TV al giorno, considerando una media di scene violente ogni ora di trasmissione in modo tale da escludere aspetti troppo generici. E' emerso che i bambini predisposti all'aggressività erano maggiormente inclini ad indulgere sulle scene violente e comunque i dati hanno mostrato un lieve ma generalizzato innalzamento del tasso di aggressività nel campione. Una ulteriore evidenza riguarda l'abituazione alle scene di violenza, con sviluppo di indifferenza emotiva per esposizione sovramassimale, una sorta di indurimento emozionale verso la violenza rappresentata, che si può riflettere nelle relazioni sociali. Anche la pubblicità richiama stili e modelli aggressivi, con frequenti allusioni sessuali e messaggi subliminali, in cui l'aggressività maschile è sollecitata da provocazioni di femmine che sminuiscono il pretendente che non possiede il prodotto reclamizzato o alludono a competizioni tra appartenenti allo stesso sesso, in cui il rasoio per la barba, l'auto, il profumo, i fermenti lattici concentrati e il depilatore, rappresentano il mezzo con cui si vince la contesa sociale. Generalmente, il modello aggressivo proposto dalla pubblicità si rivela particolarmente subdolo per la sua modalità proteiforme e pervasiva, realizzando un coinvolgimento emozionale di notevole effetto, in assenza di esplicita consapevolezza. La TV per motivi storici è il mezzo più indagato ma a partire dagli anni settanta, si sono diffusi i giochi elettronici, inizialmente tramite consolle in seguito tramite Internet e la telefonia mobile. I videogames rappresentano la principale fonte di diffusione di giochi interattivi e multimediali a contenuto violento e alcuni tra questi sono stati al centro del dibattito giornalistico e sociologico, perché tacciati di veicolare e sollecitare contenuti particolarmente violenti e più in generale, è stato sostenuto che i videogames favoriscono l'isolamento e la distorsione della rappresentazione della realtà. 20


Ad oggi, nonostante la scarsità degli studi metodologicamente affidabili, non esistono prove convincenti che i videogames violenti contribuiscano a innalzare i tassi di violenza dei fruitori nel medio e lungo periodo, in misura maggiore di quanto provoca la TV e il cinema (Dominick, 1984). Anderson e Dill (2000) invece avvalorano un effetto dei videogames ma la metodologia impiegata, basata su questionario di autovalutazione, che reputa affidabili le risposte dei soggetti riferite a stati mentali sperimentati in precedenza, è ritenuta affidabile solo da una minoranza di ricercatori. In sintesi, nonostante la propensione a credere in una maggiore pericolosità dei giochi interattivi, perché il giocatore è più partecipe e coinvolto e si immedesima con più coerenza nel personaggio che manipola, avendone un controllo, non ci sono evidenze di una maggiore efficacia in confronto ai media tradizionali, pur nella necessità di ulteriori approfondimenti. Se la visione televisiva di scene violente o la fruizione di videogiochi cruenti ha rivelato nel bambino debole associazione con la violenza espressa, ad eccezione di quelli con disturbi e con numerosi fattori di rischio, assistere a litigi e violenze coniugali dispiega effetti pervasivi sulla giovane personalità, come si vedrà nel prossimo capitolo.

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Cap. 2 I percorsi della violenza

2.1 Violenza tra partner (Intimate Partners Violence, IPV)

Seguendo la terminologia dei ricercatori nordamericani si definiscono i termini che ricorreranno nel capitolo. Abuso (abuse), si riferisce a tutte quelle condizioni di prevaricazione e disagio subite dalla vittima: può essere prevalentemente fisico o psicologico o sessuale; Emotional abuse, coincide con l’abuso psicologico, in cui sono prevalenti gli aspetti di disagio affettivo ed emozionale; Violenza sessuale (sexual violence), è l’atto sessuale realizzato o tentato con coercizione fisica o psicologica; Stupro (rape o sexual assault), è l’aggressione sessuale di un soggetto adulto non consenziente o comunque in grado di esprimere una volontà contraria all’atto che subisce; Molestia (molesting), si riferisce a situazioni generiche orientate sessualmente; Child molesting, indica l’abuso sessuale su bambini e preadolescenti, prevalentemente ad opera di offenders con orientamento pedofilo; Child neglect, indica condizioni di trascuratezza o scarse cure fisiche e psicologiche nei confronti di neonati e fanciulli; Harassment, termine con cui si designano azioni indirette a carattere persecutorio sulla vittima o sulle persone con cui intrattiene relazioni o sul suo ambiente di vita. Tipicamente si realizza con pratiche di stalking, cioè assediare una persona seguendola, spiandola, scattandole foto, introducendosi di soppiatto nella sua abitazione o nella sua auto o effettuando telefonate o inviando pacchi e lettere a contenuto offensivo. Si distinguono due 25


forme: criminal harassment, in cui prevalgono azioni minacciose e l’invadenza di spazi personali e sexual harassment, in cui sono prevalenti i riferimenti sessuali, quali richieste di incontri e telefonate oscene; Mobbing, è una forma di harassment che però si riferisce a relazioni tipiche, come l’ambiente di lavoro e di vita sociale, attuato con comportamenti di indifferenza, scarsa considerazione e svalutazione miranti a isolare la vittima e a minarne la sua autostima. In riferimento alla gravità e alle modalità di realizzare violenza, sono state descritte due varianti, (FBI, Crime Investigation Manual): Common assault o assault level 1, è l’aggressione verbale e fisica più frequente, con urla, minacce e percosse; Major assault o assault level 2, comprende le aggressioni più violente, anche con uso di armi proprie, assault level 3.

L’ambito delle relazioni familiari è caratterizzato frequentemente da situazioni di abuso e violenza, superando la metà di tutti i casi che ricorrono. Estendendo i dati emergenti dagli UCR alla popolazione, considerando che i registri ufficiali non contengono tutti quei casi non conosciuti dall’autorità, sotto sono riportate le probabilità di subire una violenza o abuso: Familiari

31%

Parenti

23%

Amici

8%

Conoscenti

22%

Estranei

11%

Sconosciuti

di cui 24% coniuge e 8% altri familiari

5%

In base alle modalità di realizzazione:

Common assault

68% 26


Criminal Harassment 10% Major assault

15%

Sexual assault

7%

2.1.1 Fattori di rischio.

La violenza domestica rappresenta circa un terzo del totale e per più del 60% è realizzata da un partner. L’85% delle vittime sono donne comprese tra i 20 e i 60 anni, con la fascia 25-35 che rappresenta quella a più alto tasso di prevalenza, circa 110 casi ufficiali ogni 100.000 donne sposate o conviventi, contro 25-30 casi maschili. Le situazioni problematiche sono diversamente graduate e tipicamente formano una escalation, che arriva anche all’aggressione fisica e all’omicidio. Il conflitto coniugale può sfociare in una vera e propria guerriglia per una molteplicità di cause, tra le quali il tradimento, la gelosia e le dispute per l’affidamento dei figli. Le caratteristiche psicologiche dei coniugi e situazioni ambientali contingenti sono fondamentali, tra queste ricorrono spesso abuso di alcol e sostanze, stato di disoccupazione e precarietà lavorativa. La perdita del lavoro del marito correla con situazioni di aggressività verso il coniuge ancor più quando questi lavora, per la percezione di inadeguatezza che genera frustrazione e confusione di ruolo. Il livello delle entrate familiari ha mostrato correlazione con l’espressione di aggressività e violenza e per inciso, le domande di separazione su richiesta delle mogli aumentano quanto più il reddito del coniuge era elevato e ha subito una netta decurtazione nei 18 mesi precedenti alla domanda di separazione, segnalando il timore della partner di perdere il suo tenore di vita e migliori condizioni e opportunità per i figli. L’eccessivo consumo di alcol quadruplica la probabilità di abuso coniugale e domestico in confronto a non bevitori o moderati bevitori: questa condizione è quasi sempre associata ad altri fattori, quali disturbi di personalità, disoccupazione, basso reddito ed esposizione a violenza in infanzia, che assieme costituiscono la configurazione a più alto rischio di violenza coniugale. Violenza e abuso costituiscono la prima causa di separazione, anche se molte donne sposate con partner maneschi, impulsivi, compulsione per il gioco e abuso di sostanze, affette dalla “sindrome della crocerossina” cercano con ogni mezzo di correggere il loro uomo, facendone il principale scopo di vita. La sindrome, è tipica delle donne che scrivono ai carcerati 27


e attendono anni per poterli sposare con l’intento di redimerli. Riguardo l’abuso sessuale, anche se i dati ufficiali attestano una quota variabile dal 4 al 7 per cento, le stime lo collocano su valori almeno doppi, considerando che poche mogli sono propense a rivolgersi alle autorità. I casi di vera e propria violenza sessuale sono meno rari di quanto si può credere, anche se per lo più si tratta di rapporti non desiderati, che segnalano il cattivo andamento relazionale e l’alta probabilità di separazione. La percezione dell’abuso è variamente graduata, dipendendo dalle caratteristiche dei partner e della relazione. Anche lo sfruttamento sessuale della partner, attuato con minacce o metodi violenti, ricorre con una certa costanza in ambienti particolarmente degradati, anche se più spesso la decisione di prostituirsi è presa consensualmente con il coniuge, senza costrizioni. Emotional abuse ricorre quando un partner sistematicamente sminuisce e discredita i pensieri e i bisogni dell’altro e non va confuso con le frequenti situazioni di conflitto coniugale, dove all’occasionalità si unisce la reciprocità delle offese. Un criterio soggettivo per capire quando si è oggetto di emotional abuse è la consapevolezza della prevaricazione dei propri sentimenti e stati emotivi, che, per quanto ampiamente graduata nei diversi soggetti, sottende una generale capacità di percezione dei propri stati mentali nelle relazioni interpersonali. Quando qualcuno prova sentimenti di disistima e svalutazione dovrebbe cercare di approfondirli e capire se dipendono da una reazione altrui ai propri stati mentali o se invece si tratta di aggressioni motivate da stimoli che non dipendono da lui. Sfortunatamente gli individui particolarmente reattivi o all’opposto tendenzialmente passivi nelle relazioni interpersonali, mostrano difficoltà a riconoscere i propri stati emozionali e a distinguerli da quelli altrui, condizione che predispone a situazioni di difficoltà nelle relazioni per scarsa abilità a interpretare il feed back ambientale e a realizzare una sintonizzazione adattiva. Una condizione psicopatologica che predispone al ruolo di vittima è il disturbo d’ansia di separazione (SAD). Il SAD si manifesta precocemente nei soggetti predisposti e già a partire dal secondo mese il neonato manifesta reazioni caratteristiche di orientamento agli stimoli e modalità peculiari di relazione al caregiver che, pur non esclusivi, correlano significativamente con la probabilità di sviluppare il disturbo. I soggetti affetti da SAD hanno maggiori probabilità di manifestare disturbi della sfera del controllo, che oggi sappiamo essere molto sfaccettati, andando dal disturbo di personalità dipendente (DPD), a problematiche di discontrollo, come abbuffate, gambling patologico, dipendenza da sostanze, anche endogene, come nei forzati della palestra. Quando la personalità risente di queste problematiche, si rilevano due tipiche modalità relazionali: la dipendenza affettiva e l’evitamento del coinvolgimento relazionale. Nell’evitamento il soggetto si tiene lontano da un coinvolgimento affettivo per il timore della sua perdita e per l’impossibilità di farvi fronte; si tratta di soggetti che si rifugiano nel lavoro, nelle relazioni tipo mordi e fuggi, spesso con partner già impegnati sentimentalmente o realizzando una vita sessualmente promiscua, senza mai trovare una collocazione stabile. Nella dipendenza affettiva invece il soggetto, si tratta quasi sempre di donne, cerca una relazione stretta ed esclusiva con familiari e con il partner, per trovare rassicurazione alla sensazione di perdita e incapacità di fronteggiarla. Le donne che ne sono affette tendono a sposarsi precocemente e compiono sforzi inimmaginabili per mantenere la relazione, anche a costo di subire abusi quando si legano ad uomini prepotenti e violenti, che le sottopongono a pratiche sessuali indesiderate per dare sfogo alle loro parafilie e anche a sfruttamento sessuale o a coinvolgimento in attività criminali. Ci sono poi altri fattori predisponenti, principalmente la dipendenza economica e il timore per la cura dei figli, che da soli non spiegano la permanenza con partner violenti. 28


Sono state descritte due tipiche relazioni in cui ricorre abuso: in una, un partner è abitualmente violento o abusante, nell’altra ha scoppi di violenza occasionali, che tendono a ripetersi con una certa frequenza. La prima modalità comporta un minor tempo prima che la vittima si decida ad adottare provvedimenti drastici, quali denuncia o allontanamento da casa mentre la seconda, caratterizzata da improvvisi scoppi di violenza contro il partner, seguiti da rassicurazione e promessa di non ripeterli, può durare anche molti anni prima che la vittima decida di averne abbastanza. Secondo Strauss e Gelles (1990), ci sono evidenze per sostenere che nell'ambito delle relazioni intime, uomini e donne usino violenza in uguale misura, mentre secondo altri, tra i quali Bachman e Saltzman (1995), gli uomini ricorrono maggiormente alla violenza in confronto alle partners. Le fonti statistiche ufficiali, principalmente gli UCR, Uniform Crime Registers, in cui sono annotati dalla polizia i dati relativi alle richieste di intervento, indicano un costante incremento dei tassi femminili, con sempre più partner maschili che richiedono l'intervento, anche se si ritiene che i dati sottostimino il fenomeno perché circa i 2/3 delle situazioni non emergono ufficialmente. La violenza tra partners (Intimate Partners Violence (IPV), non può essere compresa a pieno, se non si arriva a cogliere alcuni elementi fondamentali, dinamicamente interconnessi (Jhonson e Ferraro, 2000): tipologia degli atti, modalità di compimento, motivazioni degli attori, ruolo, collocazione sociale dei partners e contesto culturale in cui le vicende hanno luogo. Si è rivelato utile un approccio che considera come unità di analisi la coppia e la sua dinamica relazionale, considera la donna capace di usare violenza e di collocarsi nella relazione con modalità psicologiche simili a quelle del partner e che infine, colloca la relazione problematica in un contesto nel quale è fondamentale il ruolo della coercizione, potere e controllo. Riprendendo il lavoro di Kurt Lewin (1935) sul potere, che aveva definito, in accordo con la sua “ teoria del campo” “ facoltà di condurre forze di una certa magnitudine su un'altra persona “, French e Raven (1959), hanno formulato la teoria del “ Potenziale di influenzamento”, a significare l'abilità di un agente di influenzare un bersaglio, individuando cinque forme tipiche di esercizio del potere: la forma coercitiva coinvolge l'abilità dell'agente di imporre in modo tangibile, esplicito o indiretto, azioni e pensieri che il bersaglio non desidera o impedirgli azioni che invece desidera compiere, la forma ricompensatoria implica l'abilità di fargli conseguire le cose che desidera e evitargli quelle indesiderate, il potere legittimo implica la possibilità di imporre senso di responsabilità e di obbligo a seguito di una posizione differenziata, che non significa che sia riconosciuta meritoria, potere referenziale implica la possibilità di suscitare sentimenti di approvazione e di obbigazione sulla base di processi di identificazione con gli stati mentali dell'agente, il potere esperto concerne la capacità di convincere il bersaglio che l'agente possiede competenze e conoscenze che possono essergli utili. Raven (1992), ha ricompreso la teoria in un modello interattivo di influenzamento interpersonale, che distingue le basi del potere, il suo processo e le conseguenze, permettendo di distinguere le forme di abuso e i tentativi di usare il potere per coercire e conseguire il controllo tramite l'accondiscendenza. Nelle relazioni intime in cui gli elementi di prevaricazione e violenza non sono esplosivi e intensi, che sono la maggioranza delle relazioni problematiche, ha rivelato buona capacità esplicativa il modello basato sul potere coercitivo, in cui l'agente consegue la condiscendenza del bersaglio prospettando conseguenze negative in caso di non 29


condiscendenza. Le conseguenze possono assumere forme diverse: privazione di mezzi materiali, isolamento, conseguenze nei riguardi dei figli, implicazioni sessuali, fino all'uso di violenza fisica, che in questo modello interpretativo è considerata un'opzione strumentale come le altre, per raggiungere il fine di controllare e dominare il bersaglio, attraverso una strategia coercitiva che consiste nell'intimidazione, isolamento e dipendenza. Tipicamente l'agente che intende esercitare potere e controllo sul partner, inizia a “preparare il terreno”, dimostrandosi pronto a pagare un prezzo a sua volta. Il bersaglio, di fronte alla minaccia di conseguenze negative reagisce tipicamente in due modi, accondiscendenza o resistenza o in una sequenza delle due ed è stato rilevato che al crescere delle potenzialità negative delle conseguenze, si registrano incrementi sia delle risposte di condiscendenza che di resistenza, in relazione alle caratteristiche personologiche del bersaglio e al tipo di conseguenze. Sono stati individuati otto domini in cui si esplica potere coercitivo: attività personali e modo di apparire vita relazionale e famigliare conduzione della casa lavoro e finanza domestica salute rapporti intimi questioni legali e problemi di immigrazione figli Il contesto famigliare, culturale e socio-economico in cui ha luogo l'azione è essenziale per comprendere il significato e la portata delle conseguenze temute: minacciare la partner di lasciarla se non farà sesso in un modo che non desidera, conseguirà effetti differenti a seconda che si tratti di una famiglia di immigrati dipendenti dai programmi di assistenza puibblica o di una donna economicamente o anche solamente psicologicamente dipendente dal partner o invece una donna appartenete alla media borghesia, che lavora e può contare sul sostegno psicologico e materiale di parenti e amici. Il contesto e gli antecedenti, il modo in cui è stato predisposto il terreno, guidano l'interpretazione di un evento o di una situazione coercitiva che altrimenti non sarebbe agevole valutare correttamente. Ci sono quattro modalità tipiche di “preparare il terreno” : creare condizioni affinché la vittima si aspetti conseguenze negative in caso di non condiscendenza alle richieste, rendere il partner vulnerabile o sfruttare una preesistente vulnerabilità, ad esempio sfruttare condizioni fisiche, mentali o socio-economiche, come disturbi mentali, fisici, disabilità, difficoltà economiche e lavorative, abuso di sostanze e altre forme di dipendenza, fiaccare le resistenze, cioè agire sui punti di sostegno sociale e economico del partner, ad esempio separandolo dalla famiglia di origine, privandolo delle sue amicizie personali o facendolo smettere di lavorare, 30


favorire e sfruttare la dipendenza emozionale: una relazione positiva implica l'interdipendenza emozionale, all'interno di un contesto di scambio, accettazione e assistenza reciproca, mentre nelle relazioni abusanti e coercitive, la vulnerabilità e dipendenza di un partner è sfruttata dall'altro per ottenere potere e controllo. Il partner abusante può favorire la dipendenza e sfruttare le caratteristiche di personalità della vittima, intuendo la sua vulnerabilità a sviluppare un attaccamento dipendente o conoscendo la sua storia di abuso infantile o di crescita in una famiglia problematica, condizioni che sono strettamente correlate alla dipendenza emozionale con difficoltà a gestire le separazioni e le perdite affettive. In alcune relazioni il partner abusante compie gesti violenti e contemporaneamente genera vulnerabilità, prendendosi cura della vittima, che tende a divenire ancor più dipendente, secondo lo schema descritto da Dutton e Painter (1993). Ad esempio il marito picchia la moglie dicendole che lo aveva fatto arrabbiare e poi la cura, scusandosi e facendosi promettere che non lo farà arrabbiare di nuovo, una situazione che va compresa all'interno di una relazione in cui è presente una forte dipendenza emozionale. Le richieste possono essere esplicitamente o implicitamente coercitive e le conseguenze negative prospettate devono essere credibili, basate su comportamenti già attuati in passato o su elementi attuali dotati di concretezza. La richiesta spesso è seguita da verifiche effettuate sorvegliando la vittima, ad esempio telefonandole a orari determinati per accertare dove si trova o rivolgendole domande indiscrete e intrinsecamente umilianti o pedinandola o facendola pedinare. A volte l'agente le fa credere di controllarla e rivolge domande ai figli o ai vicini, sempre per metterla sotto pressione e ottenere potere e controllo.

2.1.2 Harassment

L’harassment ricorre tra le coppie separate o in via di separazione, in rapporto di una ogni quattro. La fine di una relazione può passare per un percorso di estraneazione reciproca ma più spesso implica sentimenti negativi verso il partner. Quando solo un partner decide di porre termine alla relazione, l’altro può viverla con ansia e senso di perdita, sviluppando disturbi dell’adattamento che possono arrivare ad incontrare i criteri per il disturbo post-traumatico da stress. Individui con assetti di personalità peculiari, con presenza di tratti ossessivi e instabilità 31


dell’umore, possono reagire alla richiesta di separazione con pratiche di stalking. I dati degli UCR mostrano equi ripartizione tra maschi e femmine, a significare che la componente personologica e motivazionale è prevalente nel determinare un partner ad attuare stalking. Le modalità femminili sono volte a creare sensi di colpa e imbarazzo sociale, indirizzando lettere ai colleghi di lavoro e alla nuova partner, mentre i maschi sono più intrusivi e volti al controllo della vittima, seguendola, osservandola e invadendone gli spazi di vita, fino ad introdursi nell’abitazione e nell’auto. Quando la separazione implica anche l’affidamento dei figli, la partner può cercare di estraniarli affettivamente dal padre e può arrivare ad intraprendere azioni legali al solo fine di nuocergli, usando i figli e la legge per realizzare harassment, anche in pregiudizio della salute mentale dei suoi bambini. Queste pratiche non ricorrono solo tra coniugi ma anche una persona sconosciuta, più probabilmente una vicina di casa o un personaggio noto al persecutore, possono essere bersagliate da telefonate e lettere, seguitazioni e tentativi di introdursi nell’abitazione. Questi individui spesso presentano disturbi di personalità narcisistica e schizoide, ossessioni e a volte anche deliri e stati variamente graduati di alterazione del reality test. Quando la vittima si rivolge alle autorità, si rende conto di non poter trovare rapidamente soluzione al suo problema, perché occorrono prove e tempo, finendo per sentirsi ancora più isolata e sconfortata. Tipicamente le vittime di harassment sono donne che vivono da sole e hanno poche amicizie e frequentazioni sociali, dopo alcuni mesi divengono disforiche e alla lunga presentano sintomi del PTDS, con incubi notturni, senso diffuso di inquietudine, insicurezza e paura di restare sole in casa. Un buon fattore protettivo è costituito da una valida amicizia, in grado di minimizzare i disagi e gli effetti psicologici avversi. Si segnala la recente legislazione della Spagna come esempio di intervento efficace sulla violenza domestica e harassment sulle donne.

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2.2 Percorsi della violenza giovanile

L'aggressività è uno stato emozionale accompagnato da output comportamentali di tipo verbale e/o fisico, mirante ad aggredire un bersaglio, che solo nella nostra specie può coincidere con lo stesso individuo. Violenza è una modalità di comportamento aggressivo, prevalentemente fisico, diretto verso l'ambiente o autodiretto e diversamente graduato in intensità (Hoffman e Lorenzi, 2003). Può comprendere aggressività verbale, accompagnata o meno da gesti, oppure consistere di azioni dirette sul bersaglio. La sua applicazione può essere: diretta, quando incide direttamente sulla vittima; indiretta, quando consegue effetti agendo sull'ambiente ma non direttamente sulla vittima. Ad esempio, impedire che una persona in pericolo, chieda aiuto, recidendo i cavi del telefono, rappresenta una violenza indiretta. Causare involontariamente un incidente automobilistico e non fermarsi a prestare soccorso, né chiamare aiuto, non è violenza. Causare deliberatamente l'incidente e allontanarsi, rappresenta una tipica violenza diretta. Infine può derivare da: impulsività, quando emessa in relazione a cause presenti nel set ambientale; pianificazione, quando segue una progettazione che prescinde dallo stato del set. Ad esempio, sferrare un pugno durante un alterco è violenza impulsiva mentre provocare un alterco per colpire l'interlocutore, è violenza pianificata. Seguendo gli studi nordamericani, si introducono alcune definizioni e concetti preliminari. Una prima distinzione è tra: comportamenti violenti non gravi (violent acts), quali furti, insulti, risse tra coetanei, danneggiamenti non gravi; comportamenti altamente violenti (serious violent acts), comprendono rapine, aggressioni fisiche con lesioni gravi, devastazioni, stupro e omicidio, anche con armi. In relazione al contesto ambientale in cui si realizza l’azione, si distingue: violenza in ambito domestico; violenza in ambito extra familiare (scuola, gruppo dei pari, lavoro). A seconda della gravità degli atti compiuti, gli autori (offenders) sono classificati in:

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violenti non gravi (no serious violent offenders, NSVO), si caratterizzano per l'emissione di almeno tre atti violenti non gravi (Hoffman e Lorenzi, 2003); altamente violenti (serious violent offenders, SVO), sono caratterizzati dall'emissione di almeno un atto gravemente violento entro la seconda decade di vita. violenti cronici (chronic violent offenders, CVO), quando emettono almeno tre atti di grave violenza. Questa classificazione correla anche con il percorso della violenza durante lo sviluppo individuale; in particolare sono state descritte due traiettorie di inizio dei comportamenti violenti (D'Unger, 1998): inizio precoce o prepuberale, compreso tra i 6 e i 12 anni inizio in adolescenza, compreso tra i 13 e 17 anni. I due gruppi si differenziano per la gravità e persistenza dei comportamenti violenti, dove, nella traiettoria precoce sono ricompresi i soggetti che, oltre ad un esordio precoce, si caratterizzano per atti più gravi in adolescenza e con maggiore persistenza, reiterandoli anche nella terza e quarta decade di vita, divenendo CVO (Tolan,1987). I ricercatori concordano sulla scarsa possibilità di individuare precocemente i SVO, perché i comportamenti altamente violenti sono emessi prevalentemente nel corso dell'adolescenza; inoltre, mostrare impulsività e aggressività in infanzia, non implica una maggiore probabilità di divenire violenti in adolescenza, dove molti violenti non avevano mai mostrato comportamenti decisamente impulsivi o aggressivi durante le scuole dell'obbligo. La prevalenza rispetto all'età di inizio è massima tra 12 e 20 anni, con picco a 16 e si attesta tra 10% e 15% ; dopo il compimento di 22-23 anni è raro constatare inizio di atti violenti, per quanto non altrettanto si possa affermare riguardo a comportamenti devianti, come uso di droghe, che possono iniziare anche dopo i 30 anni. I ricercatori (Elliot et al., 1989 ; Huizinga et al.,1995), sono concordi nell'osservare che i soggetti con all'attivo tre o più atti gravemente violenti, CVO, sono responsabili di più dell' 80% di tutti i crimini violenti; inoltre sono autori del 75% di tutte le azioni devianti, anche se non necessariamente violente, quali uso di droghe, spaccio, furti, risse, giochi e comportamenti rischiosi. La carriera violenta, cioè il numero di anni in cui un individuo emette atti violenti, si attesta su una media compresa tra 1,5 e 2,5 anni. Quanto al declino ed estinzione dei comportamenti, dagli studi longitudinali (Huizinga, 1995 e 1998),emerge una notevole riduzione nel passaggio alla terza decade di vita, e conseguente ingresso nell'età adulta. Più del 90% dei soggetti ad esordio tardivo mostra di non emettere più comportamenti violenti entro cinque anni dall'inizio, mentre quelli ad esordio precoce li cessano nei due terzi dei casi. Complessivamente, entro cinque anni dall'esordio, circa l'1.5% dei soggetti persiste nelle condotte violente, specie gravi, significando che un numero elevato di atti altamente violenti sono emessi, in un arco di tempo dato, da un nucleo ristretto di soggetti, costituente un “nocciolo duro”, in prevalenza composto dai SVO divenuti nel frattempo CVO e da un numero di soggetti occasionali o con traiettorie di esordio atipiche. Per riassumere e approssimando: i due 34


terzi degli atti altamente offensivi sono reiterati da una modesta quota di individui, costituente il nocciolo duro, all'interno del quale si delinea un nucleo ancora più stabile, costituito dai violenti cronici, nel quale trovano posto molti violenti caratterizzati da disturbi e compulsioni sessuali, quali pedofili, stupratori e in genere i criminali seriali. Un' ultima considerazione è relativa alla componente di individui stranieri, sia comunitari che extracomunitari, che emettono comportamenti violenti. Nei paesi europei ad alto tasso di immigrazione, la quota di azioni violente con lesioni di varia gravità, fino alla morte, commesse da immigrati e più in generale da stranieri e clandestini, si approssima al 50% del totale, gli omicidi e i tentati omicidi si attestano su valori del 35%, mentre rapine violente, stupri e risse gravi, su valori del 55% del totale. Considerando che questi soggetti rappresentano una quota di popolazione che, a seconda del tasso di immigrazione dei vari paes, si attesta tra il 5% e il 10% di tutti i residenti, si osserva che tale campione minoritario, racchiude un potenziale serbatoio che concorre pesantemente ad innalzare il tasso di violenza complessivo dei paesi occidentali. I CVO attuano anche altre condotte, per quanto non intrinsecamente violente, con incidenza nettamente superiore ai violenti non gravi, provenienti dal percorso tardivo. Una quota consistente attua crimini contro la proprietà, assenze da scuola, uso di sostanze, particolarmente alcol e spinelli, intraprendono attività sessuale precoce, anche di tipo mercenario, condotte a rischio, come guida spericolata e giochi d'azzardo. Quelli che agiscono in gruppo si sono rivelati maggiormente vulnerabili all'uso di sostanze e ad essere fatti oggetto a loro volta di atti violenti (Lauritsen,1998). Dai questionari emerge che i CVO, più dei NSVO e dei non violenti, condividono un tasso più elevato di genitori che si sono rivolti ai servizi pubblici per ricevere aiuto per problemi mentali, inoltre il 30% dei CVO risulta positivo, ai questionari generali, per disturbi mentali, quali depressione, aggressività, iperattività e isolamento sociale. In aggiunta, più del 35% mostra positività per disturbi della personalità, particolarmente quelli dello spettro schizofrenico e ossessivo-compulsivo. Per contro i NSVO hanno tassi dimezzati, mentre i soggetti non violenti, per quanto devianti, li hanno ridotti a un quarto, cioè presentano valori di poco superiori alla media della popolazione.

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2.2.1

Fattori di rischio

Un fattore di rischio è una variabile personale o ambientale che incrementa la probabilità che un soggetto emetta comportamenti violenti. Ogni fattore ha un suo peso specifico e può associarsi ad altri in un effetto sinergico, rendendo difficile stabilire la sua portata causale e predittiva. Questa è alta, quando un soggetto presenta più fattori di rischio o almeno tre dei fattori più pesanti, durante lo sviluppo. Il peso dei fattori cambia in relazione all'età, così sono stati considerati separatamente per l'infanzia (6 – 11 anni) e per l'adolescenza (12 – 17 anni), anche se gli effetti si manifestano prevalentemente tra 14 e 18 anni. Conoscere i fattori determinanti rimanda alle conoscenze delle cause, con le conseguenti aspettative di predisporre programmi efficaci di intervento per la prevenzione e il recupero. Si segnala infine, che dal momento che i fattori derivano da campioni molto grandi, si devono parimenti riferire a gruppi omogenei per caratteristiche specifiche, più che al singolo individuo. La classificazione di Lipsey e Derzon, derivata da una meta-analisi di numerosi studi, suddivide i fattori di rischio in cinque ambiti che riflettono i differenti livelli su cui agiscono: individuale, racchiude i fattori biologici e le caratteristiche psicologiche: sesso, età, Q. I., condizioni fisiche e psichiche; familiare, include le relazioni con i genitori e gli altri componenti del nucleo familiare, litigi e separazioni dei genitori, livello economico e di integrazione della famiglia; scolastico, si riferisce al livello di integrazione e al successo scolastico; gruppo dei pari, si considerano le qualità delle relazioni con i coetanei; vicinato, comprende la qualità delle relazioni con i vicini e le caratteristiche dell’ambiente di vita. In questo lavoro, sono considerati solo i fattori che hanno mostrato una correlazione ampiamente significativa, almeno con r = 0.2; correlazioni inferiori sembrano caratterizzare fattori generici e di scarso peso, per quanto spesso associati ai principali.

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2.2.1a Fattori di rischio in infanzi

L'infanzia si caratterizza per la formazione di legami affettivi stabili con i genitori e gli altri adulti di riferimento, per la percezione di sé, come individualità separata dal mondo e dalle altre figure, con propri pensieri ed emozioni. La ricerca di vicinanza e contatto fisico, caratterizza il piccolo di scimpanzé; gli esperimenti dei coniugi Harlow, durante gli anni '50, dimostrarono che il piccolo ricerca il contatto e il calore della madre, definito “ benessere da contatto”. Muovendo da queste conoscenze, J. Bowlby (1969, 1973 e 1983) ha formulato una teoria dell' attaccamento del neonato alla madre basata su modalità precoci di interazione, che riflettono la formazione di schemi cognitivi, denominati “schemi operativi interni”, che includono conoscenze di sé e dell'altro e le risposte e atteggiamenti ricevuti dalla madre, in relazione al bisogno di contatto. Gli stili individuati dagli esperimenti di Ainsworth, basati su semplici schemi di separazione e ricongiunzione del neonato alla madre, sono quattro: attaccamento sicuro, con proteste alla separazione che cessano al ricongiungimento; evitante, indifferenza alla separazione e al ricongiungimento alla madre; resistente, o ansioso, ricongiungimento;

con

proteste

continue,

aggressività

non

confortate

dal

•disorganizzato, con comportamenti ambivalenti alla separazione e al ricongiungimento, come correre verso la madre ma non guardandola mai in viso. La strutturazione dei differenti patterns di attaccamento è stata correlata con le differenti modalità di rapporto della madre con il neonato, influenzandone la successiva modalità di relazione con gli altri e la propria valutazione di sé. Un pattern di attaccamento sicuro, crea schemi cognitivi che permettono al bambino e più tardi all'adulto, di stabilire relazioni durevoli e meno turbolente, potendo contare su validi schemi cognitivi cui attingere nei momenti di difficoltà. Patterns insicuri o instabili, favoriscono modalità relazionali disturbate, con senso di insicurezza, ansia di perdere l'oggetto relazionale o incapacità di formare legami affettivi durevoli. Il pattern evitante è stato messo in relazione con la personalità antisociale, aggressiva e violenta, considerando che un attaccamento instabile, predispone a una scarsa elaborazione di caratteri e schemi cognitivi che favoriscono empatia, vicinanza e relazioni calde e fiduciose, che spesso si rinvengono nelle personalità disturbate, associate a comportamenti violenti e criminali. 37


I due fattori più pesanti in infanzia sono risultati:

coinvolgimento in azioni devianti e violente, quali furti, danneggiamenti, violazioni di domicilio e ricatti, anche con condanne; uso di sostanze, tipicamente alcol e spinelli, che per quanto diffuse in adolescenza, nei ragazzi sotto i 12 anni rivelano l’appartenenza ad uno stile di vita deviante e antisociale. Questi due fattori concomitanti ed associati al sesso maschile, aggressività e iperattività a scuola, configurano il mix a più alto valore predittivo. Il sesso maschile si differenzia da quello femminile per l'assetto ormonale e dimorfie cerebrali, che lo rendono evolutivamente più incline ad esprimere fisicamente gli stati emozionali, che sono anche oggetto di una valutazione differenziata in società: i comportamenti violenti sono infatti emessi per il 75% da maschi. L'iperattività, con o senza deficit di attenzione, ha rivelato buona capacità predittiva di aggressività, anche considerando che i 3/4 diagnosticati sono maschi. Tradizionalmente l'aggressività è stata descritta all'interno di un gruppo di individui simili, classificandola in base allo scopo che persegue, successivamente,considerando che l'aggressività è sostanzialmente uno stato emozionale, l'attenzione dei ricercatori si è focalizzata anche sulle modalità espressive, ed è stata distinta, tra l'altro, in verbale, psicologica e fisica, rivolta a persone o a oggetti. Quest'ultima ha rivelato maggiore correlazione con la violenza grave, anche se non in senso lineare, né con peso elevato (Nagin e Tremblay, 1999). Da ultimo, consideriamo il peso della violenza, espressa in ambito domestico e negli ambienti di vita del bambino. L'esposizione alla violenza durante l'infanzia e nella prima adolescenza dispiega conseguenze notevoli sullo sviluppo mentale, specie per gli aspetti della regolazione emozionale. Il bambino e il giovane adolescente può manifestare disagi e fobie, tipicamente paura di restare solo, del buio, o incubi notturni oppure comportamenti regressivi, come enuresi e difficoltà di verbalizzazione, scarsa concentrazione a scuola e sentimenti di sfiducia e senso di sopraffazione. L'area delle relazioni interpersonali è parimenti colpita, con scarsa capacità di affidamento, scarsa intraprendenza e indipendenza. Le conseguenze sono maggiori quando la violenza è espressa in famiglia, dai genitori tra loro o con terzi e quando esita in lesioni, proprio per l'anormalità del contesto in cui si attua, che dovrebbe rappresentare un rifugio sicuro dalle aggressioni e pericoli dell'ambiente. L'esposizione alla violenza può promuovere comportamenti simili oppure può inibire il comportamento e renderlo incline alla depressione e al sentimento di impotenza, quindi non è fondata la radicata convinzione di numerosi operatori, secondo la quale chi subisce violenza in infanzia sarà incline a riprodurla da adulto.

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2.2.1.b Fattori di rischio in adolescenza

Questo periodo, che biologicamente è segnalato nella femmina dall'inizio dell'ovulazione e nel maschio dalla separazione dei testicoli, in psicologia è generalmente ricompreso tra 12 e 17 anni, terminando con l'ingresso nell'età adulta. Più in generale definito seconda decade di vita, è caratterizzato dalla proiezione del giovane all'esterno della famiglia, con un ruolo crescente giocato dal gruppo dei coetanei. Durante questa decade, i giovani sono maggiormente sollecitati a confrontarsi con i coetanei, a sviluppare relazioni caratterizzate sessualmente e dove l'aggressività e la capacità relazionale sono messe alla prova. La conquista dell'indipendenza, l'affermazione della propria identità personale e sessuale, conoscere le proprie abilità e competenze, rinegoziare i propri ruoli in famiglia e con i coetanei è fonte di stress e motivo di ansia e sentimenti contrastanti. Proprio in questa decade si osservano il maggior numero di comportamenti devianti e violenti, considerando che circa il 15% dei giovani adolescenti è coinvolto in atti violenti. Aggressività e violenza, per alcuni, possono servire per affermare la propria identità e ruolo all'interno del gruppo dei coetanei ma possono anche esprimere condizioni di disagio e segnalare malattia. I fattori dell'infanzia perdono peso, a vantaggio di quelli che derivano dalle relazioni con i pari, con l'emergenza di due: scarsi legami di comunanza e amicizia con i compagni di scuola e con i coetanei, essere evitati o deliberatamente esclusi, scarsamente considerati e denigrati dai compagni di scuola per caratteristiche personali, stili di vita e appartenenza etnica; Può segnalare una serie di disagi e disturbi, che quando osservati per lunghi periodi possono indicare l'interessamento dello spettro schizofrenico o affettivo, potendosi ricondurre a disturbi di personalità schizotipica o paranoide, o a depressione non diagnosticata. stabilire relazioni strette con coetanei antisociali, con carriera criminale attiva e /o far parte di una gang giovanile. La gang è formata da un gruppo di giovani, caratterizzati da comportamenti devianti, stili di vita non convenzionali, spesso con compimento di azioni criminali, quali risse, comportamenti a rischio, uso di sostanze, furti e atti violenti. Altri fattori di rischio, anche se con minor peso, sono: un basso livello socio economico della famiglia che preclude al bambino l'accesso alle normali opportunità di istruzione e di lavoro, rendendo più probabili l'abbandono scolastico e l'adozione di stili di vita devianti, genitori con tratti antisociali e stili di vita devianti e violenti rappresentano un fattore di notevole peso, se associato al precedente. Invece, vivere in quartieri ad alto degrado 39


ambientale e sociale non ha rivelato di per sĂŠ una correlazione significativa, al pari di separazioni e divorzi dei genitori, anche quando seguiti da allontanamento duraturo del figlio, con perdita di una o di entrambe le figure di attaccamento. Considerare preminenti i fattori individuali e familiari non vuol dire che i fattori socioeconomici non siano rilevanti, piuttosto che sono considerati derivati e secondari.

2.2.2 Fattori protettivi

Similmente ai fattori di rischio, sono stati individuati un certo numero di fattori che proteggono il bambino e rendono meno probabile che incontri i fattori di rischio. Due in particolare, hanno rivelato un alto potere protettivo: aver formato un attaccamento sicuro durante l'infanzia, con genitori non inclini alla violenza, che hanno fornito valide relazioni di sostegno, in un clima di calore e fiducia. Questo fattore dispiega effetti generici e indiretti, favorendo attitudini sociali positive, che guidano il bambino verso coetanei con caratteristiche simili; mostrare buon coinvolgimento nelle attività scolastiche ed extra scolastiche, segnale di buon orientamento sociale del bambino, anche quando non confortato da buoni risultati. Altri fattori hanno rivelato un peso assai debole e sono emerse difficoltà nell’operare una netta separazione del peso specifico di ciascuno.

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2.2.3 Bullyng e DAI

Olweus (1993), definisce bullismo una forma di comportamento aggressivo attuato da un bambino o preadolescente, diretto a un bersaglio determinato, espresso attraverso due modalità: diretta, con minacce, derisioni e aggressione fisica, indiretta, attraverso l'esclusione, l'isolamento e l'indifferenza emotiva. In genere il bullo è aggressivo con i coetanei e con gli adulti, in particolare genitori e insegnanti, considera la violenza un mezzo per farsi strada nella vita, disprezza i coetanei più deboli e con difetti fisici, prova un forte bisogno di dominare, mostra indifferenza e disprezzo per la vittima. Olweus distingue due tipi di vittime: la vittima provocatrice, sono bambini che esprimono frequentemente aggressività reattiva, labile regolazione emozionale, spesso irritabili, reagiscono verbalmente alle provocazioni e non godono del supporto e della simpatia dei compagni; la vittima passiva, timida, ansiosa, insicura e con bassa autostima. Il bullismo ha una sua natura relazionale, in quanto si verifica in contesti associativi, come a scuola, ambienti ricreativi e sportivi, dove sono importanti le abilità di riconoscere i propri e altrui stati emozionali. Dal punto di vista evoluzionistico, si può considerare il bullismo una precoce forma di aggressività, finalizzata alla concquista di una posizione di dominanza in un gruppo, anche se molti bambini non cercano di prevalere ma solo di bersagliare una vittima designata. L'estrazione sociale di bulli e vittime è diversificata, mentre sul piano delle abilità e rendimento scolastico non sono rilevate differenze rispetto alla popolazione generale e quando è presente scarso rendimento è stato per lo più riferito a mancanza di motivazione e interesse per le attività scolastiche. Rispetto all'età dei soggetti, il fenomeno in Europa tende a un picco tra gli 10 e 11 anni, mentre in America è differito di un paio di anni. I maschi, durante il picco, dichiarano di aver commesso bullyng contro compagni di classe nella misura del 20%, contro la metà delle femmine, mentre attestano un identico tasso di vittimizzazione, pari al 20%. Anche le modalità operative sono differenziate per genere: i maschi sono individualisti, impulsivi e muscolari, anche se alcuni sorprendono per la perfidia dei loro gesti, mentre le femmine più spesso agiscono in gruppo, manifestando indiferenza emotiva, derisione, fino all' esclusione di una compagna. Nei maschi il bullismo è rapportabile ad affermazione di dominanza, esercitando potere e controllo su un coetaneo e per questo non sorprende che bulli e vittime appartengano ad ogni classe sociale e che il fenomeno non sia che minimamente influenzato dal tipo di scuola e dal modo di conduzione della classe da parte degli insegnanti. Bulli e vittime, sia pure per differenti caratteristiche, non godono di popolarità, simpatia e amicizia da parte dei compagni di classe: i primi perché sono prevaricanti e non empatici, i secondi perché titubanti, isolati e con reazioni 41


improvvise e sconcertanti. I bulli tendono a commettere errori nel decifrare lo stato emotivo altrui, in particolare confondono frequentemente l'emozione di disagio e infelicità della vittima con quella di felicità e in genere falliscono nel comprendere i sentimenti degli altri (Smith et al. 1993), in modo analogo a molti bambini aggressivi. Questi falliscono l'interpretazione dei segnali facciali altrui, specie in contesti ambigui (Dodge, 1980, Dodge e Frame, 1982), non riescono a condividere le regole che stabiliscono quali comportamenti sono appropriati in contesti di disputa e finiscono per emettere risposte aggressive di cui sovrastimano l'efficacia, non disponendo che di un limitato repertorio comportamentale. Per altri autori (Smith et al. 1993; Sutton et al. 1996), con i quali convergiamo, non sempre le manifestazioni aggressive si accompagnano a discontrollo degli impulsi, per cui la maggior parte dei bulli è caratterizzata da comportamenti deliberatamente volti a dominare e sottovalutano o non considerano i sentimenti altrui per proprio tornaconto piuttosto che per incapacità a decifrare le emozioni altrui e a controllare il proprio stato emozionale. Per il DSM il bullyng rappresenta una delle possibili manifestazioni del DdC ma ad oggi, non esistono strumenti in grado di predire quali soggetti continueranno le condotte antisociali da adulti. Per una discussione sulla validità della diagnosi di DdC si rimanda al paragrafo sulla psicopatia. I bambini affetti da deficit di attenzione, con o senza iperattività sono caratterizzati da tre principali aspetti caratteristici: inattenzione iperattività impulsività In questo disturbo la componente biologica gioca un ruolo rilevante e quasi sempre il DAI fa da spia ad altri disturbi che il bambino incontrerà durante lo sviluppo, tipicamente quelli dell'umore, d' ansia e disturbo di condotta. Ancora non è chiaro se il DAI rappresenti una prima manifestazione psicopatologica di una serie di altri disturbi ad esordio in preadolescenza o se invece, determinando distorsioni dei periodi critici, influenzi negativamente lo sviluppo di altre aree corticali, detrminando altri disturbi secondari. In ambito scolastico è utile riconoscere questi comportamenti e segnalarli alla famiglia, affinché sottoponga il bambino a visita specialistica ed eventualmente a trattamento, per cercare di ridurre i disturbi in adolescenza, tra i quali figura, in circa un quarto dei casi, quello di condotta. Non sempre la componente ipercinetica è presente e non è nemmeno la più rilevante, piuttosto è il deficit di attenzione, la facile distraibilità, il repentino e tumultuoso cambio di atteggiamento e disposizione mentale, la difficoltà a seguire i discorsi delle maestre e a leggere e decodificare il significato di frasi scritte alla lavagna, la chiassosità e intempestività a suggerire la necessità di un approfondimento. Quando la componente ipercinetica è presente, la diagnosi è facilitata, perché sempre si accompagna a deficit di capacità attentive e a volte a segni di instabilità dell'umore. I bulli non presentano deficit attentivi ma piuttosto sono caratterizzati da perfidia e malizia, i maschi possono anche essere fisicamente violenti ma si riconoscono dai bambini affetti da DAI perché questi mancano di cattiveria, semplicemente sono inopportuni e molesti ma non contro 42


un bersaglio determinato. Fortunatamente, a parte quelli che derivano da evoluzione di DAI in adolescenza, i bulli tendono in gran parte a cessare tali comportamenti e solo una piccola quota li prosegue in adolescenza e da adulti, manifestando tratti antisociali e psicopatici.Al proposito, la maggior parte degli psicopatici in infanzia era piuttosto schiva e isolata, sicuramente problematica ad un occhio esperto ma non molesta per gli insegnanti e compagni di scuola.

2.3 Tre situazioni problematiche coinvolgenti i bambini

Sindrome dello scuotimento (shaken child), ricorre quando la madre o altro caregiver scuote energicamente il neonato, nel tentativo di farlo smettere di piangere. Dal momento che le strutture anatomiche non sono ancora completamente formate, lo scuotimento può esitare in emorragie sub-aracnoidali e altre forme emorragiche, accompagnate da una sintomatologia clinica che include torpore, vomito e febbre. L'origine del comportamento è da ricondurre a due motivazioni: -malpractice dovuta a un maternage carente, frequentemente attuato da madri giovani e inesperte, -azioni impulsive e rabbiose, volte a liberarsi dallo stress causato dal pianto del neonato, attuato da madri che presentano all'anamnesi una storia di frustrazione per una gravidanza non desiderata o una storia di disturbi dell'umore, aspetti ossessivi, compulsivi, eventi stressanti concomitanti, separazioni e non raramente è presente abuso di sostanze. Disturbo provocato da un parente (Munchausen syndrome by proxy, MSBP), alla lettera, per procura, in cui un genitore, di solito la madre, causa deliberatamente disturbi e malattie nel figlio, di solito in età prescolare, somministrandogli sostanze che provocano vomito o infettandolo con liquidi organici, causando una varietà di disturbi che i medici spesso non riescono a ricondurre a una causa precisa. La personalità dell'abuser è riconducibile al disturbo narcisistico di personalità, con tendenza al funzionamento border; sono spesso rintracciabili storie di incomprensione coniugale, scarsa considerazione paterna, incomprensione dei bisogni emotivi sia in infanzia che nell'attuale ménage. Non raramente queste giovani madri preoccupate per la salute del figlio, alla cui causa dedicano tutto il loro tempo e attenzioni, erano state studentesse di medicina o allieve infermiere, scartate per la loro instabilità caratteriale e inadeguatezza emotiva. Quando uno 43


staff sanitario ha a che fare con queste pazienti, si creano al suo interno incomprensioni e divisioni tra quelli che sostengono la madre e quelli che la considerano una persona problematica. I motivi di simili condotte sono da ricomprendere nella ricerca di attenzioni compensatorie del senso di vuoto e indifferenza emozionale che ha circondato l'abuser e a volte anche in un senso di rivincita nei confronti di un sistema che le ha escluse. Sparizione di bambini ad opera dei familiari, ricorrono con una certa frequenza e sono riconducibili a una serie di fattori. Quando un bambino o due fratellini spariscono senza un motivo e senza segni di incidente o di fuga o richieste di riscatto, si deve sospettare che uno o entrambi i genitori o i familiari siano parte attiva dell'evento quando ricorrono queste condizioni: - separazioni con strascichi e rivendicazioni riguardo l'assegnazione dei figli, - separazioni con nuovi partner, spesso è presente il “doppio incrocio”, cioè scambio reciproco dei partner tra due coppie, - partner femminile che ha avuto figli da altra relazione durante la relazione ufficiale attuale o precedente, - sospetto di tradimenti e figli non propri. Si tratta di situazioni complesse, che hanno in comune i figli, ora come mezzi di rivendicazione, ora come prova di tradimento o come strumenti di vendetta su cui rivalersi. Per arrivare a gesti gravi sono però necessarie ulteriori condizioni, quali disturbi di personalità, disturbi dell'umore ed eventi precipitanti, quali fattori di stress, come litigi e disagio ambientale diffuso. Anche quando sono presenti motivi opportunistici, nella madre è sempre riscontrabile il carico patologico e lo stress, tendenza a soffrire di crisi depressive o dissociative e a mostrare aspetti regressivi della personalità.

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2.4 Adolescenti e gruppi a rischio

L'adolescenza coincide con trasformazioni anatomiche, fisiologiche e cognitive che preludono all'ingresso del soggetto nel mondo adulto, in cui c'è piena assunzione di ruoli diversificati che sottendono la capacità di mediare efficacemente all'interno dei differenti contesti di vita. In questa fase, compresa tra 13 e 18-20 anni, maschi e femmine compiono traiettorie di sviluppo differenziate e complementari in continuità con il percorso infantile, con specifiche caratteristiche familiari e ambientali. Gli aspetti su cui soffermarsi sono molteplici ma qui si sottolinea l'importanza del consolidamento dell'identità sessuale, la capacità di gestire e regolare il proprio stato emozionale e l'acquisizione di una buona autostima e fiducia nei propri mezzi e abilità, punti discriminativi per una valida maturazione della personalità in senso non problematico. Quando lo sviluppo infantile è avvenuto in un ambiente supportivo, in un clima favorevole a una sana crescita psicologica, le problematiche adolescenziali sono generalmente ridotte e più facilmente affrontabili e superabili ma sappiamo che non sempre le cose vanno in senso auspicabile: litigi e separazioni coniugali, clima affettivo freddo e distaccato, situazioni di negligenza e abuso sono altrettanto frequenti e predispongono il bambino e più tardi l'adolescente, a incontrare disagi, disturbi e difficoltà che possono avere effetto sommativo e manifestarsi anche in modo eclatante durante il delicato periodo di transizione adolescenziale. E' in questo periodo che presistenti disturbi non diagnosticati cominciano a dare segni clinici importanti e non raramente gli adulti che vivono con il soggetto e anche gli operatori sanitari tendono a non riconoscerli o a sottovalutarli. Forme ansiose, depressive, dissociative e deficit di attenzione si manifestano precocemente nei bambini predisposti e non tendono a risolversi spontaneamente, bensì si consolidano in forme clinicamente differenti, tipiche dell'adulto. In definitiva, traiettorie distorte di sviluppo, ambiente problematico e presenza di disturbi, tendono a convergere nel periodo adolescenziale, già irto di difficoltà e sfide, rendendo il soggetto ulteriormente vulnerabile. E' in questa fase dell'arco della vita che assume sempre più rilievo la dimensione aggregativa e si manifesta la naturale tendenza del soggetto a partecipare a gruppi di diverso orientamento e rispondenti a esigenze differenti. Nel gruppo sono messe alla prova le abilità di stringere alleanze, risolvere le dispute e sono cercate risposte ai bisogni di intimità e vicinanza. Il gruppo inoltre, riflette il bisogno dell'adolescente di cercare sostegno e condivisione delle ansie e difficoltà derivanti dalla ricerca di nuovi ruoli. Coloro che provengono da un percorso di sviluppo sufficientemente equilibrato, che hanno potuto confrontarsi con i propri stati emozionali e hanno appreso modalità efficaci di controllarli, potranno più facilmente vivere l'esperienza nel gruppo di amici in modo non problematico, disponendo di un bagaglio di risorse psicologiche cui attingere e che potrà essere ulteriormente sviluppato e adattato al nuovo contesto relazionale, mantenedo spazi adeguati di autonomia, necessari alla propria individualità. I soggetti che invece provengono da un percorso di sviluppo problematico, che non hanno ricevuto adeguate cure fisiche e psicologiche o che hanno subito forme di abuso, tendono a incontrare fattori di rischio elevati, anche in relazione alla possibilità 45


di entrare in gruppi problematici. E' opportuno distinguere i soggetti che fanno parte di gruppi tipicamente dediti al crimine, caratterizzati da radicamento sul territorio e scopo di lucro, dediti al furto, traffico di sostanze e gioco d'azzardo, che la letteratura americana denomina gang e youngsters, che in europa è fenomeno assai meno diffuso e con minori potenzialità offensive, prevalentemente per la minore diffusioni di armi da fuoco. La facilità di accesso alle armi differenzia la popolazione giovanile americana in confronto a tutte le altre nazioni industrializzate, seguita da quella israeliana e nord-irlandese. Questa caratteristica è stata correlata con i più alti tassi mondiali di omicidio e suicidio tra bambini e adolescenti, proprio perché i gesti lesivi sono più spesso realizzati con armi da fuoco, con conseguenze più gravi. Nel 2001, la Youth Risk Behavior Survay (YRBS), rilevava che nel mese precedente all'intervista, gli studenti dei college che avevano portato un'arma a scuola era pari a M = 29% F = 6% , un dato nemmeno confrontabile con quello degli studenti europei. Inoltre in America si registra il più alto numero di bande giovanili devianti, criminali e violente, probabilmente per il convergere di diverse variabili ambientali, quali alti tassi di immigrazione, minoranze etniche, alta mobilità sociale e precarietà lavorativa, diffusione di sostanze e degrado sociale e ambientale diffuso. I gruppi più tipicamente problematici ma non dediti al crimine invece sono più instabili, in molti casi non è presente nemmeno una chiara intenzione di formare un gruppo con scopi definiti, sono composti da soggetti che spesso non hanno raggiunto una identità sessuale stabile, denotata da atteggiamenti confusi o al contrario ipermascolinizzati. Identità poco strutturata, strategie di difesa non funzionali, identità sessuale fluttuante, sono spesso rintracciabili nei soggetti appartenenti a gruppi di adolescenti che manifestano comportamenti violenti sia all'interno che all'esterno. Molti gruppi comprendono elementi appartenenti a minoranze etniche, caratterizzati da comportamenti tipicamente delinquenziali, scarsa o punta integrazione sociale e composti da soli maschi, un mix di frequente riscontro nei casi di aggressione sessuale violenta. Gruppi misti, composti da elementi culturalmente eterogenei, accomunati dalla condivisione di ambienti e classi sociali disagiate, sono caratterizzati da una maggiore propensione per la devianza non violenta e dal ruolo delle femmmine, spesso vere ispiratrici delle bravate. Negli ultimi vent'anni, si è registrata una costante crescita di gruppi di sole femmine, in genere ipermascolinizzate, appartenenti a subculture urbane, caratterizzate da devianza, stili di vita non convenzionali e diffusa omosessualità. Quando frequentano le scuole, i soggetti che appartengono a gruppi problematici attuano e subiscono bullyng con frequenza doppia in confronto alla popolazione scolastica di riferimento e non raramente sono segnalati all'Autorità e sottoposti alle cure dei servizi sociali del territorio.

A. B. e C. sono tre adolescenti problematici di 15 anni che abitano in un quartiere popolare e si frequentano dal tempo delle elementari. Segnalati ai servizi sociali del territorio per piccoli furti e danneggiamenti, sono seguiti dalle assistenti sociali e da una psicologa che ha predisposto un progetto di intervento basato sulla fiducia e responsabilizzazione, lasciando ai ragazzi ampia libertà di espressione, avvalendosi del monitoraggio delle assistenti sociali. Gli incontri periodici con i ragazzi sono finalizzati a sviluppare capacità di internalizzazione delle conseguenze delle loro azioni, discriminando i comportamenti accettati da quelli esecrati. Trascorsi alcuni mesi, i tre sono sorpresi mentre si aggiravano attorno a un'auto con carta e liquido infiammabile e confessano di essere stati loro 46


a incendiare le tre auto e i due motocicli durante le settimane precedenti. Non conoscono i proprietari e asseriscono di averlo fatto solo per gioco, per rompere la monotonia. La psicologa è molto dispiaciuta per l'accadimento, avendo messo in conto la possibilità di qualche furtarello, che avrebbe potuto fornire l'occasione per aprire uno spazio terapeutico, utile per l'internalizzazione. Il giudice, sentito il parere di uno psicologo esperto in problematiche di violenza e devianza giovanile, decide l'affidamento dei tre a una comunità di recupero, dove potranno continuare il percorso terapeutico in un ambiente più controllato.

2.5 Considerazioni critiche sulla violenza giovanile

Un aspetto critico della conoscenza dei fattori implicati nella violenza giovanile è rappresentato dal peso da attribuire a ciascuno. Sappiamo che i fattori appartengono a tre classi, biologica, psicologica e sociale ma i ricercatori non concordano né riguardo al peso di ciascuna, né riguardo al modo in cui i fattori si combinano durante lo sviluppo: biologi e psichiatri si concentrano sui fattori biologici, gli psicologi su quelli personologici, antropologi e sociologhi sui fattori sociali e culturali. Se consideriamo il mix di fattori che caratterizzano i giovani violenti si rileva: a livello neurale, anomalie di funzionamento di alcune aree del SNC, soprattutto a livello del lobo frontale, temporale e di alcune strutture diencefaliche, inoltre sono presenti alterazioni della fisiologia della serotonina e dei suoi metaboliti; nei soggetti uccisi in conflitti a fuoco o in quelli che hanno compiuto un suicidio in forma cruenta, con armi o condotte spericolate, la neuroimaging mostra frequentemente aree di dimensioni insolite, a livello personologico e ambientale, sono presenti deficit di attenzione, iperattività, impulsività, alta o al contrario bassa autostima, ansia, depressione, basso Q.I., relazioni problematiche con i familiari, trascuratezza e abuso, genitori separati con strascichi, interruzione degli studi, residenza in quartieri popolari, in aree ad alto tasso di immigrazione, spesso appartenenza a minoranze etniche. Dati relativi alle caratteristiche dei comportamenti violenti sottolineano la necessità di ulteriori analisi. La generale osservazione che i giovani violenti, a prescindere dalla traiettoria di inizio, con l'eccezione di una piccola quota residuale, cessano la carriera violenta in corrispondenza 47


del passaggio all'età adulta e comunque entro due, tre anni, fa riflettere sulla correttezza e valore diagnostico di una diagnosi di Disturbo di Condotta (D.di C.) e da adulto di Disturbo Antisociale (D.A.), ascritta a giovani violenti e abusanti, a bulli, membri di gang giovanili e sex offenders. Un disturbo di personalità infatti è una modalità relativamente stabile e costante nel tempo di rapportarsi al mondo, pertanto chi riceve diagnosi di D. di C. e di D.A. per condotte violente, dovrebbe mantenere tali condotte nel tempo, considerazione che stride con i dati sulla violenza giovanile. Inoltre, alla nascita e durante lo sviluppo, coloro che presentano anomalie, sono più spesso caratterizzati da impulsività, discontrollo degli impulsi, comportamenti a rischio, come guida spericolata, attività sessuale promiscua e gioco d'azzardo e sono predittivamente caratterizzati da deficit di serotonina e anomalie dell'amigdala. A parte queste tipologie, ad oggi non è possibile individuare preventivamente i bambini che da adolescenti diverranno violenti da quelli che, pur condividendo uno stesso mix di fattori, non compiranno mai condotte violente: infatti uno stesso mix causale, può fornire esiti differenti in relazione alla dose di ciascun fattore e al tempo di inizio e durata del loro effetto. Il fatto che i soggetti a rischio provengono in gran parte dalle classi più disagiate rimanda alla maggiore probabilità di crescere in un clima familiare negativo, dove sono diffuse trascuratezza e talora abuso fisico ed emozionale. Gli psicologi del comportamento, più di quelli aderenti ad altre aree, si riconoscono nel tipo di metodologia statistico-correlazionale degli studi americani, che individua fattori di rischio e protettivi a partire dai quali si possono predisporre programmi di prevenzione e interventi rieducativi che incontrano i criteri di efficacia ed efficienza che altri approcci teorici non sono in grado di avvicinare, anche se offrono una discreta comprensione dei singoli casi. Anche la psicologia evoluzionistica offre una comprensione ampia e globale del fenomeno. Se i comportamenti sono il risultato di un adattamento all'ambiente, è chiaro che anche la violenza può essere l'espressione di una selezione in cui l'individuo incrementa le possibilità di sopravvivere in un ambiente che sollecita comportamenti violenti in relazione a situazioni specifiche, mediate anche culturalmente. Secondo questa prospettiva, il giovane rampollo di una famiglia “wasp”, con studio in un lussuoso palazzo di Manhattan e il giovane portoricano pieno di tatuaggi, membro di una gang, hanno entrambi realizzato un adattamento ai loro rispettivi ambienti di vita e solo il giudizio di una maggioranza, che non condivide lo stile di vita dei portoricani, li definisce maladattati e youngsters. In assenza di condizioni patologiche congenite o acquisite a seguito di traumi o malattie, un bambino che cresce in un clima familiare positivo, ricevendo attenzioni e sostegno, difficilmente intraprenderà una condotta deviante, anche quando il suo contesto di vita e le relazioni di vicinato, offrono modelli tipicamente devianti e violenti, perché gli stimoli ricevuti nel corso di tappe precoci di sviluppo sono prioritari e modulano quelli che li seguono. Essendo stato ascoltato e compreso empaticamente, egli può accedere al suo mondo emozionale e aprirsi agli altri e in tal modo è probabile che da adolescente si orienti verso stimoli che risuonano con quelli che ha ricevuto in passato, evitando le compagnie e le situazioni che non vi si accordano. Nella maggioranza dei casi i comportamenti devianti e violenti sono una forma di adattamento ma non rappresentano un'opzione volontaria, un'adesione libera a uno stile di vita, piuttosto sono una risposta psicologica che favorisce la sopravvivenza emozionale e non sono nemmeno un disturbo, come il D. di C. o il Disturbo da abuso di sostanze, sia pure con numerose eccezioni, in cui sono presenti alterazioni neurologiche, disturbi e adozioni di stili di vita. 48


M è un adolescente albanese di 14 anni, cresciuto in un clima di trascuratezza e indifferenza, con un'infanzia senza comodità e giocattoli e da tempo è seguito dai servizi sociali, per le condizioni disagiate in cui vive e per piccoli furti. Nel quartiere dove abita, da alcuni mesi la gente lamenta il furto di biciclette e oggetti dalle auto, quando casualmente vengono rinvenute, in una casa diroccata, biciclette e oggetti di tutti i generi. M., che era stato notato aggirarsi in quel luogo, anche in compagnia di amici, confessa di averli rubati lui quegli oggetti ma non sa perché l'ha fatto, perché non voleva altro che prenderli e metterli via. La psicologa dei servizi, scrive nella relazione per il Tribunale dei minorenni che M. aveva cercato, con il furto di oggetti, di compensare il suo bisogno di considerazione e di possesso di giocattoli che in infanzia gli era stato precluso.

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Riferimenti bibliografici

Violenza giovanile

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Cap. 3 Sex Offenders e diagnosi di abuso

3.1 Introduzione

In base alle modalità di realizzazione, seguendo la classificazione di Basile e Saltzman, 2002, si distinguono quattro forme di violenza e abuso sessuale: rapporto completo, vaginale e anale e tutte le altre forme di contatto parziale del pene e delle dita con bocca, ano e vagina, con chi rifiuta il consenso o non può darlo temporaneamente o permanentemente; rapporto tentato ma non completato, cioè cercare di compiere le azioni del punto precedente, senza riuscita; abuso sessuale minore, comprendente i palpeggiamenti e il toccare le parti intime da sopra i vestiti; assenza di contatto sessuale ma esposizione della vittima a osservazione indiscreta o a harassment, come scattare foto o realizzare video ritraenti la vittima in situazioni intime o tramite Internet ed altri mezzi.

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Sviluppo psicosessuale

Funzione o pulsione sessuale sottende la complessa attività del SNC che esprime le fantasie, desideri e i comportamenti di ricerca, attrazione e soddisfacimento sessuale. Questa funzione matura in corrispondenza di periodi critici che si succedono nel corso dello sviluppo e giunge a termine con la maturazione anatomofisiologica delle gonadi, legata alla elevazione del tasso di alcuni ormoni. Caratteristiche della pulsione sessuale sono le tappe di fissazione dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale che si ritiene utile definire : identità biologica, è la connotazione maschile o femminile derivante dal possesso di caratteri sessuali primari e secondari; identità di genere, è la consapevolezza di appartenere al genere maschile o femminile; costituisce uno degli aspetti fondamentali del sé; orientamento o polarità sessuale, è l’attrazione sessuale che il soggetto prova per gli altri individui; può essere etero, omo o bi sessuale. identità psicosessuale o semplicemente identità sessuale, è l’insieme di identità di genere e orientamento. La maggior parte dei soggetti raggiunge una corrispondenza funzionale tra identità biologica, di genere e orientamento sessuale: un ragazzo si sente maschio e prova attrazione per le ragazze. Altri soggetti assumono configurazioni sessuali disfunzionali; ad es. un ragazzo si sente femmina e prova attrazione per i coetanei (disturbo dell’identità di genere), un altro si sente maschio e in seguito prova attrazione per i maschi (disturbo dell’orientamento sessuale). L’identità di genere alla nascita è poco configurata, anche se sappiamo che gli encefali dei neonati dei due sessi presentano aree dimorfiche che segnalano la predisposizione a svolgere funzioni secondo differenti modalità.

Parafilie

Le parafilie sono equamente distribuite all’interno dei differenti orientamenti sessuali e il termine è equivalente a perversioni sessuali, cioè tutte quelle condizioni in cui un soggetto esperisce eccitazione e appagamento sessuale per mezzo di oggetti, fantasie e situazioni insolite e non comuni, al punto da assurgere a ruolo principale dell’attività sessuale. Per il DSM, 54


queste attività devono essere devianti rispetto alle comuni modalità di soddisfare la pulsione sessuale e produrre disagio psicologico o interferire negativamente sul funzionamento sociale e relazionale. I ricercatori del DSM considerano il feticismo una parafilia autonoma, per altri invece è alla base di tutte le parafilie e ci sono buoni motivi per sostenere un simile punto di vista. Sexual fetish behaviour designa una costellazione complessa e interconnessa di fantasie e comportamenti che catalizzano l’eccitazione sessuale e a volte anche il suo soddisfacimento, secondo modalità e intensità variamente graduate. Anche il corpo, nel suo insieme o nelle sue parti, può divenire oggetto di polarizzazione feticista e costituire la principale fonte di sexual arousal, come si osserva nei feticisti del piede femminile, foot fetish, o in quelli attratti dai lineamenti infantili o all’opposto da donne mature o grasse. Il termine feticista ha valenza specialistica e non si applica alle persone attratte dal piede o da altri aspetti del corpo, senza farne oggetto di polarizzazione patologica. Esibizionista, nel linguaggio comune indica un individuo che si pone al centro dell’attenzione, sia fisicamente che psicologicamente ma in tema di parafilie, esibizionista indica colui che mostra i genitali in situazioni sconvenienti, creando sconcerto e ripulsa. Un feticista del piede può essere un podolatra, cioè un adoratore del piede femminile e dei suoi accessori e collezionare decine di paia di scarpe calzate da piedi femminili o essere attratto da particolari conformazioni, piedi grossi o piccoli, ben curati e levigati o ruvidi e callosi o con telengectasie, solo per accennare al livello di estrema specializzazione che coinvolge il feticismo.

Ci sono condizioni che ricorrono e che si ossono riepilogare in questi tre punti: un soggetto più spesso è affetto da più di una parafilia; quasi sempre presenta stigmate psichiche e anomalie del funzionamento relazionale, ad esempio bassa autostima, depressione, ansia e aspetti compulsivi ; le parafilie agite coinvolgono maggiormente il sesso maschile. Il disturbo è compulsivo e tende ad essere agito secondo un modello ritualizzato, può essere avversato dal soggetto, che può provare vergogna e senso di colpa ma può divenire egosintonico e integrato nella personalità, senza creare particolari disagi. Le cause delle parafilie non sono ad oggi conosciute e i due modelli teorici maggiormente rappresentativi, quello psicoanalitico e quello comportamentale, pur fornendo ipotesi interpretative utili, non sono considerati soddisfacenti dagli studiosi di sessualità e psicopatologia. Il primo rimanda a fissazione o regressione a fasi precoci dello sviluppo pulsionale, mentre il secondo chiama in causa il condizionamento di stimoli ed eventi all’eccitazione sessuale durante periodi sensibili di sviluppo: ma la spiegazione psicoanalitica dello sviluppo sessuale non è accettata dalla maggioranza dei ricercatori, per contro si è visto che le parafilie possono essere presenti anche in soggetti che in infanzia o in adolescenza non hanno riportato condizionamenti significativi. E’ certo che life events e traumi affettivi e sessuali 55


in infanzia hanno rivelato elevata correlazione con alcune parafilie, specie sado-masochismo e pedofilia. In particolare, subire abuso sessuale in età prepubere e subire dai genitori punizioni in forma particolarmente umiliante da minacciarne l’autostima o l’identità sessuale, come essere deriso per la lunghezza del pene o punito o deriso per essere stato sorpreso con il pene eretto, sono situazioni presenti in molti individui affetti da parafilie sado-masochiste e pedofilia.

3.2.1 Pedofilia

E’ la parafilia più problematica e dannosa, comprendendo fantasie, desideri e pratiche sessuali con soggetti prepubere o adolescenti. La maggior parte dei pedofili appartiene al sesso maschile e la parafilia si affianca all’orientamento sessuale, divenedo presente alla consapevolezza del soggetto tra i 14 e 20 anni. L’oggetto pulsionale è rappresentato dalle caratteristiche indifferenziate e immature del corpo di bambini e adolescenti, con quattro specializzazioni caratteristiche: pedofili attratti da neonati e bambini entro i tre anni, pedofili attratti da bambini tra 4 e 10/12 anni, pedofili attratti da adolescenti tra 13 e 17 anni e infine una quarta tipologia molto ampia, ad oggetto indifferenziato, orientata verso bambini di tutte le età. Il sesso dei soggetti abusati segue una curva caratteristica in relazione all’età, con un rapporto maschio - femmina di 40 e 60 da 1 fino a 8 anni, mentre nella fascia da 9 a 16 anni il rapporto si sbilancia ulteriormente passando a 30 maschi ogni 70 femmine. Il DSM, 3a edizione, nel definire la pedofilia, escludeva quei pazienti che pur avendo molestato bambini non erano tormentati da fantasie ricorrenti e compulsioni riguardo l’attività sessuale con minori. Per ovviare a questa contraddizione, la 4a edizione ha incluso implicitamente due forme di pedofilia: soggetti che provano impulsi intensi, fantasie e compulsioni sessuali coinvolgenti bambini minori di 14 anni, soggetti che si fermano al solo piano dell’eccitazione e delle fantasie sessuali. Marshall, nel tentativo di eliminare il tradizionale riferimento alla pedofilia, termine ambiguo e fonte di confusione, ha proposto di designare child molesters coloro che intraprendono attività sessuali con bambini. Il termine sottende una diversa concezione dell’abusante, secondo la quale pedofilia indica un generico riferimento a individui che si eccitano e molestano bambini, mentre child molester è riferito solo a quei soggetti che abusano. Altri ricercatori impiegano il termine child predators, per indicare le caratteristiche operative che contraddistinguono i molester. L’orientamento pedofilo si aggiunge a quello sessuale, così si hanno pedofili etero, omo e bi 56


sessuali, anche se con notevoli differenze quantitative e comportamentali. In termini assoluti, circa l’85% delle molestie su bambini e adolescenti è compiuta da maschi adulti eterosessuali, un dato che però necessità di un’analisi più dettagliata. La popolazione omosessuale è stimata tra il 2% e 3% e quella maschile in un maschio omosessuale ogni trentasei maschi adulti, pur con le riserve dovute a bisessualità non rilevata. Studi di Freund (Freund et altri, 1984), stimano che più del 35% dei pedofili è omosessuale, inoltre omo e bisessuali, in confronto agli etero, si caratterizzano per stili di vita maggiormente improntati a intensa attività sessuale e promiscua, che sottende una maggiore propensione ad attuare impulsi e fantasie. Considerando un rapporto di 3 omosessuali ogni 100 maschi adulti, si stima che le molestie su bambini dovrebbero essere per circa il 96% compiute da eterosessuali, mentre i dati ufficiali attestano l’85%, una differenza che può essere attribuita al differente peso della componente omosessuale, caratterizzata da maggiore diffusione di pedofilia e da maggiori recidive. Non sorprende che le vittime femminili aumentino al crescere dell’età, proprio per la generale tendenza del sesso femminile di essere oggetto di abuso e violenza, secondo tassi crescenti fino ai 17/21 anni. Per contro le vittime maschili mostrano una costante riduzione degli abusi ma un notevole aumento delle violenze fisiche, con picco tra 16 e 20 anni, anche per la maggiore probabilità di essere coinvolti in risse e situazioni violente con i coetanei. Gli studi delle caratteristiche psicologiche dei pedofili non hanno evidenziato fattori univoci: in particolare, lo studio più rilevante in merito alle caratteristiche di personalità di 77 soggetti positivi al test con pletismografo, mai condannati né sottoposti a cure, condotto da Wilson e Cox (1983), impiegando Eysenk Personality Questionnaire, EPQ, che valuta la personalità su tre grandi dimensioni, introversione, nevroticismo e psicoticismo, ha mostrato un generale innalzamento dei punteggi in tutte le tre dimensioni, senza però raggiungere livelli patologici. Un risultato simile è sovrapponibile a quello che emerge dal profilo di molti artisti e personalità creative, stilisti di moda, attori e gente dello spettacolo in genere. In definitiva, non sono presenti caratteri distintivi in confronto alla popolazione generale. La diagnosi di feticismo pedofilo si effettua tramite PPG, Penile Plethismographic assesment, un apparecchio che misura le variazioni del flusso ematico a livello dei corpi cavernosi del pene, alla presentazione di classi di stimoli, da quelli a contenuto più generico fino a immagini raffiguranti bambini nudi. L’esame deve escludere una generale eccitabilità sessuale del soggetto, dal momento che una quota di individui compresa fra 10 e 15 per cento esperisce eccitazione sessuale, con turgidità peniena anche alla visione di immagini raffiguranti minori svestiti ma tra costoro, solo una quota non superiore al 50% è più coinvolta e risulta positiva alla CNV, Contingent Negative Variation, una procedura che rileva l’intensità delle onde cerebrali nel momento in cui sono mostrate foto specifiche a contenuto pedo feticistico. Abbinando le due metodiche di indagine strumentale, si raggiunge una diagnosi di certezza in merito all’accertamento di feticismo pedofilo, come è più corretto definire l’esito, evitando il riferimento al termine pedofilia, ambiguo e non specifico, considerando che tra costoro solo una parte, compresa tra il 15 e il 20 per cento, diverrà child molester mentre gli altri si limitano a fruizione di immagini e video pedopornografici. Gli studi delle condizioni ambientali, life events e traumi, hanno posto in luce alcune condizioni ricorrenti durante lo sviluppo del bambino, frequentemente associate a parafilie e omosessualità, quali crescere in una famiglia in cui un genitore da bambino è stato abusato da un genitore o da un famigliare, aver subito abuso da genitori, familiari o conoscenti, essere stato sottoposto a condizioni che minacciano il consolidamento dell’identità sessuale, quali essere deriso per la piccolezza del pene o per il modo di vestirsi o sgridato quando sorpreso a 57


masturbarsi, infine situazioni implicanti perdita della figura di riferimento maschile, quali separazioni o divorzi con allontanamento del padre o bambini cresciuti in assenza del padre naturale in seguito a situazioni quali, ad esempio, madre rimasta incinta da un uomo sposato o durante il fidanzamento, che ha cresciuto il bambino senza il padre naturale. Si tratta di eventi che, a seconda dell’impatto sul sistema di personalità del soggetto, possono dispiegare effetti pervasivi e permanenti, divenendo veri e propri eventi traumatici. Il peso degli eventi ambientali sullo sviluppo, varia in relazione a quattro variabili principali: età, sesso, natura e durata, caratteristiche temperamentali e personologiche del soggetto. Le modalità di realizzazione dell’abuso differiscono a seconda che il molester sia un famigliare o persona esterna alla famiglia. Il famigliare sfruttando la naturale conoscenza e autorità sul bambino, solitamente tende a introdurlo in un contesto relazionale distorto, in cui gli atti sessuali sono presentati come innocenti e innocui, collocandoli in un contesto di gioco. Il timore che il bambino riveli l’accaduto all’altro genitore spinge il molester a prospettare conseguenze negative, come la separazione dei genitori, colpevolizzandolo, pertanto cerca di stabilire un patto segreto con lui. Il molester esterno invece, deve prima procurarsi un’occasione per mettersi in relazione col bambino e a volte con i suoi familiari, attuando una tecnica di adescamento, adatta all’ambiente in cui si trova a operare, frequentemente in ambito scolastico, sportivo e religioso. Spesso gli ambienti abitati dai molester sono attrezzati per intrattenere le vittime con videogiochi e giocattoli di vario tipo e non raramente si rinvengono manuali di psicologia infantile. Il molester è consapevole del disvalore sociale dei suoi atti e solitamente adotta comportamenti volti a precostituirsi un alibi in caso di essere scoperto, mentre sul piano interno finge di essere convinto di non fare niente di male e che il bambino è felice di stare con lui. Non si deve dimenticare che il molester investe molto tempo nell’adescamento e spesso riesce a capire i punti di debolezza della vittima, quali l’isolamento, le difficoltà relazionali e affettive che i genitori non sono capaci di compensare o di cui sono direttamente responsabili. Paradossalmente, si conoscono numerosi casi di bambini affidati a strutture associative per sottrarli a situazioni difficili in ambito familiare dove al contrario si manifestano molestie e abusi. Una volta scoperti, i molester tendono ad ammettere il contatto sessuale con la vittima ma adottano tattiche di deresponsabilizzazione: il bambino era consenziente, lo voleva, ci vogliamo bene, stavo insegnandogli nozioni di sessualità e altre giustificazioni tipiche. I molester omosessuali, attratti da ragazzi di 14-16 anni, cercano di convincere se stessi e gli altri che a quell’età, le vittime sono capaci di scelte sessuali autonome e responsabili, come quella di fare sesso con un adulto a volte più grande di suo padre.

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3.3 Abuso e molestie sessuali

Lo stupro è la violenza sessuale che ricorre con la forza fisica o con la minaccia su un soggetto non consenziente o non capace di esprimerlo, temporaneamente o permanentemente. In USA, dove si registrano i più alti tassi al mondo, lo stupro è sensibilmente calato negli ultimi dieci anni, passando da un tasso dell’1 per mille del 1993 a poco più dello 0,2 per mille nel 2004 e il calo è stato molto sensibile proprio a partire dal 2000. Nel 2003 si sono registrati 65.500 casi, 43.500 tentativi e 95.000 sexual assault, unico dato in contro tendenza. Le femmine vittime di stupro e violenza sessuale sono 15 volte il numero dei maschi e la fascia più colpita va da 13 a 25 anni, con circa 2,5 casi per mille; sopra i trent’anni, i casi scendono a meno dello 0,5 per mille, implicando una minore possibilità di subire violenza in coincidenza con la perdita dei tratti fisici giovanili e con l’approssimarsi della menopausa. Circa la metà degli abusi sessuali è compiuta da giovani che non superano i ventuno anni e più della metà delle situazioni si verifica all'interno del contesto famigliare. Il rapporto tra maschi e femmine in età riproduttiva e le modalità di esplicazione della sessualità all’interno di una società, influisce sui tassi di vittimizzazione sessuale, rilevando valori più elevati dove le femmine in età riproduttiva sono in numero minore dei maschi e dove l’esplicazione della sessualità è assoggettata a vincoli di natura culturale che confliggono con le caratteristiche fisiologiche degli individui. In natura, tra i primati non umani, solo gli Orango attuano stupri di giovani femmine e si deve considerare che sono l’unica specie che si riproduce e vive in base ad un rapporto di coppia molto stretto, rendendo difficile per i giovani maschi senza partner, procurarsi rapporti sessuali e riproduttivi. All’opposto nei Bonobo, una specie del tutto simile agli scimpanzé, gli osservatori naturalistici non hanno mai rilevato stupro o violenza sessuale, potendo i maschi disporre praticamente di ogni femmina del gruppo, secondo modalità di scambio reciproco di favori e cure. Gli Scimpanzé invece, vivono e si riproducono all’interno di un gruppo imparentato, dove prevalgono gerarchie e alleanze e modelli riproduttivi basati sulla coppia, in modo più simile a quanto avviene nella specie umana, lo stupro ricorre raramente e più per affermazione sociale che per impulso sessuale: in questa specie si assiste a frequenti dispute fra maschi per la conquista di posizioni dominanti, che implicano la possibilità di accoppiarsi e riprodursi con le giovani femmine. Gli stupratori sono caratterizzati da una elevata quota libidica, spesso associata ad alti livelli di testosterone, subiscono molte erezioni spontanee, durante il giorno e non raramente sono dediti a pratiche onanistiche anche quando dispongono della possibilità di appagamento con una partner. La constatazione che molti individui con un simile assetto neuropsicofisiologico non divengono stupratori fa riflettere su ulteriori fattori concausali, da ricercare a livello delle esperienze personali e dell’ambiente di vita in cui hanno avuto luogo e all’interazione con il sistema di personalità che si viene configurando. Ci sono eventi che coinvolgono la regolazione dell’aggressività e della pulsione sessuale durante tappe precoci di sviluppo, secondo un percorso che parte dalla relazione con i genitori, con i quali si strutturano e si modellano gli schemi di interazione con gli altri, dove un clima empatico e di comprensione del bambino è sostituito da indifferenza, distacco o rifiuto. Le madri di stupratori seriali avevano frequentemente stabilito un modello relazionale di tipo evitante o disorganizzato e spesso 59


erano state abusate o avevano subito violenza fisica in famiglia. Single, età tra 18 e 30 anni, intensa pulsione sessuale, aggressività impulsiva e problemi di discontrollo, madre evitante o assente o con disturbi di vario genere, costituiscono gli elementi di più frequente riscontro negli stupratori, anche se non sempre associati. L’analisi dell’assetto personologico e del comportamento suggerisce l’opportunità di distinguere 4 differenti tipologie: il tipo a prevalente componente feticista il tipo multiproblematico e disorganizzato il tipo con carriera criminale il tipo psicopatico, con presenza o meno di componente sadica. Al primo tipo corrispondono individui che rivolgono attenzioni su soggetti adolescenti, sia omo che eterosessuali, mentre il secondo si caratterizza per disturbi personologici e del pensiero, in prevalenza idee deliranti e ossessive, il terzo comprende individui tipicamente devianti e criminali, molti dei quali agiscono in gang, mentre il tipo psicopatico, molto insidioso, è il più raro, trattandosi di soggetti dotati spesso di ottime capacità intellettive e non facilmente individuabili per l'abilità di ingannare, fingere e mimetizzarsi. La variante sadica, per le lesioni inflitte alla vittima, è la più temibile. Gli stupratori, proprio per la difficoltà nel controllare l’impulso sessuale, tendono a ripetere le violenze, divenendo seriali e non vanno confusi con giovani adolescenti che in modo maldestro e solo episodico, cercano di avere rapporti con una coetanea non consenziente, durante una festa e dopo aver assunto alcol e spinelli. Più della metà dei tentativi di stupro e sexual assault sono attuati in gruppo da appartenenti a gang giovanili, dove elementi di devianza, criminalità comune e marginalità sono determinanti. Se la coercizione è la caratteristica distintiva dello stupro, diverse sono le caratteristiche di rapportarsi alla vittima: alcuni la minacciano e usano la forza fisica, altri cercano di rassicurarla che non vogliono farle del male, altri ancora, dopo averla adescata, le somministrano droghe per renderla più passiva, denotando una minore propensione ad usare violenza ma scarsa capacità di controllo dell’impulso sessuale, anche se si deve ricordare che molti psicopatici e stupratori sadici ricorrono all’uso di droghe per catturare le loro vittime. La componente sadica può essere presente in tutte le tipologie, come tratti di personalità antisociale, paranoide e ossessivo-compulsiva. La soglia di innesco può essere abbassata quando il soggetto prova sentimenti di solitudine, depressione, ansia e senso di inadeguatezza sessuale in presenza dell'oggetto o durante fantasie(Mc Kibben,1994). Secondo Gebhard et al. (1965), circa un terzo degli stupratori è mosso dal desiderio di esprimere aggressività e dominanza sulla donna, potere, controllo e umiliazione e comunque sembra verosimile ritenere che la sola gratificazione sessuale costituisca il motivo dell'aggressione in non più della metà dei casi; anche per questo la terapia ormonale (provera) è limitatamente efficace, considerando che la capacità orgasmica durante la violenza non si realizza in circa un quarto dei casi (Geer,1984). Una forma peculiare e frequente è l'abuso o la molestia attuata da un conoscente, per la probabilità che insorgano sensi di colpa dovuti ad autoattribuzione di responsabilità e per il 60


sentimento di vergogna che rendono difficile la denuncia del fatto e l'intervento psicologico. Circa la metà degli abusi e molestie è realizzata da parenti all'interno dell'abitazione, per la maggior parte dovuta a rapporti incestuosi fratello-sorella e padre-figlia. Non considerando le famiglie in cui è presente un soggetto con chiare tendenze pedofile, l'abuso sessuale in ambito famigliare spesso esprime una dinamica complessa e si struttura in base a modalità non coercitive, in cui sono implicate disparità di potere, di conoscenze sulla sessualità e di maturazione psico-fisica. Per Finkelhor (1990), il fattore di rischio principale è da ricondurre alla crescita in una famiglia disorganizzata, con scarse cure fisiche e manifestazioni di affetto e secondariamente: aver subito molestie o abuso in infanzia caratteristiche personologiche e presenza di disturbi difficoltà coniugali scarsa comunicazione intra-familiare abuso di sostanze e difficoltà finanziarie e di lavoro I rapporti padre-figlia e più raramente con il figlio, sono spesso correlati a una storia familiare infelice, con disorganizzazione, scarsa definizione dei ruoli, difficoltà coniugali, con tendenza dei padri a compensare incomprensioni e sentimenti depressivi, stabilendo rapporti più stretti con la figlia, di solito preadolescente, che per motivi complementari è predisposta ad assumere un ruolo compensatorio. Anche se nella maggioranza delle situazioni non si ha penetrazione, gli effetti sulla vittima sono rilevanti, anche considerando che si rende necessario stabilire un “patto segreto”, che impegna la vittima a non rivelare i fatti agli altri familiari, in particolare alla mamma, prospettando conseguenze quali la separazione dei genitori, cioè perdita affettiva e altre situazioni negative ansiogene e colpevolizzanti. In molti casi l'innesco dell'abuso era sostenuto da un mix di fattori quali stress lavorativo, litigi con il coniuge e consumo di alcol, che facilita l'allentamento delle difese. Dal momento che situazioni di stress e incomprensioni sono estremamente diffuse, senza esitare in comportamenti incestuosi, si ritengono predominanti i fattori personologici, i life events e la presenza di disturbi: in particolare depressione, ansia, tratti ossessivo-compulsivi e dipendenti sembrano i più correlati ma una valutazione puntuale del caso può essere tentata solo ricostruendo la storia di vita dell'abuser. A volte la relazione del padre con la figlia è talmente stretta da esprimersi anche con effusioni fisiche inadeguate, che non vengono percepite correttamente dal coniuge e da altri familiari, che riferiscono che i due sono come due fidanzatini. Queste situazioni sono dannose soprattutto perché contribuiscono a strutturare disturbi di personalità nella figlia, che può inclinare verso il narcisismo, dipendenza e esibizionismo con i successivi partner sessuali e rappresentano una relazione evolutiva in cui i ruoli sono alterati e confusi, non funzionali a promuovere una crescita equilibrata. Per Strong, De Vault e Sayad (1996), i bambini e preadolescenti necessitano di manifestazioni di affetto anche in forma di contatto fisico, vicinanza, carezze ed abbracci, con effetti positivi sul loro sviluppo emozionale e sulla salute fisica e mentale. Quando questo bisogno non è sufficientemente soddisfatto dai genitori, secondo Finkelhor (1986) e Loredo (1982), il bambino può andare incontro a stress e difficoltà emozionali, che può cercare di 61


compensare rivolgendo attenzioni alla sorella più piccola, ponendo in essere comportamenti che possono arrivare anche al contatto tra genitali. Quando la differenza di età tra i due è minima, i gesti possono essere inquadrati in un tentativo di scoperta sessuale e di gioco ma quando è presente coercizione o differenza marcata di età, si può parlare di abuso. Worling (1995), in uno studio che comparava un gruppo di adolescenti sex offenders e uno di non sex offenders, ha trovato che i due gruppi non differivano per aggressività, ostilità, depressione, autostima e popolarità tra i pari mentre differivano per caratteristiche personologiche e storie personali dei genitori; quelli dei sex offenders incestuosi erano più disfunzionali e abusanti. L'autore conclude che una storia di abuso fisico ed emozionale, eventualmente associate ad abuso sessuale, pone i figli maschi a rischio di comportamenti incestuosi con la sorellina. O' Brien (1991), ha evidenziato che solo una quota minoritaria di abusanti presentava una storia di abuso infantile e ha proposto la “ teoria del Bloccaggio” , affermando che i sex offenders familiari sono bloccati, a livello dello sviluppo emozionale, nella loro capacità di ottenere soddisfacimento dei bisogni emozionali e sessuali con i loro coetanei e hanno appreso modalità disfunzionali per ridurre il loro disagio e ottenere gratificazione.

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3.4 Valutazione dell'abuso sessuale intra-familiare

La valutazione si estende all'esplorazione delle dinamiche familiari e all'analisi dei fattori che hanno concorso a motivare i comportamenti, pertanto si focalizza su tre punti: dinamiche di ciascun familiare, cioè i pensieri, l'assetto personologico e i life events che lo caratterizzano; il set cognitivo, emozionale e comportamentale del presuto offender; elementi specifici di motivazione e cause precipitanti. Gli strumenti di indagine da impiegare sono quelli indicati nel caso di abuso infantile,esposti nel paragrafo dedicato alla diagnosi su bambini; qui, in aggiunta, è importante accertare la dinamica abusiva, il suo contesto e modalità, se vi è stata anche coercizione o minaccia, quando è iniziata, da quanto dura e quante volte è stata ripetuta. Si devono poi valutare le conseguenze dell'abuso, sia sulla vittima che sull'offender o molester e predisporre interventi psicologici adeguati. Riguardo all'offender, conoscendone lo stato motivazionale si è in grado di capire quali impulsi e bisogni erano espressi con l'atto e quali modalità di intervento sono più indicate. L'approccio di Ryan (Ryan et al., 1987), rivolto all'offender è basato sul riconoscimento dei bisogni di affetto, sul riconoscere che le modalità di far fronte al disagio emozionale sono inadeguate, sull'emergenza di sentimenti negativi e la loro analisi e sull'insegnamento ed elaborazione di modalità e strategie funzionali per soddisfare i bisogni di vicinanza, intimità e contatto fisico, stabilendo ruoli ben definiti ed identificando un set di attività compensatorie. Professionisti e operatori del sociale, quando si accingono a valutare una presunta situazione di abuso o molestia in cui sono coinvolti fratello e sorella, dovrebbero avere a mente queste tre situazioni, (Abrams, 1993): sperimentazione, quando i due sono vicini di età e si dedicano ad attività di esplorazione reciproca del corpo e della sessualità, sfruttamento, quando uno rifiuta le attenzioni, senza che l'altro le riduca o le cessi, abuso, quando gli stessi gesti sono attuati tra soggetti in cui c'é sensibile differenza di età e di sviluppo psico-fisico. L'investigazione può seguire i punti di valutazione ricompresi nel protocollo di Smith e Israel (1987): natura e durata dei contatti, luogo dove sono avvenuti chi altri sapeva e a chi, eventualmente, la vittima lo aveva detto storie di precedenti abusi subiti o commessi 63


storie di genitori abusanti ruoli familiari qualità delle relazioni coniugali atteggiamenti familiari verso il sesso e la sessualità bisogni inespressi di genitori e figli capacità dei genitori o di uno di essi di proteggere i figli da ulteriori eventi abusivi.

3.5 Interventi sui sex offenders

Riguardo agli offenders intra-familiari, esclusi i casi di pedofilia, l'intervento più indicato è quello sistemico-familiare, che prende in carico le dinamiche di tutti i soggetti coinvolti e mira a riorganizzare i ruoli di ciascuno e a ripristinare una sufficiente funzionalità della famiglia e delle relazioni tra i suoi componenti. Quando è possibile, l'intervento dovrebbe essere eseguito in situazioni non costrittive, per lasciare liberi i componenti e in particolare vittima e offender, di trovare modalità funzionali di relazionarsi all'interno del set familiare. Il trattamento degli stupratori seriali e dei pedofili fornisce risultati poco confortanti; ad oggi non si conoscono casi trattati con successo con semplici metodiche psicologiche, al contrario più dei 3 / 4 degli stupratori seriali, una volta messi in libertà, ripete stupri entro 9 -12 mesi. Una metodica che negli ultimi dieci anni ha mostrato outcome interlocutori consiste nella sopressione degli effetti del testosterone tramite iniezioni di un farmaco antagonista (provera); nei soggetti trattati, circa la metà non ha ripetuto stupri durante il trattamento ma quelli che lo hanno potuto sospendere, anche per gli effetti negativi di notevole portata, hanno ripetuto stupri dopo 12 – 15 mesi. La castrazione fisica è stata attuata in USA per scelta volontaria in alcuni casi oggetto di studio accurato e ha rivelato una efficacia notevole ma lesionare permanentemente un individuo, pone problemi di tipo etico non facilmente superabili, anche quando costui è consenziente, magari per poter uscire di prigione o per non finirci, una scelta che non sembra del tutto esente da vincoli. Si conoscono alcune condizioni che possono fornire criteri di idoneità o meno per il trattamento e per la prognosi, in relazione alla comorbidità con altri disturbi, presenza di recidive e altre variabili: 64


pedofilia egodistonica e soggetti che non provano l'irrefrenabile impulso a masturbarsi quando hanno fantasie o vedono foto di bambini, sembrano avere una prognosi favorevole sindromi schizofreniche in remissione sintomatologica o con sintomi negativi residui non troppo marcati non rappresenta una condizione sfavorevole al trattamento, diagnosi attuale o passata di DAI, frequentemente riscontrata nei sex offenders non sembra interferire con una prognosi positiva, così come quella di funzionamento border della personalità, anche se l'intervento può necessitare di tempi più lunghi, i disturbi di personalità interferiscono negativamente per la riuscita dell'intervento, in particolare il disturbo antisociale è negativamente correlato, perché impedisce la percezione del senso di colpa e la nascita di una valida motivazione al trattamento, scarse abilità sociali, solitudine, scambi relazionali limitati e incapacità di acquisirle durante il trattamento, implicano una prognosi non favorevole. I trattamenti che hanno rivelato efficacia sono eseguiti in ambiente ospedaliero specializzato e includono un set di presidi e specialisti differenziato per ogni singolo paziente, dalla proposta di un trattamento ormonale, alla consulenza e cura di uno psichiatra, a quella di colloqui e trattamenti con psicologi specializzati in terapia del comportamento di gruppo per le tematiche di abuso. I programmi sono incentrati sul controllo degli impulsi attraverso l'isolamento degli stimoli-innesco, stabilire modalità che favoriscono la presa di coscienza dei periodi e circostanze a rischio di ricadute, approntando un piano personale di prevenzione, calibrato sulle caratteristiche del paziente. La durata continuativa del programma è di almeno due anni, al termine dovrà essere valutata la possibilità di reinserimento, di solito predisponendo una rete esterna di supporto, che fornisce assistenza a domicilio e prevedendo una serie di controlli periodici

La famiglia di B., 15 anni e la sorella M. 9, si è trasferita da un piccolo centro in un quartiere periferico di una grande città. I due genitori sono impegnati fino a tardi nel lavoro e il pomeriggio, dopo essere rientrati da scuolo, contano su B. perché abbia cura della sorella. Una sera, rientrando a casa, la madre trova la bambina in lacrime e dopo poco le confessa che B. ha fatto delle brutte cose con lei. Allarmata, porta la bambina al pronto soccorso per accertamenti ma non risultano segni di violenza; infatti B. si era limitato a farsi toccare il pene e a toccarla da sopra le mutandine. Dopo la segnalazione dei medici, il giudice della sezione specializzata per le violenze domestiche, decide di consultare uno psicologo esperto, che dopo aver colloquiato con i soggetti coinvolti, consiglia questo programma: nessun provvedimento restrittivo della libertà per B., che dovrà sottoporsi a un intervento terapeutico individuale, colloqui di sostegno per la sorellina e intervento a domicilio dei servizi, tre volte la settimana, per aiutare B. nei compiti di scuola. A tempo debito tutta la famiglia sarà sottoposta a incontri volti a favorire la coesione, la responsabilità di ciascuno e la reciproca accetazione.

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3.6 Conseguenze della violenza e abuso sulla donna.

Le ricerche di Le Doux e Damasio sulla configurazione dei circuiti della paura e del ricordo di eventi ad alto impatto emotivo, hanno posto in luce il ruolo di corteccia orbitofrontale destra, amigdala, ippocampo e corteccia cingolata, combinati secondo due circuiti indipendenti ma collegati funzionalmente. Il primo circuito coinvolge l’amigdala, non passa per la corteccia orbitale e riguarda il riconoscimento di stimoli evolutivamente in grado di suscitare risposte automatiche di evitamento e fuga, connessi a stati emozionali di paura mentre il secondo circuito si avvale dell’ippocampo per formare un ricordo esplicito dell’evento emozionale e processarlo cognitivamente per il tramite dell’area orbitofrontale destra. L’ippocampo è una formazione molto antica, sede della formazione dei ricordi, generando particolari potenziali, simili, per fare un esempio brutale, a quelli di un generatore e amplificatore di impulsi elettronici. La struttura, alla nascita non è matura e occorre un periodo variabile tra 28 e 36 mesi, prima di essere in grado di funzionare e formare ricordi espliciti e duraturi, processabili e analizzabili dalle aree corticali superiori. Ne consegue che ricordi espliciti di eventi traumatici non sono possibili, fino ai 30-36 mesi di vita e se un’esperienza, per quanto traumatica, non può essere ricordata, non potrà produrre effetti nocivi sulla personalità in sviluppo, come accade dopo tale periodo, in cui il ricordo dell’abuso può alterare i ritmi di sviluppo individuali e la formazione dell’identità psicosessuale e del comportamento sessuale. L’assenza di un ricordo emotivo esplicito non significa che il bambino di 2-3 anni non ricordi nulla dell’evento, perché la detection e analisi di stimoli è supportata anche da altre strutture corticali ma il ricordo non è organizzato e manca la consapevolezza della sua portata. Valutare come piacevole o spiacevole uno stimolo o un evento, cioè una serie di stimoli collegati da un nesso di contiguità spazio-temporale, non richiede un riferimento a un codice interno di tipo valoriale, che invece è necessario per capire le conseguenze di eventi quali l’abuso sessuale. I bambini con sviluppo armonico, sono in grado di percepire il disvalore implicato in un evento complesso cui assistono o che subiscono, tra 3 e 4 anni, e l’esperienza, perfettamente memorizzata e processata dai circuiti corticali, può essere, nel corso degli anni, ulteriormente sottoposta a revisione e integrazione alla luce delle attuali esperienze, conseguendo una riattualizzazione e modifica del significato originario. A seconda della direzione delle esperienze attuali, il ricordo dell’abuso può essere integrato e neutralizzato o attenuato, permettendo all’adulto di esplicare una vita normale o invece può continuare a sortire effetti distorsivi sulla sua personalità e sulla sua vita relazionale e sessuale. Le conseguenze dipendono da una serie di fattori concatenati, tra i quali sono preminenti età, sesso, caratteristiche di personalità, clima famigliare e modalità e durata delle situazioni problematiche. Gli studi confermano che l’essere vittime di più tipi di abuso o di ripetute situazioni di abuso nel tempo, dispiega effetti cumulativi e più persistenti; inoltre la gravità delle situazioni correla con un impatto più elevato sulla salute fisica e mentale, in genere le conseguenze sono durature e persistono molto tempo dopo la cessazione delle condizioni violente. I principali danni alla salute consistono in lesioni fisiche e disturbi mentali che menomano la capacità di funzionamento della persona nella conduzione della sua vita sociale. Le ingiurie fisiche sono le conseguenze di immediato riscontro e spesso comportano lesioni agli arti, testa 66


e addome, come abrasioni, ecchimosi e anche fratture. Una quota di donne subisce aggressione fisica durante la gravidanza, con ripercussioni dirette e indirette sul feto. Violenza ed emotional abuse coniugali comportano un maggiore impatto sulla vittima proprio per lo sconvolgimento del tipo di legame tra partner, che dovrebbe essere improntato alla sicurezza, fiducia e rispetto reciproco. Sentimenti ambivalenti verso il pertner e confusione del proprio senso di identità, con senso di svalutazione e paura sono tipicamente ricorrenti e non sorprende che i disturbi più frequenti coinvolgano la regolazione timica e dell’ansia, con stati depressivi, elevazione della quota ansiosa e fobie multiple, preceduti da sintomi di tipo psicosomatico dovuti allo stato di stress e di allarme cui è sottoposta la vittima, tra cui figurano la sindrome del dolore cronico e del colon irritabile. La caduta dell’autostima e sensi di colpa, accompagnati da stati disforici e ansiosi rendono più probabili comportamenti nocivi e ulteriori disturbi: le donne abusate, in confronto a quelle con relazione coniugale non violenta, mostrano comportamenti fino a sei volte più frequenti quali abuso di sostanze, distimie alimentari, alterazioni dei ritmi sonno-veglia e disturbo post traumatico da stress. L’abuso sessuale comporta conseguenze ulteriori e specifiche, quali problema della sfera ginecologica e riproduttiva, come disturbi infiammatori e dolore pelvico cronico o ricorrente e disturbi della sfera sessuale, infertilità, infezioni da contagio sessuale, gravidanze non desiderate e aborti in ambienti a rischio. In particolare, la gravidanza non desiderata dipendente da abuso e violenza sessuale, rende più probabile l’emergenza di sensi di colpa e sentimenti ambivalenti verso il neonato che distorgono il clima affettivo e influenzano lo stile di attaccamento madre-neonato, favorendo la strutturazione di un modello di tipo evitante e ansioso. Proprio violenza e abuso rappresentano il principale fattore ambientale di influenza sullo stile materno nel guidare l’attaccamento al neonato secondo modalità problematiche. Altre conseguenze derivano da aggressività autodiretta, come tentativi di suicidio e comportamenti autolesivi. La probabilità che le aggressioni abbiano per conseguenza lesioni gravi sono elevate quando ricorrono abuso di sostanze e condizioni di degrado sociale, con disoccupazione e stili di vita devianti. La morte del coniuge è un evento raro ma nella popolazione statunitense rappresenta una delle principali cause di morte violenta tra la popolazione femminile.

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3.7 Diagnosi di abuso sessuale su bambini.

La diagnosi psicologica ricorre quando vi sono dubbi sulla realtà dell’abuso e ciò accade ogni volta che un minore è implicato o quando sono sporte denunce di abuso. Gli aspetti più problematici ricorrono in tutte quelle situazioni di abuso in ambito domestico, dove spesso mancano gli elementi contestuali di riscontro. In particolare, quando l’abuso ricorre su un bambino, se emergono riscontri medici, la verifica è praticamente conclusa ma sappiamo che la maggioranza degli abusi non implica penetrazione, pertanto l’accertamento è demandato a una valutazione psicologica. E’ bene seguire alcuni principi di carattere formale: chi esegue la diagnosi psicologica non deve conoscere l’esito di accertamenti medici e strumentali; è opportuno che il diagnosta si rapporti solo con la presunta vittima; è utile effettuare videoregistrazioni dei colloqui; evitare domande suggestive o inducenti; seguire una procedura di validazione diagnostica; Si deve poi effettuare una valutazione preliminare di alcune caratteristiche soggettive, quali età, sesso, contesto culturale di appartenenza e ambiente di vita, inoltre è utile conoscere chi ha sospettato l’abuso e in quali circostanze. L’età è il fattore più rilevante e occorre valutare, nei bambini piccoli, se lo sviluppo del linguaggio è adeguato all’età, come indice di capacità cognitiva, comunicativa e referenziale. Fino ai 5-6 anni, i resoconti dei bambini sono caratterizzati da salti di nesso logico, in quanto danno per scontata la conoscenza di particolari e precedenti che in realtà sono presenti solo nella loro raffigurazione mentale L’analisi del comportamento non verbale del volto, CNV, non è di aiuto nei bambini fino ai 6-7 anni, con i quali è necessario basarsi solo sui gesti di accompagnamento del dialogo, mentre nei preadolescenti il CNV può essere sottoposto ad analisi di confronto con quello verbale anche tramite RVM elettronica della videoregistrazione del colloquio. Proprio per superare queste difficoltà, sono state predisposte metodiche di indagine specifiche, basate non solo sui resoconti ma soprattutto su particolari modalità interattive e di gioco. Una procedura di validazione diagnostica è una metodologia rigorosa, che permette di giungere ad una conclusione univoca e obiettivabile, che implica l’impiego di strumenti e metodi convalidati. I principali sono: GOS, Gruppo di Ormond Street, (Vizard e Tranter); NSPCC ,National Society For Prevention Of Cruelty To Children, (Bannister e Print); 68


SWI, Step Wise Interwiew, (Yuille); SVA, Statement Validity Analysis, (Undeutsch); C I, Cognitive Interview. Ciascuna intervista segue un format preciso nel guidare e uniformare l’indagine diagnostica ma in definitiva, la modalità di interazione con il bambino è fondamentale per raggiungere un risultato soddisfacente: ritenere sufficiente seguire passo passo l’intervista per risolvere il quesito diagnostico sarebbe pura utopia. La difficoltà principale con i bambini prescolari è rappresentata dalla normale tendenza a esprimere disagio con il comportamento piuttosto che con la parola, inoltre non sempre è presente la percezione del disvalore dell’atto in sé, quanto del disagio patito, sotto forma di imbarazzo, vergogna e senso di colpa. E’ importante acclarare se vi è stata penetrazione o meno, se il molester ha eseguito pratiche masturbatorie e di che tipo e da quanto tempo questi gesti si sono verificati. Un percorso di validazione deve seguire criteri precisi, quali domande non suggestive, evitando domande dirette e delimitate e avvalersi di metodiche interattive le più naturali possibili. Il percorso strutturato del GOS, prevede: fase del gioco libero introduzione di bambole che riproducono l’anatomia del corpo umano; recita dell’abuso tramite il gioco e le bambole, con richieste di indicare i punti della bambola che sono stati toccati dal molester; fase dell’espressione emozionale e della rassicurazione, cioè si chiude il percorso con un momento psicoterapeutico. In sede di refertazione, se il soggetto ha fornito indici verbali e comportamentali coerenti, riproducendo una corretta simulazione dell'evento, si può concludere per diagnosi di abuso sessuale, specificandone le azioni che lo caratterizzano e le modalità in cui è stato realizzato. Nei preadolescenti e adolescenti le metodiche più utilizzate sono la SVA e la CI. La SVA di Undeutsch è basata su 19 criteri di validazione del contenuto, cioè delle singole affermazioni risultanti dall’intervista, debitamente registrata e trascritta. Ciascuna affermazione è valutata una sola volta e può soddisfare più criteri; per stabilire se il soggetto è credibile si confrontano le singole affermazioni con una check list basata su situazioni standard che ricorrono in situazioni simili. Occorre però rilevare che le singole affermazioni possono non incontrare i criteri di validità pur essendo rilevanti oppure possono incontrare diversi criteri, pur risultando non vere. La CI di Geiselman (1984) e Fisher (1987) si basa su conoscenze della memoria rievocativa: il ricordo di un evento specifico comprende diverse componenti e la rievocazione può avvenire seguendo percorsi differenti e convergenti. Si cerca di far rievocare l’evento favorendo, con stimoli appropriati, l’attivazione della memoria episodica, senza preoccuparsi degli aspetti emozionali prodotti dal ricordo, né operando valutazioni sul grado di rilevanza dei dettagli. Il diagnosta dovrà cercare di interferire con i piani cognitivi del soggetto, favorendo l’assunzione di prospettive rievocative differenti, al fine di ottenere una coerenza validante. Percorsi rievocativi incoerenti possono derivare da una molteplicità di cause: disturbi neurologici e psichiatrici che coinvolgono la memoria; 69


disturbi che si riflettono sul reality test; tentativi di manipolare la rievocazione. Occorre poi, nei casi coerenti, valutare comunque ipotesi alternative, che si possono ricondurre a: sindrome dei falsi ricordi, in cui il soggetto è persuaso di ricordare eventi specifici che in realtà non sono mai avvenuti oppure sono accaduti in contesti spazio-temporali diversi; fraintendimento di atti e gesti, interpretati erroneamente in senso aggressivo; aspetti suggestivi che possono implicare la sostituzione del molester con altra persona; ad esempio iperidealizzazione della madre o di altra figura affettiva, con accettazione fideista dei suoi desideri e volontà , reali o presunte; disturbo psichiatrico condiviso, che genera convincimenti che bypassano il reality test; manipolazione della rievocazione in modo coerente, dovuta ad abilità e abitudine a mentire.

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3.8 La personalità psicopatica

La diagnosi di D.A. gode di ottima attendibilità, specie quella inter-rater, cioè tra più valutatori e ciò non sorprende perché la sua definizione, come risulta dal DSM, contempla una serie di caratteristiche comportamentali sostenute da un modello teorico-clinico estremamente coerente. In altre parole, i diversi valutatori concordano sulla diagnosi di D. A. ma ciò è dovuto, a parere di diversi ricercatori (ad es. Widiger), ad una scarsa validità del costrutto teorico alla base della sua definizione. Un costrutto più antico era quello di psicopatia, che nella concettualizzazione di Cleckley (1976), non considerava la violenza e la componente tipicamente criminale e deviante tra gli elementi fondamentali.

Recentemente Vitacco e altri (2005), hanno proposto un modello clinico a quattro fattori. Interpersonali comportamenti disinvolti e fascino superficiale egocentricità e alto senso del proprio valore uso costante della menzogna forte tendenza alla manipolazione e alla finta complicità Affettivi mancanza di rimorso o senso di colpa insensibilità e mancanza di empatia affettività superficiale, povertà emozionale tendenza a negare e abilità a schivare ogni responsabilità Stile di vita bisogno di stimoli, scarsa capacità di tollerare la noia e le situazioni ripetitive tendenza al parassitismo 71


mancanza di obiettivi realistici a lungo termine impulsività irresponsabilità Antisocialità comportamenti problematici precoci scarsa capacità di controllo delinquenza giovanile violazione delle regole sul rilascio condizionato versatilità dei comportamenti antisociali Altri fattori spesso presenti promiscuità sessuale relazioni maritali di breve durata Si tratta di individui la cui pericolosità risiede nella capacità di sfruttare la loro apparente normalità, per ricattare, minacciare, provocare sensi di colpa, capacità di leggere le emozioni altrui per finalità distorte e dannose per l'altro, anche se solo raramente usano violenza fisica e finiscono nei guai con la legge, perché sono scaltri e subdoli, delle autentiche macchine per ricattare e minacciare , per fingere stati emotivi estranei alla loro natura e quando finiscono negli ingranaggi della giustizia spesso è trascorso molto tempo da quando hanno iniziato a molestare altre persone e solo un'indagine attenta può rilevare la natura intrinsecamente malvagia del loro operato. Raramente un soggetto presenta tutti i tratti racchiusi nei quattro fattori, più frequentemente incontra i criteri per il fattore personologico cui si aggiungono altri tratti, tra i quali possono prevalere quelli del fattore affettivo o antisociale, pertanto si può riconoscere una variante affettiva e una più marcatamente antisociale, avendo presente che alcuni psicopatici presentano un mix dei due fattori, situandosi in posizione intermedia. La variante affettiva racchiude molti soggetti apparentemente socializzati, che Cleckley riconosce in alcuni politici, avvocati, medici e imprenditori, mentre quella antisociale comprende soggetti dediti ad attività criminose e anche sex offenders. Due esempi potranno contribuire a delineare l'estrema varietà di comportamenti riconducibili a questa complessa personalità.

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M., 41 anni, divorziato con un figlio, lavora come chirurgo in un ospedale pubblico, convive con una donna di 27 anni, (una sua ex paziente) separata con un figlio. E' un noto esponente politico locale, assessore comunale e consigliere in aziende municipalizzate ed enti e fondazioni; in una di queste, minacciando i compagni di partito di denunciare alcune gravi irregolarità, che ha scoperto sfruttando le confidenze derivanti da una relazione sessuale con una avvocatessa, revisore dell'ente, ha fatto assumere la sua compagna, che pur senza titoli di merito, ha assunto il ruolo di capo contabile. Partecipa a numerose iniziative benefiche e sostiene un' associazione volta al recupero dei tossicodipendenti, presieduta dal parroco, di cui è intimo. E' stato inquisito assieme a questi, per falso ideologico, ricettazione e concussione, per aver trafficato con oggetti d' arte sacra, di cui il religioso era appassionato; inoltre in un ente da lui presieduto, sono state riscontrate gravi irregolarità e in qualità di assessore, sono emersi una serie di atti illegittimi e di situazioni di procurato vantaggio ad aziende i cui titolari erano amici e colleghi di partito. Attualmente è in attesa di giudizio d'appello, dopo essere stato riconosciuto colpevole di alcuni capi di imputazione e continua ad esercitare tutte le sue attività dichiarandosi del tutto estraneo a qualsiasi addebito, posizione condivisa dai suoi avvocati e sostenuto da molti cittadini e amici, che continuano a credere nella sua onestà e limpidezza. Ultima nota: recentemente i colleghi di lavoro hanno pubblicamente lamentato situazioni di disagio lavorativo, sentendosi criticati e svalutati e hanno affermato di non condividere alcune decisioni che M. ha preso, una delle quali ha condotto a morte un paziente, con apertura di indagini per accertare eventuali responsabilità. Riconosciamo in M. numerosi tratti psicopatici nella varietà affettiva: è un bell'uomo, ha fascino, un lavoro di discreto livello, è circondato da donne, iperbolica stima del proprio valore, sa mentire e manipolare, fingere e ingannare, non prova sensi di colpa ma sa fingerli, tende ad essere accentratore anche nella professione ma rifugge qualsiasi responsabilità, che scarica sugli altri, come fossero bidoni della spazzatura; è pronto a vendicarsi di coloro che lo criticano e ne intaccano la sua posizione e autostima, anche quando tutto depone contro di lui. E' impegnato nel sociale ma solo per conseguire crediti e vantaggi personali e non esita a mettere di mezzo il parroco, coinvolgendolo in situazioni illecite, approfittando della sua ingenuità e della sua passione per gli oggetti d'arte sacra.

C., 38 anni, sposato con un figlio di 11, impiegato, nel tempo libero da anni è allenatore di una squadra di pallavolo femminile; tutti lo conoscono come buon padre di famiglia, di buona compagnia, puntuale sul lavoro, serio e rispettoso. Messaggi di solidarietà gli vengono spediti in carcere da amici e conoscenti che non credono a quanto affermato da una delle ex giocatrici, costretta a confessare in lacrime al fidanzato che non era più vergine perché quattro anni prima, quando aveva 17 anni, aveva subito violenza sessuale dal C., che nel frattempo si dichiara sorpreso e del tutto estraneo alla vicenda, nonostante che per sua sfortuna, durante la detenzione, sia stato accusato anche da altre tre ragazze della squadra, di aver subito violenza durante gli anni. Nonostante lo sdegno suo e dei conoscenti, le lettere di ammiratrici che continua a ricevere ogni giorno e la intima convinzione del suo legale che riuscirà a provare la sua innocenza, C. è ritenuto colpevole e dovrà cedere tutti i suoi beni per far fronte ai risarcimenti di circa quattro milioni di dollari. 73


Riconosciamo in C. franchi tratti di psicopatia nella variante antisociale: è un uomo che inspira fiducia, alto, sportivo, impiegato scrupoloso e padre premuroso, la moglie lo adora e ha concquistato la stima e ammirazione dei genitori delle ragazze del team. Durante le indagini si scopre che era uso frequentare prostitute, con le quali intratteneva modalità di rapporto di tipo dominante e le ragazze abusate raccontano di essere state prese alla sprovvista, costrette con la forza a sottostare alle sue richieste e di essere state derise e screditate, prospettando che nessuno le avrebbe credute se avessero raccontato il fatto. Si nota la modalità di realizzare l'offesa, basata sul dominio e svalorizzazione della vittima, convinta che se avesse raccontato il fatto non sarebbe stata creduta da nessuno, proprio per la stima e fiducia riscossa dal C. e per le caratteristiche di personalità delle ragazze, scelte opportunamente tra quelle più fragili psicologicamente e considerate dei bidoni vuoti. Situazioni come queste ricorrono con una certa frequenza in contesti sanitari, assistenziali e religiosi, dove la presenza di una personalità psicopatica con attitudine all'abuso sessuale, rappresenta un pericolo enorme e una sfida spesso improba per coloro che si prefiggono di fare luce sugli eventi denunciati. Secondo alcuni autori, individui con tratti psicopatici ben marcati sarebbero alla guida del mondo occidentale, dove caratteristiche quali la competizione e la sfida, la capacità di rischiare ed evitare le conseguenze negative, sono considerate intrinseche al sistema politico e produttivo. In altre parole, nel sistema occidentale emergono individui che presentano spiccate tendenze psicopatiche, in prevalenza di tipo affettivo, proprio perché il possesso di questi tratti favorisce la scalata sociale: buona immagine, capacità di fingere sentimenti, uso sistematico della menzogna, camaleontica capacità di assumere stati e atteggiamenti per ingannare, indifferenza verso i sentimenti altrui, assenza di rimorso o senso di colpa, diniego di qualsiasi responsabilità.

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Riferimenti bibliografici e letture consigliate

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Cap. 4 Interventi di prevenzione

4.1 Introduzione

Nel primo capitolo si è accennato all'importanza dei p.c. e si è visto che quando l'ambiente e la relazione madre-bambino è disturbata i p.c. di sviluppo del bambino possono subire alterazioni che implicano ritardi e deficit difficili da recuperare o compensare, a meno di ricorrere a metodiche specialistiche e sempre nella consapevolezza dell'alta probabilità di permanenza di deficit residui. Gli studi su modello animale, in relazione al tentativo di recupero hanno mostrato due evidenze caratteristiche (Dope e Kuhl, 1999): la funzione non viene recuperata perché la specie considerata è caratterizzata da un p.c. di tipo chiuso, che implica che l'esperienza e l'apprendimento devono avvenire all'interno di una finestra temporale ben delimitata. In alcune specie di uccelli canori, il canto specifico di specie è innato mentre quello appreso dall'ambiente è generalmente dipendente da esperienze precoci che si devono succedere in una fase precisa dello sviluppo neurofisiologico, trascorsa la quale, non è possibile un ulteriore apprendimento; in altre specie il p.c. è aperto o perlomeno è molto duraturo e quindi è possibile, in condizioni favorevoli, esporre l'uccello a stimoli specifici e osservare comunque apprendimento,anche se il canto non sarà perfettamente sovrapponibile a quello dei conspecifici che hanno avuto normali esperienze, cioè configurazioni di stimoli sonori in un arco temporale precoce. le condizioni sperimentali che hanno permesso di influire positivamente sul recupero della funzione ritardata, nelle specie in cui i p.c. erano aperti, sono state individuate nell'overexposition, cioè nell'esporre il giovane animale a stimoli più intensi e più frequenti rispetto a quelli presenti nell'ambiente naturale. Ci sono evidenze che la regolazione emozionale dell'uomo risponde alle caratteristiche di un p.c. aperto ma non indefinitamente, in cui sembra delineata una tappa precoce di primaria importanza, che termina entro i due - tre anni e una serie di tappe successive che si prolungano fino alla preadolescenza e che in condizioni ambientali particolari possono rimanere sensibili ulteriormente; queste condizioni sono quelle in cui si osserva un attaccamento disfunzionale o alterato e una relazione coniugale caratterizzata da episodi di violenza psicologica e fisica di cui il bambino è testimone o anche vittima. 78


Pur in assenza di evidenze consolidate, è certo che quanto più precocemente si interviene e quanto più è probabile promuovere cambiamenti, pertanto i programmi di intervento sui bambini a rischio e con deficit di regolazione, dovrebbero iniziare, almeno in linea teorica, all'asilo o durante i primi due anni di scuola. Dal momento che il caregiver è la figura fondamentale per le esperienze precoci del bambino, molti interventi sono indirizzati alle madri e alle famiglie con l'aspettativa di interferire positivamente in quelle condizioni a rischio. Negli anni sessanta, quando in America sono iniziati i primi programmi indirizzati ai bambini apparteneti a famiglie povere, si conosceva ben poco riguardo i p.c., tuttavia era convinzione diffusa che quanto prima iniziava un intervento e quanto più era probabile attendere effetti favorevoli. Head Start è stato il primo programma che partiva da queste premesse e iniziò ad essere implementato su vasta scala nel 1965; nel 1988 fu la volta di Even Start, seguito da The Comprhensive Child Development Program; erano tutti basati sull'assunto che i bambini cresciuti in famiglie con reddito inferiore al minimo di sopravvivenza andavano soggetti a difficoltà ambientali che potevano essere ovviate favorendo la frequentazione di ambienti differenti, in grado di arricchire le loro esperienze e prepararli all'ingresso a scuola. In realtà non ci sono che poche e frammentarie evidenze che questi programmi generici e decontestualizzati abbiano fornito risultati apprezzabili e duraturi in relazione al parametro inserimento e rendimento scolastico (per una rassegna in merito si veda la bibliografia alla fine del capitolo). La convinzione che i primi tre anni di sviluppo sono importanti per tutto il successivo percorso di sviluppo non significa che i programmi fino ad oggi implementati per incrementare le abilità necessarie all'inserimento scolastico siano efficaci e duraturi, nonostante l'ottimismo che suscitano gli studi di outcome effettuati da fondazioni e altre istituzioni pubbliche e private che ricevono sostanziosi finanziamenti per la loro attuazione: al contrario, gli studi esterni e indipendenti hanno oscurato tale ottimistica risultanza (ad esempio Brook-Gunn et al., 1994 e Scott-Jones, 1992). E' stato osservato che le recenti scoperte delle neuroscienze di base e dello sviluppo in merito ai p.c. sono state oggetto di fraintendimenti e divulgazioni mediatiche che hanno contribuito a caricarle di aspettative del tutto irrealistiche, pertanto è utile rimarcare alcuni punti: il comportamento umano è governato dal cervello e non dovrebbe sorprendere che le esperienze retroagiscano su di esso stimolandone la plasticità in ogni fase del ciclo di vita la maggior parte delle stimolazioni necessarie per le esperienze di sviluppo sono normalmente reperibili nell'ambiente di vita si conoscono effetti negativi sul cervello di animali deprivati sperimentalmente di stimoli ma non sono affatto provati effetti positivi, sotto forma di incremento di abilità di base e Q.I., derivanti dall'arricchimento di stimoli durante fasi precoci di sviluppo umano, anzi in alcuni casi l'eccesso di stimolazione si è rivelato dannoso. In definitiva, quello che si conosce per certo è che le esperienze precoci sono di basilare importanza ma non si hanno prove che l'arricchimento di stimoli contribuisca a produrre un cervello superiore e se ciò accadesse, dal punto di vista evoluzionistico, sarebbe un fatto sorprendente. Solo per fare un esempio, le mnemotecniche possono rendere la memoria più efficiente ma non migliorano i punteggi ai principali test di memoria, che invece correlano direttamente con le caratteristiche biologiche, né si è mai riscontrata una metodica psicologica in grado di incrementare sostanzialmente e stabilmente il Q.I. degli individui (che non significa che i fattori sociali e ambientali non siano altamente influenti sulle performance rilevate nei Q.I., 79


in proposito si veda Schiff & Lewontin, 1986). L'augurio migliore che può essere rivolto a un neonato è di formare una valida esperienza di attaccamento e disporre di condizioni di vita adeguate agli standard sociali e non di crescere in un ambiente familiare che lo sommergerà di stimoli del tutto superflui o nocivi; a questo provvederanno le agenzie sociali deputate ad accrescere il consumo di massa e a sensibilizzare gli individui verso tematiche strumentali e spesso del tutto estranee ad una sana crescita psicologica individuale. Quando l'attaccamento non può realizzarsi con un solo caregiver o non si sviluppa un attaccamento sicuro si hanno ripercussioni negative sullo sviluppo ma in questi casi il cervello rimane sensibile più a lungo all'influenza delle esperienze e dunque è utile e anzi sperabile che il bambino sia sottoposto a esperienze ripetute e intense per scongiurare la possibilità di deficit futuri o già concretizzati, tramite un intervento personalizzato centrato sul bambino e sul suo contesto familiare. Invece i programmi realizzati all'inizio degli anni sessanta e anche recentemente erano rivolti alle famiglie povere, cercando di favorirne la fruizione di servizi sociali, istruzione, salute, trasporti e lavoro attraverso un notevole impiego di mezzi e risorse finanziarie che sono stati oggetto di critiche fondate sulla pragmatica constatazione che se il problema è la povertà, associata a fattori di rischio quali gravidanze indesiderate, abuso di sostanze, relazioni familiari problematiche e ambienti ad alto degrado, tanto vale integrare direttamente il reddito al di sopra del minimo di sopravvivenza, anche perché gli studi indipendenti non hanno rilevato effetti durevoli dei programmi di incremento dei servizi rivolti ai bambini poveri in età prescolare, che continuano a incontrare rischi elevati e condotte problematiche durante il corso dello sviluppo.

4.2 Criteri generali

Un intervento efficace sui comportamenti devianti e violenti deve agire sui fattori di rischio presenti nell’ambiente e indirizzarsi sui soggetti a rischio. Sul piano metodologico è utile seguire queste linee guida: disporre di indici accurati degli specifici fattori di rischio, conoscere la popolazione interessata e le sue caratteristiche ambientali, predisporre interventi mirati, adottare metodiche efficaci, e attuare l’intervento con personale specializzato, 80


effettuare i controlli in itinere e di outcome, confrontandoli con gli obiettivi prefissati. Ogni punto è essenziale per ottenere risultati significativi e si è constatato che gli interventi inefficaci erano carenti in uno o più punti: conoscere i generici fattori di rischio è importante ma ignorare quelli specifici di una certa popolazione può compromettere l’efficacia dell’intervento; la popolazione a rischio deve essere perfettamente individuata, non basta rivolgersi ad esempio, a giovani in età scolare o altri raggruppamenti generici. Anche l’ambiente di vita dei soggetti deve essere attentamente analizzato, non è sufficiente un generico riferimento agli ambienti di periferia, anche perché nelle grandi città prevale un elevato grado di mobilità sociale e cambiamenti negli assetti urbani e sociali; l’intervento deve specificare i fattori di rischio su cui si indirizza e prevedere i risultati attesi entro un periodo di tempo dal termine; le metodiche e procedure efficaci sono state in parte individuate con metanalisi di studi longitudinali, altre sono in corso di rilevazione; attuare un intervento presuppone il monitoraggio del suo andamento e al termine, il confronto dei risultati attesi o prefissati con quelli ottenuti e in questa fase è importante fissare obiettivi realistici, avendo presente che effetti diretti si osservano in meno del 20% dei soggetti interessati. Gli studi nordamericani ripartiscono i fattori di rischio su quattro ambiti: individuale, famigliare, comunitario e scolastico e individuano, per ciascun ambito, una serie di fattori generali. Ambito individuale: storia di ribellione e isolamento, comportamenti problematici, specie se iniziati precocemente e fattori costituzionali predisponenti, ad esempio impulsività, tendenza all’ossessione e compulsività; Ambito famigliare: problemi di conduzione del menage e conflitti coniugali, comportamenti problematici; Ambito comunitario: diffusione di droghe, lavori precari, deboli legami di vicinato e livello di reddito inferiore al minimo di sopravvivenza; Ambito scolastico: fallimento scolastico alle elementari o alle medie, scarso coinvolgimento nelle attività scolastiche e con i compagni, comportamenti problematici nelle relazioni con compagni e insegnanti. Il Jacksonville’s Priority Risk Factors, individua cinque fattori principali: deprivazione economica, difficoltà nella conduzione del management famigliare, fallimento scolastico precoce, scarso coinvolgimento nelle attività scolastiche e ambiente con elevata disponibilità di droghe. 81


Ai fattori comunitari generali, derivanti da campioni nazionali, si aggiungono quelli specifici di un dato territorio, che può ricomprendere un’area geografica estesa o limitarsi a realtà più circoscritte, come la città o il quartiere. I fattori comunitari presuppongono interventi di tipo politico e sociale, mentre quelli individuali e scolastici sono oggetto di intervento psicologico, sanitario e psicopedagogico. Le metodiche di intervento sono molteplici e sono state classificate, in base agli outcome, in Model Programs, che inontrano molti criteri di validità e mostrano standard di efficacia rilevanti e Promising Programs, che incontrano un minore numero di criteri di efficacia o sono in fase di studio. Entrambi sono suddivisi in Level 1 programs, efficaci su violenza e criminalità e Level 2 programs, che agiscono sui fattori di rischio. I level 1 sono impiegati su soggetti che hanno già manifestato condotte violente mentre i level 2 si indirizzano sui soggetti a rischio. Negli ultimi vent’anni, le analisi statistiche degli interventi di prevenzione, soprattutto mediante metanalisi, metodo che permette di combinare i risultati di numerosi studi e ottenere dati affidabili degli effetti di un trattamento o intervento, hanno permesso di individuare quelli efficaci da quelli scarsamente o punto efficaci, considerando che un intervento efficace ha per risultato una riduzione diretta del numero di crimini compresa tra 10 e 20 per cento, cui si sommano gli effetti indiretti, al momento non ancora esattamente quantificati ma stimati tra il 5 e 15 per cento, risultati tutt’altro che trascurabili. Per fare un esempio, dopo 15 anni di interventi efficaci in un ambiente delimitato, sono attesi un minor numero di crimini violenti compreso tra 25 e 35 per cento. L’efficacia di un trattamento o intervento si valuta in base a tre criteri: disegno sperimentale rigoroso, evidenze di effetti deterrenti significativi e la sua replica. Per disegno sperimentale rigoroso s’intende l’assegnazione casuale dei soggetti ai differenti gruppi e quando questo non avviene e ci sono numerose situazioni nelle quali questo non si verifica, si ha un disegno quasi-sperimentale. Si deve disporre di validi strumenti di misurazione e analisi dei dati, che permettano di ottenere misure affidabili e validi indicatori dei risultati. In un trial clinico, replicare significa avere riguardo sia all’efficacia del test nelle condizioni sperimentali che nelle condizioni naturali, cioè mirare alla replicazione indipendente in più luoghi da parte di altri ricercatori. Per stabilire che tra le differenti condizioni di trattamento ci sono variazioni significative non dovute al caso, si deve scegliere un livello di confidenza “p” sufficientemente sicuro, in genere 0.05, che significa che su 100 prove, in meno del 5% i risultati sono dovuti al caso e non alle differenti condizioni sperimentali. Una buona valutazione di un programma di prevenzione della violenza giovanile dovrebbe accertare che, entro un certo livello di confidenza, è in grado di ridurre il numero dei soggetti che diviene violento o che agisce sulla prevalenza del fenomeno, cioè sul numero di soggetti violenti o sul tasso individuale di offesa, che, per quanto evidenze indirette, permettono di rilevare un risultato positivo. I programmi preventivi, i più attuati, dovrebbero prevenire o ridurre la violenza ma sono reputati efficaci anche se agiscono sui fattori di rischio e sui fattori protettivi, specie quelli dell’infanzia, anche considerando che l’esordio di comportamenti violenti in adolescenza è favorito dalle relazioni e dall’ambiente in cui ha luogo lo sviluppo infantile. Un ulteriore criterio di efficacia riguarda la permanenza degli effetti, cioè i benefici si devono protrarre per diversi mesi dopo il trattamento, che in questo ambito significa rilevare un assetto meno turbolento nelle relazioni familiari e sociali. Quando gli interventi sono iniziati precocemente, la permanenza dei benefici può essere persa durante l’adolescenza, per le implicazioni relazionali e sessuali che questa fase implica, pertanto si rende necessario monitorare i soggetti trattati ad intervelli regolari per valutare la necessità di intervenire di nuovo 82


sui fattori di rischio in adolescenza, che sappiamo essere specifici per questa fase del ciclo di vita, anche se meno importanti di quelli precoci. Un Model program sufficientemente efficace deve mantenere gli effetti per almeno 12 mesi dal suo termine. La principale differenza tra Model e Promising programs è basata sulla misura dell’indice di correlazione di Pearson, “r”, dove per i primi è accettato un valore non inferiore a 0.30, mentre per i secondi il valore sui fattori di rischio non supera 0.10, che significa che su 100 soggetti trattati, rispettivamente 30 e 10 mostrano effetti positivi, cioè sono associati a riduzione di violenza o a riduzione dei fattori di rischio o del loro peso. Gli interventi che si sono rivelati inefficaci forniscono una serie di informazioni di notevole importanza per comprendere cosa funziona in un intervento e con quali metodiche. E’ emerso che tutte quelle metodiche di intervento basate su modelli psicoeducativi e di sola informazione non sono risultati efficaci e alcuni addirittura hanno mostrato dannosità; di contro, gli interventi efficaci si basano su metodiche comportamentali e cognitive improntate su training specifici di notevole semplicità e rivolti a più soggetti contemporaneamente. I principali fattori che minacciano il successo di un intervento o la permanenza dei suoi effetti sono stati individuati a livello costituzionale, dove può essere presente un terreno biologico favorevole a temperamento ipertimico e distimico e sviluppo di disturbi del controllo e a livello ambientale, dove la presenza di stimoli che sollecitano risposte aggressive e violente, tipiche di ambienti ad alto degrado sociale e urbano, può neutralizzare la presenza di rinforzi per i comportamenti prosociali e non violenti. Dal momento che gli interventi presuppongono un finanziamento pubblico, anche il criterio dell’efficienza economica, efficacy, è rilevante, dato che le risorse finanziarie a disposizione del sistema pubblico sono limitate, pertanto a parità di efficacia sono preferiti interventi meno dispendiosi in termini di mezzi e tempo e anche in caso di maggiore efficacia di una metodica, è spesso preferita un’altra meno efficace ma più efficiente, cioè con un maggior rapporto costi benefici. Realizzare validi controlli in itinere e di outcome è difficile quando si lavora su più soggetti e su più ambiti, in confronto a interventi sul singolo, che peraltro sono più dispendiosi e non ci sono evidenze di una maggiore efficacia. Un controllo in itinere si realizza in base alla verifica di parametri di correttezza e appropriatezza dell’intervento, di solito inseriti in un protocollo tipico mentre quelli di risultato si effettuano rilevando a distanza di tempo gli effetti, rappresentati da indici comportamentali, ad esempio tasso prevalenza di criminalità e tasso individuale di offesa. I programmi di intervento sono volti a ridurre il rischio di in quei soggetti che presentano alto rischio, prevenzione secondaria o a prevenire recidive, prevenzione terziaria, mentre la prevenzione primaria si rivolge a tutta la popolazione giovanile, indipendentemente dal livello di rischio.

I principali Models Programs di prevenzione sono: Level1, Seattle Social Development Project, SSDP, Prenatal and Infancy Home Visitation by Neurses e Functional Family Therapy , FFT.

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Level 2, The Midwestern Prevention Project, MPP e Life Skills Training. SSDP è un intervento centrato su bambini delle scuole elementari e rivolto alla classe e ai genitori, finalizzato alla riduzione dei fattori di rischio e all’incremento dei fattori protettivi, attraverso specifici training per l’incremento di abilità dei bambini e dei loro genitori. Sono presenti tre componenti concernenti il comportamento prosociale, il problem solving interpersonale, il buon andamento scolastico e l’evitamento di droghe, principalmente alcol e tabacco. L’obiettivo è ottenere un maggiore coinvolgimento nelle attività scolastiche da parte dei soggetti a rischio, sul presupposto che un impegno di molte ore in attività relazionali dispiega efficacia preventiva di notevole portata. I bambini arruolati al programma di durata quinquennale, sottoposti a controllo all’età di 16 – 18 anni, hanno mostrato minori tassi di violenza, alcolismo e rapporti sessuali con più partner contemporaneamente, cioè promiscuità sessuale, nonché minori gravidanze indesiderate, rispetto ai bambini in situazioni di rischio simili, non trattati. Le tecniche di intervento, sono basate sull’incremento dei sistemi autoregolativi, cioè le competenze cognitive, emotive, relazionali e comunicative, che giocano un ruolo di notevole peso nel contribuire a evitare i fattori di rischio o a ridurne il loro impatto, attraverso l’acquisizione di strategie attive di social problem solving, l’espressione delle emozioni, la comunicazione assertiva e il comportamento prosociale. L’incremento di questi processi, nei vari ambiti, costituisce il focus principale dell’intervento di prevenzione rivolto alla popolazione infantile, specie in ambito scolastico. Inoltre l’intervento si avvale di tecniche e metodiche comportamentali, come il role taking, il social perspective taking e lo skills development. Gli studi longitudinali di controllo, hanno rivelato che gli interventi basati solo sulla parola, come mezzo per diffondere conoscenze, sono in questo ambito poco o punto efficaci in confronto a quelli che prevedono training e routine comportamentali strutturate, in cui i soggetti sono opportunamente inseriti. Recitare a turno una parte e scambiarsi i ruoli, ad esempio del buono e del cattivo, del responsabile e dell’irresponsabile, si è dimostrato efficace nell’acquisizione di prospettive soggettive alternative, in grado di promuovere sia il decentramento cognitivo, cioè considerare più alternative e soluzioni, che emozionale, come maggiore capacità empatica e relazionale che sappiamo essere deficitarie nei bambini aggressivi e violenti. Chiarimenti terminologici: strategia si riferisce a un modello teorico di approccio alla prevenzione della violenza e dei suoi fattori di rischio; intervento comprende l'insieme di attività e strumenti impiegati nella prevenzione; programma significa l'impiego di una o più strategie, opportunamente implementate, per realizzare un intervento di prevenzione.

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Predisporre un progetto di prevenzione significa pianificare una serie di tappe per arrivare a un risultato: conoscere e descrivere il problema, cioè il numero di soggetti e la tipologia di atti, contesto e durata, riferendosi a un delimitato ambito territoriale. Per i dati quantitativi in genere si ricorre a fonti statistiche nazionali e locali mentre per i dati qualitativi e di dettaglio è utile ricorrere a indagini sul territorio mediante questionari e interviste mirate, analizzare i dati e stabilire quali sono i problemi più rilevanti, chi sono i soggetti cui si rivolge l'intervento e quali obiettivi ci si prefigge di conseguire a breve e medio termine. In questa fase è importante capire se è utile un intervento indirizzato alla generalità dei soggetti o se invece è più opportuno limitarlo ai soggetti ad alto rischio; in questo caso è necessario ricorrere ad ulteriori approfondimenti, sapendo che individuare i bambini ad alto rischio non è agevole ma si può ricorrere alla conoscenza dei fattori generici di rischio già esaminati, cui si aggiungono quelli locali. Individuati i potenziali soggetti e gli obiettivi occorre stabilire con quali strumenti e mezzi si vuole intervenire: in genere è utile implementare un programma diretto a più categorie di soggetti, ad esempio i bambini delle scuole dell'obbligo provenienti da famiglie svantaggiate e soggetti ad alto rischio, due categorie ben differenziate in relazione al tipo di famiglia, entourage e fattori di rischio, per questo molti programmi implementano due o più strategie sinergiche. gli obiettivi devono essere specifici, dettagliati e agevolmente misurabili al termine dell'intervento, sotto forma di variazioni statistiche direttamente correlate. gli operatori preferibilmente devono essere professionisti esperti nel loro specifico campo di competenza e formare un gruppo coeso e motivato, senza escludere l'apporto di figure volontarie, che però occorre valutare attentamente. In genere si arruolano due tipologie di operatori: quelli tecnici e quelli volontari, questi ultimi di solito provengono dagli ambienti cui fanno parte i soggetti, in grado di promuovere atteggiamenti di minore sospettosità nei confronti dell'intervento e dei professionisti. E' stato rilevato in studi condotti in Florida e California, che gli scarsi outcome di interventi pur metodologicamente ben realizzati erano principalmente dovuti a scarsa competenza e motivazione degli operatori, in prevalenza reclutati nell'ambito delle organizzazioni di volontariato e delle cooperative di servizi, mediante la partecipazione a corsi di formazione di dubbia validità e comunque inadeguati e incompleti, forniti da docenti a loro volta parte del sistema del volontariato, che formavano un circuito chiuso, privo di apporti di altri ambiti professionali. Un altro elemento negativo è rappresentato dall'influenza di ambienti esterni su coloro che programmano l'intervento, finendo per orientarlo verso scopi e obiettivi non ottimali o suggerendo l'arruolamento di personale non in linea con le competenze e le motivazioni desiderabili. se scopi e obiettivi sono stati posti in modo chiaro e semplice, sarà altrettanto facile monitorare l'andamento e rilevare gli outcome finali. Il monitoraggio dovrebbe essere affidato al responsabile dello staff mentre la valutazione dei risultati dovrebbe essere affidata a figure esterne, per evitare le frequenti critiche rivolte agli interventi sociali, fondate sulla constatazione che operatori e controllori coincidono, un fatto metodologicamente esecrabile e che porta discredito sia su chi ha operato, sia su chi ha finanziato il programma. In genere quanto più alta è la stima riposta in una figura scientifica e quanto più sono credibili i risultati da essa attestati. In ogni caso, a distanza di tempo, i risultati di più lungo periodo dovrebbero 85


emergere sotto forma di dati statistici locali rilevati da agenzie esterne, sotto forma di minori tassi di violenza giovanile, minori interventi sanitari per lesioni e migliori rendimenti scolastici. Si considerano in dettaglio due strategie di prevenzione secondaria, cioè sui soggetti a rischio, che hanno rivelato buoni standard di efficacia e outcome positivi: Parent-family strategy e Home visiting, entrambe diversamente configurate in base al programma in cui si inseriscono, agli obiettivi che si intendono conseguire e ai soggetti cui sono rivolti.

4.3 Parent-family based strategy

La strategia basata sull'intervento sui familiari e più frequentemente sui genitori di bambini a rischio è fondata su una serie di studi che attestano correlazioni tra funzioni alterate e disturbate di child care e parentage e manifestazioni precoci di comportamenti disturbati e aggressivi nei figli. In particolare Webster-Stratton (1997), Hendrix e Molloy (1990), Buka e Earls (1993), hanno rilevato strette correlazioni tra stato emotivo dei genitori, nel senso di uno stato di disattenzione verso il figlio, frequenti sbalzi di umore, piattezza emozionale e relazioni alterate tra coniugi e sviluppo di disturbi di condotta e problemi relazionali nei figli in età prescolare. I disturbi più ricorrenti sono quelli di spettro depressivo e dell'ansia, associati ad eventi strssanti, come i conflitti coniugali e separazioni, oppure sono presenti condizioni quali abuso di sostanze e condizioni sociali svantaggiate. La strategia si prefigge di migliorare l'interazione tra genitori e tra genitori e figli e ridurre l'impatto negativo di un parentage inadeguato o abusante, considerando l'età e le condizioni di sviluppo del bambino, pertanto si rivolge a due categorie di soggetti: famiglie con bambini piccoli, meglio se in età prescolare e genitori a rischio, sia separatamente che ad entrambi, quando le due condizioni sono presenti. Quando si interviene tempestivamente,la violenza e le altre situazioni di devianza non si sono ancora manifestate all'esterno e l'interiorizzazione delle regole sociali non è ancora completata, anche se i tratti basilari della personalità sono già delineati, pertanto è più probabile ottenere effetti positivi e duraturi, rilevabili attraverso la riduzione di indici di devianza e manifestazioni comportamentali, quali disturbi di condotta, oppositivo, uso di sostanze e problemi scolastici, che sono direttamente correlati a sviluppo di comportamenti violenti e devianti. Anche i genitori possono essere ad alto rischio, quando è presente una storia di devianza, uso di sostanze, abuso e negligenza, scarsa capacità di 86


imporre disciplina e controllo dei figli e debole o inadeguata relazione emotiva. Sono presenti anche altre condizioni, quali conflitti coniugali, eventi stressanti e isolamento ambientale, tipico delle famiglie appartenenti a culture diverse. L'intervento è rivolto principalmente ai genitori perché si riconosce la loro funzione di educazione, socializzazione e promozione di un sistema di valori condivisi, prima ancora delle altre agenzie, in particolare la scuola; ciò non significa che non sia possibile intervenire dopo l'ingresso a scuola ma è certo che promuovere cambiamenti negli atteggiamenti, valori e comportamenti è sempre più difficile e richiede più tempo, quanto maggiore è l'età del bambino: in genere entro i primi due - tre anni delle elementari è sempre possibile intervenire con una elevata probabilità di successo. Questi interventi presuppongono una adesione spontanea, che non sempre implica una compliance, in quanto spesso le famiglie aderiscono sulla base di incentivi e agevolazioni, quali forniture di cibo, trasporti gratuiti e buoni spendibili in negozi convenzionati: in ogni caso, l'adesione spontanea è sempre preferibile e rivela risultati migliori in confronto alle partecipazioni decretate dall'autorità. Si sono evidenziate notevoli differenze nell'attuazione e nei risultati, a seconda che l'intervento sia attuato da associazioni e istituzioni direttamente dipendenti dallo Stato o comunque costituite sotto la direzione di amministrazioni pubbliche, in confronto a quelli realizzati da associazioni di professionisti, specializzati in interventi di prevenzione e trattamento della violenza. Le principali differenze, in studi comparativi di outcome effettuati in alcune città americane, sono state riscontrate nella preparazione e motivazione degli operatori e nelle diverse forme di organizzazione. Le associazioni pubbliche, sono quasi sempre organizzate sotto forma di cooperative di servizi e associazioni di volontariato, con operatori a volte motivati ma non all'altezza dei compiti e più spesso poco motivati, retribuiti a stipendio fisso e con preparazioni specifiche conseguite mediante la partecipazione a corsi ad hoc, spesso interni all'istituzione, lacunosi e comunque forniti da docenti non sempre all'altezza, almeno giudicando dalla ricognizione dei curricola. Inoltre è emerso che essendo l'istituzione pubblica la principale se non l'unica fonte di finanziamento, finisce per influire pesantemente, in modo diretto o più spesso indiretto, sulla scelta degli obiettivi, degli operatori e dei formatori, nonché sulla valutazione dei risultati. Le associazioni di professionisti indipendenti invece, hanno rivelato una migliore e più diversificata preparazione dei singoli operatori, maggiore indipendenza professionale e capacità di coinvolgimento nello staff, alta propensione ad essere retribuiti in base al risultato conseguito e concordato con i finanziatori e ad automonitorare la propria attività; si è spesso evidenziata anche una maggiore efficienza e un risparmio sui costi del progetto, pur essendo retribuiti singolarmente fino a cinque volte di più, in confronto agli operatori dipendenti. In ogni caso sono necessarie figure volontarie, opportunamente preparate, per supportare l'attività degli operatori professionali e implementare la logistica.dell'intervento, ad esempio provvedere al trasporto di materiali e persone, accoglienza nelle sedi e altri compiti volta volta individuati e ben specificati. Vediamo alcune varianti di interventi, rivolti a famiglie con figli a rischio o già manifestamente problematici.

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4.3.1 Parent-child interaction training program.

Si prefigge di insegnare ai genitori non problematici, con figli di età compresa tra 3 e 10 anni, non particolarmente a rischio, abitanti in quartieri problematici, strategie di interazione efficaci di relazione e monitoraggio delle attività dei figli e si svolge mediante incontri di gruppo, formato da 7-8 coppie di genitori, previamente valutate sufficientemente funzionanti, cioè con rapporto di coppia positivo e con un livello di regolazione accettabile. Le metodiche di intervento si avvalgono anche di materiale grafico, ad esempio vignette che esemplificano situazioni ricorrenti e supporti video che illustrano situazioni e schemi di interazione che sono in seguito riprodotti dai partecipanti sotto la guida dell'esperto. Il corso fornisce anche nozioni sulle tappe di sviluppo psicologico del bambino, discutendo ed esemplificando le principali problematiche, bisogni e disturbi di ogni fascia di età. Quando ritenuto utile, gli incontri sono integrati da visite a casa e comunque sempre è offerto un counseling telefonico alla bisogna, in qualsiasi momento della giornata. La costituzione di un gruppo di genitori è strategicamente utilizzata per favorire la conoscenza reciproca e la costituzione di una rete di self-help, in grado di sostenersi a vicenda anche dopo il termine del corso, che prevede un incontro a settimana per 12-20 settimane. Si esaminano adesso modalità d'intervento su famiglie con figli problematici e ad alto rischio, di età compresa tra 10 e 14 anni, sempre valutando previamente il livello di funzionamento della coppia e implementando il programma in modo differenziato per ciascuna famiglia.

4.3.2 Multisystemic therapy program.

E' un programma che sviluppa strategie e include obiettivi differenziati per ciascun genitore, mediante colloqui individuali con il partner e con gli altri componenti la famiglia. Gli incontri con i figli sono individuali e assieme ai familiari e il nucleo dell'intervento è la reciproca assunzione di impegni a seguire precisi obiettivi riguardo comportamenti da seguire e compiti e attività da svolgere sotto il controllo dei genitori, che potranno rilevare inosservanze e somministrare sanzioni concordate. Sono previsti anche incontri in piccoli gruppi di genitori, per fornire conoscenze sulle tappe di sviluppo e materiali grafici e video.

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4.3.3 Functional family therapy.

E' un programa che risale agli inizi degli anni '80, composto di tre fasi distinte e successive: valutazione dei problemi comportamentali e relazionali della famiglia; promozione di attitudini positive verso la relazione e il problem solving sociale; fase educativa, in cui si lavora sull'incremento delle capacità comunicative e relazionali, rinforzo delle interazioni positive e insegnamento di strategie di gestione dei conflitti. Quando i bambini sono in età scolare, gli interventi sulla famiglia dovrebbero sempre integrarsi con quelli in ambito scolastico, per prevenire difficoltà di inserimento e di rendimento. Esaminiamo infine tre interventi rivolti a soggetti specifici, con problemi e difficoltà differenziate: genitori abusanti e negligenti, genitori con figli adolescenti e famiglie composte da immigrati.

4.3.4 Nurturing parenting program.

E' rivolto a genitori trascuranti o che adottano metodiche inadeguate e violente per imporre la disciplina e regolare il comportamento dei figli. Sono impiegate tecniche in piccoli gruppi che mirano a incrementare la consapevolezza dei propri stati emotivi, incrementare l'autostima e promuovere l'autoefficacia; si lavora inoltre per sviluppare modalità di relazione non violente e coercitive e sulla comunicazione, sempre ricorrendo a training di assertività, role-playng e cambiamenti di percezione sociale e relazionale, in modo da far acquisire la capacità di controllo del comportamento dei figli senza dover ricorrere alle maniere forti, contrastando il senso di impotenza e sfiducia, sempre presente nei genitori con figli problematici. Nella modalità di Miller e Dishion genitori e figli formano gruppi separati oggetto di interventi specifici e complementari, in modo da evitare reazioni negative e interazioni che non sarebbero produttive durante l'incontro.

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4.3.5 Adolescent transition program.

E' rivolto a genitori con figli adolescenti frequentanti le scuole superiori, a rischio di insuccesso scolastico, comportamenti antisociali e abuso di sostanze. E' imperniato sull'incremento di sette abilitĂ genitoriali: rivolgere domande in modo non retorico, fare uso di ricompense e incoraggiamenti, stabilire regole chiare, prevedere conseguenze ragionevoli e certe in caso di violazione, monitorare l'attivitĂ , prestare ascolto e ricorrere al problem solving per risolvere i conflitti.

4.3.6 Confidential parenting.

E' un programma agevolmente adattabile, per affrontare le problematiche dell'interculturalitĂ : ridurre l'emarginazione dei genitori, migliorare la qualitĂ delle relazioni e ridurre i comportamenti a rischio. Si avvale di operatori appartenenti alla cultura di origine delle famiglie e si lavora per favorire l'internalizzazione di regole sociali e l'integrazione.

4.4 Home visiting intervention

E' una strategia diffusa nei paesi nordeuropei, soprattutto scandinavi, rivolta a categorie specifiche di soggetti e famiglie: giovani donne in attesa o che hanno da poco partorito il primo figlio, in condizioni di disagio sociale e economico, ad esempio senza un partner, o con partner disoccupato, abitanti in quartieri poveri, uso di sostanze e problemi di marginalitĂ ; ragazze preadolescenti e adolescenti a rischio di gravidanze indesiderate, frequenti assenze 90


da scuola e scarso coinvolgimento nelle attività scolastiche in genere, uso di sostanze, frequentazione di compagne a rischio, genitori problematici e altre caratteristiche individuali, familiari e ambientali, come storie di abusi e parentage trascurante; più in generale, famiglie con figli a rischio, quando si ritiene più opportuno un intervento presso le singole abitazioni e nel quartiere. Un child-care e maternage inadeguato, carente o abusante produce nel bambino ripercussioni sullo sviluppo fisico, cognitivo e affettivo. Ad esempio una madre che fa uso di sostanze in gravidanza o non si nutre in modo adeguato determina ripercussioni negative sul feto; scarsa cura fisica e malnutrizione del neonato possono sommarsi, assieme ad altri eventi quali la sindrome dello scuotimento, una manovra attuata da madri inesperte e problematiche, nel tentativo di far cessare il pianto, che può esitare in lesioni emmorragiche, dovute all'urto del cervello contro le pareti craniche. Si è già accennato allo stile di attaccamento e in proposito, una serie di osservazioni hanno evidenziato notevole influenza delle modalità interattive con il bambino e lo sviluppo di tratti di personalità e stili cognitivi caratteristici. Quando le interazioni sono disturbate o carenti, è facile che il bambino manifesti isolamento, senso di insicurezza, oppositività e diffidenza e più tardi manifesti difficoltà di inserimento scolastico e a volte disturbi di apprendimento, condizioni che sappiamo essere correlate alla probabilità di incontrare fattori di rischio che l'intervento si propone di rimuovere o ridurre, fornendo al domicilio dei soggetti una serie di supporti materiali e psicologici, come cibo, farmaci, assistenza specialistica per l'allevamento del neonato, counseling psicologico e conoscenze riguardo la cura e la salute del piccolo. Quando il programma è indirizzato a famiglie svantaggiate con figli adolescenti, in genere è preferibile associare anche un intervento scolastico, per contrastare i fattori di rischio specifici di tale ambito. La strategia si è rivelata efficace nel ridurre le situazioni di abuso fisico e sessuale, in particolare nella variante del Healty Start Program, basato sul supporto continuo di servizi sociali e sanitari, con particolare attenzione alla salute dei figli piccoli (Daro e Harding, 1999). Altre varianti possono mirare al rendimento scolastico del bambino, impiegando insegnanti a domicilio nel doposcuola. L'intervento dovrebbe durare almeno un anno ma più spesso dovrebbe protrarsi per due fino a cinque anni, con frequenza di una visita a settimana per le attività di nursering e due, tre volte la settimana quando sono inseriti obiettivi di sostegno scolastico. Attuare un programma di home visiting richiede un impiego di mezzi e risorse assai elevato e deve essere preventivamente operata una analisi dei costi e risorse da impiegare, dei risultati attesi e una rendicontazione al suo termine che convinca i cittadini dell'utilità di tale spesa pubblica.

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4.5 Sistema emozionale e controllo degli stati emotivi.

Gli interventi di prevenzione e di trattamento fanno leva sull'incremento delle capacità di conoscere e controllare il proprio stato emozionale, pertanto si ritiene utile acennare al Sistema Emozionale (S.E.) e ai meccanismi implicati nello sviluppo del controllo emotivo, in base ai recenti approcci scientifici. Il S.E. ha il fondamentale compito di rispondere agli stimoli esterni e interni all'organismo, favorendo, da solo o con la mediazione del Sistema Cognitivo (S.C.), l'adattamento all'ambiente. Scherer (1984), ha formulato un modello di reazione allo stimolo in cinque componenti, includendo anche la valutazione cognitiva e soggettiva degli stimoli, che i ricercatori di neuroscienze invece ascrivono al S.C., come si è visto nel primo capitolo: fisiologica, deriva dall'attivazione del SNA e del SNE, comporta modificazioni adattive di parametri quali battito cardiaco, frequenza del respiro, sudorazione, aumento o diminuzione di secrezione gastrica, della motilità intestinale etc., espressivo-motoria, le modifiche fisiologiche si esprimono e si accompagnano ad espressioni facciali, posture e tono di voce, motivazionale, consiste in azioni e piani comportamentali che favoriscono il conseguimento di scopi segnalati dagli stimoli, cognitiva, cioè monitoraggio e valutazione degli stimoli, soggettiva, consiste nella valutazione del vissuto emozionale, con attribuzione di nomi specifici ai differenti stati emotivi. Antropologi e psicologi concordano sull'universalità di quattro emozioni fondamentali, dal punto di vista della componente espressivo-motoria: gioia, tristezza, rabbia e disgusto ma il repertorio emotivo si compone di una molteplicità di stati espressivi, di cognizioni e valutazioni, per cui si parla più in generale di stati emozionali. La componente emozionale, nel senso di Frjida, sottende la preparazione all'azione in risposta alle sollecitazioni dell'ambiente; quando lo stato è intenso si arriva all'attivazione di schemi comportamentali autonomici, con interruzione dei programmi in corso, un meccanismo che Frjida designa con “precedenza del controllo”. Scherer e Frjida indicano diversi livelli di controlo di uno stimolo: il primo riguarda la novità o meno, il secondo implica un giudizio sul grado di piacevolezza o meno, il terzo valuta la sua congruità con gli scopi presenti nel sistema, l'ultimo concerne la valutazione della congruità dello stimolo con il sé e con le norme sociali, generando stati come vergogna e senso di colpa quando il comportamento non è giudicato, dagli altri o da se stesso, conforme alle regole sociali e ai propri ideali. Questo controllo pone l'accento sulla dimensione relazionale degli stati emozionali, che segnalano agli altri il proprio vissuto in relazione ai valori condivisi interiorizzati 92


nel corso dello sviluppo. La regolazione della risposta emozionale implica collocare la valutazione cognitiva dei cinque punti di Scherer in un sistema di elementi correlati, che includono le caratteristiche dell'ambiente e dell'evento da cui origina la reazione emotiva, le caratteristiche temperamentali, personologiche e lo stile cognitivo. Ciascun individuo infatti, apprende modalità tipiche di rapportarsi alle reazioni emozionali suscitate da un determinato set di stimoli e acquisisce una serie di competenze che gli permettono di definire la situazione e scegliere azioni ritenute appropriate per realizzare un adattamento che si esprime attraverso un comportamento di fuga, di lotta, cioè la reazione aggressiva o il dialogo e la relazione. Cole e Dodge (1998), hanno individuato tre processi mentali che influenzano il comportamento aggressivo: la distorta percezione di minaccia la presenza di una memoria di precedenti risposte aggressive la valutazione di conseguenze favorevoli per l'aggressività Alcuni bambini tra 8 e 9 anni, mostrano una evidente distorsione nell'interpretare i comportamenti altrui, percependo ostilità quando i loro coetanei rilevano indifferenza o segnali di vicinanza; hanno anche memorizzato esperienze in cui l'aggressività era una risposta frequente nel contesto familiare e ambientale e hanno appreso che simili risposte comportano un risultato desiderato, senza bisogno di procrastinarne il conseguimento. In genere la distorta percezione di minaccia o di ostilità è conseguenza di un adattamento a un ambiente aggressivo e abusante, che sollecita il soggetto a conformarsi ad esso, generalizzando la risposta anche ad altri contesti, tipicamente a scuola, con i compagni di classe e insegnanti. I bambini che precocemente mostrano questi aspetti, tendono a risolvere le dispute e i conflitti attraverso espressioni aggressive, perché non sono abili nelle strategie di negoziazione sociale, che implicano capacità di gestire il problem solving sociale applicato a problemi specifici di soluzione dei conflitti. L'abilità di conoscere i propri stati emozionali e attribuirne una causa a fattori interni o esterni, la percezione empatica dell'altro e la capacità di decifrarne le emozioni espresse nella relazione, rappresenta un bagaglio di competenze e abilità fondamentale per collocare positivamente l'individuo nel mondo sociale, pur constatando che deficit di notevole entità sono ampiamente diffusi nei bambini in età scolare a prescindere dalla loro estrazione sociale. Tradizionalmente la psicologia suddivide la mente in tre aree: cognitiva, cioè memoria, ragionamento e pensiero, il cui livello di funzionamento è ricompreso nel concetto di intelligenza; affettiva, in cui sono ricomprese le emozioni e gli stati emozionali, compresi il tono affettivo e l'ansia; motivazionale, cioè l'area che ha ricevuto le maggiori attenzioni in questi ultimi decenni, che alcuni ricercatori ricomprendono in un'unica area affettivo-motivazionale, ad indicare le pulsioni e i bisogni che orientano il comportamento. Gardner in “Formae mentis” (1983), espose la sua teoria delle intelligenze multiple,in aperta opposizione all'opinione prevalente fondata sull'esistenza di un'unica intelligenza monolitica. Enumerò sette intelligenze fondamentali, tra le quali l'intelligenza intrapersonale e l'intelligenza interpersonale, che in seguito suddivise nella predisposizione alla leadership, capacità di stabilire relazioni e mantenerle nel tempo e abilità di risolvere dialetticamente i conflitti 93


interpersonali. A partire dalla teoria di Gardner, Mayer e Salovey (1990), definirono l'Intelligenza Emozionale (I.E.) come: “l'abilità di controllare i sentimenti e le emozioni proprie e altrui, di distinguerle tra loro e usare tali informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni”. In sostanza, capire il proprio stato emotivo e quello altrui presuppone la capacità empatica di riconoscere e comprendere lo stato emotivo altrui, saperlo riprovare internamente, per poter comunicare e approntare una risposta che incontra l'altro. Gli stessi autori hanno suddiviso l' I.E. In quattro abilità fondamentali: percepire ed esprimere le emozioni, sia proprie che altrui, usare le emozioni per facilitare il pensiero; gli autori considerano le emozioni come parte della cognizione e ne considerano i modi nei quali l'emozione influenza il pensiero, ad esempio quando riflette una valutazione del proprio stato emotivo presente o quando uno stato si riflette sul pensiero; riconoscere gli stati emotivi complessi, le sfumature in cui si articola il lessico emozionale; regolazione emotiva, intesa come training di apprendimento per influire sul proprio e altrui stato emozionale, attraverso l'impiego di tecniche che coinvolgono le cinque componenti dell'emozione; ad esempio abbinando tecniche di rilassamento, role-playng ed esercizi di imitazione. Gli attori in genere, dimostrano una buona padronanza dello stato emozionale proprio per l'esercizio, volto ad assumere ruoli antagonisti che agevolano il decentramento rispetto al proprio vissuto tipico. Successivamente, Goleman (1996), ha formulato una definizione di I.E. che riconosce il ruolo della motivazione: capacità di motivarsi, di mantenere un obiettivo nonostante la frustrazione, controllare gli impulsi e posporre la gratificazione, modulando gli stati negativi ed evitandone o riducendone l'influenza. La capacità di sapersi motivare e perseverare nonostante le frustrazioni, rappresenta il punto che distingue la sua concezione di I.E. da quella di Mayer e Salovey e sul quale si fonda il controllo emozionale, come capacità di resistere alla frustrazione, posporre la gratificazione e contenere gli stati emotivi negativi, impedendo che interferiscano con il conseguimento degli obiettivi. Goleman inoltre, ritiene che la padronanza emotiva si possa migliorare con l'esercizio, incrementando: la competenza personale; consapevolezza e padronanza di sé, motivazione, la competenza sociale, cioè il modo di rapportarsi al mondo relazionale, basata sull'empatia e capacità di indurre risposte desiderate dagli interlocutori. La competenza emotiva (C.E.) di cui parla Goleman, è composta di cinque abilità: consapevolezza di sé, padronanza di sé, motivazione e competenza sociale, che include empatia e abilità sociali. L'empatia è la conoscenza dei sentimenti e desideri dell'interlocutore, la capacità di porsi dal suo punto di vista (decentramento cognitivo e affettivo); richiede la capacità di capire i sentimenti e i bisogni inespressi ma sottesi in un dialogo o in una relazione e rispondere sintonicamente, senza condiscendenza o manipolazione. Le abilità sociali nell'insieme implicano la capacità di non urtare i sentimenti altrui e stimolare 94


risposte desiderabili, comprendono l'abilità di creare relazioni utili e positive, capacità di collaborare, cooperare e competere in un gruppo, per obiettivi comuni, potendo contare su una valida capacità di gestire i conflitti e le situazioni difficili, anche attraverso una comunicazione semplice, chiara e convincente. La concezione di Goleman sottolinea maggiormente l'enfasi per la prestazione, la performance e il risultato conseguito, ad esempio la posizione raggiunta nella vita, il benessere conseguito, mentre mayer e Salovey ritengono che l'I.E. sia parte del costrutto del Quoziente Intellettivo (Q.I.), affermando che quanto più un soggetto possiede un elevato Q.I., quanto più elevato è il suo valore di I.E. (1997). Ad oggi non ci sono prove che una elevata competenza emotiva (C.E.) sia correlata con un elevato tasso di istruzione e di reddito, come invece è ormai ampiamente accertato per il Q.I., tuttavia molti ricercatori concordano sull'importanza della C.E. per la vita di relazione dell'individuo e per evitare o ridurre i fattori di rischio, sia a livello individuale che sociale, implicati nella violenza. Per operare una valutazione della C.E. dei bambini in età prescolare si possono utilizzare due strumenti diagnostici: Child Behavioral Checklist (CBCL, Achenbach, 1987 e 1991), in due versioni, una per bambini tra 2 e 3 anni e una da 4 a 16, compilato dai genitori, descrive una serie di sintomi riferiti al funzionamento di alcune aree: ritiro sociale, depressione, problemi del sonno, disturbi somatici, aggressività e distruttività. Si tratta di sintomi e comportamenti che non rilevano la C.E. ma forniscono una misura indiretta e precoce di valori connessi con lo sviluppo emozionale. Preschool Socioaffective Profile (PSP, La Freniere e Dumas, 1996), rileva i comportamenti connessi con l'espressione emozionale nel contesto sociale tipico e atipico: competenza sociale, comportamento di esteriorizzazione e di interiorizzazione. I test di performance per adulti più noto è il Multifactor Emotional Intelligence Scale (MEIS, Mayer, Caruso e Salovey, 1997), rileva misure di performance su contenuti (vignette, figure, etc.) di tipo emozionale, evitando i noti problemi di affidabilità e precisione che affliggono i questionari di autovalutazione.

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4.6 Lo sviluppo della competenza emotiva

Gli studi di Izard (1971) sui neonati, hanno dimostrato una progressione nel discriminare le espressioni facciali, a partire da felicità e tristezza per arrivare a quelle di rabbia e sorpresa. A 10 mesi il bambino, in situazioni di incertezza fissa a lungo il volto della madre prima di intraprendere un'azione, segnalando la capacità di usare informazioni emotive, quali le espresioni del volto, per orientarsi nel mondo. Altri studi mettono in luce abilità precoci di riconoscimento e imitazione dell'espressione materna per sintonizzarsi ed enfatizzare lo stato emozionale materno, secondo uno schema non meramente imitativo. Il controllo emozionale comincia ad essere evidente attorno ai tre anni (Cole, 1985), quando il bambino mostra di trattenere l'espressione emozionale in risposta a una situazione lievemente frustrante (controllo dell'espressione di emozione negativa in contesto sociale). Le differenze nello sviluppo emotivo sono state ricondotte anche alla qualità dell'attaccamento al caregiver e all'accetazione nel gruppo dei pari; un valido attaccamento favorisce la capacità di esprimere e identificare le emozioni con sicurezza, che si riflette anche nei rapporti con i coetanei, più predisposti a condividere empaticamente il vissuto presente e in definitiva ad accettare il soggetto ( Denham et al., 1990). Mayer e Salovey (1997), asseriscono che: i genitori sono i primi e fondamentali agenti di sviluppo delle abilità emozionali dei figli, quando entrano a scuola, i bambini mostrano notevoli differenze nello sviluppo emozionale e nelle abilità che lo compongono, a scuola, con interventi adeguati, si può aiutare i bambini a migliorare la loro C.E. e a supplire alle carenze della famiglia. L'importanza del ruolo dei genitori per lo sviluppo emozionale dei figli è evidente di per sé ma sappiamo che ci sono condizioni problematiche che ostacolano un valido percorso di sviluppo. Intanto i genitori possono avere scarsa competenza emozionale a loro volta, un fatto che rende difficile stabilire relazioni che soddisfano le necessità e le richieste dei figli, inoltre sono spesso presenti condizioni ambientali quali ritmi di lavoro che non lasciano spazi sufficienti da dedicare ai figli, l'assenza di una famiglia allargata, con i nonni che stabilmente possono supplire alle assenze dei genitori, che sappiamo rivelarsi importante per lo sviluppo della C.E. dei nipoti come punto di riferimento emotivo. Infine non si deve trascurare che più di un terzo dei figli in età scolare subisce la separazione dei genitori, con perdita parziale o totale del contatto emozionale con un genitore, di solito il padre, spesso avvicendato dal nuovo compagno della madre, una situazione che implica ripercussioni di notevole impatto sulla vita affettiva e anche sullo stato cognitivo e sulla salute fisica del bambino. Senza considerare situazioni estreme, i dati statistici mostrano che la famiglia è sempre più frequentemente nucleare, composta dai soli coniugi e figli, che i tassi di separazione e divorzio 96


dopo vent'anni di matrimonio si approssimano al 50% e che in circa la metà dei bambini di genitori separati il coniuge affidatario convive con un nuovo partner e cambia luogo di residenza, tutte condizioni a rischio per la crescita e sviluppo di una valida C.E. Si deve convenire con Goleman (1996), che la famiglia non è più in grado di offrire un punto di appoggio sicuro nella vita e che la scuola è il luogo che permette di raggiungere ogni bambino e fornirgli lezioni fondamentali per la vita, che altrimenti non potrebbe ricevere. La scuola dunque come luogo in grado di promuovere la C.E., incentrando la formazione non solo sul curriculum cognitivo, rappresentato da conoscenze ma anche sulla capacità di capire e gestire gli stati emozionali. Al riguardo Goleman (1996) parla di “alfabetizzazione emozionale“ a scuola mediante l'introduzione di corsi innovativi che insegnino l'autocontrollo, l'autoconsapevolezza, l'empatia, l'ascolto e la cooperazione. Una lista di abilità e competenze da promuovere nei bambini delle scuole elementari comprende, secondo Shilling (1996) lezioni su:

autoconsapevolezza processo decisionale gestione dello stress responsabilità concetto di sé empatia comunicazione dinamica del gruppo risoluzione del conflitto La maggioranza dei programmi di prevenzione della violenza implementa techiche focalizzate proprio sull'incremento della C.E. Ad esempio, il Resolving Conflict Creatively Programm (RCCP, Lantieri e Patti, 1996), da circa dieci anni è attuato nelle scuole di New York, specie nei quartieri del Bronx e Queen, è considerato uno dei più efficaci programmi di prevenzione scolastica della violenza per mezzo di strategie di promozione della C.E. Indirizzato specificamente a bambini latino-ispanici, è centrato sull'acquisizione e incremento di strategie cognitive e comportamentali per: favorire la consapevolezza delle alternative disponibili per risolvere un conflitto interpersonale, sviluppare abilità utili a operare scelte strategiche adeguate agli scopi, affrontare i sentimenti negativi connessi con i pregiudizi etnici, sviluppare la capacità empatica e la disponibilità alla collaborazione. 97


Un dibattito recentemente aperto concerne la concezione circa il ruolo della scuola, cioè la sua mission, con due posizioni nettamente delineate: da una parte coloro che concepiscono la scuola come luogo di insegnamento di conoscenze accademiche, dall'altra si collocano quelli che ritengono tra i compiti imprescindibili di un buon istituto scolastico anche l'insegnamento di abilità e competenze inerenti il controllo del proprio stato emotivo, la capacità di ogni allievo di realizzare un buon adattamento al gruppo-classe e una relazione positiva con gli insegnanti, come modello delle future relazioni della vita adulta. D'altra parte, la messa in discussione del secolare concetto di Q.I., basato sul concetto unitario di intelligenza e su livelli di performance rispondenti a tale visione monolitica, che sottovalutano le componenti motivazionali, attitudinali e creative, suggerisce agli operatori scolastici, ai genitori e ai politici, l'opportunità di riconoscere un nuovo ruolo alla scuola, che non si fermi alle conoscenze di curricolo, tipicamente incentrate sul conoscere cosa, come e quando ma che consideri e sostenga le abilità e predisposizioni individuali e si faccia carico di promuovere una valida C.E. in capo a ciascun allievo. Si è gia sottolineato che lo sviluppo emozionale si realizza in un contesto relazionale, in cui il ruolo giocato dagli adulti nei primi anni di vita del bambino è basilare, attraverso la capacità di ascolto empatico e attenzione al suo mondo interno, in costante divenire. La donna è evolutivamente più predisposta dell'uomo ad avere confidenza con il proprio mondo emozionale e inoltre ci sono notevoli differenze individuali ma in generale, considerando le caratteristiche del mondo occidentale, in cui prevalgono aspetti che tendono a favorire la deconnessione emotiva per favorire il processo decisionale, si osserva una diffusa inadeguatezza e scarsa considerazione per i propri stati emozionali, specie quelli negativi, rifuggiti e rimossi. Lo sviluppo di una personalità ben adattata passa per una lunga fase di individualizzazione, di presa di coscienza delle proprie caratteristiche e della loro singolarità, segnalate proprio dalla conoscenza dei propri stati emozionali; a partire da qui, si sviluppa la capacità di relazionarsi con gli altri, cogliendone empaticamente il loro mondo interno. Gottman (1997), suggerisce cinque fasi che un genitore dovrebbe seguire per offrire un buon allenamento emotivo al proprio figlio: favorire la consapevolezza delle sue emozioni considerare gli stati negativi come momenti di insegnamento e intimità ascoltare e convalidare empaticamente gli stati emotivi del bambino aiutarlo a definire il vissuto con le parole porre limiti durante il sostegno Citando Goleman (1996) << Non c'è materia come l'alfabetizzazione emozionale, nella quale la qualità degli insegnanti conti così tanto: il modo in cui una insegnante gestisce la classe è in se stesso un modello, una lezione di fatto di competenza emozionale o della sua mancanza. Ogni atteggiamento di una insegnante nei riguardi di un allievo, è una lezione rivolta ad altri venti o trenta studenti. Non tutte le insegnanti si sentono a proprio agio nel parlare dei propri sentimenti e non tutte lo desiderano, né vogliono esserlo. Poco o nulla della consueta 98


formazione delle insegnanti li prepara a questo genere di insegnamento >>. Si insiste su questi aspetti perché si conoscono le conseguenze di una carente alfabetizzazione emozionale, sia per lo stato di salute psico-fisico, che per i risvolti relazionali e comportamentali. Se un bambino non è consapevole di provare uno stato emozionale negativo, ad esempio di sentirsi frustrato e arrabbiato, sarà invaso dalla rabbia, non riuscirà a identificarla e a darle un nome, non sarà agevole trasferire tale stato ai circuiti di analisi cognitiva, che permettono di elaborarla e affrontarla, quando si dispone di strategie idonee; di conseguenza rimane assoggettato allo stato negativo e non è in grado di analizzarlo e quindi di controllarlo, così è più probabile che tenda ad agirlo, scaricandolo sul mondo esterno o su se stesso. E' anche probabile che, non disponendo della capacità di operare una precisa discriminazione causale, finisca per attribuire la causa del suo disagio a eventi e persone che non sono per niente implicati o che lo sono solo marginalmente, generando sconcerto e distanziamento. In conseguenza di questi antecedenti, il bambino non sarà capace di decentramento emozionale, non riuscirà ad essere empatico e in definitiva, avrà difficoltà a comprendere il comportamento degli adulti e dei coetanei, con probabilità di isolamento, povertà di relazioni e sviluppo di disturbi e comportamenti aggressivi e impulsivi, che rappresentano il tentativo di rompere il senso di isolamento e di disagio. Proprio l'allenamento emotivo a scuola dovrebbe insegnare al bambino carente come mettere in campo strategie utili a combattere i sentimenti negativi che accompagnano le avversità quotidiane e a padroneggiare la frustrazione, tollerando il differimento dei propri bisogni.

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4.7 Tre esempi di programma di intervento

4.7.1 Intervento a livello scolastico su soggetti adolescenti

Nelle scuole superiori americane è sempre più diffusa la realizzazione di programmi di prevenzione riguardo alle principali problematiche giovanili: abuso di sostanze, violenza e stupro sono i più diffusi tra i teenagers dei colleges, seguiti dalle condotte a rischio di tipo sessuale comportanti gravidanze indesiderate, pratiche abortive a rischio e abbandono del neonato e malattie infettive a trasmissione sessuale; altre problematiche riguardano la distorsione dell'immagine corporea, cui segue il tentativo di modificare l'aspetto fisico mediante estenuanti sedute di palestra, tatuaggi, piercing e interventi di chirurgia estetica volti a deformare il naturale aspetto fisico per farlo aderire a modelli irrealistici e non fisiologici. E' stato rilevato in studi non pubblicati e tramite osservazione clinica che gli adolescenti che attuano queste condotte estreme hanno una tendenza marcata all'instabilità di aspetti del sé, con immagine corporea fluttuante e instabile e contatto distorto con il reale, tendono ad essere soggetti a stati di derealizzazione e depersonalizzazione e in situazioni di stress tendono a esperire stati di allucinazione caratteristici, soprattutto di alterata percezione visuo-spaziale degli oggetti dell'ambiente. Il progetto di prevenzione che si espone è stato attuato in una scuola privata dello stato di New York, ospitante circa 4.500 allievi, con una retta annua base di circa 7.000 dollari, norme rigide riguardo la frequenza, gli impegni extrascolastici, astensione dal consumo di sostanze con assoggettamento a sorteggio di prelievo di capelli per i test sugli abusi, videosorveglianza degli ingressi dei bagni e degli alloggi. Il programma è suddiviso in tre moduli con sedute settimanali così delineati: primo modulo, 3 incontri di tre ore si definiscono e descrivono i comportamenti e le situazioni violente tipiche degi adolescenti e si sottolinea la relazione con le caratteristiche di personalità, stile di vita e contesto di sviluppo; consegna di un questionario di autovalutazione del rischio individuale e dei fattori di vulnerabilità e si illustrano i vari items punto a punto; nell'ultimo incontro si discutono i significati dei vari punteggi del questionario e si invitano tutti gli allievi che hanno riportato valori sopra la media, aumentata di un certo valore, a iscriversi al secondo modulo. Secondo modulo, 4 incontri di tre ore gli allievi sono preventivamente sottoposti a colloquio individuale e quindi sono suddivisi in gruppi omogenei di 10-12 in base alle caratteristiche di personalità, life events e grado di rischio. Nei 4 incontri successivi si attua il vero e proprio intervento di prevenzione, centrato sul riconoscimento delle situazioni in cui il soggetto tende a perdere il controllo emozionale, sul monitoraggio degli stati emotivi negativi, metterlo in relazione con eventi e pensieri e infine apprendere metodiche per rafforzare la sensazione di autoefficacia nel padroneggiare 100


questi stati tramite pensieri ed azioni utili a incrementare il circuito dell'autocontrollo. Si lavora sulla motivazione e sull'incremento della consapevolezza che ciascuno è il centro del controllo, ha un potere attivo sui propri pensieri e può influire sugli stati emozionali negativi e sulle azioni che può intraprendere in determinate situazioni impiegando tecniche che favoriscono il decentramento cognitivo ed emotivo. Terzo modulo, due incontri di due ore si tratta di un follow-up a distanza di 6-8 mesi per verificare l'andamento degli allievi ed eventualmente predisporre ulteriori interventi sui recidivi.

4.7.2 Prevenzione della violenza sessuale su giovani adolescenti in contesti extrafamiliari

Si propone un intervento indirizzato alle allieve preadolescenti e adolescenti realizzato in ambito scolastico e centrato sull'approccio vittimologico, vale a dire si considera la potenziale vittima, il suo stile di vita e fattori di rischio vittimologico, promuovendo azioni efficaci a prevenire situazioni a rischio e a sfuggire da quelle pericolose. L'intervento consta di un solo modulo di tre incontri settimanali della durata di tre ore e si utilizzano opuscoli illustrati, DVD e manichini a grandezza naturale. Nel primo incontro sono illustrati gli aspetti della sessualità maschile e femminile nelle sue componenti pulsionali, fantasie tipiche e patologiche e come sono espresse nella personalità; si descrivono i principali fattori generici di rischio e la relazione con gli stili di vita e caratteristiche di personalità della potenziale vittima. Sono distribuiti libretti illustrati che riepilogano le nozioni e illustrano i dati statistici riferiti alla popolazione nazionale e dello stato in cui si opera. E' importante specificare il significato di violenza sessuale, distinguendola dalle forme di abuso e harassment perché spesso le partecipanti non dispongono di cognizioni precise al riguardo. Nel secondo incontro viene distribuito un questionario di autovalutazione del rischio vittimologico generico e specifico, i cui items sono spiegati punto a punto, quindi compilato e discusso il significato dei punteggi e la loro affidabilità. Quindi si inizia a discutere i singoli fattori di rischio, in quali situazioni si realizza un tentativo di violenza e quali azioni è utile intraprendere sul momento e in seguito, quali sono le conseguenze dell'abuso o del tentativo di abuso sia sul piano psicologico che fisico e come si possono ridurre con un aiuto specialistico e come ridurre i principali fattori di rischio (ad esempio fornendo sempre la tracciabilità dei propri percorsi, non accettare incontri al buio su internet o sul telefonino, rifiutare bevande o sostanze da coetanei che non si conoscono etc.). Nel terzo incontro sono esemplificate le modalità per sottrarsi a un tentativo di violenza utilizzando riprese video e simulazioni con manichini, usare efficacemente lo spray urticante e il telefonino. 101


4.7.3 Programma di intervento sulla violenza domestica

Si tratta di un intervento che implica un elevato dispiego di risorse territoriali per fornire alloggi, assistenza sanitaria e legale e provvedere servizi scolastici e ricreativi per i figli, concentrandoli in un unico centro che, per ragioni di sicurezza, deve rimanere segreto. Il trattamento è indirizzato specificamente alle donne, mediante incontri di gruppo e ai figli che sono stati testimoni di violenza e abuso o anche vittime. Le madri sono invitate a narrare le loro esperienze e a divenire consapevoli dello stato di dipendenza e scarsa autostima che le coinvolgono mentre i bambini sono seguiti da operatori esperti per rievocare le esperienze, ricorrendo spesso a disegni e capire che quello che hanno subito non è la normale esperienza dei loro coetanei con i loro genitori, da cui devono aspettarsi un rapporto sereno in cui sono rispettati e compresi. In una fase successiva, le madri sono affidate a una tutor con la quale elaboreranno un progetto individuale volto a promuovere la loro autonomia di lavoro e finanziaria, per poter provvedere autonomamente all'alloggio e alle necessità dei figli. Si ricorda che un programma di prevenzione efficace presuppone una legislazione idonea e un piano nazionale puntualmente attuato, come ad esempio quello recentemente varato nel 2005 dalla Spagna, che la colloca tra i primissimi posti nella prevenzione e intervento sulla violenza domestica (purchÊ non rimanga su carta) e sulle sue molteplici modalità di realizzazione, comprese le forme di harassment e mobbing, anche con l'impiego di bracciali satellitari per provvedere alla sicurezza delle vittime.

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Riferimenti bibliografici e letture consigliate

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Appendice

Si richiamano alcune nozioni di psichiatria, rinviando, per una trattazione approfondita della materia, alla consultazione di manuali specialistici, avvertendo che in questo capitolo si tratteranno rapidamente solo i disturbi che interessano maggiormente i comportamenti violenti, tralasciando tutti quelli che non sembrano utili ai fini del presente testo. Anche il DSM, ossia il manuale di classificazione dei disturbi mentali, edito dall’associazione americana di psichiatria, APA, oggi arrivato alla sua quarta edizione rivisitata, pur costituendo un punto di partenza necessario per riferirsi in ogni paese agli stessi disturbi e sintomi, tuttavia, a parere di chi scrive, male si presta all’applicazione in ambito criminologico, dove un corteo variegato di disturbi come quelli descritti e classificati nel DSM, sembra di scarsa utilità. Coscienza, è la consapevolezza di sé e del mondo circostante. Il sé è la consapevolezza di essere una entità costante, continua nel tempo e separata dagli altri esseri, è il sentimento di identità. La coscienza è una funzione che può essere vista in senso graduato, come vigilanza, cioè la gradazione di percezione della lucidità dello stato di coscienza: si può avere un grado massimo durante la veglia, il lavoro e il divertimento, fino alla sua attenuazione nel sonno, o situazioni a carattere patologico come nel coma o nella depersonalizzazione, derealizzazione, amenza e altri. Percezione, dalla elaborazione degli stimoli si arriva ad una informazione più complessa. Le sue alterazioni possono comportare: illusioni, la realtà è percepita in modo erroneo oppure è percepita correttamente ma è cognitivamente mal interpretata; allucinazioni, qui si percepisce un oggetto che in realtà non esiste; allucinosi, fenomeno analogo al precedente ma con disagio per il paziente che le subisce; pseudoallucinazioni, percezioni avvertite come provenienti dal corpo. Pensiero, opera attraverso le idee, opportunamente elaborate e associate dalle funzioni mnestiche e in relazione al grado di intelligenza posseduta si ottiene l’elaborazione e valutazione della realtà e la formulazione di giudizi. La patologia del pensiero è ben indagata, si hanno disturbi della forma, ad es. pensiero illogico, dissociato, autistico, paleologico, accelerato o rallentato, e disturbi del contenuto, ad es. idee deliranti, prevalenti, ossessive e fobiche. I deliri, sono idee e convinzioni spesso errate e comunque immodificabili in base alla ragione o all’esperienza, cui sono evidentemente sottratte, dato che spesso il paziente è capace di critica ma in altri settori intellettuali. Se ne conoscono decine. Le idee ossessive sono idee che irrompono nella coscienza del paziente che le percepisce come intrusive e fastidiose, pur sapendo che fanno parte della sua attività di pensiero e coscienza non riesce a liberarsene, provando una certa angoscia. Le idee prevalenti invece non sono vissute come intrusive, essendo espressione di interessi professionali, sportivi etc.. 107


Le fobie sono pensieri caricati affettivamente in relazione a situazioni ambientali o ad oggetti e animali, verso cui il paziente prova intensa paura e repulsa. Se ne conoscono decine. Il linguaggio è spesso affetto da disturbi di vario genere, disartrie, ecolalia, glossolalia, mutacismo e tante altre. La memoria è un’altra funzione complessa che può avere molti disturbi: le amnesie possono essere dovute a traumi fisici ed essere anterograde o retrograde, oppure a fenomeni neurovascolari a carattere circoscritto o generalizzato o a scadimento neurologico e a trauma psicologico. Intelligenza, è la capacità di apprendere, integrare e modificare le esperienze precedenti ai fini di esprimere un comportamento adattivo. Può subire notevoli compromissioni: oligofrenie in cui è poca alla nascita, demenze in cui si perde con la vecchiaia. Si misura con test di Q.I. con punteggio medio di 100. Volontà, è la decisione consapevole di perseguire degli scopi Si possono avere varie patologie: disturbi motori come catalessia, negativismi, manierismi, bizzarrie e automatismi; disturbi della componente impulsiva, quali piromania, dipsomania, gamblin patologico, ninfomania, comportamenti esplosivi, con perdita di controllo etc.. Affettività, ricomprende l'umore, una tonalità stabile che guida la connotazione delle esperienze come buone o cattive, piacevoli o spiacevoli ed emozioni, cioè stati affettivi di breve durata per quanto a volte molto intensi. Possono esserci varie patologie: depressione del tono, mania, ossia innalzamento del tono con eccitamento patologico, ansia, cioè una situazione duratura di paura, attesa angosciosa di non si sa quale sciagura o pericolo, inquietudine e apprensione; irritabilità in cui l’umore è su un registro piuttosto arrabbiato e incostante; instabilità affettiva, con variazioni repentine di umore. Dissociazione, è la mancanza di integrazione delle funzioni psichiche che abbiamo esaminato, in modo che pensiero e affettività si scollano e ognuna va per conto suo. Nella schizofrenia la personalità si disgrega, anche se in modo reversibile, mentre nella dissociazione isterica e disturbi dissociativi, la personalità resta intatta, solo un gruppo di idee si isola dal resto e assume un’esistenza autonoma e spesso discordante con il resto della personalità, ad es. personalità multipla. Personalità, nel corso degli ultimi anni il concetto di personalità si è spostato da una concezione unitaria e globale ad una più articolata e composita. Oggi riferendoci alla personalità si è consapevoli di avere a che fare con un insieme di aspetti, denominati tratti psicologici, che si sviluppano a partire da una base costituzionale e che maturano in un contesto ambientale. Il temperamento è spesso usato come sinonimo ma in realtà si riferisce alla regolazione timica dell’individuo; così ci sono temperamenti normotimici, ipertimici, depressivi, distimici e ciclotimici. Se la personalità è un insieme di tratti distinti e tuttavia è costante nel tempo, cosa determina la sua coesione? E’ verosimile pensare che le funzioni che sottendono i vari tratti si sviluppino a seguito di una serie di periodi critici precoci, che una volta chiusi portano alla configurazione, nell’individuo normale, di una stabile entità. Il processo è molto precoce, in quanto una configurazione assai costante si riscontra in bambini di 3 anni, pur rimanendo disponibile un margine di maturazione fino ai 18-20 anni. La personalità si può definire in relazione alla capacità di adattamento dell’individuo, che nelle persone normali è solitamente così delineata: capacità di apprendere dall’esperienza, in particolare regolare le azioni in relazione agli 108


obiettivi e ai risultati precedenti; flessibilità, capacità di adeguare le proprie azioni senza dover seguire schemi e comportamenti prefissati allorché si sono rivelati inidonei; sufficiente capacità di dilazionare nel tempo il conseguimento degli obiettivi e di tollerare gli eventi stressanti e negativi che vi si frappongono; capacità di relazionarsi con gli altri mediante processi di condivisione di pensieri e sentimenti, cioè capacità empatica; stabile e solida identità e polarità sessuale. Altri due concetti: depersonalizzazione, coinvolge la percezione del corpo o sue parti e i pensieri come se fossero estranei, comunque diversi e distorti; derealizzazione, è uno specifico aspetto della depersonalizzazione in cui è l’ambiente esterno ad essere percepito in modo estraneo, non familiare, distaccato. Questi concetti si possono applicare a sintomi molto banali come a sintomi assai gravi e drammatici: ad esempio dopo un attacco di panico una paziente si sente la testa confusa; si tratta di un semplice segno di depersonalizzazione che terminerà appena l’assetto cognitivo e affettivo sarà completamente ristabilito, di solito dopo alcuni minuti o alcune ore.

Disturbi su asse I Disturbo delirante: è dovuto ad un eccesso di autoriferimento, il paziente riferisce tutto a sé, di solito con l'emergenza di un delirio caratteristico; in genere le altre caratteristiche di pensiero, affettività e volontà sono sufficientemente integre. Mancano le tipiche allucinazioni che accompagnano il delirio dello schizofrenico. Il disturbo paranoide non va confuso con l’ideazione paranoide, manifestazione comune a molte persone, non per questo malate. Bouffée delirante: tecnicamente è una forma di attacco psicotico breve e reattivo ma può costituire anche una modalità d’esordio di un quadro schizofrenico. L’esordio è tipicamente giovanile in soggetti con disturbo di personalità o dopo eventi stressanti; la reazione può essere molto variegata, da allucinazioni allo stato crepuscolare fino alla reazione pantoclastica. Occorre escludere induzione da sostanze, alcol e altre forme tossiche. Psicosi tossiche e disturbo psicotico indotto: le prime comprendono tutti quegli stati transitori conseguenti a eventi metabolici che colpiscono il SNC a seguito di condizioni disparate, ad es. un cibo avariato, uno stato febbrile oppure conseguenti ad assunzione di droghe e alcol, spesso inducenti un grave stato allucinatorio acuto. La psicosi indotta è osservata quando una personalità dominante e affetta da disturbo di spettro schizofrenico, quelli fino ad ora esaminati, influenza un'altra persona suggestionabile e dipendente, predisposta a sviluppare un sistema delirante parallelo. 109


Depressioni e mania acuta: sotto la depressione psicotica può celarsi un quadro di psicosi con depressione oppure uno scadimento delle funzioni cerebrali etc.; la mania consiste in una esaltazione dell’umore, con euforia, senso di potenza e ideazione irrefrenabile, oppure si può avere un quadro di estrema irritabilità disforica con aggressività e impulsività. Problematici sono i quadri depressivi con prevalenza di umore irritabile e disforico e le forme a rapida ciclicità Disturbi da abuso di sostanze: in parte si sono già accennati sotto psicosi tossiche, si tratta di quadri variegati di alterazione delle facoltà a seguito di droghe e alcol. Dall’alcol può derivare una intossicazione acuta oppure cronica, con allucinazioni fino al delirium tremens. Le sostanze sono di vario tipo a seconda degli effetti che producono; Lsd, ecstasy, hashish e cocaina producono sintomi allucinatori e dissociativi tipici di quadri psicotici, le anfetamine producono una drammatica elevazione del tono dell’umore, con iperattività, insonnia, ottimismo e sicurezza. Il quadro scade alla cessazione degli effetti con forte depressione. La sidrome cronica è caratterizzata da euforia, eccitazione e instabilità disforica, fino alla psicosi paranoide. Gli oppiacei come la morfina e l’eroina producono benessere e distacco dal mondo, scomparsa dei dolori fisici; l’astinenza causa dolore, apatia, incubi e depressione. Psicofarmaci, sono sostanze che si prestano ad abuso, inoltre alcuni ipnotici molto usati sono stati ritirati dal mercato perché sospetti di precipitare, in alcuni assuntori, gravi crisi di violenza. Indicatori di disagio infantile: alcuni bambini presentano dei sintomi che possono derivare da aspetti costituzionali ma a volte possono essere spia di un disagio. Ad es. l’enuresi nella maggioranza dei casi si verifica in bambini i cui familiari presentavano tale disturbo, tuttavia una piccola percentuale di pazienti esprime uno stato di forte reattività e disagio esclusivamente attraverso il sintomo. Lo spavento notturno infantile può conseguire alla visione di un film ma può rivelare un disagio o una personalità suscettibile allo sviluppo di particolari disturbi, ad es. assieme ad altri sintomi può essere un indicatore di depressione infantile, specie se si accompagna a cambiamenti nel rendimento scolastico, distraibilità etc..

Disturbi di personalità su asse II Disturbo di personalità multipla e di depersonalizzazione: è molto raro, il paziente mostra un avvicendarsi di personalità diverse, da due fino a dieci o più, alcune anche in contrasto tra loro, che assumono alternatamente il controllo del suo comportamento. La causa è da ricercare in gravi traumi sessuali infantili (incesto, molestia sessuale grave in famiglia etc.). La depersonalizzazione si è già trattata, qui si parla del vero e proprio disturbo, che affligge giovani attorno ai 15 e 20anni, che riferiscono di sentirsi come in un sogno, percepiscono il corpo in modo gravemente distorto e i pensieri come estranei, anche spazio, tempo e la realtà sono percepiti in modo alterato. Può precedere o più spesso seguire un attacco di panico, o può 110


costituire uno stato prodromico di altri disturbi ad esordio più tardo. Disturbo di personalità ossessivo-compulsiva: Si tratta di individui testardi, perseveranti, amano l’ordine, collezionano oggetti(in alcuni casi si trovano accatastate montagne di cianfrusaglie e sporcizia), tendono al perfezionismo, sono convenzionali, presi da scrupoli di ogni genere, possiedono uno scarso senso dell’umorismo e coltivano poche amicizie. Nei rapporti di coppia tendono ad essere piuttosto fedeli, sono ben piantati e si preoccupano solo di aspetti pratici e materiali, valutano attentamente le conseguenze del loro comportamento tramite un automonitoraggio continuo, sono diffidenti e cauti, non concedono molto spazio alla fantasia e all’immaginazione anche perché potrebbero stimolare desideri che cercano in tutti i modi di controllare(non si sa mai come potrebbe andare a finire). A volte avvertono spinte assolutamente naturali ma per loro molto imbarazzanti, si sentono attratti da certi pensieri e verso comportamenti che tuttavia con non pochi sforzi riescono a controllare tramite la loro ferrea volontà. Spesso hanno problemi derivanti dal discontrollo degli impulsi. Disturbo di personalità narcisistica: trattasi di una tipologia che si osserva sempre più frequentemente; il nucleo della personalità è autocentrato, con una considerazione esagerata di sé(anche se spesso è riconosciuto il loro valore professionale) e cercano negli altri la conferma di questo loro valore; essendo molto suscettibili alla considerazione altrui, finiscono con assumere comportamenti di insospettata aggressività e cattiveria contro chi li denigra o li svaluta, mettendo a repentaglio la loro autostima. Alcuni tuttavia assumono atteggiamenti opposti, andando avanti a testa bassa nonostante le critiche e i moniti manifestati dai colleghi, anzi proprio le critiche ritenute ingiustificate li spingono a andare avanti fino alle estreme conseguenze, evitando il crollo del sé allorquando le cose vanno male, tramite l’attribuzione di responsabilità agli altri o alle circostanze. Non provano alcuna empatia né sono capaci di suscitare simpatia dal momento che sono così presi di sé, tuttavia di solito si circondano di persone in loro adorazione e ammirazione, quali portaborse, assistenti, collaboratori fidati e gente comunque in posizione di sottomissione, anche perché, avendo estremo bisogno di segnali di ritorno, cercano con tutte le loro forze di raggiungere posizioni di preminenza nella vita professionale. Disturbo di personalità borderline: categoria assai complessa e dalla diagnosi poco affidabile. E’ una persona caratterizzata da instabilità dell’immagine di sé, dell’affettività, dell’identità sessuale e delle relazioni, vissute in modo tumultuoso, con idealizzazione del partner fino alla successiva svalutazione. La tonalità affettiva è caratterizzata da oscillazioni repentine, passando dall’euforia al polo depressivo e poi all’irritabilità e alla disforia nel volgere di poche ore, il tutto combinato con manifestazioni impulsive e anche aggressive. Spesso si sentono svuotati, provano un senso di vuoto esistenziale e di noia che non hanno niente a che fare con le sensazioni delle persone normali; anche per questo manifestano comportamenti da ipocontrollo, quali uso di sostanze, gambling, spese folli e attività sessuale promiscua. La rabbia può irrompere all’improvviso ed essere scaricata sull’esterno tramite risse e litigi ma come è insorta rapidamente, di solito si sgonfia in un attimo. Sono persone molto vulnerabili agli eventi stressanti che a volte innescano crisi dissociative o ideazioni paranoidi transitorie. 111


Disturbo di personalità antisociale: il disturbo per il DSM compare magicamente dall’età di 18 anni in poi, in quanto considerato conseguente al disturbo di condotta dell’infanzia. Persona caratterizzata da disprezzo per le regole imposte, con trasgressioni continue, dedita alla menzogna sistematica, impulsività, aggressività, irresponsabilità, disprezzo, indifferenza verso i sentimenti altrui e assenza di rimorso; sono persone che raramente provano sensazioni depressive o di ansia, o sensi di colpa e quindi sono poco capaci di apprendere dalle precedenti esperienze. Come si capisce si configura una persona di estrazione sociale bassa, tendenzialmente deviante, con insofferenza per i modelli comunemente accettati, dedita ad esperienze di vita marginali, che vive di espedienti o comunque di lavori non stabili, coinvolta in problemi di droga e sostanze, inosservante dei diritti altrui, prepotente e testarda, con scarso controllo degli impulsi. Si tratta di una categoria molto generica, in cui è ricompresa la maggior parte della gente in isolamento di età compresa tra i 18 e 50 anni, che va dal tipico bullo di quartiere fino al criminale professionista.

Disturbi problematici in infanzia

Disturbo da deficit di attenzione e iperattività (DAI): è osservato dalle maestre dell’asilo e poi delle elementari, che si trovano di fronte bambini dai 4-5 anni in avanti che non riescono a stare fermi, se riescono a sedersi si dondolano, tamburellano, scarabocchiano sui banchi; durante i giochi sono piuttosto prepotenti, danno spinte e combinano scherzi ai compagni mettendoli in difficoltà. Sono irritanti e ostinati, senza tatto, parlano quando non è il loro turno, sono disorganizzati e instabili, prepotenti e anche aggressivi. La maestra esperta non ha grandi difficoltà nel distinguere il bambino iperattivo dai normali bambini vivaci e così prenderà misure di sicurezza, facendo sparire tagliacarte, cacciaviti, liquidi tossici e altre contromisure per evitare che il bimbo possa farsi o fare del male. Altri bambini in aggiunta o separatamente presentano caratteristici problemi di attenzione; sono scarsamente produttivi a scuola, le maestre li vedono guardare da qualche parte senza riuscire a ottenere risposte, sembrano come attraversati dagli stimoli. Le informazioni che ricevono a scuola sono come vagoni di un treno che scorrono ad una velocità troppo elevata per essere distinti l’uno dall’altro. Non è un problema di deficit intellettivo specifico, né di turbe mnemoniche, quanto una difficoltà a fissare l’attenzione, da cui il bambino deriva un sentimento di frustrazione con sviluppo di attività compensatorie. L’indagine strumentale ha rivelato una riduzione di attività dei lobi frontali, in qualche modo da contrapporsi ai soggetti ossessivi che mostrano attività più intensa dei lobi; il collegamento di questo disturbo con deficit localizzati di 5HTP, spesso causa di comportamenti impulsivi e anche aggressivi come indagato nei gambler patologici e abbuffate, può spiegare gesti incauti e repentini nel tentativo di liberarsi dall’ansia e dalla coartazione. 112


Disturbo di condotta: si trova spesso collegato al precedente. Molti bambini che presentano DAI spesso manifestano anche comportamenti più aggressivi, peraltro comuni anche a bambini che non soffrono di DAI. Il disturbo si osserva con maggiore precisione attorno ai 6 - 8 anni, i maschi sono il doppio delle femmine e gli studi indicano una prevalenza del 3% delle femmine e dell’8% dei maschi tra i 4 e 16 anni. Sono bambini e adolescenti che si distinguono per la malvagità delle loro azioni, insensibilità al dolore e alle sofferenze altrui. Fanno molte assenze da scuola, attuano fughe, furti, piromania e devastazioni di proprietà e beni altrui senza motivi comprensibili. Il mentire è una pratica costante, come assumere atteggiamenti di falso pentimento o rimorso. Questi adolescenti entrano precocemente in contatto con sostanze d’abuso, frequentano personalità più grandi di loro e spesso si uniscono in gruppi dove assieme compiono devastazioni, molestie e torture di animali, fino alle risse e tentativi di violenze sessuali ai danni di coetanee. Gli studi sul territorio mostrano che provengono da famiglie con scarsa o caotica coesione, litigi e separazioni con rancori e discordia, in cui il bambino è stato spettatore e vittima. In molti sono riscontrabili storie di violenze fisiche e soprattutto psicologiche, punizioni non legate da rapporto di causa – effetto e in genere storie di provenienza da famiglie disgregate, con abbandoni di uno o entrambi i genitori, affidamenti, revoca della patria potestà, provvedimenti di tutela, nuovi partner della madre e del padre, problemi di alcolismo e abuso di sostanze, personalità disturbate e altri disturbi dei genitori, con incapacità di coinvolgimento emotivo; non di rado i padri presentano personalità antisociale e le madri hanno un funzionamento border del pensiero.

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