L'istituzione sin dentro la vita

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Introduzione

Emilio Riccioli

L’istituzione sin dentro la Vita Dall’evento del Soggetto ai legami istituzionali e gruppali

Alpes Italia srl – Via G. Romagnosi, 3 – 00196 Roma tel./fax 06-39738315 – e-mail: info@alpesitalia.it – www.alpesitalia.it

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© Copyright Alpes Italia srl – Via G. Romagnosi, 3 – 00196 Roma, tel./fax 06-39738315 I edizione, 2020

Emilio Riccioli, Direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia “SSPIG” di Palermo, dove ricopre anche il ruolo di didatta e supervisore. Dal 2005 è Professore invitato di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni presso la Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana di Roma e Professore della Scuola Superiore di Specializzazione in Psicologia Clinica presso il medesimo ateneo. Dal 2009 è Professore a contratto presso la Facoltà di Psicologia “G. D’Annunzio” di ChietiPescara dove conduce un laboratorio di Psicologia Clinica. Psicoterapeuta ad indirizzo analitico, è anche membro clinico dell’Associazione Europea di Analisi Transazionale (EATA) e di Jonas Roma (Centro di Clinica Psicoanalitica per i nuovi sintomi). Svolge attività privata a Roma.

In copertina: Stravaganza, (2017, olio su tela, cm. 30 x 30) di Rusp@ Gianni Ruspaggiari.

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Introduzione

Indice generale

Prefazione................................................................................................. VII Introduzione............................................................................................ IX

Capitolo 1 - All’origine del concetto di istituzione...............

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1.1 Una questione preliminare ...................................................................... 1 1.2 Istituzione e Organizzazione.....................................................................

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1.3 Asparizione............................................................................................... 15 1.4 Linguaggio............................................................................................... 20 1.5 Linguaggio e lingua.................................................................................. 25

Capitolo 2 - Istituzioni, Soggetto, Gruppi...................................

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2.1 Il concetto di Soggetto............................................................................. 31 2.2 Desiderio come approccio all’Esistenza..................................................... 36 2.3 Una legge istitutrice: la Legge delle Leggi................................................. 42 2.4 L’ombra del manufatto............................................................................. 44 2.4.1 Transfert e intersoggettività nelle istituzioni...................................... 2.4.2 Simbolico, Reale e Immaginario......................................................

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L’Istituzione sin dentro la Vita 2.5 Gruppi e istituzione.................................................................................. 54 2.5.1 Gruppi e legami con il Leader......................................................... 58

Capitolo 3 - I discorsi e le istituzioni............................................

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3.1 L’istituzione come spazio di vita...............................................................

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3.2 Il concetto di Discorso per il soggetto.......................................................

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3.3 Sulla Verità o il convitato di pietra............................................................ 78 3.4 Jacques Lacan e le quattro tipologie di legame sociale............................... 83 3.4.1 Una piccola legenda per orientarsi...................................................

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3.4.2 Il discorso del Padrone.................................................................... 89 3.4.3 Il discorso isterico........................................................................... 97 3.4.4 Il discorso dell’Università................................................................ 102 3.4.5 Il discorso dell’Analista................................................................... 107 3.5 Il Discorso del capitalista.......................................................................... 111 3.6 Far circolare i Discorsi: un antidoto al malessere istituzionale...................

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3.7 Il passaggio di discorso: un nome dell’Amore........................................... 123 3.8 Aufheben o dell’ereditare........................................................................... 125 3.9 Maschile e Femminile?............................................................................. 129 3.10 Il difficile compito di ereditare................................................................

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3.11 Effetti di chiusura di un sistema: istituzione e istituzionalizzazione......... 139

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Indice generale Applicazioni..............................................................................................

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1. La teoria in pratica: i discorsi e le istituzioni formative e di cura.................

145

2. La teoria in pratica: alcune riflessioni sulle comunità terapeutiche............. 155 3. Post-istituzioni........................................................................................... 162 4. A mo’ di aprés-coup: riflessioni conclusive e ringraziamenti.........................

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Tradimento ed Eredità............................................................................

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Bibliografia.............................................................................................. 173

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Prefazione

Mallarmé a un autore inedito che gli chiedeva un testo di presentazione o di sostegno: “Detesto le prefazioni anche se scritte dall’autore, a maggior ragione trovo deplorevoli quelle aggiunte da altri. Un vero libro, mio caro, non ha biosgno di presentazioni, procede per colpi di fulmine come la donna con l’amante, senza l’aiuto di un terzo, il marito…” . (Maurice Blanchot, L’eterna Ripetizione e Aprés coup, pag. 75, 1983, tr.it. 1996).

Mi appoggio alle parole di Mallarmè, augurandomi che la lettura sia lieve.

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Introduzione

L’idea intorno a cui prende vita questo libro nasce dalle lezioni tenute nel corso di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni dell’Università Pontificia Salesiana di Roma, nella quale ho il piacere d’insegnare. Il mio intento è quello di analizzare il concetto d’istituzione dal punto di vista della psicoanalisi, con l’obiettivo di dare voce ad aspetti e dimensioni presenti ma non sempre fenomenologicamente visibili. Si tratta, in questo scritto, di avviare un percorso ragionato che, a partire dalla persona, dall’individuo, dalla sua psicologia, dal suo essere, prenda in considerazione il suo rapporto con il mondo del lavoro, in particolare con le organizzazioni e con le istituzioni nelle quali vive e lavora. I soggetti della nostra ricerca saranno dunque i seguenti: a) l’istituzione, b) il soggetto, c) le organizzazioni e quindi d) il gruppo. Ma perché uno studio sulle istituzioni? È ancora utile ragionarci intorno o è una questione da porre definitivamente in cantina? Il termine “istituzione” si porta addosso un’aura di pesantezza. Non è un concetto snello, moderno, allegro; è, semmai, malinconico. Sa di vecchio e di pesante. Insomma, ha un suo corredo immaginativo non facile. Non è rapido e smart come quello di “organizzazione”, termine che ne ha preso il posto. “Dai, andiamo, organizziamoci, facciamo presto!”: questo recita il gergo comune. Mentre lavoriamo a questo testo, siamo alle prese con l’ennesima crisi del governo italiano; sta per finire il sessantacinquesimo Governo della Repubblica Italiana. Citiamo quest’evento per dire quanto, in questa circostanza, il tema dell’istituzione abbia preso vigore. Non uno dei senatori che si avvicendavano per la dichiarazione d’intenti del proprio partito rispetto all’apertura di questa crisi e dell’imminente futuro del parlamento, ha mancato di citare il lemma istituzione decantandone il rispetto cui tutti sono chiamati. È la nozione salvagente cui tutti si aggrappano e si

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L’Istituzione sin dentro la Vita appellano per evitare guai irrimediabili sul piano economico e sociale ed indica l’ultimo baluardo da non superare, l’ultima chance per non essere inghiottiti dal mare in tempesta. È un lemma dormiente, della cui forza persuasiva tutti si avvalgono nei momenti più critici e difficili. È evidentemente un concetto solido, radicale, ultimo. È quindi opportuno occuparsene. L’istituzione, per molti, rimanda ad una staticità, alla noiosa gerarchia, alle strutture ottocentesche. Il tempo dell’istituzione è un tempo lento, meditato, quindi anacronistico. Di contro, i tempi moderni richiedono velocità e prestazioni ad alto livello. Il principio di prestazione, ci ricorda Marcuse (1999), ha sostituito quello di realtà. Un’egemonia della prestazione che fa alleanza con una maniacalizzazione dell’esistenza, con una sua agitazione perpetua. Questa agitazione rifiuta ogni esperienza, intesa come condensazione, come possibilità, appunto, di esperire; tutto questo rende impossibile l’istituzione, come luogo di arresto, di condensa. Siamo nell’epoca della scarica, dell’agire compulsivo, non tenuto e contenuto dal limite. Un agire infrenabile, acefalo ed immediato che, se non alleato con la Legge, come ci ricorda Recalcati (2010), non può dar vita ad un agire orientato dal desiderio, il quale è, in definitiva, uno dei modi di nominare la libertà dell’essere umano. Libertà e desiderio, due concetti che sono intimamente legati a quelli di Legge e di istituzione. Secondo il paradigma lacaniano, che è uno dei riferimenti teorici di questo libro, l’istituzione ha una doppia valenza: da una parte è Legge, è il punto di arresto del godimento, quest’ultimo inteso come piacere illimitato che può sconfinare nella dissipazione o nella fine della vita, come ben sanno coloro i quali sono patologicamente dipendenti dal cibo, dall’alcol, dalle droghe; dall’altra parte, questo limite costituisce un impedimento necessario all’uomo, in quanto lo mette nelle condizioni di dover inventare dei modi alternativi e creativi per superarlo o aggirarlo, al fine di realizzare le sue necessità o ciò che desidera. Una barriera, un freno all’impulso biologico dell’essere umano, senza il quale questi si orienterebbe verso tutto quello che è a portata di mano e di bocca, perpetuando così la sua “comoda” condizione neotenica e di dipendenza (simbiotica) che lo caX


Introduzione ratterizza in maniera singolare tra i primati. Un argine, quindi, che fonda uno dei primi mattoni della vita comunitaria, intesa come co-costruzione di un ambiente nel quale trovano posto, senza distruggersi e confliggere, le singolarità desideranti di coloro che abitano e vivono le istituzioni. Sull’istituzione quindi convergono due punti di vista. Per uno di essi, quello del discorso del capitalista di Lacan (par. 3.4), l’istituzione è mortifera, va eliminata, in quanto la sua essenza è troppo castrante e finisce per limitare il soggetto nella sua espressione più intima, più libera. È una palla al piede. Da qui, utile ricordarlo, hanno preso l’avvio le contestazioni del ’900, intrise di quell’atteggiamento anti-edipico, anti-confine, antipadre, che Lacan ha premonizzato con il concetto di “evaporazione del padre”, cioè di quella sua funzione di limite al godimento perpetuo della “cosa” (la madre). Da un altro punto di vista, potremmo dire che senza istituzione non c’è uomo, non c’è nascita umana. Ce lo ricorda Cimatti (2016), quando scrive che la vita umana è la vita delle istituzioni. È l’istituzione, o quel che essa è, a consentire l’umanizzazione della vita: è quel complesso di fatti umani, incluso il linguaggio, che il piccolo dell’uomo trova alla sua nascita. Il paradigma dell’istituzione è la Lingua, ci indica Paolo Virno (2010). Essa è la prima istituzione che ci prende, ci canalizza e, seguendo De Saussure (1922), è una convenzione necessaria: parlare una lingua dipende dalla volontà dell’uomo e, allo stesso tempo, questa libertà è limitata dal fatto che la troviamo e la ereditiamo alla nascita ed essa rispetta alcune regole senza le quali non potremmo comunicare. Lo dice bene Cimatti (2016): “sono scelte non libere” e, a differenza di altre istituzioni che dipendono dalla libera volontà e dall’accordo degli esseri umani che le vivono e le abitano, la lingua sfugge al nostro controllo. Insomma, è una forma particolare di istituzione: è presente prima che l’uomo venga al mondo e ci sarà anche dopo la sua morte. L’istituzione, quindi, contiene vita e morte. È la sua essenza più intima. Un’essenza che non risente della tendenza del momento, del tempo. A sostegno di questa ipotesi, ovvero dell’istituzione costituita sulla pulsione di morte, ricordiamo che Totem e Tabù di Freud (1912) ipotizza la nascita dell’istituzione (del Totem) a seguito dell’uccisione del padre XI


L’Istituzione sin dentro la Vita da parte dell’orda primitiva (di fratelli). Traducendo, possiamo senz’altro affermare che è la pulsione di morte che ha dato vita alla prima idea di gruppo organizzato ed orientato ad un obiettivo. E, tanto per rimanere su questo filone più scuro, non possiamo ignorare che la nascita di una città è legata anche al suo sistema fognario. La civiltà e la salute dipendono dal funzionamento delle scorie e dal defluvio degli scarti umani. C’è un legame ed una prodigiosa analogia, pensava Lacan, tra cultura e fogna: “Ma l’equazione grande civiltà=tubature e fogne non conosce eccezioni. In Babilonia ci sono le fogne, a Roma non c’è altro. La Città ha inizio da lì, dalla Cloaca maxima” (J. Lacan, 2005, pag. 58). Le istituzioni sono quindi fuori dal tempo (cronologico), che è, a ben vedere, una delle sue caratteristiche per potersi dire e farsi tale. Esistono perché vi sono dei corpi umani che credono in esse, altrimenti scomparirebbero all’istante. Essere fuori dal tempo1 significa che godono di una loro autonomia che non risente delle mode, dei tempi sincopati; l’istituzione è lì che aspetta, non si scompone, non si agita. Siamo noi che entriamo in fibrillazione appena ne varchiamo la soglia, il confine. Ne siamo subito catturati, volenti o nolenti. È una questione strutturale, dalla quale è impossibile sottrarsi. Questo lavoro vuole tentare di narrare, o meglio bordare, attraverso gli strumenti del discorso psicologico e psicoanalitico, questa dimensione espressiva dell’essere umano; desidera riabilitare e rianimare un concetto stanco, nel tentativo di ri-vitalizzarlo, di lucidarne alcuni aspetti ancora molto utili a chi si avvicina, o ha intenzione di farlo, al mondo delle istituzioni e delle organizzazioni. Questioni che possono sembrare marginali, non all’ordine del giorno per chi si occupa della cura e del curare2; questioni di scarto, come il sintomo, inteso, freudianamente discorrendo, come ciò che ritorna, lo scarto che si ri-presentifica incessantemente dopo 1 Su questa nozione torneremo più avanti. 2 Ricordiamo, tuttavia, che l’analisi organizzativa, dalla sociologia alla psicologia, ha esteso il suo campo d’intervento e di concettualizzazione non solo alle organizzazioni produttive, ma anche a realtà sociali quali ospedali, carceri, scuole, ordini religiosi, strutture assistenziali, dipartimenti di salute mentale, quindi ad un contesto sociale più ampio.

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Introduzione l’azione della rimozione e del suo immancabile fallimento. Ce ne occupiamo, di questo resto, per non farlo diventare sintomo. L’istituzione anch’essa è una questione di scarto (intendiamo dal punto di vista delle “moderne” teorie del management); e se poi ci occupiamo delle istituzioni che si interessano di sofferenza mentale, ci addentriamo senza ombra di dubbio nel campo del margine e di ciò che fa avanzo. Da vocabolario, lo scarto è la cifra della differenza. L’istituzione pertanto pone una differenza: qualcosa si stacca dall’indifferenziato, da ciò che è ammassato, informe. Essa, quindi, istituisce un intervallo tra un prima ed un dopo ed un dislivello di un sotto da un sopra. È dunque l’icona di una asimmetria necessaria. Necessaria perché individua e staglia una questione che mette in moto le vicende dell’animale umano, il quale, come abbiamo detto, è fabbricato e costituito dall’istituzione-linguaggio. Ma torniamo, per adesso, al tema dello scarto e della marginalità, un possibile secondo significato, più negativo, della differenza. Il lavoro del campo “psi” è un lavoro che ha a che fare con la marginalità, con le cause perse, con i soggetti-scarto della società. Questo scritto, quindi, è anche un discorso sulle cause perse, su concetti e questioni che si sono smarriti, perché ritenuti superati, di resto. Ma il residuo, si sa, se non riciclato in maniera intelligente, ritorna come la plastica in mare. È fondamentale, pertanto, occuparsene: ciò che buttiamo o di cui pensiamo di liberarci fa parte del mondo che abitiamo, è una sua cifra. Le istituzioni che curano la sofferenza più spinosa (di cui parleremo nell’App. 2), quelle dedite ai pazienti psicotici, alle ragazze madri, agli adolescenti violenti, agli immigrati, fanno un lavoro di integrazione e di ri-contestualizzazione di ciò che pensiamo di escludere, di scartare appunto. Non circoscrivono, non istituzionalizzano, semmai de-istituzionalizzano in maniera genuina e creativa il territorio, ne allargano i confini. Ma di questo ci occuperemo più avanti. Siamo in una nuova dittatura, più sottile ma presente, una dittatura linguistica. Alcuni termini sono saliti in auge, altri sono andati nel dimenticatoio, perché ritenuti vecchi, obsoleti o, al più, una credenza superstiziosa. Imperano le parole di plastica, un certo numero di vocaboli XIII


L’Istituzione sin dentro la Vita riconoscibili dalla loro varianza di significato, con i loro profeti e le loro profezie (U. Porksen, 2011). Parole che sembrano dire tutto, circoscrivere tutto o il più possibile, di fronte alle quali ci si arresta, perché creano un’aura di dominanza, come le parole “sviluppo”, “evoluzione”, “benessere organizzativo”, “organizzazione”, “leadership”. Sono i significanti padroni della nostra contemporaneità: producono una verità e, quindi, una riverenza alla quale è difficile sottrarsi. Contro questa dittatura sentiamo il bisogno di erigere delle trincee di resistenza, scavare un fossato dove custodire e proteggere antiche questioni, riportarle in cima, farne comprendere la loro forza esplicativa ed evocativa. L’istituzione, questo elefante dai piedi d’argilla, ha ancora qualcosa da dirci, ma solo se riusciremo ad annodarlo e connetterlo a determinati cavi, alle appropriate porte d’ingresso. Un compito non facile, che ci apprestiamo a compiere certi di non voler esaurire la questione, ma solo tenere vivo il discorso. Termine, quest’ultimo, legato all’istituzione in quanto un luogo in cui si intrecciano dialoghi, conversazioni, ovvero legami: familiari, amicali, lavorativi, esistenziali. Il discorso, nel vocabolario lacaniano, è un concetto che serve ad indicare il legame, in quanto permette di avviare relazioni tra le persone. Un altro termine di questa scrittura è la soggettività. Parole come organizzazione, lavoro, istituzione sono vane se vengono reificate e non tengono conto del contesto e del fatto che sono costituite e abitate da persone, da soggetti umani che le nutrono e le sostengono con le loro forze ed intelligenze. Cercheremo di accostare e suggerire riflessioni, e non soluzioni, sulla possibile integrazione tra gli aspetti soggettivi propri dell’uomo e le caratteristiche principali delle istituzioni e delle organizzazioni, mettendo in tensione il concetto di istituzione con altri concetti ad esso relati, come quelli di organizzazione, linguaggio, desiderio, innovazione, solo per fare alcuni rapidi esempi. L’intento è quello di riattivare una complessità del fenomeno che, a nostro modesto parere, si sta perdendo, complice un riduzionismo ed una semplificazione che in nome della scienza ha egemonizzato il campo delle scienze umane. Ciò allo scopo di avvicinare ed inteXIV


Introduzione grare riflessioni ed azioni di matrice razionale sull’operato dell’individuo nelle organizzazioni con speculazioni di natura più emotiva, inconscia, che talvolta la letteratura, quella di stampo pratico-manageriale, tende a separare. Anche qui, in particolare, non vogliamo riproporre l’annosa questione e dicotomizzare lo studio dei fenomeni organizzativi secondo la logica “o… o…”, ovvero se sia materia delle scienze naturali con i suoi apparati esplicativi dove vige il modello della causalità (Dithley, cit. in P. Ricouer, 1998) o se essi ricadano nelle scienze dello spirito, umane, ed hanno bisogno di categorie interpretative per dare ragione del fenomeno. Pensiamo sia ormai avanzata e assodata l’era in cui l’approccio debba essere più complesso. Il termine “complesso” deriva dal latino “complexus” e si riferisce, tra le sue diverse traduzioni, anche a guardare un fenomeno nelle sue diverse componenti, osservarlo nell’insieme delle relazioni del contesto di cui partecipa. La vita umana, nelle sue diverse forme espressive, amore, odio, piacere, ideazione, è irriducibile a spiegazioni univoche. Siamo irriducibilmente unici e, pertanto, un fatto umano può essere solo interpretato a partire da un contesto e dalle molte variabili che lo compongono e lo individuano, anche quelle che a prima vista sembrano, tra loro, antitetiche. Il dualismo è nei fatti. Si tratta, seguendo Foucault (2004, 2017) di non aderire ad una logica dialettica con la quale si mettono in campo due termini contradditori nell’omogeneo. L’Autore suggerisce di adottare la logica della strategia, secondo la quale la risoluzione non è quella di far confluire l’eterogeneità dei fenomeni in un’unità omogena, ma di stabilire quali sono le connessioni possibili tra termini disparati. Questa, scrive Foucault, “è una logica della connessione dell’eterogeneo, non quella dell’omogeneizzazione del contradditorio” (ivi, p. 49). Queste, a nostro modo di vedere, sono due caratteristiche intrinseche all’essere umano che dialogano costantemente: siamo, ad un tempo, razionalità ed emotività, logica e inconscio, laddove per inconscio intendiamo una scrittura che non cessa di scriversi accanto ai processi cognitivi e coscienti, più che un luogo abitato da oscure forze in lotta, e che ha una sua articolata logica non sempre immediatamente evidente. Riteniamo fondamentale guardare al concetto di istituzione con questa diplopia: se XV


L’Istituzione sin dentro la Vita da una parte essa è contraddistinta da processi razionali e organizzativi, coscienti e fenomenologici, dall’altra è abitata da desideri, sintomi e fantasmi inconsci che ne guidano l’agire umano e ne orientano l’operatività. Per Eucken, scrive Foucault, non è “l’economico ma l’istituzionale a costituire l’inconscio degli storici, o meglio, non tanto l’inconscio degli storici quanto quello degli economisti. Ciò che sfugge alla teoria economica, e agli economisti nelle loro analisi, è l’istituzione” (2004, 2017, p. 141). Consapevoli di correre il rischio di una onnipotenza esplicativa, partendo dalla nostra esperienza diretta di formatori, consulenti organizzativi e docenti e psicoterapeuti ad orientamento analitico, parteciperemo al lettore le nostre esperienze e su queste faremo delle riflessioni. Tanti anni di lavoro nelle organizzazioni ci hanno convinto delle difficoltà di circoscrivere e delineare teorie e modelli validi per tutte le stagioni. Ci convince di contro un approccio rizomatico, ovvero di un ragionamento che non tende a coagulare e trovare spiegazioni univoche, assolute, trascendenti (G. Deleuze, F. Guattari, 1975) e valide per tutti i tempi. Siamo dell’idea cha alla nosografia classificatoria e generalista sfugga radicalmente l’esperienza umana, che è unica e irripetibile. La psicoanalisi e la religione, ci ricorda Lacan, fanno da corteo alla scienza, con il compito di ricordarle quello che questa dimentica, ovvero che l’umano è al di là delle griglie e delle nomenclature. Spiegare e comprendere sono due atteggiamenti che, come ci ha insegnato Karl Jaspers, teniamo presenti e cerchiamo di far dialogare avendo in mente la loro diversa natura. Inoltre, aderire ad un punto di vista rizomatico come atteggiamento di ricerca significa sapere quanto la conoscenza deve essere continuamente riappresa, perché si muove in un “controtempo” rispetto ai tempi statici delle categorie. Si tratta di pensare ed avvicinarsi al nostro oggetto di studio, consapevoli che esso è un sistema in continua trasformazione: si tratta di pensarle (le istituzioni) come una rete (di nodi intrecciati) dove non esiste un punto centrale, ma dove un punto può diventare centro contingente, per altre differenziazioni. La rete è una molteplicità, quindi se essa viene ridotta ad una struttura, ad una casella, ad una definizione, se ne riducono le sue potenzialità e possibili combinazioni. Avere questa XVI


Introduzione consapevolezza ci porta ad accorgerci di quanto sia difficile uniformare i ritmi dell’osservazione e della ratificazione teorica con quelli della velocità dei processi organizzativi. Sicuramente è questa una visione-approccio che teniamo e terremo presente in questo scritto. Siamo informati, in linea con le epistemologie moderne, dell’ostinazione e della resistenza dei fatti umani a spiegazioni razionali, lineari; l’idea del semplicismo, del facile modello esplicativo, ancella di un certo razionalismo, è un antico riflesso della mente alla ricerca di soluzioni lineari e logiche e quindi, di conseguenza, pacificanti per il consulente e per il teorico ed anche per lo psicologo del lavoro e ancora, dello psicoanalista, che le propone e vi aderisce in quanto chiamato ad intervenire nelle organizzazioni e dare ragione del suo ruolo e del suo operato. Seguendo quindi un tracciato di pensiero che vuole illustrare la multiformità e le irriducibili antinomie del nostro oggetto di studio, cominceremo introducendo i concetti che guideranno quest’indagine per poi collegarli a vari contesti tra i quali anche il mondo del lavoro.

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