Atlante DOP

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ASSESSORATO AGRICOLTURA, AMBIENTE E SVILUPPO SOSTENIBILE

Atlante dei prodotti Dop e Igp dell’Emilia-Romagna Seconda edizione - 2003 Supplemento ad Agricoltura n. 6 - Giugno 2003 Direttore responsabile: Franco Stefani Reg. Trib. di Bologna N. 4269 del 30-03-1973 Progetto grafico e impaginazione: Editing srl, Milano Stampa: Litosud srl, Roma

Atlante dei prodotti Dop e Igp dell’Emilia-Romagna

SECONDA EDIZIONE

- 2003

ASSESSORATO AGRICOLTURA, AMBIENTE E SVILUPPO SOSTENIBILE

I SUPPLEMENTI DI

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Atlante dei prodotti Dop e Igp dell’Emilia-Romagna Seconda edizione - 2003 ALBERTO VENTURA - Servizio Regionale Valorizzazione delle Produzioni


Errata corrige Nel supplemento n.16 “Atlante dei prodotti Dop e Igp dell’Emilia-Romagna – Seconda edizione, 2003”, alcuni dati sono stati stampati in modo errato. Ecco quelli corretti. Pag. 30 (Salamini italiani alla cacciatora) - Per informazioni: Consorzio Salamini Italiani alla Cacciatora - Milanofiori , Strada 4- palazzo Q8, 20089-Rozzano-Milano Tel. 02.8925901- Fax 02.57510607 e-mail: info@isitsalumi.it Pag. 40 (Mortadella Bologna) Per informazioni: Consorzio Mortadella Bologna - Milanofiori, Strada 4 – palazzo Q8, 20089 Rozzano – Milano Tel. 02.8925901 – Fax 02.57510607 - www.mortadellabologna.com- e -mail: info@mortadellabologna.com Pag. 42 (Zampone Modena) Per informazioni: Consorzio Zampone Modena Cotechino Modena - Milanofiori, Strada 4- palazzo Q 8, 20089Rozzano-Milano - Tel. 02.8925901 –Fax 02.57510607. e-mail: info@isitsalumi.it

Sommario Presentazione di Maurizio Ceci ................................................................................................................. 3

Il lungo cammino della tradizione e della qualità di Alberto Ventura ..............................................................................................................4

Organismi di controllo autorizzati ..................................................... 10 Prodotti a Denominazione di Origine Protetta .........................11 Prodotti a Indicazione Geografica Protetta ................................ 39 Prodotti con richieste di Dop e Igp in corso di esame .......... 63 © Copyright Regione Emilia-Romagna - anno 2003 Si ringrazia Luca Rizzi, del Servizio regionale Valorizzazione delle produzioni, per il prezioso contributo fornito nella consultazione e nella sintesi dei disciplinari utilizzati per le schede dei prodotti. Foto di copertina: autori vari (vedi le schede interne) Distribuzione Redazione “Agricoltura” - Viale Silvani 6, 40122 Bologna Tel. 051284289 - 284681 - 284701 - Fax 051284577 e-mail: agricoltura@regione.emilia-romagna.it Servizio Valorizzazione delle Produzioni - Viale Silvani 6, 40122 Bologna Tel. 051284205 - Fax 051284359

Nota: le pagine 38 e 62 non compaiono poichè vuote


Atlante dei prodotti Dop e Igp dell’Emilia-Romagna

Presentazione Maurizio Ceci* ualche anno fa venne pubblicata la prima edizione di questo “Atlante dei prodotti Dop e Igp dell’Emilia-Romagna”. Si trattava del primo tentativo di far percepire al pubblico dei lettori di “Agricoltura”, ma anche ai frequentatori del nostro stand fieristico, alle scuole, ai giornalisti, a persone interessate all’argomento, le principali caratteristiche di alcuni dei nostri prodotti alimentari di grande pregio. Dopo il successo di quell’edizione, testimoniato dall’alto numero di richieste e dal rapido esaurimento delle scorte, si è deciso di procedere alla realizzazione di una seconda edizione, con gli aggiornamenti che, col tempo, si sono resi necessari. Ad oltre dieci anni dalla pubblicazione dei regolamenti comunitari 2081 e 2082, destinati rispettivamente alla registrazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche protette e delle attestazioni di specificità, l’interesse per i prodotti di qualità è sempre aumentato. In questo periodo, l’attività della Regione Emilia-Romagna è stata dedicata a far sì che le prestigiose denominazioni già esistenti trovassero il loro naturale riconoscimento attraverso la registrazione europea, e che le numerose altre produzioni di alta qualità potessero a loro volta ottenere la riconoscibilità ufficiale delle loro eccezionali caratteristiche. Lo sforzo è stato grande, e l’opera non può certo considerarsi completata: alcuni prodotti di pregio e di vasta notorietà attendono ancora la sospirata registrazione; altri, costretti dalla scarsa rilevanza economica a correre il rischio dell’estinzione, attendono che si completino le molteplici attività messe in atto per la valorizzazione dei prodotti tradizionali e dei cosiddetti giacimenti gastronomici. Il sistema di controllo, progressivamente perfezionato, deve essere comunque reso più efficace ed esteso alla filiera completa, allo scopo di dare garanzie sempre più solide al consumatore, a costi sempre meno pesanti. Comunque, quando si decide che la scelta è produrre qualità, non esistono traguardi conclusivi da raggiungere, ma esiste piuttosto una tendenza costante al miglioramento. E sul fatto che i sistemi produttivi dell’Emilia-Romagna abbiano fatto la scelta della qualità non ci sono dubbi. Il caso delle denominazioni Dop e Igp e delle attestazioni di specificità (Stg) è in questo senso esemplare: le nostre produzioni di eccellenza entrano in un sistema di garanzia ufficiale riconosciuto dall’Unione europea.

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Le 24 denominazioni registrate fino ad oggi costituiscono la punta di diamante di un sistema di produrre qualificato dall’esperienza, dall’intelligenza e dalla capacità manuale e commerciale degli operatori agroalimentari regionali. Quando la base condivide queste scelte e questi sistemi, si trasmette una filosofia del produrre che genera una diffusa sensazione di “qualità emiliano-romagnola” che non si limita alle percezioni gastronomiche, ma comprende aspetti culturali e turistici, e con essi si completa. Restando nel nostro ambito, notiamo come questi sistemi produttivi rappresentino anche la vivacità di un mondo che non si rassegna alla legge del ribasso dei prezzi, ma intende affrontare la globalizzazione dei mercati con quella spinta verso la particolarità che ha costituito un aspetto determinante dell’imprenditore emiliano-romagnolo. Una peculiarità, questa, costantemente consolidata e aggiornata attraverso un moderno atteggiamento di continua ricerca di innovazioni tecniche, coniugato alla rivalutazione di tradizioni secolari che, grazie al loro valore, riaffermano ancora oggi la loro attualità. Ed ecco che, insieme alle attività di valorizzazione delle produzioni agroalimentari per le quali è possibile certificare la provenienza, cioè le Dop e le Igp, la nostra Regione si impegna nel favorire gli imprenditori che decidono di portarsi con decisione sul terreno della qualità. Dopo le norme a sostegno dell’applicazione volontaria dei sistemi di qualità certificati secondo la norma ISO 9000 e dei sistemi di gestione ambientale Emas, dal 2003 la Regione aiuta anche le imprese che intendono raggiungere l’applicazione di un sistema di rintracciabilità certificato secondo la norma UNI 10939. Si tratta di un altro passaggio necessario alla qualificazione del mondo produttivo e alla soddisfazione del consumatore; un altro passo, peraltro, che facciamo in compagnia dell’Unione europea, cercando di creare nei fatti la possibilità di mantenere all’avanguardia le aziende dell’Emilia-Romagna. Se il consumatore arriverà a riconoscere nell’area emiliano-romagnola un distretto - per usare un termine oggi di moda - in grado di assicurare qualità, sicurezza e rispetto, avremo la consapevolezza di avere fatto delle scelte giuste. O *Coordinatore dell’Area Agroalimentare della Regione Emilia-Romagna

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Atlante dei prodotti Dop e Igp dell’Emilia-Romagna

Il lungo cammino della e tradizione e della qualità di Alberto Ventura*

(Foto Arch. Consorzio Produttori Salumi Tipici Piacentini)

L’

Unione europea, allora Comunità economica europea, nel 1992 emanò i regolamenti 2081 e 2082, considerati due capisaldi nella politica di qualità per il settore agroalimentare. Il primo riguarda la protezione delle indicazioni geografiche (Igp) e delle denominazioni d’origine (Dop) dei prodotti agricoli ed alimentari, ed ha già subito varie modifiche; il secondo le loro attestazioni di specificità (Stg). Questi regolamenti sono il punto di arrivo di un lungo dibattito che, all’interno delle istituzioni europee, vedeva contrapposte due visioni diverse del concetto di “protezione”: quella nordeuropea e quella mediterranea. Infatti, dalle nostre parti siamo abituati a convivere con prodotti per i quali la provenienza è spesso fondamentale nel determinarne il valore, e porta con sé un complesso insieme di cultura, capacità, gusto; nell’altra zona del continente essa era invece considerata poco più che la conferma del domicilio del produttore, da accertare eventualmente a livello giuridico, se necessario. Le caratteristiche che qui portano alla affidabilità di un’area di produzione, là conducono alla qualificazione dell’impresa produttrice; è evidente che ciò è dovuto anche al diverso tessuto imprenditoriale delle due zone. La vertenza che ha interessato la tutela della Dop ParmigianoReggiano e della sua traduzione “Parmesan”, per la quale la Corte di Giustizia europea ha riconosciuto

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l’esclusività dell’uso della denominazione, è stato un ulteriore sviluppo, non privo di dissapori, delle due impostazioni sopra sommariamente descritte.

Cosa sono le Dop, le Igp, le Stg? Oggi in tutta Europa un prodotto può essere denominato con una indicazione geografica che ne definisca la provenienza solo rispettando un apposito disciplinare, cioè norme di produzione prestabilite e riconfermate durante le varie fasi che portano alla registrazione come Dop e Igp, e superando i controlli in merito all’effettivo rispetto di tali norme. Altrimenti, la sua qualità può essere garantita dal rispetto di uno schema produttivo, una sorta di ricetta, anch’essa definita e controllata, che in qualsiasi parte d’Europa permetta di ottenere produzioni con caratteristiche di elevata qualità (Stg). Ma forse è il caso di descrivere meglio cosa nascondono queste sigle; poche frasi estratte dai regolamenti comunitari sono a questo scopo più chiare di qualunque altro tipo di spiegazione. Per Dop, cioè denominazione di origine protetta, si intende il nome di una regione, di un luogo determinato, o, in casi eccezionali, di un Paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare: * originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale Paese; * la cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali e umani e la cui produzione, trasformazione, ed elaborazione avvengano nell’area geografica delimitata. La differenza con la Igp, cioè indicazione geografica protetta, sta nel fatto che in questo caso sono una determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteristica che possono essere attribuite all’origine geografica, ed è sufficiente che uno solo dei passaggi (produzione, trasformazione, elaborazione) avvenga nell’area geografica determinata. Ciò che deve ritrovarsi in una attestazione di specificità (contraddistinta dal marchio Stg, specialità tradi-


zionale garantita), invece, è il carattere specifico, cioè l’insieme di elementi che distinguono nettamente un prodotto agricolo o alimentare da altri prodotti o alimenti analoghi appartenenti alla stessa categoria. Inoltre, il prodotto deve comunque essere ottenuto utilizzando materie prime tradizionali, così come tradizionali devono essere la composizione e il metodo di produzione e/o di trasformazione. È evidente che una attestazione di specificità, mancando il legame con l’ambiente geografico, potrà essere prodotta ovunque in Europa, a patto che venga rispettato il complesso delle norme di ottenimento e di controllo. Una migliore comprensione dell’applicazione dei criteri illustrati potrà venire dalla lettura delle schede delle Dop ed Igp riconosciute o in corso di registrazione che vengono presentate in questo volumetto. Per alcune la procedura è stata semplice e rapida; altre hanno incontrato ostacoli più o meno problematici; tutte, comunque, sono l’espressione di un sistema produttivo che cerca di fare del perseguimento dell’alta qualità il proprio cavallo di battaglia.

Le schede e la documentazione storica Nelle schede che presentiamo, relative a denominazioni che comprendono il territorio dell’Emilia-Romagna, di ciascuna denominazione sintetizziamo: * il nome; * il gruppo di produttori che si è fatto promotore della registrazione; * il consorzio, o l’associazione, o l’ente al quale rivolgersi per informazioni in merito al prodotto; * il tipo di prodotto; * l’area definita dal disciplinare; * il nome dell’organismo di controllo autorizzato dal ministero delle Politiche agricole e forestali a controllare il rispetto del processo produttivo registrato. Sono alcuni degli elementi che l’Unione europea ha preso in esame prima di concedere la registrazione, elementi che contribuiscono ad assicurare ai consumatori di trovarsi in presenza di produzioni di eccezionale valore. Per alleggerire la dose di informazioni, ed evitare di ripetere all’infinito nozioni storiche, economiche, di tecnica produttiva, tutte contenute nei disciplinari di produzione approvati, ci limitiamo poi a qualche curiosità, alla citazione di qualche pagina rappresentativa del significato e della notorietà dei prodotti elencati. Chi avrà interesse ad ottenere informazioni più tecniche,

non dovrà fare altro che rivolgersi agli enti segnalati o agli uffici regionali. Proporre brevi citazioni, accenni letterari, frammenti di ricerche, ha un duplice scopo. In primo luogo, aiuta a comprendere come i prodotti alimentari, e in particolare i prodotti tipici, siano una parte fondamentale nella mentalità collettiva, il che non è certo una novità. In secondo luogo, dà ai futuri promotori della registrazione di altre denominazioni d’origine la possibilità di osservare un breve esempio di cosa si possa intendere per “documentazione storica”: ogni possibile accenno, di qualunque epoca, di qualunque tipo, di qualsiasi autorevolezza, alla presenza della denominazione nel tempo; insomma, non è necessario risalire per forza alla notte dei tempi per garantire la tipicità storica di un prodotto. È piuttosto consigliabile cercare di recuperare documenti che, al di là dei prevedibili superlativi utilizzati dai testi apologetici (anche considerando un’eventuale superficialità di testimonianze magari autorevoli quanto appassionate e poco tecniche), permettano di misurare lo spessore storico del prodotto. A volte, la raccolta della serie di volantini promozionali di una sagra paesana risulta tanto efficace quanto la ricerca storica più rigorosa e qualificata.

Il controllo è determinante La lista dei prodotti non è completa. Fino ad oggi in tutta Europa sono state registrate più di 600 denominazioni, delle quali oltre un quinto sono italiane. Come si può vedere, in Emilia-Romagna le Dop sono 13 e le Igp 11, cioè quasi il 20% delle denominazioni italiane, anche se il dato numerico non ne evidenzia l’importanza economica, senz’altro maggiore; circa altrettante si trova-

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(Foto desunta dal volume “Sapori e valori dell’Emilia-Romagna”)

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no in corso di registrazione; per altre verranno presentate le richieste in un prossimo futuro. È probabile che alcune assenze, tra le denominazioni registrate e quelle in corso di esame, appaiano incomprensibili. Ciò avviene semplicemente perché l’iniziativa di promuovere la registrazione di una denominazione appartiene esclusivamente ai produttori. Quest’ultimo termine, da considerare nel senso più esteso, illustra chiaramente come una richiesta di protezione debba tenere presente i molteplici interessi degli imprenditori che concorrono alla realizzazione del prodotto: solo la loro iniziativa, se condivisa da un ampio spettro di “colleghi”, potrà puntare al successo, inteso nel senso di una registrazione vantaggiosa per tutti. Il mondo delle attestazioni di specificità è invece ancora tutto da esplorare, ma può dare grandi soddisfazioni, sia dal punto di vista della protezione di produzioni di grande qualità e notorietà, sia per la possibilità di dedicarsi a prodotti oggi forse poco affermati, ma di grande potenzialità. Un aspetto che unisce l’applicazione dei due regolamenti è il sistema di controllo. In tutti i casi, infatti, deve essere garantito il rispetto dei disciplinari di produzione. Questa garanzia viene fornita da organismi di controllo che, autorizzati, per l’Italia, dal ministero delle Politiche agricole e forestali (Mipaf), hanno la responsabilità di verificare il rispetto di ogni passaggio nel corso del processo produttivo, secondo quanto prescritto da uno specifico piano dei controlli, fino all’immissione nel mercato; la loro professionalità e la loro imparzialità sono la migliore garanzia, per il consumatore come per il produttore. Deve essere ben chiaro, infatti, che una Dop, una Igp, una Stg possono essere tali solo una volta completati i controlli prestabiliti, e che una denominazione, anche se regolarmente registrata, non può essere utilizzata finché l’organismo autorizzato al suo controllo non abbia accertato che tutto il processo produttivo è stato rispettato secondo le regole stabilite. A pag. 10 pubblichiamo l’elenco degli organismi di controllo finora autorizzati riguardo alle Dop e Igp la cui zona di produzione interessa il territorio dell’Emilia-Romagna.

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Inoltre, sono previste ulteriori verifiche, affidate dalla legislazione vigente all’Ispettorato centrale per la repressione delle frodi (ICRF) e ai Consorzi di tutela autorizzati dal Mipaf. Sotto questo aspetto, c’è ancora parecchio da fare, per almeno quattro motivi: l l’ICRF, afflitto da una ben nota e cronica mancanza di personale, raramente riesce ad assicurare una presenza adeguata sui punti vendita, cosicché si può assistere al paradosso del produttore che, accettando le regole e sottoponendosi ai controlli, si trova svantaggiato rispetto alla concorrenza sleale della produzione clandestina che non riesce ad essere impedita; (Foto desunta dal volume “Sapori e valori m i consorzi in grado di eserdell’Emilia-Romagna) citare le attività ad essi assegnate (tra le quali la tutela della denominazione sui mercati, incarico affidato dal Mipaf solo ai consorzi in possesso di determinati requisiti formali e di affidabilità), e quindi autorizzati a farlo, sono per il momento ben pochi, rispetto all’alto numero di denominazioni registrate; n esistono, a volte, interpretazioni su alcune delle numerosissime norme relative alle produzioni alimentari che contraddicono, o smentiscono, o tendono a rendere dubbie alcune delle regole stabilite dal disciplinare e dal piano dei controlli; o a tutto ciò si aggiunge la difficoltosa applicazione delle modifiche costituzionali, che per il momento rendono problematico sciogliere il nodo dell’intervento regionale nella materia dei controlli, mentre ancora manca una normativa condivisa almeno in ambito nazionale sulla effettuazione dell’attività di vigilanza “sul campo”. Tuttavia, è evidente che ci si trova di fronte ad una scelta fra priorità: se effettivamente la strada della qualità è quella che i produttori italiani, affiancati dalle istituzioni, dovrebbero percorrere, allora sarà opportuno che a chi sceglie quel percorso sia assicurata la considerazione che merita. Se questo non accade, gli appelli ad una misteriosa forma di generica “qualità” risultano slogan privi di contenuti e di concreto sviluppo. In effetti, non si può certo dire che, a tutt’oggi, l’impostazione qui illustrata sia seguita in tutti i passaggi: basta entrare in qualunque supermercato per verificare le mancanze - diciamo così - amministrative, o informar-


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si presso alcuni promotori per avere notizie che illustrino le difficoltà che si incontrano nel tentativo di perseguire la registrazione di Dop e Igp (ma anche di Stg). Le difficoltà pratiche riguardano, oltre agli aspetti già rapidamente elencati, e al fin troppo noto problema dei tempi della burocrazia, le valutazioni da parte dei produttori dei fini che una protezione del genere può avere; esse possono essere sintetizzate con alcuni esempi: - ancora leggi e regolamenti: non dobbiamo seguirne già abbastanza? - il sistema di controllo significa spese: sarò in grado di recuperarle? - una produzione del genere deve portare alla valorizzazione, anche economica, di un prodotto di nicchia, per il quale le quote produttive rimangano limitate, o deve spingere ad aumentare il volume d’affari nella zona d’origine? - tutto questo non sarà solo un sistema per inserire qualche altro soggetto (in questo caso gli organismi di controllo) tra i già numerosi partecipanti alla filiera agroalimentare? - il sistema di controllo significa anche produzione ufficiale: mi conviene “subire” il controllo e non avere così scappatoie “contabili”? I dubbi sono sempre legittimi. Ma la strada indicata dalla Unione europea, della quale la Regione Emilia-Romagna condivide la direzione, mostra la propria validità sottolineando le peculiarità che un sistema produttivo in grado di indirizzarsi verso la qualità può mettere in campo. Quel sistema produttivo, non avrà difficoltà nel raccogliere e confermare i vantaggi che derivano, in sostanza, dalla propria storia. Tra le modifiche recentemente approvate (Regolamento Ce 692/2003), quella che permette in casi documentati di mantenere il condizionamento, cioè anche operazioni successive all’ottenimento del prodotto - in particolare il porzionamento e il confezionamento - all’interno della zona geografica delimitata, per salvaguardare la qualità ed assicurare la rintracciabilità e il controllo, dovrebbe favorire la fiducia nei confronti delle intenzioni delle istituzioni.

I marchi L’attenzione deve poi essere rivolta verso i marchi che l’Unione europea ha studiato e pubblicato allo scopo di uniformare e rendere facilmente riconoscibili i prodotti ottenuti nel rispetto dei regolamenti 2081 e 2082. Esistono tre marchi, qui riprodotti, il cui uso è di solito facoltativo da parte del produttore. Essi non rendo-

no immediatamente rilevabile la differenza fra i tre tipi di tutela; si tratta di una scelta ben precisa, anche se per alcuni criticabile, che sottolinea la strategia di uniformità elaborata dall’Unione Europea. La semplicità e la similitudine della loro linea servono proprio a far sì che, col tempo, un semplice colpo d’occhio permetta di capire di trovarsi di fronte ai prodotti agricoli ed alimentari migliori d’Europa. C’è però a questo riguardo un altro aspetto della questione che può rivelarsi problematico, per il quale è opportuno un breve discorso a sé, anche perché si tratta di uno dei sistemi fondamentali attraverso i quali dare rilievo alle denominazioni e riuscire a sfruttarne anche le possibilità commerciali: quello della riconoscibilità delle Dop, Igp e Stg. L’uso dei marchi ideati dall’Unione europea è, appunto, facoltativo. Ma la normativa, sia nazionale che comunitaria, in questa materia è quanto mai contraddittoria e, spesso, interpretabile. Addirittura, al di là della rispettabilità, della autorevolezza e della solidità di ogni interpretazione, non è ancora certo quale sia l’uso possibile per quanto riguarda i marchi già da tempo affermati e tutelati. In questa situazione confusa, è bene ricordare alcuni aspetti. Innanzitutto, le denominazioni non sono di proprietà o di uso esclusivo dei promotori, ma possono essere utilizzate da chiunque rispetti il disciplinare approvato; da chiunque, quindi, ottenga il prodotto in questione nella zona di produzione prevista e secondo le regole prescritte, compreso l’inserimento nel sistema di controllo messo in pratica dagli organismi autorizzati. Altro aspetto su cui non ci sono dubbi è la possibilità di utilizzare i marchi europei da parte di tutti i produttori inseriti nel sistema di controllo, naturalmente sulle produzioni idonee. La situazione si fa problematica quando ci si riferisce ai marchi depositati da parte dei Consorzi di produttori; in questo caso i pareri sono discordi, poiché alcuni sostengono che essi divengano pubblici, e quindi disponibili come sopra descritto, una volta inseriti nel disciplinare e pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee; altri ritengono che, essendo appunto depositati, il loro uso debba essere ristretto alle azien-

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de associate al Consorzio proprietario. Se la prima ipotesi appare piuttosto condivisibile, anche perché spesso l’apposizione del marchio consortile fa parte del processo di produzione, rimane ancora lontana la soluzione definitiva sulla - per così dire - gestione di un diritto che si ripercuote sulla fiducia dei consumatori nei confronti di tutto il sistema produttivo. Anche la “questione marchi” deve quindi essere considerata in continua evoluzione. Dovrebbe allora servire, a maggior ragione in questa fase, l’intenzione da parte della Unione europea di promuovere istituzionalmente l’insieme delle denominazioni registrate, attraverso iniziative di vario genere incentrate sui prodotti nel loro insieme e, quindi, sui marchi sicuramente utilizzabili. Nulla vieta, inoltre, s’intende, di servirsi di ulteriori marchi privati (purché regolari) a sostegno delle iniziative promozionali e commerciali delle imprese produttrici. Deve essere ben chiaro, comunque, che nessuno può imporre marchi collettivi; al massimo, le imprese socie di qualche gruppo potranno scegliere di conformarsi a regolamenti associativi che prevedano tale prassi, da ritenere quindi volontaria.

Ulteriori prospettive Come abbiamo visto, la strada della tutela e della valorizzazione delle produzioni regionali di qualità passa, quasi obbligatoriamente, attraverso le disposizioni comunitarie. Esiste però un “mondo sommerso” di produzioni che, pur potendo contare su di una solida base di tradizione e tipicità, non sono riuscite ad ottenere un successo economico di vasta (Foto Arch. Promodis) scala; oppure hanno perso terreno rispetto a

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produzioni che incontrano meglio i gusti dei consumatori moderni. In pratica, oggi queste specialità vanno scomparendo e, se non rischiano l’estinzione, certo non riescono a superare gli angusti confini del consumo locale. L’articolo 8 del decreto legislativo 173/98 e il decreto del Mipaf 350/99 hanno proprio la funzione di cercare di tutelare questo patrimonio, sostenendone le peculiarità ed incoraggiandone il mantenimento, attraverso la pubblicazione dell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali. In questo caso, non si può naturalmente parlare di denominazioni d’origine; tuttavia l’intenzione è quella di porre l’accento su un diffuso “saper fare” che caratterizza le capacità dei produttori agroalimentari, e di cercare di arrivare a definire i concetti di tipico e di tradizionale. Queste parole sono infatti spesso utilizzate senza un significato preciso, ma solo allo scopo di creare un confuso senso di smarrita ruralità, un accento che oggi significa soprattutto nostalgia di un non meglio definito passato. Sia detto per inciso, un passato in cui quell’ameno benessere che ne anima il ricordo era ragionevolmente appannaggio di ben poche persone. E, d’altra parte, il problema di definire cosa sia tradizionale e cosa invece non meriti questo aggettivo esiste. Non ci si può accontentare di un richiamo temporale (i venticinque anni della normativa ministeriale, ma anche di quella comunitaria), anche perché persino i prodotti più antichi hanno potuto crescere ed affermarsi innestando l’innovazione sulle pratiche ripetute. Correndo il rischio di un confronto irriguardoso, e con la sola intenzione di sottolineare la difficoltà di definire un concetto così vago, vorremmo riportare una frase pronunciata da Papa Giovanni XXIII ai tempi del Concilio ecumenico Vaticano II, la cui inaugurazione risale all’ottobre 1962: “Cos’è la tradizione? È il progresso che è stato fatto ieri, come il progresso che noi dobbiamo fare oggi costituirà la tradizione di domani”. Detto questo, una volta avvicinatisi all’obiettivo della definizione di prodotto tipico, o di modo di produzione tradizionale, e abbandonando così le riflessioni troppo astratte, sarà forse possibile anche far sì che tali caratteristiche siano considerate davvero necessarie per l’ottenimento di prodotti di successo (economico o culturale), e magari pensare a come risolvere dignitosamente l’annoso problema della normativa igienico-sanitaria che, a volte, può costituire un freno per l’e-


mergere delle produzioni esclusivamente artigianali. Infatti, uno degli ostacoli principali sulla strada del prodotto tipico è la ragionevole necessità della tutela della salute del consumatore, che ha ogni diritto di esercitare il suo ruolo al sicuro da rischi igienici. Balza subito agli occhi come le norme e le regole igieniche, strettamente collegate al progresso scientifico e tecnologico, possano indirizzare verso scelte produttive che con il sentimento di ruralità che sopra ricordavamo hanno ben poco a che fare. Il percorso da seguire potrà allora essere quello di mettere a punto un sistema di controllo che permetta una supervisione costante, senza intervenire più di tanto sul processo produttivo. Tutto ciò, ammesso che davvero si voglia seguire la strada del recupero dei nostri “giacimenti gastronomici”, come sono stati chiamati, e si voglia tentare di sfuggire la trappola delle disposizioni contrastanti, classico dramma di tante prestigiose istituzioni. E soprattutto, a patto che non si intenda “sdoganare”, sulla scia dell’indubbia capacità tecnica, in generale, del mondo produttivo, anche quella parte di produzione che di qualità non è. Intendiamoci: la qualità non è corollario della provenienza. In questo modo, sarà possibile puntare a fare coincidere tanti interessi (produzione, consumo, salute, tutela ambientale), fino al raggiungimento di un’offerta globale, per quanto riguarda la nostra regione, delle caratteristiche dell’Emilia-Romagna, turistiche come gastronomiche, industriali come culturali, il che significa, in sostanza, un’affermazione sul mercato delle imprese dei diversi settori. Il mercato, teatro di una continua competizione fra imprese, richiede delle scelte. In particolare, lo scenario del mercato nel settore agroalimentare richiede di decidere se dedicarsi alla produzione di alta qualità, o addirittura di nicchia, o se orientarsi verso produzioni vendute a basso prezzo. In Europa l’alto costo del lavoro impone spesso la prima delle ipotesi. Per quanto riguarda l’Emilia-Romagna, c’è di buono che parecchi hanno già tentato di perseguire questo orientamento, sia con la scelta di produrre generi di alta e riconoscibile qualità, sia attraverso l’organizzazione imprenditoriale e la concentrazione dell’offerta. Oggi è possibile assicurare alla produzione di qualità un grado di riconoscibilità particolarmente elevato: quello garantito dall’Unione europea. Sarebbe assurdo lasciarsi sfuggire opportunità di que-

(Foto Diateca “Agricoltura”)

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sto genere, anche perché tutto il mercato alimentare va pian piano orientandosi verso l’impostazione della qualità certificata, sia di prodotto che di sistema (Dop, Igp, Stg, agricoltura biologica, sistemi di qualità certificati ISO 9000, Emas, rintracciabilità di filiera). Riuscire ad imporre una riconoscibilità di area sarebbe il successo assoluto; decidere di farlo davvero è la necessaria premessa. Come già detto, la Regione Emilia-Romagna condivide l’orientamento verso la qualità e lo incoraggia, ma oltre a ciò deve esserci la volontà dell’imprenditore, il vero soggetto protagonista sulla scena del mercato. Come dimostrano i casi che abbiamo raccolto in questa pubblicazione, alcuni hanno già deciso di sfruttare le possibilità aperte dai regolamenti comunitari, e in vari casi con ottimi risultati. Come dimostrano i casi che mancano, tanti stanno ancora aspettando. La professionalità delle nostre imprese ci fa pensare che presto i sistemi produttivi regionali saranno in grado di vantare ulteriori successi, grazie alla conoscenza dei mezzi utilizzabili e alla competenza degli imprenditori che le guidano. O Per ulteriori informazioni: Giuseppe Todeschini Tel. 051/284348 Fax 051/284359 e-mail: gtodeschini@regione.emilia-romagna.it *Servizio Valorizzazione delle produzioni della Regione Emilia-Romagna

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Organismi di controllo autorizzati per le Denominazioni Emiliano-Romagnole registrate ai sensi del Reg. (CEE) 2081/92 C.S.Q.A. Certificazioni Via S. Gaetano, 74 36016 Thiene (VI) Tel. 0445366094 - Fax 0445382672 www.csqa.it e-mail: csqa@csqa.it

Cermet - Certificazione e ricerca per la qualità Via Cadriano, 23 40057 Cadriano di Granarolo (BO) Tel. 051764811 - Fax 051763382 www.cermet.it e-mail: infobologna@cermet.it

Istituto Parma Qualità Via Roma, 82/b/c - 43013 Langhirano (PR) Tel. 0521864077 - Fax 0521864645 www.parmaqualita.it www.ipq-ineq.it e-mail: info@parmaqualita.it

3A - Parco Tecnologico Agroalimentare dell’Umbria Frazione Pantalla - 06050 Todi (PG) Tel. 07589571 - Fax 0758957257 www.parco3a.org e-mail: certificazione@parco3a.org

Istituto Nord Est Qualità Via Nazionale, 33/35 33030 Villanova di San Daniele del Friuli (UD) Tel. 0432956951-956956 - Fax 0432956955 www.ineq.it www.ineq-ipq.it e-mail: info@ineq.it

Check Fruit Via Boldrini, 24 - 40121 Bologna Tel. 0516494836 - Fax 0516494813 www.checkfruit.it e-mail: info@checkfruit.it

Dipartimento Controllo Qualità P.R. Via Kennedy, 18/A 42100 Reggio Emilia Tel. 0522934266 - Fax 0522700260 www.dcq-pr.it e-mail: dcq-pr@dcq-pr.it

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Ecepa - Ente certificazione prodotti agroalimentari Piazza Cavalli, 35 - 29100 Piacenza Tel. 0523386256 - Fax 0523334367 Product Authentication Inspectorate Limited P.A.I. PAI Italia s.r.l. c/o Quaser Viale Sondrio, 7 - 20124 Milano Tel. 0267479254 - Fax 0267479241


Prodotti a Denominazione di Origine Protetta Parmigiano-Reggiano ..............................Reg. (CE) n. 1107/96

del 12/06/1996

Grana padano ..........................................Reg. (CE) n. 1107/96

del 12/06/1996

Provolone Valpadana................................Reg. (CE) n. 1107/96

del 12/06/1996

Prosciutto di Parma .................................Reg. (CE) n. 1107/96

del 12/06/1996

Prosciutto di Modena ................................Reg. (CE) n. 1107/96

del 12/06/1996

Culatello di Zibello ...................................Reg. (CE) n. 1263/96

dell’1/07/1996

Salame Piacentino....................................Reg. (CE) n. 1263/96

dell’1/071996

Coppa Piacentina .....................................Reg. (CE) n. 1263/96

dell’1/07/1996

Pancetta Piacentina .................................Reg. (CE) n. 1263/96

dell’1/07/1996

Salamini italiani alla cacciatora ............Reg. (CE) n. 1778/2001 del 7/09/2001 Olio di oliva di Brisighella .......................Reg. (CE) n. 1263/96

dell’1/07/1996

Aceto balsamico tradizionale di Modena..................................................Reg. (CE) n. 813/2000 del 17/04/2000 Aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia .......................................Reg. (CE) n. 813/2000 del 17/04/2000 11


Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Parmigiano Reggiano Promotore

Tipo di prodotto

Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano Per informazioni Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano Via Kennedy, 18 - 42100 Reggio Emilia Tel. 0522307741 Fax 0522307748 www.parmigiano-reggiano.it

Formaggio semigrasso, a pasta dura, cotta e a lenta maturazione. È prodotto con il latte di vacca proveniente da bovine la cui alimentazione è costituita prevalentemente da foraggi della zona d’origine. La sua forma è cilindrica a scalzo leggermente convesso o quasi diritto, con facce piane leggermente orlate, e viene usato da tavola o da grattugia. Il latte, che viene usato crudo e non può essere sottoposto a trattamenti termici, né addizionato di additivi, proviene da due mungiture, di cui una lasciata riposare per effettuare la scrematura per affioramento. Esso viene coagulato con caglio di vitello in caldaie tronco-coniche di rame; seguono poi la rottura della cagliata, lo spurgo, la cottura per ottenere una massa caseosa omogenea e ben consolidata che viene immessa in appositi stampi. Dopo qualche giorno si procede alla salatura e quindi alla maturazione naturale, che deve protrarsi per almeno 12 mesi, anche se la resistenza alla maturazione è notevolmente superiore. A conclusione della stagionatura, dopo la cosiddetta “espertizzazione”, al prodotto non conforme al disciplinare di produzione vengono asportati i marchi d’origine, mentre alle forme idonee viene apposto sullo scalzo il marchio a fuoco.

(Foto Archivio Promodis)

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Zona geografica di produzione

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Organismo di controllo autorizzato Dipartimento Controllo Qualità P.R.

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La produzione di formaggio parmigiano-reggiano, incluso l’approvvigionamento del latte, comprende tutte le province di Parma, Reggio Emilia e Modena, i territori dei comuni della provincia di Bologna a sinistra del fiume Reno e di quelli della provincia di Mantova a destra del fiume Po.


Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Curiosità storiche e letterarie

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(Foto Archivio Consorzio Parmigiano Reggiano)

Guido Piovene pubblicò sul finire degli anni ‘50 Viaggio in Italia, un libro che, basato sulle interviste realizzate fra il maggio 1953 e l’ottobre 1956 per un analogo programma radiofonico, fu tra i più riusciti nel cogliere le novità e le persistenze di una società che andava sensibilmente modificando i propri costumi. L’esplicita attenzione alle questioni locali fu determinante per la riuscita dell’opera. La conclusione generale di Piovene, per inciso, è che l’Italia è un paese vario, ma non complesso. Le pagine qui selezionate sono riferite, naturalmente, alle sezioni su Parma e su Reggio Emilia. Da esse emerge un motivo di rivalità tra le due province, una polemica di campanile poi risolta salomonicamente con la denominazione oggi a tutti nota.

rana è un nome generico, che comprende anche i prodotti del Lodigiano e del Cremonese; mentre la zona tipica del parmigiano è limitata a Parma, a Reggio, a Modena, a Bologna di qua del Reno, e a Mantova di là del Po. Parma e Reggio però sono in testa, anche per una speciale qualità del latte. Parma, naturalmente, afferma il suo primato su Reggio: entrambe le città rivendicano di avere dato origine al parmigiano e di produrlo più squisito. Chiamandolo così si commette del resto un piccolo favoritismo: la disputa è stata infatti composta con la decisione di chiamarlo parmigiano-reggiano a Parma, reggiano-parmigiano a Reggio. Il marchio è disegnato in modo che ognuna delle due parole può trovarsi di sopra secondo la faccia su cui si depone la forma. (...) Una lezione sul formaggio si può prendere a Reggio molto meglio che a Parma, dove certi argomenti si trattano con eleganza, scivolandovi sopra, non dimenticando mai di essere nel ducato di Maria Luigia. Mi hanno mostrato, nel consorzio agricolo, ben 100.000 forme di “grana”, accumulate l’una sull’altra nelle scansie (...). La disputa sul formaggio (...) qui si dà per risolta. Esso nacque in Val d’Enza, tra Bibbiano e Montecchio; ma poiché quella zona gravitava in antico, commercialmente, su Parma, a Parma fu venduto, e fu chiamato parmigiano. Reggio avrebbe dato la merce, e Parma i fondachi e il mercato. Tale rivalità tra Reggio e Parma è ormai un divertimento erudito. Una disgrazia accadde qualche anno fa: il formaggio fu colto da un inspiegabile contagio. Mandava cattivo odore, e non si riuscì ad appurarne con chiarezza la causa. A Reggio però si sussurrava che era colpa dei fermenti preparati a Parma. Ho visto qui all’opera i competenti: quelli che sanno giudicarne la qualità dal suono, battendolo con un martelletto, e dall’odore, aprendovi un foro quasi invisibile con un trivello. Il buongustaio si rammarica che la stagionatura naturale, tre anni, sia stata abbandonata ormai dappertutto; i vecchi, rivolti al passato, sostengono perciò che l’ottima qualità è oggi comune, ma che non si trovano più gli accelsi esemplari dei tempi eroici. (*) (*) Guido Piovene, Viaggio in Italia, Verona, Mondadori 1957, pagg. 200 e 203 (Foto Diateca “Agricoltura”)

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Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Promotore

Tipo di prodotto

Consorzio per la Tutela del Formaggio Grana padano Per informazioni Consorzio per la Tutela del Formaggio Grana padano Via XXIV giugno, 8 - San Martino della Battaglia 25015 Desenzano del Garda (BS) Tel. 030/9109811 Fax 030/9910487 www.granapadano.com e-mail: grana.padano@fcs.it

Formaggio di latte di vacca, semigrasso, a pasta cotta, a lenta maturazione, di forma cilindrica a scalzo leggermente convesso o quasi diritto con facce piane leggermente orlate, usato da tavola o da grattugia. Il latte, lasciato riposare e parzialmente decremato per affioramento, viene coagulato con aggiunta di caglio di vitello; la cagliata viene quindi rotta in granuli fini e cotta fino a quando i granuli diventano elastici. Segue poi l’immissione in stampi per almeno 48 ore e quindi la salamoia. La fase di maturazione naturale in ambienti idonei deve protrarsi per almeno 9 mesi. Il prodotto, in forme di peso da 24 a 40 chilogrammi, è individuato da appositi contrassegni posti sullo scalzo e, per essere considerato conforme al disciplinare di produzione, deve presentare il marchio a fuoco, apposto a conclusione della stagionatura dopo la cosiddetta “espertizzazione”. Solo se prodotto in provincia di Trento e a patto di rispettare disposizioni più restrittive, può essere commercializzato con il riferimento alla zona di origine.

(Foto Arch. Promodis)

Zona geografica di produzione

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Organismo di controllo autorizzato CSQA Certificazioni

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La produzione di formaggio grana padano comprende l’intero territorio delle province di Alessandria, Asti, Cuneo, Novara, Torino, Vercelli, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Milano, Pavia, Sondrio, Varese, Trento, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona, Vicenza, Ferrara, Forlì, Piacenza, Ravenna, e contigui comuni in provincia di Mantova e di Bologna form a n t i un’area continua.

(Foto Arch. ISVAL)

Grana Padano


Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Curiosità storiche e letterarie Nel 1980, il prof. Enzo Dieci, ordinario di Chimica e Industrie agrarie presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale “A. Zanelli” di Reggio Emilia, scrisse Parmigiano-Reggiano. Viaggiatori stranieri e storia padana. Si tratta di una testimonianza appassionata sulla storia e sulla tecnica di ottenimento di un prodotto del quale abbiamo già parlato. Con spirito decisamente “schierato” (inutile dire da che parte), l’autore non manca però di sottolineare la somiglianza che ha da sempre accompagnato la storia di parmigiano-reggiano e grana padano. Attraverso numerosi puntuali richiami, tecnici, storici e soprattutto letterari, Enzo Dieci ci mostra i numerosi aspetti che i due formaggi hanno in comune, divisi solo dal percorso del Po: grana lodigiano, grana veneto, parmigiano genericamente detto raramente trovano distinzione nella coscienza dei viaggiatori. Naturalmente, qualcosa di diverso c’è, e riguarda aspetti che i disciplinari possono chiarire, così come una serie di differenze manifestatesi nel tessuto produttivo delle due aree. Ma leggiamo, secondo la traduzione redatta dal prof. Dieci, le pagine che i fratelli Goncourt, esponenti del romanzo realista francese, dedicano alla “fabbricazione del formaggio parmigiano a Milano”. Si tratta di una situazione possibile durante il loro viaggio in Italia effettuato nel 1855-56, ma oggi non più consentita né dalle pratiche, né dalle normative.

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l conte Taverna ci accompagna a visitare una delle sue fattorie, dove si produce il formaggio Parmigiano (...) Stalle, in cui sessanta vacche mettono nella calda penombra un vapore opalino, che sale dalle loro narici lucenti. Il latte, al quale è stata tolta la crema, si trasporta nel “casone” e si versa in una caldaia di rame, a forma di campana rovesciata, molto svasata all’orlo, e che può contenere da 5 a 14 “brente” milanesi [da 3,5 a 10 q circa]. La caldaia è posta su un fornello situato in una nicchia circolare, scavata nel pavimento del casone, ed esposta a un fuoco che eleva la temperatura a 28 o 30 gradi Reaumur, e perché la temperatura resti uniforme, si agita continuamente il latte con la “rotella”. Così scaldato il latte, vi si mescolano delle “frattaglie”, formate dello stomaco di giovani vitelli, poi si toglie la caldaia dal fuoco e la si lascia in riposo, perché il latte coaguli; cosa che dura tre ore d’estate, una mezz’ora d’inverno. Poi il latte coagulato è battuto vivamente con lo “spino” finché diventa granuloso, della grossezza d’un grano di riso. Si rimette la caldaia al fuoco e si fa salire lentamente la temperatura a 32 gradi Reaumur. E’ il momento dello “spurgo”, quindi si aggiunge lo zafferano, che agisce come astringente e dà colore e sapore al formaggio. In questo momento, con un fuoco vivo, si raggiungono i 38 o 40 gradi: è il tempo della “cottura”. Terminata la “cottura”, si toglie, con la tela detta “patta”, il formaggio separato dal siero. Il formaggio, ora formato, è deposto in un mastello, dove viene leggermente compresso, e di là trasportato in una forma di legno, detta “fassera”, e tratto con una corda, in modo da dargli l’altezza che si desidera. Lo si posa poi su un piano inclinato “spersore”, ed è messo sotto un piatto di legno, chiamato “tondello”, perché quello che resta del siero coli via. Allora il formaggio è portato nella “salatoia”. Qui i formaggi sono posti su tavole di granito, dove sono scavati dei canaletti, e vengono salati due volte la settimana, in ragione della solidità che acquistano. Questa operazione dura 40 o 50 giorni. Alla fine, i formaggi sono immagazzinati nella “casera”, e posti su tavoli di legno. È là che sono unti con olio di seme di lino due volte la settimana d’inverno, ogni giorno, d’estate. I mercanti di formaggio riconoscono la bontà del formaggio auscultandolo con un martelletto di ferro. (...) Ora, al nostro arrivo nella tenuta, il vecchio casaro è sulla porta, sotto il suo mantello di canne, con i suoi stivali da nettafogne (...). Ha già battuto in terra, con energica impazienza, due o tre colpi di bastone, e alla fine si mette alla bocca la buccina di richiamo, ed emette un suono di corno. Perché è mezzodì, e Jacopo, il giovane casaro, che avrebbe dovuto finire di mungere le vacche, si diverte intorno a delle mungitrici, e la caldaia aspetta. Ah! È tutta una razza libertina, e che ha il segreto di farsi amare dalle donne, questa razza di casari! Ma eccolo là, Jacopo, che esce dalla stalla, con sulla testa la tinozza del latte fumante. (*) (*) Goncourt (de) Edmond et Jules, L’Italie d’hier, Paris G. Charpentier et E. Fasquelle, 1894 cit. in Enzo Dieci, Parmigiano-Reggiano. Viaggiatori stranieri e storia padana, Reggio Emilia, Istituto Tecnico Agrario Statale “A. Zanelli”, 1980, pag. 200-2

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Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Provolone Valpadana Promotore

Tipo di prodotto e metodo di ottenimento

Consorzio Tutela Provolone Valpadana Per informazioni Consorzio Tutela Provolone Valpadana Piazza Marconi, 3 - 26100 Cremona Tel. 037230598 Fax 0372457078 www.consorziotutelaprovolone.it e-mail: provserver@tin.it

Formaggio semiduro a pasta filata di latte di vacca intero proveniente da bovine allevate esclusivamente nella zona di produzione, di stagionatura variabile e forma: a salame, a melone, troncoconica, a pera, anche sormontata da testolina conica (fiaschetto). La pasta, ottenuta dalla cagliatura del latte con aggiunta di caglio di vitello, capretto e agnello da soli o congiunta(Foto Arch. Promodis) mente, a seconda della tipologia del formaggio (dolce o piccante) viene sottoposta ad un processo di filatura; successivamente, viene modellata nelle forme tradizionali; infine, seguono la salatura e la stagionatura, quest’ultima di durata minima variabile a seconda del peso della forma (minimo 0,5 chilogrammi).

(Foto Arch. ISVAL)

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Zona geografica di produzione

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Organismo di controllo autorizzato CSQA Certificazioni

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La produzione del formaggio provolone avviene nell’intero territorio delle province di Cremona, Brescia, Verona, Vicenza, Rovigo, Padova, Piacenza e comuni contigui delle province di Bergamo, Mantova, Milano e della provincia autonoma di Trento formanti un’unica area geografica.


Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Curiosità storiche e letterarie I motivi per i quali una produzione può diventare tipica o tradizionale in una zona particolare sono numerosissimi. Tradizione può anche significare una innovazione che ha avuto successo; successo economico, naturalmente. Il brano che abbiamo rintracciato riporta una notizia piuttosto curiosa, che conferma questa definizione del termine tradizione. Naturalmente, il trasferimento di una nota famiglia di imprenditori ha un influsso sulle produzioni di una zona, ed ha più possibilità di portare al successo economico, se esiste un substrato adatto. A Piacenza, per quanto riguarda l’Emilia-Romagna, ma anche in altre aree caratterizzate dall’allevamento dei bovini da latte, la consuetudine della produzione casearia di pregio è consolidata e confermata da più di una ricerca storica; ecco, quindi, uno dei motivi per i quali il Provolone Valpadana, che, come è facile rilevare, non viene prodotto solo a Piacenza, ha potuto facilmente raggiungere la registrazione della denominazione d’origine.

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a sua origine è meridionale. Era considerato il formaggio della povera gente: facile da conservare e ricco di sapore, ne bastava un piccolo pezzo per riempire la bocca ed allontanare per un po’ di tempo la fame. La produzione di Provolone si afferma in provincia di Piacenza in seguito all’insediamento in zona della famiglia Auricchio. Casari di professione, gli Auricchio trovarono in questo territorio abbondanza di latte e, adottando le tecniche a loro note, produssero quello che per loro, massari del sud, era del tutto normale: la pasta filata. Se comunque i caseifici di Provolone, e il Provolone a Denominazione d’Origine (il Provolone Val Padana) sono al Nord, ancora oggi il mercato di questo prodotto rimane il Sud del nostro Paese, dove l’abitudine al sapore di queste paste è sicuramente più radicata. Di Provolone ne esistono di due tipi: il piccante ed il dolce, per soddisfare tutti i gusti sia a tavola che in cucina. (*) (*) Bruno Morara, I Tesori del Latte. La civiltà casearia in Emilia-Romagna in Giancarlo Roversi e Donatella Luccarini (a cura di) I Tesori della Tavola in Emilia-Romagna, Bologna, L’inchiostroblu, 1998, pag. 63

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Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Promotore

Tipo di prodotto

Consorzio del Prosciutto di Parma Per informazioni Consorzio del Prosciutto di Parma Via Marco dell’Arpa, 8/b - 43100 Parma Tel. 0521243987 Fax 0521243983 www.prosciuttodiparma.it

Prodotto di salumeria ottenuto dalla coscia di suino pesante stagionata. La forma è tondeggiante, il peso varia fra gli otto e i dieci chilogrammi, e non può essere inferiore a sette. Le cosce fresche non devono subire, tranne la refrigerazione, alcun trattamento di conservazione, compresa la congelazione Dopo avere verificato i criteri di allevamento e macellazione dei suini, il processo di produzione comprende le seguenti fasi, fino alla applicazione del contrassegno: isolamento, raffreddamento, rifilatura, salagione, riposo, lavaggio, asciugamento, stagionatura. Quest’ultima deve protrarsi per un periodo minimo di dodici mesi. È consentito l’impiego di sale (cloruro di sodio) e di pepe, con esclusione di ogni trattamento chimico. Il prosciutto di Parma deve presentare il contrassegno costituito dal marchio a fuoco, che garantisce l’avvenuta stagionatura e la conformità ai requisiti prestabiliti. Il contrassegno viene apposto in seguito alla caratteristica operazione della “spillatura”.

(Foto Arch. Consorzio del Prosciutto di Parma)

Zona geografica di produzione

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Organismo di controllo autorizzato Istituto Parma Qualità

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La lavorazione del prosciutto di Parma avviene nel territorio della provincia di Parma posto a sud della via Emilia, a distanza di questa non inferiore a 5 chilometri, fino ad una altitudine non superiore a 900 metri, delimitato ad est dal fiume Enza e ad ovest dal torrente Stirone. La materia prima è costituita da cosce suine fresche di animali nati, allevati e macellati nelle seguenti regioni del territorio nazionale: Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio, Friuli-Venezia Giulia.

(Foto Arch. Consorzio del Prosciutto di Parma)

Prosciutto di Parma


Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Curiosità storiche e letterarie È noto che la necessità di conservare i cibi risale alla preistoria. Ci è sembrato allora interessante non tanto fare un riferimento esplicito al prodotto in sé, conosciuto e diffuso in ogni parte del mondo, quanto piuttosto raccontare dell’altro ingrediente fondamentale del prosciutto, oltre alla carne: il sale. Il volume di Don Enrico Dall’Olio tratta, fra l’altro, del sale di Salsomaggiore e di Rivalta, ritenuto dai primi stagionatori “casalinghi” del parmense il migliore di tutti. La tradizione piuttosto diffusa della trasformazione delle cosce suine in prosciutti, le particolari capacità in questo campo che hanno portato alla grande notorietà e alla notevolissima produzione del prosciutto di Parma, la discreta conoscenza del prodotto e del marchio da parte dei consumatori, ci permettono così di soffermarci a sottolineare l’importanza di uno degli aspetti più suggestivi del processo produttivo: la lunga stagionatura. Inoltre, si può rilevare come, a proposito della documentazione storica per le richieste di registrazione delle DOP, possano risultare fondamentali notizie (in questo caso, la presenza di sale in zona) che, all’apparenza, rischiano di sembrare poco più che curiosità. (Foto Arch. Consorzio del Prosciutto di Parma)

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(Foto Arch. Cons. del Prosciutto di Parma)

i potrebbe dire che la dolce storia del prosciutto di Parma, sia parallela a quella dell’”antigo logo della Brugnola detto Potiolo de la Noce” (Salsomaggiore) e a quella di “Salso de Joco” (Salsominore) e anche a quella del “Salso” di Rivalta (Lesignano Bagni), luoghi dove dalle più remote antichità si otteneva, dalla “cottura” delle acque salsoiodiche, il sale per uso domestico e anche per i “lardaroli e salumieri”. (...) L’importanza determinante del sale nel parmense è dichiarata anche dalle severe grida emanate dai signori che si avvicendarono al governo delle cose parmensi; tra le gride: quella di Filippo di Borbone, del 4 luglio 1479, articolata in 27 punti, intesa ad estirpare “li gravi abusi che giornalmente sieguono coll’usarsi e introdursi nel Nostri Stati, sali forastieri”. Tutti i cittadini di Parma in forza della grida dovevano usare il “sale nostrano”, vale a dire quello prodotto dalle locali saline e fornito dai ministrali, sotto pena di una multa di 50 scudi d’oro e “tre tratti di corda d’esserli dati ad arbitrio Nostro secondo la maggiore o minore quantità di sale comprato in altra giurisdizione”. I bottegai, lardaroli ed altri che fabbricano salami, salano carni e lardi, come pure a tutti gli osti, bettolieri e fornari di pane venale se trovati senza le bollette giustificanti “la leva del sale” erano passibili di una multa di 50 scudi d’oro. Ai trasportatori abusivi di sale, venivano anche confiscati “i cavalli, sommarii, carri ed altro”; infine la grida assume toni drammatici dall’articolo 18, quando considera l’operato di coloro che avessero introdotto “con mano forte” il sale; questi sarebbero incorsi in pene corporali assai rigorose, quali la galera in perpetuo o la pena di morte. Questo severo apparato aveva come primo scopo di assicurare un proficuo reddito alle casse ducali ed in secondo luogo la valorizzazione di un’industria locale, peraltro assai utile perché forniva ottimo sale, fortemente richiesto dai lardaroli per la concia delle carni suine. L’importanza specifica del sale di Salsomaggiore per la salagione delle carni suine è sottolineata anche in documenti più vicini a noi in una relazione annuale del 1910, dalla Camera di Commercio di Parma: “Una grave questione per l’industria salumiera, alla quale altra volta la Camera ha richiamato l’attenzione del Governo è quella del sale di Salsomaggiore appropriatissimo per la preparazione delle carni suine. Dopo che il limitato quantitativo di cui può disporre lo Stato, fu suddiviso proporzionalmente fra tutte le province d’Italia, ne fu riservata alla nostra una quota di gran lunga inferiore ai bisogni”. “Gli industriali si lagnano e protestano perché la sostituzione di tale sale con quello di Cervia o con quello da cucina, non dà i risultati desiderati. Occorre provvedere se non si vuole arrecare grave pregiudizio ad una industria che è fonte di ricchezza e di decoro per la provincia di Parma”. (*) (*) Enrico Dall’Olio, Prosciutto di Parma, Parma, Agenzia 78, 1989, pagg. 24, 27-8 19


Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Prosciutto di Modena Promotore

Tipo di prodotto

Consorzio del Prosciutto di Modena Per informazioni Consorzio del Prosciutto di Modena Viale Corassori, 72 - 41100 Modena Tel. 059343464 Fax 059340543 e-mail: stabaco@tin.it

Prodotto di salumeria ottenuto dalla coscia di suino pesante di razza bianca, esclusi verri e scrofe, stagionata per un periodo di 10-12 mesi. Le cosce fresche destinate a diventare prosciutto di Modena non devono subire, tranne la refrigerazione, alcun trattamento di conservazione. La forma è a pera, il peso non può essere inferiore a sette chilogrammi. Dopo avere verificato i criteri di allevamento e macellazione dei suini, la lavorazione del prosciutto di Modena inizia con la rifilatura della coscia fresca, passa poi alla salagione (primo e secondo sale), al riposo, al lavaggio e asciugatura, ed alla stagionatura vera e propria. Infine i prosciutti, se ritenuti idonei previo accurato controllo, ricevono l’apposizione del marchio di tutela.

(Foto Archivio Consorzio del Prosciutto di Modena)

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Zona geografica di produzione

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Organismo di controllo autorizzato Istituto Parma Qualità

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La produzione del prosciutto di Modena avviene esclusivamente nella particolare zona collinare insistente sul bacino oroidrografico del fiume Panaro e sulle valli confluenti e che, partendo dalla fascia pedemontana, non supera i 900 metri di altitudine. La materia prima è costituita da cosce suine fresche di animali nati, allevati e macellati nelle seguenti regioni del territorio nazionale: EmiliaRomagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio, Friuli Venezia Giulia.


Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Curiosità storiche e letterarie Il prosciutto è dunque uno degli alimenti la cui preparazione risale davvero alla notte dei tempi. Esso comprende in sé l’alimentazione a base di carne (sia selvatica che d’allevamento) e la pratica della conservazione di quelle carni, da sempre grosso problema dell’uomo, attraverso la salagione e la stagionatura. Il prof. Ballarini realizza una rapida illustrazione della presenza e dell’importanza del maiale nelle terre padane, dall’antichità fino ai tempi recenti. Il riferimento alla zona d’origine “Modena” è marginale: è chiara invece la connessione che lega “l’uso” - per così dire - del maiale a tutta la pianura Padana, che è un argomento già sufficiente a porre una base solidissima dalla quale partire per tutte le richieste di registrazione delle denominazioni d’origine che riguardano salumi prodotti in quest’area. L’iniziativa dei produttori ha poi fatto il resto, costruendo su quelle fondamenta. (Foto Archivio Consorzio del Prosciutto di Modena)

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a valle padana, oggi nota anche come la valle del cibo (non usiamo, per carità, l’inutile anglicismo di “food valley”!), è stata e rimane anche la valle dei maiali che vi hanno trovato alimenti adatti. Nella valle padana gli antichi maiali selvatici, o cinghiali, dopo una parziale addomesticazione, si nutrivano della ghiande e delle castagne dei boschi rispettivamente di pianura e di alta collina e montagna, tanto che il valore di un bosco di querce era stimato in base ai maiali che poteva sostenere e ingrassare. Con la trasformazione agraria del secondo millennio della nostra era, i maiali iniziarono a venire alimentati con gli scarti della produzione del latte, soprattutto con il siero di risulta del formaggio parmigiano, che trovò un valido complemento del grano “turco” o mas giunto dall’America. Da un allevamento brado e poi semibrado si è gradualmente passati ad un allevamento confinato. Il territorio dell’attuale Emilia-Romagna, fin dall’antichità, è stato diviso in due aree, una “longobarda” nella quale dominava l’allevamento del maiale e l’altra “romana” dove era preminente, ma non esclusivo, il pascolo delle pecore. L’approssimativo confine tra le due aree e quindi tra le attuali Emilia e Romagna passava a oriente di Bologna. Il poeta Tassoni, nella Secchia rapita, denomina Modena “lombarda”, riferendosi alla cultura longobarda che, per secoli, dominò su gran parte della pianura padana valorizzando il maiale, con il quale otteneva una efficiente utilizzazione dei territori boschivi, ricavandone al tempo stesso una sana alimentazione. Una cultura, quella longobarda, che si riallacciava a quella cultura celtica che l’aveva preceduta negli stessi territori e per la quale il maiale era un animale totemico e carico di significati religiosi, che non impedivano, anzi ne giustificavano e ne valorizzavano il ruolo economico, sociale ed alimentare, soprattutto in un ambito maschile. Uno stretto ed antico legame congiunge infine le culture longobarda e celtica all’ancora misterioso popolo villanoviano e delle terramare che, lasciandoci cospicui reperti ossei suini, ancor oggi ci testimonia di una significativa presenza del maiale, il Sus verrucosus, nelle terre da lui abitate. Una cultura suinicola, quella ora tratteggiata, che non è stata sostanzialmente intaccata, anzi sviluppata e valorizzata dai contatti che la cultura celtica ebbe con quella del popolo etrusco prima e romano poi e che, attraverso quest’ultimo, si è diffusa nell’area mediterranea cristianizzata, arrivando via via fino ai nostri tempi. Nell’area dell’attuale Romagna, pur dominata dalla pecora, non mancò l’introduzione del maiale, soprattutto nelle zone più vicine al Po o sulla montagna. Un sottile ma tenace ed ininterrotto filo culturale, che si perde nella notte dei tempi, collega la presenza del maiale - prima selvatico o cinghiale, poi domestico - con il suo allevamento e la sua domesticazione nella pianura padana occidentale, di cui fa parte l’odierna Emilia-Romagna. (*) (*) Giovanni Ballarini, Sua Maestà il Maiale. Allevamento, conservazione delle carni e prodotti tipici in Giancarlo Roversi e Donatella Luccarini (a cura di), I Tesori della Tavola in Emilia-Romagna, Bologna, L’inchiostroblu, 1998, pagg. 40 e 41.

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Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Culatello di Zibello Promotori

Tipo di prodotto

Associazione Produttori per la Tutela del Culatello di Zibello Associazione Industriali delle Carni (Ass.I.Ca.) Per informazioni Consorzio del Culatello di Zibello Piazza G. Garibaldi, 35 - 43010 Zibello (PR) Tel. 0524/99131 Fax 0524/99203

Prodotto di salumeria: carne di suino pesante stagionata. Per la fabbricazione si utilizzano i fasci di muscoli crurali posteriori ed interni delle cosce suine fresche, opportunamente mondati in superficie e rifilati fino ad ottenere la classica forma a pera. La produzione prevede le seguenti fasi: preparazione del fascio muscolare, salatura (nella miscela di salagione sono presenti sale, pepe, aglio), riposo, insacco e/o ricopertura, legatura (ben stretta, per evitare che rimangano all’interno vuoti d’aria), stagionatura in locali idonei per almeno 10 mesi a partire dalla fase di salatura. Il culatello di Zibello appartiene alla categoria dei prodotti naturalmente stagionati, da conservare crudi. Il prodotto finito, dopo la stagionatura presenta una forma caratteristica a pera con leggero strato di grasso nella parte convessa, imbrigliato in giri di spago tali da formare una caratteristica rete a maglie larghe. Il peso deve essere compreso fra 3 e 5 chilogrammi. Il colore al taglio è rosso uniforme con presenza di grasso di colore bianco fra i fasci muscolari. Il gusto è caratteristico, dolce e delicato.

I.S.I.T. Istituto Salumi Italiani Tutelati Str. 4, palazzo Q8, Milano Fiori 20089 Rozzano (MI) Tel.: 028925901 Fax: 0257510667 e-mail: isit@assica.it

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La lavorazione del culatello di Zibello avviene nei seguenti comuni della provincia di Parma: Polesine Parmense, Busseto, Zibello, Soragna, Roccabianca, San Secondo, Sissa, Colorno. La materia prima deve provenire da suini nati, allevati e macellati nelle regioni Emilia-Romagna e Lombardia, conformi alle prescrizioni stabilite per la materia prima dei prosciutti di Parma e San Daniele.


Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Curiosità storiche e letterarie Dalle righe che si riportano di seguito, tratte da una lettera allo scultore Renato Brozzi, l’”animaliere”, e già citate da Giorgio Triani nel suo Elogio del Culatello, sembra proprio che il ventottenne d’Annunzio, nel periodo di più intensa applicazione alla propria esistenza dei principi dell’estetismo, dei quali fu appassionato e personale interprete, annoverasse tra le gioie della vita anche la ammirazione “attiva” per il culatello, ammirazione espressa con quella prosa ridondante che è una delle sue caratteristiche più note.

C

arissimo Brozzi, ti farò sorridere. Io sono un cupidissimo amatore del parmense culatello (con una T o con due?). Esausto dalla malinconia operosa, dianzi sentivo i morsi della fame; e anche mi sentivo la struttura delle costole travagliata come il più fiero dei tuoi pezzi d’argento, e pativo nella bocca dello stomaco il rostro d’una delle tue Aquile vendicatrici. Mentre gridavo non senza ferocia: “Subito, subito, subito tre fette di culat(t)ello!”, la donna appariva co’ tuoi pacchi preziosi. Il più grande aveva la forma conica della compatta cosa di fibra rossa e salata. O Fratelmo, l’allucinazione della fame m’ha strappato un grido di riconoscenza e di felicità. “Brozzi! Un culatello! E come ci ha pensato?” Pongo le mani sul pacco, e sento il becco eroico dell’aquila... Ti confesso che per un così bello e potente raggio di arte vera, ho dimenticato la delizia golosa. La donna di servizio, la Milia, potrà testimoniarti l’esattezza del mio racconto. Interrogala. Fin d’ora ti son grato del profondo pasto che porti al mio spirito. Stupenda è l’Aquila d’argento (è mia); stupenda è quella del “più alto”; e il pulcino è tanto saporitamente trattato che, per mangiarmelo beato, attenderò ch’ei sia pollastro. Ti vedrò stasera. Ti abbraccio. Perdona al delirio del Famelico in bellezza. Gabriele d’Annunzio (*)

(Foto Trascinelli)

(*) Lettera a Renato Brozzi, 30 giugno 1891 cit. in Giorgio Triani (a cura di), Elogio del Culatello. Il salume dei re tra storia letteratura e gastronomia, Grafis Edizioni, 1992, pagg. 56-57

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Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Salame Piacentino Promotore

Tipo di prodotto

Consorzio fra Produttori dei Salumi Tipici Piacentini Per informazioni Consorzio Salumi Tipici Piacentini Palazzo dell’Agricoltura Via C. Colombo 35 - 29100 Piacenza Tel. 0523591260 Fax 0523608714 www.piacenzafoodvalley.com/consorziosalumi.htm e-mail: info@piacenzafoodvalley.it

Prodotto di salumeria. Il salame piacentino appartiene ai prodotti salati e naturalmente stagionati, rivestiti con diritto di suino, da consumarsi crudi. Per la sua fabbricazione si utilizza carne magra suina, con aggiunta di grasso suino e quantità determinate di condimenti (sale, pepe, infuso di aglio e vino). La produzione del salame piacentino comprende le seguenti fasi: tritatura delle carni, condimento con miscela di salatura ed aromi, impastamento, insaccamento e legatura, asciugatura e stagionatura. Il prodotto finito è di forma cilindrica, di peso non superiore a 1 chilogrammo; il colore della fetta è rosso vivo inframmezzato da lenticelle bianche di grasso; l’aroma è tipico, molto intenso, piuttosto dolce, con odore caratteristico di carni insaccate. (Foto Archivio Consorzio Produttori Salumi Tipici Piacentini)

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La lavorazione del salame piacentino avviene nel territorio della provincia di Piacenza. La materia prima deve provenire da suini pesanti nati, allevati e macellati nelle regioni Emilia-Romagna e Lombardia, conformi alle prescrizioni stabilite per la materia prima dei prosciutti di Parma e San Daniele.


Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Curiosità storiche e letterarie Si deve alla Camera di Commercio di Piacenza la pubblicazione del volumetto I salumi piacentini, nel quale Serafino Maggi raccoglie, fra l’altro, varie notizie storiche sulla notorietà di questo prodotto, che comprende le tre versioni che hanno ottenuto la registrazione della denominazione di origine: salame, coppa e pancetta. Abbiamo posto l’accento sulle pagine che si riferiscono ai primi decenni del ‘700, quando il cardinale Giulio Alberoni, abile diplomatico e statista, “seppe servirsi abilmente anche dei salumi e dei formaggi prodotti nella sua terra natale al fine di guadagnarsi le simpatie di personaggi influenti [fino a diventare primo ministro del re Filippo V di Spagna] e realizzare cospicui disegni di politica internazionale”.

(Foto Archivio Consorzio Produttori Salumi Tipici Piacentini)

A

lla corte spagnola la cerchia degli “aficionados” dei nostri appetibilissimi generi alimentari doveva essere piuttosto ampia tanto da indurre l’Alberoni a richiederne in questi termini: “... Se con l’occasione favorevole potete inviare alcuni salami e un poco di formaggio, soddisfarò agli amici e alla Principessa a cui l’avevo promesso”. Quando poi l’Alberoni attraverso un capolavoro di abili maneggi riusciva a dare a Filippo V, rimasto nel frattempo vedovo, una seconda moglie nella persona di Elisabetta Farnese, figlia di Odoardo, nipote e figliastra di Francesco, Duca di Parma e Piacenza, le richieste di salumi da parte del primo ministro per appagare i desideri della neo sovrana che, dal canto suo, dimostrava di esserne molto ghiotta, si facevano man mano più frequenti: “Ho ricevuto quattro casse di salami - scriveva il prelato piacentino al Rocca - che mi furono consegnate dal signor Rosconi a Pamplona, e hieri n’ebbe uno S.M. in tavola, fatto cuocere in mia casa, che fu trovato da S.M. di suo grandissimo gusto. Oggi pure ne ho portato un altro nella mia carrozza alla [partita di] caccia, dal che avvisata S.M. dal Cavallerizzo del Re l’ha pure voluto sopra la sua tavola e ne ha mangiato completamente...”. E ancora: “... Sono pure arrivate le sei casse di salami... ne ricevei pure quattro dal signor Rosconi, però, come queste entrarono nella dispensa regia. So che il marchese di Vigliena ne ha avute due donzene in sua parte. Se mai occorresse mandarne altri, spediteli...” Malgrado l’onere dei molteplici impegni di Governo, preoccupazione costante dell’Alberoni era quella di non far mancare alla tavola della regina Elisabetta i salami piacentini, gli unici preferiti dalla sovrana, come annotava l’Alberoni stesso: “... gustando la Regina dei salami crudi, ne ho comprati alcuni da questi genovesi, ma come S.M. si è spiegata di piacerle più quelli del nostro paese, ve ne porto l’avviso ed, in caso ne vogliate mandarne, potete spedirli prima di Pasqua”. In un’altra missiva di due mesi dopo si legge: “Resto inteso dell’avviso che mi date, esser partite da Genova le dodici casse di vini, due con 36 marzolini ed una con salami crudi sopra nave francese per Alicante dirette a quei signori Pavia e Ricci, a’ quali ho già spediti ordini pressanti di ritirarli subito e rimettermi tutto con la maggiore brevità”. In fatto di salumi, l’illustre committente teneva molto a far bella figura e, più d’una volta, pregò il conte Rocca affinché gli fossero inviati solo salami “crudi, piccioli e ordinari, magri però frammezzati di un poco di grassa, ed in somma di quelli che si vendono in Piacenza nelle pubbliche botteghe, ... che fa il Mazzari bottegaio ed altri simili suoi compagni, particolarmente di quelli piccoli crudi frammeschiati un poco di grassa ed altri senza, con aglio...” (*) Serafino Maggi, I salumi piacentini, Piacenza, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura, 1973, pagg. 18-21 25


Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Coppa Piacentina Promotore

Tipo di prodotto

Consorzio fra Produttori dei Salumi Tipici Piacentini Per informazioni Consorzio Salumi Tipici Piacentini Palazzo dell’Agricoltura Via C. Colombo 35 - 29100 Piacenza Tel. 0523591260 Fax 0523608714 www.piacenzafoodvalley.com/consorziosalumi.htm e-mail: info@piacenzafoodvalley.it

Si tratta di un prodotto di salumeria composto di carne suina (muscoli cervicali, isolati “a caldo”), salato e naturalmente stagionato, da conservare crudo, rivestito con peritoneo parietale di suino, ottenuto da muscoli della regione cervicale superiore. La sua produzione comprende le seguenti fasi: salagione a secco, massaggiatura, rivestimento con parietale, legatura, asciugamento e stagionatura. Questa si protrae per un periodo minimo di sei mesi dalla data della salatura. Il prodotto finito è di forma cilindrica leggermente più sottile alle estremità, ottenuta con la rifilatura ed asportazione del grasso e di qualche sottile pezzo di carne; è di consistenza compatta, non elastica. Al taglio la fetta si presenta omogenea, di colore rosso inframmezzato di bianco rosato nelle parti marezzate.

(Foto Archivio Consorzio Produttori Salumi Tipici Piacentini

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Zona geografica di produzione

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Organismo di controllo autorizzato E.Ce.P.A. - Ente di Certificazione Prodotti Agroalimentari

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La lavorazione della coppa piacentina avviene nel territorio della provincia di Piacenza. La materia prima deve provenire da suini pesanti nati, allevati e macellati nelle regioni Emilia-Romagna e Lombardia, conformi alle prescrizioni stabilite per la materia prima dei prosciutti di Parma e San Daniele.


Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Curiosità storiche e letterarie

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n altro tipico prodotto che ha sempre conferito una particolare distinzione alla tavola piacentina è la coppa, un tempo meglio conosciuta fuori del nostro territorio come “bondiola”, “...un genere di salume che è il più famigerato. Questa “bondiola” altro non è se non la collottola del porco conciata con circa 11 grammi di sale, 39 di pepe, 13 di cannella in polvere, 6 della stessa droga in canna e 6 di garofalo per ogni peso, indi avvolta in una pelle di sugna, e strettamente legata”. Rinomatissime per dolcezza e morbidezza sono ricordate le coppe di Ferriere le quali, in virtù delle loro particolari attribuzioni gastronomiche, “valicano i mari e gli oceani, giacché i nostri montanari emigrati nel tempo passato in Francia, in Inghilterra e anche nelle Americhe ne richiamano di continuo centinaia e centinaia e ne fanno largo commercio”. A contendere il primato delle coppe di Ferriere erano, un tempo, quelle prodotte in un’altra località dell’appennino piacentino: Bobbio, dove - a detta di Bertacchi - “la carne di maiale è molto più gustosa che altrove, e sono assai pregiati in ispecie i salami e le così dette “coppe di Bobbio”, che si mandano a regalare in lontani paesi. Ciò è dovuto, io credo, ai farinacei, alle frutta ed ai vegetali in genere, che servono di alimento a questi animali, e che sono colà assai più saporiti ed aromati...” (*) Serafino Maggi, I salumi piacentini, Piacenza, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura, 1973, pag. 24

(Foto Archivio Consorzio Produttori Salumi Tipici Piacentini)

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Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Pancetta Piacentina Promotore

Tipo di prodotto

Consorzio fra Produttori dei Salumi Tipici Piacentini Per informazioni Consorzio Salumi Tipici Piacentini Palazzo dell’Agricoltura Via C. Colombo 35 - 29100 Piacenza Tel. 0523/591260 Fax 0523/608714 www.piacenzafoodvalley.com/consorziosalumi.htm e-mail: info@piacenzafoodvalley.it

La pancetta piacentina appartiene ai prodotti salati, naturalmente stagionati, da conservare crudi. Per la fabbricazione si utilizza la parte centrale del grasso di copertura della mezzena ed i fasci muscolari del tronco. La produzione avviene secondo le seguenti fasi: rifilatura del cosiddetto pancettone, salatura a secco, raschiatura, legatura, asciugamento e stagionatura. Questa decorre dall’inizio della salagione, e si protrae per circa 2-3 mesi. Il prodotto finito è di forma cilindrica, di peso dai 4 agli 8 chilogrammi, di colore rosso vivo inframmezzato dal bianco delle parti grasse. La carne è di profumo gradevole, dolce con sapore sapido.

(Foto Archivio Consorzio Produttori Salumi Tipici Piacentini)

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Zona geografica di produzione

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Organismo di controllo autorizzato E.Ce.P.A. - Ente di Certificazione Prodotti Agroalimentari

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La lavorazione della pancetta piacentina avviene nel territorio della provincia di Piacenza. La materia prima deve provenire da suini pesanti nati, allevati e macellati nelle regioni Emilia-Romagna e Lombardia, conformi alle prescrizioni stabilite per la materia prima dei prosciutti di Parma e San Daniele.


Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

CuriositĂ storiche e letterarie

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el novero dei salumi piacentini rientra anche la buonissima pancetta arrotolata, ottenuta utilizzando la parte ventrale del grasso di copertura della mezzena riempita, all’interno, con carne rossa sempre di suino, il tutto delicatamente aromatizzato con le necessarie spezie. Secondo una tradizione molto diffusa nelle nostre campagne fino a qualche decennio fa, presso le case degli agricoltori si procedeva al taglio della pancetta quando essa era ben stagionata, servendola a fette o, in umido con i piselli, sui rustici deschi che vedevano raccolte le persone impegnate nei lavori di trebbiatura del grano. (*) (*) Serafino Maggi, I salumi piacentini, Piacenza, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura, 1973, pag. 25 (Foto Archivio Consorzio Produttori Salumi Tipici Piacentini)

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Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Salamini italiani alla Cacciatora Promotore

Tipo di prodotto

Associazione Industriali delle Carni (Ass.I.Ca.) Per informazioni I.S.I.T. Istituto Salumi Italiani Tutelati Str. 4, palazzo Q8, Milano Fiori 20089 Rozzano (MI) Tel. 028925901 Fax 0257510667 e-mail: isit@assica.it

La materia prima è costituita principalmente da carni magre derivanti dalla muscolatura striata delle carcasse di suino, grasso suino duro, sale, pepe a pezzi o macinato e aglio. Possono essere addizionati con vino, zucchero (destrosio, fruttosio, lattosio), latte (magro o in polvere) o caseinati, ma anche con coltura di avviamento alla fermentazione, nitrato di sodio e di potassio, acido ascorbico e loro sale sodico. Tutto il preparato viene insaccato in budelli naturali e artificiali di diametro non superiore a 75 millimetri, eventualmente legati in filza, e di lunghezza non superiore a 350 millimetri. Il prodotto finito, terminata la stagionatura di almeno dieci giorni, presenta diametro di circa 60 millimetri, lunghezza di circa 200 millimetri e peso intorno a 350 grammi. Il nome deriva da un diffuso uso rurale secondo cui i cacciatori li portavano con sé, nelle loro escursioni, perché, date le dimensioni ridotte, potevano stare tranquillamente nelle bisacce. Proprio questo uso specifico ne avrebbe motivato il formato ridotto che caratterizza i salamini e che ha contribuito a renderli famosi presso il consumatore.

(Foto Archivio ISIT)

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Zona geografica di produzione

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Organismo di controllo autorizzato Istituto Nord Est Qualità

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La zona di provenienza della materia prima, così come quella di trasformazione, coincide con la zona tradizionale di allevamento del suino pesante italiano, individuata nelle Regioni Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, EmiliaRomagna, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo, Lazio e Molise.


Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Curiosità storiche e letterarie Non è facile trovare fonti dirette che documentino la diffusione del salamino alla cacciatora (o cacciatore, o cacciatorino), salvo i listini prezzi delle aziende produttrici. Ciò che emerge negli scritti a proposito di questa pezzatura di salame è sempre la solita notizia, magari preceduta da un “si dice”: ... il nome viene dall’abitudine lontana dei cacciatori di portare di scorta, durante le battute, queste miniporzioni di salume con cui rifocillarsi...” afferma Sapori d’Italia, la guida ai prodotti tipici regionali della De Agostini (edizione 1999), peraltro soggiungendo che “Le zone più classiche di produzione sono la Brianza, le campagne cremonesi e la provincia di Sondrio...”. Se il dato fondamentale per il riconoscimento di questa Dop, oltre al fatto di essere citata nelle cosiddette “convenzioni bilaterali”, è quello del consumo di salumi in Italia, può essere spiritoso allora citare qualche pagina di Gianni Brera, che col suo personalissimo prosare ricorda a se stesso e a noi l’uso e l’importanza (anche dialettica) del salame. (Foto Archivio ISIT)

I

l salame è re nelle nostre dispense di poveri. Chi non ammazzava il maiale, in Lombardia, non era un pater familias rispettabile. [...] Un lombardo cresce (cresceva) attingendo proteine e bruciori di stomaco dal sempiterno salame stagionato in cantina o addirittura nel sottoscala. I miei rientri da avventurosi vagabondaggi per boschi e boschine erano sempre determinati dalla fame. La vecchia sapeva. Dalla credenza toglieva il salame incappucciato dalla carta oleata e ne tagliava on fettin (poco, se no stasera non hai più fame per la minestra, che l’è la biava de l’omm). Il salame in una mano e il pane nell’altra, perché il tramezzino umiliava troppo la fetta pur astutamente tagliata in diagonale: e via subito per altri giochi. E la sera, più grandicello, tornando da morosa, incontri gli altri che tornano come te illanguiditi di amore e di fame. Il ritrovo è al centro della piazza. Le avventure vissute e soprattutto sbruffate portano al racconto confidenziale. Qualcuno ostenta di lavarsi almeno l’indice esploratore alla vicina pompa pubblica. Magari sporge le labbra e coglie un fiotto di acqua fresca: la bevuta dilata i vuoti di stomaco. A chi tocca questa sera tagliare do fett de salam? Il turno è tacitamente avviato secondo consuetudine. Pane di micca, filzetta e barbacarlo. A vent’anni, l’acidità è vizio già ricorrente. Se ci aggiungi la guerra, basterà ogni volta il solo profumo del salame a torcerti lo stomaco di piacere e di apprensione. Però, desistere, mai! E se tu pure un giorno diventi pater familias, come prima ambizione appendi in cantina la rampinera per i salami, che pare il baldacchino d’un vescovo: e credi volontieri al compagno d’infanzia mazzolaro che ti assicura come qualmente il salame maturi bene o male secondo l’aria: per esempio, a San, una meraviglia: appena quattro chilometri su per il fiume, a Corteolona, un disastro. Poi, credi anche all’amico brianzolo che, per quello che ne sa lui, salami come al suo paese non se ne impastano al mondo; e subito i paìs a riproverarti di avergli creduto, che la civiltà del salame non può essere fiorita se non dalle nostre parti. Né vorrai smentire un valtellino, che per altri versi stimi moltissimo, se a sua volta giura sulla qualità superiore del salame di ...; e il veneto che giura sul salame di ...; e il novarese (bella forza, hanno le nostre origini, parlano il nostro stesso dialetto!), e ancora il monferrino, per tacere degli emiliani, che avrebbero tutto meglio, dal carattere generoso e cordiale alla bontà della roba, perfino del lambrusco, pensa te che becco; ma forse ancora peggiori sciovinisti sono i toscani, e guai a te se dubiti che quel tubo rossiccio pieno di cubetti di lardo sia il miglior salame del globo, senza contare la finocchiona, che l’è di pasta tanto più tenera e dolsce... (*) (*) Gianni Brera - Luigi Veronelli, La Pacciada; mangiarebere in pianura padana, Milano, Baldini & Castoldi, 1996, (prima ed. Arnoldo Mondandori Editore, 1973) pagg. 127-129

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Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Promotore

Tipo di prodotto

Cooperativa Agricola Brisighellese (C.A.B.) Per informazioni Consorzio Produttori dell’olio Extra Vergine di oliva “Brisighella” Corso Garibaldi, 2 - 48013 Faenza (RA) Tel. 054681103 Fax 054681497

Olio extravergine di oliva, ottenuto da olive della varietà “nostrana di Brisighella”, raccolte direttamente dall’albero nel periodo compreso tra il 5 novembre e il 20 dicembre di ogni anno. Gli uliveti devono presentare una densità di impianto variante fra 200 e 550 piante per ettaro, a seconda dei sesti di impianto, e la produzione massima per ettaro non può superare i 5.000 chilogrammi. La resa massima di olive in olio è del 18%. Per l’estrazione dell’olio, sono ammessi solo processi meccanici e fisici atti a produrre un olio che presenti il più fedelmente possibile le caratteristiche peculiari originarie del frutto. Le principali caratteristiche al consumo dell’olio di Brisighella sono le seguenti: • colore: verde smeraldo con riflessi dorati; • odore: di fruttato medio o forte con sensazione netta di erbe e/o ortaggi; • sapore: di fruttato con leggera sensazione di amaro e leggera o media sensazione di piccante; • acidità massima: non eccedente grammi 0,5 per 100 grammi di olio; • acido oleico:>= 75,00% • perossidi:<= 13 Meq02/Kg Gli altri parametri sono conformi all’attuale normativa europea sugli oli di oliva.

(Foto Arch. C.A.B.)

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Zona geografica di produzione La zona di produzione comprende, in tutto o in parte, il territorio amministrativo dei comuni di Brisighella, Faenza, Riolo Terme, Casola Valsenio, Modigliana.

(Foto Arch. C.A.B.)

Olio di oliva di Brisighella


Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Curiosità storiche e letterarie

S

econdoché il terreno si solleva in colline o cresce in monti, che poi salgono gradatamente in ertissimi gioghi fino ad aggiungere alla sommità dell’Appennino, variano nella Valle di Amone i frutti, che natura dispensa a tenore de’ luoghi e del clima. Imperocché dove appena cominciano a spuntare le collinette, e a far riparo coi loro dorsi ai venti, che spirano da tramontana, ivi vedesi verdeggiare di perpetue foglie l’ulivo, raro dapprima, poi cresciuto in numero e unito alle vigne spargersi insieme con esse lungo la sinistra giogaja, che volge a mezzodì tanto che per lo spazio che la medesima corre da Fognano fino a Brisighella, quelli co’ rami, queste co’ tralci quasi tutta l’adombrano. Le ulive, che quivi particolarmente si raccolgono, e nei concavi seni della valle, dove fa un’aria tepida e benigna, non sogliono per l’ordinario ascendere ad uguale quantità, essendo il mignolare dell’ulivo, anziché stabile, alternativo, ma i frutti sono sempre così perfetti, che ne stilla da essi un olio finissimo. Quanto alle vigne il vitigno che generalmente v’abbonda è il Sangioveto, che dà un vino più nero che vermiglio, ma polputo e saporito, di cui si fa commercio cogli strani, e per cui hanno nominanza questi luoghi aprichi. E di fatto ogni altra generazione di frutti vi è quivi dipinta dal sole con sì vivi colori, e dal cielo e dal suolo fornita di tal sapore e fragranza, che vincono di gran lunga quelli della pianura, esempio de’ primi l’uva, degli altri il fico, di cui né più dolce, né più grata, né più dilicata cosa è forse dato il trovare altrove. E dove crescendo i monti, ed inselvatichendo il suolo va cedendo l’ulivo, sottentrano opportunamente i boschi di castagno, che colle verdi e lucide loro foglie coprono le cime, dai quali è largita tanta copia di frutti, che una volta si mandavano a Venezia, e fino in levante, ed ora dopo aver supplito ad ogni altro difetto di viveri, che per caso vi fosse, si spargono per tutta Romagna offrendo gratissimo cibo agli abitatori delle pianure. (*) (*) Antonio Metelli, Storia di Brisighella e della Val d’Amone, Faenza, Tipolitografia Conti, 1869-72 (Foto Arch. C.A.B.)

Le opere di storia locale tendono spesso a presentare un quadro idillico delle campagne. In questo caso, Antonio Metelli ci parla della collina romagnola, che ancora oggi costituisce un patrimonio prezioso dal punto di vista panoramico e paesaggistico. Sembra di scorrerlo tutto, questo territorio, anche leggendo le due pagine che, fitte di fascinosi e “ruspanti” nomi di luoghi della zona, descrivono nel disciplinare i confini dell’area di produzione dell’olio di Brisighella, delimitata “...da una linea che, partendo sul limite nord-est della zona delimitata, in località Ca’ Fontana Vezzola, segue in direzione nord-ovest fino ad incrociare la strada di Toranello, da dove continua (...) in direzione sud-est fino ai pressi di Ca’ Spalancona, dove prosegue lungo la strada comunale per Santa Lucia, frazione che raggiunge e oltrepassa fino a toccare la località Ca’ Campazzo da dove prosegue prima in direzione ovest e poi sud lungo la strada per S. Mamante, che segue fino ai pressi di Ca’ Monducci, per proseguire lungo la strada vicinale fino a Ca’ Fontana...”. Ma ciò che importa di più notare a proposito di queste zone, è la sottolineatura data alla presenza dell’olivo, un tempo molto più diffuso di quanto si creda nelle zone interne dell’Emilia-Romagna. Oggi il numero di ulivi è diminuito; è invece rimasta notevole la qualità e la rinomanza dell’olio.

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Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Aceto balsamico tradizionale di Modena Promotore

Tipo di prodotto

Consorzio tra Produttori di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Per informazioni Consorzio Produttori di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena. Strada Vaciglio Sud, 1085/1 - 41100 Modena Tel. 059395633 Fax 059444510 www.balsamico.it e-mail: info@balsamico.it

Condimento. Il mosto, ottenuto da vitigni tipici della zona e cotto a fuoco diretto, acetifica naturalmente in botticelle di legni diversi. Con la particolare tecnica dei travasi, attuata in ambienti di stagionatura particolari e caratteristici chiamati acetaie, il mosto cotto matura, invecchia, si affina in un adeguato periodo di tempo, in ogni caso non inferiore a 12 anni. Il prodotto ottenuto è caratterizzato da colore bruno scuro, carico e lucente; densità apprezzabile in una corretta, scorrevole sciropposità; bouquet caratteristico, fragrante, complesso ma bene amalgamato, penetrante e persistente, di evidente ma gradevole e armonica acidità. Il sapore è dolce e agro ben equilibrato con apprezzabile acidità con lieve tangente di aromaticità ottenuta per l’influenza dei vari legni usati in acetaia. Può essere imbottigliato unicamente in contenitori particolari in vetro, di forma artistica definita, ai quali viene applicato il sigillo di garanzia a serie numerata. È vietato indicare ogni riferimento all’annata di produzione; è invece consentita la citazione “extra vecchio” per il prodotto che abbia avuto un invecchiamento non inferiore a 25 anni.

(Foto Arch. Consorzio Produttori Aceto Balsamico Tradizionale di Modena)

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Organismo di controllo autorizzato Cermet

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Zona geografica di produzione

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Le uve destinate alla produzione dell’aceto balsamico tradizionale di Modena devono essere prodotte nel territorio tradizionale della Provincia di Modena. Allo stesso modo, anche tutta la lavorazione sopra descritta deve avvenire nell’ambito provinciale.


Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Curiosità storiche e letterarie Nel marzo 1860 ebbero luogo i plebisciti con i quali le popolazioni dell’Emilia-Romagna e della Toscana espressero la volontà di annessione al Piemonte. Pochi mesi dopo, come riporta il volume realizzato grazie al Consorzio tra Produttori di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, vennero selezionate le migliori botti di aceto balsamico, che dal Palazzo Ducale furono trasferite al Castello di Moncalieri. Nello stesso periodo, l’enologo piemontese Ottavio Ottavi chiedeva all’avvocato modenese Francesco Aggazzotti i chiarimenti per la conduzione di un’acetaia. Tali notizie non permisero comunque l’impianto della produzione di aceto balsamico tradizionale in Piemonte, quasi a dimostrare una volta di più la dipendenza del prodotto da materia prima, clima e “saper fare” modenesi. Nella riposta dell’avvocato si può comunque riscontrare la base del futuro disciplinare di produzione.

(Foto Righi)

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esperienza praticata ab immemorabili dà la preferenza, per la confezione dell’aceto balsamico, all’uva bianca, e precisamente il Trebbiano. L’uva matura, pigiata, si pone in tino, come si pratica di solito nella vinificazione: ma, appena sviluppata la fermentazione vinosa, ossia appena siano venuti a galla le bucce ed i graspi - cioè dopo 24 ore - si spilla il mosto passandolo per setaccio non molto fitto, si porta subito in ampie caldaie e si fa bollire a lento fuoco, levando, mano a mano, la schiuma e protraendo poi l’ebollizione sino a ridurre il mosto a 70 o 80 per cento del volume primitivo. Il mosto così cotto e concentrato, si versa in larghi vasi di legno (sogli) ed ove vi sia abbondanza di acidità fissa si disacidifica colla polvere di marmo o con la cenere, separando, poi il liquido chiaro, dopo riposo e raffreddamento. E questo per diventare perfetto aceto balsamico non ha più bisogno che di tempo e recipienti adatti. Tali vasi, d’ordinario botti, si fanno in legno di quercia o di castagno: il migliore però pare quello di gelso. Un discreto acetaio deve essere provveduto di almeno una cinquantina di vasi in iscala sempre crescente di circa un chilogrammo: così che se il primo ne contenesse 20, il quarantesimo ne conterebbe 60. La depurazione dei fusti si ottiene coi soliti mezzi. Approntato il vaso, vi si introduce un chilogrammo o più di aceto forte e di buona qualità e, quando tutta la intera superficie ne sarà stata ben imbevuta, vi si verserà il mosto, avvertendo di non riempire il recipiente oltre i tre quarti della sua capacità. Ciò fatto nel primo anno, non rimane altro che replicare l’operazione nel secondo, in un altro vaso, rifornendo in pari tempo nel primo il liquido che sarà venuto meno per evaporazione. Tale operazione si effettua pure il terzo anno sopra un terzo vaso: senonché prima di rifornire (o come dicesi comunemente rincalzare) di mosto il secondo vaso, si preleva dal medesimo quanto occorre per rincalzare il primo vaso: e così si opera negli anni successivi, di modo che il primo recipiente non riceve il suo rincalzo che dal secondo, il secondo dal terzo, il terzo dal quarto e così di seguito sino agli ultimi. Il locale destinato alla conservazione e custodia ha bisogno solo di essere aerato e tenuto alla temperatura abituale del nostro clima: nel modenese vi si assegna di solito l’ultimo piano delle abitazioni.(*) (*) Lettera di Francesco Aggazzotti ad Ottavio Ottavi cit. in Consorzio tra Produttori di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, a cura di Gianni Salvaterra, Bologna, Calderini, 1994, pag. 30.

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Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Promotore

Tipo di prodotto

Consorzio fra Produttori di Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia Per informazioni Consorzio fra Produttori di Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia c/o Camera di Commercio I.A.A. Piazza Vittoria, 1 - 42100 Reggio Emilia Tel. 0522796294 Fax 0522796294 www.acetobalsamicotradizionale.it e-mail: abtre@re.camcom.it

Condimento ottenuto dalla fermentazione del mosto cotto proveniente dalle uve della zona, con affinamento in barili di legno ed invecchiamento che si protrae per un numero adeguato di anni (minimo 12). Il prodotto finale si presenta con una densità apprezzabile, di colore scuro, limpido, lucente; profumo fragrante, penetrante, persistente; il sapore è agro e dolce ben equilibrato. Sinteticamente il procedimento si può riassumere nelle seguenti fasi: cottura (in vasi aperti) dei mosti; fermentazione zuccherina ed acetica in apposite botti di legno (generalmente di castagno, rovere, gelso, ginepro, ciliegio, frassino, robinia), custodite in locali idonei detti “acetaie”; durante il periodo di invecchiamento nelle acetaie, vi sono una serie di altre operazioni che vengono tutte eseguite nel più completo rispetto delle tradizioni. Il prodotto finale viene commercializzato in confezioni da 100 e 250 ml di vetro, a forma di tulipano rovesciato. A seconda dell’invecchiamento, sono previsti marchi di colore diverso: aragosta, argento e oro. È vietato indicare ogni riferimento all’annata di produzione; è consentita la citazione “extra vecchio” per il prodotto che abbia avuto un invecchiamento non inferiore a 25 anni.

(Foto Righi)

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Reggio Emilia e provincia.

(Foto Arch. Consorzio Produttori Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia)

Aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia


Prodotti a Denominazione di Origine Protetta

Curiosità storiche e letterarie È praticamente impossibile trovare differenze nella storia dell’origine dei due aceti balsamici tradizionali: entrambi fanno riferimento a pratiche che affondano nel medioevo le proprie radici, si ottengono attraverso un processo produttivo che è rimasto pressoché inalterato da allora, vengono prodotti, se non nella medesima area, in zone confinanti. Ed in effetti, non si rinviene nella documentazione storica una differenza tra i due tale da motivare un riferimento geografico diverso. Secondo quanto afferma nel volume già citato Gianni Salvaterra, “...la prima testimonianza scritta che sia stata ritrovata fino ad ora è nella Vita Mathildis, scritta dal monaco benedettino Donizone, vissuto tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo. In tale cronaca si racconta come, in occasione di una sosta a Piacenza nel settembre dell’anno 1046, il re e futuro imperatore Enrico II di Franconia mandasse un messaggero al marchese Bonifacio, signore del castello di Canossa e padre di Matilde...” per farsi mandare quel famoso aceto. Commenta Salvaterra: “Anche se in questo racconto la parola balsamico non è menzionata, tale episodio ci dimostra come già allora quell’aceto fosse considerato particolarmente importante tanto da farne dono a un imperatore che, pur venendo da così lontano, ne conosceva l’esistenza”.

E

nrico II, re di magnifico aspetto, sapiente, giocondo, ricco, venne in Italia; e mandò a Bonifacio diverse sue cose nuove, poiché voleva di quell’aceto che gli era stato lodato e che si faceva nella rocca di Canossa. Il marchese ordinò di fabbricare subito, in argento, una botticella, due buoi, un carro e un giogo, e inviò il tutto, con buoi vivi, al re. Questi, che allora era per caso ospite della città di Piacenza, gradì assai quel grande e magnifico dono. Nessuno, pratico di mondo, deve meravigliarsi di tanta munificenza, quando avrà saputo con quale maggior dono si sia segnalato un vassallo del duca: egli compì l’omaggio al re, mentre questi, assieme al duca, si trovava a Mantova. Allora, dunque, il visconte Alberto, che era ricchissimo, vassallo del predetto duca e abitante di quella stessa città, offrì al re cento cavalli bai veramente splendidi, con rozze selle e morsi e briglie rudimentali, cento astori che già avevano superato il periodo della muda e cento magnifici esemplari di astori ancora di prime penne. (*) (*) Donizone, Vita Mathildis, libro I, cap. XIII, vv. 979-998 cit. in Consorzio tra Produttori di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, a cura di Gianni Salvaterra, Bologna, Calderini, 1994, pag. 16.

(Foto Consorzio Produttori Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia)

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Prodotti a Indicazione Geografica Protetta Mortadella Bologna ..................................Reg. (CE) n. 1549/98

del 17/07/1998

Zampone Modena .....................................Reg. (CE) n. 590/99

del 18/03/1999

Cotechino Modena .....................................Reg. (CE) n. 590/99

del 18/03/1999

Vitellone bianco dell’Appennino centrale .....Reg. (CE) n. 134/98

del 20/01/1998

Fungo di Borgotaro...................................Reg. (CE) n. 1107/96

del 12/06/1996

Scalogno di Romagna ...............................Reg. (CE) n. 2325/97

del 24/11/1997

Asparago verde di Altedo...........................Reg. (CE) n. 492/2003 del 18/03/2003 Marrone di Castel del Rio.........................Reg. (CE) n. 1263/96

dell’1/07/1996

Pera dell’Emilia-Romagna ......................Reg. (CE) n. 134/98

del 20/01/1998

Pesca e nettarina di Romagna .................Reg. (CE) n. 134/98

del 20/04/1998

Coppia ferrarese .......................................Reg. (CE) n. 2036/2001 del 17/10/2001

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Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Mortadella Bologna Promotore

Tipo di prodotto

Associazione Industriali delle Carni (Ass.I.Ca.) Per informazioni Consorzio Mortadella Bologna Str. 4, palazzo Q8, Milano Fiori 20089 Rozzano (MI) tel. 028925901 - fax 0257510667 www.mortadellabologna.com e-mail: info@mortadellabologna.com

Prodotto di salumeria composto di carne suina. Per la sua fabbricazione possono essere utilizzati unicamente muscoli striati di suino e grasso di alta qualità. E’ consentita l’aggiunta di glucosio e di alcuni additivi, ma solo in piccole qualità predeterminate. L’aggiunta di proteine è vietata. La produzione della mortadella Bologna comprende le seguenti fasi: preparazione della carne; preparazione delle barrette di grasso; miscelazione; insaccamento; cottura; raffreddamento. Il prodotto si presenta generalmente in forma ovale o cilindrica, racchiuso in un involucro naturale o sintetico, ed è sottoposto a cottura prolungata. All’apparenza la mortadella Bologna si presenta compatta, di una certa consistenza, con una superficie liscia di aspetto vellutato e di uniforme colore rosa brillante. Nella fetta vi devono essere, in una quota non inferiore al 15% della massa totale, quadretti di grasso possibilmente uniti a frammenti di tessuto muscolare.

(Foto Righi)

L’area di produzione comprende il territorio delle seguenti regioni e province: Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto, Provincia autonoma di Trento, Marche, Lazio e Toscana PC

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Organismo di controllo autorizzato Istituto Nord Est Qualità

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(Foto Diateca “Agricoltura”)

Zona geografica di produzione


Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Curiosità storiche e letterarie

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(Foto Righi)

Poiché parliamo di un prodotto che, come termine generico, è conosciuto in tutto il mondo, non deve sorprendere trovarlo citato anche in un sonetto di Giuseppe Gioacchino Belli, naturalmente in dialetto romanesco. Abbiamo però preferito riportare alcune impressioni di viaggio, dalle quali parte Giancarlo Roversi per descrivere, in una delle sue numerose opere sull’argomento, alcune delle caratteristiche della gastronomia bolognese.

ean Baptiste Labat (Parigi 1663-1738), professore di filosofia a Nancy, oltre che agronomo, matematico, architetto e valoroso artigliere, nel 1706 soggiornò a Bologna in occasione del capitolo generale dei domenicani, ordine religioso a cui apparteneva dal 1685. La sua lunga permanenza nella città gli consentì di raccogliere un gran numero di appunti e impressioni che trovarono posto nel Viaggio dato alle stampe nel 1731 ad Amsterdam. Ecco alcuni brani riguardanti un salume bolognese famoso: la mortadella. “Bisogna confessare che ci sono poche città al mondo adatte come questa agli studi. L’aria è pura, il clima è dolce, le acque leggere, il vino eccellente, come ottimi sono i frutti, i grani, le carni... Tra le manifatture di Bologna non è certo la minore quella delle salsicce: si sa che cosa sono perché note e diffuse in tutti i luoghi. Io ne ho mangiate in America! Mi sono informato esattamente di come son composte e mi hanno detto cose così diverse che non oso dirle qua per paura di passare per un mentitore, ma forse mi hanno ingannato. Gli uni dicono che sono composte dalla carne di piccoli asini, gli altri vogliono che si tratti della carne del cinghiale, altri pretendono che si tratti della carne del maiale domestico e altri, infine, sostengono che si mescola la carne del maiale con quella di bue o di vitello, in porzioni uguali: da tutto ciò risulta che ognuno cerca di avvolgere in un mistero questo prodotto. E fanno bene perché tutti vorrebbero imitarlo e allora il commercio che essi fanno di queste carni decadrebbe del tutto. Quanto a me credo che quello della carne degli asini sia un racconto fatto per divertire: è vero che questa terra e i suoi dintorni son piene di asinelli, ma la razza si sarebbe già estinta se si facessero sempre delle salsicce! Convengo poi che la carne di cinghiale deve avere più gusto e sapore, ma dove andare a prendere tanti cinghiali? L’America, che ne è piena, a stento potrebbe darne a sufficienza. Ritengo pertanto che si adoperi carne di maiale domestico, a cui si possa mescolare quella di bue o di vitello... Si taglia in fette sottili la carne e si mette a macerare in una tinozza con buon aceto, sale, pepe, garofano, scorze di legno d’India, che in Italia si chiama cannella garofanata, e foglie di lauro. Quando la carne è stata un certo tempo in tale liquido, si trita più minutamente possibile e la si riduce in pasta: si mescola allora tutto il composto con le spezierie che sono giudicate necessarie per dare il gusto e l’odore che essa deve avere e si insaccano in budelle o nelle vesciche del maiale e si fanno essiccare a piacere. Il consumo che si fa di queste carni è quasi incredibile, e se ne esportano ovunque e, benché se ne manipoli in tutta la Lombardia, si fanno sempre passare sotto il nome di “salsicce di Bologna”. Si contraffà inoltre a Bologna il formaggio di Parma e, malgrado i parmigiani pretendano che la Lombardia tutta intera non sia mai riuscita ad arrivare al punto di perfezione cui essi hanno saputo portare il loro formaggio, a Bologna se ne ride e si fanno dei formaggi di Parma come pure i parmigiani fanno delle salsicce di Bologna”. (*) (*) Giancarlo Roversi, La mortadella di Bologna. Un mito che non tramonta, in Giancarlo Roversi e Donatella Luccarini (a cura di) I Tesori della Tavola in Emilia-Romagna, Bologna, L’inchiostroblu, 1998, pagg. 192-4

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Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Zampone Modena Promotore

Tipo di prodotto

Associazione Industriali delle Carni (Ass.I.Ca.) Per informazioni I.S.I.T. Istituto Salumi Italiani Tutelati Str. 4, palazzo Q8, Milano Fiori 20089 Rozzano (MI) tel. 028925901 - fax 0257510667 e-mail: isit@assica.it

Prodotto di salumeria: carne suina. Viene ottenuto da una miscela di carni suine ottenuta da muscoli striati, grasso, pelle, e vari condimenti. La produzione di zampone Modena avviene secondo le seguenti fasi: preparazione degli ingredienti crudi; macinazione; miscelazione; riempimento. Infatti l’impasto viene inserito in un involucro naturale formato dal tessuto cutaneo della zampa anteriore del maiale, comprese le falangi distali, legata all’estremità superiore. Segue poi l’asciugamento, nel caso il prodotto venga venduto fresco, o la pre-cottura nel caso opposto. Il prodotto deve essere facilmente affettato. Una volta tagliato, la superficie ha un colore rosa brillante, tendente ad un rosso non uniforme, ed una consistenza soda e uniforme. (Foto desunta dal volume “Sapori e valori dell’Emilia-Romagna”)

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Zona geografica di produzione

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Organismo di controllo autorizzato Istituto Nord Est Qualità

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L’area di produzione comprende il territorio delle seguenti province italiane: Modena, Ferrara, Ravenna, Rimini, Forlì, Bologna, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, Cremona, Lodi, Pavia, Milano, Varese, Como, Lecco, Bergamo, Brescia, Mantova, Verona, Rovigo


Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Curiosità storiche e letterarie Lo zampone è uno dei prodotti più noti della cucina modenese. La sua preparazione richiede un’attenzione speciale anche per la insolita “confezione”: la zampa del maiale tagliata alla seconda giuntura, secondo la scrupolosa indicazione di Vincenzo Agnoletti, cuoco al servizio di Maria Luigia duchessa di Parma. D’altra parte, una delle caratteristiche dei prosciutti prodotti in Emilia è sempre stata quella di non utilizzare la parte inferiore della zampa, permettendo così usi più fantasiosi dello “zampetto”. Per la scoperta e, soprattutto, la raccolta di testi di questo genere, in questa come in altre occasioni opportunamente richiamate, si dimostra particolarmente preziosa l’opera di Emilio Faccioli, curatore di L’arte della cucina in Italia. Libri di ricette e trattati della civiltà della tavola dal XIV al XIX secolo, ampia antologia di notizie che il titolo rivela solo in parte. In questo caso, infatti, si presentano indicazioni sulla preparazione di un piatto, ma spesso sono i cosiddetti trattati della civiltà della tavola ad incuriosire forse di più.

Zampetti alla modenese Abbiate cinque libbre di cotene di maiale e cinque libbre di nervetti e ritagli di carne pure di maiale; fate il tutto ben cuocere con acqua, sale, una mignonette, una cipolla steccata ed un mazzetto d’erbe; allorché sarà tutto ben cotto, nettate bene ogni cosa e tritate insieme grossolanamente, uniteci due once e mezza di sale, mezz’oncia di pepe pesto e mezz’oncia di spezie soprafine. Tagliate le zampe dei maiali alla seconda giuntura della gamba, quindi pelateli con acqua bollente e disossateli senza romperli, mentre lo farete per il di sopra con diligenza; riempiteli poscia con la composizione detta di sopra, legateli, che stia ben stretto il ripieno e fateli asciugare per qualche giorno al fumo. Allorché vorrete apprestarli, li farete cuocere con acqua, un poco di vino, un mazzetto d’erbe ed un poco di fieno, indi serviteli caldi o freddi e spaccati per mezzo sopra una salvietta con petrosemolo fresco all’intorno. (*) (*) Vincenzo Agnoletti, La nuovissima cucina economica, Stamperia di Pietro Agnellini, Milano 1819 (2^ ed.) in Emilio Faccioli (a cura di), L’arte della cucina in Italia. Libri di ricette e trattati della civiltà della tavola dal XIV al XIX secolo, Torino, Giulio Einaudi editore, 1987, pag. 789

(Foto Rebeschini)

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Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Cotechino Modena Tipo di prodotto

Associazione Industriali delle Carni (Ass.I.Ca.) Per informazioni I.S.I.T. Istituto Salumi Italiani Tutelati Str. 4, palazzo Q8, Milano Fiori 20089 Rozzano (MI) tel. 028925901 - fax 0257510667 e-mail: isit@assica.it

Prodotto di salumeria ottenuto da una miscela di carni suine proveniente da muscoli striati, grasso, pelle, e vari condimenti. La produzione di cotechino Modena avviene secondo le seguenti fasi: preparazione degli ingredienti crudi; macinazione; miscelazione; riempimento. Segue poi l’asciugamento, nel caso il prodotto ven ga venduto fresco, o la pre-cottura nel caso opposto. Il prodotto deve essere facilmente affettato. Una volta tagliato, la superficie ha un colore rosa brillante, tendente ad un rosso non uniforme, ed una consistenza soda e uniforme.

(Foto Diateca “Agricoltura”)

Promotore

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Zona geografica di produzione

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Organismo di controllo autorizzato Istituto Nord Est Qualità

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L’area di produzione include il territorio delle seguenti province: Modena, Ferrara, Ravenna, Rimini, Forlì, Bologna, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, Cremona, Lodi, Pavia, Milano, Varese, Como, Lecco, Bergamo, Brescia, Mantova, Verona, Rovigo


Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Curiosità storiche e letterarie Emilio Faccioli ci presenta questa volta un metodo per la preparazione dei cotechini alla modenese. Sembra quasi un’invasione di campo: un reggiano, peraltro sconosciuto, che insegna come si lavora a Modena. Ma a scorrere la ricetta pare proprio che non sia stato dimenticato nulla. Anche il cotechino, del resto, come succede a parecchi insaccati, è un prodotto che viene preparato ovunque sia diffuso l’allevamento dei suini, e il fatto di caratterizzarlo “alla modenese” può rappresentare quel qualcosa in più che trasforma l’alimentazione in gastronomia.

Coteghini all’uso di Modena Si prenda della carne di testa, magra, altra carne levata intorno agli ossi; per fare 25 libbre coteghini si prenda libbre 10,5 della suddetta carne, libbre 10,5 coteghe, 8 once sale, 2 once pepe, noci moscate e spicchi d’aglio e si pestino e si unisca il tutto, cannella e garofano. S’avverte che le coteghe devon essere battute meno della carne, perciò si batta a parte, ancora quando s’empieno le budella non restino tante schegge perché creperebbero, avvertendo non forarli. Per conservarli sei mesi se li dia sei ore di foco in stufa, avverto che sia foco regolato e non faccia fumo, e si accresca il calore in ultimo, dopo fatti si leghino con spago fino. (*) (*) Anonimo Reggiano, Libro contenente la maniera di cucinare e vari segreti e rimedi per malattie et altro, manoscritto conservato presso la Biblioteca Municipale “Panizzi” di Reggio Emilia, pubblicato a cura di G. Bizzarri ed E. Bronzoni, Il lavoro editoriale editore, Ancona 1986 in Emilio Faccioli (a cura di), L’arte della cucina in Italia. Libri di ricette e trattati della civiltà della tavola dal XIV al XIX secolo, Torino, Giulio Einaudi editore, 1987, pag. 726

(Foto desunta dal volume “Sapori e valori dell’Emilia-Romagna”)

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Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Vitellone bianco dell’Appennino Centrale Promotore

Tipo di prodotto

Consorzio Produttori Carne Bovina Pregiata delle Razze Italiane (CCBI 5R) Per informazioni Consorzio Produttori Carne Bovina Pregiata delle Razze Italiane (CCBI 5R) 06070 San Martino in Colle (PG) Tel. 0756079308 Fax 0756079309 www.ccbi.it e-mail: ccbi@anabic.it

Carne bovina fresca ottenuta da animali delle razze chianina, marchigiana, romagnola, di età compresa tra i 12 ed i 24 mesi. Il bestiame deve risultare nato da allevamenti in selezione e regolarmente iscritto alla nascita nel Registro Genealogico del Giovane Bestiame. Dalla nascita allo svezzamento, è consentito l’uso dei seguenti sistemi d’allevamento: pascolo, stabulazione libera, stabulazione fissa; in seguito, sono consentite solo la stabulazione libera e la posta fissa. Sono inoltre controllate l’alimentazione (negli ultimi mesi è vietato l’uso degli insilati) e la macellazione (che deve avvenire, secondo norme definite, in macelli idonei nella zona di produzione). La carne di vitellone bianco dell’Appennino centrale deve essere immessa al consumo provvista di particolare contrassegno a garanzia dell’origine e dell’identificazione del prodotto; il logo deve essere impresso sulla superficie della carcassa, in corrispondenza alla faccia esterna di 18 tagli.

(Foto Arch. CCBI 5R)

Zona geografica di produzione

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Organismo di controllo autorizzato 3A - Parco tecnologico agroalimentare dell’Umbria

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L’area geografica di produzione della carne di vitellone bianco dell’Appennino centrale è rappresentata dal territorio delle province collocate lungo la dorsale appenninica dell’Italia centrale. Più precisamente, la zona di produzione è rappresentata dai territori delle seguenti province: Bologna, Ravenna, Forlì, Rimini, Pesaro, Ancona, Macerata, Ascoli Piceno, Teramo, Pescara, Chieti, L’Aquila, Campobasso, Isernia, Benevento, Avellino, Frosinone, Rieti, Viterbo, Terni, Perugia, Grosseto, Siena, Arezzo, Firenze, Prato, Livorno, Pisa.


Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

(Foto Arch. CCBI 5R)

Curiosità storiche e letterarie L’affermazione finale di questo brano può avere una duplice lettura. Da una parte, può significare che, come altre razze, anche la romagnola fornisce le carni adatte per le “giustamente celebri fiorentine”. Dall’altra, può suggerire che non esiste una fiorentina migliore di quella che proviene da carni di razza romagnola. La prima interpretazione è confermata dalla consuetudine, la seconda non poggia su basi più solide del gusto personale: noi la immaginiamo immediatamente contraddetta da tutti gli autori e gli appassionati provenienti dal versante toscano dell’Appennino. La IGP Vitellone bianco dell’Appennino centrale comprende varie razze bovine, e quindi vorremmo, per parte nostra, evitare di dare sostegno a qualsiasi vertenza campanilistica. Tuttavia, le poche note contenute in Romagna gastronomica - guida alla veritiera cucina romagnola, a proposito della ottima qualità della carne bovina di razza romagnola, possono costituire una interessante citazione, a conferma dell’apprezzamento di cui gode una delle pregiate cinque razze bovine italiane.

(Foto Arch. CCBI 5R)

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l bovino di razza Gentile Romagnola, una delle più pregiate d’Italia, fornisce ottime carni, specie se allevato nei pascoli collinari. Dal vitello al vitellone, al manzo, al bue, infiniti sono i prodotti che ne ricaviamo per le nostre tavole: arrosti, stufati, stracotti, bolliti, bistecche, braciole, frattaglie, ecc., per cui sarebbe necessario un lungo discorso. Il nostro vitellone, trasportato in Toscana, fornisce le giustamente celebri fiorentine. (*) (*) Corrado Contoli, Romagna gastronomica - guida alla veritiera cucina romagnola, Bologna, Edizioni Calderini, 1963, pag. 51

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Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Fungo di Borgotaro Promotore

Tipo di prodotto

Consorzio Comunalie Parmensi Per informazioni Consorzio del fungo di Borgotaro IGP Via Nazionale, 54 - 43043 Borgo Val di Taro (PR) Tel. 052590155 - fax 052591154 www.fungodiborgotaro.com e-mail: info@fungodiborgotaro.com

Si tratta dei carpofori delle seguenti varietĂ di Boletus derivate da crescita spontanea: Boletus aestivalis, Boletus pinicola, Boletus aereus, Boletus edulis. Le condizioni ambientali dei boschi destinati alla produzione del fungo di Borgotaro devono essere quelle tradizionali della zona. Sono idonei alla produzione i boschi allo stato puro o misto delle seguenti specie: (a) latifoglie: faggio, castagno, cerro ed altre specie quercine, carpino nocciolo, pioppo tremolo; (b) conifere: abete bianco e rosso, pino nero e silvestre, pseudosuga menzienzii, governati sia a ceduo, ceduo composto e fustaia sia derivate da evoluzione naturale che da conversione. (Foto Arch. Consorzio Comunalie Parmensi)

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Organismo di controllo autorizzato P.A.I. Italia

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Zona geografica di produzione Il fungo di Borgotaro si raccoglie nei territori idonei dei comuni di Borgo Val di Taro e Albareto, in provincia di Parma, e di Pontremoli, in provincia di Massa Carrara.


Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Curiosità storiche e letterarie I doveri verso il signore del luogo, Sua Eccellenza D. Gio. de-Soresina Vidoni, Principe dell’Impero Austriaco, Cavaliere Gerosolimitano e di I^ classe dell’Ordine del Cristo, Brigadiere della Guardia Nobile e Ciamberlano di S. M. I. R. A., portò Lorenzo Molossi a realizzare un’opera affascinante, densa di notizie su tutto il ducato, notizie economiche, geografiche, folcloristiche, storiche, statistiche. Infatti, “... volgendo io - scrive il Molossi - i miei pensieri sul principio del 1831 rispetto ai ducati di Parma, parvemi importantissimo non che utile un libro che facesse di questi la descrizione: e tanto più mi vi sentiva spinto in quanto che avea lette o andava leggendo con isdegno molte gofferie quali stampate intorno a questo bel paese da stranieri viaggiatori, che per avventura ebbero consultati solamente il locandiere o il vetturino ...” Sui funghi non c’è molto, ma è lecito pensare che, valutata la loro quantità, i 221 quintali di funghi esportati (secchi e salati) di cui si parla nell’apposito capitolo statistico del Vocabolario topografico, riguardino la zona oggi riconosciuta come origine del fungo di Borgotaro. La citazione riportata riguarda il comune di Albareto, che di tale zona fa parte.

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ltre all’agricoltura attendono quegli abit[anti] ad allevar buoi, pecore e capre. I bovini sono di razza piccola, siccome in generale è di tutti quelli dell’alta montagna: altronde la mancanza o la difficoltà del commercio del bestiame in que’ luoghi (che pure un tempo facevasi floridissimo) contribuisce a ciò che i proprietarii non se ne prendano gran pensiero. Alcuni si occupano in far cesti, bigonci, botticini di faggio, moltissimi remi, che portano a vendere alla riviera di Genova, ed altre manifatture che esitano poi sui vicini mercati: altri raccolgono funghi per le selve, e quello particolarmente ricercano, che si converte in esca, detto volgarmente pane cuculio (boletus ignarius): molti poi per buona parte dell’anno vanno a lavorare nell’Oltre-po o nelle maremme, non bastando la somma degli attuali prodotti al mantenimento di tutta la popolazione. (*)

(Foto Arch. Consorzio Comunalie Parmensi)

(*) Lorenzo Molossi, Vocabolario topografico dei ducati di Parma Piacenza e Guastalla, preceduto da cenni statistici e susseguito da un’appendice, Bologna, Forni editore, 1972 (prima ed. Tipografia ducale, Parma 1832-34), pag. 4

(Foto Riccioni)

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Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Scalogno di Romagna Promotore

Tipo di prodotto

Associazione Turistica Pro Loco Per informazioni Associazione Turistica Pro Loco Via XXV aprile, 2 - 48025 Riolo Terme (RA) Tel. 054674243 Fax 054674243 e-mail: g.visani@racine.ra.it

Prodotto orticolo: l’indicazione designa esclusivamente il bulbo cipollino delle specie Allium Ascalonicum. Esso viene ottenuto secondo tecniche naturali e rispettose dell’ambiente tipico della varietà: non può essere coltivato in successione a se stesso o ad altre liliacee, né a solanacee, barbabietole e cavoli. Devono trascorre almeno 5 anni per il ritorno dello scalogno sullo stesso appezzamento. I terreni idonei per la coltivazione dello scalogno di Romagna sono di natura collinare, tessitura media tendente all’argilloso, asciutti, ben dotati di potassio e sostanza organica, ben esposti e soprattutto ben drenati. All’atto dell’immissione al consumo, lo scalogno può essere confezionato nei seguenti modi: prodotto fresco in mazzetti legati di circa 500 grammi; prodotto secco in mazzetti, in trecce o in reti da 100 grammi.

(Foto Arch. Pro Loco Riolo Terme)

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Lo scalogno di Romagna si coltiva nei seguenti comuni: Brisighella, Casola Valsenio, Castelbolognese, Faenza, Riolo Terme, Solarolo in provincia di Ravenna; Modigliana e Tredozio in provincia di Forlì; Borgo Tossignano, Casalfiumanese, Castel del Rio, Castelguelfo, Dozza, Fontanelice, Imola e Mordano in provincia di Bologna.


Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Curiosità storiche e letterarie Corrado Contoli e la sua Romagna gastronomica sono un riferimento obbligato per quanto riguarda prodotti la cui origine, e a volte il cui consumo, sono limitati a qualche provincia della Romagna. In questo caso, soprattutto, l’abbinamento che ci suggerisce e la ruspante “procedura di degustazione” meritano la citazione completa del passo, che ci rimanda ad una imprecisata, vaga situazione di festosa rusticità. La ricetta che segue, riconduce ad un sistema più classico di presentazione dei prodotti; di ruspante, rimane comunque il sapore, davanti al quale, rispettosamente, leviamo il cappello. Poi sfiliamo la giacca, arrotoliamo le maniche della camicia, e ci accingiamo a lavorare di forchetta.

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na convinta parola di più vogliamo spendere in pro di una gagliardissima, appetitosissima merenda campagnola, a base di prosciutto e scalogni, i vigorosi e forti bulbi di Ascalona, che si accordano straordinariamente con la delicata dolcezza del buon prosciutto. In mezzo alla tavola rustica vi sono una saliera capace e profonda, piena di sale ed olio, un gran piatto di prosciutto affettato col coltello ed uno di scalogni sbucciati, nel loro violaceo turgore; non dimentichiamo un gran boccale di vino rosso appena spillato, a preferenza uva Dora un po’ allappante, con un taglio di marzemino o di negretto. Con i bicchieri ed un grande pane campagnolo od una grossa pizza casalinga, l’apparecchiatura è completata. Si prende uno scalogno, si posa sulla tovaglia tenendolo con due dita e gli si mena sopra un moderato pugno, allo scopo di schiacciarlo un poco e di fargli schizzar via l’”anima”. Poi si intinge nella saliera e si mangia, accompagnato da una fetta di prosciutto ed un boccon di pane; indi si innaffia con una generosa sorsata di vino. Così si ripete e si continua a lungo, né mai si smetterebbe ché il piacere si rinnova ad ogni boccone e ad ogni sorsata. Si raggiunge, ad un certo punto, quella divina allegria e quell’acceso lirismo cui fa cenno F.B. Pratella, il grande cantore di Romagna, parlando dell’uomo “dionisiaco”, e che sono certamente fra gli aspetti più desiderabili della vita. Sembra che gli scalogni in stretta associazione col vino abbiano la virtù di esaltarne i principii euforici. (*)

Tagliatelle con gli scalogni. Occorrono tagliatelle strette e grosse. Fate un soffritto di olio e scalogni tritati finemente; quando saranno rosolati a dovere, aggiungetevi abbondante sugo di pomodoro, sale e pepe in buona misura. Lasciate bollire adagio fino ad ottenere una salsa alquanto densa, poi condite le tagliatelle cotte al dente, senza aggiungere parmigiano grattugiato. Questa, a differenza delle altre minestre asciutte, acquista pregio se mangiata una mezz’ora o anche più dopo essere stata condita. Per renderla più digeribile, è consigliabile scarseggiare in olio nel soffritto, aggiungendone di crudo prima di condire. (*) (*) Corrado Contoli, Romagna gastronomica - guida alla veritiera cucina romagnola, Bologna, Edizioni Calderini, 1963, pagg. 51-52, 110

(Foto Arch. Pro Loco Riolo Terme)

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Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Asparago Verde di Altedo Tipo di prodotto

Associazione “Comitato Promotore la Sagra dell’Asparago Verde di Altedo” Per informazioni Associazione “Comitato Promotore la Sagra dell’Asparago Verde di Altedo” Casella postale 11 - 40051 Altedo (BO) Tel. 051871116 Fax 051871205

Turione di asparago verde, di lunghezza da 19 a 27 cm. circa, del diametro da 10 a 20 mm., con il gambo completamente bianco per circa 4 cm. di altezza, delle varietà seguenti: Precoce di Argentuil, Eros, Boomlin, Diego (prettamente per uso industriale). Messa a dimora delle madri o zampe, in file precedentemente scavate ad una profondità tra i 40 e 60 cm. con falda acquifera ad oltre 1 metro di profondità. Si procede per un paio d’anni alle concimazioni ed ai trattamenti della parte aerea ed al rincalzo delle suddette file. Dopo 2 anni si può dare inizio al taglio dei turioni come prima descritti

(Foto desunta dal volume “Sapori e valori dell’Emilia-Romagna”)

Promotore

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Zona geografica di produzione Comprende la provincia di Ferrara e la parte della provincia di Bologna a nord della via Emilia.

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Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Curiosità storiche e letterarie Vincenzo Tanara, bolognese di nobile famiglia, cacciatore per passione e soldato presso varie corti seicentesche italiane, amava rifugiarsi nei propri possedimenti presso Calcara, dove lavorava alla stesura della sua “L’economia del cittadino in villa” traendo diretta ispirazione dal soggiorno rurale e dalla pratica conduzione della sua tenuta. L’economia è un testo che vanta innumerevoli citazioni, forse proprio perché ci racconta una nuova visione dell’agricoltura, non più votata alla sussistenza, ma alle esigenze di mercato e ai calcoli di profitto. I passi riportati riguardano l’uso e le proprietà curative dell’asparago; come spesso succede, “...convivono in questi brani dotte citazioni dei georgici latini e accurate descrizioni degli usi e costumi agricoli del bolognese, una erudizione a volte stucchevole e il puntuale resoconto di sperimentazioni personalmente messe in atto con tecniche spregiudicate per quel tempo.” Non mancano, come si può notare, passaggi senz’altro curiosi, mentre emerge la notorietà degli asparagi delle terre bolognesi, confezionati uno per uno e spediti a Roma o altrove.

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e’ sparagi alcuni ancora sono salvatichi, e nascono ne’ boschi e ripe vicino all’acque, e caneti, quali da ciascheduno senza fatica posson’esser raccolti, e sono molto medicinali, perche nutriscono più di tutti gli altri erbaggi, conferiscono allo stomaco, purgano il petto, mollificano il corpo, e provocano l’urina, accrescono il seme genitale, ma fanno sterili le Donne, e nettano le reni. Non erano però, per quanto credo, de’ domestici quelli, de’ quali scrive Plinio, che al suo tempo à Roma da Ravenna erano mandati, e che ce n’erano, che pesavano tre libre l’uno. Marziale ci dà à pensare, che fossero di laguna, e selvaggi, dicendo Mollis in aequorea, quae creuit Spina Ravenna Non erit incultis gratior asparagis. Ateneo dice, che in Giettulia di Libia nascono grossi più delle Canne di Cipro, e longhi dodeci piedi; magnasi cotto l’asparago, ma vuole tanto poca cuocitura, quanto un’ovo, e però quando Druso voleva proponer cosa di presto successo, diceva potersi esequire più presto, che non si cuocono i sparagi. Serve per insalata con oglio, sale, pepe, & aceto; serve per minestra con oglio solo, e melangola, & un poco di suo brodo, overo con brodo buono di carne, ne’ quali modi cuopre ogni carne, & ogni pesce respettivamente accompagnato, ò con carne salata porcina, ò con tarantello. Passa per pesce infarinato, e fritto; pare stuffato posto in piatto con butiro, e cacio: sopra una carta cuocesi su la graticola con oglio, sale ò butiro, overo sottestati; se ne fanno crostate ancora, e le sue punte si tramezano con cacio tenero; In frittata d’ova ancora è buono, si che d’asparago solo si può far’un magnare, e cotti sono più sani a’ vecchi, che a’ colerici. In compagnia poi entra ne’ pasticci con molto gusto, ne’ potacchi, ne’ stuffati, ne’ pieni, e simili; Conservansi le cime dell’asparago nell’oglio, con un poco di sale. Mandanosi à Roma, e per tutte le parti, involti ciascheduno in carta da per se, e così non toccandosi si conservano. Avicenna dice, che col far’orina puzzolente evacuano ogni mal’odore, e rendono il corpo odorifero. Carlo Steffani dice, che la radica de’ sparagi applicata al dolor de’ denti, lo leva. Con l’herba dello sparago s’ornano Imagini, e Sacri Tempij. Il Pisanelli dice, che ongendosi uno con sugo di sparagi, non è offeso da Api. (*) (*) Vincenzo Tanara, L’economia del cittadino in villa, Bologna, Edizioni Analisi, 1987 (prima ed. Bologna, 1644), pagg. 230-1.

(Foto Arch. Ass. Comitato Promotore Sagra Asparago Verde di Altedo)

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Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Marrone di Castel del Rio Promotore

Tipo di prodotto

Consorzio Castanicoltori di Castel del Rio Per informazioni Consorzio Castanicoltori di Castel del Rio c/o Comunità Montana dell’Appennino Imolese Via Mengoni, 2 - 40025 Fontanelice (BO) Tel. 054292638 Fax 054292491 e-mail: c.castanicoltori@cmsanterno.provincia.bologna.it

Frutto (marrone) ottenuto dai castagneti costituiti dalla specie castanea sativa Mill, rappresentata dai tre biotipi marrone domestico, nostrano, di San Michele. La pezzatura deve essere medio-grossa (90 frutti per chilogrammo). La forma è prevalentemente elissoidale; l’apice è poco pronunciato con presenza di tomento, terminante con residui stillari (torcia) di tomentosità tipica della specie; una faccia laterale è tendenzialmente piatta, l’altra marcatamente convessa; la cicatrice ilare (occhio) è di forma sensibilmente quadrangolare di dimensioni tali da non debordare sulla facce laterali, generalmente piatta. Il pericarpo è sottile, di colore bruno rossiccio con striature in senso meridiano, rilevate e più scure, in numero variabile da 25 a 30. Esso è facilmente staccabile dall’episperma il quale si presenta di colore camoscio ed è raramente rientrante nelle solcature principali del seme (di norma uno per frutto, di polpa bianca, croccante e di gradevole sapore dolce). Per quanto riguarda i castagneti, è vietata ogni forma di forzatura, ogni somministrazione di fertilizzanti di sintesi ed il ricorso a fitofarmaci nella fase produttiva.

(Foto Samaritani)

Zona geografica di produzione

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Comprende i comuni di Castel del Rio, Fontanelice, Casalfiumanese, Borgo Tossignano.

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Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Curiosità storiche e letterarie Ancora pagine di storia locale, nelle quali ritroviamo alcune situazioni di cui, in linea generale, altri autori hanno in seguito trattato: la diffusione della pellagra, da una parte, e il luogo comune della migliore alimentazione disponibile nelle zone di montagna, dall’altra. Infatti, è ormai notissimo l’influsso che l’alimentazione basata unicamente sul mais ebbe, per esempio, sulle popolazioni (braccianti e piccoli proprietari) della pianura padana, nei confronti delle quali la pellagra, con i suoi terribili ed inequivocabili sintomi, colpì con estrema durezza. Il rimedio fu individuato in una dieta variata, che raramente le plebi rurali potevano permettersi. Le locande sanitarie di cui parla Cortini furono una delle risposte date dalle associazioni di persone caritatevoli. A proposito della più ampia disponibilità di cibo: essa appare, nel testo consultato, caratteristica di Castel del Rio; lo dimostrano la presenza delle locande sanitarie ed i riferimenti alle opere agricole, all’allevamento, all’acqua pura, ai marroni, che costituivano una fonte alimentare sfruttata con attenzione e fantasia. Tuttavia non bisogna lasciarsi ingannare da questa vaga varietà: anche le popolazioni montane avevano quotidianamente a che fare con i problemi dati da un’alimentazione che, in termini di quantità, fu sempre difficile definire abbondante. È quindi probabile che la sobrietà, più che una caratteristica, fosse una sgradita necessità.

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el resto la popolazione è laboriosa, intenti i paesani ai mestieri ed ai trafici; intenti i campagnoli alle opere agricole, all’allevamento del bestiame grosso e minuto; è generalmente sobria, dissetandosi alle sorgenti d’acqua pura più o meno copiose, seminate un po’ per tutto, ed alimentandosi, gran parte dell’anno, gli abitanti delle zone castagnate, preferibilmente di marroni, che mangiano lessati ed arrostiti, essiccano e macinano e cibano in più modi; mentre gli abitanti d’altre zone si alimentarono un tempo preferentemente di frumentone, molte volte avariato. L’alimentazione a marroni ed acqua di sorgente diede e dà tuttavia a chi se ne vale una carnagione sana e colorita da fare, al confronto, scomparire chi si nutre di pane e carne, e si disseta coi vini più robusti: là dove l’alimentazione a polenta di frumentone, scarsa di sale, fece luogo, in un certo momento, alla pellagra ed allo scorbuto, tanto che, l’anno 1901, per la cura dei pellagrosi si apersero, nel comune di Castel del Rio, una a Belvedere ed una a Valsava, due locande sanitarie, nelle quali, per quaranta giorni ogni anno, si ammettevano a fruire di un pasto quotidiano quanti erano inizialmente affetti dalla triste malatia o v’erano predisposti. (*) (*) Giuseppe Fortunato Cortini, Storia di Castel del Rio dalle origini all’anno 1932, Santerno edizioni, Imola, 1985 Ristampa tratta dalla edizione del 1933 con i tipi della Coop. Tip. Edit. Paolo Galeati di Imola

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Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Pera dell’Emilia-Romagna Tipo di prodotto

Centro Servizi Ortofrutticoli (C.S.O.) Per informazioni Centro Servizi Ortofrutticoli (C.S.O.) Via Bologna, 534 - 44040 Chiesuol del Fosso (FE) Tel. 0532904511 Fax 0532904520 www.csoservizi.com e-mail: info@csoservizi.com

Prodotto frutticolo fresco ottenuto dalle varietà: Abate Fetel, Cascade, Conference, Decana del Comizio, Kaiser, Max Red Bartlett, Passa Crassana, Williams. Esso viene ottenuto con tecniche tradizionali e rispettose dell’ambiente. Le forme di allevamento sono palmetta e fusetto; la densità consentita è di 3.000 piante per ettaro. La dimensione degli alberi deve essere tale da consentire l’ottenimento di prodotti di alto livello qualitativo; la produzione massima ammessa è di 4.500 chilogrammi per ettaro. Ove possibile, la difesa fitosanitaria di prevalente utilizzo deve far ricorso alle tecniche di lotta integrata o biologica. La pera dell’Emilia-Romagna all’atto dell’immissione al consumo deve avere le caratteristiche proprie delle diverse specie indicate.

(Foto desunta dal volume “Sapori e valori dell’Emilia-Romagna”)

Promotore

Zona geografica di produzione La zona di produzione è costituita dal territorio atto alla coltivazione della pera nelle province di Reggio Emilia, Modena, Ferrara, Bologna, Ravenna.

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(Foto Riccioni)

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Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Curiosità storiche e letterarie Come si trincia una pera, sia di qual sorte si voglia.

(Foto Arch. CSO)

Tra le pagine raccolte come “trattati di civiltà della tavola”, Emilio Faccioli trascrive testi di specialisti nelle attività coreografiche dell’imbandire la tavola o del tagliare le abbondanti portate che, nei secoli scorsi, costituivano ostentazione di ricchezza e nobiltà. Il taglio della pera è uno degli esercizi dei quali Vincenzo Cervio mostra le necessarie attenzioni e le indispensabili evoluzioni. Forse non c’entra molto con la pera dell’Emilia-Romagna, in quanto provenienza geografica, ma vale la pena di leggerlo e cimentarsi nell’opera: più complicato a dirsi che a farsi.

Ancora che io abbia ragionato a bastanza del modo che si deve tenere per imbroccare e trinciare la mela a tal che facilmente si potrà tralassare di raggionare de la pera, per andar quella quasi imbroccata e trinciata in uno medesimo modo, ma per essere la pera un frutto tanto gentile e apprezzato molto, non ho voluto restare di ragionare di esso, se non altro, almeno per mostrarvi un altro modo d’imbroccare e di trinciarlo ancora. Volendo adunque trinciare la pera, sia di qual sorte si voglia, tu piglierai la forcina picciola e il coltello picciolo delle frutte e con la punta del coltello tu infilzerai la pera; ma nota che in dui luochi potrai porre la punta del coltello: l’uno sarà di sotto, a canto il fiore, alzando il pero in alto con il picollo di sopra; avendo poi la forcina con li branchi volti disopra e con buona grazia tirando la pera da basso la imbroccherai nel mezo del fiore nella forcina; l’altro modo sarà di porre la punta del coltello nel mezo della pera per il fianco, ma che il taglio guardi in fuora voltando la parte del picollo di sopra, tenendo la punta della forcina volta di sopra, alzando un poco la pera in alto, con grazia la imbroccherai nella punta della forcina, giusto nel mezo del fiore, facendo che il picollo resti disopra; e ognuno di questi dui modi che tu imbrocchi starà bene, purché tu lo facci con grazia; dipoi con il taglio del coltello verso te, tenendo sempre nelle mani di sorte che tu possa arrivar col dito alla punta e con il primo taglio tu cimerai via il picollo di netto; tirandolo poi col taglio verso te, sottilmente ne monderai la pera girando di mano in mano la forcina, per accomodare la pera al taglio del coltello, avertendo sempre a far di modo che tu non spicchi punto della scorza; mondato che tu avrai la pera sopra la forcina con la parte del picollo disopra, tu darai tre o quattro tagli alla pera del picollo fino dabasso con il girare la pera intorno, ma darai ogni taglio di sorte che tu non spicchi niente; dipoi con prestezza caccerai la punta del coltello ne la pera a canto la forcina e con il dito grosso della mano della forcina, tu spingerai un poco la pera in fuora e la desimbroccherai, la qual resterà sopra la punta del coltello e con grazia spingerai la mano del coltello innanzi, porrai la pera sopra il tondo e con il dito lungo la spingerai fuora del coltello e la fari stare nel medesimo tondo; e di questo modo anderai facendo fino che tu avrai finito di trinciare tutte o parte di quelle che faranno di bisogno. E questo sarà a bastanza per averti mostrato il modo che si deve tenere nel imbroccare e trinciare la pera. Vi sono ancora di molti altri modi per trinciare le pere, delli quali non ho voluto parlare parendomi che non vi sia il più bello di questo, volendola trinciare sopra la forcina. (*) (*) Vincenzo Cervio, Il trinciante, Roma 1593. in Emilio Faccioli (a cura di), L’arte della cucina in Italia. Libri di ricette e trattati della civiltà della tavola dal XIV al XIX secolo, Torino, Giulio Einaudi editore, 1987, pagg. 518-9

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Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Pesca e Nettarina di Romagna Tipo di prodotto

Centro Servizi Ortofrutticoli (C.S.O.) Per informazioni Centro Servizi Ortofrutticoli (C.S.O.) Via Bologna, 534 - 44040 Chiesuol del Fosso (FE) Tel. 0532904511 Fax 0532904520 www.csoservizi.com e-mail: info@csoservizi.com

Prodotto frutticolo fresco, ottenuto da diverse varietà a polpa gialla e polpa bianca. Esso viene ottenuto con tecniche tradizionali e rispettose dell’ambiente. La dimensione degli alberi deve essere determinata in vista di ottenere prodotti di alto livello qualitativo; occorre effettuare almeno tre raccolte senza danneggiare il frutto. I limiti massimi sono di 2.000 piante per ettaro, relativamente alla densità, e di 30.000 e 35.000 chilogrammi per ettaro, relativamente alla produzione, rispettivamente per la pesca e per la nettarina. Le forme di allevamento sono: palmetta, fusetto, vaso e vasetto ritardato. Ove possibile, la difesa fitosanitaria di prevalente utilizzo deve far ricorso alle tecniche di lotta integrata o biologica All’atto dell’immissione al consumo, la pesca e la nettarina di Romagna devono avere le caratteristiche proprie delle diverse specie previste, con circonferenza minima di 17,5 centimetri e tenore zuccherino minimo di 9,5° o di 11° brix, a seconda dell’epoca di raccolta.

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Zona geografica di produzione

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Organismo di controllo autorizzato Check Fruit

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La zona di produzione è costituita dal territorio atto alla coltivazione della pesca nelle province di Ferrara, Bologna, Forlì, Rimini, Ravenna. (Foto Diateca “Agricoltura”)

(Foto desunta dal volume “Sapori e valori dell’Emilia-Romagna”)

(Foto Marchetti)

Promotore


Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Curiosità storiche e letterarie (Foto Riccioni)

Ancora dall’Economia del cittadino in villa, di Vincenzo Tanara, riportiamo in questa occasione due passi riguardanti la coltivazione della pesca ed un breve accenno alle “pesche noci”.

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l Persico, da Fiorentini con molto gusto proferito senza la R, è arbore tanto à tutti noto, quanto con error creduto quel frutto, che di Persia velenoso in Egitto fù portato, il quale per la clemenza di quel cielo divenne sano, al qual si rassomiglia quell’uomo, che mutando paese corregge i mali costumi, però che secondo Dioscoride quello chiamasi Perseo, ed è molto differente dal Persico in fronde, e frutti. Il Persico è però così detto perché venne di Persia per la sua breve durata, si può dire simbolo della vita humana; è fatto tanto copioso di varie specie, che non hà invidia à qual si voglia frutto in ornar per molto tempo le tauole, ove prima si contentava di due Mesi Autunnali solo. Certi Persici non più grossi d’una prugna chiamati Alberges, cominciano di Giugno ad esser buoni, seguitano le Persiche Giugne più grossette de gl’Alberges; poi vengono l’Augustane, indi tutta la turba dell’altre Persiche, come duraci, sanguigne, noci, staccate, cotogne, e le tardive, quali per tutto Novembre porgon frutto; piantato quell’arbore degenera meno, che altro frutto, e particolarmente l’Alberges, onde presso i nostri avi era perduto il modo d’inserirli, pretendendo questi, ò col trapiantarli spesso, ò come ordina Virgilio col tagliarli vicino à terra farli tanto giovamento, che serva quasi per infitione, mentre con quest’attione se gli leva l’occasione d’attender solamente ad alzarsi, come per natura fanno, ma dandoli commodità di farli forti & abbondanti di radiche possino cacciar poi ramo grosso, e vigoroso, qual habbia forza di produr frutti grossi, belli, e saporiti; (...) E se ne fa salsa, come d’ogni altro frutto; dicono ancora, che si conservi fresco coperto di cera, ma principal delicia è la conserva di questi fatta in zucchero, chiamata persicata. Le Persiche non molto mature libere da scorza, e da osso si fanno cuocere nell’acqua con poca bollitura in maniera, che non si sfaciano, da poi scolata l’acqua mediante un ramino s’alargano sopra una tovaglia bianca, & ivi s’asciugano con un can pazzo, ò vogliam dir burazzo, palpandole, e premendole in maniera, che n’esca la superflua humidità, da poi incorporate in altretanto zucchero fino ben chiarito, e denso, mediante il misticarle assai in un mortaio di pietra, e col stringerle con le mani si rendano impalpabili; da poi se ne fanno forme in rotelle, in pezzi, ò in stampe, ò con le mani conforme il gusto de gli Artefici da tutte le quali commodità, bontà e virtù mosso il Bernia cantò. Tutte le frutti in tutte le stagioni, Come à dir mele Rose, Apie e Francesche, Pere, Susine, Cirege, e Peponi, Son bone à chi le piaccian secche, e fresche; Ma s’havessi ad esser Giudic’io, Le non han à far nulla con le Pesche.

(...)

E sia certo ogni uno di questa verità, che chi vuole Persiche belle, grosse, & odorifere non bisogna contentarsi del solo piantar gli ossi, ne trapiantarli, ne tagliarli, ma inserirli nei modi sudetti, & inserto sopra inserto farà frutti principalissimi, se s’inserisce sopra il Mandorlo salvatico di gariglio amaro, non fa le Mandorle Persiche, come vogliono, perche quella è una specie particolare, ne meno succede, che se nel piantare un’osso di Persica, se gli ponga vicino un gariglio dolce d’Amandorla, che naschino Mandorle Persiche, ancorche il Mattioli dica, che in Toscana si faccia, e che sia vero, aperto l’osso d’una Mandorla persica si ritrovarà il gariglio amaro. Le Persiche noci sono ancor loro specie da se, non perche siano inserite sopra la noce, ne meno le sanguigne sopra mori, per le ragioni, che poco da basso diremo. Similmente è certo, che il piantar Persiche presso rose non causa, che facciano frutto più rosso, può più tosto essere, che le Persiche piantate in radica di carotta riescano rosse di frutto, onde sono ancor dette Persiche carotte, overo, che quando cominciano gli ossi ad aprirsi per germogliare, se gli ponga dentro cinabro, ò vergino, ò zafarano acciò ricevano qualità rossa, ò gialla, ò odorata, ma non già mai per via d’inserto credo si possa mutar la specie, se non nel modo che si dirà a basso. Martiale vuole, che s’inserisca sopra le Moniache, ò bricoche, dicendo. Vilia maternis fueramus percoqua ramis. Nunc in adoptivis Persica sola fumus. (*) (*) Vincenzo Tanara, L’economia del cittadino in villa, Bologna, Edizioni Analisi, 1987 (prima ed. Bologna, 1644), pagg. 373-6 59


Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Coppia ferrarese Tipo di prodotto

Associazione per la Valorizzazione del Pane Tipico Ferrarese Per informazioni Associazione per la Valorizzazione del Pane Tipico Ferrarese Via Darsena, 178 - 44100 Ferrara Tel. 0532778411 Fax 0532778510 e-mail: direzione.provinciale@confesercentiferrara.it

Il pane ferrarese in formato di coppia è un prodotto di panetteria ottenuto con farina di grano tenero tipo “0”, acqua, strutto di puro suino, olio extravergine di oliva, lievito naturale, sale alimentare, malto. È ottenuta dall’impasto degli ingredienti sopra indicati, unitamente al lievito naturale denominato “di madre”. Il disciplinare definisce anche le modalità per l’ottenimento del lievito “madre”. Il processo di produzione segue, secondo la tradizione, una sequenza particolare riassumibile in quattro fasi ben distinte: impastamento, formazione, lievitazione, cottura. La coppia ferrarese, all’atto dell’immissione al consumo, ha un aspetto molto noto, costituito da due pezzi di pasta legati assieme a forma di nastro nel corpo centrale, ciascuno con le estremità ritorte in modo da formare un ventaglio di quattro corna, le cui estremità sono chiamate crostini. La pezzatura varia tra 80 e 250 grammi.

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(Foto desunta dal volume “Sapori e valori dell’Emilia-Romagna”)

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Zona geografica di produzione L’intera area della provincia di Ferrara.


Prodotti a Indicazione Geografica Protetta

Curiosità storiche e letterarie Tutti lo sanno: il pane è uno degli alimenti fondamentali della tavola italiana. Anche Mussolini, pur sostenendo la tesi della forza innovativa e rivoluzionaria del proprio regime, trovò il modo di decantarne l’importanza come simbolo della tradizione nazionale. Tra battaglia del grano ed elogi alla vita rurale, venne anche diffusa la nota filastrocca che recitava “Amate il pane / cuore della casa / profumo della mensa / gioia dei focolari. / Rispettate il pane / sudore della fronte / orgoglio del lavoro / poema di sacrificio. / Onorate il pane / gloria dei campi / fragranza della terra / festa della vita. / Non sciupate il pane / ricchezza della Patria / il più soave dono di Dio / il più santo premio / della fatica umana”. Ma il pane ferrarese, e la sua versione Igp in particolare, affonda naturalmente le radici in un passato più remoto. Per fare un esempio, possiamo rilevare come nei preventivi di spesa per la tavola del principe Alfonso II (futuro Duca) e del fratello Luigi, redatti nel 1547 dal famoso Cristoforo da Messisbugo, scalco alla corte ducale di Ercole II d’Este, venga citato il “pane intorto”; esso altro non è che la pezzatura di pane che oggi viene contraddistinta dalla denominazione “coppia ferrarese”. Una pubblicazione curata dalla Provincia di Ferrara, relativa proprio all’alimentazione di quell’epoca, cita inoltre una dettagliata descrizione cinquecentesca del processo di panificazione, non trascurando la preparazione del cosiddetto “lievito madre”.

...

si piglia la farina, e si sedazza, separando la semola, et fatto questo si fa il levato con pasta cruda, et levata, la quale, quando si fa il pane, si serva per questo effetto, et esso levato si fa in questo modo, che si liquefà quella pasta, che chiamano levato, con acqua calda, et s’impasta una particella di quella farina, onde si vuol fare il pane: et poi si copre col restante della farina, et si lascia così per una notte, o più, et il giorno seguente s’impasta poi tutto insieme con acqua tiepida, et impasta ch’è, si sgranola benissimo, et si fa il pane, il qual si lascia levare, e poi s’inforna nel forno fin che sia cotto, appartenendosi però al fornaro di commandar prima, di scovare il forno con spazzaforno, di mettergli fuoco, di portarlo al forno, di veder se’l forno è caldo, e haverne buona custodia, acciò non s’abbruggi per disgratia là dentro. (*) Tomaso Garzoni da Bagnacavallo, Piazza universale di tutte le professioni del mondo, Venezia, 1586 cit. in Piero Piccinini, Caratteri dell’alimentazione urbana e rurale, in Amministrazione Provinciale di Ferrara, A tavola con il Principe. Materiali per una mostra su alimentazione e cultura nella Ferrara degli Estensi, s.l., Gabriele Cordo editore, 1989, pag. 138

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Prodotti con richieste di DOP e IGP in corso d’ esame DOP • Squacquerone di Romagna • Colline di Romagna • Aglio bianco di Monticelli • Aglio di Voghiera • Patata di Bologna • Castagna e farina di castagne di Granaglione

IGP • Il Fossa di Sogliano al Rubicone • Salame Felino • Coppa di Parma • Salame di Canossa • Pancetta canusina • Zuccotto di Bismantova • Suino pesante padano • Aceto balsamico di Modena • Cipolla di Medicina • Ciliegia di Vignola • Biscione reggiano • Spongata reggiana e Spongata di Brescello • Erbazzone di Reggio Emilia • Piadina romagnola • Tortellino di Bologna • Cappelletto reggiano 63


Prodotti con richieste di DOP in corso di esame

Squacquerone di Romagna Tipo di prodotto e metodo di ottenimento

Denominazione di Origine Protetta

Richiedente

(Foto Archivio Comitato)

Comitato di Promozione e Valorizzazione del Formaggio Squacquerone di Romagna Viale Aldo Moro, 22 40127 Bologna

Lo “Squacquerone di Romagna” è un formaggio da tavola a pasta molle ottenuto dal latte vaccino intero proveniente esclusivamente da allevamenti situati nell’area tipica di produzione. Si presenta privo di crosta e di colore bianco madreperlaceo, entrambe caratteristiche fondamentali per il riconoscimento del prodotto. È un formaggio a breve maturazione, compresa tra 1 e 4 giorni, con un contenuto di grassi sulla sostanza secca compreso tra il 46% e il 55% e una umidità, riferita al peso totale, compresa fra il 59% e il 69%. E’ vietata la stufatura del formaggio in apposita camera calda. Il periodo di produzione è tutto l’anno.

Zona geografica di produzione L’area di produzione, trasformazione ed elaborazione è costituita dai territori delle Province di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini e Bologna.

Colline di Romagna Tipo di prodotto e metodo di ottenimento

Denominazione di Origine Protetta

Richiedente Associazione Regionale Produttori Olivicoli (A.R.P.O.) via XXIII settembre, 112/a - 47900 Rimini Tel. 0541741762 Fax 0541742593 (Foto Archivio ARPO)

Olio extra vergine di oliva ottenuto da olive di varietà Frantoio (sinonimo locale Correggiolo), Leccino e altre minori, raccolte sane, a giusto grado di maturazione e oleificate presso gli impianti di molitura (frantoi) presenti in zona, esclusivamente con processi meccanici e fisici che garantiscano la conservazione delle caratteristiche qualitative presenti nel frutto.

Zona geografica di produzione L’intero territorio della provincia di Rimini posto a monte dell’autostrada A 14 e il territorio della provincia di Forlì definito dai comuni di Roncofreddo, Borghi, Mercato Saraceno, Sogliano al Rubicone, Montiano, Meldola, Predappio, Civitella di Romagna, Dovadola, Castrocaro Terme, per la loro intera estensione, e dai comuni di Forlì, Forlimpopoli, Bertinoro, Cesena, Gambettola, Longiano, Savignano sul Rubicone, limitatatamente al territorio posto a monte della Strada Statale n. 9 “Emilia”. 64


Prodotti con richieste di DOP in corso di esame

Aglio Bianco di Monticelli Tipo di prodotto e metodo di ottenimento

Denominazione di Origine Protetta

Richiedente AINPO - Organizzazione Produttori Strada dei Mercati, 17 - 43100 Parma Tel. 0521994533 Fax 0521981361 e-mail: ainpopr@tin.it

Zona geografica di produzione

(Foto Arch. AINPO)

La zona di produzione e di condizionamento della DOP “Aglio bianco di Monticelli” ricade nella parte settentrionale della provincia di Piacenza.

La denominazione “Aglio bianco di Monticelli” DOP designa i bulbi ottenuti dalla coltivazione della locale varietà di aglio “Piacentino bianco”. Anche i bulbilli da seme utilizzati per produrlo devono provenire da terreni inclusi nella zona geografica di produzione. Sui terreni non è ammesso il ristoppio. Debbono trascorrere almeno quattro anni tra colture successive di aglio sullo stesso appezzamento. Il prodotto, per poter essere commercializzato o reimpiegato per la semina, deve presentarsi con lo stelo, la tunica esterna del bulbo e quelle che avvolgono ciascuno spicchio completamente secchi e di colore bianco; gli agli devono inoltre essere: provvisti di spicchi (o bulbilli) nel numero variabile tra 14 e 18, di sapore acre, di dimensioni medie e grosse (ovvero con diametro massimo della sezione equatoriale non inferiore a 40 millimetri), compatti e di forma regolare.

Aglio di Voghiera Tipo di prodotto e metodo di ottenimento

Denominazione di Origine Protetta

Promotore (Foto Arch. Cons. Prod. Aglio di Voghiera)

Consorzio produttori Aglio di Voghiera Via Buozzi, 12 - 44020 Voghiera (FE)

Zona geografica di produzione

La semina avviene dal 15 settembre al 15 novembre, mentre le giornate particolarmente soleggiate all’epoca della raccolta favoriscono il processo di essiccazione per ottenere la tipologia di aglio secco, destinata alla conservazione e al consumo durante tutto l’anno. È possibile commercializzarlo nelle versioni fresco o verde, semisecco, secco. Quest’ultimo è il prodotto che presenta lo stelo e la tunica esterna del bulbo, nonché la tunica che avvolge ciascun bulbillo, completamente secchi. Il bulbo, del calibro minimo di 30 millimetri (40 per la I categoria) appare esternamente di colore bianco, con bulbilli evidenti; lo stelo, di colore biancastro, appare di consistenza più fragile; le radici di colore avorio.

La denominazione di origine protetta identifica l’Aglio di Voghiera coltivato nei territori del Comune di Voghiera e delle frazioni confinanti appartenenti ai Comuni di Ferrara, Masi Torello, Portomaggiore, Argenta. 65


Prodotti con richieste di DOP in corso di esame

Patata di Bologna Denominazione di Origine Protetta

Richiedente Consorzio per la Patata di Bologna Dop Via Bassa dei Sassi, 1/2 - 40138 Bologna Tel. 051532320 - Fax 051532320 e-mail: cptb@libero.it

Zona geografica di produzione La patata, per avvalersi della DOP, deve essere prodotta esclusivamente da aziende agricole situate nella provincia di Bologna. Condizionamento e trasformazione devono avvenire nella stessa provincia.

Tipo di prodotto e metodo di ottenimento Patata da consumo fresco e patata trasformata. Essa deve essere identificabile per aspetto fisico, componente chimica e organolettica, soprattutto dai seguenti parametri: - tuberi di forma prevalentemente ovale-allungata, piuttosto regolare, con presenza di gemme (occhi) superficiali e poco pronunciati; - buccia gialla e/o rossa; - buccia liscia, integra e priva di difetti esterni che alterino le sue caratteristiche; - polpa di colore giallo (chiaro, paglierino) e/o bianca; - calibro dei tuberi omogeneo compreso tra 40 e 75 mm; - buona conservabilità (idoneità alla conservazione a medio-lungo periodo). (Foto Arch. Cons. Patata di Bologna Dop)

Castagna e farina di Castagne di Granaglione Denominazione di Origine Protetta

Richiedente Consorzio Volontario Castanicoltori di Granaglione C/o Pro Loco di Granaglione Via Bovecchia, 139 - 40030 Granaglione (BO) (Foto Archivio Consorzio Castanicoltori Granaglione)

Zona geografica di produzione Comune di Granaglione. 66

Tipo di prodotto e metodo di ottenimento Si tratta di castagne fresche o secche e di farina di castagne ottenuta dalla macinazione delle castagne secche in mulino con macine in sasso a palmenti. La lavorazione del castagneto, effettuata in modo assolutamente manuale, è quella che tradizionalmente si ripete da centinaia di anni e l’effetto è quello di ottenere un prodotto naturale genuino e di eccezionale qualità organolettica. Le castagne fresche vengono raccolte ed essiccate in un fabbricato chiamato “caniccio”, dove rimangono da 25 a 40 giorni, nel quale viene alimentato costantemente il fuoco tramite legno spaccato di castagno e bucce e “zanza” dell’annata precedente. Esse vengono successivamente macinate in mulino con macine in sasso a palmenti. Le castagne fresche vengono mantenute sfuse ed utilizzate entro il più breve tempo possibile in quanto tendono a deteriorarsi rapidamente, ed è questo il più grosso limite della produzione annuale della zona.


Prodotti con richieste di IGP in corso di esame

Il Fossa di Sogliano al Rubicone Indicazione Geografica Protetta

Richiedente Consorzio del formaggio “Il Fossa di Sogliano al Rubicone” Piazza Matteotti, 28 47030 Sogliano al Rubicone (FC)

Tipo di prodotto e metodo di ottenimento Formaggio stagionato di latte ovino o misto, di forma irregolare e colore che può variare dal bianco al bianco giallastro, fino al giallo carico per formaggi molto maturi. Il formaggio, maturato per un periodo minimo di 30 giorni, viene infossato in particolari cavità tufacee (fosse), dove rimane per almeno 90 giorni. Le fosse, sterilizzate bruciando al loro interno piccole quantità di paglia, vengono ricoperte alle pareti con canne e paglia, e sul fondo con tavole di legno, su cui viene posto il formaggio chiuso in appositi sacchi di tela bianca. Le fosse piene di formaggio rimangono ermeticamente chiuse per almeno tre mesi.

Zona geografica di produzione

(Foto desunta dal volume “Sapori e valori dell’Emilia-Romagna”)

Province di Forlì-Cesena, Rimini e Pesaro; la stagionatura viene, invece, effettuata per tutta la produzione nelle “fosse” ubicate nel centro storico di Sogliano.

Salame Felino Indicazione Geografica Protetta

Richiedente Associazione fra Produttori per la Tutela del “Salame Felino” Via al Ponte Caprazucca, 6/A - 43100 Parma Tel. 05212266 Fax 0521226700

Tipo di prodotto e metodo di ottenimento Prodotto di salumeria: salame di forma cilindrica con una estremità più grossa dell’altra e una superficie esterna di colore bianco-grigiastro. Si tratta di salame stagionato risultante dall’impiego di carne non congelata di maiali pesanti, ottenuto mediante l’impasto di frazioni muscolari ed adipose selezionate con l’aggiunta di sale, pepe, vino ed eventuali altri ingredienti tipizzati. Il tempo di stagionatura (periodo comprendente anche l’asciugamento) è di non meno di quattro settimane.

Zona geografica di produzione (Foto desunta dal volume “Sapori e valori dell’Emilia-Romagna”)

Provincia di Parma. 67


Prodotti con richieste di IGP in corso di esame

Coppa di Parma Indicazione Geografica Protetta

(Foto desunta dal volume “Sapori e valori dell’Emilia-Romagna”)

Richiedente Associazione fra Produttori per la Tutela della “Coppa di Parma” Via Al Ponte Caprazucca, 6/A - 43100 Parma Tel. 05212266 Fax 0521226700

Tipo di prodotto e metodo di ottenimento Prodotto di salumeria. E’ costituito da un pezzo intero stagionato a forma cilindrica leggermente più sottile alle estremità. Il processo produttivo è costituito dalle seguenti fasi: salagione, riposo a bassa temperatura, rivestiture con budelli naturali o sintetici, legatura con spago o rete, stufatura, asciugamento, stagionatura. Quest’ultima deve protrarsi per almeno 60 giorni per le pezzature piccole e 90 giorni, per le pezzature più grosse.

Zona geografica di produzione Provincia di Parma.

Salame di Canossa Indicazione Geografica Protetta

(Foto desunta dal volume “Sapori e valori dell’Emilia-Romagna”)

Richiedente Consorzio per la Valorizzazione dei Prodotti dell’Appennino (CON.V.A.) Via Roma, 79 - 42035 Castelnovo ne’ Monti (RE) Tel. 0522812798 Fax 0522810833

Tipo di prodotto e metodo di ottenimento Prodotto di salumeria, di preparazione tradizionale. Le carni impiegate provengono da suini allevati con alimenti naturali; le razze sono altamente selezionate e tipicizzate attraverso decenni di prove sperimentali volte alla creazione di un ecotipo locale, indirizzato all’industria agro-alimentare. I tagli scelti di suino sono tritati finemente, sono inoltre preparati i cubetti di grasso da aggiungere all’impasto. Le due componenti sono quindi mescolate ed il composto così ottenuto è insaccato in budella naturali.

Zona geografica di produzione Appennino reggiano. 68


Prodotti con richieste di IGP in corso di esame

Pancetta Canusina Indicazione Geografica Protetta

Richiedente Consorzio per la Valorizzazione dei Prodotti dell’Appennino (CON.V.A.) Via Roma, 79 - 42035 Castelnovo ne’ Monti (RE) Tel. 0522812798 Fax 0522810833

Tipo di prodotto e metodo di ottenimento Salume tipico dell’Appennino reggiano, ottenuto da pancia fresca di suino macellata con aggiunta di spezie ed aromi naturali. La pancetta viene arrotolata o steccata a seconda della presentazione finale sul mercato. (Foto desunta dal volume “Sapori e valori dell’Emilia-Romagna”)

Zona geografica di produzione Appennino reggiano.

Zuccotto di Bismantova Indicazione Geografica Protetta

Richiedente Consorzio per la Valorizzazione dei Prodotti dell’Appennino (CON.V.A.) Via Roma, 79 - 42035 Castelnovo ne’ Monti (RE) Tel. 0522812798 Fax 0522810833

Tipo di prodotto e metodo di ottenimento Prodotto di salumeria. Si tratta di salume di preparazione tradizionale, composto di carne suina (muscolo, gola e una parte grassa prelevata dalla cotenna) precedentemente messa in concia. La concia è costituita da: foglie di alloro essiccate al sole, pepe nero, bacche di ginepro, cannella, chiodi di garofano, noce moscata, aglio. La carne ed il grasso di maiale sono macinati finemente fino ad ottenere un impasto al quale sono aggiunti sale pepe ed aromi naturali precedentemente macinati. Il prodotto così ottenuto è insaccato ed a esso viene data una forma cilindrica dall’estremità di forma allungata. Lo Zuccotto di Bismantova, alla fine del processo produttivo, ha la tipica forma di bottiglia uniforme, priva di collo, e legata alle estremità con spago comune. Viene consumato cotto.

Zona geografica di produzione Appennino reggiano. (Foto Arch. CON.V.A.)

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Prodotti con richieste di IGP in corso di esame

Suino Pesante Padano Indicazione Geografica Protetta

Richiedente Consorzio del Suino Pesante Padano

Zona geografica di produzione Il suino pesante padano deve essere nato, allevato e prodotto nel territorio geografico compreso nelle regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Piemonte.

Tipo di prodotto e metodo di ottenimento Suini vivi e tagli freschi da essi derivati. Il suino pesante padano è ottenuto incrociando suini di razza Large White, Landrace e Duroc utilizzata al 50% nel prodotto finale, ed è alimentato con un preciso disciplinare alimentare, viene macellato a pesi elevati (160-170 kg. di peso vivo) ad una età minima di dieci mesi di vita. Tale metodo di ottenimento è volto ad ottenere la qualità delle carni il più possibile idonea alla trasformazione. È stato realizzato un logo, riservato esclusivamente alle mezzene e ai singoli tagli derivati da suini aventi i requisiti previsti. L’applicazione del logo, che rappresenta il profilo stuilizzato di un suino a forma di “Q”, avviene dopo le verifiche di un esperto incaricato dall’Organismo di Controllo.

Aceto Balsamico di Modena Indicazione Geografica Protetta

Promotore Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena. c/o Camera di Commercio I.A.A. Via Ganaceto, 6 - 41100 Modena

(Foto Arch. Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena)

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Tipo di prodotto e metodo di ottenimento Condimento alimentare, ottenuto da aceto di vino, mosto cotto e caramello. L’elaborazione del prodotto deve avvenire o mediante il sistema tradizionale detto “fermentazione lenta a truciolo in superficie” (tecnologia nota ed applicata fin dal 1720), o con la tecnologia di acetificazione lenta in superficie in recipienti di legno. In entrambi i casi i recipienti devono essere aperti al fine di esporre il prodotto agli effetti caratteristici del clima dell’area di produzione per una corretta trasformazione

Zona geografica di produzione Province di Modena e Reggio Emilia.


Prodotti con richieste di IGP in corso di esame (Foto Trentini)

Cipolla di Medicina Indicazione Geografica Protetta

Richiedente Associazione Pro Loco Medicina Piazza Garibaldi, 21 - 40059 Medicina (BO) Tel. 051857529 Fax 0516972193

Zona geografica di produzione

Tipo di prodotto e metodo di ottenimento

Comprenderà l’intero territorio del comune di Medicina e Castel Guelfo e parte dei comuni di Ozzano Emilia, Castel San Pietro Terme, Dozza e Imola; in particolare, l’area è delimitata ad est dal confine del comune di Imola fino alla via Selice e quindi dalla stessa via Selice fino a Imola; a sud dalla via Emilia; a ovest dal confine del Comune di Ozzano; a nord dal confine del Comune di Medicina.

Il prodotto è costituito per la maggior parte da alcune varietà di cipolla (Allium cepa) a semina invernale-primaverile, a bulbo sia giallo, che bianco o rosso, coltivate nell’area geografica tipica. L’intervallo minimo tra cicli successivi è di quattro anni. Viene commercializzata tutto l’anno. La serbevolezza della cipolla è influenzata, oltre che dalle specifiche condizioni pedoclimatiche, anche dalle pratiche colturali e dalle tecniche adottate dopo l’estirpazione.

Ciliegia di Vignola Indicazione Geografica Protetta

Richiedente Consorzio della Ciliegia, della Susina e della frutta tipica di Vignola Via Barozzi, 2 - 41058 Vignola (MO) Tel. 059773645 Fax 059773645

Tipo di prodotto e metodo di ottenimento Prodotto ortofrutticolo fresco. La denominazione designa il frutto delle seguenti cultivar di ciliegio: Mora o Moretta, Durone nero I, Durone dell’Anella, Durone nero II, Durone della Marca, Anellone, Bigarreau.

Zona geografica di produzione In provincia di Modena: Castelfranco Emilia (territori a sud della via Emilia), Castelnuovo Rangone, Castelvetro, Guiglia, Lama Mocogno (loc. Pian della Valle-Vaglio), Marano Sul Panaro, Modena (Loc. S. Damaso e S. Donnino), Montese, Pavullo nel Frignano, S. Cesario Sul Panaro (territori a sud della via Emilia), Savignano Sul Panaro, Serramazzoni, Spilamberto, Vignola, Zocca. In provincia di Bologna: Bazzano, Casalecchio di Reno (territori ad Ovest del fiume Reno), Castel d’Aiano, Castello di Serravalle, Crespellano, Gaggio Montano (territori ad Ovest del fiume Reno), Marzabotto (territori ad Ovest del fiume Reno), Monte S. Pietro, Monteveglio, Sasso Marconi (territori ad Ovest del fiume Reno), Savigno, Vergato (territori ad Ovest del fiume Reno), Zola Predosa. (Foto Dell’Aquila)

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Prodotti con richieste di IGP in corso di esame

Biscione Reggiano Indicazione Geografica Protetta

Richiedente Comitato “Il Re a Tavola” C.C.I.A.A. di Reggio Emilia P.zza della Vittoria, 1 - 42100 Reggio Emilia Tel. 05227961 Fax 0522433750

Tipo di prodotto e metodo di ottenimento Prodotto della panetteria. E’ un dolce di preparazione complessa, anche se composto da ingredienti semplici (mandorle dolci italiane, zucchero, uova, canditi, ecc.), tipico del periodo natalizio. Il prodotto è cotto al forno. Viene prodotto in forma di serpente, e può essere anche molto lungo disposto in modo arrotolato su più piani di una tortiera. L’aspetto è bruno nella parte inferiore, bianco latte nella parte della decorazione in meringa, che non dovrà mai prendere una colorazione gialla

Zona geografica di produzione Reggio Emilia città e provincia. (Foto Riccioni)

Spongata Reggiana o Spongata di Brescello Indicazione Geografica Protetta

Richiedente Comitato “Il Re a Tavola” C.C.I.A.A. di Reggio Emilia P.zza della Vittoria, 1 - 42100 Reggio Emilia Tel. 05227961 Fax 0522433750

Tipo di prodotto e metodo di ottenimento Prodotto della panetteria a base di miele, mandorle, pinoli e uva sultanina o corinto. La forma di questo dolce tipico deve essere piatta e rotonda, con superficie coperta di zucchero impalpabile o a velo. L’interno è una pasta morbida dal pronunciato sapore speziato di colore nocciola - bruno chiaro. Il ciclo di produzione è generalmente di tre giorni, dal momento che per ottenere un prodotto rispettoso della sua tradizione, vengono ancora seguite le procedure ed utilizzati i materiali arcaici tramandati dalla coscienza popolare delle genti reggiane. Il prodotto è cotto al forno. Viene prodotto in forme rotonde e piatte ed incartato a doppio strato.

Zona geografica di produzione Reggio Emilia città e provincia (in particolare il comune di Brescello). (Foto desunta dal volume “Sapori e valori dell’Emilia-Romagna”)

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Prodotti con richieste di IGP in corso di esame

Erbazzone di Reggio Emilia Indicazione Geografica Protetta

Richiedente Comitato “Il Re a Tavola” C.C.I.A.A. di Reggio Emilia P.zza della Vittoria, 1 - 42100 Reggio Emilia Tel. 05227961 Fax 0522433750

Tipo di prodotto e metodo di ottenimento Prodotto della panetteria a base di pasta sfoglia e ripieno di verdure e formaggio parmigiano-reggiano. Il prodotto è cotto al forno. Viene prodotto in grandi teglie e venduto tagliato a tranci. Si tratta in sostanza di una torta salata tipica della cultura contadina reggiana, farcita di spinaci, cipolla, aglio, pangrattato ed una consistente dose di parmigiano-reggiano.

Zona geografica di produzione (Foto desunta dal volume “Sapori e valori dell’Emilia-Romagna”)

Reggio Emilia città e provincia.

Piadina Romagnola Indicazione Geografica Protetta

Richiedente CNA Alimentare della provincia di Ravenna Viale Randi, 90 - 48100 Ravenna Tel. 0544298698 Fax 0544400272 (Foto desunta dal volume “Sapori e valori dell’Emilia-Romagna”)

Tipo di prodotto e metodo di ottenimento La “Piadina Romagnola” è un prodotto a base di farina di grano tenero e strutto di suino o olio extra vergine di oliva, i quali, aggiunti di sale e bicarbonato di sodio, o in alternativa a quest’ultimo lievito chimico, vengono impastati con acqua. L’impasto, suddiviso in porzioni, viene lavorato in modo da ottenere dei dischi da disporre a cuocere per pochi minuti su apposite piastre metalliche. Nel corso della cottura si formano sulla superficie delle vescicole tali da formare una sorta di “mosaico” chiaro e scuro. La “Piadina Romagnola” presenta un diametro compreso tra 15 e 30 centimetri e uno spessore inferiore a 1 centimetro. Il sapore della “Piadina Romagnola” è delicato, con odore che richiama quello del pane.

Zona geografica di produzione Corrisponde alle Provincie di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini, Bologna. 73


Prodotti con richieste di IGP in corso di esame

Tortellino di Bologna Tipo di prodotto e metodo di ottenimento

Indicazione Geografica Protetta

Richiedente Consorzio “La Corte dei Sapori” Viale Cairoli, 11 - 40121 - Bologna (Foto Diateca “Agricoltura”)

Prodotto a base di carne: pasta farcita con un ripieno di carne. Dopo avere preparato la pasta sfoglia a mano, a base di farina di grano tenero e uova, si taglia la pasta in piccoli quadretti. Si prepara a parte un impasto a base di carne, formaggio e spezie; esso viene posto su ogni singolo quadratino. Il quadratino così riempito viene piegato a triangolo e poi girato intorno ad un dito per dare la caratteristica forma “ad ombelico”. Il prodotto così ottenuto viene poi seccato per una migliore conservazione.

Zona geografica di produzione Bologna città e provincia di Bologna.

Cappelletto Reggiano Indicazione Geografica Protetta

Richiedente Comitato “Il Re a Tavola” C.C.I.A.A. di Reggio Emilia P.zza della Vittoria, 1 42100 Reggio Emilia Tel. 05227961 Fax 0522433750

Tipo di prodotto e metodo di ottenimento Pasta farcita con un ripieno di carne. La dimensione del cappelletto è di circa 4 cm, anche se in certe zone, in special modo in quelle montane, è di dimensioni più modeste. Il ripieno è tradizionalmente composto di solo stracotto di manzo, anche se con il passare degli anni questa farcitura è stata arricchita da altri tipi di carne: maiale, pollo, mortadella. Dopo avere fabbricato della pasta sfoglia, a base di farina di grano tenero e uova, si taglia la pasta in piccoli quadretti. Si prepara a parte un impasto a base di carne di manzo; esso viene posto su ogni singolo quadratino. Il quadratino così riempito viene piegato a triangolo e poi girato intorno ad un dito per chiuderlo e dare la classica forma a “cappello”.

Zona geografica di produzione (Foto Arch. Promodis)

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Reggio Emilia e provincia.


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