Scoprii, insomma, che l'amore non è uno stato dell'anima ma un segno dello zodiaco. Divenni un altro. Cercai di rileggere i classici che mi avevano guidato nell'adolescenza, e non ci riuscii. Mi immersi nella letteratura romantica che avevo respinto quando mia madre aveva voluto impormela con mano pesante, e lì presi coscienza che la forza invincibile che ha spinto il mondo non sono gli amori felici bensì quelli contrastati. Quando i miei gusti musicali entrarono in crisi mi scoprii arretrato e vecchio, e aprii il mio cuore alle delizie del caso. Mi domando come abbia potuto soccombere a questa vertigine perpetua che io stesso provocavo e temevo. Fluttuavo fra nuvole erratiche e parlavo con me stesso davanti allo specchio nella vana illusione di accertare chi ero. Erano tali i miei vaneggiamenti, che in una manifestazione studentesca con pietre e bottiglie, dovetti fare di necessità virtù per non mettermi alla testa con una scritta che consacrasse la mia verità: Sono pazzo d'amore. Obnubilato dall'evocazione inclemente di Delgadina addormentata, cambiai senza la minima malizia lo spirito dei miei articoli domenicali. Qualunque fosse l'argomento li scrivevo per lei, li ridevo e li piangevo per lei, e in ogni parola ci mettevo la vita. Invece della formula da cronachetta tradizionale che avevano sempre avuto, li scrissi come lettere d'amore che ognuno poteva fare sue. Proposi al giornale che il testo non venisse composto con la linotype ma che fosse pubblicato con la mia calligrafia fiorentina. Al caporedattore, guarda un po', parve un altro accesso di vanità senile, ma il direttore generale lo convinse con una frase che circola ancora nella redazione: "Ne prenda atto: i pazzerelli tranquilli anticipano l'avvenire." La risposta pubblica fu immediata ed entusiasta, con numerose lettere di gente innamorata. Alcune le leggevano nei notiziari radiofonici con un'urgenza da ultima ora, e ne vennero fatte copie fotostatiche o con la carta carbone, che vendevano come sigarette di contrabbando agli angoli della Calle San Blas. Fin dall'inizio fu evidente che obbedivano all'ansia di esprimermi, ma presi l'abitudine di riflettere mentre le scrivevo, e sempre con la voce di un uomo di novant'anni che non ha imparato a pensare come un vecchio. La comunità intellettuale, al suo solito, si mostrò timorosa e divisa, e persino i grafologi più inattesi montarono controversie a causa delle analisi erratiche della mia calligrafia. Furono loro a dividere gli animi, rinvigorirono la polemica e lanciarono la moda della nostalgia. Prima della fine dell'anno mi ero messo d'accordo con Rosa Cabarcas per lasciare nella camera il ventilatore, gli oggetti di uso personale e quanto avrei continuato a portare in futuro per renderla vivibile. Arrivavo alle dieci, sempre con qualcosa di nuovo per lei, o per il piacere di entrambi, e dedicavo qualche minuto a tirare fuori gli utensili nascosti per montare il teatro delle nostri notti. Prima di andarmene, mai più tardi delle cinque, risistemavo tutto sotto chiave. Allora l'alcova rimaneva misera come lo era stata alle sue origini per gli amori tristi dei clienti casuali. Un mattino sentii che Marcos Pérez, la voce più seguita della radio fin dall'alba, aveva deciso di leggere il mio articolo domenicale nei suoi notiziari del lunedì. Quando riuscii a reprimere la nausea dissi stupito: Sai, Delgadina, la fama è