Mondo Basilicata

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04 Nuovi modelli di relazione. Gli impegni della Regione per chi vive all’estero Lucia Lapenta

SOM M A RIO

08 Un premio oltre la Basilicata Lucia Lapenta

14 La parola ai giovani Laura Arcieri

24 Masini omaggia l’identità lucana Angela Remollino

28 I versi di Albino Pierro

sulle note di Astor Piazzolla Carmensita Bellettieri

32 Bruno Leone, “Pulcinella” del mondo Dora Celeste Amato

38 “Basilicata Berlin” Rosanna Santagata

46 La montagna fatata Roberto Mutti

50 Al “Pozzetto”, i sapori della memoria Rosanna Santagata

54 SPECIALE

IL MADE IN BASILICATA

110 L’emigrazione potentina negli Stati Uniti dal 1881 al 1900 Cristoforo Magistro

116 Intervista a Silvia Spaventa Filippi Eva Bonitatibus

122 Il “Cantore” di un popolo con la valigia Romina Inciso

126 Mineurs, il lavoro, la vita, le lotte nelle miniere Gerardo Rosa

130 “The passage of the frog and the wild strawberries of 1942” Concetta Perna

STUDIO IMMAGINANDO

134 Le illustrazioni di Guido Spera Carmelo Settembrino

138 La cucina lucana tra le renne della Finlandia Antonio Masini

138 Antonio Zambrella,

maestro del colore Rosita Rosa

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Nuovi

modelli di relazione gli impegni della Regione per chi vive all’estero I GIOVANI IN PRIMO PIANO E TRA I PRIMI OBIETTIVI LA VALORIZZAZIONE DELLA LINGUA E LA CREAZIONE DI NUOVI MODELLI DI RELAZIONE. NELLA CITTADINA CARA A FEDERICO II DI SVEVIA, LA REGIONE HA ANNUNCIATO LE LINEE GUIDA DEL PROGRAMMA 2008 PER I LUCANI ALL’ESTERO. UNA TRE GIORNI ALL’INSEGNA DELLA CULTURA: IL FORUM DEI GIOVANI, LO SPETTACOLO DEL QUINTETTO PORTEÑO DEDICATO AD ASTOR PIAZZOLLA E ALBINO PIERRO, L’INAUGURAZIONE DI UN MONUMENTO AI NOSTRI EMIGRATI, OPERA DELL’ARTISTA MASINI. E ANCORA LA PREMIAZIONE DEI LUCANI INSIGNI CHE HANNO FATTO ONORE ALLA NOSTRA TERRA. UN APPUNTAMENTO DAL QUALE SONO STATE LANCIATE SFIDE AI PROCESSI DI INTERNAZIONALIZZAZIONE DEI TERRITORI E DEL TURISMO DI RITORNO. CON LO SGUARDO ALLE MIRIADI DI BASILICATE SPARSE IN TUTTO IL MONDO LUCIA LAPENTA FOTO DI GIOVANNI MARINO 5


Il castello di Melfi, con la sua mole imponente, ha fatto da cornice alla conferenza triennale dei lucani all’estero. Nel luogo caro a Federico II (è qui che decise di istituire una scuola di logica e, nel 1231, promulgò le “Constitutiones Augustales”) il presidente Simonetti ha deciso di accogliere i circa duecento delegati provenienti da diversi paesi del mondo e, tra questi, per la prima volta, 54 giovani e 60 donne. Una giornata all’insegna dello stare insieme con un obiettivo ben preciso: inaugurare un nuovo modo di intendere il concetto di emigrazione. Il rimando è a due leggi regionali, quella del 3 maggio 2002, la numero 16, relativa alla disciplina generale degli interventi in favore dei lucani all’estero e quella del 25 febbraio 2005, la numero 18, per l’istituzione dei premi ai lucani insigni. Due normative per agevolare l’emigrazione di rientro, ma il riferimento è soprattutto alle attività di formazione, all’istituzione di uno “sportello Basilicata” all’estero, alla costituzione di un Forum dei giovani lucani e alla realizzazione di un Centro documentazione intitolato a Nino Calice che si collegherà con 25 musei disseminati in tutto il mondo. Iniziative in grado di irrobustire il network tra le Associazioni operanti fuori dei confini regionali e la Basilicata stessa. Progetti innovativi intorno ai quali far ruotare le nuove generazioni. Questo l’altro obiettivo che si è data la Commissione per realizzare il nuovo concetto di emigrazione.

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“In tutti questi anni – ha sottolineato Simonetti – si è lavorato fattivamente per costruire una rete, un patrimonio che oggi dobbiamo consegnare ai figli e ai nipoti dei nostri corregionali sparsi nel mondo. Il nostro compito sarà quello di tenere insieme quelli che hanno lavorato, quelli che continueranno a lavorare con quelli che dovranno gestire il domani. Senza questa continuità molte delle nostre proposte non avranno la possibilità di affermarsi”. Dalla corte di Federico II, passata alla storia per essere uno dei luoghi più cosmopoliti in assoluto della storia occidentale, dunque, la proposta di intraprendere la strada della pluralità, intesa come modalità per comprendere e integrare prospettive diverse in modo da ottenere una visione più ricca della realtà. Lucani di prima, seconda e terza generazione, portatori di interessi diversi e anche opposti, invitati a fare squadra. “Basilicata e Basilicate – ha sottolineato il presidente della Giunta regionale, Vito De Filippo, che si ricongiungono strategicamente in un’unica possibilità di crescita e di sviluppo che riguarderà la regione ma anche i territori che ospitano i tanti lucani”. Una prospettiva vincente per un territorio come la Lucania, limitato dal punto di vista demografico e che ha necessità di aprirsi ai processi dell’internazionalizzazione. Esistono oltre 170 Associazioni e 16 Federazioni, due Basilicate che comunicano e sono sempre più vicine grazie alle


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iniziative promosse a difesa e consolidamento della specificità lucana nel mondo. Terminali di collegamento e di informazioni che, annualmente, si arricchiscono di figure intelligenti e dinamiche, ma soprattutto di fresche leve. Una rete che si potenzia e si apre a nuovi modelli di relazioni capaci di innescare processi di crescita. “Ricongiungere le nostre potenziali traiettorie con le loro – ha detto il governatore della Basilicata, riferendosi soprattutto ai ragazzi – significa accettare di guardare oltre e contribuire al ché il crocevia del Mezzogiorno costituisca un’opportunità per tutti”. E tra questi, è la sfida lanciata da Simonetti, dovranno esserci anche i tanti emigrati che hanno lasciato l’Italia, e quindi la Basilicata, in cerca di un destino migliore e i numerosi immigrati che vedono il nostro Paese come una terra di speranza. Alcune migliaia di stranieri, prevalentemente integrati, che hanno trovato ospitalità in Basilicata. Una conferma che è venuta sia dai dati della Prefettura, stando ai quali il fenomeno nella

The castle of Melfi, with its massive structure, played host to the triennial conference of Lucanians abroad. In this place, dear to Frederick II – it was here that he founded a “school of logic” and, in 1231, issued the “Constitutiones Augustales” or “Constitutions of Melfi” – was where the president, Simonetti, decided to welcome around two hundred delegates from all over the world and among them, for the first time, 54 young people and 60 women. A day dedicated to being together with a precise aim: inaugurating a new way of seeing the concept of emigration. Forms of solidarity and training, but also more modern measures. Among the activities started was the creation of a Basilicata window abroad, the Forum of young Lucanians and the proposal of a Documentation Centre dedicated to Nino Calice. All structures at the service of the many Lucanian communities scattered all over the world, able to strengthen and create a network between the Associations working outside the re-

nostra regione non presenta connotazioni preoccupanti, sia da quelli in possesso della Provincia di Potenza “ nel 2007 ci sono stati 830 nuovi contratti di lavoro; l’85 per cento degli immigrati è stato impiegato in lavori stagionali in agricoltura o nei servizi alle famiglie”. “Nessuna di queste persone – ha dichiarato l’assessore provinciale allo Sviluppo Locale, Alfonso Salvatore - ha di certo tolto qualcosa ai nostri concittadini.”. A questo punto, per non cadere nell’omologazione la priorità è solo una: dare voce alle specificità, assecondando l’apertura verso la pluralità. Ovvero far dialogare e operare insieme più culture per un unico obiettivo, così come ha suggerito il “padrone di casa”, il sindaco di Melfi, Alfonso Ernesto Navazio. “In questo luogo, simbolo per la storia lucana e della sua gente – ha ricordato – è avvenuto, nel 1231, il più grande processo della modernità”. E, proprio nella stessa sala, quella del Trono, a distanza di secoli, si è rinnovata l’adesione ad uno dei principali diritti di ogni civiltà: la tolleranza culturale. �

gional borders and Basilicata itself. In fact, it is necessary to invest not only in the brawn but also the brain of those who live abroad and contribute to the economic and social development of the countries they are living in. Lucanians, in fact, are widespread and they keep up the image of a dynamic, working, highquality Basilicata. The president of the Committee said: “There are more than 170 Associations of Lucanians and 16 Federations: two Basilicatas which communicate with each other and become closer and closer thanks to the initiatives promoted to defend and consolidate the Lucanian specificity in the world”. It is important work, even from a more general point of view. “Rejoining our potential trajectories with theirs – clarified the governor of Basilicata, Vito De Filippo, mainly referring to young people – means being able to synthesize, accept the need to look ahead and contribute to making the crossroads of Mezzogiorno become an opportunity for everybody”

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Un premio oltre la Basilicata AMBASCIATORI DELLA LUCANITÀ NEL MONDO. ASSEGNATI A SETTE CAMPIONI IL “PREMIO LUCANI INSIGNI” 2008. UN RICONOSCIMENTO CHE VUOL ESSERE UN SEGNALE DI STIMA DELLA BASILICATA AI SUOI RAPPRESENTANTI PER I MERITI ACQUISITI E PER LA DIFFUSIONE DELL’IMMAGINE REGIONALE AL DI LÀ DEI SUOI CONFINI TERRITORIALI

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La Patria è quella dove si nasce, ma anche quella dove ci si realizza. Lo sanno bene, perché lo hanno sperimentato tangibilmente, anche le personalità premiate in occasione della quarta Conferenza Triennale dei Lucani all’estero. Maria Beatriz Fornabaio, Hugo Ditaranto, Francesco Sassi, Maria Teresa Greco, Mario Galella e Fabian Cancellara hanno ricevuto un riconoscimento diverso dai tanti che già costellano le loro personali carriere. Un’onorificenza ancora più intima perché proveniente dalla loro terra natia, quella che si sono portati nel cuore e della quale conservano un legame sempre profondo: la Basilicata. E questa terra ha premiato i loro ingegni, i meriti conquistati, l’impegno, l’abnegazione, la memoria e la riconoscenza di questa piccola, ma significativa rappresentanza della qualità e del prestigio lucano nel mondo. Il “Premio Lucani Insigni”, istituito dalla Legge regionale n.18 del 25 febbraio 2005, è tra le iniziative che la Regione Basilicata e la Commissione dei Lucani all’estero ha inteso avviare nell’ottica di un potenziale ricongiungimento con coloro che sono diventati ormai cittadini del mondo. Un segno di stima a personalità che, a vario titolo o per particolari meriti conseguiti, si sono contraddistinte nel campo della ricerca, della cultura, dell’impegno sociale e artistico, oppure hanno offerto un contributo sostanziale alla conoscenza, alla promozione e al rafforzamento dei tratti distintivi dell’identità regionale. Scelti su settanta candidature, giunte sino al 30 marzo scorso presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale della Basilicata, i premiati per il 2008 è gente che si è fatta onore in ogni settore della vita.

In alto: il Presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, premia il prof. Francesco Sassi. In basso a sinistra: il consigliere Giacomo Nardiello premia il poeta Hugo Di Taranto. A destra: il consigliere Gaetano Fierro consegna alla sig.ra Santoro il premio per il figlio Antonio, direttore dell’Unità di nefrologia del Sant’Orsola di Bologna.

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Come il soprano Maria Beatriz Fornabaio, nata a Mendoza ma figlia di lucani originari di Stigliano. Diplomata in pianoforte e laureata in Canto lirico presso l’Università della sua città natia, oggi Beatriz è una donna che ha calcato le scene internazionali di tutti i più prestigiosi palcoscenici e con la sua voce incanta, insegna, interpreta e dà vita a tante suggestive colonne sonore per recital e spettacoli. Anche per quelli lucani di Brienza (Suoni e Luci dalla storia 2003, 2004) e di Brindisi di Montagna nella programmazione musicale del Parco Storico e Ambientale della Grancia. “Mi commuove – ha detto ricevendo la targa del Premio Lucani Insigni – poter emozionare e, attraverso la mia voce, trovare un punto di contatto con il pubblico, avere con loro uno scambio di affetto e di esperienza”. Gli stessi ingredienti che contraddistinguono anche Hugo Ditaranto, di discendenza lucana, nato a Buenos Aires e fon-


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BASILICATA datore del gruppo “El Pan Duro”. Un uomo di poesia e letteratura che è stato premiato, non solo per la sue intense attività culturali, ma anche per la difesa della democrazia nel Paese sudafricano. “La parola, l’educazione e la memoria – ha sottolineato – costruiscono il nostro futuro e quello dei nostri figli. La poesia è il veicolo privilegiato per riconoscere le singolarità e la flessibilità delle lingue, coltivare la convivenza e l’interscambio delle differenti sensibilità”. Un linguaggio, dunque, in grado di promuovere valori recuperando la sua origine. E per la diffusione e lo studio dei dialetti lucani, in particolare di quelli dell’area del Marmo Melandro, è stata premiata la napoletana Maria Teresa Greco. I suoi genitori erano entrambi di Tito e proprio tra Tito, Picerno e Potenza ha trascorso molti periodi della sua fanciullezza e dell’adolescenza, prima di iniziare l’Università e laurearsi in Lettere classiche presso l’Ateneo partenopeo. “Le parole – ha detto la dialettologa in occasione del conferimento – hanno un valore fondamentale perché rappresentano una storia e una tradizione diversa per ciascuno che le usa. Ecco perché è solo recuperando il valore della parola che si può risalire a quella che è stata la cultura compatta della Basilicata”. Premiati anche un’intera generazione di lucani degli anni Quaranta e Cinquanta, a partire dal professore e scienziato petrografico Francesco Sassi, candidato dall’Associazione dei Lucani nel Veneto “P.Setari”. Nato a Salandra nel 1935, dopo gli studi classici conseguiti al “Duni” di Matera, si laurea in Scienze Geologiche presso l’Università di Padova dove ha insegnato per quasi un quarantennio alla cattedra �

In alto: Pietro Simonetti, presidente Commissione regionale Lucani all’estero, premia il soprano Beatriz Fornabaio. Al centro: il consigliere regionale Agatino Mancusi premia Maria Teresa Greco, studiosa di glottologia. In basso da sx: il vice presidente, Franco Mattia, consegna a Francesco Blumetti, componente della Commissione per la Svizzera, il premio per Fabian Cancellara.

Pietro Simonetti premia Mario Galella, vice presidente della Banca Laurentienne di Montreal.

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�di Petrografia e ha svolto numerose ricerche scientifiche sugli eventi petrogenetici pre-alpini e sul significato delle miche chiare sodico potassiche. “Questo Premio – ha evidenziato Sassi – ha una valenza più intima perché viene dalla mia terra con la quale ho un legame indissolubile. Ci torno spesso e sono attratto dalla natura geologica e mineraria del territorio lucano, sebbene questo sia completamente diverso dalle zone oggetto dei miei studi”. Dall’Associazione dei Lucani a Bologna è giunta, invece, la candidatura del dottor Antonio Santoro, nato a Tricarico nel 1948. Anch’egli studente del Liceo Classico del “Duni” di Matera si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Bologna, specializzandosi sia in Tisiologia e Malattie dell’Apparato Respiratorio che in Nefrologia Medica. Realizzatore di diversi centri di dialisi nella provincia di Bologna, il dottor Santoro è anche fondatore della Società Italiana di Cardio-Nefrologia, membro della Società Italiana Medici Manager, nonché referente per importanti riviste nazionali e internazionali. Da un premiato per l’impegno medico e sociale ad uno contraddistintosi per la vivacità e la capacità di sviluppare sinergie economiche con la propria terra d’origine: Mario Galella, nato a Muro Lucano nel 1944 ed emigrato nel ‘62 in Canada. Qui è l’attuale vice presidente della Banque Laurentienne

du Canada, ma anche componente nel consiglio d’amministrazione di diversi organismi istituzionali e associazioni comunitarie, tra cui quella degli uomini d’affari e professionisti Italo-Canadesi (Cibpa). Un uomo che non ha mai tagliato i ponti con la sua terra, anzi si è reso particolarmente attivo negli scambi commerciali, artistici, culturali e turistici tra le comunità lucane e quelle canadesi. E, per finire, la Commissione dei Lucani all’estero ha assegnato il Premio Lucani Insigni a un “campione” dello sport segnalato dalla Federazione lucana in Svizzera: Fabian Cancellara. Ciclista originario di San Fele, classe ’81, nato a Berna e residente a Ittigen, in terra elvetica. Molto più che una giovane promessa del ciclismo, è stato già campione del mondo Junioners e vice campione Under 23 tra il 1998 e il 2000. Quinto classificato alla Parigi–Roubeaux e medaglia di bronzo ai campionati del mondo della cronometro disputati in Spagna nel 2005, Fabian ha avuto l’onore di ricevere, oltre che per due volte la maglia gialla del Tour de France, anche quella della terra dei suoi genitori. Sette modelli di professionalità, qualità artistiche e morali che danno la cifra di quanto la Basilicata sia terra feconda di intelligenze e di un capitale umano capace di incidere profondamente nel tessuto civile delle comunità dove operano e in quelle dalle quali provengono. �

La tragedia di Monongah in una ricerca del professor Tropea

ro nell’ambito della conferenza triennale. Il professor Tropea, figlio di un minatore italiano di origini calabresi, ha nelle vene sangue lucano. Sua nonna, infatti, la signora Trupo, era di Noepoli. Il ricercatore, titolare della cattedra di sociologia alla George Washington University, da 40 anni compie studi su quella che è stata una tragica pagina dell’emigrazione italiana. I morti in quella orribile deflagrazione, la maggior parte dei quali rimasti ignoti, sarebbero stati, secondo i resoconti giornalistici dell’epoca e le molteplici testimonianze che si sono avute, oltre 900. “La mia ricerca – ha affermato il professor Tropea – nasce dall’esigenza di far luce sulla più grande catastrofe della

Procede la ricerca avviata dal professor Joseph Tropea sulla tragedia verificatasi il 6 dicembre 1907, a Monongah, cittadina del West Virginia, nel cuore minerario degli Stati Uniti, che costò la vita a 361 minatori, 171 dei quali italiani, e tra questi 2 lucani. La prima fase dello studio è stata illustrata nel corso di una manifestazione, tenutasi presso la Sala In guscio, e organizzata dalla Commissione regionale dei lucani all’este-

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Our homeland is not only where we are born but also the country where we fulfil ourselves. This is also well-known, since they have tangibly lived it, by the celebrities awarded on the occasion of the Triennial Conference of Lucanians abroad. The “Great Lucanians Prize”, introduced by Regional Law n. 18 dated 25th February 2005, is one of the initiatives that the Regional Authority of Basilicata and the Committee of Lucanians abroad wanted to set up in view of a potential re-union with those who are now become citizens of the world. The persons awarded for 2008, chosen from seventy candidates, are all people who have excelled in certain domains of their lives, who have acted and witness everywhere the qualities and peculiarities of being a Lucanian. Like the soprano Maria Beatriz Fornabaio, born in Mendoza to Lucanian parents from Stigliano. She got a Degree in Opera Singing at the University in her hometown and is today a woman who with her voice, enchants, teaches, plays and gives life to many evocative sound-tracks for recitals and shows. The same ingredients that mark out Hugo Ditaranto, born in Buenos Aires and founder of the group “El Pan Duro”. He is a man of poetry and literature who was not only awarded for his intense cultural activity but also for his defence of democracy in South America. As for the diffusion and study of Lucanian dialects, especially those of the area of Marmo Melandro, the prize was given to the Neapolitan Maria Teresa Greco. “Words – the dialectologist said – have a primary value since they represent different history and traditions for anyone who says them”.

Another prize was given to the professor and petrography scientist Francesco Sassi, who was nominated by the Association of Lucanians in Veneto “P. Setari”. He was born in Salandra in 1935 and has taught for almost forty years at the seat of Petrography and has carried out lots of scientific research on pre Alpine petrogenetic events and on the meaning of potassiumsodium light micas. The Association of Lucanians in Bologna, on the other hand, nominated the doctor Antonio Santoro, born in Tricarico in 1948. He has founded several dialysis centres in the province of Bologna and is also the founder of the Italian Society of CardioNephrology, a member of the Italian Society of Manager Doctors and a referee for important national and international journals. From an award given for the medical and social commitment to one given for the liveliness and ability to develop economic synergies with his own homeland: Mario Galella, born in Muro Lucano in 1944. In Canada, he is the deputy president of the Banque Laurentienne du Canada, but he is also a member of the board of directors of several institutional bodies and Community associations. And, at the end, the Committee of Lucanians abroad awarded the “Great Lucanians Prize” to Fabian Cancellara, nominated by the Lucanian Federation of Switzerland: he is a cyclist, born in 1981, with origins in San Fele. He is much more than just a young talent in cycling since he has already won the Junior World Champion and the Under 23s as vice champion cyclist between 1998 and 2000. Seven types of professions and artistic and moral qualities which show the many talents of Basilicata. GERARDO FORNATARO

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storia mineraria italiana e americana, un triste evento che ha causato la morte di tanti lavoratori e la perdita di identità di tanti italiani i cui cognomi vennero anglicizzati”. Con grande pazienza e dedizione, Tropea ha messo insieme in tutti questi anni decine e decine di documenti, ricevute postali degli assegni inviati in Italia, fotografie e lettere. La ricerca che una volta ultimata diventerà un libro sarà donato al “Centro dei Lucani nel Mondo Nino Calice”. “Lo sforzo compiuto dal professor Tropea – ha affermato il presidente della Commissione dei lucani, Pietro Simonetti – onora il nome e il sacrifico delle vittime. Un modo per dare il giusto peso ai risvolti umani e storici di quella vicenda”. �

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La parola ai giovani

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Lontani dalla Basilicata, loro regione d’origine, ma solo fisicamente. Impegnati in progetti di vita in tanti differenti paesi ma accomunati dal desiderio di mantenere vive cultura e tradizioni lucane. Sono i figli e i nipoti degli emigrati giunti in Basilicata per partecipare alla Conferenza dei lucani. Per alcuni si è trattato di un’occasione di incontro e per altri di una ripresa di contatto con la terra d’origine. In cinquanta, animati da idee concrete ma anche da tanti sogni da realizzare, si sono detti pronti ad “investire” sulla lucanità. Hanno discusso di come organizzare il coordinamento del Forum e di come attivare scambi interculturali. Alla presenza del rettore dell’Università degli studi della Basilicata, Mario Tamburro, si è entrati nel merito delle questioni, affrontando il metodo più giusto per l’apprendimento dell’“Italiano 2”. Tutti i giovani presenti hanno convenuto sulla necessità di prevedere forme d’insegnamento applicate ad aree specifiche e di organizzare un corso di italiano base nei paesi di residenza per poi affrontare, in maniera più agevole, quello successivo in Basilicata. In un’ottica di continuità di relazione tra esperienze dei padri e vivacità intellettuale dei figli, si è scelto di puntare sugli scambi interculturali così da intensificare i rapporti tra le Associazioni lucane all’estero e quelle in Italia ed hanno suggerito di investire sulla promozione della cultura lucana attraverso l’organizzazione di rassegne di cinema, teatro e musica.

LAURA ARCIERI Foto studio immaginando

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La Regione, ha annunciato il presidente della Commissione regionale dei lucani all’estero, Pietro Simonetti, sta lavorando per aprire una rete di “Sportelli Basilicata” presso le Associazioni presenti nel mondo al fine di promuovere la conoscenza del patrimonio di beni materiali e immateriali della regione e sul progetto “Rientro in Italia per lavoro e formazione” che prevede l’istituzione di borse di studio. Un incontro, quello potentino, che ha fatto da apripista. Ad agosto, infatti, la modifica della legge regionale la numero 16 del 2002 con l’istituzione del “Forum dei giovani lucani all’estero”. La normativa prevede la composizione del nuovo organismo istituzionale con la designazione di due rappresentanti, una giovane ed un giovane, emigrati o discendenti di emigrati per ogni paese europeo, extraeuropeo e per l’Italia eletti nei Congressi nazionali dei delegati nominati dalle Assemblee delle Associazioni iscritte all’Albo regionale. Oltre ad essere una sede stabile di discussione, il Forum mira a rafforzare la conoscenza e la cooperazione fra la Basilicata e le proprie comunità all’estero e a fornire indicazioni generali sulle iniziative in favore dei giovani ai fini della predisposizione del programma annuale. Una scelta, questa del Forum, che testimonia la volontà della Regione di dare sempre maggiore centralità al protagonismo delle nuove generazioni. Un segno di attenzione colto e messo subito a valore. A metà settembre, a Mar del Plata, in Argentina, una quarantina di giovani, tra i 16 e i 35 anni, si sono incontrati per programmare iniziative riguardanti �

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NICOLA SANTAGATa

NON SI ABITA UN PAESE, SI ABITA UNA LINGUA LoredanaPinto “In America sono l’italiana, in Basilicata divento l’americana”. Questo succede ogni estate, quando per due settimane Loredana Pinto, 31 anni, lascia casa e ufficio a East Orange, nel New Jersey, dove si occupa di marketing, ritorna a Pescopagano, terra d’origine di entrambi i genitori, per riabbracciare parenti e amici. Per lei, però, questa è la prima volta con l’Associazione dei lucani, “un’esperienza bellissima, che mi ha permesso di conoscere tanti coetanei provenienti da tutto il mondo”. Il suo italiano è quasi perfetto, ma si entusiasma di fronte alla proposta, emersa durante il Forum, di attivare corsi di italiano per i lucani nel mondo, “anche perché – dice Loredana – la conoscenza di una seconda lingua è fondamentale per qualsiasi lavoro”.

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ChristopherAngiletta

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Christopher Angiletta è giovanissimo – vent’anni – e vive a Montreal, in Canada, dove studia Economia. Suo padre è di Potenza, la mamma della provincia di Campobasso. Era già stato in Italia nel 2000, ma questa esperienza è stata tutta un’altra cosa: “non conoscevo niente della Basilicata, ora so da dove vengo”. Un’esperienza unica per Chris, “per aver incontrato tanta gente e per aver provato a parlare l’italiano”, che in verità parla poco. Per questo ha deciso che dovrà assolutamente migliorarlo, magari frequentando un corso di lingua. Ed è bene che cominci a studiare, prima di realizzare il sogno, che è anche quello di suo padre, di comprare una casa a Potenza dove trascorrere, una volta in pensione, sei mesi l’anno, lontano dalla neve, dal freddo e dall’umidità del Canada, (Teresa De Carolis)


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“NON È GIUSTO RELEGARE L’ITALIANO A LINGUA DELLA MEMORIA. VOGLIAMO POTERLA PARLARE E CON PROPRIETÀ. SOLO COSÌ CI SENTIREMO PARTE ATTIVA E INTEGRANTE DELLA COMUNITÀ”. UN SENTIRE COMUNE CHE RICORDA CIÒ CHE AMAVA RIPETERE LO SCRITTORE E SAGGISTA CIORAN, RUMENO DI LINGUA FRANCESE: “SI ABITANO PIÙ LE LINGUE CHE I PAESI”, E CHE È SICURAMENTE IN GRADO DI RAFFORZARE UNA COMUNE IDENTITÀ, ANCHE QUELLA LUCANA

ConstanzaDeAngelis Tre culture, tre mondi diversissimi e lontani nei suoi occhi e nelle sue movenze aggraziate: Constanza De Angelis ha sangue lucano nelle vene, ma non solo. Papà Rocco emigrò in Cile da Tolve ad appena 5 anni. Sposò una donna del posto, ma figlia di cinesi. Così 19 anni fa è nata lei, oggi studentessa di ingegneria, al Forum come rappresentante del comitato giovanile dell’associazione lucana di Santiago. L’italiano di Constanza è incerto: papà Rocco parla sempre dell’Italia (e della festa di San Rocco in particolare, che proprio grazie al nonno diventò tradizione anche a tanti chilometri di distanza), la nonna cucina la pizza, il “picarone” e la domenica si mangia insieme come vuole la tradizione. Ma l’italiano non glielo hanno insegnato: per lei un’istruzione in un collegio inglese. Anche perchè, dice Constanza, i cileni non sono molto contenti di sentire un idioma diverso. Sarà anche per questo che per lei gli interscambi col nostro paese sono una risorsa in più: “per conoscere la lingua, la cultura, la storia”, e, perchè no, “per avere la possibilità di rimanere in Italia, per studiare o trovare un lavoro”.

Anche Pedro Luciano D’Alessandro ricorda nonna Caterina che a Cordoba, in Argentina, faceva il pane, le conserve di pomodori e che egli dava 10 cent per ogni bottiglia che l’aiutava a riempire. Era emigrata fin lì, Caterina, seguendo il marito e il figlio Antonio da Pisticci all’inizio degli anni ‘50. E al nipote parlava in dialetto. Tanto che oggi Luciano dice “per me il pisticcese è come una seconda lingua”. Lavora come contabile in una scuola, dove guadagna l’equivalente di 200 euro al mese: “poco, per fortuna sto in famiglia”. Ha lavorato tre anni, spiega, per mettere da parte mille euro per il suo primo viaggio in Italia (dopo la Basilicata andrà da un suo amico in Sicilia per un mese). “Mi piacerebbe venire a fare un esperienza più lunga qui - dichiara - per conoscere le mie radici: quando vedo i miei parenti in Argentina guardare in tv i canali italiani mi dico: questi dal loro paese non se ne sono mai andati! E alla fine mi sento italiano anch’io”. (Rosanna Santagata)

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� l’informazione e la comunicazione, la formazione, la difesa della lingua, ma anche progetti di solidarietà. L’altro incontro si è tenuto a Tandil, sempre in Argentina, anche qui si è discusso di politiche giovanili e di come rafforzare i rapporti con la regione. È, dunque, la cultura, declinata in tutte le sue molteplici espressioni, il punto cardine della maggioranza delle proposte formulate. A Potenza come a Mar de Plata e a Tandil i giovani hanno posto l’accento sul ruolo che possono avere i nuovi media nei processi di integrazione. Da qui l’idea di creare una mailing list per mantenersi costantemente in contatto in un mondo sempre più globalizzato e interculturale, e di fare “rete” attraverso internet sull’onda della grande trasformazione in corso segnata dall’avvento della società digitale che modifica le prassi relazionali. Dalle parole ai fatti. I giovani che hanno partecipato alla conferenza triennale hanno creato un sito plurilingue, www.lucania.helloweb.eu, che ospita testi informativi ma anche foto e video. Abbattendo le barriere spazio-temporali, i giovani lucani di

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tutto il mondo possono così condividere esperienze, confrontarsi su progetti, scambiarsi esperienze, proporre nuove iniziative. Uno spazio specifico è dedicato ai giovani artisti che potranno “parlare” attraverso le loro opere. Il sito è ospitato anche sul portale della Regione. Un disegno, quello di mettere i giovani in primo piano, che diventa sempre più chiaro. Francesco Giuliano, 25 anni, nato a San Paolo è stato nominato membro della Commissione regionale lucani all’estero in rappresentanza del Brasile. Sembra, dunque, che questi ragazzi abbiano deciso di vestire i panni degli ambasciatori della Lucania. Hanno mostrato, con iniziative alla mano, come continuare l’opera svolta da tanti corregionali per mezzo dell’associazionismo. Ora bisogna continuare a lavorare, e tanto, affinché l’idea di creare un’alleanza virtuosa tra le generazioni e le istituzioni con cui trasmettere saperi e competenze e rafforzare i contatti con la propria terra d’origine diventi presto realtà. �

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I “50” VARCANO LE PORTE DELLA FIAT Provenienti dall’Europa, dall’Australia e dall’ America, i figli e i nipoti degli emigrati hanno potuto visitare lo sede lucana della storica azienda automobilistica torinese. Un’esperienza positiva che il presidente della commissione Simonetti carica di aspettative

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MICHELE RUSSOMANNO Una visita di circa due ore, nelle Unità operative di Stampaggio, Lastratura e Montaggio della Fiat Sata di Melfi, “per sfatare il luogo comune che vuole la Basilicata arretrata e mostrare, viceversa, uno dei punti d’efficacia e di sviluppo della regione dando ampia visibilità alle sue forze produttive”. Sono questi i motivi che hanno spinto la Commissione dei Lucani all’Estero, presieduta da Pietro Simonetti, ad organizzare a margine della prima delle tre giornate di “Conferenza triennale dei Lucani nel mondo”, il 20 maggio scorso, una tappa nella grande succursale lucana (quasi 2 milioni di metri quadri d’estensione, 430 mila dei quali coperti) dell’azienda automobilistica torinese. Cinquanta giovani, membri della folta delegazione proveniente da Europa, Australia e Americhe, hanno avuto modo di aggirarsi per i capannoni dello stabilimento lucano che dà lavoro, dalla metà degli anni ‘90, a 5300 unità mettendo sul mercato, ogni anno, 300 mila autovetture. “Una visita gradita”, fanno sapere da Fiat aggiungendo soltanto che, “è parte integrante del piano di radicamento che l’azienda è solita instaurare nei territori dove si insedia”. Per la politica lucana, invece, “è la conferma – come sottolinea Simonetti – di un rapporto senz’altro buono tra lo stabilimento Sata e il suo territorio di riferimento. Un rapporto – prosegue il presidente della Commissione dei Lucani all’Estero – che intende cementarsi attorno alla realizzazione del Centro di ricerca per il quale sono già stati stanziati 12 milioni di euro”. Ricerca e, di conseguenza, innovazione sono secondo Simonetti le chiavi per permettere alla Sata di far crescere sul territorio regionale l’occupazione con possibilità, sottolinea ancora, “d’una maggiore offerta formativa e lavorativa per gli stessi lucani che vivono oltre i confini della Basilicata”. Su quest’ultima possibilità, puntualizza il presidente della Commissione dei Lucani all’Estero, “c’è una ipotesi di lavoro, prevista dalla legge regionale 16 del 2002, che impegna la Commissione che presiedo, l’Università degli studi della Basilicata e il dipartimento regionale alla Formazione e Lavoro”. Anche per i giovani delegati, tutti alla loro prima visita nello stabilimento di San Nicola di Melfi, l’esperienza in Fiat del 20 maggio scorso è “stata interessante”. “Per via della grande passione che nutro per le automobili”, spiega in proposito Carolina Wilka, giovane paraguayana con origini a Matera. “Perché Fiat è fiore all’occhiello d’una regione alla quale restiamo profondamente legati”, le fa eco un altro lucano all’estero con origine nei Sassi: Gianluca Ciciarelli dal Canada. C’è chi lavorerebbe in Sata, come la svizzera originaria di Marsiconuovo Maria Carmela Arlotto, e chi, infine, come i lucano-piemontesi Nicola Lobuono e Alessandro Collodoro, considerano la presenza di Fiat in Basilicata come “una grande possibilità per i giovani lucani”. �

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For the first time, more than 50 young people of Italian origin, from all over the world and above all from Argentina, Brazil and Australia, were the protagonists of a special Forum organized within the Triennial Conference of Lucanians throughout the World. Even if they live far from their region of origin, the third and fourth generation migrants were willing to keep the culture and traditions of Basilicata alive, thus revealing a strong identity and a rare feeling of belonging.

That is why the Regional Committee of Lucanians paid special attention to them. Through the experimental tool of the Forum they decided to establish a network allowing constructive dialogue between the many associations of Lucanians throughout the world and the institutions. A bridge made up of young people to voice project proposals concerning training, research, work and cultural activities. Among the project ideas which have come up during the Forum, the cultural

ones stand out most and especially the proposal for the promotion of Lucanian culture through the organization of festivals of cinema, theatre and music and the knowledge of recipes and typical products; organizing courses of Italian; creating a tourist front office to promote the knowledge of our heritage of material and immaterial assets (landscape, food and wine and cultural resources) of Basilicata; granting scholarships and offering internships and job opportunities in the region;


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implementing solidarity and collaboration projects involving all the communities, not only through funding. The different working groups indicated potential guidelines to follow in order to continue the work carried out by their fathers and grandfathers through associations. Thus the Forum represents, as the president of the Regional Committee of Lucanians abroad, Pietro Simonetti, explained, an opportunity for meeting and contact with their own motherland and an

innovative sign of regional policies which see in the young people descending from Lucanians abroad a source of vitality and new strength to promote the image and values of Basilicata beyond the regional and national borders. An early result has already been achieved. The idea launched in Potenza was followed by a meeting in Mar del Plata. In Argentina, about forty youngsters, aged between 16 and 35, on the basis of the guidelines drawn up during the Confer-

ence, took the opportunity to get to know each other and appreciate the role and value of associations, to plan together new initiatives to strengthen the links with the community they belong to. Working in groups, they confronted topics linked to information and communication, training, defence of the language, promotion and solidarity. This proves that, if young people are involved and valued, they have a lot to offer and become a valuable reference point.

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MASINI OMAGGIA L’IDENTITÀ LUCANA INTERVISTA AD ANTONIO MASINI AUTORE DEI DUE MONUMENTI AI LUCANI NEL MONDO INAUGURATI IL PRIMO A POTENZA E IL SECONDO A SIDNEY. DUE OPERE PER PORRE A MEMORIA IL VALORE DELLE ORIGINI E L’INDISCUSSO PATRIMONIO DI ESPERIENZE E UMANITÀ CHE GLI EMIGRANTI HANNO MATURATO ANGELA REMOLLINO foto di gerardo fornataro

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Un omaggio al lavoro e al sacrificio umano. Ma anche, con le parole usate dai rappresentanti istituzionali, una manifestazione di stima per tutti i nostri emigrati e la testimonianza dell’impegno della Regione nei confronti delle comunità dei lucani che vivono all’estero. Un monumento che diventa momento di valorizzazione dell’identità regionale, di quei valori che le lucane e i lucani, attraverso la vicenda dell’emigrazione, hanno saputo trasmettere ai loro figli. Autore della scultura inaugurata a Potenza il 22 maggio scorso in occasione della conferenza triennale dei lucani all’estero, è Antonio Masini. Nato a Calvello 75 anni fa, una laurea in giurisprudenza e soprattutto un curriculum lungo e corposo che testimonia il suo lavoro di pittore e scultore in tanti Paesi del mondo: dall’Italia alla Germania, dal Cile alla Grecia fino all’Australia. Qual è il significato del monumento ai lucani nel mondo inaugurato a Potenza? La scultura è costituita da un gruppo composto da un uomo e una donna che stringono tra le mani una bandiera o un panno mosso dal vento. È un pensiero, un saluto rivolto verso qualcuno che sta lontano. La storia della emigrazione è piena di immagini di gente che parte e gente che rimane a terra. I grandi esodi dell’Ottocento e del Novecento sono documentati da foto che sono entrate nell’immaginario collettivo. Perchè la scelta di rappresentare una donna, un uomo e la/le bandiera/bandiere? Ho rappresentato un uomo e una donna, cioè una coppia, perché l’emigrazione è un fenomeno nella storia dell’uomo e come tale lo coinvolge sia come singolo, sia come parte di una comunità in movimento. I grandi cicli migratori però non riguardano solo il singolo o una famiglia soltanto, ma intere comunità che si trapiantano altrove. Chi emigra porta con sé i segni della sua appartenenza, la sua cultura, le sue abitudini ma, trapiantandosi in una nuova terra ne assume lingua, costumi, simboli e tra questi la bandiera. L’emigrante quindi ha due bandiere: quella delle origini e quella della nuova patria.

Quali materiali ha scelto per la sua realizzazione? La scultura è stata eseguita in bronzo. Naturalmente la fusione è l’ultima fase di un progetto creativo. Per prima cosa c’è una idea che, in genere, viene proposta dal committente. Questa idea si trasforma in disegni, bozzetti. La fase successiva è la modellazione che può essere fatta in tanti modi: la più classica è in creta e la successiva riproduzione in gesso alabastrino, che costituisce il modello di riferimento della fonderia che lo riproduce prima in cera e poi in bronzo. Il Consiglio regionale e la Commissione dei Lucani mi hanno proposto di rifarmi all’idea centrale del monumento agli italiani d’Australia. Il tutto in formato ridotto e con la variante di inserire al posto del ragazzo sollevato in aria, una o più bandiere. L’esecuzione ha avuto tempi strettissimi poiché si pensava di inaugurare l’opera il 22 maggio scorso, in occasione della Giornata dell’Emigrante. È stato un autentico tour de force che mi ha impegnato mentalmente e materialmente varie settimane. Il 15 agosto si è inaugurato anche un monumento a Sidney. È possibile tracciare un parallelo tra questo e quello inaugurato a Potenza? Quello inaugurato a Potenza è una filiazione di quello d’Australia, anche se formalmente presenta notevoli differenze. Entrambi sono dedicati agli emigranti ma, mentre il gruppo australiano è imperniato sul concetto di eredità culturale ed umana tra il popolo italiano e quello australiano, il gruppo di Potenza vuole essere soprattutto un omaggio al lavoro, al sacrificio cui sono andati incontro gli emigranti lucani in tutti i tempi e in tutte le parti del mondo. I personaggi di quest’ultimo gruppo presentano impressa sul loro volto l’usura del tempo e della fatica, che si è sedimentata, solcando e corrodendo le stesse sembianze. Lei ha realizzato molti monumenti in omaggio a emigranti lucani. Come mai? Il tema della emigrazione mi ha sempre colpito e coinvolto. Mio padre un giorno fu sul punto di partire per l’Australia, ma vi rinunciò. Io stesso in un certo senso mi sento un po’ emigrante in quanto a soli dodici anni lasciai casa mia e andai via per studiare, per lavorare. �

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Una scultura che plasma la vita Emigrazione ieri. Emigrazione oggi. Cambiano i volti, i nomi, le voci dei protagonisti, rimane il fardello di coraggio, intraprendenza e un pizzico di paura che gli emigranti portano con sé ovunque vadano. Nel cuore di tante famiglie la volontà di inserirsi in nuovi tessuti sociali, senza dimenticare le proprie origini, insieme al desiderio di conoscere e di essere conosciuti. A queste ultime è dedicata la scultura “La Famiglia”, opera del poliedrico artista lucano, Antonio Masini, che è stata inaugurata a Sidney nel mese di agosto. Presente, passato ma anche futuro dell’emigrazione sono ben simboleggiate da una figura antropomorfa in bronzo, alta circa 6 metri, che raffigura un padre e una madre mentre sollevano, con le braccia protese verso l’alto, un bambino. Vecchie e nuove generazioni vengono celebrate dall’arte che diviene così signum di legami talvolta invisibili eppure tenaci che affondano nelle radici dell’esistenza, come quelli di appartenenza ad un determinato luogo e a un determinato gruppo familiare. E il futuro, secondo Masini, “deve” portare il rafforzamento della famiglia come istituzione perché è soprattutto grazie al suo ruolo e al suo valore che gli italiani hanno vinto la sfida dell’emigrazione. È un messaggio universalmente intelligibile, portatore di empatia e vicinanza tra i popoli, quello veicolato dalla statua dedicata agli italiani d’Australia e a tutti i lucani all’estero, sempre fedeli alla propria storia e alle proprie tradizioni. L’opera scultorea fortemente voluta, già da alcuni anni, da un pioniere dell’emigrazione lucana in Australia prematuramente scomparso, Donato Di Giacomo, è stata realizzata grazie all’impegno di suo fratello Joe, presidente federale delle associazioni lucane in Australia, al finanziamento e all’entusiasmo della Commissione regionale dei Lucani all’estero e alla creatività dell’artista Masini. Non sono mancati il contributo delle Associazioni lucane e il supporto di molti sponsor che hanno sostenuto spese di trasporto e di installazione. Il Comune di Canada Buy ha, invece, donato il suolo su cui è stata eretta la statua. Con una leggerezza visionaria di tocchi descrittivi e insieme psicologici, Masini ha ritratto un’umanità antica, vera, “quiet achivier”. Un popolo quello lucano dal carattere schivo e semplice ma orgoglioso e onesto che non poteva non commuoversi nel momento in cui, nel giorno di Ferragosto quando il cielo terso australiano tradisce la presenza dell’inverno, un drappo nero è scivolato ai piedi del grande piedistallo di granito sul quale la statua è stata eretta. All’inaugurazione hanno preso parte una folta delegazione della Regione Basilicata capeggiata dal Presidente dei lucani nel Mondo, Pietro Simonetti, e autorità australiane, tra cui il premier del NSW, Moris Iemma. “La Famiglia” è un dono, segno di gratitudine verso le famiglie lucane emigrate che hanno esportato saldi principi, contribuendo alla formazione di società sane nelle nuove patrie, ed è, altresì, una testimonianza per le future generazioni perché, come dice l’autore dell’opera, “quel lembo di mantello sulla spada dell’uomo scolpito è la bisaccia mentale che custodisce gelosamente il nostro passato”. � (Concetta Perna)

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Ma c’è un altro aspetto che va messo in giusto rilievo. L’uomo, la donna che un giorno decidono di tagliare i ponti con il passato e affrontano la grande avventura di sbarcare su nuovi lidi hanno un grande coraggio e forse accanto alla necessità li spinge a questo folle volo la ricerca del nuovo, quel “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”. Si rinnova inconsapevolmente il mito di Ulisse ma, in una diversa chiave di lettura. Il monumento di Potenza, inoltre, è anche una risposta a un dialogo che si è aperto da un po’ di tempo tra la grande diaspora degli italiani all’estero con la grande Madre, la terra delle origini. Dialogo che era stato interrotto nei primi tempi dell’emigrazione, quella della cosiddetta “valigia di cartone” che trovava nella mimetizzazione il mezzo più immediato per la sopravvivenza. L’italiano all’estero non è più il cavapietre, lo sguattero, il minatore, il venditore di cianfrusaglie che va per la calle di Buenos Aires. I suoi figli hanno studiato, spesso sono inseriti nelle leve di comando degli Stati di accoglienza e sono consapevoli della nobiltà delle origini, dell’appartenenza ad una terra che ha dato geni come Michelangelo, Galileo, Marconi. Pensa che per un lucano all’estero sapere di avere un monumento dedicato a sé e a quanti come lui non vivono nella terra di origine possa far sentire più a casa? Certamente fa piacere a un lucano pensare che nella terra in cui vive c’è un segno duraturo nel tempo che ricorda anche lui, la sua storia e le sue origini. �

A monument to commemorate for all time the esteem for all emigrant Lucanians and the commitment of the highest regional authority towards them is what Antonio Masini, the artist who made it, and the president of the committee of Lucanians abroad, Pietro Simonetti had in mind and this is what they have been able to make. The sculpture, portraying a group made up of a man and a woman who hold a windswept cloth tight in their hands, attracts the eye and mind of those who are about to cross the threshold of the regional Council. The figures, cast in bronze, seem to offer a thought, a greeting addressed to someone who is far away. Born in Calvello 75 years ago, holding a degree in law, Masini boasts a curriculum that alone witnesses his activity as a painter and sculptor from Italy to Germany, from Chile to Greece to Australia. Labelled by many critics as the painter of reality, with his rare visionary strength he is always open towards new searches and expressive forms. Over the last few years he has dedicated much space to sculptures in bronze, iron and reinforced concrete. He is gifted with a strong emotional drive, a delicate insight, and is extremely interested in memory and identity, “aspects which are an added value in respect to the socio-economic reality”. Qualities and attention that the artist uses as “materials” to meld together with the different metals. “For the monument installed in Potenza – he explained – I have portrayed a couple because emigration is a phenomenon in the history of man and as such it involves him as both a single individual and part of a community on the move. The emigrant has two flags: the one of his origin and the one of his new homeland”. Masini has often had the occasion to approach the world of emigration. In his travels he has discovered the great and original heritage of experiences and humanity belonging to emigrants. In several parts of the world he has had the possibility to observe how Lucanians have been able to overcome the initial difficulties in integrating in a society different from ours and reach, in many cases, high-status conditions in the social and economic field. “In those places – he said – they have their homes and children, and those cities which they contributed to building are now felt as a part of them. But their origins are in their native land and it is for this reason that it is fair to place in memory a symbol to remind them of their ties”. A symbol which has been placed in Sidney too, on the 15th August, with the inauguration of a monument. When we asked if it is possible to draw a parallel between this one and the one inaugurated in Potenza, he answered that “the one inaugurated in Potenza is a child of the Australian one, they are both dedicated to emigrants but while the Australian group is based on the concept of cultural and human heritage between the Italian and Australian populations, the group in Potenza is mainly an attempt at an homage to fatigue, work and human sacrifice which have been encountered by Lucanian emigrants throughout the ages and throughout the world.

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I VERSI DI ALBINO PIERRO SULLE NOTE DI ASTOR PIAZZOLLA Carmensita Bellettieri Foto di Nicola Santagata

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La lingua del tango canta la lontananza e i ricordi, le passioni e la melanconia, i tradimenti, gli amori e i coltelli, così come i versi di Albino Pierro narrano la nostalgia e l’amore per la propria terra. Quale miglior linguaggio per parlare tutte le lingue presenti al teatro Stabile di Potenza in occasione dell’incontro con i nostri conterranei emigrati. Una “noche de tango” accoglie le rappresentanze dei lucani nel mondo sulle note di Astor Piazzolla e il vernacolo tursitano ne celebra “lucanamente” il commiato. Tango e poesia per ricordare a tutti i presenti di “volver al Sur como se vuelve siempre al amor ”. “La scelta di omaggiare Piazzolla e Pierro in uno spettacolo dedicato ai lucani all’estero – dice Pietro Simonetti, presidente della Commissione lucani nel mondo – non è stata altro che un’operazione chirurgica: reimpiantare i cuori antichi dell’Argentina e della Basilicata nei petti dei contemporanei. Il tango di Astor, come la parola poetica di Pierro, hanno superato i confini del tempo e del proprio spazio per diventare un fenomeno mondiale a cui tutti si sentono di appartenere in qualche modo”. “Lo spettacolo vuole rappresentare – continua Simonetti – la più eccelsa forma di contaminazione culturale tra una terra bagnata dal Mediterraneo e un grande Stato al di là dell’Oceano. E, come una grande nave, sia il tango che la poesia non hanno porti dove attraccare, ma navigano il mondo e al mondo ritornano con le loro affinità timbriche, i loro suoni e le loro cesure”.

Lo Stabile è colmo di gente e lingue diverse, Americhe, Australia, Canada, Francia, Inghilterra... una Babele costruita da tutti i lucani emigrati negli anni passati e presenti. Poi, si alzano le scene e la lingua diventa unica e universale: la lingua del tango. Tango che è argentino, un po’ francese e molto italiano, come Milva o Paolo Conte. Ai sassofoni Vito Soranno, al violino Francesco Clemente, alla chitarra Giovanni Fossanova, al pianoforte Loredana Paolicelli, al contrabbasso Antonio Carmentano e, infine, all’angolo sinistro del palco, il soprano di origine stiglianese ma nata a Buenos Aires, Beatriz Fornabaio: la voce. È il Quinteto Porteño in una “Noche de tango” dedicata ad Astor Piazzolla. Questo quintetto salda tutti i continenti presenti in sala con l’unico strumento che è la musica. La voce di Beatriz va in crescendo come le luci che battono sui musicisti. E Astor racconta il suo tango e la sua vita nell’ultima intervista rilasciata prima di morire. La sua autobiografia non è altro che la sua struggente passione per il bandoneòn: il demone della sua vita e la causa del suo vivere. Astor si sposta tra paesi e gente diversa per portare el nuevo tango. Mai nessuno aveva creduto di poter modificare questo genere popolare e intoccabile dell’Argentina: tutto cambia a Buenos Aires, tranne il tango. Astor cambia l’immutabile, inventa un nuovo tango, diverso da quello tradizionale. Vi incorpora elementi presi dalla musica jazz e fa uso di dissonanze e altri elementi musicali innovativi. �

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� Introduce nella composizione popolare tutta la storia e l’orchestrazione dei grandi maestri classici e vi aggiunge l’uso di nuovi strumenti che non venivano utilizzati nella musica tradizionale, come il flauto, il sassofono, la chitarra elettrica, gli strumenti elettronici e la batteria jazz. Astor dice con piena consapevolezza che dopo Gardel ci sarà solo Piazzolla. E così sarà... La Fornabaio alterna al recitato un canto struggente e appassionato, degno di una grande tangera. La sua voce sale, scende e patisce assieme agli strumenti che la accompagnano. È una danza dell’anima che parte da Meditango, Milonga del Angel, Los Pajaros Perdidos, attraversa le tristi note di Adios Nonino, Oblivion, canta della nostalgia di Vuelvo al Sur e termina nella sensualità di Libertango. Su ciascuno di questi capolavori aleggiano le immagini proiettate da Luca Acito. Poco intrusive, fioche e diafane, queste ombre ballano su uno spazio mobile e in un tempo indefinito, così come è il tango di Piazzolla. “Il tango è un linguaggio universale in quanto Piazzolla comprende in sé l’intero universo della musica – dice la Fornabaio – Astor ha attuato un processo di transculturazione del tango. Egli ha attinto dal klez dei matrimoni nei quartieri ebraici americani, dal blues e dal jazz incontrati a New York e, infine, ha fatto sposare il tango argentino a quello francese in un connubio di dolce malinconia”. “E come per Piazzolla – continua Beatriz – anche per me la musica è il matrimonio delle mie due anime, quella argentina e quella stiglianese: la mia casa è Buenos Aires così come lo è sempre stata Stigliano, perché io sento il tango lì e qui”. Chi meglio di Piazzolla può parlare al cuore di tutti coloro che hanno lasciato la Basilicata in cerca di fortuna, oltre che

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alla numerosa comunità lucana in Argentina. Anche lui figlio di emigrati pugliesi in terra lontana, proprio l’Argentina, e sempre legato al suo “Sur” tanto da trasferirne i colori e i sentimenti frastagliati sulle sole cinque righe del pentagramma. Conosciuto nella sua terra natale come El Gran Ástor o El Gato (il Gatto, per la sua abilità e ingegno) egli è considerato il più importante musicista di tango della seconda metà del ventesimo secolo (Carlos Gardel è il più importante della prima metà). Con la sua opera, il passionale musicista argentino ha dimostrato che il tango può essere un’espressione eterna dello spirito umano. “E, se questa musica nell’immaginario collettivo rappresenta un posto dell’anima, Buenos Aires, così il dialetto rimanda subito all’immagine delle radici, quelle a cui tutti torniamo”. È l’emozione conclusiva con cui la Fornabaio cede il palco al vernacolo tursitano di Albino Pierro. L’omaggio di Dino Becagli all’uomo e al poeta di Tursi è tutto racchiuso nel titolo del monologo diretto da Nicola di Pietro: ‘A terra d’ ‘u ricorde. È il passaggio veloce su Tursi, la Rabatana e la società contadina della Basilicata. Questo è il focolaio poetico di un uomo che per ben due volte ha sfiorato il Nobel per la letteratura. Il dialetto tursitano è il sigillo fonetico del popolo lucano cantato dai versi di Pierro. È la sua fonte di ispirazione e la sua culla di sentimenti e d’autenticità della vita. Il saluto di Pierro al pubblico multilingue dello Stabile ricorda le radici di ciascuno spettatore, le vivifica e imprime negli animi l’immagine del mondo lucano che loro porteranno per le vie degli altri mondi, con un monito simile a quello di Piazzolla: tornare a Sud come si torna sempre all’amore. �


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BASILICATA Piazzolla’s Tango as a universal language and Pierro’s dialect of Tursi as the language of memory is a union which proved to be a winning formula which delighted our fellow countrymen, who have emigrated abroad, when they came to Potenza for the conference. “The choice of paying tribute to Piazzolla and Pierro in a show dedicated to Lucanians abroad – Pietro Simonetti, president of the Committee of Lucanians abroad, said – was nothing short of surgical: we re-implanted the ancient hearts of Argentina and Basilicata in our contemporaries’ chests. Astor’s tango along with Pierro’s poetic words, have overcome the constraints of time and space to become a worldwide phenomenon to which everyone feels they somehow belong. The show aimed at performing – Simonetti underlined – the highest form of cultural contamination”. The Stabile Theatre was full of different people and languages, the Americas, Australia, France, England... a Tower of Ba-

bel built up by all the Lucanians who have migrated in past and present years. The curtain was raised and the language became one and universal: the language of tango. Vito Soranno on the saxophone, Francesco Clemente on the violin, Giovanni Fossanova on the guitar, Loredana Paolicelli on the piano, Antonio Carmentano on the double-bass and, finally, in the left corner of the stage, the voice: the soprano Beatriz Fornabaio, born in Buenos Aires but originating from Stigliano. It is the Quinteto Porteño in a “Noche de tango” dedicated to Astor Piazzolla. Beatriz’s voice was a crescendo, like the lights beating down on the musicians. The author alternated readings with songs of passion and longing, worthy of a great tango artist. Her voice rose and fell and suffered along with the instruments accompanying it. We watched a soul dance which started from Meditango, Milonga del Angel, Los Pajaros Perdidos, crossed the sad notes of Adios Nonino, Oblivion, sang of

the nostalgia of Vuelvo al Sur and finished with the sensuality of Libertango. “Tango is a universal language, Piazzolla includes in himself the whole universe of music – Ms Fornabaio told us – Astor made tango a cross-culture. He tapped to the klez of weddings in American Hebrew areas, blues and jazz in New York and, in the end, gathered the Argentinean and French tangos together into a blend of sweet melancholy. And as for Piazzolla – Beatriz continued – for me too, music is the marriage of my two souls, the Argentinean and that of Stigliano; my home is Buenos Aires but also Stigliano, for I siento the tango in both places”. Pierro’s greeting to the multilingual audience of the Stabile reminded each spectator of his roots. It impressed on their souls the image of the Lucanian world that they will take to the roads of other worlds, with a warning similar to Piazzolla’s: go back to the place where everything began as we always go back to love.

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Bruno Leone “Pulcinella” del mondo

C’e tutta la magia delL’universo contadino lucano nel Pulcinella di Bruno Leone che abbandona la professione di architetto al Comune di Napoli e decide di diventare burattinaio. Tantissimi gli impegni teatrali, civili e, soprattutto, sociali: ha lavorato in realtà difficili ed è riuscito a strappare un sorriso ai tanti bambini dei quartieri Spagnoli e Sanità, nomi tristemente noti per i tanti episodi di violenza quotidiana. L’auspicio è che questo grande interprete del ventesimo secolo possa trasmettere la sua tecnica e l’autentica poesia ai giovani che vorranno cimentarsi con questa forma artistica

DORA CELESTE AMATO 32


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Laggiù un proscenio in miniatura, coloratissimo. La tenda ricopre soltanto la metà del piccolo giocattolo senza tempo e senza spazio. Ognuno di noi, adulti, va con sorridente nostalgia ai propri giochi, agli amici, ai luoghi dell’infanzia. Per un attimo ti vengono alla mente le struggenti strofe canore ascoltate dai nostri padri, “torna piccina mia...”, da cui fuggiamo intristiti, e le amabili e più fresche “burattino senza fili...”, “carissimo pinocchio”. Ma è un attimo: non è questo il luogo per ricordare e sentirsi estranei. Qui c’è la vita, o quella che dovrebbe essere, riflessiva ma lieve, forte e bella, come un burattino. Qui siamo davvero nell’oggi, nel sempre. O, almeno, questo è quello che vive la vostra cronista mescolata ad un pubblico di ogni età, bambini, genitori, nonni e zie un po’ Mary Poppins che, chissà perché, hanno il loro posto al sole soltanto se sono, come dire, un tantino bislacche. Ma questo è un altro discorso. Siamo in una bellissima villa comunale oppure in una piazza dominata dal castello? Ma, scopriremo, poi, possiamo essere anche in un’oasi del Sahara o nel Chiapas, Messico. Tra il pubblico c’è silenzio. Trattenuto e gioioso, spontaneo. Ed eccolo “l’eroe”, la voce inconfondibile provocata dalla pivetta, piccolo oggetto d’oro posto sotto la lingua, difficile da usare ma indispensabile. Eccolo: è Pulcinella, burattino del mondo. I bambini ridono, applaudono, partecipano spontanei. Ma, ad un cenno, tornano ad un silenzio magico, irreale per la loro età. È fatta, Pulcinella li ha rapiti. Ma chi è questo burattino senza età, il camicione bianco, la mezza maschera nera sul volto? A volte ha la statura umana ed è il burattinaio, a volte compare soltanto in una mano affusolata come burattino. Nell’altra mano la sua Teresina, le voci contraffatte, con i discorsi delle favole, della Storia, di entrambe mescolate. Come la vita. Il burattinaio esce dalla “guarattella”, teatrino ambulante da sempre caratteristico a Napoli e da Napoli nel mondo. Abbiamo una certa ritrosia a chiedergli di parlarci di lui, quasi s’interrompesse l’incanto. Però non vogliamo essere egoisti perché questa favola vera in cui vive Bruno Leone noi vogliamo regalarla ai lettori e farla girare per il mondo. Esagerata! Scusate, stiamo entrando nel gioco. E il gioco non ha patrie. Eccolo, stanco ma felice, sguardo dolce ma profondo: si schermisce un poco ma è un attimo; la sua esperienza gli ha ormai insegnato quanto sia importante, oggi più che mai, condividere. Nasco a Montemurro (Potenza) nel 1949 da Maria Padula, pittrice e scrittrice e da Giuseppe Antonello Leone, pittore, scultore, poeta, irpino. Mi laureo in architettura, a Napoli, dove vivo da molti anni. Sono andato a lavorare vicino Londra, come operaio, visto che

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BASILICATA ancora non avevo alcun incarico. Poi sono stato assunto al Comune di Napoli, nel 1979, come architetto, dipendente dell’ufficio tecnico e poi dell’assessorato ai Servizi sociali. Era l’Anno internazionale del bambino e, poiché già mi occupavo di ciò, sono stato distaccato, come burattinaio, alle Scuole materne comunali e poi all’Animazione sia come laboratorio, sia come spettacolo in realtà difficili. Sono iniziati poi i Carnevali sino alla fondazione della Scuola di formazione dei guarattellari; intorno al 2000, la collaborazione tra il Comune di Napoli e l’“Ecole nationale des marionettes” di Charleville. Nel 2002 ho fondato, con Perez e altri, il Teatro dei Burattini che è stato inaugurato come “Teatro delle guarattelle” il 2 novembre 2003. In seguito, ho continuato a fare laboratori di servizio nel rione Sanità, presso il Teatro dei Burattini, un piccolo museo con burattini di tutto il mondo donatimi o acquistati da me. Un piccolo regno sul quale da maggio è sceso tristemente il sipario. Il Comune di Napoli, che pagava l’affitto del locale, ha chiuso i rubinetti dei finanziamenti. Leone è visibilmente amareggiato ma non pensa neanche per un attimo di smettere. Lo si capisce dai suoi occhi che continuano a brillare di una luce particolare, quella della passione. Questa professione fa parte della sua vita, è nel suo DNA e nessuno e niente potrà mai scalfirla. Proprio così. Mia sorella Rosellina aveva seguito al Piccolo di Milano un corso per la formazione di insegnanti di animazione tenuto da Otello Sarzi e da Bernardo Ravasio. Qui incontra Nunzio Zampella, burattinaio napoletano che fece l’ultimo spettacolo a Milano nel’78, e aveva venduto i suoi burattini a Roberto Leydi. Io, intanto, avevo già la passione di creare maschere e oggetti quando, come ho detto, ebbi la fortuna di conoscere Zampella, figlio d’arte. Dopo un breve periodo di frequentazione, cui subentrò la fiducia verso me stesso, nel’79, Zampella, poco più di 50 anni, ricomincia a lavorare e io, suo allievo, con lui. Usavamo, molto spesso, come “teatro di strada” e con il piattino, i burattini creati da me e ciò durò sino alla morte del Maestro, avvenuta nell’86. Intanto io, però, avevo fatto anche mie sperimentazioni e lui ne era felice. Il mio allievo non dev’essere il mio pappagallo, soleva, infatti dire. Prima facevo narrazioni con testi quasi sempre miei. Poi ho fatto soltanto ricerca sulla maschera Pulcinella. Comunque, e ne sarò sempre grato a mia sorella, creatrice a Milano, con altri, del Teatro Mangiafuoco, Zampella fu la “mia” rivelazione. Ma, dunque, tu sentivi di essere burattinaio? No, lavoravo al Comune, ero un po’ incerto su cosa fare ma se non avessi incontrato Zampella, la mia vita sarebbe stata diversa. Fu il suo carisma a deviare i miei interessi. Ho cominciato come passatempo, intanto ero sempre al Comune, �

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� poi cominciarono a chiamarmi da tutt’Italia, dall’Europa, e dal mondo, pagandomi le spese e, in qualche caso, anche lo spettacolo. Prima della morte di Zampella ero già stato, con Sarzi in Canada e in Grecia. E, intanto, era nata la passione. Al Comune ero uno dei tanti che non faceva il proprio mestiere. Bruno, credo che in te - e, quindi nel “tuo” burattino - viva molto, sempre, il bambino che sarebbe bello conservare per tutta la vita e, anche, la capacità di stupirsi, in giro per il mondo. Forse niente è più scontato: è così? Sì, è proprio così e se potessi fare più Pulcinella sarebbe ancora meglio. Certamente è ciò che mi dà maggiore gioia: sicuramente faccio del bene al pubblico e loro a me. Il burattinaio crea la magia e il contatto con popoli, lingue, tradizioni diverse. La pivetta, poi, non è soltanto un espediente tecnico per “fare” la voce di Pulcinella: essa è anche la sua forza astratta. Più il linguaggio è astratto più c’è forza evocativa. Pulcinella è un corpo a sé, una voce a sé, è altro da sé, ciò che è più difficile far vivere, invece, da parte dell’attore. Il medium va in trance, il burattino usa la pivetta per astrarsi. Essa è voce universale, appartiene al tempo (perlomeno dal ’600 ad oggi) e allo spazio. Viene usata in tutto il mondo.

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Dunque Pulcinella è ovunque? Ma il tuo Pulcinella dove si è trovato meglio? Pulcinella, con nomi diversi, esiste almeno in 30 paesi del mondo. Nel 1987, per i 325 anni di Mister Punch, nella cappella del Covent Garden fu celebrata una messa protestante dinanzi a tutti i burattinai del mondo, tra le mani il loro Pulcinella. Il sermone fu affidato a uno di noi. È sempre stata la maschera italiana per eccellenza, la più antica del mondo, quindi quella universale. Ed è infatti fondamentale, per me, fare lo spettacolo, ovunque, in napoletano. Ho provato in altre lingue ma non ha funzionato. Eppure la relazione più forte – e me ne sorprendo – avviene con culture molto diverse dalla nostra e/o con situazioni di estremo disagio, povertà, guerra, malattia. Tra gli indiani di America, Pulcinella è sentito come uno di loro. I bambini fanno da “guida” agli adulti perché sono puri e non hanno alcuna contaminazione politica. Nel Chiapas, ad esempio, non conoscevano l’applauso e il loro silenzio, a fine incontro, era parlante. Ricordo, emozionato, una bambina brasiliana malata di AIDS che è stata 15 minuti con le mani sugli occhi, un rifiuto a relazionarsi, poi si è sciolta. Ancora, l’esperienza ad Abudis, zona vicina al muro di Gerusalemme ove molti palestinesi non possono muoversi: un’insegnante mi ha detto, felice, che era un anno che non vedeva ridere i bambini. Il mio mestiere, dunque, non serve soltanto ai bambini ma agli adulti che ne prendono forza. Anche in ospedale, nel reparto pediatrico, dove la sofferenza più profonda è quella dell’adulto.

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Bruno Leone, puppeteer, is Lucanian by birth and Neapolitan by adoption; he is a great interpreter of the classical plots of Pulcinella that he performs for his public with absolute mastery and genuine poetry. The technique and repertoire he uses come from the art of Neapolitan guarattelle, an art learnt from Nunzio Zampella, the last great Neapolitan master. After having abandoned architecture, with no second thoughts, he dedicated himself to what he believes to be an art more than a job. An art which “is good for the public but is even better for the one who proposes it”. His Pulcinella, the man on the street who in a masterly fashion succeeds in escaping death and jeering at power, even though feeling all the fears of the big wide world, faces everyday life, tries

to interpret subjects of civil commitment and confronts himself with a feeling as old as the world itself: true love, that which warms the heart. Bruno was born in a family of artists, his mother is Maria Padula, painter and writer, and his father Giuseppe Antonello Leone, a painter, sculptor and poet from Irpinia. He got his architecture degree in Naples, where he has been living for a long time. He had some work experience in London, first as a factory worker and was then employed at the Town Hall in Naples in 1979, as an architect, an employee in the technical department and finally, in the department for social services. It was the International Year of Childhood and, since he was already


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BASILICATA Parlavi del silenzio: tu, irpino-lucano, sei riservato, appunto. E Napoli? Come la mettiamo con il silenzio? La riservatezza è fondamentale per un burattinaio: il burattino deve vivere di per sé. Certo, i testi, tranne quelli della tradizione, sono quasi tutti miei ma con l’evoluzione del linguaggio. Che, per meglio dire, è entrare nella storia del burattino. Che può fare tutto ma da burattino. Per ciò che riguarda il napoletano, sì, è chiassoso, questo è lo stereotipo, ma sa spesso tacere e riflettere. I bambini occidentali sono abituati ad interrompere ma, con Pulcinella, ad un certo punto... tacciono. Chi è Pulcinella? È una maschera senza patria? No, perché quando noi parliamo di cultura occidentale è il modello consumistico cui facciamo riferimento: l’occidente non è soltanto questo. Il problema è la “guerra mediatica”. Se non si è mai visto uno spettacolo, si pensa che esista soltanto la play station. Siamo un mondo marginale? No, è che crediamo, spesso, alle false verità: si pensa che è vero soltanto ciò che si vede. Pulcinella è universale e gli “affetti” sono vissuti in modo personale e singolarmente. Credo che dovrebbe essere “obbligatorio” nella vita di un bambino vedere 3 volte un buon spettacolo di burattini. Pulcinella è un burattino e può fare tutto ma da... burattino: parla di politica ma non fa ideologia. Ho scritto per lui anche un testo sulla rivoluzione del 1799, commenta ma non fa propaganda elettorale. Pulcinella è saggio, è astratto, come ho detto. Non è, per fortuna, né di destra, né di sinistra. E, infine, il mio essere burattinaio è anche nato dal rifiuto di un certo mondo dove il “prodotto” dell’essere “artisti” significa anche, spesso, l’affermazione della propria bravura. Perché io, poi, sono nato in una particolare famiglia di artisti. Diversa. Mio nonno, intagliatore e pittore naif, mio padre, pittore, scultore. L’Irpinia mi ha dato la manualità... La Basilicata? La ricchezza del mondo contadino. Pulcinella nasce in campagna: Napoli, grande capitale, ha sempre raccolto le energie della provincia. Antonio Lapece, pastore di Montemurro, quand’ero bambino costruiva per me i giocattoli in legno. Un contemplativo che suonava la zampogna con distacco. Non si arrovellava con le cose. Pulcinella si rimette la maschera, entra nella “guarattella”, la porta con sé. Come la fedele tartaruga. Pronto a dare linfa alla nuova associazione nata dalle ceneri dell’Istituto delle Guarratelle e a interpretare, magicamente, nuove pièce, d’ora in poi in tour. Noi rimaniamo con i nostri silenzi. E ripercorriamo l’ultimo messaggio a Bruno di Laszlo, un bambino ungherese adottato ad Avellino: “Bruno, quando penso a Pulcinella mi viene nostalgia e felicità”. Memoria, senza “vergognarsi” di vivere nella gioia.�

dealing with this, he was seconded, as a puppeteer, to the town day nursery and then to entertainment, for both workshops and shows. Then he started dealing with Carnivals and the foundation of the Training School for Guarattellari, around the year 2000, saw a collaboration between the Municipality of Naples and the “Ecole nationale des marionettes de Charleville”. In 2002 he founded, together with Perez and others, the Theatre of Puppets that was inaugurated on 2nd November 2003 as the “Theatre of guarattelle”. He got his passion for puppets from his sister Rosellina who had attended an entertainment teacher training course given by Otello Sarzi and Bernardo Ravasio at the Piccolo in Milan. There he had the most important meeting of his life, with Nunzio Zam-

pella, the Neapolitan puppeteer who performed his last show in 1978 in Milan. After a short period they become friends and, in 1979, Zampella started his job again and Bruno became one of his learners. A real master who pushed him to dare, to put new experiments into practice. “My pupil – he always told him – must not be my parrot”. And Bruno has followed him to the letter by dedicating in a job which, even if bearing tradition in mind, “feeds itself ” with new research and fantasy. The Lucanian artist talks about his activity with an infectious passion. “It’s an emotionally fulfilling job – he says – which helps you to remain a child. The puppeteer creates magic and contact with different peoples, languages and traditions”. 37


“BASILICATA BERLIN” ROSANNA SANTAGATA FOTO DI DANIELA INCORONATO

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I NOSTRI CONTERRANEI A BERLINO. FRANCESCO CAMPITELLI HA FONDATO UN’ASSOCIAZIONE CHE RIUNISCE “GLI AMICI DELLA LUCANIA” CON CORSI DI ITALIANO, CARRI ALLEGORICI, LEZIONI DI TARANTELLA. IN COLLABORAZIONE CON LE ISTITUZIONI LOCALI NE ORGANIZZA UN FESTIVAL ANNUALE. NELL’ULTIMO, DI SCENA LA BASILICATA


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Tarantelle a Berlino. Quasi un ossimoro, un apparente azzardo: un ballo ancestrale che richiama antichi riti e segrete magie nel cuore di una delle capitali più moderne e avanguardiste d’Europa. O piuttosto, qualcosa a metà strada tra una scommessa e una filosofia di vita. Francesco Campitelli, quando nel 1986 dalla sua Potenza partì alla volta della Germania, più di tutto non voleva essere considerato “emigrato” bensì “espatriato volontario”. E infatti appresso si portò non nostalgie o rimpianti, ma la sua “lucanità” formato “esportazione”: cultura e radici da trapiantare e far conoscere altrove, lontanissimo dalla regione del profondo Sud dov’è nato. Perchè per lui – che oggi nella capitale tedesca è operatore culturale, docente universitario, dj col nome di don Francisc’, e altro ancora – il viaggio è “una sorta di metafora del cammino di conquista delle metropoli europee da parte delle sonorità mediterranee. Un viaggio alla ricerca di un posto adeguato all’interno dell’universo culturale metropolitano”. Nella convinzione che a causa delle “radicali trasformazioni avvenute nel Sud la sua cultura musicale potrà ave-

re un futuro solo al di fuori degli angusti confini dell’universo rurale”. La scommessa è quella di portare i tedeschi a ballare sui ritmi musicali legati alla transumanza, alle feste religiose, agli incantesimi e alle credenze popolari (come quella che una danza frenetica potesse guarire quante, soprattutto donne, sostenevano d’essere state morse dalla tarantola). Contagiarli con quelle suggestioni magiche che nel mondo contadino erano parte predominante di una cultura “altra” che oggi va scomparendo. “Se per caso l’anonimità metropolitana ci viene a noia allora improvvisiamo una festa di tarantella e balliamo così come se ci trovassimo proprio nella piazza di uno dei nostri paesini” . Nel segno delle sue convinzioni e sensibilità, Campitelli ha dato un contribuito originale alla promozione della cultura lucana e in genere meridionale nel cuore dell’Europa. Ha fondato l’associazione “Basilicata Berlin”, è organizzatore di un Festival della tarantella, è tra i più attivi partecipanti al Carnevale delle multiculture che si svolge nella capitale tedesca il giorno della Pentecoste. L’associazione esiste da quattro anni. “Il minimo comune denominatore dei circa cinquanta iscritti - dice Campitelli

(che ne è anche il presidente) - è che non ci definiamo “emigranti” ma “interessati alla Basilicata”. Infatti vi fanno parte non solo italiani, ma anche tedeschi. Obiettivo principale di questo lucano cittadino del mondo, rimane sempre coinvolgere sempre più persone possibile e collaborare con le istituzioni locali. Occasioni per l’incontro e lo scambio delle due diverse culture le tante attività dell’eclettico presidente. Ci sono le “giornate tematiche contro stereotipi e pregiudizi”, primi tra tutti quelli sull’Italia, che mirano a “dimostrare che semplificazioni e punti di vista monodimensionali non semplificano la vita, anzi...”. Ci sono i corsi di italiano “sui generis” basati su un metodo di insegnamento “non convenzionale”. Ci sono le serate da ballo del mercoledì, appuntamenti settimanali con le varianti regionali della tarantella e della pizzica, e workshop di introduzione alla cultura di questo tipo di danza. E ancora, le feste: i “Tarantella trance party” o “tarantella ballroom” con le quali Campitelli in versione dj porta in giro nei club berlinesi selezioni di musica dell’Italia meridionale con l’intenzione “di creare le condizioni affinché i ritmi arcaici della tarantella �

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�meridionale e le sue forme di espressione originarie, a partire dalla realtà berlinese, trovino un proprio spazio di esistenza all’interno della scena musicale multietnica delle metropoli europee”. Tra gli appuntamenti che Campitelli organizza annualmente, il Carnevale delle Culture, mescolanza di colori e identità che dimostra la capacità di “tolleranza che Berlino ha nei confronti di tutte le diversità”. Un fiume variopinto e festante di migliaia di persone, fino a più di 800 mila, un centinaio di carri allegorici in rappresentanza delle tante etnie che convivono nella metropoli, sfila tra le strade nel giorno della Pentecoste. Lui, Campitelli, vi partecipa dal 2002 con il “Carro della tarantella”, opera il cui tema, diverso ogni anno, viene ricercato nella tradizione popolare lucana o

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in genere meridionale e attorno al quale, oltre agli attori e figuranti, vengono coinvolti e si abbandonano a quello che viene definito “un vero e proprio rave di tarantella”, anche gli spettatori. Un punto di riferimento, dunque, nel panorama culturale berlinese. Anche per questo l’associazione “Basilicata Berlin” ha collaborato alla realizzazione, il 14 e 15 marzo scorsi, del “Festival della Musica del Mediterraneo” di Berlino, manifestazione che ogni anno viene dedicata alle diverse realtà musicali del Sud Europa. Protagonista del 2008, appunto, la Basilicata. La vetrina, organizzata dalla Regione e dalla Commissione regionale dei Lucani all’Estero in collaborazione con la Werkstatt der Kulturen (istituzione culturale del Senato di Berli-

no cui Campitelli presta la propria consulenza da tempo), ha contribuito a far conoscere la nostra regione nei suoi aspetti più peculiari: i riti della “transumanza religiosa” immortalati dall’obiettivo del fotografo Leonardo Nella e proposti nella mostra “La montagna fatata”. I piatti e i sapori tipici con degustazioni a cura di un ristoratore d’origine lucana; gli strumenti della tradizione, con il workshop di Pino Salomone, costruttore di surdulina e le selezioni di musica popolare di dj “don Francisc’”. E ancora tanta tarantella, con i Totarella dal Pollino, i Tarumba da Tricarico e ‘o Lione e il suo gruppo da Scafati. A giudicare dalla partecipazione si può dire che i tedeschi abbiano gradito. E che Campitelli la sua scommessa con il multiculturalismo l’abbia vinta.�


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In alto da sinistra: Salvatore Raiola, Francesco Campitelli, presidente associazione “Basilicata Berlin” e Antonio Matrone, ‘o Lione

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Tarantellas in Berlin. It is almost an oxymoron, an apparent hazard: an ancestral dance recalling ancient rites and secret magic in the heart of one of the most modern and leading capital cities in Europe. Or rather something halfway between a bet and a philosophy of life. When in 1986 Francesco Campitelli left Potenza to go to Germany, he did not want to be considered a “migrant” but a “voluntary expatriate”. In fact, he did not take with him any nostalgia apart from his “export-size” “lucanity”: culture and roots to implant and introduce somewhere else. Because for him – who, today, in the German capital city, is a cultural operator, a university professor and a dj called Don Francisc’, and much more - journey is “a kind of metaphor of the path to conquer European metropolises by Mediterranean sounds and tarantella”. His bet is leading the Germans to dance to musical rhythms linked to transhumance, religious festivals, spells and popular beliefs. As a sign of his convictions, Campitelli has given his original


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contribution to the promotion of Lucanian culture. He founded the association named “Basilicata Berlin”, is the organizer of a Festival of Tarantella and one of the most active participants in the Carnival of multi-cultures. The association has been going for four years. “The lowest common denominator of its 50 or so members – Campitelli (who is also its president) says – is that we do not identify ourselves as “emigrants” but as “people interested in Basilicata”. In fact, its members are not only Italian but also German. The many activities carried out by the eclectic president are occasions for meeting and exchanges between two different cultures. There are the “thematic days against stereotypes and prejudices, very special courses of Italian based on an “unconventional” teaching method, and on Wednesdays the dancing evenings. And moreover, parties: “Tarantella trance party” or “Tarantella ballroom”. Thus a landmark in the Berlin cultural panorama. Also due to this, the association “Basilicata Berlin” col-

laborated, on 14th and 15th March last, to the organization of the “Festival of Mediterranean Music” of Berlin, an event that each year is dedicated to the different musical realities of Southern Europe. The protagonist of the 2008 edition was in fact Basilicata. The showcase, organized by the Basilicata Region and the Regional Committee of Lucanians abroad together with the Werkstatt der Kulturen (a cultural body of Berlin’s Senate for which Campitelli has been working as an advisor for a long time), contributed to introducing our region in its most particular aspects: the rites of “religious transhumance” celebrated by the lens of Leonardo Nella’s and shown in the exhibition “The magic mountain”. Then typical dishes, with tastings offered by a restaurateur of Lucanian origin. In addition, a lot of tarantella, with the Totarella from Pollino, the Tarumba from Tricarico and ‘o Lione with his group from Scafati. On the face of attendance, we can say that Germans liked it. And that Campitelli has won his bet with multiculturalism.

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... un crescendo di ritmi e melodie svelano la storia di miti e di leggende, di feste di corte e di folklore popolare: la storia della tarantella...

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BASILICATA IL “TARANTELLA TANZFESTIVAL” INCANTA BERLINO Il ritmo è frenetico. Lo è sempre più finchè la danza si fa quasi ipnotica. Mani e braccia disegnano lo spazio, le gambe come trascinate da una forza estranea. Incapaci di fermarsi. Infatti si arrendono ai tamburi e alle note d’una musica che pare arrivare dalla notte dei tempi. Come in trance si balla per ore. Giovani e meno giovani. Tedeschi, italiani, figli e nipoti di lucani che dei nonni non conoscono neppure la lingua. È il momento culminante del Tanzfestival dedicato alla Basilicata. Due giorni nella Werkstatt der Kulturen, (“Officina delle Culture”), ubicata nel quartiere di Neukölln. Un’antica fabbrica di birra, ristrutturata più volte nel corso degli anni, che offre uno scenario davvero particolare e caratteristico anche perché è parte della storia della città. La manifestazione segue un suo percorso logico. Comincia con le “Identità sospese” del pittore lavellese Antonio Carretta: figlio di contadini, emigrato prima a Torino per studiare all’Accademia di Belle arti, e infine in Germania, dove decise di stabilirsi, i suoi paesaggi surreali che richiamano indifferentemente tanto il mondo rurale lucano quanto la campagna tedesca sono quelli di chi, come lui, sente di appartenere a due mondi nello stesso tempo. Si prosegue con le fotografie di Leonardo Nella e la sua “Montagna incantata” per arrivare, infine, alle due serate che vedono protagoniste musica, danza e gastronomia. Nell’aria odori della tradizione culinaria lucana: pasta di casa al ragù di carne, formaggi e salumi nostrani, pane casereccio. Li ha preparati Domenico Di Roma, proprietario del ristorante “il Pozzetto”, emigrato in Germania ormai trent’anni fa. E anche se siamo in una fabbrica di birra in mano tutti hanno non il solito boccale ma un bicchiere di buon Aglianico. Quando la prima sera nella discoteca della Werkstatt comincia a echeggiare la musica popolare, il contrasto con un luogo normalmente abitato da altre sonorità disorienta. Poi ai partecipanti vengono distribuite le nacchere della tradizione napoletana, le tipiche “castagnette” e sulle selezioni musicali di Campitelli, alias dj “don Francisc’ ”, ballano tutti. I lucani di terza o di quarta generazione, semmai nati da matrimoni misti, che ignorano o quasi le proprie origini, attraverso la musica trovano un filo che li riannoda alle proprie radici; i berlinesi si fanno affascinare curiosi dai ritmi arcaici della tarantella tradizionale (non è un caso che la maggior parte degli iscritti alla scuola di tarantella di Campitelli siano tedeschi). Tra i più infaticabili danzatori, i Presidenti e soci delle nove Associazioni lucane operanti in Germania invitati al Festival. Il 15 è la volta di tamburi, tammorre, zampogne, organetti e ciaramelle dal vivo. Per entrare nell’atmosfera viene proiettato il film di Salvatore Raiola “Voci del popolo contadino” che racconta per immagini, musica e voci il lavoro di ricerca condotto dallo stesso regista e da Antonio Matrone, O’ Lione, per riportare a galla una cultura del passato di cui si stanno perdendo le tracce. Il racconto è svolto da quelle che possono essere considerate le “ultime voci” della musica popolare e contadina dei paesi dell’area del Vesuvio, il cui elemento costante e distintivo è la Tammurriata. È infatti la “tammorra”, tamburo tipico di quella zona, lo strumento che suonano dal vivo O’ Lione e la sua Paranza, proponendo Tammurriate dell’Agro-Nocerino. Seduti rimangono in pochissimi: i più non oppongono resistenza, anzi lasciano che i movimenti del loro corpo siano imposti dalla musica. E continuano a ballare sulla pizzica sempre più ripetitiva e ipnotica dei Tarumba, gruppo di Tricarico guidato da Pietro Cirillo, e sulla tarantella e i ritmi pastorali dei Totarella dal Pollino, artisti lucani e calabresi (alcuni costruttori di strumenti tradizionali), che prendono il loro nome dal termine popolare della “ciaramella”. Berlinesi, lucani emigrati in Germania anni fa, giovani lucani e italiani espatriati per lavoro o per studio, insieme coinvolti da una musica che unisce e fa incontrare culture diverse e diverse generazioni. Un modo per riproporre una cultura antica non in termini nostalgici, ma con una propria dignità, capace di trovare un proprio spazio sulla scena musicale e culturale della metropoli tedesca. �(Marilina Renda)

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La montagna fatata AVIGLIANO, VIGGIANO, PIGNOLA, CALVELLO, LAGONEGRO. UN ITINERARIO DI FESTE RELIGIOSE DEDICATE ALLA MADONNA INTERPRETATO DA LEONARDO NELLA. CON UN SAPIENTE USO DEL BIANCO E NERO, IL FOTOGRAFO SI È SOFFERMATO SUL SENSO DELLA FESTA E DELLA PARTECIPAZIONE CHE È FATICA, RIFLESSIONE, EMOZIONE. UNA RICERCA CHE METTE IN EVIDENZA IL SACRO E IL PROFANO, MA ANCHE IL SENSO MAGICO DELLA MUSICA CON LO ZAMPOGNARO, IL SUONATORE DI AULÓS E LA BANDA. UN OMAGGIO ALL’ARTE DEI SUONI CHE BEN SI È INSERITO ALL’INTERNO DELLA TANZFESTIVAL ROBERTO MUTTI 46

Non è facile realizzare un reportage sulle tradizioni popolari. Se da un lato, infatti, si rischia scivolare verso la pericolosa dimensione del folcloristico, dall’altro si sente come inevitabile il confronto con modelli di riferimento molto forti come sono state, solo per citare le più note, le ricerche realizzate da Franco Pinna al seguito delle spedizioni antropologiche di Ernesto De Martino, le indagini sui riti di Marialba Russo o quel grandissimo contributo che ancora oggi è “Feste religiose in Sicilia” di Ferdinando Scianna. Eppure, guardando questo bel lavoro di Leonardo Nella, si ha la netta sensazione che il fotografo abbia saputo trovare una sua strada personale e originale. “La Montagna Fatata”, infatti, è un ampio reportage che indaga con intelligenza sulle feste religiose che si svolgono ad Avigliano sul Monte Carmine, Viggiano, Pignola, Calvello sul Monte Saraceno, Lagonegro e sul Monte Sirino. Sono tutte località del potentino dove si svolgono annualmente processioni che portano statue della Madonna in un percorso tor-


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tuoso che attraversa le montagne seguendo la strada ben nota ai pastori. Già l’uso del bianconero indica la volontà del fotografo di non soffermarsi eccessivamente sugli aspetti più spettacolari di questi avvenimenti (come sarebbe risultato da un ricorso al colore) per scegliere la strada più attenta e sommessa dell’evocazione. È, infatti, evidente la funzione apotropaica di queste manifestazioni già note alle antiche civiltà che portavano in processione la divinità perché il suo occhio benefico aiutasse la crescita di un buon raccolto. Lo facevano gli Egizi con il loro faraone (dal verbo “farao”, inseminare) e i Greci che usavano portare delle sculture di forma fallica mentre i marinai per la stessa ragione dipingevano grandi occhi sulle prue delle navi per ingraziarsi la benevolenza degli spiriti marini. È a queste antiche radici – visto che non bisogna mai dimenticare che siamo pur sempre in Magna Grecia – che �

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� Nella si rifà quando si avvicina a queste manifestazioni dove si mescolano il senso della festa e quello della partecipazione dove tutto viene messo in comune, la fatica e la gioia, la riflessione e l’emozione, il sacro e il profano in una sintesi sorprendentemente armonica. La tradizione sopravvive ben oltre l’occasione perché la transumanza delle mandrie verso i pascoli di montagna – che è l’occasione di queste processioni – da tempo non c’è più, per lo meno nella stessa misura di un tempo, mentre è anche cambiata la struttura sociale che l’ha prodotta. Da una società di cultura pastorale e agro-pastorale si è ormai arrivati direttamente a quella postindustriale ma il richiamo comune alle antiche radici si fa ancora sentire, ancorché vissuto in modi diversi a seconda della personale sensibilità dei partecipanti. Questa è la ragione per cui questi ultimi non sono quasi mai folla anonima ma un insieme di persone che il fotografo coglie nella singolarità dei gesti: la ragazzina seduta sulle scale, i portatori tesi nello sforzo del trascinare l’edicola contenente la statua della Madonna, la donna che accarezza lo stendardo ricamato, l’uomo ripreso di spalle mentre osserva le sagome sacre all’interno di un portone in attesa della partenza della processione e quello che con grande delicatezza veste la statua infilando anelli nelle sue dita. E poi, certo, c’è la folla attraversata da una sua vitalità. La vediamo snodarsi sui crinali delle montagne, evidenziarsi nei

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“La Montagna Fatata” (The Magic Mountain) by Leonardo Nella is a wide report which intelligently investigates the religious feasts taking place in Avigliano on Mount Carmine, Viggiano, Pignola, Calvello on Mount Saraceno, Lagonegro and on Mount Sirino. These are all places around Potenza where every year they have a procession in which a statue of the Virgin Mary is carried along a winding path across the mountain, following a track that shepherds know well. The use of black and white itself shows the photographer’s will to avoid dwelling too much on the most amazing aspects of these events (as it would be through colour), instead choosing the most careful and subdued path of evocation. In fact, we can clearly see the apothropaic function of these celebrations already known to ancient civilizations who carried the divinity in a procession to have her cast a charitable eye over the countryside to help the growth of a good harvest. Nella harks back to these ancient roots – since we must never forget that we are nevertheless in Magna Grecia – when he approaches these celebrations where the sense of feast and participation mix with each other, where everything is shared, weariness and joy, thought and emotion, the sacred and profane, in a surprisingly harmonic synthesis. The photographer captures the people’s participation in the singularity of their gestures: the young girl sitting on the stairs,


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BASILICATA controluce, salire fino a disegnare il serpeggiante alternarsi delle curve, farsi sottile sullo sfondo del cielo, ingrandirsi in una fiumana che anima i sentieri. Il senso del magico attraversa tutto il lavoro caratterizzato anche per il richiamo alla musica che qui svolge un ruolo assolutamente fondamentale. Lo si coglie nelle immagini dove appaiono i musicisti come lo zampognaro che suona il suo strumento davanti a una casa e quello che, in primo piano, si protende verso chi osserva e ricorda il suonatore di aulós (uno strumento a fiato in corno o legno) che accompagnava l’antica tragedia greca calcando la scena accanto agli attori. Così dobbiamo immaginare le processioni, sempre accompagnate da una “colonna sonora”: quella delle grida di accompagnamento degli sforzi comuni, dei bisbigli delle preghiere con i loro picchi e le loro corali ripetizioni, quella stessa della musica con le fisarmoniche (antico strumento contadino nato senza tastiera), i tamburi e, appunto, le cornamuse. Oggi magari c’è la banda che, essendo una forzatura modernista, non ottiene le stesse atmosfere ma qui è Leonardo Nella a intervenire con la delicatezza delle sue immagini che scrutano nella nebbia da cui emergono appena i bassotuba la cui forma antica è ancora una volta lì a farci ragionare sulla forza antica del rito e sulla capacità della fotografia di evocarlo. �

the bearers tensed under the strain of hauling the shrine containing the statue of the Virgin Mary, the woman caressing the embroidered standard, the man, shot from behind, watching the holy silhouettes waiting for the departure of the procession from a doorway and who with extreme finesse dresses the statue and places rings on its fingers. Then there is the crowd traversed by its own vitality. We can see it snaking along the crests of the mountains, highlighted against the light, going up till drawing the winding alternation of bends, becoming thin against the background of sky, widening in a stream that enlivens the paths. A sense of the magical crosses the entire work, also characterized by the appeal of music which here plays an absolutely crucial role. We get it from the images portraying musicians such as the piper who plays his instrument in front of a house and the one who, to the fore, leans out towards the observers and recalls the player of aulós (a horn or wooden wind instrument) who accompanied the ancient Greek tragedies, treading the boards along with the actors. And it is also this homage to music that induced Campitelli to include this exhibition in the Berlin event. Photos and music, extremely reminiscent of cultural aspects which were magically gathered together, atmospheres and sounds which were able to ravish the Germans.

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Al “Pozzetto”, i sapori della memoria DOMENICO DI ROMA, DA TRENT’ANNI, NELLA CAPITALE TEDESCA, CON IL SUO RISTORANTE-PIZZERIA-TAVOLA CALDA FA ASSOPORARE AI BERLINESI I GUSTI DELLA SUA TERRA. PEPERONI, SALSICCE, PASTA DI CASA AL RAGU’. HA COMINCIATO COME RAGAZZo DI FATICA, MA GIA’ SAPEVA DOVE VOLEVA ARRIVARE. AI SUOI CLIENTI PIU’ AFFEZIONATI SUGGERISCE: “ANDATE AD ABRIOLA E CHIEDETE DI ME...”

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“Quando sei nella piazza di Abriola dì al primo che passa che mi conosci e vedrai...”. Domenico di Roma, 52 anni di cui 30 spesi a Berlino, proprietario del ristorante “il Pozzetto”, ha esortato così uno dei suoi affezionati clienti tedeschi recatosi in viaggio in Basilicata. “E i miei paesani davvero gli hanno offerto il caffè, lo hanno invitato a pranzo! Il mio cliente non poteva credere alle sue orecchie!”. Anche in questa maniera si può fare promozione turistica. Come si è fatta al Tanzfestival dedicato alla Basilicata il marzo scorso, quando Di Roma ha allestito il buffet con alcuni dei piatti tipici della tradizione culinaria lucana. A base di formaggi, salsiccia, soppressata, pane nostrano. Sapori che si sono fatti apprezzare dai visitatori della Werkstatt der Kulturen, tedeschi e oriundi italiani, figli e nipoti di emigrati come lui. “Arrivai qui che avevo 22 anni, ero arrivato da solo per un periodo di ferie e decisi di rimanere. Senza sapere una parola di tedesco”. All’inizio si adatta a fare di tutto, ma Domenico ha in mente un obiettivo preciso: aprire un ristorante. Perciò compie tutti i passi in quella direzione, con metodo e lungimiranza: lavora come lavapiatti, garzone, pizzaiolo. “Per capire come funzionava un ristorante, per poterne gestire uno mio in ogni aspetto. Per essere in grado di dire ai dipendenti cosa volevo da loro”. Mentalità imprenditoriale, lui che da piccolo faceva il pastore. Arriva così il primo locale, poi il trasferimento nel ‘93 in un quartiere più centrale di Berlino, zona di uffici. Il “Pozzetto”, appunto. Ottanta posti, conduzione familiare: lui, il fratello e la sorella. “Da poco ci ha raggiunti mia mamma, �


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� che è rimasta sola. Anche lei dà una mano, prepara la pasta fatta in casa”. Nella grande cucina colori e sapori che vengono dalla terra natìa, il rosso soprattutto, quello dei pomodori, dei peperoni cruschi appesi ovunque, della salsiccia. Ai tedeschi che affollano la sala e che spesso la prenotano per meeting o feste, Di Roma propone infatti principalmente piatti lucani. Fusilli e strascinati con salsiccia o cime di rapa, gli immancabili peperoni, pancetta. Qualche volta ha “azzardato” sapori forti, di quelli che vengono da una cultura contadina antica e che oggi si dicono “per intenditori”, come il “cutturiedd’” a base di pecora. Specialità che richiede però una comitiva numerosa e pronta a sperimentare. Più facile da proporre l’arrosto di capretto al forno. Ma i capretti, ammette, sono quelli francesi. E anche la salsiccia la fa lui ma con carne tedesca. “Farla arrivare dall’Italia non sarebbe economico”. Dalla Basilicata arrivano invece gli altri ingredienti: i peperoni secchi da un’azienda di Banzi, e il finocchio. Lui e la sua famiglia li lavorano secondo una antica ricetta del loro paese e ne fanno una salsiccia piccante che servono al sugo o arrostita. Ai tedeschi piace molto, assicura Domenico. Ne mangiano anche quando consumano il loro pranzo veloce nella pausa dal lavoro. I Di Roma, infatti, hanno differenziato. Accanto al locale “storico” hanno aperto una salumeria rosticceria, dove si possono fare pasti veloci o ordinare una pizza. Per una cena si spendono tra i 25 e i 30 euro. Compreso il vino, precisa. Ma il vento della crisi economica si sente anche qui a Berlino. “Se prima aprivamo alle 16, oggi dobbiamo anticipare alle 12 e tirare fino alle 24 per riuscire a fare più o meno gli stessi incassi ma con più spese”. Gli chiediamo se ha qualche consiglio in tema di promozione e lui ci risponde che basta poco in fondo per far conoscere posti e tradizioni. “Un’idea, ad esempio, potrebbe essere quella di utilizzare, durante le manifestazioni fieristiche tovagliette di carta per il pranzo con su stampata la mappa della regione”. Domenico Di Roma la sua parte sente di farla. Con i piatti tipici che serve in tavola. Con l’invito a visitare la sua terra che rivolge agli avventori più affezionati; e con l’assicurazione che facendo il suo nome nella piazza del paese, i suoi conterranei metteranno a disposizione tutta l’ospitalità di cui i lucani sono capaci. �

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Domenico Di Roma, 52 years old, 30 of which have been spent in Berlin, is the owner of the restaurant “il Pozzetto”. Eighty seats and family run: he, his brother and his sister. “My mother reached us some time ago, when she widowed. She helps as well, making home made pasta, for example”. In their kitchen you can see the colors of ingredients from his land, above all red: tomatoes, cruschi peppers hanging everywhere, sausages. In fact, the Germans who crowd the dining hall and often book it for meetings and parties are mainly offered Lucanian dishes by Mr. Di Roma. Fusilli and strascinati with sausages or turnip tops, the unfailing peppers, and bacon. Sometimes he “risks” strong flavours, those from an ancient country culture which today are “for connoisseurs”, like the “cut-

turiedd” with sheep’s meat. This speciality requires a numerous group available for experiments. It is easier to suggest the oven roasted kid. But kids, he admits, are French. And also the sausage he produces is made with German meat. “Getting it from Italy would be too expensive”. While the other ingredients come from Basilicata: the dried peppers and fennel from a farm in Banzi. He and his family work them according to an ancient recipe from their village and they make a hot sausage that they serve with sauce or roasted. The Germans like it a lot, Domenico guarantees. They eat it also at midday, when they have their quick meal during their lunch break. In fact, the Di Romas have differentiated. Next to their “historical” restaurant, they have opened a delicatessen/rotisserie where clients can eat quick meals

or order a pizza. A dinner costs between 25 and 30 Euros. Wine included, he specifies. But the wind of economic crisis is also felt here in Berlin. “In the past we used to open at 4 p.m., now we have to open earlier, at 12, and work until midnight to have the same takings but with more expenses”. A regret? “Few people know where Basilicata is. It could be useful to distribute some paper placemats with the map of the region during fairs!” Domenico Di Roma feels he is doing his part. Through the typical dishes he offers and through the invitation to visit his homeland which he proposes to his most devoted clients, with the guarantee that by mentioning his name in the square of his village his fellow countrymen would put at their disposal all the hospitality Lucanians are able to offer.

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GIOVANNI MARINO

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QUELL’ORO BIANCO CHIAMATO LATTE UNA MATERIA PRIMA DI ALTA QUALITÀ CHE IN BASILICATA VIENE TRASFORMATA FIN DALLA NOTTE DEI TEMPI. LA PRODUZIONE LATTIERO CASEARIA COPRE L’INTERO TERRITORIO REGIONALE. SONO 128 I CASEIFICI LUCANI. E SU 74.514 AZIENDE AGRICOLE BEN IL 24,8 PER CENTO PRATICA ALLEVAMENTO DI BESTIAME: OVINI PRIMA DI TUTTO. POI CAPRINI E BOVINI. ULTIMAMENTE SI SPERIMENTA ANCHE LA PRODUZIONE DI LATTE DI BUFALA. E D’ASINA. UN SEGMENTO CHE SI GIOCA LE SUE CARTE CON IMPORTANTI TIPICITÀ. MA CHE REGISTRA ANCHE OMBRE. UNA CONGIUNTURA CHE SOMMA FATTORI GLOBALI A ELEMENTI DI CONNOTAZIONE LOCALE. SCARSA INNOVAZIONE TECNOLOGICA, IL 50 PER CENTO DEL LATTE ESPORTATO FUORI REGIONE, LE AZIENDE PIÙ PICCOLE IN AFFANNO. IN QUESTO SPECIALE, LE AZIONI DELLA REGIONE, LE PROPOSTE DELLE ORGANIZZAZIONI PROFESSIONALI, LE ESPERIENZE DIRETTE DEGLI OPERATORI DEL SETTORE

ANGELA PINO

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Anche gli scavi archeologici lo confermano: l’attività pastorale, in Basilicata, fissa le sue origini all’età del Ferro, mentre risalgono al VII secolo a.C. i primi caseifici, introdotti dai coloni greci. Nasce così la produzione casearia lucana, basata su una storia di pascoli naturali e transumanza, e alimentata dalla vocazione per il lavoro di latte ovi-caprino e bovino. Intatta, oggi come allora. Al 2005, sono 128 i caseifici lucani e la gran parte di essi lavora tipologie diverse di latte: dall’ovino al caprino, fino a quello bovino e bufalino. Dunque l’attività casearia si concentra per il 70 per cento nella provincia del capoluogo di regione. In Basilicata le industrie lattiero casearie sono per lo più a conduzione familiare. Come familiare è l’ambiente in cui sorgono e si organizzano, complice il lavoro costante e certosino, senza il quale non potrebbe esistere uno dei prodotti più antichi del mondo, di cui si narrano storie e leggende. Già i greci parlavano di “formos”, da cui “formaggio”, per indicare il paniere che dava forma, appunto, al latte cagliato in esso riposto, ma in una leggenda ancor più antica pare si faccia cenno all’origine casuale dell’alimento. Si racconta, infatti, che un mercante arabo, dovendo attraversare il deserto, decise di portare con sé, come nutrimento, del latte fresco contenuto in una bisaccia di stomaco di pecora. Il liquido, per il caldo, o per il movimento, complici gli enzimi presenti nella bisaccia, si acidificò e coagulò, diventando formaggio. Non è leggenda invece che le aziende lucane mantengono intatto nel tempo il senso della genuinità di ciò che producono: ingrediente indispensabile per una sana competizione. La stessa che spinge gli allevatori ad investire in strutture, migliorare la capacità di gestione aziendale, aumentare il numero medio di capi. Attraverso questo viaggio nel bianco mondo lucano si è scoperto (dati Inea Istituto nazionale di economia agraria - Basilicata, relativi al 2003, su base Istat Istituto nazionale di Statistica), che le aziende agricole lucane sono 74.514. Dall’ultimo censimento dell’agricoltura del 2000 (che ne contava 81.922), è evidente, però,


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ENZO EPIFANIA / Altrimedia

la riduzione del numero di aziende in produzione, contro l’aumento, invece, delle dimensioni medie aziendali e della normale produzione di latte per allevamento, che favorisce la produzione del formaggio stesso. In regione praticano l’allevamento del bestiame 20.306 aziende agricole, pari al 24,8 per cento del totale (Censimento 2000). A guidare la top ten del settore sono gli allevamenti ovini con oltre 335mila capi, per lo più in provincia di Potenza, seguono i 97mila caprini. Spesso, si tratta di allevamenti misti, le aziende hanno dimensioni medio piccole, produzioni lattiere non elevate, e confermano la tendenza alla conduzione familiare. E, a sfogliare i risultati del progetto Interreg “T-CheeseMed”, si evince come la maggior parte di queste imprese e dei capi in esse allevati si concentrino proprio nell’area di produzione del Pecorino di Filiano e del Canestrato di Moliterno: alcuni tra i formaggi più ricercati del Sud Italia. Particolarmente apprezzato il sapore del Pecorino di Filiano DOP, formaggio a pasta dura che prende il nome dal comune in cui viene prodotto, ottenuto con latte di animali allevati al pascolo, nella incontaminata fascia appenninica che, dal Monte Vulture, si estende fino al Monte Li Foy, e alla Montagna Grande di Muro Lucano. Questo pecorino è stagionato in caratteristiche grotte naturali che ne sottolineano le peculiarità organolettiche, e ne esaltano il gusto, ora salato ora dolce, ora amaro ora piccante. Comincia nel ‘700 l’attività attorno al “Canestrato di Moliterno” e il toponimo Moliterno deriva proprio dal “mulcternum”, il luogo di mungitura delle greggi. Il formaggio fresco veniva posto nel “fondaco”, apposito locale di stagionatura, da cui l’origine della denominazione per intero di “Canestrato di Moliterno Stagionato in Fondaco”. In quei luoghi chiusi ancora oggi si assiste all’evoluzione del sapore del formaggio a pasta dura uniforme, forte ed aromatico. Il cammino lungo il sentiero della qualità casearia lucana porta, poi, ai 78mila capi di bovini lucani, la cui produzione di latte, secondo il Dipartimento regionale agricoltura, Sviluppo rurale, Economia montana, si concentra nelle aree di Marmo Melandro e Bradano, Val D’Agri, Materano e Metapontino. �

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� È qui che si trovano allevamenti condotti secondo moderni criteri zootecnici, con requisiti e potenzialità in grado di sfidare la più dura concorrenza. D’altronde, la loro capacità produttiva ha compensato la rigida contrazione di allevamenti degli ultimi dieci anni, conservando i livelli produttivi totali del bacino lucano. Un dato interessante è quello che stima i flussi di latte a livello regionale, evidenziando che la Basilicata esporta circa la metà del suo prodotto nelle regioni limitrofe di Puglia e Campania. È il “signore” del formaggio a latte vaccino, arrotolato su se stesso fino a raggiungere, a volte, il metro di lunghezza, il treccione, che prende il nome dalla sua forma. Prodotto tutto l’anno a livello regionale, è a pasta dura, saporito. La copertura del “manto” di pasta filata intorno alla massa di burro, poi, dà il nome alla Manteca, o Burrino, gustoso formaggio farcito, a forma di pera, a doppia struttura, interna ed esterna, ottenuto da latte vaccino. Proviene dai pascoli dell’Appennino lucano il “latte podolico”, munto da mucche allevate allo stato brado, destinato soprattutto alla trasformazione aziendale per la produzione del più noto caciocavallo. Tra i più antichi formaggi del sud, troneggia il tipo Silano DOP, a pasta filata e dalle varie forme, sia dolce sia piccante, a seconda della stagionatura. È degli ultimi anni, in terra lucana, anche la produzione di latte bufalino, un settore che, per quanto non registri un peso economico rilevante - gran parte del latte viene esportato fuori regione - si difende con i suoi 1.540 capi (erano 547 al tempo dell’ultimo censimento). Oggi, sono 31 gli allevamenti di bufala registrati presso

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la Banca dati regionale: la maggior parte nella provincia di Potenza (17), collocati in agro di Venosa, Lavello e in Val D’Agri; nella provincia di Matera il bestiame bufalino (14) padroneggia nelle campagne di Scanzano Jonico. Utilizzato per curare allergie alimentari dei neonati e nella cosmesi c’è, poi, il latte di asina. Un tipo di allevamento assolutamente limitato in regione, se si pensa che, attualmente, l’unico in attività – con una cinquantina di capi – produce venti litri di latte al giorno, in futuro, chissà. C’è la molteplicità nell’arte lattiero casearia lucana: latte diverso a seconda dei diversi animali, dei luoghi in cui sono allevati, degli alimenti che li nutrono. Ma tutto è racchiuso in una naturale costante: l’innata passione. �

Even archeological excavations confirm it: pastoral activity in Basilicata dates back to the Iron Age, while the first dairies were introduced by Greek settlers in the 7th century B.C. Lucanian dairy production originated in this way, made up of natural pastures and transhumance and fed by the vocation for working sheep’s, goat’s and cow’s milk. In 2005, there were 128 Lucanian dairies and most of them processing different types of milk: from sheep’s and goat’s, to cow’s and buffalo’s. And, out of 109 of those dairies, 74 are in the province of Potenza and 35 in that of Matera. But 70% of dairy activity is concentrated in the province of the capital town. Dairy farms are mostly family run and familiar is also the environment where they are, with the help of constant and meticulous work. Greeks spoke of “formos”, from which comes “formaggio” (translator’s note: cheese), to indicate the basket which gave the shape to the curdled milk, but a legend seems to anticipate the production steps of this food. They say that an Arab merchant travelling in the desert decided to take with him, as food, some fresh milk contained in a pannier made from a sheep’s stomach. Due to high temperatures, or to movement, the liquid acidified and curdled, thus becoming cheese. On the contrary, it is not a legend that Lucanian farms keep intact in time the sense of genuineness of what they produce: the indispensable ingredient for healthy competition. Through this journey in the Lucanian “white world” we discovered that there are 74,514 Lucanian farms, 20,306 of them dealing with livestock breeding. Most of them are sheep farms, with more than 335,000 heads, then goat farms with 97,000 heads. They are often mixed breeding farms. The greatest number of sheep and goat farms is concentrated in the area where two of the most valued cheeses of Southern Italy are made, the Pecorino di Filiano and Canestrato di Moliterno. The flavour of the Pecorino di Filiano PDO is extremely appreciated; this hard cheese takes its name from the town where it is made and is produced with milk from grazing animals, in the Apennines area that, from Mount Vulture, extends up to Mount Li Foi and Montagna Grande of Muro Lucano. This pecorino cheese is matured in natural caves which highlight its organoleptic properties and exalt its taste, sometimes sweet sometimes salty, sometimes bitter sometimes spicy. The activity around the “Canestrato di Moliterno” started in the 18th century and the name Moliterno comes from “Mulcternum”, the place where herds were milked. The fresh cheese was put in the “fondaco”, a special place dedicated to maturing, which gave the complete name of the “Canestrato di Moliterno Stagionato in Fondaco” (translator’s note: Seasoned in Fondaco”); it is a hard cheese with a strong and aromatic taste. Moreover, Lucanian cattle is made up of 78,000 heads whose milk production is concentrated in the areas around the rivers Marmo Melandro and Bradano, in Val d’Agri, and the areas of Matera and Metaponto, where breeding farms are run according to modern zootechnic criteria. On the other hand, their productive capacity has compensated the strict contraction of breeding farms over the last ten years, by keeping the total productive levels of the Lucanian basin. The “lord” of cow’s milk cheese is the treccione (big plait), rolled up sometimes to one metre long, which takes its name from its shape. This tasty hard cheese is produced in the whole region throughout the year. Cow’s milk is also used to make the tasty pearshaped stuffed cheese with a double structure, external and internal: the Manteca. The breeding farms of the Lucanian Apennines give “podolic milk”, milked from cows bred in the wild and used to make the famous caciocavallo cheese.

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LE STRATEGIE A SOSTEGNO DEL SETTORE SANITÀ E BENESSERE DELL’ANIMALE: CONDIZIONI ESSENZIALI PER PRODURRE ALIMENTI DA DESTINARE AL CONSUMO. E SU CUI HA INVESTITO LA REGIONE BASILICATA. ASSISTENZA AL MIGLIORAMENTO DELLE CARNI E CONSULENZA SULL’ALIMENTAZIONE. SELEZIONE E PERFEZIONAMENTO GENETICO PER PRESERVARE LA BIODIVERSITÀ. OBIETTIVO: PROMUOVERE E SOSTENERE LA COMPETITIVITÀ DELLE IMPRESE ZOOTECNICHE PUNTANDO SULLA QUALITÀ. PER SUPERARE LE FORTI CONTRADDIZIONI CHE MINACCIANO L’EVOLUZIONE FUTURA D’UN SETTORE CHE STA ALLA BASE DELLO SVILUPPO ECONOMICO DELLA BASILICATA

MARIA ANTONIETTA SOLDOVIERI

Il comparto lattiero caseario ha un ruolo strategico per l’agroalimentare italiano. In Basilicata si tratta del settore che, più di tutti, ha una diffusione tale da abbracciare l’intera regione. Non c’è zona, infatti, che non abbia le sue tipicità. Ogni prodotto porta con sé tutte le caratteristiche del territorio, dei pascoli e della flora con cui gli animali vengono a contatto. Un settore che, però, non rimane immune da problemi, non solo di ordine economico e commerciale, ma anche ecologico, sanitario e di benessere umano e animale. A livello regionale, in linea con quanto avviene a livello nazionale, prosegue la marcata riduzione del numero di aziende in produzione, mentre aumentano le dimensioni medie aziendali e la produzione media di latte per allevamento. A farne le spese sono le realtà più piccole, che non sanno come reagire alle mutevoli condizioni di mercato. I dati aggiornati al 31 dicembre 2006, confermano la tendenza all’abbandono della pratica zootecnica da parte di un gran numero di aziende. Pur tuttavia, la risposta di ciascuna di esse ai mutamenti in corso, è diversa a seconda dei settori. Il comparto dei bovini da latte, ad esempio, è attraversato da un profondo processo di innovazione, dimostrando buone capacità di adeguamento. Gli allevatori hanno investito in strutture, acquisto di quote latte, selezione e miglioramento genetico, hanno potenziato le capacità di gestione aziendale, oltre che aumentato il numero medio di capi per aziende e la produzione media per azienda. Con riguardo alla forma di conduzione, tra le aziende con capi da latte, si riscontra prevalentemente la gestione diretta del coltivatore. In Basilicata, quella di tipo familiare, rimane una caratteristica strutturale. Si parla del 90,9 per cento. Un’arma a doppio taglio per l’evolversi dell’economia lucana. Se da un lato, infatti, questo tipo di conduzione potrebbe condizionare uno sviluppo societario più avanzato delle aziende, dall’altro la presenza delle famiglie preserva il territorio dal rischio di spopolamento, favorendo le politiche di sviluppo rurale. Il profilo che emerge dalla zootecnia regionale evidenzia la presenza di forti contraddizioni interne e soprattutto di minacce per l’evoluzione futura. Vista la complessità di questi aspetti, tra le autorità competenti è sorta l’esigenza di dotarsi di strumenti efficaci tali da delineare strategie comuni per imprimere una spinta propulsiva all’intera filiera. Tali azioni, che vedono protagonisti proprio gli operatori del settore, sono ben definite nel Piano di Sviluppo Rurale (PSR) 2007-2013. Due le misure previste, una tesa all’accrescimento del valore aggiunto dei prodotti agricoli, l’altra rivolta all’ammodernamento delle aziende. Si richiede, innanzitutto, innovazione tecnologica, e stando alle ultime ricerche, l’informatizzazione aziendale è uno dei punti dolenti. Hanno il computer aziendale il 4,2 per cento delle imprese �

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� e utilizzano internet solo l’1,8 per cento. Tra gli elementi di criticità, non si può ignorare un delicato fattore di rischio; le cronache degli ultimi tempi ci dimostrano come, in Europa, il lavoro nel settore agricolo sia quello più colpito da un’elevata incidenza di infortuni, spesso mortali, e malattie professionali. L’obiettivo deve essere, dunque, quello di una maggiore sicurezza sul lavoro in zootecnia. Altro punto su cui si focalizza l’attenzione è la presenza sui mercati esterni alla Basilicata. Facendo una stima sui flussi di latte, si evidenzia che circa il 50 per cento del prodotto lucano, in particolare quello di alta qualità, va fuori regione, ritirato in particolare da acquirenti pugliesi e campani. Bisogna dunque, fare leva sulle capacità imprenditoriali. Per il settore lattiero-caseario lucano, la parola d’ordine è: mettersi in gioco e aprirsi in modo intraprendente alla dialettica competitiva. È su questa linea di pensiero che si basa uno dei principali obiettivi della Regione: promuovere e sostenere la competitività delle imprese zootecniche attraverso una politica di qualità. Come? Appoggiando il rafforzamento e la formazione delle filiere complete, affinché garantiscano un giusto guadagno ai produttori, creino posti di lavoro, promuovano il territorio lucano. Ad assumere una rilevanza generale è la sanità e il benessere animale. Due punti che costituiscono la condizione essenziale per produrre alimenti da destinare al consumo umano. La Regione Basilicata, da diversi anni, sostiene azioni finalizzate a migliorare lo stato sanitario del bestiame allevato. Oggi, infatti, grazie all’attività capillare dei servizi veterinari pubblici e alla rete di assistenza tecnico-veterinaria delle APA (Associazioni Provinciali Allevatori), le aziende zootecniche lucane sono assistite nel difficile percorso della qualità del prodotto. Si punta, ad esempio, al miglioramento della carne e alla consulenza sull’alimentazione del bestiame. La selezione e il perfezionamento genetico è un’altra azione che il governo regionale vuole portare avanti in modo da preservare la biodiversità e gli equilibri ambientali. Al fine di raggiungere questi risultati, la selezione animale mediante la tenuta dei libri genealogici, dei registri anagrafici e l’espletamento dei controlli funzionali, il sostegno al mantenimento di riproduttori maschi e femmine di elevate qualità genetiche, sono solo alcuni compiti che la Regione intende sviluppare. I diversi fattori di debolezza insieme ai punti di forza, sono dunque sul tavolo del governo regionale per rilanciare un settore che sta alla base della crescita economica per la Basilicata. Il prossimo passo dovrà puntare su una maggiore promozione dei prodotti zootecnici con marchio di qualità lucana e su una maggiore partecipazione nello scenario internazionale. �

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Valorizzazione e promozione, i nuovi Orizzonti lucani Sicurezza e tracciabilità alimentare, valorizzazione e promozione commerciale. Sono queste le principali leve su cui la Regione Basilicata sta puntando per lo sviluppo del comparto lattiero-caseario lucano. Un comparto variegato e dalle significative potenzialità che necessita però di una visione non settoriale ma di sistema. Per assecondare, infatti, mutamenti e dinamiche che attraversano il mercato diventa indispensabile l’integrazione tra i diversi attori, fattori e ambiti (la sanità, le attività produttive, l’istruzione e formazione, l’ambiente) che concorrono a definire il comparto. Necessari il coordinamento delle azioni e delle iniziative per superare frammentarietà e disarticolazione della spesa e anche la presenza competitiva sul mercato nazionale e internazionale, nonché l’applicazione di innovazioni tecnologiche, il miglioramento dei servizi di assistenza tecnica, di consulenza aziendale e delle capacità imprenditoriali.

Altrettanto determinanti sono una maggiore attenzione agli aspetti sanitari, il sostegno ai territori montani svantaggiati e alle aree interne della regione e la salvaguardia dei livelli occupazionali. Nella prospettiva più ampia di un armonico sviluppo locale e nello specifico per il conseguimento di obiettivi distinti ma non separati, diversi sono stati gli interventi oggetto delle politiche regionali del settore. Ultimo in ordine di arrivo, la partecipazione al Progetto Interreg III B Archimed “T-Cheese-Med”. Protagonista dell’iniziativa comunitaria è l’allevatore–produttore di formaggi tradizionali che si trova ad operare in aree svantaggiate. Per sostenerlo e per valorizzare la filiera di formaggi storici tradizionali, il progetto si proponeva, mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici, di promuovere il commercio elettronico e di agevolare scambi di conoscenze, nell’area Mediterranea, tra soggetti pubblici, rappresentanti istituzionali e centri di ricerca e di controllo della qualità dei prodotti lattiero-caseari. Nell’ambito del progetto, che vedeva coinvolti 7 partners (3 italiani, 3 greci e 1 cipriota) con il coordinamento, in qualità di capofila, del Consorzio Ricerca Filiera Lattiero-Casearia di Ragusa (CoRFiLaC), la Regione Basilicata ha esaminato l’intera filiera locale di produzione dei �

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ARCHIVIO UFFICIO STAMPA

� formaggi ovi-caprini e, in particolare, il Pecorino di Filiano (formaggio ovino DOP), il Canestrato di Moliterno stagionato in Fondaco, il Cacioricotta e, in misura marginale, due sue varianti: il Casieddu e il Casiello. L’indagine è stata effettuata su 196 aziende produttrici di formaggi ovi-caprini e si è basata su visite aziendali, rilevazione delle generalità e di dati riguardanti il sistema di allevamento e di alimentazione, la tipologia e la modalità di produzione, le attrezzature impiegate, la conservazione e commercializzazione dei prodotti. Contestualmente alla somministrazione di questionari sono stati prelevati e sottoposti, poi, ad analisi chimico-fisica e sensoriale descrittiva, campioni delle tipologie di formaggi prodotti. Dalle attività realizzate si è delineata una fi-

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liera ovina e caprina tradizionale lucana in lento ma costante passaggio dalle forme “pastorali” a quelle “imprenditoriali” contraddistinta dall’impiego di nuove tecnologie ma anche da disorientamento e non sufficiente informazione dei produttori sulle normative europee igienico-sanitarie. Accanto all’aspetto sanitario e divulgativo, grande attenzione, inoltre, viene riservata alla promo-commercializzazione delle produzioni zootecniche regionali. Partendo dalla definizione “ORIgini Zootecniche Naturali Tipicamente Lucane” è stato creato un marchio ombrello “Orizzonti Lucani”. Il nuovo logo che racchiude le cinque filiere agroalimentari della Basilicata (vitivinicoltura, olivicoltura, cerealicoltura, ortofrutticoltura e zootecnia) è stato presentato nello scorso mese di settembre durante una tre-giorni enogastronomica svoltasi nel centro storico di Matera. “Orizzonti Lucani” nei prossimi mesi varcherà i confini regionali approdando in diverse città italiane per offrire un’immagine coordinata e integrata del food lucano. Il brand, intanto, che ha già incuriosito esperti e giornalisti provenienti dall’Europa e dal mondo arabo all’ultimo Festival del cinema di Venezia, strizza l’occhio anche a mercati internazionali. � (Laura Arcieri)


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The zootechnic sector is an important national reality and has considerable economic and social value. On the regional scale, in line with the national scale, the main background trends, which have been characterizing the sector over the last few years, are consolidating: the strong decrease in the number of producing farms continues, the average farm size increases, the average milk production per breeding increases. Dairy enterprises are facing a highly competitive market more and more often and this implies the need and urgency for modification in order to enable the farms themselves to face their competitors in an even way. On this basis, the regional government aims at certain strategic interventions in order to protect the sector and improve its ability to trade in the markets outside the region. One of the levers the regional government is thinking of is farm computerization. The introduction and widespread use of computer science in zootechnic farms is a crucial strategic action aimed at improving business management, winning marginality and favouring the link with the market and services. All the farms which join the regional programmes of technical assistance must be put into a data transmission network and receive steady IT consults. Furthermore, it is necessary to bet on entrepreneurial abilities, and more qualified services of technical assistance and consultation to farms. Among the weaknesses, we should not underestimate the climatic-environmental emergency. To this end, they talk of an adjustment of productive processes and breeding techniques, water and energy saving and technological innovation to reduce production costs. Also, food safety must be an absolute priority. They aim to support the implementation of self-control and production traceability systems. Another focus is the presence on the markets outside the region. If we evaluate milk flows, for example, we highlight that around 50% of Lucanian products, especially those of high quality, are destined for the market outside the region, bought mainly by purchasers from Apulia and Campania. Upon recognizing the still significant importance of this sector in the regional economy, the Lucanian government aims to revise its qualifications in order to better exploit its potential and aims to promote zootechnic products with a Lucanian quality brand.

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INTERPRETARE I CAMBIAMENTI PER DAR LINFA AL SETTORE ZOOTECNIA CON SEDE A BELLA. UNA REALTÀ CHE CON I SUOI STUDI POTREBBE AIUTARE I PRODUTTORI LUCANI A VALORIZZARE LE QUALITA’ ORGANOLETTICHE E NUTRIZIONALI DI LATTE E DERIVATI E A ORIENTARNE LE

“La capra e i caprini rappresentano la grande potenzialità inespressa del settore lattiero-caseario in Basilicata”. Ne è convinto Vincenzo Fedele, direttore dell’Unità di ricerca per la Zootecnia estensiva di Bella del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra). Il comparto caprino, che non esprime produzioni specifiche sul territorio lucano, invece, potrebbe avere interessanti sbocchi sul mercato, grazie anche alle particolari caratteristiche di un latte di prima qualità che si distingue per le caratteristiche organolettiche e le qualità nutrizionali. La produzione casearia che esprime la zootecnia lucana, e quella del Sud, invece, da decenni è statica. Due i grandi settori del comparto in Basilicata: da una parte caprini, ovini e vacca podolica nella collina e montagna lucana; dall’altra la vacca da latte, la “Frisona”, nei grandi allevamenti per la produzione in intensivo della Val d’Agri e del Marmo Platano. Piccoli produttori e un gran numero di aziende nel primo caso dove si è in presenza dell’allevatoretrasformatore che produce il latte ma che ha anche il caseificio. Nell’altro, poche aziende di produttori con molti capi di bestiame che vendono solo il latte. Quanto ai prodotti, il latte di pecora è usato soprattutto per produrre pecorini in un

mercato nazionale dominato da quello romano dove è difficile imporre anche le nostre eccellenze, quello di vacca è per lo più trasformato in pasta filante con prodotti (caciocavallo, provoloni, scamorze, fiordilatte) simili nel Paese. Il latte caprino, invece, tranne per la ricotta di capra, non ha una sua collocazione specifica, ma viene per lo più miscelato con latte di mucca o pecora. Con questo latte l’istituto di Bella ha realizzato una serie di prodotti sperimentali: il chiaro di luna, erborinati di capra, yogurt, caciotte al vino, al timo, robiole di capra, che ha lanciato con successo sul mercato del nord in boutique del formaggio. “Ma la cosa è finita lì, non è questo il compito di un ente nazionale di ricerca – spiega Fedele –. Abbiamo cercato di coinvolgere qualche produttore, ma hanno avuto paura di orientarsi su prodotti nuovi. Esistono pochi casari al Sud e fanno il formaggio secondo una tradizione che dura da secoli, ma non offre sbocchi sui mercati nazionali ed esteri, tranne per il caciocavallo podolico che si è affacciato al nord e qualche richiesta all’estero per il pecorino di Filiano, e in misura minore per il canestrato di Moliterno”. “È un mercato chiuso – continua Fedele – non riesce ad innovarsi e a produrre tipologie di formaggio adatte al gusto GIOVANNI MARINO

RAFFORZARE IL LEGAME FRA RICERCA, MONDO PRODUTTIVO E ISTITUZIONI È PIÙ CHE UN’ESIGENZA. LA CONSAPEVOLEZZA È FRUTTO DI UNA LUNGA ESPERIENZA MATURATA SUL CAMPO DALL’ISTITUTO PER LA

LUIGIA IERACE

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PRODUZIONI VERSO LAVORATI PIÙ APPETIBILI SUL MERCATO NAZIONALE ED ESTERO. ALTRETTANTO IMPORTANTE LA QUESTIONE DELLA PROMOZIONE. DECISAMENTE FONDAMENTALE È POI L’ASPETTO DELLA RICERCA

dei consumatori, che per l’80 per cento prediligono prodotti freschi, poco stagionati, cremosi, yogurt, mentre noi produciamo un surplus di paste filanti”. Non ci saranno prospettive di sviluppo se non si rinnovano prodotti e tecnologie di produzione. Indicazioni utili arrivano dall’attività di ricerca. Dagli studi sull’influenza che può avere il tipo di alimentazione dell’animale sulla qualità delle produzioni, è emerso che sarà un prodotto piatto, uguale in Val Padana o al Sud se l’animale è nutrito in stalla o con cibi conservati. Se l’alimentazione è a verde il prodotto finale si arricchisce di odori e sapori. Gli allevamenti su pascoli naturali in Basilicata sono oltre l’80 per cento e i pascoli lucani molto ricchi di varietà di piante (una media annua di 70 specie) garantiscono un latte e formaggio ricco di aromi che varia per le sue caratteristiche a seconda di territori. “Nelle aree dove prevalgono le graminacee – spiega Fedele – si avranno prodotti meno ricchi di sostanze aromatiche, in quelle dove dominano menta, timo, ranuncoli, malva, gerani, il latte o i formaggi saranno più profumati, con odori particolari, più o meno piacevoli”. Nelle aree montane la flora è più ricca, verso il litorale, anche per la carenza di pioggia, la flora tende ad impoverirsi.

Ma il prodotto finale varia anche con le stagioni. D’inverno gli animali avranno una dieta più povera, potendo scegliere tra 14-15 specie in un pascolo, a fronte di una varietà in estate, fino a 140 piante. “Nel complesso – continua Fedele – il latte d’estate ha molte più note aromatiche di quello prodotto nelle altre due stagioni; si differenzia, infatti, per le note di resinoso, agrumi, fruttato e menta, quello di inverno e primavera solo per le note di fieno e “gorgonzola”. La convinzione dei pastori che la qualità del formaggio dipende dalla stagione è così suffragata anche dalle ricerche scientifiche”. Territori, stagioni, ma anche tipologia del formaggio influiscono sui sapori. Così come la lavorazione, più si va verso la stagionatura più si attenuano le caratteristiche sensoriali presenti sul prodotto fresco. “La qualità chimico-aromatica – spiega Fedele – è misurata dagli strumenti di laboratorio, quella aromatica-sensoriale dagli strumenti di laboratorio e dai “neurotrasmettitori” degli assaggiatori, cioè dalle sensazioni percepite da chi odora e assaggia il prodotto”. Vi sono altre caratteristiche qualitative non valutabili dai nostri sensi, tra le quali quelle nutrizionali (vitamine, minerali, grassi, proteine) e di tipo salutistico (antiossidanti, CLA, omega-3). �

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ARCHIVIO UFFICIO STAMPA PUBLIFOTO OLYCOM SPA

� La scelta di un prodotto dipende dalla disponibilità e completezza dell’informazione. L’etichetta dei formaggi riporta gli ingredienti, sempre gli stessi: latte, caglio, sale, l’eventuale presenza di additivi, la data di scadenza, l’azienda produttrice. Le informazioni sulla qualità nutrizionale, se ci sono, si limitano a riportare le calorie e il contenuto in proteine e grassi, senza distinzione. E il consumatore finisce per orientarsi verso quelli pubblicizzati come “light”. Ma dal confronto di due formaggi lucani, uno prodotto da animali alimentati in stalla con foraggi secchi e mangimi commerciali, e l’altro da animali alimentati su pascoli naturali, è emerso che il primo aveva più acidi grassi saturi e meno insaturi rispetto a quello prodotto con il latte degli animali alimentati al pascolo, mentre il contenuto totale in grassi nel primo caso era più basso (40,3 per cento), nel secondo più alto (41,1 per cento). Riportando su etichetta solo il contenuto totale di grassi, la scelta si sarebbe indirizzata certo verso quello a più basso contenuto inducendo in errore il consumatore. Spesso si sottovalutata anche l’influenza dell’ambiente e, in particolare il livello di inquinamento, sulla sicurezza del prodotto. L’Istituto ha confrontato un allevamento in un’area

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a ridosso dell’Autostrada del Sole con due aziende lucane una a valle e una in montagna. Nel latte di quest’ultima sono stati riscontrati livelli di inquinamento per areni del benzene 65 volte minori e in quello dell’azienda a valle di circa 40 volte inferiore. Il salubre ambiente lucano garantisce allevamenti e prodotti più sicuri. Tutte informazioni che rimangono nel cassetto del ricercatore. “Istituzioni di ricerca e mondo produttivo, invece, – continua Fedele – dovrebbero camminare di pari passo su stimolo degli enti territoriali che da una parte devono saper valorizzare le qualità del prodotto e dall’altra attraverso programmi di ricerca, creare prodotti che il mercato conosce e richiede”. In pratica, però avviene che oggi il latte all’allevatore è pagato nello stesso modo solo sulla base di due parametri: proteine e grasso senza tener conto della qualità. Solo se il prodotto viene trasformato, valorizzato, ben pubblicizzato e presentato in maniera adeguata si può vendere a prezzi più alti e dare una remunerazione maggiore all’allevatore, incentivato così a investire sulla qualità. Un altro studio in corso a Bella riguarda la biodiversità animali e le razze autoctone dell’Italia meridionale con l’obiettivo di valorizzare il prodotto legandolo alla specie. Si intende evitare l’estinzione, facendo leva non solo sulla conservazione spesso troppo costosa, ma cercando di fare economia mettendo a punto produzioni casearie che siano le migliori per la qualità della materia prima che offre ogni singola razza. Le ricerche in Basilicata, in particolare, hanno interessato la pecora “Gentile” lucana, di derivazione pugliese, ma ormai radicata da secoli sul nostro territorio, specie a rischio di estinzione perché poco redditizia, dato che non produce molto latte. Prima, essendo di origine “Merinos”, aveva valore sul mercato anche per la lana. Venuto meno questo interesse, il suo utilizzo è limitato, una minima parte di latte di “Gentile”è prevista nel pecorino di Filiano e nel Canestrato. Per il resto rimane poco conveniente. Di qui la scelta degli allevatori di sostituire la “Gentile” con altri tipi più produttrici di latte, ponendo a rischio la razza. Sarà solo la ricerca a garantirne la salvaguardia e al tempo stesso nuovi sbocchi di mercato. �


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GIOVANNI MARINO

BASILICATA “Goats and goat cheese are a greatly unexpressed potential of the dairy sector in Basilicata”. This is the conviction of Vincenzo Fedele, the director of the Research Unit for Extensive Zootechnics of Bella for the Council of research and experimentation in agriculture (CRA). The goat sector does not express any specific production in the Lucanian territory; on the contrary, it could have interesting market outlets, thanks to its organoleptic characteristics and nutritional qualities. With goat’s milk, the Unit of Bella has produced several experimental cheeses: Chiaro di Luna, blue goat cheese, yoghurt, and caciotta cheeses flavoured with wine or thyme, robiola goat cheese, which as a test, they successfully launched in the northern markets in cheese boutiques. They have tried to involve some local producers but they were afraid of singling out new products. There are only a few cheese makers in the South and they make cheese following centuriesold traditions. A production which has no outlet either in national or foreign markets, with the exception of podolic caciocavallo cheese, which has appeared in northern markets and some demand abroad for the Pecorino di Filiano and to a lesser extent, Canestrato di Moliterno. “This is a closed market – Fedele explains – unable to innovate and produce cheese suitable for consumer tastes, 80% of which prefer fresh products, little matured, cream cheese or yoghurt, while producing a surplus of stringy paste”. There will be no prospect of development if we do not renew products and production technologies. Useful indications come from their research activity. Studies on the influence animal feeding can have on the quality of the product have shown that breeding on natural pastures in Basilicata equals more than 80% and that Lucanian pastures, extremely rich in plant varieties (a yearly average of 70 species), guarantee milk and cheese richer in flavour compared to that of stabled animals. “In areas where grasses (wheat, oats) prevail – Fedele explains – we have products which are not as rich in aromatic substances, while in those where mint, thyme, buttercups, mauve and geraniums dominate, milk and cheese will be more perfumed, with particular smells, pleasant to a lesser or greater degree”. But the final product also varies according to the seasons. In winter animals have a poorer diet as they can choose from only 14-15 species in a pasture, while in summer they can choose from a range of up to 140 plants in the pastures. Not only territories and seasons but also the types of cheese affect the most intense tastes of the fresh product. There are other qualitative characteristics that our senses cannot assess, amongst which are the nutritional (vitamins, minerals, fats, proteins) and health aspects (antioxidants, CLAs, omega-3). The selection of a product depends on the availability and completeness of information. We often undervalue the influence of environment and especially pollution levels on the product’s safety. The studies carried out in Bella show that the healthy Lucanian environment guarantees safer farms and products. However, all this information remains in the researcher’s drawer. “Research bodies and production – Fedele continues – should keep pace with each other supported by the encouragement of territorial bodies which, on one hand, must be able to valorize the product’s quality and, on the other, through research programmes, create products that the market recognizes and demands”. In practice, the price of milk bought from the breeder is based on two parameters only: proteins and fat, without taking quality into consideration. Only if the product is transformed, valorised, well advertised and introduced appropriately, can we sell it at a higher price and give higher remuneration to the breeder who in this way is motivated to invest in quality. Another study in progress in Bella concerns animal biodiversity and autochthonous breeds in Southern Italy with the objective of valorising the product by linking it to the species. These studies also deal with the Lucanian Gentile sheep. Only research will be able to guarantee its safeguarding and at the same time new market outlets.

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IL RUOLO DELLE APA “Prima che il figlio si svegli, Dio ha già pensato al latte”. Un antico detto contadino, che non esclude però l’opera dell’uomo. Le Associazioni Provinciali degli Allevatori supportano gli operatori della zootecnia lucana. Per aiutarli a elevare il livello professionale delle aziende e a garantire la sicurezza alimentare dei prodotti. Una mole di servizi offerti che necessita del lavoro di laboratori e centri specializzati. Un risultato di rilievo è arrivato nel 2005, con il conseguimento della Certificazione del Sistema della Gestione per la Qualità Totale Che ha elevato gli standard operativi delle strutture

CARMENSITA BELLETTIERI

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BASILICATA duzione, in modo da garantire il maggior profitto economico dell’imprenditore con la miglior soddisfazione del cliente finale. I settori maggiormente interessati dalle attività delle AA.PP.AA sono due, quello dei bovini da latte e quello della zootecnia nelle aree interne, ovvero bovini da carne e da latte, ovini e caprini, suini, equini e conigli. Il primo settore riveste un ruolo particolare per la sua larga presenza sul territorio e, proprio per questo, ha una fondamentale importanza per l’imprenditoria giovanile, per la potenzialità occupazionale e per la qualità delle produzioni. Così come il settore della zootecnia ha una funzione importantissima nell’ambito della salvaguardia ambientale, della valorizzazione del territorio e della valenza culturale e di legame con le tradizioni. I servizi erogati dalle Associazioni non hanno solo una finalità socio-economica per i loro assistiti ma, soprattutto, rientrano in una visione globale

orientata alla qualità dei prodotti finali. Da tale impostazione nascono gli obiettivi fondamentali delle AA.PP.AA, ovvero la diffusione di nuove metodologie di gestione e l’introduzione di tecniche innovative dell’allevamento, specifici programmi di formazione per gli allevatori sì da elevare il livello professionale delle aziende, senza dimenticare la finalità di migliorare il livello di sicurezza alimentare. Questi “piccoli aiutanti di Dio” non si accontentano di partecipare all’intero processo della produzione del latte: a partire dal 2005 le due Associazioni Provinciali Allevatori di Potenza e Matera hanno, infatti, conseguito l’ambizioso obiettivo dell’attestazione del Sistema della Gestione per la Qualità Totale. L’istituto di certificazione Quasar, infatti, ha verificato e approvato, con riferimento alla norma UNI EN ISO 9001/2000, il Sistema di Gestione per la Qualità applicabile alle attività di “Tenuta dei libri genealogici ed esecuzione dei controlli �

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“Prima che il figlio si svegli, Dio ha già pensato al latte”, recita un vecchio adagio popolare. Dio, però, non può fare tutto da solo e necessita di aiutanti umani per garantire questa fondamentale risorsa alle sue creature. Ed è qui che intervengono le Associazioni Provinciali Allevatori di Potenza e Matera (AA.PP.AA) che offrono assistenza tecnico-economica a sostegno della zootecnia da latte in Basilicata. Le AA.PP.AA lucane sono associazioni no-profit dirette da Augusto Calbi. Esse nascono nel quadro delle direttive generali dell’Associazione Italiana Allevatori, in ottemperanza alla normativa regionale, nazionale e comunitaria per l’attuazione degli obiettivi del “Programma biennale dei servizi di assistenza tecnica in zootecnia. Periodo 2007-2008”. I servizi forniti dalle due associazioni lucane rappresentano un sistema di supporto a cui gli allevatori possono rivolgersi per affrontare efficacemente le difficoltà relative al corretto impiego dei fattori tecnici di pro-

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(dal campo alla tavola), la rintracciabilità dei prodotti e delle materie prime e l’analisi del rischio. La nuova strategia per la produzione degli alimenti ha come pilastri fondamentali la sicurezza igienico-sanitaria, la qualità dei prodotti, gli alimenti biologici, il benessere animale e la qualità dell’ambiente. Qualunque azienda agroalimentare non può prescindere da tale tipo di processo produttivo. In questa necessità si inseriscono i servizi delle Associazioni. Esse offrono assistenza tecnica veterinaria, assistenza tecnica agronomica e zootecnica, un servizio di informatizzazione territoriale (C.E.D. e S.I.T.) erogato dal centro Elaborazione dati delle AA.PP.AA. e un servizio di valorizzazione delle produzioni, oltre a specifiche attività di formazione per gli allevatori. Per la mole di servizi offerti le Associazioni si avvalgono di strutture di supporto ai servizi tecnici, ovvero dei laboratori specializzati che forniscono analisi e consulenze sia a privati che a enti pubblici. Tali laboratori svolgono prove su latte e derivati, foraggi e mangimi, carni e derivati, sangue, feci e acque sia per gli allevatori che per i trasformatori lucani. Le analisi di tipo chimico, chimico-fisico e microbiologico

� funzionali” e quelle per le “Tecni-

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che complementari alla Selezione e Miglioramento genetico”. Questa certificazione, e il conseguente elevato standard operativo delle strutture, ha permesso di ottenere un primo importante risultato, quale la razionalizzazione della spesa, fatto rilevante per la soddisfazione del cliente “allevatore” e per il proficuo ruolo tecnico delle APA. La certificazione di Qualità non solo consente un’efficace gestione dei costi, ma influisce anche sulla qualità del prodotto. La gestione corretta dei Libri Genealogici e dei Controlli Funzionali, infatti, determina uno sviluppo quali-quantitativo sia delle produzioni che del miglioramento genetico del patrimonio zootecnico. E, inoltre, per i settori bovino e ovino da latte in particolare, il servizio consta di un elevato livello di informatizzazione nella gestione dei dati dall’azienda all’APA e alle Associazioni Nazionali di Razza. Le Attività tecniche complementari alla Selezione e Miglioramento genetico sono una priorità strategica sui nuovi scenari del settore alimentare. Esse permettono, infatti, l’acquisizione di elevatissimi standard di sicurezza alimentare attraverso alcuni principi fondamentali, quali il controllo di filiera

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hanno la finalità di individuare e quantificare sostanze e/o prodotti presenti nei materiali. Ogni laboratorio opera in un reparto determinato, come per esempio il reparto Analisi Microbiologiche che collabora con l’Università degli studi di Basilicata, l’Istituto Zooprofilattico di Puglia e Basilicata, il laboratorio Standard Latte di Maccarese, l’Università degli Studi di Bari e la Facoltà di Medicina Veterinaria. O, ancora, il laboratorio embrio-transfer, che si occupa del reparto per il trapianto embrionale con lo scopo di ottenere più vitelli all’anno da vacche pregiate. La costellazione delle collaborazioni scientifiche che ruota intorno alle Associazioni Provinciali non termina con i laboratori. Ci sono anche i Centri di selezione gestiti dall’Apa di Potenza, come il Centro di selezione multispecie di Laurenzana per la produzione di materiale seminale, finalizzata all’inseminazione strumentale e alla raccolta di embrioni. In questa sterminata galassia di competenze tecniche e servizi offerti dalle AA. PP.AA. è possibile comprendere dunque che, se la mente divina ha pensato al latte, le braccia umane devono contribuire a mungerne ancora. �


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“Before His son wakes up, God has already secured milk” a popular old adage says. However God cannot do everything on his own and needs human assistants to guarantee such a fundamental resource to his creatures. And here the Provincial Breeder Associations of Potenza and Matera intervene (AA.PP.AA.) with their offer of technical and economic assistance supporting milk zootechnics in Basilicata. AA.PP.AA.s are no profit associations managed by Augusto Calbi which deal with spreading new management methods, innovative breeding techniques, special programmes for training breeders in order to raise the professional level of farms, without forgetting the aim of improving the alimentary safety level. An objective already achieved is the certification of the Management System for Total Quality. The Quasar certification body, in fact, has verified and approved, referring to the UNI EN ISO 9001/2000 rule, the Management System for Quality applicable to the activities of “Keeping genealogical books and execution of functional checks” and those for “Complementary techniques to Selection and Genetic Improvement”. Such a certification and the following high operational standard of structures allowed to achieve the first, important result which is expense rationalization, crucial for the satisfaction of the “breeder” client and of the fruitful technical role played by APAs.

The Quality certification not only allows an effective management of costs but also affects the product’s quality. The correct management of Genealogical Books and Functional Checks, in fact, determines a qualitative-quantitative development of both productions and genetic improvement of zootechnic resources. And, moreover, especially for sheep and dairy cattle sectors, the service consists of a high level of computerization in the data management from the farm to APA and National Breed Associations. Given the mass of services offered, Associations avail themselves of supporting structures for technical services, namely specialized laboratories which supply analyses and advice to both private users and public bodies. Such laboratories perform chemical, chemical-physical and microbiological analyses, with the aim of identifying and quantifying substances and/or products present in materials. All scientific collaborations revolving around Provincial Associations are not limited to laboratories. There are also Selection centres managed by APA of Potenza, such as the Multi-breed Selection Centre of Laurenzana for the production of seminal material aimed at artificial insemination and embryo collection. In this immense galaxy of technical skills and services offered by APAs we can thus realize that, if the Divine Mind has secured milk, human arms must contribute in milking more.

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AZIENDA CAVALLI L’attività forense e quella agricola possono essere settori complementari. Parola di Corrado Grande, Avvocato cassazionista e socio nell’azienda agricola Cavalli. Una superficie che per oltre trecento ettari si estende dal fiume Basento alle colline di Pomarico. Seminativi, oliveti, pascoli. E un allevamento di pecore comisane e capre siriane. In più, un impianto per la produzione di energia fotovoltaica. Dalla scorsa primavera è partito il caseificio. Prodotto di punta il Canestrato di Moliterno. Già presente sul mercato nazionale e pronto per sbarcare all’estero MICHELE CHISENA FOTO DI MICHELE MORELLI

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Trecentotrenta ettari che vanno dal versante del fiume Basento alla collina di Pomarico, in provincia di Matera, di cui 220 dedicati a terreni seminativi, 30 ad oliveti, e il residuo a pascoli, e poi un allevamento zootecnico di pecore comisane e capre derivate di Siria di circa 600 capi. Stiamo parlando dell’azienda agricola Cavalli, con lontane origini di appartenenza alla famiglia Cavalli, e in epoca più recente gestita, per oltre quaranta anni, da Vito Cavalli, avvocato generale dello Stato. Nel 1996 Maria, Francesco e Mariano Cavalli, i primi due avvocati e Mariano cardiologo, hanno dato vita ad una società semplice. Gli attuali soci sono Maria Cavalli, Corrado Grande e Silvia Cavalli. I primi due sono avvocati cassazionisti, l’ultima è anche lei laureata in giurisprudenza. Corrado, esperto di diritto tributario, ricopre un ruolo di primo piano in uno dei primi studi legali italiani con capacità internazionali. Casa Cavalli sembra, dunque, dividersi tra due passioni, quella per la scienza del diritto e quella per l’attività agricola. Silvia, figlia di Francesco Cavalli e nipote di Maria Cavalli e Corrado Grande, ha scelto di impegnarsi a tempo pieno alla gestione dell’azienda di famiglia, curando particolarmente l’olivicoltura e il marketing aziendale, mentre Corrado Grande riesce a dedicarsi con lo stesso piacere ad entrambe le attività. “Certamente non sempre è agevole rendere compatibile l’attività professionale con l’impegno aziendale, ma

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io trovo che i due settori siano complementari l’uno all’altro muovendo dall’astrattezza e formalismo degli istituti giuridici alla concreta gestione di una moderna agricoltura protesa alle produzioni di qualità e di energia pulita”. La società guarda con interesse anche allo sviluppo della produzione di energia fotovoltaica, con due impianti di 20 e 150 chilowattora in esercizio ed un altro di 4000 chilowattora in fase di progettazione e, dal 2008, ha compiuto ulteriori investimenti aprendo un caseificio quale naturale sbocco della produzione lattiera dell’allevamento di proprietà Prodotto caseario di punta aziendale è il canestrato di Moliterno. A descriverci le caratteristiche dell’attività casearia aziendale è Corrado: “L’azienda aderisce al Consorzio di tutela IGP. Le procedure di produzione sono attentamente applicate muovendo dalla tradizione locale, ma con uso di tecnologie d’avanguardia. Per la produzione dei prodotti si utilizza solo il latte proveniente dall’ azienda che raggiunge standard di qualità molto alti”. “Un buon formaggio – ci dice con evidente convinzione – si fa nell’allevamento prima che nel caseificio. E per quanto riguarda il canestrato, vi assicuro, che è un prodotto davvero super, preparato con ottimo latte e con procedure particolari”. “È un vero piacere degli occhi veder prendere forma la cagliata nelle tipiche fascelle. Il palato, poi, ne resta catturato dal suo sapore piccante, forte e aromatico”. �

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� Oltre al canestrato, in azienda si producono: caciotte al vino, alle erbe, al peperoncino, caprini e ricotta. Interessante anche il pecorino sott’olio. Il formaggio è lavorato prevalentemente a mano. Nel processo di preparazione vengono utilizzati doppifondi “Magnabosco” e “macchinari d’avanguardia”. Sono presenti una cella di stufatura e tre celle di conservazione a temperatura ed umidità controllata. Da marzo 2008 sono state prodotte oltre mille forme di canestrato di Moliterno. La produzione riprenderà a dicembre 2008 e si prevede di produrre oltre duemila forme. Nel caseificio lavorano dalle 3 alle 4 persone. “Ovviamente – precisa ancora Grande – altri dipendenti sono presenti in azienda per le attività agricole e zootecniche”. Ma qual è il mercato di riferimento di questo prodotto? “Allo stato, i nostri prodotti sono presenti un po’ in tutta Italia. In prospettiva, saranno anche destinati ai mercati esteri. L’avvocato aggiunge: “La commercializzazione di un prodotto di qualità alta è sostanzialmente agevole. Chiaramente, presuppone una adeguata organizzazione aziendale, considerato che la rete distributiva è fortemente spezzettata. La fisiologica espansione è all’estero presso i distributori e negozianti di prodotti italiani di nicchia che apprezzano il

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Made in Italy di qualità. Particolarmente interessante è l’abbinamento della produzione casearia Cavalli con la nostra produzione di olio extravergine di oliva”. A proposito di abbinamenti, un buon formaggio non può che essere accompagnato da un vino particolare. Grande dà questi suggerimenti: “Il canestrato primitivo (giovane) si sposa bene con un rosso Cabanico (Aglianico con Cabernet) o un bianco Fiano Lucano. Il sapore del canestrato più stagionato, invece, viene sublimato da un rosso Aglianico riserva. Per i cibi consiglio il canestrato grattugiato sulle nostre paste tradizionali”. Un prodotto è tale se ha una buona commercializzazione, come detto, e se riesce ad inserirsi come prodotto di filiera in un circuito virtuoso: “Il settore lattiero caseario in Basilicata deve essere potenziato in termini di miglioramento della qualità del prodotto locale che ha caratteristiche uniche per le specifiche condizioni pedoclimatiche del territorio. Inoltre, risulterebbe sicuramente determinante il potenziamento dell’aggregazione dei produttori che hanno come mission la massima qualità del prodotto”. La dea della giustizia, Dike, sembra aver avuto un occhio di riguardo nei confronti della famiglia Cavalli. Che avesse, nell’antichità, una predilezione per il canestrato? �


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Three hundred and thirty hectares stretching from the side of the river Basento to the hill of Pomarico, in the province of Matera, of which 220 are dedicated to sowing lands, 30 to olive crops and the remaining to pastures, and then a zootechnic breeding of Comisana sheep and Derivata di Siria goats about 600 heads. We are talking about the Cavalli farm which has been owned by the Cavalli family for many years and more recently managed, for more than 40 years, by Vito Cavalli, general advocate of the State. In 1996 Maria Cavalli, Francesco Cavalli and Mariano Cavalli, the former being lawyers and Mariano a cardiologist, founded a simple company. The present members are Maria Cavalli, Corrado Grande and Silvia Cavalli. The former are Supreme Court lawyers and the latter too has a degree in law. Corrado, an expert in tax law, plays a primary role in the staff of one of the most well known Italian lawyers who also works abroad. Thus, The Cavally house seems to be split

into two passions, that of law and that of agricultural activity. The farm’s leading product is the Canestrato di Moliterno. Corrado describes the characteristics of the farm’s dairy activity: “Our farm is a member of the Consortium for IGP protection. The production procedures are carefully applied starting from local tradition but with innovative technologies. To make our products we only use milk from extremely high-quality standard farms”. “Good cheese – he says, clearly convinced – is first made on the farm and then in the dairy. And as for the Canestrato, I guarantee, it is a really excellent product, made with first-rate milk and special procedures”. “It is a pleasure for the eyes to see the curdle taking shape in the typical mould. Then the palate is captured by its spicy taste, strong and aromatic”. Since March 2008 they have made more than one thousand moulds of Canestrato di Moliterno. Production will be re-

sumed in December 2008 and they expect to make more than 2,000 moulds. But what is the reference market for this product? : “Currently, our products are present all over Italy. Prospectively, they will be also sent to foreign markets”. The lawyer adds: “Marketing a high-quality product is substantially easy. Of course, it requires a proper corporate organization since the distribution network is strongly fragmented. Its physiological expansion is abroad, to distributors and sellers of Italian niche products who appreciate quality Made in Italy. A product is such if it has good marketing as we said, and is able to enter a virtuous circuit as a chain product: “The dairy sector in Basilicata must be enhanced in terms of quality improvements in the local product’s quality which has unique characteristics for the special pedoclimatic conditions of the territory”. In addition, another decisive factor would be the strengthening in the gathering of those producers whose mission is the highest quality of their products.

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AGRITURISTICA DEL VULTURE Orgoglio e passione: un connubio decisamente vincente per l’azienda Agrituristica del Vulture, dove lavora l’intera famiglia Zucale. Una stagionatura di almeno 180 giorni in apposite grotte-cantine in tufo e una temperatura di 12-14 gradi conferiscono a questi pecorini un sapore particolare e dal gusto unico, molto apprezzati dai palati sopraffini. Oltre al caseificio la famiglia Zucale ha avviato anche l’attività di ristorazione, foresteria e visite guidate all’interno dell’azienda

ROSA ALBIS FOTO STUDIO IMMAGINANDO

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MARIO ANNUNZIATA

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Cinquecento ettari tra pascoli e bosco, mille e duecento capi di ovini allevati allo stato brado, vent’anni di storia. Questi i numeri dell’Agrituristica del Vulture della famiglia Zucale, azienda situata nella Basilicata nord-occidentale, precisamente a Ripacandida, in contrada Piano delle Spine, nel cuore dell’area vulcanica. Un’azienda a conduzione familiare in cui lavorano dieci dipendenti. “Il lavoro non manca. Siamo impegnati tutti molto duramente – spiega Maria Zucale – ma la fatica è compensata dal grande orgoglio e dalla passione, con cui svolgiamo le nostre attività”. Una passione di famiglia. “L’azienda nasce da una idea dei miei genitori – dice ancora Maria - che hanno voluto continuare il cammino intrapreso da diverse generazioni”. In un ambiente bucolico, tra coltivazioni di cereali, foraggi, ortaggi, fragole, mirtilli e ulivi, pascolano ovini, caprini, qualche podolica e animali di bassa corte. Con oltre un migliaio di ovini a disposizione, l’Agrituristica del Vulture trasforma ovviamente solo il proprio latte. Da una lavorazione accurata vengono prodotti un’ampia serie di pecorini: freschi, stagionati, a pasta acida, erborinati, a pasta fiorita, ma anche con erbe e aromi. Tra gli altri, spicca il famoso Pecorino di Filiano Dop, il prodotto di punta dell’azienda. “Viene prodotto attenen-

dosi scrupolosamente al disciplinare europeo di produzione – dice Maria Zucale - e valorizzando, allo stesso tempo, le caratteristiche peculiari di un tempo, con metodo tradizionale a latte crudo”. Il latte crudo, opportunamente filtrato con appositi setacci in tela, quando munto a mano, è riscaldato tradizionalmente in caldaie, fino alla temperatura massima di 40°C, preferibilmente col fuoco a legna. Quasi a temperatura, viene aggiunto caglio di capretto o agnello in pasta. Formatasi la cagliata, deve essere rotta in modo energico, con l’ausilio di un mestolo di legno, detto “scuopolo” o “ ruotolo”, fino ad ottenere grumi delle dimensioni di un chicco di riso. Dopo pochi minuti di riposo sotto siero, la cagliata viene estratta e inserita in forma nelle caratteristiche “fuscelle” di giunco dette “fuscedd’”. Estratto il siero e dopo la salatura, il formaggio viene messo a maturare in caratteristiche grotte-cantine in tufo per la stagionatura a una temperatura di 12-14°C e un’umidità relativa del 70-85 per cento per almeno 180 giorni. Condizioni ambientali queste che conferiscono al formaggio caratteristiche organolettiche e di freschezza molto ricercate dagli appassionati. A partire dal ventesimo giorno di maturazione, la crosta dei pecorini viene curata con olio extravergine di oliva prodotto in Basilicata e aceto di vino. �

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� Uno dei punti di riferimento per la produzione di questo prodotto è rappresentato proprio dalla famiglia Zucale, dove è possibile assaggiare questo pecorino dalla rara occhiatura, dal colore giallo paglierino e dal sapore del tutto speciale. Da circa sei anni, l’Agrituristica del Vulture ha avviato anche l’attività di ristorazione e foresteria. “L’agriturismo – dice Maria – consta di 4 camere matrimoniali e 50 coperti. Tutto ciò che cuciniamo è fatto nel rispetto della tipicità e della tradizione gastronomica della nostra terra”. Tutti prodotti biologici: salumi, formaggi, ricotta, verdure cotte al vapore, primi come le orecchiette ai sapori dell’orto. “Non abbiamo un menu tipico – precisa Maria – perché, in fondo, da noi è tutto caratteristico. Ma posso dire che l’agnello in umido è il nostro fiore all’occhiello”. Un piatto cucinato con il potacchio, una verdura spontanea della zona, che conferisce all’agnello un gusto molto particolare. Tra i dolci, una vera specialità è rappresentata dal tronchetto di ricotta. Naturalmente tutto abbinato all’Aglianico del Vulture Doc. L’agriturismo è situato in posizione strategica rispetto

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alle grandi cantine di questo rosso Doc, prodotto a Barile, Rionero in Vulture e Venosa. Accanto ai formaggi del caseificio, l’olio extravergine d’oliva, i salumi e le carni certificate e di qualità, nell’azienda Zucale è possibile trovare anche bottiglie dell’ottimo Aglianico del Vulture. Indissolubile il connubio tra vino, formaggi e salumi, per deliziare il palato dei tanti visitatori che si fermano all’ombra del vulcano spento. Ma l’Agrituristica del Vulture non è solo gastronomia. I proprietari offrono la possibilità agli ospiti di effettuare delle visite guidate nell’azienda, la cosiddetta “Fattoria didattica”, ovvero di ammirare nella realtà quali lavoro e professionalità richiedono la produzione di un formaggio dal gusto unico. Un percorso che permette di conoscere i processi produttivi, i metodi di produzione alimentare e la correlazione esistente tra la produzione agricola e la salvaguardia delle risorse naturali del territorio. Tra i progetti in cantiere, c’è la costruzione, per la prossima primavera, di un maneggio per fare passeggiate a cavallo alla esplorazione dei paesaggi montani che circondano l’azienda e della flora e fauna che popolano il territorio. �


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Five hundred hectares including pastures and wood, 1,200 sheep bred in the wild, twenty year history. These are the figures of Agrituristica del Vulture, owned by the Zucale family; the farm is located in north-western Basilicata, precisely in Ripacandida, in the area Piano delle Spine. A family run farm with ten employees in a bucolic environment, among cultivation of cereals, forage, vegetables, strawberries, blueberries and olive trees, sheep, goats, some podolic cows and barnyards animals. Having more than one thousand sheep at its disposal, Agrituristica del Vulture, of course, processes only its own milk. An accurate working gives birth to a wide range of pecorino cheeses: fresh, mature, acid-paste, blue cheeses, moulded, but also savoured with herbs and flavourings. Among the others, the famous Pecorino di Filiano RDO, the farm’s leader product, stands out. It is produced by carefully complying with the European production regulations and valorising, at the same time, particular features of the past, using a traditional raw milk method. Once the whey has been extracted, and after salting, cheese is left to mature in characteristic tuff cave-cellars used for maturing at a temperature of 12-14°C and a relative humidity of 70-85% for at least 180 days. These environmental conditions give the cheese organoleptic and freshness characteristics which are extremely appreciated by clients. Around six years ago, Agrituristica del Vulture also started the catering and guest room activity. The holiday farm has 4 double rooms and 50 places in its restaurant. All cooked meals are made respecting typicality. They only use organic products: cold cuts, cheese, ricotta cheese, steamed vegetables, and first courses such as orecchiette with kitchen garden vegetables. But Agrituristica del Vulture is not only gastronomy. Its owners also give their guests the possibility of a guided tour of the farm, called “Educational farm”, namely to see in reality what work and professionalism are needed to make a cheese with a unique taste. A path allowing the knowledge of production processes, alimentary production methods and the correlation existing between agricultural production and the safeguard of the territory’s natural resources. Among the current projects, there is the construction, by next spring, of a route for going on a horse back to explore the mountain landscapes surrounding the farm, and the flora and fauna of the area.

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CASEIFICIO DEL PINO

Sane scelte alimentari. Un motto che è una filosofia di vita ma anche di produzione. Lontana da parole come “marketing”, “strategie”, “eventi”. Filosofia che si è dimostrata vincente: da 25 anni il caseificio “Del Pino” a Matera ha attratto, consolidato e aumentato la sua clientela, grazie anche al completamento della filiera del latte, gestita interamente dalla famiglia Di Pede, titolare dell’azienda. L’attività che ferve alle prime luci dell’alba, la lavorazione con un manipolo di dipendenti fedeli da anni, la vendita di prodotti assaggiati prima della vendita. Tutto all’ombra vigile di un grande albero secolare ALESSANDRA MONTEMURRO FOTO DI GERARDO FORNATARO

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Da oltre cento anni un enorme pino, dimora di falchetti e diverse altre specie di uccelli, vigila su quello che oggi è un incrocio di quattro strade trafficatissime nel centro della città dei Sassi. Ha visto nascere strade, palazzi, banche, uffici, scuole, alberghi, centri sportivi, supermercati, botteghe e, venticinque anni fa, ha assistito con orgoglio al battesimo del caseificio che da esso prende nome. Oggi come allora, la signora Angela Festa, proprietaria insieme ai figli della azienda lattiero - casearia “Del Pino”, addita con emozione e rispetto quel grande albero che le ha fatto compagnia in tutti questi anni, dal quale sembra trarre ogni giorno linfa vitale e a cui è legato un tenero ricordo di infanzia: ”Quando ero bambina abitavo in questa zona, in via Cappelluti, e mia madre mi raccontava sempre che, prima che sorgessero le prime abitazioni, il pino era tutto solo in

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mezzo ad un’immensa distesa di vigneti e terra rossa.” Vedova da quattordici anni, la signora Festa ha saputo realizzare, a costo di tanti sacrifici e di quelle che definisce le sue “battaglie”, il sogno del marito Eustachio Di Pede, fratello del primo proprietario Tommaso, scomparso a soli sei mesi dalla nascita dello stabilimento. Sostenuta dall’affetto e dalla determinazione dei figli Giuseppe e Francesco, Angela oggi afferma con orgoglio che la loro azienda lattiero - casearia è l’unica nella nostra regione a poter vantare la filiera completa, dalla produzione di foraggio alla vendita dei latticini. Sane Scelte Alimentari è il motto di Angela e della sua famiglia, motto nel quale si condensa una personalissima filosofia di produzione, gestione e vendita, lontana da marketing e strategie promozionali come da fiere alimentari ed eventi gastronomici.


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La filiera cui fa riferimento la signora Festa ha origine nella zona di Costa del Canneto, ubicata a Ferrandina Scalo, dove la famiglia Di Pede possiede dal 1992 circa duecento ettari di terreno, sui quali Giuseppe e Francesco, insieme a due famiglie di operai, allevano bovini da latte. “Nutriamo le mucche con acqua, mais, erba medica, crusca, sorgo – spiega la signora – attraverso un carro miscelatore programmato da un alimentarista, il quale stabilisce le quantità dei vari prodotti da somministrare a ciascun animale; il secondo passaggio - continua Angela - avviene nella sala della mungitura, in cui vengono munti dodici capi per volta; il latte così ottenuto e filtrato - conclude - passa nel grande refrigeratore”. È l’alba quando il latte, non trattato con conservanti, coloranti e additivi, viene trasportato al Caseificio di via Cappelluti.

Esteso su una superficie di duecentocinquanta metri, lo stabilimento dispone di una macchina impastatrice, una filatrice/tagliatrice, una zangola (apparecchio per la preparazione del burro), una caldaia a vapore per produrre la ricotta, una scrematrice che separa il burro dalla panna, una affettatrice e una macchina per il ghiaccio. Sono le prime ore del mattino quando la signora Angela, aiutata da cinque donne e sei uomini, con la sapienza di un’artigiana, trasforma il prodotto della mungitura in una serie di meraviglie del palato. Mozzarelle, scamorze, trecce, manteche, provole affumicate, formaggi stagionati, burro, burrate, burrate in miniatura, stracciatella, panna, ricotta, cacio ricotta , cacio - cavallo, scamorzine e rotoli farciti (di volta in volta con prosciutto crudo e cotto, rucola, capocollo, tonno, capperi, insalata russa, �

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� olive, porchetta, funghi e gorgonzola) riforniscono ogni giorno oltre venti fra salumerie, pizzerie, ristoranti, sale ricevimenti e alberghi più rinomati di Matera, Miglionico, Pomarico e Altamura, e continuano a far bella mostra sulle tavole degli affezionatissimi clienti. “La nostra clientela – spiega la proprietaria – nonostante la crisi economica suggerisca di spendere dieci laddove si spendeva venti, cresce giorno dopo giorno, anche perché, con l’introduzione dell’euro, i nostri ottimi alimenti non hanno subito variazioni di prezzo; inoltre – continua – è importante che il consumatore si senta a casa, constati la pulizia e l’igiene dei nostri ambienti e il rapporto di rispetto, collaborazione e familiarità che intratteniamo con i dipendenti e gli operai, che ci affiancano da tanti anni”.

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Spesso, come raccontato da Angela, i suoi latticini diventano graditissimi doni, così, nel corso degli anni, le è capitato di ricevere plausi da ogni regione d’Italia. Talvolta, al mattino, anche i turisti si trattengono incantati ad ammirare la lavorazione delle mozzarelle nel caseificio, adiacente al punto vendita. Onestà, cortesia, creatività, spirito di squadra e una buona dose di autocritica (la proprietaria assaggia ogni sua prelibatezza prima di destinarla alla vendita) sono gli ingredienti della ricetta vincente di Angela Festa e Giuseppe e Francesco Di Pede, che, per l’immediato futuro, hanno in programma un ampliamento dello stabilimento materano e la realizzazione di un video che illustri nel dettaglio l’intera filiera. �


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For more than one hundred years, a huge pine-tree, home of wind fanners, keeps an eye on what is today a crossroads in the centre of Matera. It has seen streets, buildings, hotels, schools and workshops rise and, twenty-five years ago, it was proudly present at the baptism of the dairy which takes its name. Today as then, Mrs. Angela Festa, who with her children owns the dairy farm “Del Pino”, points with emotion and respect at that big tree which has kept her company all these years. Mrs. Festa, a widow for fourteen years, has been able to valorize at the cost of lots of sacrifices, the dream her husband, Eustachio Di Pede, had. Supported by the affection and determination of her children Giuseppe and Francesco, today Angela proudly states that their farm is the only one in Basilicata which boasts the complete chain, from fodder to sale. Healthy Alimentary Choice is Angela and her family’s motto, a motto which concentrates an extremely personal philosophy of production and sale, distant from promotional strategies. The chain Mrs. Festa talks about originates in the area of Costa del Canneto, located in Ferrandina Scalo, where the Di Pede family owns about two hundred hectares of land. In these places, Angela’s children, together with eight day workers and two other families of workers, look after their dairy cattle. It is at dawn that milk, not treated with preservatives, colourings or additives, reaches the Dairy in Via Cappelluti. And it is early in the morning when Mrs. Angela, helped by five women and six men, processes her milk into a series of wonders for the palate which will restock more than twenty hotels, restaurants, pizzerias and delicatessen shops among the most renowned of Matera, Miglionico, Pomarico and Altamura and will continue to show off on the tables of her most devoted clients. Mrs. Festa uses a few words to explain the positive feedback of her products: “The number of our clients increases day by day since, with the introduction of the Euro, the prices of my products have remained unchanged; moreover – she goes on – it is important that the clients feel at home, notice the hygiene of our environment and breathe the atmosphere of familiarity I create with my employees”. Honesty, courtesy, creativity and team spirit are the ingredients of the winning recipe of Angela Festa and her children who for the immediate future are planning to widen the dairy and to make a video illustrating the whole chain in detail.

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MASSERIA SAN MAGALDO Dall’AZIENDA CHE HA SEDE A STIGLIANO escono prodotti biologici. Duecentoquarantacinque ettari a pascolo naturale per gli animali da latte e 300 a seminativo. Di questi 40 destinati a foraggio e mangimi per concimare i terreni stessi. Gli uomini pensano al bestiame, le donne alla trasformazione del latte. Arrivano così importanti riconoscimenti alla ricotta di capra e al pecorino da tavola stagionato. Ma il titolare Vincenzo Formica rimane scettico sul futuro del “biologico” e sul sostegno alle piccole realtà produttive lucane ANGELA REMOLLINO FOTO DI GIOVANNI MARINO

Tradizione e innovazione, genuinità e freschezza. Ma soprattutto carattere. L’azienda agro-zootecnica biologica “Masseria San Magaldo” di Stigliano racchiude tutte queste qualità che, non a caso, rispecchiano anche l’indole del suo proprietario, il signor Vincenzo Formica, 80 anni e un temperamento forte e deciso. Il lavoro dell’azienda, fondata dai bisnonni di Formica nel 1854, si basa sul motto “pensare, far fare, fare”. “Avere idee e soluzioni, e poi capacità di organizzare il lavoro degli altri e saper lavorare in prima persona – ci spiega con fare naturale il titolare – dovrebbe diventare per ogni azienda una filosofia di vita. Un suggerimento che passo volentieri agli uomini che ci governano”. Adagiata sulle colline materane, cinque mila metri quadrati di capannoni dedicati al ricovero delle moderne attrezzature meccaniche, l’azienda si estende per 545 ettari, dei quali 245 per il pascolo naturale destinato all’alimentazione degli animali che producono latte, e 300 al seminativo. �

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� “Di questi 300 ettari – spiega il proprietario – 40 sono destinati alla produzione di foraggi, erba medica e mangimi biologici che utilizziamo per alimentare i terreni stessi”. L’azienda, infatti, si nutre dei suoi stessi prodotti. Perché nulla va perso, tutto si riutilizza per assicurare un prodotto biologico e lucano al 100 per cento. Anche il concime è ecologico. Il letame delle pecore e delle capre va direttamente a fertilizzare il terreno dal quale poi si ricava il cibo degli animali da pascolo. Presso la San Magaldo, di biologico, oltre al formaggio, si coltiva anche grano, avena, orzo, ortaggi. Senza dimenticare l’olio che è di ottima qualità. Il latte viene prodotto da un gregge di 800 pecore e 500 capre dalle quali ogni due volte all’anno (a novembre e febbraio) vengono partoriti agnelli e capretti. Sono circa 200mila i litri di latte che se ne ricavano all’anno e che sono impiegati per la produzione di formaggio di pecora da tavola, formaggio di pecora stagionato, ricotta di pecora dura, formaggio di capra da tavola, formaggio di capra stagionato, ricotta di capra dura e cacioricotta di capra. Il latte viene munto una volta al mattino e una alla sera per assicurare la freschezza della trasformazione. Nulla arriva da fuori. La materia prima utilizzata per i formaggi è esclusivamente quella prodotta in azienda. La sua trasformazione è affidata alle donne, l’allevamento degli animali agli uomini.

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In tutto sono sette i dipendenti fissi “rigorosamente italiani – ci tiene a sottolineare Formica - ai quali si affiancano altre quindici persone impiegate nei periodi di maggiore attività. Il processo di lavorazione e produzione si svolge interamente all’interno dell’azienda che provvede anche al confezionamento dei prodotti sotto vuoto con tanto di etichetta “bio” a norma UE. E anche la stagionatura avviene all’interno dell’azienda che dispone di quattro grotte. Il tempo necessario per ciascuna forma dipende da ciò che si intende produrre e va da un minimo di 35 giorni ad un massimo di 7 mesi. Il mercato dell’azienda San Magaldo è tutto italiano. Il 50 per cento dei formaggi è venduto direttamente in azienda a privati, l’altro 50 per cento è distribuito in una catena di negozi biologici che si estende da Palermo a Treviso. “Il biologico trova accoglienza – spiega Formica – solo nei negozi dedicati a questo specifico prodotto. Tolti questi spazi di nicchia, resta il fatto che alla grande distribuzione non interessa. Cosa diversa avviene in America – continua – dove il biologico si trova in reparti dedicati anche nei grandissimi centri commerciali. Noi dovremo ancora aspettare una cinquantina di anni per arrivare a questi livelli”. Difficile e improduttivo, comunque, secondo Formica, tentare di espandere il mercato all’estero. I prodotti, infatti, devono affrontare lunghi viaggi e bisogna fare in modo che la conservazione garantisca le qualità originarie del prodotto. Il capitolo “profitto” è quasi un tabù per Formica. Nessuna stima, solo una valutazione. “L’azienda non guadagna molto. I costi sono in aumento ma il prezzo del prodotto non può essere aumentato altrimenti rischia di rimanere invenduto”. Parole dettate dall’esperienza. “È inutile riempirsi la bocca di bei propositi. Il biologico - dice l’energico Formica - non lo vuole nessuno perché a nessuno interessa più di tanto”. �

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� Colpa dei prezzi più alti? “Macché. Non è vero che i prodotti biologici sono venduti al 30 per cento in più rispetto agli altri. Sa a quanto vendo al chilo un capretto o un agnello biologico? A quattro euro. Le sembra tanto?”. Tutta colpa della cattiva gestione della cosa pubblica, secondo l’arzillo proprietario dell’azienda. “La nostra regione – dice – è indietro di 60 anni, nonostante la presenza del petrolio. Si potrebbe fare molto di più per aiutare le piccole realtà produttive lucane che si dedicano al biologico”. Nonostante tutto si va avanti. E i risultati arrivano: dopo la medaglia d’oro assegnata alla ricotta di capra dell’azienda quattro anni fa al premio internazionale Bio-Caseus, quest’anno nella stessa competizione è arrivata la medaglia d’argento per il pecorino da tavola stagionato. Riconoscimenti che potrebbero spiegare anche alcune importanti scelte di vita. Come quella fatta proprio dal signor Formica. “Sono nato avvocato e – dice con orgoglio – morirò pastore”. La frase arriva a chi lo ascolta, non tanto come vanto per il titolo di studio conseguito quanto, piuttosto, come attestazione della passione e dell’amore riposti nell’attività di famiglia. Guai, però, a fargli altre domande su di sé e sulla sua decisione di lasciare l’avvocatura per dedicarsi alla terra e agli animali. È del suo lavoro che bisogna parlare. Punto e basta. “La mia – chiosa su questo argomento – è una storia che, da sola, meriterebbe un capitolo a sé”. �

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The organic agro-zootechnic farm “Masseria San Magaldo” in Stigliano has taken on the characteristics of its owner, Mr. Vincenzo Formica, aged 80 and with a strong and determined temperament. The activity of the farm, founded in 1854 by Formica’s great-grandparents, is based on the motto “thinking, making make, make” that is having ideas and solutions, having the ability to organize the others’ work and know how to work personally. Lying on the hills of Matera with its five thousand square metres of sheds used for keeping its modern mechanic equipment, the farm extends for 545 hectares of which 245 are used for the natural pasture utilized for feeding dairy animals and 300 for sowing. “Of these 300 hectares – the owner explains – 40 are allocated to the production of fodders, alfa alfa and organic animal feed that are used to feed the lands themselves”. Apart from organic cheese, the farm also produces organic wheat, oats, barley, vegetables and olive oil. The farm avails it-


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self of a herd of 800 sheep and 500 goats which, twice a year, give birth to lambs and kids. They milk about 200,000 litres which are used for making sheep’s table cheese, sheep’s mature cheese, sheep’s hard ricotta cheese, goat’s table cheese, goat’s mature cheese, goat’s hard ricotta cheese and goat’s cacioricotta cheese. Milking is done once in the morning and once in the evening to guarantee its absolute freshness and comes exclusively from the farm. Milk processing is entrusted to women, while the animal breeding is taken care of by men. The farm has seven permanent employees who are supported by another fifteen people who are recruited in periods of greater activity. The farm also deals with the vacuum-packing of their products, which are labelled as “EEC organic”, and mature in caves for a duration of between 35 days and 7 months. 50% of cheese is sold to private clients directly from the farm; the remaining 50% is distributed in an organic-shop chain from

Palermo to Treviso. The item “profit” is almost a taboo for the Formicas. “The farm income is not particularly high. Overheads are increasing but our product’s price cannot increase otherwise we risk not being able sell it”. The blame falls on the bad management of the common good, according to the farm’s lively owner. “Our region – he says – is 60 years behind, despite the presence of oil, and it could do much more to support the Lucanian small production realities dealing with organic products and which are not receiving any regional financial aid for the period 2007-2009”. In spite of everything, the results are not lacking: at Bio-Caseus International Award, four years ago, the farm’s goat’s ricotta cheese won the gold medal, this year, at the same contest, their sheep’s mature cheese has been awarded the silver medal. And to show the love and commitment he placed in his farm, Formica concludes “I was born a lawyer and I will die a shepherd”.

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AZIENDA SAGITTARIO I bambini che soffrono di allergia alle proteine del latte vaccino possono dormire sonni tranquilli: dal 2005 l’azienda Sagittario, in località Cesinelle di Galdo di Lauria, produce e vende latte d’asina intero. Una alternativa, dunque, al latte in polvere in quanto il suo contenuto in lipidi e proteine lo rendono molto simile al latte materno. Il latte prodotto viene filtrato, imbottigliato, refrigerato e distribuito in Basilicata, Campania, Calabria, Puglia, Lazio e Emilia-Romagna

FRANCESCA GRESIA FOTO DI VINCENZO IORIO

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A Lauria, in contrada Galdo, l’impresa agricola il Sagittario, produttrice di latte d’asina, è molto conosciuta. Nessuno avrebbe pensato che un’idea nata per caso e maturata pian piano avrebbe, poi, dato vita a una vera e propria impresa, capace di produrre reddito. Non latte di capra, non latte vaccino, bensì quel latte d’asina conosciuto, sin dai tempi di Erodoto (V sec a.C.), per le proprietà nutrizionali e terapeutiche. Una scelta forse casuale ma intrisa di tanta cocciutaggine, quella che ha sempre contraddistinto gli asini e che ha permesso a Pietro D’imperio e ai suoi soci di riuscire in qualcosa di non facile. Siamo nel 2000, quando quel terapista, impiegato in una struttura riabilitativa, decide insieme all’anziano filosofo preside del plesso scolastico e ad un veterinario, di lanciarsi in un’attività imprenditoriale. La passione per la natura era forte, ma come scegliere il settore in cui lanciarsi? “Quello ovino – commenta D’imperio – avrebbe richiesto un’esperienza che non avevano, quello bovino lo stesso, e tra le possibilità vi era quella degli asini, un mercato che ci appariva interessante”. Inizia così la fase di esplorazione, una continua scoperta a discapito di coloro che non avevano alcuna intenzione di trasmettere le proprie competenze e conoscenze. Come tre piccole spie, i soci si fingono possibili acquirenti di latte e fanno visita alle aziende, ormai avviate sul mercato,


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presenti in Sicilia ed in Emilia Romagna. Il gioco è fatto, o almeno questa è l’illusione di D’imperio e company. Certo non è facile reperire i fondi per avviare l’attività perché come spiegano i protagonisti: “Tutto è stato fatto con i nostri risparmi e i nostri sacrifici. Del resto il sistema del credito in Basilicata non funziona bene e se un giovane si presenta in una banca nessuno lo considera”. Mattone dopo mattone, l’azienda agricola sorge e, dopo i piccoli passi degli anni precedenti, entra a regime di produzione nel 2005. Nel primo periodo si arrivano a produrre ben 25 litri di latte al giorno, ma l’entusiasmo dell’avvio lascia ben presto il campo alle difficoltà dell’esordio. Spesso, dei venticinque litri, non ne viene venduto nessuno, del resto un litro costa oggi 16 euro. Entrare in un mercato così settoriale, quale quello del latte d’asina, risulta più difficile del previsto e le spese continuano ad aumentare. Si teme il peggio: la chiusura. Certamente l’ironia della gente non solleva gli animi degli imprenditori e si cerca una soluzione che possa riportare a galla le sorti dell’impresa. Un salvagente che arriva dall’Associazione Provinciale Allevatori, meglio conosciuta come APA. Sarà, infatti, un progetto sperimentale, finanziato dall’associazione, a sostenere i costi per la vendita del latte ad un gruppo di famiglie lucane. Una piccola azione di marketing che apre le porte al prodotto e alla discussione sulle sue proprietà. Carico di

una quantità di lattosio prossima a quella del latte umano, una buona palabilità e un corretto sviluppo della flora lattica intestinale, un residuo secco simile a quello del latte umano e una frazione lipidica ricca di acidi grassi delle serie ω-3 ed ω-6, il latte d’asina conquista un nobile impiego soprattutto nell’alimentazione dei neonati allergici alle proteine del latte vaccino (sindrome da APLV) e che non possono disporre del latte materno. Senza dimenticare che l’elevato contenuto di lisozima conferisce al prodotto la peculiarità di conservare a lungo inalterate le proprie caratteristiche organolettiche e microbiologiche. Ma come collocare il prodotto sul mercato? Alla prima fase di promozione, quella dell’Apa, si affiancano una serie di incontri con i pediatri che come commenta D’Imperio: “Spesso non vogliono neanche ascoltare l’importanza che questo latte può avere”. Ma sarà solo internet il vero volano di crescita delle vendite. Con l’inserimento in un sito collettivo, iniziano ad arrivare le richieste da fuori regione e l’impresa si crea uno spazio sulla platea degli acquirenti, destinato ad aumentare con la messa in rete di un sito individuale. “Del resto – spiega l’imprenditore – il mercato è piuttosto ristretto a causa del prezzo del prodotto. La sola Basilicata non potrebbe garantirci la sopravvivenza, così la vendita nella nostra regione è pari solo al 30 per cento, il restante �

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� 70 per cento si distribuisce tra Campania, Calabria, Puglia, Lazio e qualche cliente in Emilia-Romagna”. Mediante una vendita diretta al consumatore, il latte prodotto dai 16-17 esemplari messi a mungitura, di origine Ragusana e Martina Franca, viene filtrato, imbottigliato, e refrigerato a temperatura compresa tra 0° C e 4° C. Tante però le strade ancora da esplorare, prima tra tutte quella della cosmesi. Da sempre, infatti, il latte d’asina è stato impiegato per la produzione di cosmetici e l’imprenditore non sottovaluta la possibilità di intraprendere questo percorso. Senza poi dimenticare il risvolto turistico. È così che l’impresa Sagittario, inserendosi nella settimana di promozione che si tiene a fine luglio a Lauria, il Lauria Folk Festival, ha ideato il Palio degli Asini. Ogni contrada ha il suo piccolo “ciuccio”per cui tifare e al termine della gara, non solo è possibile assaggiare il prodotto, ma si possono fare fotografie con gli animali o avvicinarsi. “Un piccolo indotto quello turistico – spiega D’imperio – che potrebbe allargarsi perché tante sono le attività che si possono fare, quale il trekking, ma devono occuparsene altre persone, perché non puoi essere produttore di latte e contemporaneamente pensare al turista”. E con la cocciutaggine, propria degli equini, l’imprenditore si abbandona ai sogni e, prima di lasciarci, ci confessa quello più ardito: moltiplicare per dieci il suo fatturato, per una propria soddisfazione e per dare lavoro agli altri, anche con gli asini che da sempre sono stati presenti in Basilicata e che oggi sono tanto beffeggiati. �

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“We were lacking in donkeys, so they have got some more”, it is with this subtle irony that Lauria and its district Galdo have welcomed the arrival of the farm “Il Sagittario” which produces jenny’s milk. It is neither goat’s nor cow’s milk but that of jenny’s which was already known at the time of Herodotus (V century B.C.) for its nutritional and therapeutic properties. It was in the year 2000 when a therapist decided, together with an old philosopher who is also the principal of the school complex and a veterinarian, to launch into an enterprise. “The sheep sector – Pietro D’Imperio points out – would have required experience we did not have, the same goes for cattle; among the possibilities was that of donkeys, a market which interested us”. As three little spies, the partners pretended to be possible buyers of milk and visited the consolidated farms existing in Sicily and Emilia Romagna. Finding the money to start the activity was not easy but, little by little, the farm has grown and reached its production full-swing in 2005. Over the first period they produced no less than 25 litres of milk per day but often sold not even one, after all, today one litre costs 16 Euros. They feared the worst: the closedown. However a lifebelt came from the Provincial Breeders’ Association. In fact, an experimental project financed by APA will bear the costs for selling the milk to a group of Lucanian families, thus opening the door to the product and its properties. Rich in a quantity of lactose similar to human milk and good palat-

ability, jenny’s milk has a noble use above all in feeding newborn babies who are allergic to cow’s milk proteins and cannot use their mother’s milk. The first promotional step was accompanied by a series of meetings with pediatricians but the Internet is the key word. After the insertion in a collective site, the first demands started arriving from outside the region and the company created room among purchasers, bound to increase with the networking of an individual site. “After all – the entrepreneur explains – due to its price, Basilicata alone cannot guarantee our survival, so the sales in our region only equal 30% , the remaining 70% is distributed between Campania, Calabria, Apulia, Lazio and some clients in Emilia Romagna”. There are many more roads to explore, such as the cosmetics one, and the entrepreneur does not undervalue the possibility of entering the sector. And we should not forget the tourist implication. And so The Sagittario Company, by entering the programme of Lauria Folk Festival, has created the Palio of Donkeys. Each district roots for its tiny donkey and, when the race has finished, it is possible to taste the product and also take photographs with the animals or approach them. And with the stubbornness typical of donkeys, the entrepreneur gives himself up to dreams and confesses his bolder one: multiply his turnover by ten, for his own satisfaction and to provide others with job opportunities, even donkeys.

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PAROLE D’ORDINE: QUALITà E PROMOZIONE Costi di gestione altissimi da un lato. Tentativi di pagare il latte sottocosto da parte delle aziende di trasformazione dall’altro. I produttori di latte sono stretti in una morsa. Vendita diretta e sostegno ad azioni di completamento della filiera regionale. Corretta comunicazione del valore del prodotto e incentivare i percorsi di qualità. Protocolli e patti di solidarietà che ridiano forza agli allevatori. Le ricette di Coldiretti, Confagricoltura, COpagri e Cia di Basilicata su come esaltare al massimo la qualità eccelsa del latte lucano

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Sul settore lattiero-caseario lucano aleggiano forti preocupazioni a causa di una congiuntura che somma fattori globali ad elementi di chiara connotazione locale. A dispetto di una qualità assolutamente eccelsa del latte lucano, non si riesce a valorizzare il prodotto nel giusto modo. Anzi. I produttori sono in affanno, stretti tra la morsa di costi di gestione sempre più ingenti e i tentativi di pagare il latte sottocosto e con tempi molto dilazionati da parte delle aziende di trasformazione. Alle organizzazioni professionali agricole il compito di sciogliere la matassa. La Coldiretti Basilicata sta spingendo sulla leva della vendita diretta che, di fatto, accorcia la filiera e riequilibra il rapporto dei costi tra produttore e consumatore, dando maggiori garanzie al mercato: “Dalla produzione allo scaffale di vendita il costo di un litro di latte si quadruplica, e la stessa cosa vale per le mozzarelle, i latticini, i caciocavalli – dichiara il presidente dell’organizzazione, Rocco Battaglino. La vendita diretta è un modello importante ma non esaustivo riguardo ai problemi del settore. L’altra componente da esaltare è il sostegno alle iniziative che completano i processi di filiera interamente in

regione. C’è da fare un ulteriore salto di qualità, incentivando gli allevatori verso una certificazione che garantisca una identificabilità chiara ai nostri prodotti, degni rappresentanti di un comparto significativo che ha ‘tenuto’, nonostante le crisi degli ultimi anni, grazie anche al sostegno delle associazioni degli allevatori a livello regionale. Riguardo agli accordi sul prezzo del latte che spesso non vengono rispettati, infine, auspichiamo l’istituzione di un’authority per monitorare la situazione. Altrimenti, il caos continuerà a regnare sovrano e le regole resteranno scritte solo sulla carta”. C’è invece chi ritiene che la questione nodale non stia nei prezzi ma nei princìpi di una corretta comunicazione: “Modelli come quello della filiera corta destabilizzano il mercato perché danno la percezione, sia ai consumatori che ai trasformatori, che il prodotto di qualità come quello lucano possa valere meno di quanto viene pagato – spiega Marcello Di Ciommo, vice presidente di Confagricoltura Basilicata. Acquistare il latte alla stalla come si faceva 30 anni fa significa fare un passo indietro, cancellando il percorso di rintracciabilità su cui pure si sta spingendo. Vogliamo �


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GERARDO FOFNATARO

PUBLIFOTO OLYCOM SPA

� etichette trasparenti, confezioni sigillate, prodotti di assoluta garanzia per i consumatori? Occorre allora dare valore aggiunto a chi attua regolari processi di filiera e si sottopone a oneri notevoli dal punto di vista del marketing, del packaging e di altri costi che, inevitabilmente, incidono sul prodotto finale. Altra contraddizione: prima si afferma che il latte lucano è oggettivamente di qualità superiore, poi si fanno campagne per dire che il prodotto si può pagare la metà rispetto al prezzo allo scaffale. Ciò determina, di fatto, una netta perdita nella catena del valore, che va a ricadere sull’anello più debole della filiera, il produttore”. Fin qui l’analisi. E le proposte? “Evitare di cannibalizzare le filiere; studiare meglio il potenziale produttivo rispetto ai mercati; dimensionare ed orientare di conseguenza le politiche da mettere in campo; educare il consumatore a scegliere il latte lucano perché di qualità superiore e spingere le aziende a seguire il percorso della qualità, fatto di tanti piccoli passi”. Chi non vede all’orizzonte sbocchi significativi è il presidente di Copagri Basilicata, Eustachio Ricchiuti. “No-

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nostante l’accordo regionale sul pagamento del latte avesse definito una quota soddisfacente per i produttori, continuiamo ad assistere ad una corsa al ribasso da parte delle aziende di trasformazione, a parte qualche sporadico caso. Il risultato è che non si riesce più a riequilibrare i costi di gestione delle aziende, del personale, dell’energia, in particolare in una fase in cui i prezzi dei mangimi aumentano. Diversi allevatori nostri associati stanno pensando di dismettere i capi e di abbandonare la via dell’allevamento per dedicarsi alla cerealicoltura. La proposta di Copagri al tavolo regionale? Era stata chiara: colpire i trasformatori che non rispettano l’accordo con la mancata concessione di contributi e sovvenzioni. E invece non è accaduto nulla. Tutto scorre come prima e, anzi, peggio di prima. Gli utili sono ai minimi storici. Non vedo molti sbocchi, sinceramente, a meno che non si attivi un protocollo di solidarietà che faccia recuperare forza agli allevatori”. Un patto tra allevatori-produttori di latte e aziende di trasformazione del latte per la costruzione della filiera lucana lattiero-casearia è infine la pro-


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posta che la Cia Basilicata intende rilanciare per dare ossigeno al comparto zootecnico, che cresce in qualità nonostante le aziende diminuiscano, provocando l’abbandono delle aree interne con conseguenti problemi di natura economica ma soprattutto sociale, di difesa e salvaguardia del territorio. “Le aziende che ancora oggi continuano a produrre sono quelle più efficienti e maggiormente orientate al mercato – conferma Luciano Sileo, responsabile zootecnia. Questa crescita, registrata in anni difficili, è un segnale di fiducia nella tenuta del settore”. Da qui la proposta: “Invece di acuire le conflittualità tra le parti sarebbe meglio analizzare l’intera filiera produttiva (produzione-trasformazionedistribuzione) per realizzare un patto di sistema in grado di garantire il successo della zootecnia da latte e l’affermazione delle eccellenti produzioni casearie; due elementi strettamente legati alla consapevolezza, alla volontà ed alla determinazione che gli allevatori ed i trasformatori saranno capaci di esprimere, ma solo se sapranno tessere un ragionamento comune. In sintesi, un futuro migliore sulla via della competitività passa da azioni di filiera mirate che ottimizzino i costi aziendali, diversifichino le produzioni, aggreghino l’attività commerciale e distributiva e stimolino il formarsi all’interno delle aziende di una nuova visione di insieme”. �

Fighting the crisis and give back competitiveness to the Lucanian dairy sector which suffers from local limits (territorial fragmentation, under dimensioning, scarce ability to aggregate) and local factors (increase in supply and energy costs above all). This is the commitment of agricultural professional organisations of Basilicata, in the attempt of imagining concrete measures in order to prevent the sector to suffocate between higher and higher running costs and lower earnings by producers. The basis of the problems is the question of milk price – on which some “tenets” have been set by the Basilicata Region through an agreement – that processing farms continue to underpay. While fodder prices go up, those for energy are increasing on and on and the costs for personnel are significantly affecting, the pot of earnings seems to languish more and more. The organisations’ “recipes” are as follows. Coldiretti bets on the direct sale in order to shorten the commercial chain and rebalance the cost ratio between producer and consumer, thus giving greater guarantees to the market. The other exigency identified is that of pushing breeders towards a certification able to guarantee a clear recognisability to Lucanian products. As for the terms of the agreements on milk price that are often not fulfilled the auspice is that a proper authority can deal with it. Confagricoltura thinks that the question is not in the “price” factor but in the principles of correct communication for giving consequentiality to the statement on the objective excellence of Lucanian milk. If the product is good and guarantees quality and nutritional values, it cannot be underpriced; neither can they penalise the companies which bear huge costs from the point of view of marketing, packaging and other expenses that inevitably affect the final product. They should avoid cannibalising the chains, better study the productive

potentiality with respect to the markets, educate the consumer to choose Lucanian milk because its quality is higher and push farms to follow the path of quality made up of several small steps: this is the recipe to face the crisis and see the future with optimism. Copagri, instead, paints a black picture of the near future, unless a solidarity protocol is activated for giving new strength to breeders, more and more discouraged and ready to cast their heads off to abandon the chance of breeding and go in for cereal growing. In order to prevent painful and damaging drains which would cause the abandonment of internal areas with subsequent problems of economic but above all social nature, and of defence and safeguard of territory, the organisation has proposed to clamp down on the processing operators who do not comply with the agreement on milk price through a non-grant of contributions and benefits. At the moment rules are still unilaterally written by processing farms. Finally, one confederation aims at an agreement between milk producers/breeders and milk processing farms for building the Lucanian dairy chain; it is Cia which points out an overall strength of the sector over the last years, despite the crisis, and the endurance of a natural selection that today sees on the field the farms that are more efficient and markedly orientated towards the market. Instead of heightening the conflicts between the parties, Cia suggests withdrawing and analysing the whole production chain (production-processing-distribution) in order to realise a system deal able to guarantee the success of milk zootechnics and the achievement of our excellent dairy productions. A path that breeders and processers will be able to express only if they can weave a common thought.

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STUDIO IMMAGINANDO

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COSA DICE LA RICERCA “Il settore lattiero-caseario e la zootecnia lucana in generale non sono in pericolo e tutto sommato reggono bene, nonostante le difficoltà che vivono le aziende più piccole”. Un quadro confortante e nel complesso meno pessimistico del previsto, quello che emerge dall’analisi fatta dal professore Ettore Bove, docente di Economia e politica agraria presso la facoltà di Agraria dell’Università degli Studi della Basilicata. “Se si escludono le aziende contadine, quelle basate cioè su una gestione di tipo familiare, credo che il settore non abbia grossi problemi di sopravvivenza”. A cosa ci si riferisce allora quando si parla di crisi del settore? Purtroppo esiste una debolezza strutturale delle aziende. In un panorama in cui la zootecnia da latte si è già fortemente ridimensionata – tante piccole aziende sono ormai scomparse e altre si apprestano a chiudere – diventa sempre più importante riuscire a contenere i costi. In che modo si potrebbero contenere i costi? Ad esempio creando strutture di lavorazione interne all’azienda. Le difficoltà maggiori riguardano la zootecnia bovina e in particolare i produttori che, oltre a disporre di pochi capi di bestiame, occupano aree marginali, di montagna o collina. Qui l’irrigazione è impossibile e di conseguenza non si possono abbattere i costi di produzione. È per questo che sono stati emarginati dal comparto.

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Quale futuro prevede per queste aziende? Sono tutte destinate a chiudere? In questo caso penso che sia indispensabile l’intervento pubblico, inteso come tutela del territorio e del paesaggio. Si potrebbe pensare a progetti come l’adozione di un bovino, o di una capra, come si fa per i cani e per altri animali. E sarebbe importante che gli agriturismi funzionassero bene. Solo con l’intervento pubblico sarà possibile recuperare un reddito che la semplice attività agricola non riesce a garantire e solo così si potrà evitare che i produttori abbandonino queste zone svantaggiate. �

Ettore Bove, docente di Economia e politica agraria presso l’Università degli studi della Basilicata, traccia un quadro della zootecnia lucana e del settore lattierocaseario in particolare. E l’immagine che ne viene fuori, tra criticità e punti di forza, è quella di un comparto destinato a sopravvivere, e anche bene, grazie soprattutto all’alta qualità dei prodotti della nostra terra. E grazie alla ricerca

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I PROGETTI DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA BASILICATA PER IL SETTORE LATTIERO-CASEARIO Dipartimento tecnico-economico per la gestione del territorio agricolo e forestale - Ditec (Prof. Giovanni Carlo Di Renzo e Dr. Giuseppe Altieri) • Impianto pilota per il recupero dei composti pregiati presenti nel siero di caseificazione prodotto in Basilicata Il progetto ha portato alla messa a punto di un impianto per la produzione di concentrati proteici da siero acido di latte, in grado di trasformare il refluo in un prodotto prezioso per l’industria alimentare, salvaguardandone l’integrità chimica, nutrizionale e funzionale. • Valorizzazione del siero di caseificazione: analisi della frazione glucidica e recupero del lattosio È stato messo a punto di un sistema di produzione di polvere di lattosio purificato e/o di sciroppo di lattosio ad elevato valore aggiunto che consente di recuperare il lattosio, destinato altrimenti a essere un refluo per l’industria del siero. • Realizzazione degli impianti pilota per la produzione di polveri solubili di latte di asina Gli studiosi hanno realizzato un impianto che, attraverso l’essiccamento spray (spray drying), assicura un limitato effetto termico e quindi minore alterazione delle proprietà funzionali delle proteine del latte d’asina.

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Dipartimento di Biologia, difesa e bio-tecnologie agro-forestali 1 - Area di Biochimica (Prof. Paolo Riccio e Dr. Rocco Rossano) • Utilizzo di residui caseari per il recupero di componenti utili per la produzione di elementi dietetici nella nutrizione enterale umana Il risultato di questa ricerca è un metodo innovativo con forte impatto ambientale ed economico per la separazione del lattosio dalle proteine del siero di latte. • Alimenti sani e funzionale per i pazienti con sclerosi multipla Il progetto, finanziato dalla Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (Fism), ha portato all’ideazione di uno yogurt funzionale al benessere dell’uomo. È stato possibile effettuare l’analisi proteomica delle proteine MFGM del globulo di grasso del latte e il loro possibile ruolo in alcuni stati patologici dell’uomo. • Promozione delle produzioni e ricerca di nuovi sbocchi di mercato Gli studi hanno permesso, fra le altre cose, di stabilire la possibile applicazione degli enzimi estratti dai crostacei Munida nel processo di caseificazione per la produzione di nuovi tipi di formaggio e per accelerare la maturazione degli stessi. 2 - Area di Microbiologia (Prof. Eugenio Parente e Dr. Annamaria Ricciardi) • Studio della risposta allo stress in Streptococcus thermophilus (Progetto di ricerca di interesse Nazionale) S. thermophilus è uno dei microrganismi starter più importanti nella produzione di formaggi e latti fermentati. Durante la sua crescita e nella riproduzione e conservazione delle colture è sottoposto a stress acidi, termici, nutrizionali e ossidativi che ne possono alterare le performance. Il progetto, attualmente in corso, si propone di individuare e sfruttare i meccanismi fisiologici di risposta e adattamento allo stress acido e nutrizionale. • Caratterizzazione della microflora di colture naturali e formaggi e Ottimizzazione dei sistemi di colture starter per la produzione di formaggio caciocavallo Sono state valutate le caratteristiche tecnologiche dei ceppi di batteri lattici isolati da colture naturali in latte e siero e da Caciocavallo e sono state sviluppate e testate colture starter a composizione definita. I risultati di tali ricerche hanno permesso, tra le atre cose, di allestire una collezione di microrganismi del Laboratorio di Microbiologia Industriale, di ca. 600 ceppi di


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BASILICATA batteri di interesse alimentare ed industriale, ottenuti da collezioni di microrganismi o derivati da isolamenti da alimenti fermentati, tra cui prodotti lattiero-caseari. 3 - Area delle Tecnologie alimentari (Prof. Fabio Favati e Dr. Fernanda Galgano) • Uso di atmosfere protettive per il confezionamento di prodotti lattiero-caseari In particolare, è stato ottimizzato il sistema di confezionamento del provolone porzionato, che viene tradizionalmente confezionato sottovuoto. Il sottovuoto può determinare modificazioni nella struttura del formaggio, a causa della differenza di pressione che si viene a determinare tra l’esterno e l’interno della confezione.Il confezionamento in atmosfera protettiva può dunque rappresentare un sistema alternativo nella conservazione del prodotto in questione, in grado di prolungarne la shelf-life e di garantire una migliore presentazione del prodotto nei banchi vendita. Dallo studio effettuato è emerso che la miscela gassosa costituita dal 30% di CO2 è quella che garantisce la migliore conservabilità del provolone porzionato. - Nell’ambito della problematica relativa alla sicurezza dei prodotti alimentari, l’area delle Tecnologie Alimentari si è anche interessata della produzione di ammine biogene in diverse matrici alimentari, fra cui i formaggi tipici. Tali composti sono importanti, poiché se presenti in concentrazioni elevate negli alimenti, possono risultare tossici per la salute umana.

Dipartimento di scienze delle produzioni animali (proff. Egidio Cosentino, Emilio Gambacorta, Annamaria Perna e Carlo Cosentino) • Qualità del latte ottenuto da bovine di diverso tipo genetico Tutti i tipi genetici studiati hanno fatto rilevare che mediamente il latte della mungitura mattutina presenta caratteristiche tecnologiche e nutrizionali migliori rispetto a quello della mungitura pomeridiana. • Aspetti qualitativi del latte ovino ottenuto con tecniche di allevamento diverse Dalla ricerca è emerso che il latte ottenuto da pecore in allevamento brado risulta migliore per l’ottenimento di prodotti tipici, anche in relazione alle peculiarità aromatiche possedute;

che e dalle caratteristiche della biomassa disponibile nei diversi mesi dell’anno. In particolare i prodotti migliori si ottengono nei mesi invernali e inizio primavera, contrariamente a quanto si evidenzia in coincidenza della fiammata vegetativa (maggio). • Sostenibilità dell’allevamento di tipi genetici autoctoni caprini in allevamento eco-compatibile L’andamento produttivo presentato da caprini autoctoni, rispetto ai tipi genetici industriali, risulta più efficiente in senso globale, in quanto i primi sono più adattati all’utilizzazione delle risorse disponibili sul territorio in concomitanza di una migliore resistenza, sia ai patogeni che alle condizioni avverse, condizionando inoltre un più basso impatto ambientale. • Integrazione alimentare con aminoacidi protetti e caratteristiche qualitative del latte in ovini La qualità del latte di ovini sottoposti ad integrazione alimentare con aminoacidi limitanti risulta quantitativamente e qualitativamente più elevata, condizionando altresì un più basso impatto da nitrati. • Livelli produttivi in caprini con diverso contenuto in αs1-Cn; Secondo i risultati di questa ricerca, le capre che producono latte con assenza di αs1-Cn non presentano livelli produttivi peggiori rispetto a quelli con presenza di αs1-Cn medio o alto e pertanto possono essere considerate per la produzione di latte da destinare all’alimentazione umana, in particolare per quelle categorie caratterizzate da intolleranza a tale proteina. • Utilizzazione del latte asinino e sostenibilità dell’allevamento di animali in via di estinzione Lo studio ha dimostrato che le caratteristiche nutrizionali del latte di asina sono tali da permettere una efficiente ed efficace utilizzazione in campo della nutrizione umana, in particolare per quelle categorie che presentano intolleranza ad altri latti. Inoltre, l’elevato apprezzamento dei prodotti cosmetici ottenuti con l’ausilio del latte di asina è tale da poter permettere, anche in realtà di piccoli allevamenti, la realizzazione di attività imprenditoriali di trasformazione, con risultati remunerativi molto soddisfacenti.�

• Andamento produttivo quanti-qualitativo del latte ovino nel corso dell’anno I ricercatori hanno osservato che la qualità del prodotto risulta molto influenzata dalle condizioni termo-igrometri-

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� Non dimentichiamo che questa componente zootecnica è la più importante in Basilicata, dal momento che il nostro territorio è in gran parte costituito da montagne e colline. Quali sono invece le aziende lattiero-casearie la cui “salute”, a suo parere, non desta preoccupazioni? Sono due i comparti per i quali non mi preoccuperei. Innanzitutto ci sono, sempre nell’ambito della zootecnia bovina, le aziende di più grandi dimensioni, localizzate e confinate nelle aree maggiormente vocate, vale a dire in prossimità delle conche irrigue, nei fondovalli interni. Queste riescono ad avere un margine di competitività elevato e grazie a esse si va delineando una vera e propria nicchia di zootecnia da latte che – a mio parere – è in grado di competere con le produzioni lattiere della Pianura Padana o della Germania e della Francia. Altamente efficiente sotto il profilo tecnologico, questa zootecnia ha una fascia di mercato non ancora pienamente raggiunta, se si considerano quelle che sono le sue potenzialità, ed è destinata a rafforzarsi. Di che tipo di prodotto stiamo parlando e, soprattutto, chi lo consuma? Si tratta di un latte di alta qualità che, pur essendo conosciuto solo da pochi, spunta sul mercato rispetto alla media. Il consumatore-tipo ha un elevato grado di istruzione, reddito medio-alto e considera il latte non semplicemente un alimento, ma anche un prodotto piacevole da consumare. A questo si legano anche prodotti derivati che sono particolarmente apprezzati sul mercato.

archivio ufficio stampa

Prima faceva riferimento a due comparti che a suo parere sopravviveranno senza difficoltà. Uno lo ha appena illustrato, qual è il secondo? È quello ovino-caprino, che desta minore preoccupazione, perché meno esposto alla competitività, grazie anche a due importanti riconoscimenti comunitari ottenuti – per il pecorino di Filiano e per il canestrato di Moliterno – e a una clientela affezionata. Si tratta di prodotti facilmente collocabili sul mercato, che riescono a spuntare prezzi più remunerativi rispetto al passato. L’unico problema è che si sia venuto a creare un conflitto d’interesse tra chi vuole salvaguardare le tradizioni della caseificazione e chi invece ritiene necessario l’impiego di apparecchiature moderne, per garantire una maggiore igiene.

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E qual è la sua opinione a tale proposito? Io credo che questo patrimonio vada salvaguardato così com’era piuttosto che spingere, anche attraverso il sostegno pubblico, ad ammodernare a tutti i costi queste aziende, in linea con la politica agricola comunitaria. Naturalmente, non senza aver prima verificato se certi procedimenti siano dannosi o meno.

ROCCO GIORGIO

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Lei è docente di Economia e politica agraria presso l’ateneo lucano. Qual è il rapporto tra l’Università e l’attività zootecnica in Basilicata, con particolare riferimento al settore lattiero-caseario? Sono fortemente integrate tra loro, soprattutto per quanto riguarda la valorizzazione, la tutela e il miglioramento del nostro grande patrimonio di prodotti. È soprattutto in questo senso che è impegnata la nostra facoltà di Agraria. E in che modo interagiscono il mondo accademico e quello zootecnico? Prima di tutto, c’è un corso di laurea specifico in Scienze delle produzioni animali, grazie al quale si può conseguire una laurea triennale, o magistrale, o anche un dottorato di ricerca. Qui si studiano in particolare l’innovazione di prodotto e di processo, come migliorare e valorizzare i prodotti. E poi ci sono progetti di ricerca specifici, finalizzati per esempio a valutare la possibilità di introdurre apparecchiature e strumentazioni diverse e nuove tecnologie, o la convenienza economica di determinate operazioni. E infine, non dimentichiamo che l’Università ha dato l’opportunità di studiare a molti figli di agricoltori lucani.

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Per concludere, quale pensa che sia il ruolo dei giovani e quali le opportunità all’interno del settore lattiero-caseario? Se si esclude la componente delle aziende contadine marginali, per le quali esistono seri problemi, credo che i giovani possano giocare un ruolo fondamentale. E poi c’è un aspetto importante da considerare: la redditività è elevata. �

The dairy sector and Lucanian zootechnics in general are not in danger and, all in all, hold out well despite the difficulties faced by smaller farms. This is the outline traced by Professor Ettore Bove, teacher of Agrarian Economy and policy at the Faculty of Agriculture at the University of Basilicata, according to whom only family-run farms are having heavier problems. “It would be appropriate – Bove explains – for farms to equip themselves with their own processing facilities and somehow succeed in containing production costs”. The main problems concern cattle zootechnics and especially those producers who, apart from having few animals, live in marginal mountain or hill areas where irrigation is impossible. According to the professor, only public intervention, meant as protection of the territory and landscape, can help these farms to recover an income that the simple agricultural activity cannot guarantee and only in this way will it be possible to prevent the producers from abandoning disadvantaged areas. Things are different for two other sectors whose survival is not at risk. One – always in the sphere of cattle zootechnics – is that of bigger-sized farms, localized and bordering on the most suitable areas, near irrigated basins and in inner valleys. These farms can afford to have a high competitive margin, also thanks to the technological efficiency that characterizes them. “And it

is thanks to them – the economist of the Lucanian University maintains – that a real niche of dairy zootechnics is being created which is able to compete with the milk production of Pianura Padana or Germany or France. The milk they produce, even if known only by a few, is a high quality milk, chosen by consumers with a high education level and medium-high income”. The other healthy sector is, in the professor’s analysis, the sheep and goat one, less exposed to competitiveness also thanks to two important Community acknowledgments (for Pecorino di Filiano and Canestrato di Moliterno) and to regular customers. These products can easily be put on the market and obtain higher prices than in the past. Bove goes on to talk about the relationship existing in Basilicata between the University and zootechnic activity, with special reference to the dairy sector and says that they are strongly integrated with each other, above all for valorisation, protection and improvement of the great resources of local products. With regard to this he reminds us that there is a degree course in the sciences of animal productions where they study how to innovate, improve and valorise products and how to intervene in the process, together with a lot of research projects. The professor concludes: “The role of young people is and will be fundamental for the future of the dairy sector. Also because – he guarantees – it assures high profitability”.

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L’emigrazione potentina negli Stati Uniti dal 1881 al 1900 CRISTOFORO MAGISTRO

foto tratte da “I lucani in Argentina. Indagine fotografica sull’emigrazione”, tesi di laurea di Paolo D’Ercole

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Fra le questioni ricorrenti negli studi sull’emigrazione italiana per le Americhe quella riguardante il numero degli emigranti ha un’indubbia rilevanza, ma difficilmente si arriverà mai a sapere quanti furono veramente coloro che lasciarono il paese di nascita per inventarsi una nuova vita altrove. Lo impediscono vari fatti: una parte cospicua di loro partì clandestinamente e da clandestino entrò nel paese d’accoglienza, non tutti quelli che chiesero un passaporto emigrarono e, soprattutto, molti fecero più volte il viaggio d’andata e ritorno. Per questo, un po’ in tutto il continente americano, gli italiani erano considerati uccelli di passaggio e in quanto tali ritenuti inaffidabili. Un motivo in più per guardarli con sospetto. Se quanto si è detto prima è vero, conviene allora concentrare l’attenzione su fonti come le liste passeggeri delle navi che gli archivi governativi statunitensi hanno reso consultabili tramite internet. Sapendo chi emigrò si riuscirà a capire in quanti emigrarono. La banca-dati degli archivi federali USA relativa al nostro paese contiene i nomi di 845.346 italiani che fra il 1855 e il 1900 sbarcarono nei porti di Baltimora, Boston, New Orleans, New York e Philadelphia. Rispetto a quella consultabile sul sito del Museo dell’Emigrazione di Ellis Island che fornisce informazioni soltanto su quanti sbarcarono nel porto di New York dal 1892 al 1924, questa offre diversi vantaggi. Permette di coprire meglio il periodo iniziale del fenomeno, indica gli arrivi negli altri principali porti statunitensi e, soprattutto, consente d’impostare la ricerca sulla base della città di provenienza degli emigrati. È così possibile, impostando la ricerca sulla voce “City/ Town of Last Residence”, sapere, ad esempio, che da Abriola partirono 50 persone, da Matera 161, da Viggiano 300 e così via.


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BASILICATA 1902. Ragazza-copertina, una delle icone del sogno americano

In questo articolo si esaminerà nel dettaglio l’emigrazione per gli USA da Potenza: la banca-dati restituisce 2075 nomi, ma vari indizi portano a credere che non tutti i soggetti che dissero di provenire dal capoluogo dichiararono il vero. D’altronde in 682 indicarono la Basilicata e in 19 la Lucania come città di residenza. È anche certo che vari cognomi furono trascritti erroneamente a causa della scarsa diligenza e conoscenza dell’italiano da parte del personale di bordo addetto e – sembrerà incredibile – del fatto che molti emigranti non erano in grado di indicare correttamente il proprio cognome, ma queste inesattezze poco tolgono all’interesse delle considerazioni che si possono fare sui raggruppamenti di dati così ottenuti. Le domande a cui si darà qui risposta sono le seguenti: chi erano, quanti anni avevano, che lavoro facevano, sapevano leggere e scrivere, in compagnia di chi viaggiavano e in quale classe, da quale porto partivano e quale era la destinazione finale dei potentini? E ancora: in quali giorni mesi e anni avvennero gli arrivi, su quali navi e quanti ne portava ognuna? Non è il caso ovviamente di riportare qui l’intera lista passeggeri, ma si farà un’eccezione per il primo gruppo giunto a New York il 10 agosto 1881. Questo era formato da undici persone fra cui i sette fratelli Mercurio d’età compresa fra gli 8 e i 24 anni, la madre Virginia Capoluogo che di anni ne aveva 45, un Angelo Murro, un Raffaele Rita e un Michele Ligrani. Quest’ultimo era di professione calzolaio, due sorelle Mercurio e la loro madre erano

sarte, tutti gli altri - compresa una bambina di otto anni - erano segnalati come farmer, campagnoli. Il loro grado d’istruzione era sconosciuto, tutti viaggiavano in classe economica nelle condizioni infernali dello steerage (ponte e stiva) sulla nave Vincenzo Florio, il primo piroscafo italiano costruito per la rotta per New York. L’immagine dell’emigrante che viaggia sul ponte e attraversa l’oceano avvolto nella coperta sarà a lungo associato all’emigrazione italiana. Affollamento, promiscuità e scarsa igiene erano considerati normali su tutte le navi addette al trasporto degli emigranti. Spesso c’era un solo servizio igienico per 4-500 persone, in genere a poppa o a prua e quando il mare era agitato diventava rischioso arrivarci. Per lo stesso motivo non si poteva stare sul ponte, mentre l’aria nella stiva si faceva irrespirabile, poiché i boccaporti erano chiusi per non imbarcare acqua. In tali condizioni era frequente l’insorgere di malattie, anche con esito letale, soprattutto fra i viaggiatori più deboli come bambini e anziani. In condizioni meteorologiche favorevoli era possibile giungere a destinazione in trenta-quaranta giorni, ma il calvario di questi pionieri era cominciato forse un mese prima della partenza, poiché avevano dovuto arrivare fino a Palermo per imbarcarsi. Ancora più disagevole era stato per il secondo gruppo, formato da cinque persone, arrivare a Marsiglia per prendere posto sul Ferdinand De Lesseps giunto a New York il 23 novembre del 1881 e per i 49 -122 dall’intera regione - che l’anno successivo dovettero imbarcarsi da Lisbona sul piroscafo Orsola. � 111


� Le partenze da porti stranieri dipendevano il più delle volte dal fatto che la prefettura si opponeva alla concessione di passaporti validi per l’espatrio e molti se ne facevano rilasciare per l’interno per raggiungere la Francia o altri paesi europei e poi spiccare il volo per la grande traversata. Solo dal 1886 ci sono regolari partenze da Napoli e nel 1892 l’Alsatia farà addirittura scalo a Bari. Dopo dieci anni d’esperienza migratoria le partenze a grandi gruppi si erano diradate, ma di un’occasione simile approfitteranno in 46. Ma torniamo ai pionieri dell’emigrazione potentina per vedere chi erano i compagni di viaggio provenienti da altre località della regione. Il 10 agosto del 1881 furono in 472 i passeggeri di terza classe che s’imbarcarono sul Florio dal capoluogo siciliano. Ben 102 erano lucani di vari paesi, il gruppo più numeroso era formato da 33 sanfelesi, seguivano santangiolini, santarcangelesi, atellani e vietresi. Per tre quarti erano registrati come agricoltori, in cinque (tutti di Santarcangelo) s’erano dichiarati proprietari, in tre calzolai, in due mulieri (mule driver), in sette serve di gentiluomini, in due domestiche. Le donne erano 20, i minori di 15 anni solo 16. Si tratta di percentuali molto vicine alle caratteristiche dell’emigrazione nazionale, ma non di quella potentina. A questo riguardo aveva visto bene Ausonio Franzoni, il funzionario

inviato dal presidente Zanardelli a studiare le cause del grande esodo dalla regione, scrivendo nel 1903: L’emigrazione dalla città di Potenza data da molti anni; si diresse nei primi tempi alla Repubblica Argentina, quindi, allettata dal viaggio gratuito, al Brasile; ma attualmente è quasi del tutto indirizzata a New York. Giunta in America è raro assai che abbandoni i centri popolosi e si riversi nelle campagne; il contadino si dedica al mestiere di spazzino e fognatore, gli operai sembra trovino agevolmente mezzo di lavorare nel loro mestiere. Mentre un tempo s’assentavano solo gli uomini adulti collo scopo di ritornare portando seco qualche risparmio, ora impiegano i risparmi stessi nel pagare il viaggio alla loro famiglia che chiamano presso di sé, avendo compreso come questo fatto li renda meno antipatici ai nord americani, inducendoli a favorirli con costante lavoro.

New York, 1902. Bambini addetti alla vendita di giornali in una fotografia di L. Hine

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BASILICATA Anni di età

record

Anni di età

record

Anni di età

record

Anni di età

record 10

0

37

16

53

32

43

48

1

48

17

41

33

41

49

12

2

44

18

25

34

53

50

12 7

3

36

19

30

35

39

51

4

31

20

37

36

46

52

9

5

24

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37

38

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10

6

40

22

66

38

38

54

12

7

42

23

78

39

28

55

8

8

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24

78

40

27

56

7

9

33

25

55

41

27

57

7

10

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67

42

27

58

4

11

31

27

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4

12

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8

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46

16

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3

15

30

31

41

47

19

63

6

totale

548

totale

833

totale

512

totale

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destinazione

Brooklin

Boston

Chicago

Colorado e Denver

Ney York

Philadelphia

Pittsburg

Usa

25

28

64

77

1473

27

10

223

Nota: non si è riportato il nome delle città e degli stati verso cui si sono dirette meno di 10 persone.

Dei 2075 nominativi da qui partiti nel periodo considerato, infatti, ben 810 erano femmine, mentre 533 (di cui 22 con meno di un anno) erano minori. Abbiamo quindi un 39,03 per cento di femmine contro il 25,57 per cento del campionario nazionale formato da 845.368 record e, ancora più indicativo, un 25,72 per cento di minori contro il 18,63 per cento del dato nazionale. “E vedete pure da quante vergogne ci ha salvato l’emigrazione! – scriverà Nitti nel 1888 a conclusione de “L’emigrazione italiana e i suoi avversari”. I nomi di Calvello, Laurenzana, Corleto, Viaggiano, Marsicovetere in Basilicata, Sora, Picinisco e Villa Latina in Terra di Lavoro, di Né e Mezzanego in Liguria, di Boccolo di Tarsi, Bardi e Roccabruna nel Piacentino erano in faccia al mondo sinonimo d’infamia. Ogni anno da questi tristi paeselli partivano torme di bambini per lontane regioni e questi disgraziati da miserabili speculatori erano adibiti in duri mestieri girovaghi. Ogni anno i padri con regolari contratti cedevano a persone ignote i bambini che non potevano mantenere e che andavano a Parigi, a Vienna o in America a disonorare il nome italiano. […] Ma da quando il 18 dicembre 1873 la Camera dei deputati volle colla legge di “Proibizione d’impiego di fanciulli in professioni girovaghe” far finire il triste mercato, dai paesi dove esso avveniva si mosse larga corrente d’emigrazione. E coloro che non riuscivano a vivere nel proprio paese non potendo più sbarazzarsi dei propri figliuoli, emigrarono insieme a essi”.

L’analisi della struttura per età evidenzia chiaramente come, nell’arco del periodo considerato poco meno di tre quarti dei potentini giunti negli Stati Uniti fossero costituiti da persone in età compresa tra i 16 e i 45 anni, la fascia d’età collegabile ai maggiori tassi d’attività nella vita lavorativa. Dei 1310 soggetti appartenenti a questo raggruppamento, si osserva che 792 (pari al 60,5 per cento del totale) appartenevano alla sottoclasse dei più giovani (16-30enni), mentre i restanti 517 rientravano nella sottoclasse degli attivi “più maturi” (31-45enni). �

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PUBLIFOTO OLYCOM SPA


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� Gli ultraquarantacinquenni sono 185, appena l’8,91% del totale e non è detto che anche essi non contribuissero al bilancio famigliare. Fra i maschi il più vecchio in assoluto è Pietro Viola, di 78 anni, fra le femmine Rosa Laurino e Anna Mazzeo, entrambe settantenni. I soggetti di cui non si conosce l’età sono 27, quelli con codice indefinito 26. Per quanto riguarda l’alta presenza di donne e minori, viene da chiedersi se i dati che a loro si riferiscono stiano ad indicare una particolare propensione all’avventura dei potentini che, senza sapere bene cosa avrebbero trovato, partono con mogli e figli o rinviano piuttosto ad una precedente ondata d’emigranti clandestini, ma ormai sistemati, in prevalenza maschi ai quali gli altri vanno a ricongiungersi. La loro vocazione urbana, e in particolare newyorchese, è pienamente confermata dalla tabella sulle principali città di destinazione: Piuttosto scontate e generiche sono le indicazioni sull’occupazione, spesso indicata con rapporti di parentela o condizione (da fratello, figlio, moglie, nipote fino a casalinga, nubile, vedova). In realtà sappiamo che proprio queste categorie saranno impegnate in attività a domicilio rigorosamente in nero e pagate con una miseria. Le donne e i bambini a confezionare vestiti, pizzi, fiori artificiali, sigari, ecc. o a snocciolare arachidi e pistacchi. I bambini come strilloni, lustrascarpe, venditori ambulanti di frutta secca, sigarette, fiori, ma anche come raccoglitori di frutta e garzoni nelle segherie, nelle vetrerie, nelle miniere. Lewis Hine, che per nostra fortuna aveva bisogno di trascinarsi dietro una macchina fotografica per raccontare ciò che riteneva che i suoi concittadini dovessero sapere, ci ha lasciato al riguardo un’imponente documentazione sullo sfruttamento dei bambini delle classi povere negli Usa. Una documentazione eloquente anche per ciò che non mostra poiché attesta, fra l’altro, che, anche a questo riguardo, a fissare i confini dell’impiego dei minori in determinate attività non era la loro pesantezza o pericolosità, ma la linea del colore: i bambini neri e quelli di razza mediterranea potevano fare tutto ma non i fattorini per la consegna di fiori, prodotti alimentari, telegrammi poiché ciò comportava l’accesso nelle case dei buoni americani. Ma torniamo all’esame dell’occupazione dei potentini. Prevalgono nettamente gli operai non qualificati (630 laborer, contro 11 indicati come operative), i braccianti agricoli (indicati in 183 come peasant, in 47 come serventi di campagna, in 25 come agricoltori). Fra i più qualificati professionalmente si segnalano: 2 fornai, 22 barbieri e due parrucchieri, 3 macellai, 7 carpentieri, 2 intagliatori, 3 cocchieri, 2 cuochi, 9 sarte per donna e 25 sarti per uomini, una fioraia, 4 giardinieri, un suonatore ambulante di organetto (grinder) e un musicante, 13 muratori, 2 meccanici, 3 commercianti, un decoratore e un portiere, due tipografi, uno scrivano e un maestro di scuola, 9 tessitrici e un tessitore, 33 calzolai, due minatori e due spaccapietre. Ci sono infine 24 giovani donne fra domestiche e gentleman’s servant. Chiude la lista un prete di 32 anni, Gerardo Marino. �

This article examines the demographic and socio-professional aspects of the migration from Potenza to the United States between the years 1881-1900 through the study of ships logs. In fact, if we consider that the records concerning the passengers reported information such as name, surname, age, sex, job, on-board accommodation, the name of the ship, boarding harbour and date of arrival, education level, last residency and final destination, we can study the phenomenon from the statistical-quantitative point of view. This relatively new source, compared with the town registers of the expatriation authorizations and the passport registers, has the value of “certitude” since it indicates who actually disembarked in an American port and can usefully integrate with traditional archive-based research. The US databank from which the examined data have been obtained contains 845,368 records concerning Italian immigration between the years 1855-1900 and offers, compared with most known Ellis Island archives, the advantage of searching via the emigrants’ town of residency. In the period taken into consideration, more than 24,000 people emigrated from the region to The United States – half the total number of emigrants – of which, 2,075 were from the capital of the region, a considerable number for a town that, during the same time period, experienced a decrease in population from 20,353 to 16,163. In 1904, perhaps in an effort to stop the emigration, which in some areas seemed to lead to depopulation, and after a visit from the president of the council Zanardelli (1902) and Ausonio Franzoni, whom he sent to study the migration question, a law was passed for Basilicata which started the special legislation for the Mezzogiorno. A peculiar aspect of emigration from Potenza is given by the presence of women and children in rates that are considerably higher than the national ones and those of other towns of the region. When specified, employment activities are among the humblest and most generic but good professional profiles are not lacking. The sector of women’s employment is still to be explored.

ENGLISH

BASILICATA

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lorenzo casali

Intervista a Silvia Spaventa Filippi

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M NDO

BASILICATA

Spaventa Filippi, grande giornalista, pedagogo, educatore, scrittore ha diretto per ventitré anni il Corriere dei Piccoli. A distanza di un secolo esatto, a Milano, il Corriere della Sera inaugura a gennaio una mostra per celebrare il suo storico supplemento per l’infanzia, nato il 27 dicembre 1908. Manifestazioni si SONO TENUTE A POTENZA ORGANIZZATE DALLA BIBLIOTECA NAZIONALE E tante si terranno in molti atenei italiani. Ma anche ad Avigliano, sua città d’origine per ricordare la figura di un uomo che creò dal nulla un prodotto di letteratura infantile rimasto ineguagliato. In quest’intervista Silvia Spaventa Filippi, per Mondo Basilicata, parla del nonno E del suo grande rispetto per i bambini

EVA BONITATIBUS

“Conoscete la storia di Puccettino che quando ebbe tolto all’Orco gli stivali di sette leghe si mise per guadagnar denari a correre il mondo al servizio del re? Se la conoscete, sapete che Puccettino di danari ne guadagnò molti con tutto quel correre, ma in fondo non era felice che quando poteva cavarsi gli stivali miracolosi e riposarsi nella capanna di suo padre in fondo al bosco. Così sono i grandi. Essi hanno gli stivali di sette leghe e devono correre il vasto mondo affannosamente, ma sono felici solo quando a casa loro se ne liberano e si riposano, come tanti Puccettini, leggendo il Corriere dei Piccoli...”. Così si affacciava agli albori del ‘900 il primo settimanale dedicato all’infanzia. Il Corriere dei Piccoli, il settimanale illustrato del Corriere della Sera, nacque esattamente cento anni fa sotto la sapiente guida di un lucano, Silvio Spaventa Filippi. Fu un successo di pubblico dovuto non solo all’originale iniziativa editoriale, ma anche al valore strettamente educativo e culturale del giornalino stesso. Silvio Spaventa Filippi lo diresse per ventitré anni, fino alla morte, affidando idealmente la propria creatura alle delicate mani dei bambini. Allacciò con loro un dialogo educativo aperto e spontaneo fatto di racconti, novelle, favole, poesie, personaggi nuovi, espressione di un patrimonio di valori che rispecchiavano la società borghese di quegli anni. Sor Bonaventura, Bilbolbul il bambino africano, Pierino, Pino e Pina, Lela e Lalla, Quadratino e nonna Geometria, Pippotto e il caprone Barbacucco, il gattino Mio Miao, Sor Pampurio e tanti altri simpatici personaggi ne animavano le pagine. Insomma il Corriere dei Piccoli fu una carezza che Silvio Spaventa Filippi rendeva tutte le volte ai suoi amati lettori. In occasione del centenario del “Corrierino”, fervono in tutta Italia i preparativi per celebrare l’importante anniversario. A partire dalla grande mostra che il Corriere della Sera di Milano allestirà nel mese di gennaio con tutti i numeri �

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� della pubblicazione del Corrierino, alle conferenze negli Atenei italiani sulla figura e l’opera di colui che portò in auge la letteratura infantile. Anche nel suo paese natale, Avigliano, si terranno manifestazioni celebrative finalizzate a ricordare la grande figura di Silvio Spaventa Filippi. Abbiamo voluto ripercorrere la vita del Corriere dei piccoli insieme alla nipote del suo ideatore, la professoressa Silvia Spaventa Filippi, docente di Italiano e Latino al Liceo Scientifico di Varese, città in cui vive. Figlia di Leo Spaventa Filippi, pittore dalla notevole forza espressiva, personalità di spicco del Novecento italiano stimato e conosciuto, scomparso dieci anni fa, ha alle sue spalle una grande famiglia che le ha trasmesso una ricchezza di valori che ora porge alle generazioni di studenti e alla sua adorata bambina. Il 27 dicembre 1908 nasceva il Corriere dei Piccoli, supplemento illustrato del Corriere della Sera, per mano di Silvio Spaventa Filippi, interamente dedicato all’infanzia ed all’adolescenza. Come vedrebbe oggi il Corrierino di suo nonno? Molti oggi vedono il Corriere dei Piccoli anacronistico. Io invece continuo a sostenere che portare avanti un giornale di quella valenza pedagogica significa lanciare una sfida molto positiva. A Muggiò, un piccolo centro in provincia di Milano, esiste un circolo culturale che sta cercando di far nascere un giornale analogo, al fine di riportare la letteratura infantile alle antiche glorie. Cosa pensa dell’attuale panorama giornalistico, secondo lei c’è spazio per un progetto editoriale

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di così ampio respiro e così attento alla fascia dei più piccini? Non c’è attenzione verso il bambino e il suo mondo. Come diceva Silvio Spaventa Filippi il bambino non è un adulto menomato, ma un uomo intero, con la propria personalità, con i suoi gusti già formati, con la sua dignità già matura. Insomma è una persona da cui cercare di estrapolare le proprie attitudini, stimolandole e portandole a maturità. Mio nonno rispettava il fanciullo quanto un adulto e ripeteva che ciò che non piace ai grandi non può piacere nemmeno ai bambini, e ciò che piace a loro piace per converso anche ai grandi. Oggi si tenta di colmare questo vuoto con altre scelte. Penso al consumismo legato all’invasione di personaggi di fantasia che non esprimono cultura se non il loro uso fine a se stesso. Tutto ciò deve farci capire quanta sterilità ci sia nei giornali di oggi. Ciò che emerge dal Corriere dei Piccoli è la sua funzione pedagogica. L’organo diretto da suo nonno si poneva quale interlocutore delle famiglie italiane e a loro rivolgeva il suo messaggio. Qual era il progetto educativo che ne reggeva l’impianto? Il progetto educativo perseguiva l’obiettivo di stimolare e portare il bambino a ragionare con la propria testa. Attraverso la lettura di storie di valore si voleva indurre il bambino a distinguere il bene dal male. In questo veniva rispettata la sua personalità e sollecitata la sua intelligenza. Mio nonno riteneva si dovesse educare innanzitutto alla sincerità, all’immediatezza, allo scrivere come si pensa o si parla, o meglio a pensare e a parlare con quella sincerità ed eleganza con cui bisognerebbe scrivere. Dimostrò di essere molto all’avanguardia e il Corrierino ne rifletteva pienamente il carattere innovatore con le sue tavole colorate, le novelle illustrate, i romanzi a puntate, andando a soddisfare, così, le esigenze di tutte le età. Attraverso storielle semplici cercava di proporre ed affrontare problemi “adulti” in nome di valori e di sentimenti che potevano coinvolgere sia il bambino, sia il genitore.


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BASILICATA IN BASSO: “Corriere dei piccoli” - Anno XVII - N. 49 del 06.12.1925 Archivio Biblioteca Nazionale di Potenza

Ci può raccontare “come fu e come non fu”, parafrasando il primo editoriale dello Spaventa Filippi, che nacque il Corrierino? Inizialmente Luigi Albertini, editore del Corriere della Sera, aveva pensato di affidare il progetto di un giornale per ragazzi alla figlia di Cesare Lombroso, il noto antropologo, una giovane studiosa di problemi educativi, giornalista e scrittrice per l’infanzia. Ma vi furono alcune divergenze che indussero i dirigenti del Corriere ad affidare la guida del nascente periodico a Silvio Spaventa Filippi, già collaboratore del Corriere, essendo dal 1903 chiamato ad assumere la direzione del “Romanzo mensile”, incarico che mantenne fino alla morte. Albertini, in seguito a varie riunioni di redazione in cui chiese ai suoi giornalisti di proporre idee per il nuovo giornalino, insoddisfatto perse la pazienza, fece un fascio del materiale e lo affidò a Spaventa Filippi. Così nella magica atmosfera natalizia, era il dicembre 1908, nacque una nuova creatura che il neo direttore del Corriere dei Piccoli affidò ai più piccini. “Trattatelo con garbo, ragazzi – scrisse nell’editoriale – voi che siete più grandi di lui, e vogliategli bene almeno quanto egli ve ne vuole. Pensate che è venuto al mondo con una sola speranza: quella di piacervi”.

Quali grandi novità resero così originale e interessante il settimanale? La grande novità fu lo scritto illustrato, ossia le illustrazioni attraverso le quali raccontare storie e novelle. Mio nonno decise sin dall’inizio di non seguire i cliché dei giornali dell’epoca che prediligevano invece la nuvoletta o la vignetta. Introdusse l’uso della didascalia scritta e disegnata, adattando all’illustrazione versi ottonari, così da sviluppare la fantasia e l’immaginazione del lettore. Favorì quindi l’attività di bravi disegnatori come Rubino, Bisi, Sto (Sergio Tofano) e tanti altri. Era lui che sceglieva le firme dei giornalisti e dei fumettisti che dovevano collaborare al suo Corriere dei Piccoli. Firme importanti erano, oltre quella del già citato Antonio Rubino (dalla cui penna prendevano vita i suoi personaggi), quella di Bruno Angioletta con il suo Marmittone, la recluta che finiva sempre in prigione, di Giovanni Manca creatore del personaggio di Pier Lambicchi. Come pure Ugo Ghiron con i suoi giochi linguistici, Lina Schwarz e Ada Negri per la poesia. In un suo scritto, pubblicato dal Circolo culturale “Silvio Spaventa Filippi” di Potenza nel 2003, lei definisce suo nonno “l’amico dei bambini, perché �

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Il giornalino si occupava a tutto tondo del mondo infantile e adolescenziale. Dalla letteratura, alla salute, all’igiene, all’alimentazione, alla filatelia, alla corrispondenza con i lettori. Qual era la rubrica che incontrava più delle altre il favore del “piccolo” pubblico? Non c’era una rubrica che piacesse più delle altre, erano tutte ben equilibrate. Tutto era seguito con grande attenzione. Tra quelle già citate c’erano anche le rubriche dedicate alla musica, alla poesia, alle norme comportamentali ed igieniche. Si prestava molta attenzione all’alimentazione del bambino, che fosse corretta e proporzionata agli impegni quotidiani. Nulla era affidato al caso e tutto veniva spiegato con rigore scientifico e al contempo con semplicità. Silvio Spaventa Filippi pedagogo, educatore, giornalista, scrittore, critico letterario. Cos’altro fu? Fu uomo di cultura. Tradusse anche e scrisse romanzi. Era un appassionato della cultura, lui voleva entrare dentro al mondo per poterlo assorbire integralmente nella sua variegata ricchezza e offrirlo ai suoi lettori grandi e piccini. Era un uomo dalla straordinaria saggezza. Io ho avuto modo di leggere tutto ciò che ha scritto ed ho redatto la mia tesi di laurea sulla sua opera. Nonostante non abbia potuto conoscerlo, perché è scomparso molto prima che io nascessi, ho respirato sempre e ovunque la sua presenza.

� nessuno più di lui sapeva farsi bambino”. Fu questa,

ENGLISH

forse, la chiave del successo del settimanale? Assolutamente sì. Lui aveva la straordinaria capacità di farsi bambino, perché conosceva e capiva la psicologia infantile. Attraverso le pagine colorate e vivaci del Corrierino voleva far comprendere all’adulto che ciascuno di noi conserva dentro di sé un’anima fanciullesca e pura, come lo stesso Pascoli ha insegnato a migliaia di generazioni di scolari con la sua poetica del Fanciullino. Mio nonno esprimeva con la sua attività giornalistica tutto l’amore per l’universo bambino.

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Qual è l’eredità che ci ha tramandato? Silvio Spaventa Filippi è senz’altro una personalità da emulare. Lui ha raggiunto un equilibrio in virtù della scelta dello stile di vita, soprattutto in qualità di educatore. Ha insegnato che ciascuno di noi deve essere educatore dell’altro.

IN ALTO, SILVIO SPAVENTA FILIPPI

Lei si chiama esattamente come suo nonno. Come ha inciso nella sua vita privata e professionale il nome che porta? È un nome importante che mi ha lusingata a scuola e poi all’Università, perché tutti lo conoscevano. Io sono sempre stata presentata come la figlia di Leo e la nipote di Silvio. Oggi mi piacerebbe essere presentata come me stessa. �

One hundred years after the foundation of the “Corriere dei Piccoli”, the illustrated weekly of the Corriere della Sera, the whole of Italy is ready to remember the salient steps in the life of the comic and its creator and editor, Silvio Spaventa Filippi, a Lucanian born in Avigliano. In fact, his idea of founding a paper totally dedicated to childhood and the educational project as the basis of his new editorial initiative was considerable. The Corrierino came into existence on 27th December 1908, in the magical Christmas atmosphere, and in his first unforgettable editorial Silvio put into the delicate hands of children the new creature in need of affection that he was hoping they would enjoy. We have met his granddaughter, Professor Silvia Spaventa

Filippi, a teacher of Italian and Latin at the Science secondary school of Varese, the town where she lives. She is the daughter of another great name of national culture, Leo, a famous, much appreciated painter who passed away ten years ago. With Professor Silvia we wanted to trace the steps of the Corrierino, of “how it was and how it was not”. The editor Albertini had entrusted the task of designing a children’s magazine to the daughter of the famous anthropologist Cesare Lombroso, a young girl who was studying educational problems but there were some differences of opinion and the management of the Corriere decided to commit the task to Silvio Spaventa Filippi, who was already collaborating with the newspaper.


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BASILICATA

da: “Corriere dei piccoli” - Anno LI - N. 8 del 22.02.1959 Archivio Biblioteca Nazionale di Potenza

The new press medium addressed childhood and adolescence through its attention to stories, tales, short stories, poetry, music, all columns aimed at stimulating a child’s intelligence. It did it through an important novelty, the introduction of illustrations through which the drawn characters spoke in octonary verses. The work achieved success through Spaventa Filippi’s great ability to make himself a child; he in fact loved to remind us that everyone remains partly a child and in every one of us there is the purity which is typical of children. Therefore the Corrierino was addressed not only to them but also to their families and its internal structure was rich in topics of cultural substance and proposed many columns which fully satisfied the needs of all ages.

The educational project was aimed at stimulating children into reasoning with their own minds. Through the reading of valuable stories, they wanted to introduce children into the understanding of what was good and what was bad, that is; to distinguish between good and evil. This followed their character and their intelligence was incited. “My grandfather – Silvia remembers with emotion – was convinced that children had to be educated to, above all, sincerity, to write what they think or say, or better, to think and speak with that sincerity and elegance with which we should write. He demonstrated that he was extremely ground-breaking and the Corrierino fully reflected his innovative character with its coloured tables, illustrated stories and serialized novels”.

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Il “Cantore” di un popolo con la valigia “Le vie dell’emigrazione sono infinite.” E lungo queste vie si avventura la prosa vibrante e semplice di Renato Cantore, che, alla ricerca di un’identità lucana non perduta, ma “altrove”, riporta in patria l’anima e la memoria di quel vivere lucano ed essere globale di quel “sentirsi cittadini del mondo senza rinunciare alle proprie radici”

ROMINA INCISO

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BASILICATA IQUIQUE. INAUGURAZIONE DEL MONUMENTO ALL’EMIGRANTE, REALIZZATO DALL’ARTISTA LUCANO ANTONIO MASINI

Ricordati di ricordare... E così, con questa volontà di memoria, che si apre il senso di Lucani altrove. Un popolo con la valigia, (Ed. Memori, 2007), giunto alla sua terza ristampa: “un diario di viaggio a più voci”; brandelli di ricordi remoti riportati alla luce, senza che possano apparire un’aspra tragedia dello stato umano. È un “Cantore” lucano ad aver rispolverato questi archivi della memoria, con una parola-chiave: Emigrazione; e grazie ad un giro delle tante “Basilicate” sparse per il mondo dapprima in video (con tanto di microfono e telecamera al seguito) e poi in 241 pagine. Vincitore del “Premio Speciale Letterario Basilicata 2007” nella sezione “saggistica”, su questo diario è piovuto un successo di vendite e di critica inaspettato da parte dell’autore, il capo redattore del Tgr Rai Basilicata, Renato Cantore. Un clamore forse legato al fatto che le esperienze di tanti emigranti danno origine a documenti che assumono un significato letterario in quanto hanno un loro significato umano e in cui la vena e la curiosità di un giornalista televisivo per un momento si ferma, non incalza, ma rimane in ascolto. È un cammino a ritroso nel tempo, quello che lo scrittore compie. Nel tempo di chi non ha avuto, tra la fine dell’ ‘800 e la metà del ‘900, paura di naufragare, ma ha creduto che tutto ciò che fosse straniero potesse essere di per sé migliore... migliore di quel che poteva offrirgli la propria terra. “Restare o andare. Lasciarsi prendere dall’incanto un po’ paludoso della vita di paese, o tentare l’avventura dell’emigrazione”. Questo era il problema per molti giovani del Sud d’Italia – ricorda nella prefazione la famosa regista Lina Wertmüller. E davvero numerosi furono i giovani di II e III classe che scelsero di andare, che lasciarono il proprio nido per volare incontro al sogno americano e non solo. “E da dove poteva mai cominciare questo viaggio se non da New York” – spiega l’autore – ove tutti sono stranieri e tutti diventano americani. Nel cuore della Grande Mela, Renato Cantore, attraverso una prosa nitida, fa pulsare “una lucanità fatta non solo di prodotti tipici e nostalgia”, ma soprattutto di grandi successi e fiera intraprendenza. Veri e propri businessmen si sono fatti largo tra le strade di New York. E di tutti, da contemplatore, scruta e coglie, senza ombra di affettazione, il senso dell’orgoglioso riscatto. Questo viaggio non è, però, costellato solo di incontri con uomini che sono riusciti ad emergere. Con pudore e sincera ammirazione poche pagine dopo viene mostrata un’altra faccia dell’emigrazione: racconti di chi ha dovuto immergersi, per più di 25 anni, nel “buio” delle miniere belghe, di chi “non si sente un eroe, ma nemmeno un sopravvissuto”. Racconti svelati con grande rispetto e intensità emotiva, senza alcuna traccia di retorica, dove si respira una calma elegiaca e dove � 123


RENATO CANTORE E DOMENICO PINTO, TITOLARE DELLA FERRARI DRIVING SCHOOL DI NEW YORK

� il passato, cagione di affanni, pare un sogno. Come in una trottola narrativa, il lettore viene condotto al di là dell’Atlantico, ove infinita è la lista dei lucani da incontrare. Prima a sud, ad es., a Caracas, ove “tra grattacieli e ranchitos” la malinconia per il proprio paese, piena di forza e di speranza, si scioglie in una continua celebrazione delle proprie origini e in quotidiane riunioni. E poi un po’ più a nord, a Toronto, sulle onde medie di “Radio Chin” tra lucani “non solo con due lingue, ma anche con due cuori e due cervelli”, tratteggiati con una certa vivacità e in cui si riscontra una forza attiva, una speciale intelligenza artistica. L’emigrazione lucana, tuttavia, non è solo “a stelle e strisce”. Ha anche il colore dell’Africa, ove la felicità, quella maiuscola, forse non esiste, ma certo esistono tante piccole felicità racchiuse nei gesti minuti dell’esistenza. È il racconto dell’opera di Fra Prosperino da Montescaglioso a regalare questo sentimento. Un quadro, reso con grazia, dove l’autore lascia che le

Lo scaffale delle novità lucane Raffaele Nigro Giustiziateli sul campo. Letteratura e banditismo da Robin Hood ai giorni nostri Rizzoli, ottobre 2006 698 pagine, euro 26,00 La figura del bandito è tra le più ambigue e controverse della storia. Da personaggio leggendario circonda-

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cose e le persone parlino da sé, dove trionfa una forza impetuosa che scuote l’anima. L’emigrare di Fra Prosperino è stata “una missione”. Aveva il volto della solidarietà e della speranza coraggiosa. Ha un nome ben preciso: “Unione Generale delle Cooperative”, perché “l’annuncio della parola di Dio” in Mozambico “doveva avvenire insieme all’indicazione della strada per sollevarsi dalla miseria.” I cittadini lucani del mondo che abitano questo diario non indossano, però, solo abiti maschili. Diverse pagine sono ricche di momenti, intimamente sentiti con cuore pronto a commuoversi, di un’emigrazione al femminile, vissuta silenziosamente, ma con grande forza. E a queste mogli, madri e figlie si dedica a Francoforte, da circa 20 anni, con grande energia un’altra donna lucana “in esilio”, la free-lance Marcella Continanza, che ha voluto fondare un’associazione intitolata a Isabella Morra e un giornale “per dare voce a chi è abituata a non essere mai interpellata, e per

to da un alone romantico come Robin Hood – il gentiluomo che rubava ai ricchi per donare ai poveri – al malvivente sanguinario che semina terrore e calpesta la legge, come il terribile brigante Gasparoni, il bandito è sempre riuscito a ritagliarsi una posizione di spicco nel nostro immaginario. Nel mare magnum di eventi e di storie, Nigro ha intrapreso il difficile compito di raccogliere e catalogare in uno studio unitario e imprescindibile la letteratura sul banditismo in Italia dal medioevo ai giorni nostri. Gaetano Cappelli Storia controversa della

inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo Marsilio, luglio 2007 189 pagine, euro 15,00 Un romanzo ironico e dissacrante, che irride quelle che sembrano le verità acquisite della Storia per affidarsi a una memoria più sottile la cui voce si ascolta a volte nel soffio del vento. Al centro l’Aglianico cui ruotano tutto intorno i personaggi del romanzo, con intrecci tutti particolari e incontri fortuiti tra amici, che hanno il pregio di cambiar la vita a qualcuno di loro. Alessandro De Sortis Cesare e Cristo. Verso una nuova


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Remember to remember… This will of memory opens Lucani altrove. Un popolo con la valigia (translator’s note: Lucanian elsewhere: a population with the suitcase): “travel book in the plural”; shreds of memory brought again to light by the many Lucanians scattered all over the world. It is a Lucanian “Cantore” (translator’s note: cantore means cantor) who has rediscovered these archives of memory, through a path backwards in time and a key word: Emigration. “In the Nineties – the author Renato Cantore, the managing editor of TGR RAI Basilicata, says – “the interest in knowing more about the many “Basilicatas” dispersed throughout the world” came up inside me”. But in 2000 this wish transforms: a world tour first in a video and then in 241 pages. “And from where could this tour start if not from New York…” In the heart of the Big Apple “a Lucanity not only made up of typical products and nostalgia but above all of great success pulsates. Out-and-out businessmen have made their way on the streets of New York. However, this journey is not only dotted with men who succeeded in standing out. With discretion, a couple of pages later, he shows the other side of emigration: stories of those who had to immerse themselves in the “darkness” of Belgian mines. Stories of those who “do not feel like heroes but neither survivors”. By an awesome narrative spinning top we are, again, dragged beyond the Atlantic Ocean. First down South, for example in Caracas, where “between skyscrapers and ranchitos”, the Lucanians who have succeeded celebrate their condition of emigrants who

turned their grandparents’ dream into reality”. And then, up North, in Toronto, on the middle waves of “Radio Chin” among Lucanians “who not only have two languages but also two hearts and two brains”. Nevertheless Lucanian emigration is not only “stars and stripes”. It also has the colour of Africa, where happiness, with a capital letter, maybe does not exist but surely there are many small moments of happiness contained in the little gestures of existence. It is the story of the work of Friar Prosperino from Montescaglioso that gives this feeling. His migration was mission”. He had the face of solidarity and brave hope. It has a precise name “General Union of Cooperatives”. Moreover, the Lucanian universe of this diary is also rich in moments of female emigration. And another “exiled” Lucanian woman, the free-lancer Marcella Continanza devotes herself to these wives, mothers and daughters; she founded an association dedicated to Isabella Morra “to make lots of hidden aspects of Italian women’s condition emerge from darkness […..] in Germany”. Thus, we find Renato Cantore’s travel book which won the “Special Literary Award Basilicata 2007” in the essays sector, surprisingly moving. Moving voices plough through his soul and calm writing. Stories “now of nostalgia now of compensation”. Stories that, after all, just confirm what several years ago another exceptional Lucanian, Leonardo Sinisgalli, said: “Lucanian you are born and Lucanian you remain”.

fare emergere dalla oscurità tanti aspetti nascosti della condizione delle donne italiane […] in Germania”. Un diario di viaggio emozionante quello di Renato Cantore. Altre commoventi voci solcano il suo spirito e la sua pacata scrittura. Storie “ora della nostalgia ora della rivincita”. Storie che ricamano una finissima geografia sentimentale dell’animo umano. Storie che risuonano armoniose dove un linguag-

gio diretto e comune, segno dell’umiltà di tanti emigranti, vibra senza stonare affianco ai tanti nomi celebri di quartieri e luoghi stranieri, e da una prosa a tratti divertente quando ci s’imbatte in slang italo-americane, come “buona jobba” o nei tanti nomi stranieri associati ai cognomi di chiara provenienza lucana. Storie che, in fondo, non fanno che confermare ciò che ebbe a dire diversi anni fa un altro lucano d’eccezione, Leonardo Sinisgalli: “Lucani si nasce e si resta.” Anche “altrove”. �

teoria delle relazioni tra Chiesa e comunità politica Prefazione del sen. G. Andreotti. Rubettino Editore, 2007 226 pagine, euro 15,00 A partire da una innovativa lettura del recente Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, si intende cogliere la priorità della società civile sulla comunità politica, in forza del principio del bene comune e del criterio regolativo delle libertà. Giancarlo Tramutoli Uno che conta

Manni Editore, marzo 2007. 94 pagine, euro 12,00 Romanzo. Il personaggio protagonista ha l’ossessione egocentrica anormale che non gli consente di stare in mezzo alla gente. Tutto è in salita nella sua vita, e ciò che per gli altri è semplicissimo, per lui diventa complicato. Si tratta di una caricatura che l’autore ha compiuto, grottesca ed esasperante. Luigi Pentasuglia Leonardo l’eretico. L’apocalisse nei capolavori

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del genio vinciano Ed. Basileus, Matera, 2006 102 pagine Esiste sul serio un Codice segreto ‘Da Vinci’? Al contenuto più che altro fantastico e romanzesco del recente best seller di Dan Brown, l’autore di questo libro contrappone una tesi sceintifica sul pensiero esoterico di Leonardo. Partendo dalla sua specifica area di competenza, la musicologia, L.P. allarga gli orizzonti della sua ricerca verso nuovi ambiti, inoltrandosi, oltre che nel campo dell’iconografia, in quelli dell’embriologia, della psichiatria, della semiologia, della filosofia gnostica e della storia dei templari. (Eva Bonitatibus)

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Mineurs

il lavoro, la vita, le lotte nelle miniere

CONTINUA A RICEVERE CONSENSI IL FILM DEDICATO ALL’EMIGRAZIONE DEI LUCANI IN BELGIO. SCRITTO E DIRETTO DA FULVIO WETZL E VALERIA VAIANO, “MINEURS”, CHE GIOCA SUL DOPPIO SIGNIFICATO DI MINATORI E MINORI, È STATO INTERPRETATO DA FRANCO NERO, ANTONINO IUORIO, COSIMO FUSCO, ULDERICO PESCE MA, SOPRATTUTTO, DA QUATTRO ADORABILI BAMBINI

gerardo rosa foto di antonio farina 126


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Giffoni Film Festival 2007, Los Angeles Italia Film, Fashion and Art Fest, Festival di Annecy e Villerupt in Francia, quello di Castellinaria di Bellinzona in Svizzera, luoghi deputati alla celebrazione dell’arte, quella che si racconta tramite l’occhio attento della macchina da presa, spazi di incontro tra culture cinematografiche, platee di addetti ai lavori. In questi importanti contesti il film Mineurs di Fulvio Wetzl, realizzato con Valeria Vaiano, che gioca sul doppio significato di minatori e minorenni ha sempre raccolto consensi e validi giudizi di critica. “I piccoli minatori” sfidano “Ratatouille” e “Shrek Terzo” ha titolato la Stampa in occasione della 37ª edizione di Giffoni Film Festival, su Repubblica si è parlato del film definendolo “cinema che emoziona”, mentre Giancarlo Zappoli sul sito specialistico Mymovies lo ha promosso a “film popolare, nel senso migliore del termine”. Ovviamente, non sono mancate le critiche. Per alcuni si è tratto di “uno strano film paratelevisivo, che per alcuni aspetti ricorda le atmosfere di lavori come “E le stelle stanno a guardare”. Critiche alle quali Fulvio Wetzl e Valeria Vaiano rispondono affermando che “siamo orgogliosi del lavoro fatto. Un lavoro realizzato per riportare alla memoria pagine dolorose per molti italia-

ni. Un’avventura intrapresa allo scopo di riflettere in maniera concreta, senza cadere nella retorica. Un obiettivo che forse siamo riusciti a centrare perché non ci siamo limitati a parlare solo del tema dominante, ma abbiamo regalato efficaci zoomate sulla famiglia, sull’adolescenza, sul rapporto cultura-storia”. Un mosaico cinematografico che ricompone le vite spezzate ma anche arricchite dall’esperienza migratoria in un ritratto corale di donne e uomini. Ma è nelle scuole che Mineurs ha raccolto gli elogi più genuini. I bambini a cui continuano a presentarlo mostrano di gradire. Curiosi e partecipi diventano critici dal palato fine. E questo a Wetzl e a Valeria Vaiano coprotagonista e cosceneggiatrice, da tempo impegnati a divulgare nelle scuole la settima arte, fa molto piacere. Il film, prodotto da una joint venture tra Regione Basilicata, Assessorato alle Attività Produttive, Assessorato alla Cultura, Provincia di Potenza, Provincia del Limburg in Belgio, Fiat Sata di Melfi, Gal Vulture-Alto Bradano, Acli del Belgio e Commissione Regionale Lucani all’Estero e con il contributo degli undici comuni dove si sono svolte le riprese, racconta la storia dimenticata della massiccia emigrazione negli anni ‘50-’60 dalla Lucania verso le miniere del Belgio.

La prima parte si svolge in Basilicata in un paese nato sulla scena. Wetzl ha unito, in maniera intelligente, strade, piazze, scorci, chiese, monumenti degli undici comuni coinvolti Acerenza, Atella, Bella, Cancellara, Genzano, Oppido, Rapolla, Rionero, Ruoti, San Fele, Satriano di Lucania. E così si vede la bella fontana Cavallina di Genzano, la scalinata della parrocchia di San Fele, il santuario di Pierno, i vicoli di Oppido, Acerenza, Ruoti, il lavatoio di Atella. L’obiettivo si sposta, poi, in Belgio, quello che nei sogni dei tanti emigrati alla ricerca disperata di una vita migliore, veniva visto come l’eden e che si manifesterà, invece, come una vita senza luce. Una storia vista attraverso gli occhi e la sensibilità di un gruppo di ragazzini, interpretati da quattro straordinari piccoli attori lucani: Walter Golia e Tiziano Murano di Bella, Federico Materi di Potenza e Tommaso De Luca di Tito. In uno sforzo di verità, la cinepresa si è soffermata sulle sofferenze consumate nel buio delle miniere, sulle speranze di riscatto che animavano i tanti emigrati, ma anche sugli sforzi compiuti per tentare una integrazione che, a volte, assumeva toni disperati. Con gli occhi di Armando, che insiste con il padre (Franco Nero) per scendere in miniera, sarà per noi possibile vedere il mondo alla rovescia. �

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� Un mondo invaso dal rumore, dalla polvere in cui migliaia di uomini stavano anche 8 e, addirittura 16, ore senza riuscire più a sapere distintamente quali erano le mani e quali i piedi. Sempre Armando insieme a Egidio ci mostreranno le difficoltà di ogni giorno in una terra che non è la loro, la diffidenza dei compagni di scuola, le difficoltà con il fiammingo e il francese, ma anche il buon cuore di una maestra illuminata che riesce, in un certo qual modo, ad affievolire il disagio imponendo la lettura di un giornale italiano con tutto questo che esso comporta: ribaltamento dei ruoli e conseguente accettazione della diversità. La figura della maestra è affiancata da un’altra importante: quella del maestro delle elementari in Lucania, Fernando, impersonato da Ulderico Pesce che con passione trasferisce ai suoi alunni la bellezza dei versi di “Monete rosse” di Leonardo Sinisgalli.

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Declamando la poesia, il maestro si prefigge l’obiettivo di far capire cosa si nasconde dietro un gioco antico, quello delle monetine lanciate contro un muro. Un gioco che va oltre il semplice divertimento, diventando una sfida, una battaglia da vincere, ciò che è poi la vita e, forse ancor di più, per quei bimbi lucani su cui incombe l’incognita dell’ ‘altrove’. A queste figure che incarnano la potenzialità intesa nel senso di un riscatto dei giovani dalla loro condizione di difficoltà nella quale si trovano costretti, si contrappone l’esplosione del grisou, la miscela esplosiva che nell’oscurità di un mondo ignoto e pieno di insidie ha dato origine a tanti disastri. Altro argomento che affiora all’inizio del film ma che assume contorni più netti poi alla fine è il rapporto delle donne con il fenomeno dell’emigrazione”. Aspetto spesso trascurato, o taciuto il tema viene qui restituito con efficace e poetica immediatezza attraverso la bella interpretazione di

Valeria Vaiano che veste i panni di Vitina, la madre di Armando. Una tipica donna del Sud che vive con grande spirito di adattamento, ma che sa diventare caparbia e determinata quando deve rivendicare una casa migliore per la sua famiglia, che non si lascia travolgere dallo smarrimento per le difficoltà di inserimento nella nuova realtà e sa anche essere ottimista e solidale. Le musiche sono di Salvatore Adamo, il montaggio di Antonio Siciliano, la fotografia di Ugo Lo Pinto. Nel cast attori noti (Franco Nero e Antonio Iuorio) e attori lucani Cosimo Fusco e Ulderico Pesce, e Giuseppe Di Palma, Agostino Martucci, Nicola Pugliese, Leonardo Lo Vaglio, lucani che avevano già lavorato con Wetzl in precedenti mediometraggi e tanti esordienti Chiara Lostaglio, Cristiana di Trani, Donato Telesca, Canio Giordano, Titti Lanzetta e Roberto Pignataro. �


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L’odissea dei musi neri In seguito all’accordo stipulato dal governo De Gasperi nel 1946, l’Italia concordava con il Belgio l’invio di lavoratori addetti all’estrazione del carbone nelle miniere. In cambio il governo belga, oltre alla fornitura di stipendio, di vitto e alloggio ai lavoratori interessati, si impegnava ad offrire all’Italia del carbone estratto e in notevole misura: 2500 tonnellate del prezioso fossile ogni 1000 uomini. Fu così che l’Italia, attratta da questa prospettiva economica allettante anche per le stesse industrie italiane affamate di materie prime per sostenere e dare vigore ad una produzione economica che sarebbe poi diventata importante, decise di inviare tanti uomini. In un Sud Italia che soffriva di una condizione economica disagiata la prospettiva di un lavoro sicuro spinse molti uomini ad abbandonare la propria terra d’origine e le proprie famiglie per spingersi oltralpe in cerca di quella fortuna che avevano inutilmente cercata in Lucania. Solo nel 1948 furono 46.000 quelli che lasciarono il Bel Paese per diventare “musi neri”, come li chiamavano i belgi per la polvere che perennemente copriva il loro viso. Ma l’arrivo dopo l’odissea del viaggio era l’ingresso nell’inferno dantesco: stanchi dopo quasi 2 giorni di viaggio, venivano scaricati nella zona merci, lontana da quella dedicata ai passeggeri, caricati su dei camion, disinfettati e portati alle miniere. Come dimora le baracche lasciate dai nazisti. Veri e propri tuguri a cui tentavano di dare una parvenza di casa con i ricordi che avevano portato con sé, con le speranze di un ritorno sereno in un mondo che, da lontano, assumeva la forma di un sogno, di un’oasi di pace. � (Gerardo Rosa)

Giffoni Film Festival 2007, Los Angeles Italia Film, Fashion and Art Fest, Festival of Annecy and Villerupt in France, that of Castellinaria di Bellinzona in Switzerland, places devoted to celebrate art, art which recounts itself through the careful eye of the cine camera, places of meeting between film cultures, stalls of insiders. In these important contexts, Fulvio Wetzl’s film Mineurs, made with Valeria Vaiano, which plays on the double meaning of miners and minors has always received critical acclaim. “The young miners challenge “Ratatouille” and “Shrek 3” was the headline in the La Stampa newspaper on the occasion of the 37th edition of the Giffoni Film Festival, while La Repubblica spoke about the film and defined it as “cinema which moves you”, and Giancarlo Zappoli, on the specialized site mymovies, has described it in terms of “a popular film, in the best possible meaning”. But in schools “Mineurs” has garnered the most “genuine” praise. Children attending the several screenings have demonstrated their enjoyment. Curious and participatory, they have become sophisticated critics. And Wetzl and Valeria Vaiano, the co-star and co-screenwriter, who have been long committed to disseminating the seventh art in schools, were extremely pleased with it. The film was produced through a joint venture between the Basilicata Region, the Department of Productive Activities, the Department of Culture, the Province of Potenza, the Province of Limburg in Belgium, Fiat Sata of Melfi, Gal Vulture-Alto Bradano, Acli of Belgio and the Regional Committee of Lucanians Abroad and with contributions from the eleven towns where the shoots where held: Acerenza, Atella, Bella, Cancellara, Genzano, Oppido, Rapolla, Rionero, Ruoti, San Fele, Satriano di Lucania. It tells the forgotten story of the massive migration throughout the ‘50s and ‘60s from Lucania to the Belgian mines as seen through the eyes of a group of young boys, whose roles were played by four extraordinary young Lucanian actors: Walter Golia and Tiziano Murano from Bella, Federico Materi from Potenza and Tommaso De Luca from Tito. In a effort for truth, made under the sign and in the tradition of demo anthropological cinema, the camera dwells on the sufferings worn out in the darkness of the mines, on the hopes for ransom that animated the numerous emigrates, but also on the efforts made to try and integrate which sometimes warranted desperate measure. The frame of this, thus used in the promotion of the region, a village created by cutting together streets, squares, views, churches and monuments from the eleven villages involved, therefore it is possible to see the beautiful Cavallina fountain of Genzano, the stairs of the parish of San Fedele, the sanctuary of Pierno, the lanes of Oppido, Acerenza, Ruoti, the wash-house of Atella. Everything is lead by the film director’s need to solidify memories, reflect and recount a page of our history. A crude history narrated through the genuineness of the four protagonists, who are not at all frightened by the camera. The music was written by the Italian-Belgian singer-songwriter Salvatore Adamo and the film was edited by Antonio Siciliano.

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IN ALTO, IL REGISTA FULVIO WETZL

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“The passage of the frog and the wild strawberries of 1942” il grido di allarme di un esule volontario Un’infanzia rubata, tra i maltrattamenti del padre e la sveglia all’alba per governare gli animali prima di andare a scuola. La fuga della madre, da un piccolo paese del salernitano a Villa d’Agri, “che è la mia casa”. E poi la Svizzera, i tanti lavori prima di un diploma di chef e un nuovo inizio. In Nuova Zelanda. Dove Beniamino Petrosino, nato campano ma adottato dalla Basilicata - di cui si sente figlio a tutti gli effetti - vive il distacco dalle sue radici con sentimenti contrastanti. Il suo libro “Il passaggio delle rane e le fragole selvagge del 1942” è stato come una seduta psicanalitica. Per riappacificarsi con se stesso e con una terra madre e matrigna

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Beniamino, sei nato a Montesano sulla Marcellana, in provincia di Salerno, quindi non sei proprio lucano? Che faccio? Mi offendo? A Montesano sulla Marcellana sono nato e basta. Sono vissuto a Villa D’agri dal 1963, avevo sette anni. Mia madre vi si era trasferita nel 1959. Lì ho fatto le scuole elementari e medie. Sono sempre tornato in ferie a Villa D’Agri, è la mia casa. Lì ci sono i miei amici e familiari. I miei figli sono iscritti all’AIRE (albo italiani residenti all’estero) di Marsicovetere. Ho studiato a Potenza. Più lucano di me… Come mai siete andati a vivere in Basilicata? L’ho scritto nel mio libro. Mia madre è stata costretta a fuggire da Montesano e da mio padre per i troppi maltrattamenti a cui sottoponeva lei e noi figli. Si è sistemata a Villa D’Agri, che poi è diventato il paese di residenza.

Che ricordi hai della tua vita a Villa D’Agri? Ho il ricordo di un bambino a cui hanno rubato l’infanzia. Per aiutare le finanze familiari sono andato, come già i miei fratelli prima, a fare il pastore in una masseria: credo che persino il cane venisse trattato meglio di me. Ho il ricordo di una scuola di campagna dove eravamo circa 35 alunni. Riuscivo a stare sveglio solo all’inizio della mattinata. Poi, inevitabilmente, mi addormentavo. Sopraggiungeva la fatica per le diverse ore di lavoro con maiali e pecore al pascolo fatte all’alba, prima di entrare in classe. Queste condizioni durissime ti hanno spinto a emigrare? Dopo aver ottenuto il diploma di addetto ai servizi di cucina all’IPAS di Potenza, ho raggiunto mia madre che era emigrata a Jona, sul lago di Zurigo. Quì ho lavorato prima in un’azienda tessile, poi in una ferreria e infine in una fabbrica di cartoni isolanti. Ho poi deciso di voltare pagina. Dopo 4 anni di college presso l’Hotel Institute, ho ottenuto un diploma da chef e ho abbracciato la mia nuova carriera nella ristorazione. Sono andato ovunque trovassi lavoro, ma mai in Basilicata, dove le condizioni di lavoro erano sempre pessime e mal pagate. Non volevo finire servo di nessuno. Cosa ti ha poi portato in Nuova Zelanda e qual è la tua situazione attuale? La ditta alberghiera che mi ha ssunto mi ha trasferito a Londra dove conobbi la donna che adesso è la madre dei miei figli. Dopo un ennesimo tentativo di mettere radici a Villa D’agri, capii che era ora di smettere di sognare. Andammo in Nuova Zelanda, luogo di origine della mia compagna. � IN ALTO,: Christchurch, Nuova Zelanda

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PANORAMICA DI VILLA d’AGRI (PZ) - FOTO GENTILMENTE CONCESSA DA Don Giuseppe Lapadula, parroco di Villa d’Agri

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� Era il 1983. Qui mi trovai subito a mio agio. Poca gente, in compenso gentile e rilassata. Case con giardino. Strade larghe. Spiagge deserte. Aperta campagna. Tanto verde. Un tuffo nel passato che mi riportò agli anni Sessanta. Il tutto mi affascinò. Non intendevo restare, ma poi mi convinsi di aver trovato il mio angolo ideale. Lì ho aperto il primo ristorante italiano, dove proponevo una cucina tradizionale lucana. La mia situazione attuale? Ho venduto il locale. Insegno italiano per adulti. Purtroppo non ho i ‘titoli’ per fare il professore. Ho un certificato Esol in inglese che mi ha consentito di impadronirmi di questa lingua e di scrivere il libro in inglese. Nel libro i riferimenti a tua madre sono numerosi. Come hai vissuto il distacco da lei e dalle tue radici? La famiglia mi è sempre mancata. Così come gli amici d’infanzia. Ai miei rientri ero sempre accolto con gioia che si tramutava in estrema malinconia al momento di ripartire. Specialmente nel volto di mia madre leggevo la tristezza tipica del commiato. Ma erano i periodi festivi come Natale e Pasqua, che ho sempre

trascorso da solo a lavorare in cucina e lontano dai miei, che per me erano i più tragici e malinconici.

A chef and a writer, Beniamino Petrosino, who was born in Montesano sulla Marcellana, in the province of Salerno, can be considered as a part of the new migration wave, even if his arrival in New Zealand dates back to 1983. He has lived in Switzerland, Germany, England, and Sardinia, for “seasonal” work reasons, and then landed in New Zealand where he started a family. The remarks on his origins from Campania are answered with a curt pitch: “I was just born in Montesano sulla Marcellana. I lived in Villa d’Agri in Basilicata from 1963, when I was seven. My mother moved there in 1959. I attended primary and lower secondary school there. I have always come back to Villa d’Agri on holiday because it is my home. My family and friends are there.

My children are registered in AIRE (Register of Italians from Marsicovetere living abroad). I studied in Potenza. Who is more Lucanian than me? Beniamino has written an autobiographical book, rich in memories of when strawberries matured spontaneously in the woods of his land, among oaks, beeches and Turkey oaks. “Il passaggio delle rane e le fragole selvagge del 1942” (translator’s note: The passage of the wild frogs and strawberries of 1942) traces Beniamino Petrosino’s family story from the end of the nineteenth century, skillfully interwoven with the story of Basilicata. Family dramas which are handed down from generation to generation, generated and perpetrated through ignorance and recourse to “fattucchiaro” (translator’s note: wizard), witchcraft

Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro? È una storia lunga e complicata. La mia vita è cambiata radicalmente. Lo stress accumulato negli anni e la mia natura di “solitario” hanno svegliato il mio subconscio. Ho sentito l’esigenza di esplorare la mia parte più intima, i conflitti che si annidavano dentro di me. È stato come percorrere a ritroso la mia vita. Un processo difficile e doloroso, che in compenso mi ha permesso di trovare la risposta a tante domande e una spiegazione al mio comportamento a volte irascibile che mi è costato tutto, amicizie e affetti. Il mio è stato anche uno sfogo, un’imprecazione contro un’infanzia difficile e una società ingiusta che crea figli come me per poi costringerli all’esilio “volontario” in terre avare di emozioni e ricche di scontri culturali. Ho voluto capire le mie radici, la mia cultura basata su valori solidi, ma anche intrisa di credenze, superstizioni e ipocrisie di


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cui spesso siamo prigionieri. Sono molto contento di averlo fatto. Non solo per me, ma soprattutto per i miei figli. È stato liberatorio. Oggi sono più in pace con me stesso.

Come è stato accolto in Nuova Zelanda? Ha ricevuto un’accoglienza al di là di ogni aspettativa. Il mio timore era che, trattandosi di un libro che esplorava una cultura e una società limitata alla nostra piccola regione, non potesse suscitare interesse in un pubblico anglosassone. Invece ha colpito l’umanità che pervade la storia. È proprio vero che gli aspetti strettamente umani di qualsiasi vicenda acquistano carattere universale. Poco importa se gli eventi sono avvenuti in Cina, in Africa o in un piccolo paesino della Basilicata.

Il libro è completamente autobiografico? Non del tutto. La mia storia personale e familiare ha fatto da tramite per descrivere una società e una cultura, frutto di interpretazioni, ricerche, testimonianze e storia. Come consideri complessivamente la tua ‘nuova’ vita in Nuova Zelanda? Qui vivo bene, ma non mi sono mai integrato. Non credo sia possibile. La diversità culturale e caratteriale è insormontabile. Noi siamo latini, capaci di esprimere le noste emozioni e abbiamo una forte capacità di adattamento. Gli anglosassoni sono inflessibili di natura, meno sentimentali e molto più devoti al dio denaro. Molto pratici, ma comunque altruisti quando c’é da intervenire. Il libro è scritto in inglese, quindi accessibile a un pubblico allargato.

Quali sono le tue speranze per il futuro? Spero che il mio libro sia pubblicato anche in Italia e all’estero. Purtroppo il mio editore è andato in bancarotta e il lavoro rischia di rimanere sconosciuto. Intendo continuare a scrivere. Ma il sogno più grande è portare i miei figli in Basilicata. Io manco da 12 anni. Non me lo posso permettere. Da anni sono divorziato. Vivo qui a Christchurch in una casa in affitto con i miei 2 figli Daniela di 17 anni e Livio di 13. �

and exorcisms. It is a world where the fear of hell, which is always present, does not prevent cruelty or violence on the weak from getting the upper hand. The family story we read in the book does not only belong to Petrosino but to a Southern Italy which has been dominated for centuries by poverty, superstition, fear and the struggle for survival. In this sense Petrosino’s book is rich in historical, sociological and anthropological value, with far-reaching consequences. The book, as he himself said, is autobiographical only in part. The rest is the product of an insatiable curiosity which led Petrosino to trace the story of the Lucanian people as far as he was able and to tell it without hypocrisy or false inhibitions.

Certainly with great internal suffering and only one wish: to free his soul from memories of abuses of power, from a lack of love and a too cumbersome moral heritage. “Writing this book – he confides – has certainly helped me to find peace within myself and become a new man with fresh energy and I have regained the will to live. Now I have only one wish, the secret dream that I cherish every night before going to sleep, finding an editor able to edit the English-to-Italian translation of the book. Unfortunately, I cannot afford it and the New Zealand Publishing House which published my book has gone bankrupt. Fortunately I still have the rights to it”. A dream that we think has a good chance of becoming a reality if we consider the welcome the book received in New Zealand, which went beyond all expectations. 133


1) Rev. Nicola Pardi 2) Cav. Giacomo Dimase 3) Cav. Giovanni Santalucia 4) Laurienzo Dimase 5) Rev. Cant. Domenico Ragona 6) Cav. Uff. Domenico Sinisgalli 7) Cav. Avv. Ferdinando Ragona 8) Arciprete Tommaso Montesano 9) Domenico Antonio Petrocelli 134


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Le illustrazioni di Guido Spera originario di Tito, collaborò come illustratore alla rivista mensile illustrata “La Basilicata nel mondo”. Stampata a Napoli per la prima volta nel 1924, era rivolta agli emigrati d’Oltreoceano. Spera, con lo pseudonimo di Giesse, ideò una serie di ritratti fotografici e disegni per molte rubriche della pubblicazione. Raffigurò alcuni personaggi lucani del mondo della finanza, della politica, delle arti e delle professioni, ed elaborò anche il logo pubblicitario dell’Amaro Lucano del Cavalier Vena di Pisticci CARMELO SETTEMBRINO

Nel 1924 fu stampata a Napoli presso la tipografia Giannini la rivista mensile illustrata “La Basilicata nel mondo”, rivolta agli emigrati d’Oltreoceano, che aveva quale direttore responsabile Giovanni Riviello, come capo-redattore Ferdinando Santoro e diversi collaboratori tra Napoli, altre città e la provincia di Basilicata. Il direttore affidò a Guido Spera il compito di illustrare “l’album dei migliori uomini lucani” e di corredare con immagini e creazioni grafiche l’impaginazione dei testi destinati ad essere ospitati nella rivista. Giesse (pseudonimo di Guido Spera) riquadrò in copertina il ritratto fotografico di don Francesco Grassi, il sacerdote di Tricarico parroco a New York particolarmente attivo tra gli emigranti, con una cornice mistilinea sovrastata da un’altra rettangolare, contraddistinta da rami di quercia con foglie e frutti, entro cui scorreva il titolo del periodico. Una “testatina” interna, contraddistinta dal disegno di rami di rovo con foglie e frutti di more, fissava la rubrica delle lettere al direttore, tra cui per prima quella scritta da Giuseppe Briganti, illustrata dal disegno di un porta candele a tre luci inserito al centro tra i corpi e le parole del testo. Nel “finalino” disegnò la figura di un’antica lucerna in terracotta, cerchiata da foglie e frutti, quasi poggiasse su uno spicchio dell’emisfero terrestre. Un modo simbolico e poetico per presentare, come negli auspici del Briganti, una “creatura” destinata a “viaggiare per lo sconfinato mondo” per portare “ai figli lontani, vicini e lontani, il fresco profumo della materna carezza”, riempiendola di un “soffio di poesia”. � 135


� Alla perizia grafica e ai disegni in punta di lapis di “Giesse” si devono, inoltre, i ritratti di alcuni personaggi lucani del mondo della finanza, della politica, delle arti e delle professioni: Nicola Miraglia di Lauria, già direttore del Banco di Napoli; Vincenzo Janfolla, giureconsulto originario di Potenza; Giustino Fortunato di Rionero in Vulture, senatore e storico; Agostino Gervasio di Palazzo San Gervasio, già amministratore della Cinzano in quel di Torino; Fabrizio Padula di Trivigno, primario di medicina e chirurgia a Napoli; Michele Giacomino, scultore nativo di Potenza emigrato in Brasile; Joseph Langone di Marsiconuovo, onorevole di Boston. Diverse furono le “testatine” interne destinate ad accogliere la pubblicazione a puntate delle “Leggende sacre di Basilicata” di Sergio De Pilato, direttore della Biblioteca Provinciale di Potenza e delle “Visioni di Basilicata” di Concetto Valente, direttore del museo archeologico provinciale; gli articoli di Signifer su “La Basilicata e i Governi”, le “note etnologiche e sociali sulla Basilicata” di Luigi Franciosa, la rubrica redazionale “Attraverso i comuni della Basilicata” con notizie e informazioni sulla vita economica, sociale e culturale dei 114 comuni della. Provincia. Una connotazione scenografica hanno le sue composizioni grafiche attente ai sipari della storia, tra visioni e leggenda, nell’illustrare gli articoli di Lorenzo Lanzetta sulla valle di Vitalba e di Giuseppe Solimene su figure e leggende medievali di Basilicata, mentre disegni e bozzetti connotano la novella breve di Maria Andreina Sordetti. La pubblicazione del logo pubblicitario, da lui ideato per l’Amaro Lucano prodotto dalla ditta del cavaliere Pasquale Vena di Pisticci (MT), documenta, nell’ultimo numero della rivista del 1924, così, ulteriore risvolti della sua attività grafica. Nel corso del 1925 l’artista originario di Tito (PZ) continuò a illustrare i racconti brevi di Corrado Levi, ossia di Ferdinando Santoro, capo redattore della rivista e a disegnare, con fare scenografico, un degno sipario per la prefazione di Alfredo Galletti (professore di letteratura presso l’Università di Bologna) al testo di Concetto Valente, “Le città morte del Ionio” edito da Zanichelli. Ispirata al mondo classico risulta la “testatina” che illustra lo scritto di Niccolò Ramagli “Poesia di primavera” e il “finalino” del redazionale dedicato alla violinista Lina Spera, mentre la nuova testatina “Note Liete”, correda la rubrica destinata alle notizie riguardanti nascite, battesimi, fidanzamenti, matrimoni, lauree, onorificenze, ecc... di famiglie lucane nel mondo e il nuovo disegno di un telegrafo pupazzettato sostituisce il vecchio autobus della rubrica “Attraverso i comuni della Basilicata”. Per illustrare l’articolo di Alfredo Rossi sulle ricerche archeologiche di Vittorio De Cicco a Croccia-Cognato, Giesse inserì nella “testatina” la scena di vita di un

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uomo e di una donna di quella antica città dei Lucani, antichizzandone i caratteri del titolo. Lo stesso artificio grafico del titolo caratterizza le “testatine” disegnate per gli articoli di Gerardo Scafarelli sul problema agricolo del Mezzogiorno e di Emanuele Stolfi sul disboscamento, il primo con immagini sui percorsi della transumanza, il secondo con la figura un fauno piangente su un albero sradicato dalla foresta. Una diversa tensione illustrativa connota la grafica per la composizione poetica “Notte serafica” di Niccolò Ramagli, dedicata al direttore de “La Basilicata nel mondo”. Fra le illustrazioni a sua firma del1925 vanno segnalate le “testatine” interne al fascicolo speciale dedicato ai caduti della regione nella prima guerra mondiale. Accanto agli stemmi dei circondari di Potenza, Matera, Lagonegro e Melfi, compaiono scene di guerra e di combattimento dei diversi reggimenti dell’esercito, per fissare il lungo elenco di morti, dispersi, mutilati, invalidi e decorati al valore dei diversi reparti militari nella guerra del 1915-1918, pari per la Basilicata a 9.379 uomini. In quello stesso anno Guido Spera partecipò ad un concorso nazionale per l’assunzione di 100 reggenti presso le cattedre di agricoltura delle regioni meridionali e nel gennaio del 1926 prese servizio presso la Cattedra di Agricoltura di Potenza. Fece in tempo a consegnare a “La Basilicata nel mondo” le sue illustrazioni grafiche per la composizione poetica di Corrado Levi “La notte di Betlem” e per l’articolo di Teodoro Savino “Ubi arva ibi domus” inneggiante alla natura e alla vita campestre. La rivista continuò a riutilizzare, per il prosieguo, sue “testatine”, “finalini” e il logo pubblicitario disegnato per l’Amaro Lucano, unitamente ad altre su immagini, cui si, cui si aggiunse nel 1926 una vignetta a corredo della nota redazionale su “il grandioso programma di opere pubbliche” deciso dal governo nazionale per la Basilicata e una tavola con ritratti caricaturali di alcuni personaggi per l’articolo di Domenico Montesano sulla Val d’Agri. Un’ulteriore illustrazione del 1927 per l’articolo di Francesco Cappiello sulla “Processione dei turchi a Potenza”, conferma, invece, l’impegno di Guido Spera sul fronte delle tradizioni popolari e religiose di Basilicata. �

An innate passion for drawing and figurative arts, experimented with at his father Carlo’s typographic works was what drove Guido Spera (Tito 1886 – Bari 1956), who was already working as an illustrator for some local periodicals, to attend the Academy of Fine Arts in Naples where he had the possibility to stage some set designs at the “S. Carlo” theatre to pay his university studies at the High School of Agriculture in Portici. After getting his degree in agriculture in 1914 he went off to the 1915-1918 war and came back home as a disabled exserviceman. He was in contact with the “new generation” of Neapolitan writers of satirical works and resumed his collaboration with newspapers and periodicals printed in Naples among which was “La Basilicata nel mondo” (1924-1927) edited by the lawyer Giovanni Riviello (1885-1930) of Potenza. He drew the illustrations of this magazine with fantasy and creativity, by using an ornamental graphical set characterized by a variegated iconography, between covers, framed “nice headings”, “nice ends” of articles and columns, decorations, drawings, portraits and caricatures. In harmony with the written texts, notes, stories, profiles, reviews, tales and short stories proposed by the numerous collaborators of the illustrated monthly, he thus had the chance to illustrate places and landscapes of Basilicata, by revisiting its legends, usages and customs, ways of life and work both in the region and among the Lucanians in the world.

“Giesse’s graphical ability and drawings in pencil gave portraits of some Lucanian personalities of the worlds of finance, politics, arts and professions: Nicola Miraglia from Lauria, a director of the Banco di Napoli; Vincenzo Janfolla, a jurist native of Potenza, Potenza; Giustino Fortunato from Rionero in Vulture, a senator and historian; Agostino Gervasio from Palazzo San Gervasio, a manager of Cinzano in Turin. He made several inner “small headings” intended to contain the serialized publication of the “Holy Legends of Basilicata” by Sergio De Pilato, the director of the Provincial Library of Potenza and the “Visions of Basilicata” by Concetto Valente, the director of the provincial archeological museum; the articles by Signifer on “Basilicata and Governments”, the “ethnological and social notes on Basilicata” by Luigi Franciosa, the Editor’s Column “Through the towns of Basilicata” with pieces of news and information on the economic, social and cultural life of the 114 towns of the Province. The publication of the advertisement logo that he created for Amaro Lucano, produced by the firm of Cav. Pasquale Avena of Pisticci (MT), thus documents, in the last issue of the magazine in 1924, further implications of his graphical activity. During 1925, the artist native of Tito (PZ) continued to illustrate the short stories by Corrado Levi, that is Ferdinando Santoro, chief editor of the magazine, and to draw, in a set design-like way, a noteworthy curtain for the preface by Alfredo Galletti. 137


La cucina lucana tra le renne della Finlandia Promotori turistici per caso. E per amore. Sono Dino Satriano e Ursula Saarikoski. Lucano lui, lappone lei. Si incontrano, si sposano e anche se vivono a Milano per lavoro, non mancano mai di ritornare periodicamente a Baragiano. Ursula si innamora (anche) di queste terre. Di paesaggi, odori e sapori. Ne scrive in “Italiaa Kokaten, Sapori rustici del Sud�, edito dalla Sitruuna Kustannus. In Finlandia sta diventando un best seller. Un libro di ricette ma non solo. L’ultimo di una serie di pubblicazioni della coppia. Che attraverso uno straordinario binomio umano e culturale fa conoscere LA Basilicata a latitudini impensabili

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publifoto olycom spa

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Terra misteriosa, lingua criptica, atmosfere boreali e sinfonie di venti nella tundra innevata. Tutto questo evoca in me la parola Finlandia. Un pomeriggio a Gdinia, sulle rive del Baltico, immaginavo le terre di là dal mare, un mare di un azzurro profondo, con onde che rimbombavano cupe nelle cavità rocciose sotto i miei piedi, quasi una eco ingrandita de “L’urlo” di Edvard Munch. Purtroppo non conosco da vicino né le terre baltiche né la Finlandia, se non attraverso le immagini fotografiche. Le ho sorvolate una volta, andando sulle rotte d’Oriente, ma è troppo poco. In questo momento mi piacerebbe trovarmi nella casa di Sibelius e ascoltare qualche pagina delle sue struggenti melodie, ma i dischi che mi ha regalato Anna-Liisa Lavila, una cara amica finlandese, non li ho a portata di mano e così mi rivolgo ad un musicista che nacque e

visse nella vicina Russia, Mikhail Glinka, che mi accompagna su di una slitta in un pianoro infinito, mentre scorrono le note concitate della ouverture di Ruslan e Ljudmila. Dopo un po’ ci ingoia una calda isba, odorosa di burro e di pelle di renna. Il rifugio di Glinka è tipicamente russo, completamente diverso dalla casa di Ursula. In quest’ultima l’arredamento parla finlandese, non così gli odori che filtrano dalla vicina cucina. C’è qualcosa che ci rimanda a sapori di terre lontane. Riconosco subito il profumo di ragù, condito con salsiccia stagionata. Scopro così che tra queste mura certi sapori del Nord e del Sud d’Europa si sono armoniosamente fusi. Tutto ciò è avvenuto perché un giorno Ursula Saarikoski, di Rovaniemi in Lapponia, sposò un giovanotto italiano e aggiunse al suo nome un toponimo tipi-

camente lucano, Satriano, un paesino che un tempo si chiamava Pietrafesa, ossia pietra tagliata. La quercia mediterranea incontrò la betulla bianca e se ne innamorò e, come nei riti della primavera di Accettura, si fusero rimescolando all’infinito le sinusoidi del DNA. Una finlandesina, apparentemente fragile come una libellula, si catapulta prima a Milano e poi, periodicamente, nella aspra terra lucana. Quando due persone si incontrano in un discorso che coinvolge il profondo dell’essere, dopo il primo momento di stupore, si entra in sintonia, dando origine a quel meraviglioso ibrido che si chiama intercultura. Dino Satriano, biondo e dallo strano aspetto normanno, è un autorevole giornalista del settimanale Oggi e lavora a Milano, per cui è d’obbligo � 139


lembo del Sud. “Ogni soggiorno in Lucania mi procura emozioni diverse, nell’arco dell’anno”. Si scrive di Pisticci e Metaponto, di Grumentum e Venosa, e di Melfi con le sue Constitutiones Augustales... Non mancano i Sassi di Matera, le loro caratteristiche che ben si sono adattate a fare da set cinematografico a registi famosi, da Pasolini a Mel Gibson. Queste località sono diventate, grazie a Ursula e Dino, mete annuali di comitive di turisti che vedono nell’Italia, e nella Basilicata in particolare, una destinazione importante (sono ormai più di 5.000 i turisti che sono approdati tra noi). Si tratta del risultato di un rapporto umano e culturale consolidato nel tempo anche grazie ai libri che sono nati in gran parte intorno a questa coppia e alla loro storia. “Tervetuloa a Baragiano”, delle Edizioni Osanna, “La guerra di Nino”, “L’italiano e la finlandese” che sta avendo grande successo nella terra dei Finni, anche nella edizione italiana. Libri che Dino Satriano ha pubblicato nell’arco di una quindicina d’anni e che hanno trovato vasta eco grazie alla collaborazione della Società Dante Alighieri che, insieme all’Istituto Italiano di Cultura, è un’autentica ambasciatrice dell’italianità in Finlandia. Ma torniamo al viaggio culinario della Saarikoski che continua con altre tap-

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� metter su casa nella metropoli lombarda. Ma durante l’estate non si può non tornare per un paio di settimane almeno alla natia Baragiano, e con lui Ursula Saarikoski. Quest’ultima non è il primo forestiero che arriva su questo altopiano. Prima di lei di qui passarono, in tempi assai remoti, enotri, greci e poi lucani, fin quando non sopraggiunsero le aquile romane, che imposero lingua, costumi e leggi. E dopo di essi tanti altri, spesso in veste di invasori, ai quali certamente non fu dato il dono dell’ospitalità che qui è sacro. Naturalmente, con l’arrivo di Ursula, fanno timidamente capolino nella antica casa Satriano i nuovi piatti provenienti dalla lontana Finlandia, dove giungeranno poi, in cambio, i sapori del Sud. Tutte queste sono le premesse per la nascita di un gioiello editoriale che si chiama “Italiaa Kokaten, Sapori rustici del Sud”, edito dalla Sitruuna Kustannus. Il libro è un canto d’amore alla terra di Basilicata fin dalle prime battute. “Con la Basilicata-Lucania per me fu amore a prima vista. Un amore per un sorprendente mondo a sé in Italia”. E poi continua... “Vi assicuro che merita un viaggio”. L’autrice si trasforma in una promotrice turistica e culturale, facendo del suo scritto un inedito ritratto di questo

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pe presenti finanche in copertina,dove compaiono le Dolomiti Lucane, il Cristo di Maratea, il tutto inframmezzato dalle immagini dei prodotti tipici di questi paesi. Mi accorgo a questo punto che sto ignorando il tema del libro, ossia la cucina lucana, errore gravissimo, perché questo non è il solito libro di ricette. È un racconto che gira sì intorno ai fornelli, ma si veste di aneddoti e di foto di piatti che sembrano tante nature morte, che incuriosiscono e fanno riflettere su aspetti, a cui noi nativi diamo scarsa o nessuna importanza. Parla non solo dei paesi, ma anche delle feste, della gente e delle stagioni. L’autrice confessa di amare soprattutto l’autunno con il suo tepore, i suoi frutti e le erbe aromatiche. “Le colline alberate si colorano di varie gradazioni di rosso e di giallo: è la ruska come in Lapponia”. Prima di iniziare il suo viaggio tra le fragranze e i sapori ritorna sulla storia antica della sua patria di adozione e sul perché dei suoi due nomi Basilicata-Lucania. E a tal proposito dice che in Finlandia il bambino più amato ha tanti nomi. Ma, tornando ai fornelli, lo sapevate che c’è un modo particolare di cucinare l’agnello nella festa di Pasquetta? Se volete cimentarvi in questo piatto divi-

Italian and especially Lucanian gastronomic culture has become a daily hobby for Ursula Saarikoski-Satriano, a tourist operator, Finnish by birth and Lucanian by adoption. A hobby that comes from the unlimited love she feels for Basilicata, the homeland of her husband, journalist Dino Satriano; this love has been turned into a bilingual – Italian and Finnish - publication “Italiaa Kokaten, Sapori rustici del Sud”. Quick dishes, and “shrewd” ones, learnt from her mother-in-law, her Italian mummy, are told in a likeable way. She has dedicated a whole chapter to her motherin-law: “she was my first teacher and lots of her recipes are part of my daily cooking”.


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chantal martinelli

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She also mentions some among the most famous restaurants of Basilicata with their typical recipes. Detailed explanations show how to make pasta, delicious cakes and jams which melt in your mouth, and how to make pizza dough leaven according to the old method, namely in the warmth under the bed blankets. But it is not your usual recipe book. It is a tale performed around the kitchen ranges, full of anecdotes, among which pleasant references to the red hot chilli pepper: “In Basilicata they always eat “hot”. If you are in a restaurant and an elegant gentleman, with a managerial look, in front of a dish takes a pen out of his breast pocket, do not think he is going to note down something urgent: he is anoth-

er Lucanian who is using a very special travel gadget, the pen-shaped chili pepper-duster, which contains a red powder instead of black ink”. A different way to suggest the flavours of a land. To prove this, she used some photos of dishes that look like many still lives, and intrigue and make you think. “Italiaa Kokaten” not only talks about the villages but also of the feasts, people and seasons. The author confesses she especially loves autumn with its warmth, fruit and aromatic herbs. “The wooded hills of reds and yellows: it is the ruska like in Lapland”. Flipping through the book we fall into a kind of journey and the author turns tourist and cultural promoter, making her

no procuratevi prima di tutto un agnello delle nostre masserie, poi un bel mazzo di asparagi, possibilmente campestri, una bella manciata di pecorino, come il canestrato di Moliterno, qualche uovo, sale e pepe. Come si cucina? Questo non ve lo so dire. Se volete saperlo andate a consultare Italiaa Kokaten, pagina 95, in alto a destra e conoscerete come preparare questa leccornia di primavera. Sfogliando questo libro si fa un viaggio di scoperta nella geografia del gusto. Per me è stato anche un breve ritorno al passato. Ho rivisto il sorriso dolce della mamma di Dino, che ho incontrato varie volte. E con lei ho reincontrato, come per magia, mia madre e le mie zie, intente a cucinare nella casa di nonno Antonio. Era d’obbligo sacrificare, alle feste di settembre, un grossa gallina ed un coniglio, entrambi ripieni di bei tocchi di salsiccia e prezzemolo. Il tutto amalgamato nell’inconfondibile formaggio della nostra vecchia masseria, fondata nel lontano 1822. Risate a volontà e buon umore, mentre il profumo riempiva le stanze e si spandeva nelle strade e sui tetti. La banda musicale che accompagnava la Madonna del Monte Saraceno faceva dimenticare la stanchezza del lungo giro nel paese e dava il via alle note festose della Marcia di Radetzky. �

writing an unedited portrait of this strip of the South. She does so brightly and by also promoting the Italian language. “Those who are interested in this language which I consider wonderful – she confides with a smile – can have fun studying it and while making the delicacies described in these pages”. The same adventure can be experienced by those who are fascinated by the Finnish language; in fact, the two languages can be read in parallel. This publication has received great acclaim, “more than one thousand copies have been sold in a month”. “I had had the project in mind for a long time – the author says – then, finally, I found an editor who gave me carte blanche”. 141


Antonio Zambrella maestro del colore Pittore e scultore strettamente legato alla sua terra, il “Lucanino”, è così che ama presentarsi, predilige le emozioni, quelle intense e profonde. La lettura del paesaggio non diventa semplice rapprestantazione ma un inno all’immaginazione e alla percezione. Attratto dall’armonia delle cose e dalla forza dei volumi si lascia guidare dalla poesia dei colori

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Figlio adottivo della austera Bologna, e figlio carnale della Basilicata più aspra e arida, il Lucanino è uno dei più versatili e originali artisti del panorama italiano contemporaneo. Sin dai suoi primi lavori ha inteso l’arte come ricerca, memoria, esperienza. E così si è impegnato a raffigurare l’intimo e a proiettare all’esterno emozioni e sentimenti profondi. Antonio Zambrella, questo il suo vero nome, nasce a Bernalda nel 1934, a 17 anni abbandona la Basilicata e si trasferisce in Emilia Romagna per fare il militare. Qui si innamora di una donna, la “donna della mia vita – ci racconta con gli occhi che gli si illuminano – la mia musa, la modella a cui mi ispiro disegnando volti e corpi”. La sposa nel 65. “Torno in regione almeno due o tre volte l’anno, con mia moglie. È un viaggio di cui sento il bisogno, la necessità. Amo rivedere i luoghi dove ho vissuto l’infanzia, e dove ho scoperto la passione per questo lavoro”. Precocissimo scultore di creta e argilla, si cimenta con materie, forme e volumi. “Ricordo ancora dove ho iniziato, vicino alla fontana di casa, a Bernalda. C’era dell’argilla e l’acqua. Amavo affondare le mani nella creta, mi divertivo ad arrotolarla, a comprimerla. La plasmavo per poi trasformarla nelle mie mani, dando forma alle cose che vedevo nel quotidiano: animali, asini, piccole teste di cavalli, e poi i volti delle persone”. Dapprima materia e idea si fondono nelle mani del ragazzo in una felice interpretazione del reale, e poi, in seguito, in un’attività di ricerca tesa a ricreare la forma. Assembla e modella, un continuo esercizio teso a scovare l’anima della cosa per poi portarla fuori attraverso la figurazione. Ed è questa attenzione per l’intimo umano che continuerà a guidarlo nel corso degli anni anche quando decide, all’età di 17 anni, di dedicarsi al disegno e poi all’arte pittorica. L’io, quello nascosto, capace di suscitare suggestioni, campeggia sui ritratti, vera passione di vita dell’artista. Il profilo degli occhi, la base del naso, il taglio della bocca, elementi del viso dipinti con l’intento di svelare, tutti insieme, il modo di essere della persona. Volti che prendono forza dai desideri dell’inconscio, dalle potenzialità latenti, dalle correnti pulsionali e tensionali della persona ritratta. Non si tratta solo di rendere somi-


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gliante un soggetto: “Il mio obiettivo – afferma – non è solo di rendere totale omaggio alle sembianze del soggetto, sento di dover trasferire su quelle fattezze il complesso di sensazioni ricevute da chi mi fa partecipe del suo affetto”. E quindi sulle sue tele prendono corpo “visi di ogni età, dalla freschezza dell’infanzia e dell’adolescenza, alla saggezza della vecchiaia, mai triste e dolorosa ma cosciente, matura e consapevole delle cose della vita vissuta e di quella che resta ancora da vivere”. Come il ritratto di un’anziana “un mio portafortuna – dice – realizzato nell’89: è l’immagine di una donna anziana, con uno scialle nero a incorniciare il volto. Non è solo il volto di una donna lucana, ma un’immagine del Mediterraneo, il filo conduttore che unisce tutte le mie opere, dalle sculture ai dipinti”. Forte la simbologia della natura nelle opere dell’artista. Piccole parentesi che si aprono nei quadri per svelare, attraverso il creato, le sensazioni, le emozioni della vita. La mela diventa allora simbolo della caducità, l’ombra della morte, “i giorni contati”, dice. La ciliegia riassume il simbolo della fragilità, ma anche della dolcezza. Grande importanza riveste anche il colore a cui Zambrella affida il compito di narrare la sua tensione immaginativa e poetica. L’elemento cromatico, deciso e intenso, diventa un medium comunicativo. E così il rosso dilagante che agisce nell’interiorità dello spettatore in modo vitalissimo unisce frutti saporosi, tramonti che declamano i riflessi del giorno passato, labbra dai contorni morbidi ma ben delineati, fiori che diventano messaggeri della solarità. La figura o l’oggetto diventano ancor più significativi anche grazie al sapiente uso dei ritmi di luce e ombra �

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� e per mezzo della gradazione luminosa. Una luce che a volte si fa “abbagliante e diffusa, altre piena e fosforescente, altre ancora raccolta e tenuta a pressione”, ma sempre in grado di “avvolgere la tela, quasi in grado di andare al di là della cornice”. Un mezzo, quello della luce, che Zambrella sa ben miscelare con l’ombra per raccontare i calanchi e le frane, le colline verdi e gli alberi dai rami spogli e contorti, i cieli tersi e luminosi. Paesaggi che sembrano rubati alla natura, elementi selvaggi e duri, quelli della Lucania, che il pittore ha fissato prima nella memoria di bambino e poi sulle sue tele. Una terra a cui Zambrella ha dato tanto, portando il nome della regione in giro per il mondo, in oltre 120 mostre, da New York a Hong Kong a Parigi. L’Accademia Italia delle Arti Lettere e Scienze di Salsomaggiore lo ha insignito, nel 1978, della medaglia d’oro per la sua attività nel settore delle Arti. Diversi i riconoscimenti tra i quali: il “New York Prize”, nel 1982, il diploma d’onore per la pace a Salsomaggiore nel 1983, l’”Oscar Washington” a Milano nel 1984. Ed è alla terra che ha dedicato uno dei suoi ultimi lavori “Quando il sole accarezza la terra”. Raffigura un tramonto, caldo, che avvolge un paesaggio che si specchia in uno stagno. La luce dà forma e prospettive inattese alle cose, al sentiero tra i cespugli, alla terra arida. Un’opera che il pittore ha esposto per la prima volta proprio in Basilicata, in una mostra “Quando la vita nasce dall’arte”, che si è tenuta presso il Palazzo di Città a Potenza. In esposizione oli e sculture per celebrare, ancora una volta, il suo luogo di origine, il valore dei sentimenti umani, la potenza delle emozioni, anche quelle più celate, ma anche l’alchimia del colore e dello spirito, e il fascino della ricerca. �

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Adopted by the cold Bologna, yet son of the driest part of Basilicata, the Lucanino is one of the most versatile and original artists of the contemporary Italian world. Antonio Zambrella, this is his real name, has been into art since he was only a child. A precocious clay sculptor, he has been moulding harmonious and dynamic little statues of humans and animals since he was a teenager. Still, he has been soon attracted by drawing first, and by painting then, especially by portraits, which he is really keen on. These portraits are full of those emotional tensions stemming from feelings. Not only does he want to make a subject look like its original example: “My objective – the artist claims is to pay a complete homage to the look of the subject, yet what I really try to do is to enrich that subject with all the feelings and sensations got from who shows me his affection”. As defined by some critics, Zambrella is a “Painter with a feminine touch” and thanks to his brushes and pencils he is able to convey the spell of beauty “aiming more at the spiritual effect than at the somatic one”. The same spell is clearly shown by his portraits of children where he says “ I find a disarming trust, an extraordinary enthusiasm for life which they can always convey with creativity, never with anxiety”. The artist is attracted by these genuine val-

ues which he then uses on the canvas in such a natural way. In his more mature years he paints faces shining of a pure beauty portraying the expressions and the colours typical of his region. A touch of ‘meridionalità’ which reaches its climax in the looks of ancient women with their hair tied and covered by a veil, and their faces streamed by time. What is dominant in his landscapes is the Mediterranean nature, the Lucanian one, wild and dry, which the artist has first painted in his child’s memory and then in the colours on the canvas. This is a land which owes so much to Zambrella since he has taken it all over the world thanks to his 120 exhibitions, from New York to Hong Kong and Paris. In 1978 he was awarded the gold medal for his work in the artistic field by the Italian Academy Arts, Letters and Science in Salsomaggiore. Symbols are also trademarks of the artist’s works on nature. These are small brackets open to convey through nature the sensations and feelings of life. That is why, the apple becomes a symbol for frailty; it is the shadow of death, “the countdown of days”, he says. The cherry sums up frailty and sweetness. Also the colour is a key element of his works. Zambrella likes using a single colour and the person or the object are given a shape thanks to his clever use of lights and shadows.

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BASILICATA Rivista di storia e storie dell’emigrazione

Numero 17 _ Anno 6 ottobre 2008 Comitato di Direzione Prospero D e Franchi , Franco Mattia , G iacomo Nardiello, A ntonio D i Sanza , Agatino Mancusi Coordinatore Attività di Informazione, Comunicazione, Editoria Carlo Petrone Direttore Nicoletta Altomonte Direttore Responsabile Maurizio Vinci Redazione Domenico Toriello Photo Editor Rosaria Nella Hanno collaborato a questo numero:

Rosa A lbis , Dora Celeste A mato, L aura A rcieri , C armensita B ellettieri , Eva B onitatibus , Teresa D e C arolis , M ichele Chisena , Francesca G resia , Luigia I erace, Romina I nciso, Lucia L apenta , Cristoforo Magistro, A ntonio Masini , A lessandra Montemurro, Roberto M utti , Concetta Perna , A ngela Pino, A ngela R emollino, Marilina R enda , G erardo Rosa , Rosita Rosa , M ichele Russomanno, Rosanna Santagata , C armelo S ettembrino, Maria A ntonietta Soldovieri , Vito Verrastro

Segreteria di Redazione Maria Verrastro Direzione, Redazione, Segreteria Viale Vincenzo Verrastro, 6 85100 Potenza stampa.consiglio@regione.basilicata.it Progetto Grafico ed Impaginazione Altrimedia srl Via Ugo La Malfa, 47 - Matera www.altrimedia.net Foto di copertina Daniela Incoronato Stampa e Allestimento Rubbettino srl Via Rosario Rubbettino, 8 Soveria Mannelli (Cz) Reg. Tribunale di Potenza n. 308/2003 è vietata l’ulteriore riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo. Le traduzioni sono a cura della scuola The British School di Lidia Pedio

STUDIO IMMAGINANDO

Chiuso in tipografia il 30 ottobre 2008

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La rivista è pubblicata sul sito www.consiglio.basilicata.it/ mondo_basilicata/mondo_basilicata.asp anche in formato audio



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