L'industrializzazione della Russia

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L'industrializzazione della Russia Esame di storia economica II – Prof. Michele Cassandro Relazione di Alessandro Tocci La Russia approda allo sviluppo industriale con un certo ritardo rispetto all'Occidente: la “rivoluzione industriale” vi arriva solo a fine Ottocento, ma con caratteri che non permettono di parlare effettivamente di rivoluzione. Lo sviluppo è relativamente debole, e non modifica la società dello sterminato impero come ha fatto nei paesi europei. La Russia, infatti, è uno stato fortemente conservatore, e le riforme di qualsiasi tipo vengono viste con sospetto dalla élite dominante, che teme di perdere i propri privilegi. La società è estremamente arretrata e strutturata in modo feudale: al vertice del potere c'è lo Zar, che ha sotto di sé un ristretto gruppo di nobili che ricoprono le cariche statali, e poi c'è la sterminata massa della popolazione, in gran parte contadina e legata a vincoli che configurano una sorta di servitù della gleba “moderna”. Questo rende di fatto impossibile creare un moderno mercato del lavoro, al punto che l'emancipazione dei servi sarà un momento fondamentale del cammino della Russia verso la modernità; altra spinta imprescindibile sarà la grande massa di investimenti stranieri (in assenza di un moderno mercato dei capitali interno), ed infine il ruolo determinante delle commesse statali (specialmente commesse militari e cantieri ferroviari: la domanda interna resterà a lungo bassa a causa del modesto tenore di vita dei russi, e aumenterà solo prima della Grande Guerra). Questo fa sì che i primi settori in cui si modernizzerà saranno la siderurgia e l'estrazione, necessarie alla produzione di materiale bellico e ferroviario (il caso ucraino è esemplare). È importante inoltre tenere presente che, data la composizione particolare e particolarmente arretrata della società russa, l'intervento statale è sì fondamentale, ma l'industrializzazione non è certo la priorità assoluta della classe dirigente, che si trova in sostanza combattuta e divisa tra le istanze modernizzatrici e la protezione di privilegi e interessi costituiti, di tipo fortemente conservatore; inoltre, l'idea diffusa (forse con ragione) è che una eccessiva apertura della società alle dinamiche del mercato capitalista possa essere causa di gravi turbative all'ordine pubblico; ovvero che, in pratica, essa possa provocare rivendicazioni sociali che modificherebbero la società. Comunque la concezione economica prevalente è di stampo liberista; le prime politiche protezionistiche (che vedranno il loro culmine nella tariffa del 1891) arriveranno per tutelare l'industria, insieme ad una gestione finanziaria di stabilità monetaria per incoraggiare investimenti stranieri. Solo prima della Grande guerra la Russia avrà un sensibile aumento della domanda interna che farà lievitare l'attività industriale, trend presto interrotto dalla guerra. La Russia dell'Ottocento è una nazione economicamente e socialmente in declino; era stata una grande potenza commerciale ai tempi di Caterina II, ma quella grandezza è svanita: a metà Ottocento, essa attraversa una fase di stagnazione e isolamento rispetto ai grandi cambiamenti in atto nel resto d'Europa. L'economia, fondata su una agricoltura arretrata, risente dei periodi di carestia ed è quindi soggetta ad un andamento ciclico per via delle carestie. Inoltre, l'industrializzazione europea richiede alla Russia di esportare soprattutto materie prime (lino, canapa, rame e soprattutto grano), che hanno una ragione di scambio svantaggiosa rispetto ai manufatti. La sottosviluppata industria russa si trova quindi ad avere come unico sbocco il mercato interno, che è però assai ristretto a causa della struttura arretrata della società. Inoltre, la possibilità di investimento è ridotta al minimo da un sistema bancario quasi inesistente e un mercato del credito quindi insignificante. La ricchezza sta nelle grandi proprietà fondiarie, con le loro risorse e i contadini, non in denaro liquido: di qui la parte cruciale svolta dallo stato come investitore e cliente, limitata tuttavia dalle risorse a disposizione. Esso possiede infatti un certo numero di industrie, per lo più metallurgiche, e incoraggia la costruzione di stabilimenti tramite prestiti; inoltre, è il miglior cliente di tutte le maggiori industrie. Questo sarà a lungo il suo principale ruolo nell'economia, data la sostanziale assenza di una vera politica industriale, che ha vari motivi: l'idea prevalente che l'industrializzazione seguirà allo sviluppo del settore agricolo, che producendo per l'esportazione


farebbe affluire capitali, ma soprattutto, necessità di mantenere l'ordine sociale fondato sullo sfruttamento quasi coatto del lavoro. L'industria è considerata dalle élites essenzialmente un “male necessario”: necessario per l'economia, ma anche per la guerra; infatti la sconfitta di Crimea (1853 – 1856) ha messo improvvisamente in luce tutte le carenze tecnologiche ed organizzative russe sul piano bellico (ma non solo). Questo si tradurrà in politiche apparentemente incerte ed incoerenti: ne è un esempio l'operato del Conte Kankrin, ministro delle finanze dal 1823 al 1844, che perseguendo un miglioramento “graduale” si limita a politiche poco più che conservative, che si sostanzieranno per lo più in dazi, più o meno pesanti, che si abbasseranno solo nella seconda metà del secolo (1850,1857, 1867), sotto le pressioni del mercato sia interno che estero. Nel complesso, l'industrializzazione della Russia è assai modesta a metà dell'Ottocento: basti pensare che nel 1861, la produzione di ghisa supera appena il Belgio, e l' UK è a dieci volte tanto. L'attività economica su scala medio-grande è concentrata nella zona ad est degli Urali, geograficamente e culturalmente più vicina ad una parte di Europa sempre più proiettata verso la modernità. La zona settentrionale della Russia europea è pressoché priva di industrie; così pure la zona delle steppe del sud. Solo la regione centrale (le cui provincie più prospere sono Mosca, perno del sistema ferroviario, e Vladimir) ha alcune parti più evolute economicamente, in cui l'industria, prevalentemente tessile, si è bene inserita in un contesto ricco di artigianato senza entrare in diretta competizione con esso ma anzi utilizzandone talvolta le competenze, ed è presente un mercato di consumo abbastanza vasto. Nelle zone attigue, l'industrializzazione è più recente: a sud sono importanti le raffinerie di zucchero, che da imprese artigiane si trasformano durante il secolo in vere e proprie fabbriche; a nord metallurgia e tessile sono i settori più sviluppati, specie nella zona di Pietroburgo e Narva, favorite dal facile accesso alle vie marittime di importazione di materie prime e semilavorati. L'industria del Baltico sarà spesso contestata da nazionalisti e industriali del centro per la sua artificiosità e dipendenza da dirigenti e capitali stranieri; sarà tuttavia molto importante per il suo contributo alla penetrazione in Russia delle nuove tecnologie. La zona degli Urali è invece una regione attiva nella metallurgia, forte dell'abbondanza di ferro, legname e vie fluviali, che risentirà però nel tempo della carenza di mezzi di trasporto migliori. Gli Urali sono infatti isolati dal resto della Russia dalla grande fascia di foreste che si stende da nord a sud, e gli unici collegamenti sono quelli fluviali; la loro popolazione si è sviluppata nel tempo solo grazie alle industrie del ferro e del rame, volute da Pietro il Grande. Sul piano tecnologico, esiste un gap grande e in crescita continua per buona parte dell'Ottocento, che induce una dipendenza tecnologica nei confronti degli altri paesi: nel 1842 il Regno Unito abbatte le restrizioni all'esportazione di macchine tessili, e la Russia si affida quasi esclusivamente all'importazione; lo stesso vale per le forniture ferroviarie, nonostante una legge preveda che almeno la metà dei materiali utilizzati debbano essere prodotti in patria. Nel 1861 lo Zar Alessandro II promulga la “Legge di emancipazione”, che sancisce la liberazione – almeno in linea teorica – di ben 20.000.000 di contadini dai loro legami feudali con i potenti proprietari terrieri. Sebbene l'impatto iniziale di questa grande riforma sia limitato, essa rappresenta uno spartiacque nella storia dell'economia russa: lentamente, gli individui acquistano mobilità e questo pone le basi per la nascita di un moderno mercato del lavoro, oltre che di consumo (la cultura del salario è il presupposto del superamento dell'economia di sussistenza), anche se occorrerà del tempo perché avvenga la trasformazione nella mentalità e nelle competenze dei lavoratori. Parallelamente, il ministro delle finanze Witte attua una riforma agraria che aiuti i contadini ad acquisire la proprietà della terra che coltivano tramite aiuti statali, ma essa è destinata a fallire: in molti si indebiteranno e perderanno la terra a vantaggio dei grandi proprietari. Tra il 1882 e il 1885 l'abolizione del testatico (tassazione personale, basata sul “conteggio delle teste”) conclude il processo di affrancamento degli uomini dalla terra, che in teoria dovrebbe liberare appezzamenti di terreno da redistribuire. Tuttavia, la situazione della proprietà fondiaria resta sostanzialmente invariata: il progressivo abbandono delle redistribuzioni periodiche crea un ceto di contadini agiati che possono acquistare prodotti industriali e quindi fornire loro un mercato; all'altro estremo, è ancora comune la pratica di pagare gli affitti in natura (quindi, con il lavoro) e


ciò limita la circolazione di moneta e quindi le possibilità di commercio. L'abolizione di questa pratica darà una forte spinta alla nascita di un mercato contadino dei beni di consumo; ciò avverrà negli anni '80. Contribuirà all'aumento delle potenzialità del mercato anche la crescita della popolazione, che passa da 74 a 113 milioni dal 1861 al 1887. Il processo di emancipazione, sebbene necessario e inevitabile, non sarà tuttavia privo di traumi: all'inizio l'impero vedrà crescere la disoccupazione, e un grande utilizzo della manodopera servile nelle fabbriche: tuttavia questo va considerato come un necessario assestamento del sistema, che anche a livello tecnologico ha bisogno di fare grandi passi avanti. Ne è un esempio il sistema dei trasporti, che versa in una tale arretratezza da rendere spesso più economico importare piuttosto che produrre proprio certi beni: nelle regioni del nord ovest ad esempio c'è una forte concorrenza del ferro inglese che arriva via mare, a discapito di quello degli Urali che ha enormi costi di trasporto; questo manderà in crisi la metallurgia di quella zona che, soffocata dalla concorrenza, tra il 1860 ed il 1862 si contrae fortemente. Un altro segno dell'avanzare della modernità è la progressiva crisi delle aziende che utilizzano manodopera servile a vantaggio di quelle che utilizzano manodopera salariata. Dobbiamo comunque tenere a mente che tutte le crisi di questo periodo sono essenzialmente di adattamento e preludono ad una impennata dell'attività, una volta che il sistema sarà giunto ad un livello superiore di efficienza. Sul piano strutturale, l'opera più notevole è senza dubbio la, costruzione, durante gli anni '60, di una rete ferroviaria con al centro mosca, che abbatterà pian piano costi e tempi dei trasporti; l'intento primario di questa opera è il miglioramento dell'efficienza dei trasporti, il quale è giustamente ritenuto un obiettivo prioritario per la crescita dell'economia (ma cruciale anche in campo militare, giacché la ferrovia consente di mobilitare l'esercito in modo incomparabilmente più rapido). Un effetto “secondario” della costruzione ferroviaria è che esso favorisce lo sviluppo di un più moderno mercato del credito, e questo ridurrà progressivamente la dipendenza russa dai capitali esteri, pur restando essa relativamente alta fino alla prima guerra mondiale. Un ruolo di primo piano in questo processo di affrancamento viene giocato dallo stato, di volta in volta garante o banchiere egli stesso: nel 1864 viene fondata la Banca Imperiale, che negli '80 diviene il principale operatore finanziario della Russia; organo sussidiario del Tesoro, non concede prestiti agli industriali ma opera come garante degli investimenti. Altro effetto secondario della costruzione di ferrovie è la necessità sempre maggiore di materiale siderurgico, che l'industria nazionale non riesce a fornire: macchine, rotaie, ferro semilavorato; l'industria degli Urali, roccaforte della metallurgia russa, è in forte recessione e non tiene il passo. Il continuo ricorso alle importazioni per procurarsi materiali, unito agli strascichi finanziari della Guerra di Crimea, provoca una lenta erosione del valore del rublo ed un peggioramento del bilancio dello stato. Il ministro delle finanze Bunge adotterà negli anni '80 una politica di risanamento che, tramite l'aumento dell'estrazione dei metalli preziosi, l'aumento dei dazi doganali e una politica di esportazione “forzata” di grandi quantità di grano e cereali (che esporrà il paese al rischio carestie), permetterà al governo ritirare delle quantità di carta moneta tali da rafforzare il valore del Rublo. Nel 1888 verrà raggiunto l'obiettivo del pareggio di bilancio, ed il risanamento darà la possibilità di praticare un forte aumento delle tariffe doganali fra il 1868 ed il 1885: aumento che costerà però caro ai bilanci dello stato, ormai lanciato nella costruzione di ferrovie per le quali dovrà nel tempo importare enormi quantità di beni, che la sua modesta capacità produttiva non riesce a fornire. Per quanto riguarda le fonti energetiche, soltanto l'estrazione petrolifera vede forti progressi in particolare a Baku, in Azerbaigian, sotto la gestione di Nobel: esso va considerato tuttavia come un caso particolare, frutto dell'iniziativa di un singolo piuttosto che di politiche adeguate in tal senso. Inoltre la produzione, trasportata prima con oleodotti, poi anche per via ferroviaria, serve per lo più all'esportazione: in Russia viene usato per alimentare le locomotive e dalle famiglie abbienti per l'illuminazione. È ben più importante il carbone, la cui estrazione rimane paradossalmente assai modesta per lungo tempo, costringendo il paese ad importare nel 1890 il 25% del carbone necessario all'industria.


Caso particolare all'interno dell'impero è quello della Polonia russa: lì il governo aveva incoraggiato lo stabilimento di tessitori tedeschi e, potendo beneficiare nel tempo di tariffe doganali protettive e avendo dinanzi a sé il mercato pur vasto della Russia, le imprese conoscono (dopo l'emancipazione dei servi del 1864 ed il collegamento ferroviario degli anni '70) una certa prosperità. Accanto al tessile fioriscono industrie metallurgiche, meccaniche e zuccherifici. Anche considerando il contributo dell'industria polacca, tuttavia, l'impero non arriva a produrre nemmeno metà del ferro che consuma e mantiene una forte dipendenza dalle importazioni. La domanda di rotaie sarà il principale fattore che, a partire dagli anni '70, farà da traino allo sviluppo industriale dell'Ucraina, che diviene presto il principale polo produttivo russo: inizialmente terra di colonizzazione agricola poco popolata, dagli anni '70 essa sfrutta le ferrovie che collegano mosca al Mar Nero per avviare una florida industria estrattiva, ben connessa al resto del paese. Il vero sviluppo dell'attività estrattiva arriva con la ferrovia “Caterina” del 1885, che collega i giacimenti di ferro a quelli di carbone: ancora una volta, lo sviluppo russo è condizionato dal fattore distanza, e dagli sforzi fatti per porvi rimedio. In generale, il momento di maggiore rottura con il passato arriva negli anni '70: per la metallurgia, a causa dell'assestamento dopo le leggi di emancipazione; per il tessile cotoniero, per la crisi dei rifornimenti dovuta alla guerra civile americana tra il 1861 ed il 1866; per il tessile laniero, arrivo della prima meccanizzazione, anche se l'artigianato resterà dominante fino a fine secolo. Gli anni '70 portano anche una grave crisi: a causa delle carenze sul piano industriale e finanziario, la Russia è particolarmente esposta alle fluttuazioni dei mercati internazionali e questa vulnerabilità apparirà chiaramente quando il ciclo economico entra in una fase di sovrapproduzione, in cui le merci iniziano ad accumularsi nei magazzini e che innesca un calo dei prezzi. Ad aggravare questo quadro si aggiungeranno due carestie nel 1871 e 1873, ma soprattutto la ricaduta del devastante crollo delle borse europee: tra il 1873 ed il 1876 si verificheranno numerose bancarotte, specialmente tra le banche commerciali per azioni. La crisi verrà superata pienamente solo grazie ai preparativi per la guerra con la Turchia. Negli anni '80, una nuova ondata di crisi da sovrapproduzione è causa di un grande numero di fallimenti, specie nel settore metallurgico: nel lungo termine questo sarà benefico perché eliminerà molte aziende arretrate e piccole, lasciando sul campo solo le imprese più avanzate e solide. Anche le manifatture casalinghe subiranno un netto declino durante gli anni '60 e '70. Negli anni'90 arriva un forte progresso, sospinto da un nuovo giro di vite protezionistico: nel 1891 entra in vigore la “tariffa Mendeleev”, che risparmia dai dazi soltanto poche merci con scarsa richiesta interna. Le regioni centrali sono quelle che beneficiano maggiormente di tale misura, poiché le zone periferiche come Pietroburgo e la Polonia traevano i maggiori benefici dall'importazione di merci europee a buon mercato. L' Ucraina più di ogni regione beneficia del nuovo corso: c'è un grande afflusso di capitali stranieri che sviluppano il tessuto economico; inoltre, lentamente il capitale russo inizia a preferire l'industria come investimento rispetto al prestito ipotecario. Anche i capitali stranieri ritornano in grande quantità, sotto forma di prestiti obbligazionari statali o privati, incoraggiati tra l'altro dall'alleanza franco-russa. Dopo qualche incertezza iniziale dovuta al ristretto mercato interno, il tenore di vita inizia a crescere e il settore industriale, riorganizzatosi per sopravvivere durante la crisi, è più efficiente e dinamico che mai. Durante gli anni '90 l'Ucraina vede una crescita enorme del settore metallurgico che, sospinto dalle commesse statali, produce molte grandi aziende che combinano attività estrattiva e siderurgia, e sono tecnologicamente al passo coi tempi. La crescita ucraina si arresterà soltanto con la crisi del 1901; l'innovazione prodotta è però destinata a rimanere, e non solo in campo finanziario-tecnico: il più grande cambiamento osservabile è forse proprio il cambiamento di paradigma nella mentalità imprenditoriale e statale. L'industriale si pone con maggiore distacco nei rapporti con i dipendenti,


lasciando da parte il paternalismo fino ad allora comune nei proprietari; lo stato, da parte sua, pone l'obbligo in capo agli imprenditori di provvedere ai bisogni dei lavoratori che, sempre più numerosi e concentrati nelle aziende, vanno ad ingrossare i sobborghi delle città, costruendo ospedali, scuole e talvolta perfino le abitazioni loro necessarie. La metallurgia ucraina crea una nuova regione economica, nella quale prospereranno poi aziende differenti: le più importanti sono quelle alimentari, da tempo radicate, che si espandono. Mentre l'Ucraina si espande economicamente, la regione degli Urali fa pochi progressi a causa di una burocrazia antiquata e poco flessibile, e l'evidente obsolescenza di un collegamento basato sulle vie d'acqua, estremamente lente rispetto a quelle ferroviarie. A fronte di grandi quantità di risorse, gli investimenti restano bassi fino alla fine del secolo; solo allora il capitalismo inizia a penetrare nella regione, sia pure in modo parziale: infatti, la carenza di ferrovie fa sì che le aziende non si installino al centro della regione, ma nelle zone periferiche per avere accesso più facile alle vie di comunicazione. Tuttavia, nel 1900 la grande maggioranza delle imprese sono di dimensioni medio-piccole (il 65% ha meno di 500 operai) e bassa tecnologia (produzione media di un altoforno negli Urali: 22 tonnellate – in Ucraina, 127): il combustibile più usato è ancora il legno. Intorno al 1880 il primato industriale metallurgico e tessile passa da Pietroburgo alla regione di Mosca; la capitale evolve il suo ruolo, essendo ancora (sia pure in maniera ridotta dall'evoluzione dei trasporti) un cruciale punto di scambio tra la Russia e il resto d'Europa e del mondo. È il luogo in cui la cultura capitalista, le competenze (sia imprenditoriali che operaie), il sistema bancario sono più ricchi ed evoluti, e ha sviluppato una sinergia con l'interno, di cui lavora il ferro con il carbone inglese e cui vende filati di cotone. Anche Tallinn e Riga, le altre città baltiche, sono ricche di attività industriale, orientata specialmente verso le costruzioni meccaniche. La regione centrale diviene ben presto la regione forse più importante quanto a sviluppo industriale; nel 1900 occupa un terzo della manodopera manifatturiera di tutto l'impero, e la produzione più diffusa è quella tessile (74% dei telai totali). È anche la zona in cui si sviluppa per primo un mercato più ampio di beni di consumo, duranti gli anni '90: diversificazione della produzione (profumi). In Polonia la produzione decuplica tra 1870 e 1890, salvo poi rallentare a fine secolo. Punti di forza dell'economia polacca sono facilità di reperimento del combustibile, alto grado di meccanizzazione della produzione, gestione razionale di settore produttivo e della vendita e alta produttività delle aziende. Economia orientata alle esportazioni, data l'insufficienza del mercato interno, di cui 2/3 sono dirette verso la Russia: ciò creerà tensioni e concorrenza con i produttori russi, che premono per avere delle protezioni doganali. Le loro richieste saranno accolte con l'aumento progressivo dei dazi tra il 1884 e il 1887; questi saranno particolarmente pesanti per le tutte le aree periferiche (come Pietroburgo), ma soprattuto per la Polonia perché maggiori sulle le importazioni via terra. Nei '90 il conflitto si attenua perché le economie polacca e russa hanno ormai preso strade diverse; nel 1894 vengono abbattute molte tasse doganali, e l'economia polacca inizia ad integrarsi con quella dell'impero. Nel 1900 la Russia ha definitivamente imboccato il sentiero di sviluppo a suo tempo percorso dalle altre nazioni europee. La produzione russa inizia ad avere non solo dimensioni consistenti, ma anche un buon livello qualitativo della produzione. Tuttavia, l'enormità del territorio e l'arretratezza sociale, ancora prima che tecnica, causano non pochi contraccolpi a questo processo. Anche se in termini dimensionali l'industria è di rilievo, se rapportata alle dimensioni dello stato essa appare ancora ad un livello germinale; per questo non è corretto parlare di “rivoluzione industriale” in Russia: è un concetto che implica uno stravolgimento sociale che non si è verificato nella gran parte del territorio, ma soltanto in alcune aree più o meno grandi, dove l'industrializzazione è arrivata. Inoltre, i livelli di produzione sono talvolta rimasti inferiori alle necessità del mercato: il traffico ferroviario è cresciuto più velocemente della produzione metallurgica, nonostante le forti commesse statali e le grandi somme investite nel settore. Il numero degli operai è rimasto basso


rispetto alla popolazione: i grandi cambiamenti sociali (nascita del proletariato, della borghesia) si manifestano solo in zone limitate dell'impero, e così la nascita di un mercato dei consumi e del lavoro. L'urbanizzazione non si è accompagnata allo spopolamento delle campagne, anche in virtù della grande crescita della popolazione La siberia, nonostante l'arrivo della ferrovia, non ha cambiato volto a fine Ottocento: è spopolata come un secolo prima, e sul piano economico ci si limita allo sfruttamento di piccoli giacimenti che devono rifornire di carbone i convogli e a qualche grande officina, oltre all'artigianato tradizionale. Si fanno progressi solo a Baku, in Azerbaigian, e in Ucraina: le altre nuove industrie nascono soltanto laddove già si era innescato un processo di crescita. Nonostante la società russa sia decisamente avviata verso un percorso di industrializzazione, all'inizio del ventesimo secolo è ancora presente un numeroso artigianato che fornisce beni essenziali alla popolazione, e manodopera qualificata all'industria: infatti, se settori come il tessile vanno rapidamente in crisi di fronte al potere produttivo della fabbrica, molti altri resistono anche nelle stesse aree industrializzate, quando per tradizione, quando per la qualità dei prodotti, o per la necessità dei contadini di avere qualcuno che curi i loro attrezzi e li rifornisca di nuovi. Alcune attività artigianali, incalzate dallo sviluppo industriale e dal vasto mercato (anche estero) dei suoi prodotti, si ampliano fino al limite della definizione di artigianato; ad un artigianato tradizionale diffuso, che produceva e vendeva localmente, si va sostituendo nelle regioni centrali un'industria artigianale che produce in grande quantità, con elevati livelli di specializzazione, e perfino per l'esportazione. I problemi per la produzione artigianale arrivano quando, con l'estendersi progressivo del mercato, compare la figura del grossista, che fa perdere all'artigiano il potere di decidere il prezzo della propria merce e ne mettono a rischio la sopravvivenza proprio mentre l'industria reclama quantità crescenti di manodopera. Per la tutela dei mestieri si attiverà anche il governo, che avrà qualche successo nel preservare le professioni artistiche. Le fabbriche, infatti, non saranno un grosso concorrente per l'artigianato: producendo per un mercato in crescente espansione beni di minor valore, esse non scalzeranno i prodotti artigianali che resteranno beni di pregio per un pubblico più abbiente (anch'esso in crescita). Tra 1901 e 1903 arriva una nuova crisi industriale, che colpisce particolarmente il settore siderurgico. Tra le cause osserviamo il sovradimensionamento degli impianti sul piano interno,e la nuova crisi della finanza europea sul piano esterno. Proprio mentre le cose sembravano migliorare, ecco che emerge nuovamente tutta la fragilità dell'economia russa,ancora troppo dipendente dalle commesse statali e con una crescita ipotecata dal potere di acquisto quasi nullo dei contadini, causato dai prezzi bassi del grano. In Ucraina le conseguenze saranno gravissime: grave colpo per le imprese semi artigianali e, in generale, per quelle meno solide che si trovano costrette a chiudere. Dopo la crisi di inizio secolo, la crescita sembra non voler tornare: nel 1907/1908 arriva una nuova ondata di crisi dei settori metallurgico, cotoniero e petrolifero insieme ad una caduta dei prezzi; la produzione diminuisce vistosamente fino al 1909, anno in cui il trend si inverte fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Durante questa breve fase di crescita le aree industrializzate resteranno sostanzialmente le stesse di prima, ma appaiono forme di accordi di cartello diretti dalle grandi banche. Le commesse statali si ridimensionano, e lo sviluppo industriale inizia a poggiare su un nascente mercato di consumo, creato dalle classi lavoratrici delle zone ricche. Anche la situazione dei contadini va migliorando grazie all'aumento dei prezzi mondiali del grano ed alle riforme attuate da Stolypin. La popolazione aumenta rapidamente: nel 1914 la Russia è un paese forte di 175 milioni di abitanti con una economia in crescita, che importa merci di valore come cibi pregiati, farmaci, prodotti chimici. La domanda supera regolarmente la produzione interna, particolarmente riguardo alla metallurgia. L'intera area degli Urali è in fase di ammodernamento e contribuisce quindi poco all'economia, mentre le risorse siberiane sono assai poco sfruttate a causa della scarsa popolazione della zona. L'economia migliora ma si porta dietro alcune carenze strutturali persistenti, come la mancanza di specialisti nei settori più avanzati, e le inefficienze e le diseconomie derivanti dalla dislocazione rispettiva di stabilimenti, fonti energetiche e mezzi di


trasporto: serie di problemi non superabili con semplici riforme. La crisi di inizio secolo ha esposto i punti deboli del sistema, che si è riorganizzato creando dei cartelli di vendita, e con un crescente controllo bancario dell'apparato industriale. Il primo accordo di vendita comune è il Prodamet (1902): inizialmente un consorzio che regola la commercializzazione di ferro e lamiere creato da aziende straniere della Russia del sud, crescerà fino a inglobare i traffici delle industrie ucraine e poi del baltico. Negli Urali nasce a sua volta un cartello di vendita, il Krovlja (1906): un gruppo con durata stabilita in tre anni, che ha competenza esclusiva nella vendita e fissazione dei prezzi dei prodotti, ed impone obblighi precisi agli aderenti. Tuttavia, esso è poco competitivo nei confronti del Prodamet che ormai è divenuto assai potente e più diversificato, e riesce ad attrarre a sé alcuni degli aderenti al Krovlja, che non riesce nemmeno a riunire tutte le imprese operanti nella realtà degli Urali. In Ucraina si forma anche un cartello delle società carbonifere (Produgol); i fabbricanti di tubi formano il Truboprodaz; i fabbricanti di materiale rotabile il Prodvagon. In campo petrolifero esistono due associazioni, la Nobel e la Mazut, che nel 1905 si accordano creando il Nobmaz. Nel tempo esso arriverà a controllare gran parte dei prodotti petroliferi scambiati sul mercato russo, grazie ad una organizzata rete di distribuzione con la quale controllare anche i flussi di petrolio della concorrenza. Alla vigilia della guerra, esso controllerà il 75% del petrolio venduto in Russia pur producendone direttamente solo il15%. Gli si affiancano nel 1910 la Royal Dutch Shell e nel 1912 la Società Generale Petrolifera. Sebbene queste associazioni non siano dei veri trust, esse sono certamente dei soggetti monopolistici, dall'enorme potere. Dietro di loro, un sistema bancario che si è evoluto fino ad essere al passo con i paesi più avanzati e fare da solida base all'apparato produttivo (nonostante i capitali stranieri siano ancora circa 1/3). Forti critiche al sistema dei cartelli in questo senso, specie dai marxisti: si dice che essi mantengano artificiosamente alti i prezzi per aumentare i profitti. In effetti, sfuggite le industrie al controllo statale, le politiche orientate al profitto porteranno prima della guerra ad una situazione di crisi dovuta alla carenza di metallo per gli armamenti. Nel 1914 nella regione centrale vediamo ancora un artigianato molto attivo, che convive con un sistema industriale sviluppato (42% della manodopera totale russa) nel settore tessile, alimentare e metallurgico. La forza economica della regione sta nella sua posizione centrale che ne fa uno snodo importante delle tratte commerciali; ad esempio, la siderurgia fiorisce nonostante l'assenza di grandi giacimenti di carbone. Al momento dello scoppio della guerra, Mosca contende il primato economico a Pietroburgo, la quale per altro è inserita in un contesto assai diverso: non centro di una regione industriale, ma di città con grandi zone industriali, economicamente rivolte verso l'estero prima che verso l'interno. La loro economia dipende dai rapporti con l'Europa e le Americhe, e per questo sono le zone più soggette a crisi in caso di aumenti dei dazi: la loro industria è molto evoluta, specie nel campo della meccanica, i salari sono alti e c'è grande partecipazione di capitali stranieri. In Ucraina c'è una grande crescita della produzione alimentare, ma soprattutto carbonifera e metallurgica, le quali crescono in osmosi con le industrie della regione centrale, arrivando perfino a superarla sul piano quantitativo e qualitativo: nel campo meccanico tuttavia restano superiori le zone di Mosca e Pietroburgo. Anche l'industria Ucraina si evolve, sia pure in maniera meno accentuata, verso la creazione di grandi gruppi che controllano tutta la catena produttiva. La regione degli Urali, già gravata da grandi inefficienze e isolamento, con la crisi di inizio Novecento vede una radicale ristrutturazione della produzione, con la chiusura degli stabilimenti più piccoli e lo sviluppo di quelli grandi, che divengono sempre più efficienti. Nella zona cresceranno le aziende metallurgiche e, in misura minore, aziende tessili e alimentari. In Polonia l'economia è dinamica, nonostante l'assenza di giacimenti di carbone, ma saldamente in mano a capitali e aziende straniere: la zona rimane fuori della grande organizzazione bancaria russa. Insomma, l'espansione precedente la Prima Guerra Mondiale non porta alla ribalta nuove aree


rispetto a quelle che tradizionalmente avevano conosciuto lo sviluppo; le uniche industrie presenti nelle zone meno sviluppate sono, salvo rare eccezioni, quelle legate all'indotto agricolo; saponifici, pelletterie, distillerie, fabbriche di amido. Nel nord della Russia europea grandi ricchezze (petrolio e carbone) quasi intatte, come del resto in Siberia; a sud, verso il Caucaso, l'unica attività di rilievo è quella estrattiva. La Siberia, penalizzata dal clima che la rende quasi del tutto spopolata, dell'assenza di collegamenti adeguati oltre alla grande direttrice della Transiberiana e da politiche governative poco lungimiranti, allo scoppiare della guerra è un territorio praticamente sgombro da qualsivoglia insediamento industriale, con qualche eccezione nell'attività estrattiva aurifera semi artigianale, del carbone in quantità risibili e qualche officina e fonderia, oltre alle cooperative casearie, distillerie e fabbriche di amido. Nel complesso, lo sviluppo economico della Russia è ritardato e assai ridotto rispetto a quello di altri paesi: si parla di circa tre milioni di operai nel 1914, su una popolazione di 170 milioni di persone. Inoltre, forte peso di capitali e competenze straniere che avevano dato un forte stimolo allo sviluppo industriale, e dai quali l'impero non è ancora riuscito ad affrancarsi. La guerra sarà un banco di prova per le capacità produttive del paese, e ne scoprirà tutti i punti deboli. Essa porterà infatti una penuria di materiali bellici, specialmente carbone e ferro, dovuta non solo alla sottoproduzione, quanto all'insufficienza dell'apparato ferroviario impegnato della traduzione di truppe ed equipaggiamenti. Questo porterà di fatto ad una congestione del sistema, che subirà un ulteriore colpo con la perdita della Polonia e delle regioni baltiche; anche l'Ucraina, colpita dalla grande mobilitazione dell'esercito e dal reclutamento della forza lavoro contadina nelle fabbriche vede crollare la produttività e quindi la produzione: l'economia russa è sempre più strangolata dagli avvenimenti. L'intervento statale è tardivo e poco incisivo: nel 1915 viene istituita una rete di commissioni con a capo una Commissione per l'industria bellica ed il compito di controllare e programmare la produzione necessaria alla guerra, provvedendo ai finanziamenti ed alla distribuzione. Ma nel caos dello sforzo bellico, i risultati sono scarsi. Nel 1917 il governo provvisorio perde quasi ogni controllo sull'apparato produttivo, proprio mentre i soviet reclamano forme di controllo statale dell'economia, e preparano piani e programmi al riguardo mentre le loro emanazioni locali stringono forti contatti con le singole realtà, e gli scioperi devastano la vita industriale. La produzione crolla definitivamente. Dal 1917 in poi la politica economica russa opera in un modo radicalmente nuovo: il primo decennio in particolare è un periodo di tentativi e successivi aggiustamenti, progressi e arretramenti, in un contesto che non ha precedenti nella storia. I principi della nuova organizzazione appaiono già durante la guerra, quando nasce il Consiglio Supremo dell'Economia Nazionale con l'incarico di emanare direttive economiche ed organizzare il sistema industriale. L'intenzione manifesta è quella della nazionalizzazione delle principali industrie, e individuare settori strategici di cui promuovere lo sviluppo: l'industrializzazione sarà sempre uno degli obiettivi primari del regime bolscevico. Dopo un periodo detto di “comunismo di guerra” per la ferrea stretta economica necessaria per superare la crisi politica interna ed estera, si dà il via ad una riorganizzazione dell'apparato industriale e a molte opere pubbliche: la produzione tornerà però ai livelli del 1913 solo verso il 1927, al momento del varo del primo piano quinquennale. Infatti, l'URSS ha perso con la guerra la Finlandia, le regioni baltiche e la Polonia, zone molto ricche e produttive per l'economia russa. Il governo investe grandi energie nel perseguire l'elettrificazione di tutto il territorio; i primi risultati significativi arriveranno però solo tra 1925 e 1927. Ma la decisione rivoluzionaria è senza dubbio la nazionalizzazione decisa nel 1918 delle principali industrie, che dal 1920 viene progressivamente estesa a tutte le imprese con più di 5 o 10 operai, a seconda dell'uso o meno di macchine nella produzione: questo lascia fuori quasi tutte le manifatture artigiane, che oltre a essere numerosissime (e quindi difficilmente “pianificabili”) sono da sempre una grande risorsa del paese, e sono tanto più preziose in un momento di completa disorganizzazione industriale, garantendo la produzione di una


gran quantità di beni. Essi vengono in sostanza soltanto incoraggiati a formare delle cooperative. Nel 1921 un decreto del Sovnarkom (il Soviet supremo) pone un freno alle nazionalizzazioni: sono gli anni della NEP, si respira un'aria di relativa apertura e libertà. Tuttavia, la gran parte della capacità produttiva russa è ormai in mano allo stato; si parla di circa il 92 per cento del totale. Mentre l'artigianato e la piccola industria si consolidano, l'industria di stato inizia un poderoso processo di razionalizzazione che genera dei mega consorzi suddivisi geograficamente e per settore di attività, che dopo una fase di avviamento dovrebbero reggersi con una gestione commerciale. Tra i principali problemi da superare per evolvere il sistema economico, c'è la carenza di competenze, sia tecniche che amministrative: il governo cercherà di attrarre cervelli dall'estero, specialmente dalla Germania dopo gli accordi germano-sovietici del 1925. C'è inoltre da fare i conti con una cronica mancanza di capitali causata dalla guerra, dalla storica dipendenza russa e, non ultima, dall'antipatia che l'URSS suscita negli altri paesi. Il tentativo di attrarre capitali esportando grano viene frustrato dalle carestie (il settore agricolo sosterrà grandi sacrifici per sostenere lo sviluppo industriale, e il sistema di quote da assegnare ai contadini produrrà grandi inefficienze). Nel complesso, l'URSS deve reggersi sulle sue gambe: ben poco aiuto è disponibile dall'esterno. Nel 1926, dopo anni di raccolta dati e statistiche, la commissione per la pianificazione statale riceve l'incarico di elaborare un piano a lungo termine per 5 anni, in un'ottica di promozione dello sviluppo industriale armonioso e equamente distribuito, oltre ad essere un prezioso strumento di controllo dell'economia statalizzata. Il primo piano entrerà in funzione nel 1929, stanziando una grande cifra per l'elettrificazione, i trasporti, la rimessa in funzione di molti stabilimenti abbandonati e la costruzione di nuove opere; esso si porrà obiettivi assai ambiziosi e per molti versi irrealistici, alcuni dei quali resteranno sulla carta. Tuttavia verranno realizzate anche alcune opere di rilievo, come la diga sullo Dnepr, la città di Magnitogorsk e le grandi fabbriche di Mosca e Stalingrado. Nel complesso, la crescita sarà reale, sia pure inferiore alle aspettative e, soprattutto, a prezzo di grandi sacrifici non solo economici da parte del popolo; questo si vedrà meglio nel corso del secondo piano, che amplierà l'industrializzazione a quelle aree che finora erano rimaste al margine come la Siberia, con una determinazione che solo la dittatura sarebbe stata capace di mostrare: l'industrializzazione delle aree spopolate sarà realizzata con la migrazione forzata e grandi sofferenze della popolazione.


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