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Intervista a Italo Bonvetti

Titolare dell’azienda Bonvetti Srl.

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Qual è il suo percorso imprenditoriale e qual è stato il suo primo impiego? Quando ha deciso di mettersi in proprio e perché ha fatto questa scelta?

Nella difficile situazione attuale, sembra essere aumentato il desiderio di posto fisso. Vede ancora lo stesso coraggio nei ragazzi di oggi?

Tante aziende, qui, lavorano per conto terzi. Perché si è sviluppato questo tipo d’imprenditoria? È un problema culturale o siamo poco lungimiranti?

Appena terminata la scuola media, all’età di 14 anni, fui assunto come apprendista in una falegnameria della Val Vibrata. Ero alle prime armi, ma mi innamorai subito del mestiere ed imparai ad usare gli attrezzi tradizionali: la sega circolare, la raspa, la pialla e il segaccio. A quei tempi non si utilizzavano molti macchinari e questo mi ha permesso di acquistare precisione e manualità. Ho lavorato come dipendente in questa falegnameria per ben 15 anni, applicandomi con passione e costanza, e nella mia vita non ho mai cambiato mestiere. Questa azienda è nata nel 1992 quando, a 29 anni, insieme a mio fratello, decisi di mettermi in proprio, per avere una maggiore autonomia e perchè volevo guadagnare qualcosa in più, o almeno provarci. I nostri interessi erano rivolti soprattutto alla produzione di mobili, ma per crescere ci siamo adattati alle richieste del mercato, producendo anche porte ed infissi. L’inizio non fu per niente facile perché dopo soli 8 mesi subii il lutto di mio fratello, ma non mi scoraggiai e con un pizzico di fortuna e tanta forza di volontà riuscii ad andare avanti fino al ‘96 quando iniziai a realizzare arredamenti per banche. Questo è stato l’anno che mi ha dato la spinta economica importante, quella che poi mi ha permesso di ingrandirmi. L’azienda oggi va abbastanza bene e fino a qualche anno fa produceva soprattutto per il mercato italiano, poi la crisi ci ha costretto e ci costringe tutt’ora a cercare lavoro anche all’estero; da 4 anni a questa parte mi sto muovendo molto per cercare di allargare il mercato.

La situazione attuale non è facile, soprattutto per chi inizia e deve costruirsi una rete di contatti, ma quello che manca, secondo me, e che non vedo nei ragazzi di oggi è la forza di volontà. Penso che questa sia indispensabile per il raggiungimento di un obiettivo e credo che sia difficile frenarla. Su certe cose credo che i giovani di oggi siano anche più coraggiosi di noi, ma poi mollano subito, alla prima difficoltà. Non si può pensare di avere “tutto e subito”, servono costanza, fatica e tanti sacrifici. In più credo che una grossa colpa sia del governo che non offre le adeguate garanzie. Nei giovani operai, parlo per il mio settore, non vedo la stessa partecipazione e la stessa voglia che percepivo in me ed in mio fratello quando decidemmo di metterci in proprio. La maggior parte sono presenti solo fisicamente, non c’è in loro la spinta o la voglia di proporre soluzioni nuove, di discutere sui progetti, di cercare di fare qualcosa in più. Manca iniziativa e voglia di sporcarsi le mani. Io ho avuto pochissime richieste di lavoro da ragazzi italiani e molti dei miei operai provengono da altri paesi. Spesso penso anche al futuro dei miei figli e penso che qui potrebbero avere un posto di lavoro sicuro, ma sinceramente credo sia più giusto che, anche se decideranno di lavorare nel campo della falegnameria, facciano le loro esperienze altrove. Per il momento li coinvolgo soltanto nel periodo estivo e, se hanno voglia, nei giorni in cui sono liberi dagli impegni scolastici, ma devo riconoscere che anche in loro, manca questo spirito d’iniziativa.

Fare il fasonista è facile ed economico, credo che questo sia il motivo principale che ha incentivato lo sviluppo dell’imprenditoria vibratiana; se così possiamo definirla. Chiunque, con un minimo di maestranza, può intraprendere un’attività di questo tipo, mentre affermare un proprio marchio richiede più energie in termini di tempo e denaro. Il vantaggio del lavoro per contoterzi è che in pochi anni riesci a raccimolare una somma considerevole di denaro, mentre i vantaggi di una politica più lungimirante, sono sicuramente maggiori, ma li vedi e li ottieni dopo molto più tempo e fatica. Un’azienda che lavora per conto terzi sta in piedi fin quando l’azienda madre gli fornisce il lavoro, ma nel momento in cui questa decide che non gli servi più, non avendo un tuo marchio ed un tuo mercato, sei destinato a chiudere, come è successo negli ultimi anni a tante piccole aziende di questo territorio. Tra gli anni ‘80 e ‘90 qui era pieno di fasonisti che si illudevano di essere imprenditori. In realtà era tutta gente che veniva da un ambiente agricolo, e che aveva intravisto l’opportunità di guadagnare bene in poco tempo. La maggior parte delle aziende che lavorano nel tessile sono nate copiando prodotti di altri, compravano un paio di jeans li smontavano e li realizzavano tali e quali; non è mai stato un prodotto nostro. Questo è accadduto perchè mancava una formazione culturale di base e la voglia di far fatica per ideare un prodotto originale che nel tempo avrebbe dato i suoi risultati. Le parole giuste sono ricerca, creatività e progetto, tre termini che in passato sono sempre stati poco considerati dagli imprenditori locali e che credo siano le fondamenta necessarie per costruire un’impresa.


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