Inoltre, il proseguimento dello stage non coincide con l’assunzione (difatti, solo un quarto degli stagisti viene assunto nei sei mesi successivi al termine del tirocinio), ma è il cosiddetto “cambio mansione” che prevede il rinnovamento dell’ennesimo stage in un campo più o meno simile. Può sembrare un problema distante, che non ci riguarda, eppure è una proposta alle porte. Una volta laureati, entusiasti del mondo che ci si può aprire davanti, saremo costretti a dipendere ancora da mamma e papà nell’Odissea infinita della “formazione”.
Un’alternativa ci sarebbe: l’apprendistato, uno stage retribuito a tempo indeterminato (cioè sino a recessione del contratto). Tuttavia, ad oggi risulta svantaggioso per le varie imprese: si tratterebbe di formare e pagare anche un novellino con qualche tirocinio curricolare alle spalle (se va bene) per non meno di sei mesi. Ecco che, ancora una volta, dovrebbe essere lo Stato a persuadere le varie aziende ad assumere dell'apprendistato con sgravi, incentivi e con la semplificazione delle procedure burocratiche. Ma a chi interessa una condizione simile quando si è belli comodi sulla propria poltrona? Se si aspetta che qualche “mangiaconsensi” si applichi per pensare e trovare una soluzione, probabilmente avremo una carriera da stagisti esemplare tra una ventina d’anni.
Per fortuna c’è qualche giovane, che per i giovani si spende: i “GiovaniDemocratici” di Milano hanno preparato una proposta di riforma dello stage e dell’apprendistato che potrebbe essere una svolta se arrivasse a chi di dovere. Vi invito a leggerla sul sito www.stageapprendistato.it, nella speranza che finalmente si dia spazio e peso a chi ha tanto da dare.
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