Non chiamare con mille nomi - poesie

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NON CHIAMARE CON MILLE NOMI

Figlio mio Figlio mio, figlio non ancora nato, figlio che forse verrai avrai gli occhi trasparenti del cielo e puri, oppure avrai gli occhi scuri della terra, umili e penetranti o ancora avrai gli occhi identici a quelli di tua madre, occhi di smeraldo? Figlio mio, figlio non ancora concepito, figlio che verrai avrai nelle mani stretto nel pugno il mondo, avrai nello sguardo il sole e questa luna e queste stelle, avrai lo sguardo perso alla fatica e il passo stanco e un sogno -oh i sogni, non perderli mai!- accesa scintilla di bellezza e ti avrò e tu avrai,

figlio non nato, figlio mio, figlio che verrai.


La mia città La mia città in questa notte di inizio giugno è chiusa qui dalla ringhiera dove spiove pioggia io dentro ci osservo come il mio tempo goccia a goccia scivoli in silenzio fra incuranti sguardi. Amici, come siete distanti! In questa notte di inizio giugno la mia età fluisce a ritroso in altra città nel ricordo. Amici, dove piovono i vostri pensieri? Ho raccolto nubi all'orizzonte e ora vi canto ai piedi dell'albero che avete cresciuto; ho raccolto il frutto delle vostre ore ho raccolto il frutto della vostra assenza

e vi rendo l'onore delle armi e vi conto presenti in me uno per uno.


Nel denso carbone della notte‌ Nel suo denso carbone, nelle fitte maglie della notte ho spinto come un animale ferito i miei occhi e tutto intorno a me era incolore. Cosa vedono gli occhi di un cieco? Non era notte quella in cui affondavo era mare desolato, era deserto silenzioso Cosa sentono gli orecchi di un sordo? Non era morte quella in cui affogavo non era mio il respiro ansante sopra la mia spalla e l’acqua che mi bagnava la fronte, le mani, il petto e l’acqua che mi colava come un fiume-lacrima dagli occhi Cosa vale la vita di un uomo e quanto vale un uomo quando ama? (Alessandro Regazzetti)


Rose Quando ti dissi che la rosa ti assomiglia non mentivo. Pensavo alla primavera dove le foglie degli alberi nel mattino parlano della freschezza della notte con il loro guscio ancora umido con le nervature sottili che ricordano le vene delle mia mani con il tenero smeraldo dei loro occhi. I tuoi occhi. E piÚ sotto le rose. Le rose con le loro spine, l’innocente difesa della bellezza di quei petali, della sottigliezza di quello stelo. Quando ti dissi che la rosa ti assomiglia dicevo il vero. Ogni giorno il tuo volto riaffiora per primo nel mio pensiero e il riflesso primaverile del giardino lo specchia lÏ nel roseto. Una mano ha cercato con delicatezza di cogliere una rosa. Ti sei fatta alla finestra e non trovavo parole per fermare il gesto. Aspettiamo tutti che una mano colga le nostre rose: gli anni non ci appartengono come le rose non appartengono al giardino. Le rose appartengono al mondo e sono nate per fiorire appassire rifiorire. Quando ti dissi che la rosa ti assomiglia, ora so: non ti mentivo.


Cristallomare La notte abbraccia la nostra strada; la notte è la parete che costeggia il cammino sul lungomare ed è il mare quando si piega sulla sabbia come un lenzuolo ed è il lenzuolo in cui avvolgeremo i nostri corpi nel nostro letto. Abbiamo un letto fatto di onde; il silenzio somiglierà al fluttuare dell’acqua sulla spiaggia. Oh stelle, quante luci invidiano la vostra luce! Oh amore quante stelle si sono affacciate a guardare i nostri corpi, quante stelle al davanzale come candele ci osservavano danzare ed eravamo onde ed eravamo il sale. Oh limpido, chiaro, mio cristallomare...


MMS Oggi ho ricevuto una tua rosa una rosa reale quanto reale è la sua immagine perché la bellezza della rosa è tutta nella forma nell’eleganza del suo aspetto, nell’armonia, nella malia nella capacità di affascinare il senso della vista. Nel vederla mi è sembrato quasi di poterla sfiorare toccare odorare. Era una rosa bianca. Il bianco ricorda la neve, l’innocenza dei fanciulli; ricorda la purezza della natura capace di forza sovrumana, di sovrumana delicatezza. Ho ricevuto oggi in regalo da te l’immagine di una rosa. Era una rosa bianca.


La luna La luna è lo specchio dei miei pensieri e i miei pensieri freddi in essa si riflettono come sottili spade di ghiaccio conficcate nelle tenebre. Tutto assume un riverbero di argento alla sua luce, il bordo di ogni cosa scivola nella vertigine dell’altezza dei grattacieli che fanno da torre agli insediamenti urbani: le loro fessure sono scie di iridescenti frecce, occhi in perpetua veglia con l’ansia di una fine. La luna resta lo specchio dei faticosi anni nell’arco pallido che attraversa il petrolio della notte ed è la porta spalancata su pesanti cardini a cui si affaccia la mia mano arresa, tesa a palmo in alto a domandare un soldo. È quello il soldo con cui mi pago i sogni e dove il bacio fiorisce prima di annegare nel velluto delle tue infinite labbra.


Promenade Gli alberi infittiscono intorno al mio cammino: germogli si dischiudono accanto ad alberi più alti, cedri del Libano, pioppi, pini marittimi, palme e poi più in basso crochi, belle di notte e tamerici. Non sai nominare una per una le specie tutti i colori, gli odori di questa foresta: la lingua non può dire nel lemma, nei suoi termini sfumature e vertigini di ogni cosa che apprendi. Ti sei fermata alle panchine con la scritta di alcuni versi di poeti, per la maggior parte estinti: nella poesia, nei tronchi, nelle corolle cerchi ostinatamente il senso della nostra vita. Ti sei avvicinata, scesa insieme a una spirale, all’impeto fragoroso del Passirio dove l’acqua comprime la sua forza bruta in una gola: e hai pensato che tutta la forza dell’aria nei polmoni non potesse eguagliare la voce dirompente della natura. Siamo stati echi sospesi nell’unisono di infinite voci voce dentro voci, nome dentro nomi, minima cifra nell’ordine indecifrabile del disegno del giardino. E hai immaginato il tuo corpo farsi di foglie di edera attorcigliata all’albero della vita sprofondato con i suoi possenti bracci fino a dentro il cielo.


Non importa oggi se la mia strada… Non importa oggi che il mio passo prosegua sulla strada: oggi la mia impronta che passa è come l’impronta lasciata dal bambino col suo passo fragile nella bianca sabbia del deserto silenzioso che una folata di vento su di sé richiude. Smarrirsi. E smarrisco la traccia di me. Non so se il mio cammino torna su strade già battute. Le carovane infinite che hanno tracciato antiche rotte sono giovani fantasmi, hanno la lievità del sogno. Cerco la luna nella notte; e ricordo la medaglia ciondolante nell’incavo biondo originato fra le coppe dei tuoi seni. Allora l’arsura della mia bocca per un attimo è mitigata. Non importa oggi che il mio passo prosegua sulla strada: oggi la mia impronta è così somigliante con la tua, e la confondo con la giovane puledra dispersa nel mare fluttuante di prateria; così quell’immagine con la sua selvaggia natura placa ogni mia paura. e questo deserto fiorisce e in esso crescono fronde rigogliose e prati; e la mia esistenza rinasce: ritorna ad essere una sconfinata pace.


I passi Cammino e i miei passi disegnano la notte in questa primavera ancora ai suoi esordi; dove la luna, se meglio la osservi, sembra troppo bianca: non è luna e il paesaggio che si spalanca nell'immagine non è il notturno che desideri. Cosa passa? Forse è il mio sogno attraversato dal residuo di un cristallo di neve. Si scioglie ed è la pioggia sul tuo capo. Sul mio invece la notte si cancella e la nuova alba resta un margine in cui annoto il tuo nome. Tu cammini ancora dentro il mio sogno: sono io che muovo i tuoi passi, sono miei i tuoi desideri? Cammini lungo un margine che diventa un sentiero mentre la notte si disfa come nelle mani di Penelope si disfacevano le maglie sottili della tela. Il mattino è un accenno di luce sull’istante poi il bagliore cresce lungo i fianchi del vestito che porti; e diventa aria e rami e tronchi e sottobosco, un’accecante folata di luce. Tu cammini ancora dentro il mio sogno: sono io che muovo i tuoi sguardi sono miei i tuoi ricordi? Tutto si è fatto luce; nel mezzogiorno l’aria si smeriglia di riflessi che ardono e insieme bruciano la vita. Domani andranno come foglie disperse nel vento e marcite le nostri amate esistenze e già il giorno si fa piccolo lume, più lontano, all’incedere incessante del crepuscolo. Odi nell'aria un suono innaturale, musica che lentamente ti ammalia, dal brusio si trasfonde in una strana fragranza. E il tuo nome nel buio è ormai fuso con il mio: sono io che muovo i tuoi sguardi, sono miei i tuoi andati passi.


Abbiamo ancora nelle pupille… Abbiamo ancora nelle pupille come presente il lume fioco di quella sola lampada accesa a sfidare l’informe guscio del buio che chiudeva ogni prospettiva. Sembrava l’abbraccio allusivo di un inverno con il ghiaccio cristallizzato sui vetri fragili e i fumi della nebbia alle finestre. E forse a ciò credevamo, forse ancora con gli occhi estenuati cedevamo lo sguardo al pensiero del buio. Fino a quando la notte al suo culmine si spense, davanti a noi all’improvviso si accese un pallido sole.


Eredità Abbiamo perso i nostri morti nelle rughe sotto i ponti vecchi delle città, nel trascorrere dei fiumi che il tempo come una vecchia pellicola scolora. La loro eredità sarà fatta di aria, di germogli appena sorti sui rami e sarà di terra, umida zolla aperta al diluvio di una pioggia di cristallo. E noi berremo dai calici la loro assenza avremo occhi svuotati di lacrime…


La polvere La polvere è il segno che traccia il percorso del tempo nelle arterie urbane dove il traffico scorre come sangue e la sua velocità segna il progresso delle “umane sorti” e con il tempo anche la mia vita -la tua vita- implacabilmente si trascina per tappe sconosciute e oltre il nostro sguardo si conclude nella scatole logore degli abiti smessi, sfociando in un binario morto. Ma ciò che il mio pensiero bene conosce non è la polvere non è la brama di prolungare l’attimo o viverlo come l’età di un secolo né di scavalcare il limite invalicabile che sfocia nell’indefinito: quello che sa e conosce il pensiero è la sua infinitezza nel presente l’abbattimento di tempo e spazio, facoltà di scardinarne i limiti. La scacchiera è il gioco per la ragione; il pensiero la sovrasta non ne resta impaludata come il cigno in una pozza d’acquamorta ma è albatro che leva con maestà il suo volo nell’aria e di tutta la polvere alla fine non resterà che il soffio del vento amico che la trascina via.


Notturno marino Hai aperto al mare le tue braccia e intorno il baluginare dell'acqua sulla lamina increspata della notte era lo specchio che rimandava il riflesso della luna e la luna dentro gli occhi del bambino giocava di guizzi e di sonoritĂ nuove, sempre piĂš immersa nella calma diffusa che precede ogni silenzio. Solamente il mare incontrava nello sciabordare tenue dell'onda il suo destino: il liquefarsi rinnovato della propria essenza. E il suo farsi e disfarsi sulla spiaggia come una nascita e una morte ricordava a tutti noi la nostra sorte.


Alla stazione Il senso del viaggio qui si dilata, nel semicrepuscolo dentro il rumore di ferraglia, dentro il vociare che invade l’aria come uno sciame d’api alla stazione nel sottile equilibrio dove muliebri mani si intrecciano con nodi ad altre mani, con tono lieve toccano il capo ai figli prima del distacco e variopinte colonne di turisti migrano scolpite nell’istante in cui tutto intorno vortica a girandola: volti senza nome, corpi di corsa, corpi vicini e distanti all’approssimarsi di un addio o di un semplice arrivederci. Il senso di precarietà qui è imperante più che altrove i tabelloni con gli orari, il calcolo delle coincidenze che dice: tutto è preordinato a collimare, tutto quanto qui è artificiale, la disperante e disperata coscienza di non avere controllo, verità o certezza sull’imponderabile viaggio che chiamiamo esistenza.


Non chiamare con mille nomi Non chiamare con mille nomi le rughe che assomigliano a sentieri angusti e tracciano mille volute come a risalire dalla memoria a ritroso: sono le case che hai abitato nella vita le camere disadorne in cui la gioventù ha alloggiato le cucine in cui ha attinto pane acqua e vino il nutrimento che ha soddisfatto la sua fame. E ancora sono i letti disfatti al mattino quando il sole si rivelava dietro consunte tende con il suo biancore ad ammorbidire gli angoli, con il suo chiarore, abbagliando gli occhi. Quelle rughe sono il segno dell’esistenza che è passata dentro il suo corpo e l’ha sconvolto in metamorfosi, in metafore sempre più ardite. Quando per l’ultima volta i tuoi occhi incocceranno il responso dello specchio e fisserai quei solchi, quando ripercorrerai ciascuna di quelle rughe, singolarmente, una per una, tanto da confonderle l’una con l’altra, da fonderle l’una nell’altra, allora il tuo volto avrà per davvero un nome e quelle mille rughe porteranno il tuo nome soltanto.


Non siamo nati per durare... Non siamo stati creati per durare, non il nostro corpo alla consunzione del tempo, al logorio continuo che erode la pietra più dura, che la divora. Attraverso la mia ombra io divento la mia ombra quando la notte si allarga come una macchia e irrompe sulle città, irrompe sulle case. Attraverso la mia ombra ancora io divento ombra quando la luna definisce con un riflesso il mio volto e allora il mio volto è quello della mia assenza del vuoto che lascerà la pienezza delle mie mani del vuoto che lasceranno le orbite dei miei occhi. Il tempo prenderà ad abitare le mie ossa. Vi passerà il vento e canterà con la mia voce: così la conchiglia canta con la voce del mare. Ma noi non siamo nati per durare.


La luna insegna al mare... La luna insegna al mare il senso della luce e il mare come falena si solleva in una grande onda e sporge il suo corpo fluido alla contemplazione estatica del chiarore, del candore della luna … Non c’è spiegazione del perché questo avvenga della necessità dell’alta e della bassa marea eppure è scritto che tutto così debba andare: la natura ha scolpito la sua legge in ogni cosa. Ugualmente è scritto che dobbiamo vivere che gli alberi rendano alla terra il frutto che gli esseri si perpetuino nelle generazioni. Così è scritto e tutto ciò che nasce non può sfuggire alle preziose leggi della Vita.


Domanda al vento... Domanda al vento l'essenza degli oggetti, delle cose come le ombre che si assottigliano ai muri a mezzogiorno come le scarpe che conoscono ogni centimetro del loro percorso domanda al vento il nome delle cime dei monti che con tutta la sua forza esso attraversa, levigandone le rocce. Qualcuno pensa che il suo idioma sia incomprensibile che le sue parole siano semplicemente l'eco di mille pensieri che si inseguono continuamente sotto il cielo, sotto le stelle; qualcuno pensa che il vento non abbia invece voce qualcuno che sia la libertĂ , l'affrancamento da ogni limite che non sia la propria nascita e la propria morte ma tu domanda, domandalo ancora al vento per dove si vive per dove si muore....


Quando avrò inciso la mia volontà Quando avrò inciso la mia volontà sul destino finale in caratteri a tutti comprensibili e in grafia ampia tanto che nelle asole ciascuno scorgerà le anse dei fiumi del tempo che ho percorso con le sue valli e nel greto di questi fiumi i miei pensieri correranno liberati da ogni fardello, svuotati dalle preoccupazioni il bianco sarà lo spazio infinito dove la scrittura di quello che fui (di quello che sono) balenerà sul nero e in ogni respiro consumato il mio libro volgerà pagina dopo pagina all’estuario dirompente della consapevolezza dell’essere vissuto. Siamo stati tutti noi semplicemente ombre, disegnati negli spazi angusti di città, nelle mura di case con soffitti molto più bassi del cielo; siamo stati confinati tutti noi semplicemente in cucchiaini abbandonati dentro tazze vuote di caffè o nei resti di un petit déjeuneur sur l’herbe e dentro l’immagine di noi stessi, di costumi sociali, di ordini etici imparati in logori manuali, preordinati, programmati, automi di formiche laboriose. Ma quando avrò inciso la mia volontà sul destino finale la consapevolezza del mio essere attuale mi renderà liberamente cosciente dell’insussistenza del mondo reale, dell’inutilità di ogni discorso sulla distinzione di Bene e di Male.


ALTRE POESIE

#1. Il semaforo spinge il suo occhio nell’antro delle nostre case, nel buio scavato con le unghie, scavato con i denti come tagli, feritoie. L’aria da qui stenta la sua via si rarefa in un rigurgito di vita spezzata nei fuochi che di notte concedono prostitute, stigma di fari. Qualche marinaio raccoglie nel vento il sapore salmastro confuso con il gasolio delle vetture; accennando una danza scorge il fuoco… Fuoco(segnale) di un attimo di fuga cenno di amore, accenno di futuro. E noi qui a chiederci per dove il paradiso passerà, “per dove, dove…”

**** “Non qui, non ora” -e poi-“chi sa?” rispondevo con il cuore in gola ai dubbi e alle tue perplessità, amoreamore e amoremio, che amore è quello che va?


#2 Il nero del caffè ospita gli occhi tenue riflesso di mattini consunti (il viavai dei passanti si osserva dal fuori di una strada ferrigna e piove). Non si sospinge più oltre il tuo sguardo ancora; trafigge l’esule goccia sull’orlo di tazza. L’impronta delle tue labbra con l’alba increspa e rosseggia un attimo, un poco: altro orizzonte accompagna e quell’altrove è fuoco. Ma l’ellisse del tuo capo traccia un’orbita e il tuo sguardo intorpidito s’affaccia all’infuori, nella folla: al passaggio di cometa ormai perduto il mondo come sempre arranca.


#3 Svelare agli anni il senso e uno smarrito stupore nel guardare il mondo, a questi anni quando imbiancano la nuca anche i capelli e lucidi si fanno i nostri sguardi qui mentre transitano i tram indifferenti e i filobus e i treni alla stazione. Tutto trascorre correndo sempre piÚ veloce. In alto bucano i palazzi l’orizzonte e qualche nuvola di primavera si frantuma al vento leggero poi trascolora. (Con loro anche l’età verso la sua fine-corsa). E tu sbigottita e incredula ricorda che non siamo fatti per durare quanto dura il pulsante chiarore delle stelle o il fulgore eterno del sole.





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