Risoluzione Dap 2015 Damiano Stufara (Prc)

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Atti Consiliari IX LEGISLATURA

Perugia, 4 marzo 2015

Proposta di Risoluzione avente per oggetto: contrarietà all'atto n° 1793 Documento Annuale di Programmazione 2015; nuovi indirizzi programmatici per la Regione Umbria visto l'atto n° 1793, concernente la Proposta di Documento Programmazione della Regione Umbria per l'anno 2015;

Annuale

di

richiamato l'Articolo 82 del regolamento interno del Consiglio regionale, che nel disciplinare la procedura di approvazione del Documento Annuale di Programmazione prevede la presentazione da parte della 1° Commissione consiliare di una proposta di risoluzione all'Assemblea Legislativa; considerato il grave peggioramento della situazione economica e sociale della nostra Regione determinatosi nel corso del 2014, che non incontra nella Proposta di Documento Annuale di Programmazione adeguati strumenti di contrasto; la 1° Commissione consiliare esprime parere non favorevole all'atto n° 1793 - Documento Annuale di Programmazione 2015; propone l'Assemblea Legislativa di impegnare la Giunta regionale ad una revisione del Documento Annuale di Programmazione sulla base dei seguenti indirizzi;

La programmazione dell'azione di governo regionale per il 2015 rappresenta un passaggio dal grande significato politico; una legislatura segnata da straordinarie criticità economiche e da una riarticolazione neocentralistica delle istituzioni volge a conclusione, mentre di qui a pochi mesi verrà scelta dalla popolazione umbra una nuova classe dirigente regionale, che oltre alle problematiche maturate nel corso di questi anni dovrà far fronte a nuove incertezze e emergenze, di cui già oggi sono riconoscibili le prime manifestazioni.


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A tutto questo si aggiunge il concomitante avvio della fase attuativa della programmazione comunitaria per gli anni 2014-2020, che vedrà assegnati alla nostra regione risorse per oltre 1700 milioni di euro (Programma di Sviluppo Rurale, Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale, Fondo Sociale Europeo, Programma Operativo Nazionale, Programma YEI, Fondo di Sviluppo e Coesione), da impiegare per interventi per la crescita, il rilancio del sistema produttivo, l'incremento dell'occupazione, la lotta alla povertà e la salvaguardia della coesione sociale. Il 2015, infine, è anche l'ultimo anno nel quale sarà possibile impiegare le risorse residue della programmazione comunitaria 20072013, circostanza questa che conferma la portata strategica, per gli assetti economici e sociali della nostra regione, delle scelte che tanto il governo regionale quanto la popolazione umbra saranno chiamati ad assumere nell'immediato futuro. In un tale contesto, caratterizzato da così forti elementi di transizione e di discontinuità, l'individuazione delle possibili azioni di governo regionale non può prescindere dalla valutazione di quanto messo in atto finora, dalla verifica degli obiettivi prefissati, delle analisi svolte e delle strategie praticate. Una valutazione che deve necessariamente tener conto anche della gravità del quadro da tempo delineato dalle rilevazioni statistiche nel territorio regionale in merito alla perdurante recessione economica, alla crescita della disoccupazione e della precarietà, alla contrazione del credito, al calo dei consumi, che testimoniano un sostanziale fallimento delle azioni prodotte ad ogni livello di governo del Paese nel fronteggiare gli effetti della crisi. Nel suo complesso, l'azione di governo nella nostra regione si è rivelata priva di una strategia organica d'intervento sui fattori di debolezza del sistema socioproduttivo regionale: per anni si è inseguita la prospettiva di un'imminente ripresa economica a cui “agganciare” la crescita dell'Umbria, errata sotto tutti i punti di vista e produttrice nei fatti di pesanti ritardi nell'azione di sostegno alla domanda interna, il cui drammatico calo è l'espressione diretta del grado di sofferenza maturato in questi anni dalle famiglie umbre in termini di perdita di reddito, di potere d'acquisto, di qualità della vita; sono mancati provvedimenti specifici sui fattori endogeni di crisi della base produttiva regionale, continuando ad assumere l'export quale unico volano di sviluppo e rinunciando ad azioni per la riqualificazione dei settori a più basso valore aggiunto, dai quali dipende invece gran parte dell'occupazione e del reddito prodotto; si è prodotta un'azione riformatrice sempre più avulsa dai principi di democraticità ed inclusività, privilegiando interventi di riforma strumentale dell'apparato di governo del territorio, dettati quasi esclusivamente dalla riduzione delle risorse disponibili, ad interventi autenticamente programmatori, a tutela della coesione economica, sociale e territoriale. L'approccio minimalista assunto in questi anni nell'azione di contrasto della crisi economica e di riforma del sistema di governo del territorio, oltre ad essersi rivelato inadeguato rispetto all'annunciato obiettivo di produrre una


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“discontinuità intelligente” nella nostra regione, si è dimostrato sempre più rispondente ad un'ispirazione neoliberista delle istituzioni, concepite come mere garanti del funzionamento dell'economia di mercato e dell'attività di committenza nella gestione delle risorse pubbliche. In questo senso, la progressiva convergenza del governo regionale con le scelte operate a livello centrale dal Governo nazionale e con le politiche di austerità promosse dalla Commissione Europea, si è tradotta in una sostanziale subalternità politica e nell'abbandono dell'idea stessa di un modello regionale di sviluppo, sostituita con quella di una gestione delle risorse materiali ed immateriali che antepone la solvibilità del debito pubblico e la valorizzazione del capitale finanziario al benessere della popolazione e alla qualità del territorio. Nella predisposizione di una proposta programmatica all'altezza della drammaticità del quadro economico e sociale della nostra regione, occorre pertanto partire dalla realtà determinatasi nel corso di questi anni. L'Umbria produce sempre meno ricchezza, e di questa una quota crescente è diretta fuori della regione o disgiunta dal ciclo produttivo, fattori questi che compromettono ulteriormente la già bassa partecipazione degli umbri al reddito prodotto e che precludono la possibilità stessa di una ripresa economica ed occupazionale. Al contempo, il drenaggio di risorse operato dal Governo nazionale ai danni del sistema delle autonomie locali, la centralizzazione di competenze e funzioni, la ristrutturazione in atto degli assetti di governo del territorio, di cui gli esuberi nella pubblica amministrazione e la relativa compromissione di servizi essenziali rappresentano la manifestazione più allarmante, determinano uno scenario che prelude alla liquidazione definitiva del regionalismo e di ogni ipotesi di programmazione decentrata. La proposta di modello socio-produttivo centrato sui principi di redistribuzione della ricchezza prodotta e di rispondenza ai bisogni della popolazione non va inteso in antitesi con le esigenze di specializzazione ed innovazione dell'economia umbra; parimenti, la difesa dell'esperienza regionalista e del sistema delle autonomie locali non può esser travisata per il mantenimento dell'esistente. La questione centrale è appunto l'affermazione di una proposta complessiva di intervento di natura economica, sociale e politico-istituzionale, che si faccia portatrice di una nuova idea dell'Umbria, rispondente alle esigenze ed alle aspettative della popolazione piuttosto che agli obiettivi di riduzione della spesa pubblica. Per questo ogni ipotesi di proposta programmatica deve necessariamente basarsi sul recupero di un rapporto con il Governo nazionale basato sui principi di autorevolezza e di autonomia dell'ente Regione, a tutela anche del sistema delle autonomie locali. La sfida della “discontinuità intelligente” per poter essere raccolta sul terreno economico e sociale, deve essere praticata in primo luogo nei confronti del Governo nazionale, rispetto al quale è necessario dunque aprire una nuova fase di confronto; la Regione Umbria può e deve svolgere un ruolo di


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opposizione al processo di riforma neoliberista in atto, con l'obiettivo di porre fine ai tagli operati in questi anni ai danni degli enti locali, che hanno nel patto di stabilità interno il principale fattore di compromissione del sistema pubblico di servizi; può e deve contrastare la restrizione degli spazi di democrazia, che nelle proposte di riforma costituzionale rischia di trovare un'ulteriore, definitiva convalida; può e deve rivendicare la necessità di politiche d'intervento di respiro nazionale sulle maggiori aree di crisi presenti nel territorio. Proponiamo pertanto di costruire un fronte comune per un “patto contro il patto di stabilità”, capace di coniugare la rivendicazione delle necessarie garanzie di autonomia finanziaria con la difesa della democrazia partecipativa, del carattere pubblico dei beni comuni, del primato dell'interesse collettivo su quello privato. Su queste basi può essere avanzata una piattaforma programmatica in grado di produrre un modello di sviluppo autonomo e sostenibile nel tempo, capace di operare un intervento attivo di contrasto della crisi economica, a partire dalle maggiori vertenze industriali del territorio, di finalizzare l'uso delle risorse comunitarie alla piena e buona occupazione, alla conversione ecologica ed al sostegno alla domanda interna, di definire un sistema di governo del territorio incentrato sul controllo pubblico dei servizi, sulla partecipazione della popolazione e sull'uso efficiente e trasparente delle risorse. 1) intervento pubblico sulle crisi industriali La rilevanza delle evoluzioni che stanno interessando le vertenze dei maggiori poli produttivi presenti nel territorio regionali, come nel caso dell'AST, del Polo chimico di Terni e della ex Merloni, rendono ora più che mai urgente l'individuazione di una proposta complessiva da parte della Regione Umbria in funzione della risoluzione delle criticità accumulatesi in questi anni, del rilancio del sistema produttivo locale e della difesa dei livelli occupazionali, attraverso una nuova stagione di intervento pubblico in economia all'altezza della portata assunta dalla “Vertenza Umbria” in questi anni. Riconoscimento dello stato di crisi complessa per l'area di Terni-Narni, revisione ed attuazione dell'accordo di programma per l'ex Merloni, introduzione di una normativa di contrasto delle delocalizzazioni e delle dismissioni produttive sono i punti sui quali delineare un intervento complessivo di rilancio industriale, basato sulla definizione di programmi specifici di innovazione e diversificazione produttiva, sulla sostenibilità ambientale e la bonifica del territorio, sulla promozione di politiche di distretto e di filiera, anche per mezzo di un intervento diretto delle istituzioni per ridefinire gli assetti societari delle proprietà e assicurare la necessaria governance pubblica degli interventi individuati. In questo senso, nell'ambito della discussione sul rilancio del comparto siderurgico ternano va avanzata, alla luce del rischio di una profonda destrutturazione dell'AST nonostante l'accordo dello scorso 3 dicembre, la


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proposta di acquisizione diretta delle acciaierie da parte dello Stato per mezzo del Fondo Strategico Italiano. Al contrario di quanto avvenuto rispetto all'AST, le altre due maggiori vertenze siderurgiche italiane - l’ILVA di Taranto e la Lucchini di Piombino – hanno avuto infatti nell’iniziativa pubblica un fattore decisivo, benché ancora largamente inadeguato, nella ridefinizione degli assetti proprietari e nell'individuazione di un quadro di risorse certe per gli interventi sul processo produttivo e sul risanamento ambientale. Si tratta dunque di colmare il vuoto determinato dal problematico esito della vertenza, promuovendo un intervento volto a ripristinare un modello di controllo pubblico della maggiore fabbrica dell'Italia centrale, quale primo passo di una più complessiva strategia di ricollocazione nel settore ai fini della costituzione di un autentico “sistema Italia” della siderurgia. Il perdurante blocco delle risorse nazionali per il pagamento della cassa integrazione sta determinando ritardi che minano la coesione sociale, alla luce dell'ampio ricorso nella nostra regione allo strumento degli ammortizzatori sociali e dell'allarmante quota delle sospensioni dal lavoro a zero ore. Si pone pertanto l'esigenza non solo di rafforzare l'azione nei confronti del Governo per garantire la tempestività degli stanziamenti, ma anche di far propria l'iniziativa espressa in questo senso da altre regioni italiane, anticipando risorse proprie per la copertura della cassa integrazione nelle more dello sblocco degli stanziamenti stessi. 2) piano regionale per il lavoro La natura strutturale della crisi e il particolare impatto assunto nella nostra regione, dimostratosi sotto molteplici punti di vista maggiore che in altre aree del Paese, pone l'esigenza di una programmazione unitaria delle azioni per la riqualificazione delle produzioni, per l'innovazione d'impresa, per le politiche di formazione e di apprendimento permanente, per la promozione di forme occupazionali stabili nel tempo. Nel corso di questi anni abbiamo assistito ad interventi da parte della Regione tesi a dividere l'apparato produttivo regionale in due componenti; l'una, votata ad un'economia di esportazione e di alta specializzazione, su cui si sono concentrate le misure di sostegno, e l'altra, a minore valore aggiunto, di dimensione mediamente inferiore e legata ad un'economia di committenza e di subfornitura, concepita come dipendente esclusivamente da dinamiche macroeconomiche. Su quest'ultimo terreno si è consumata una quota rilevante della perdita di posti di lavoro di questi anni, che testimonia appunto la necessità di un intervento sistemico, che tenga uniti tutti i fattori che compongono il tessuto produttivo regionale in una visione d'insieme. Si pone pertanto la necessità di predisporre entro l'anno un Piano regionale per il lavoro, che si ponga strategicamente l'obiettivo della piena e buona occupazione e della conversione ecologica dell'economia, in alternativa ad un modello basato sulla mera crescita quantitativa e votato esclusivamente alla generazione di ricchezza in funzione dell'export. Attraverso tale strumento si


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concentreranno le risorse disponibili, tanto di provenienza regionale che di natura nazionale e comunitaria, dando priorità agli interventi in grado di generare maggiore occupazione e vincolando maggiormente l'accesso ai finanziamenti pubblici da parte delle imprese alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro. Piano per il Lavoro significa operare anche in direzione di una riforma del ruolo delle agenzie regionali per lo sviluppo e per l'accesso al credito, superando logiche assistenzialistiche e la frammentazione degli interventi, intervenendo al contempo per una tempestiva definizione di un quadro stabile di funzioni, competenze e risorse per i centri per l'impiego. Un intervento riformatore di ampio respiro, capace di recuperare alle istituzioni pubbliche il ruolo di soggetto economico attivo nella progettazione e nell'attuazione di programmi di reinsediamento produttivo ed occupazionale, nella promozione della partecipazione dei lavoratori e della cittadinanza alla programmazione dello sviluppo regionale, nella verifica dell'effettivo impiego delle risorse pubbliche e dei risultati conseguiti. 3) impiego a fini socio-occupazionali dei beni agro-forestali Nel settore agricolo è necessaria un'inversione di tendenza rispetto ai processi di abbandono e sottoutilizzo dei terreni, di riduzione delle imprese del settore e dei coltivatori diretti, di concentrazione delle proprietà, spesso a fini speculativi. Tali dinamiche rafforzano l'esigenza di contrastare le disposizioni del Governo nazionale volte a favorire le alienazioni del patrimonio pubblico di natura agroforestale, che invece potrebbe essere messo al servizio della popolazione e impiegato per un rilancio complessivo di un settore che in Umbria, caratterizzata da un territorio prevalentemente rurale, rappresenta un valore socio-ambientale oltre che economico-produttivo. Entro la presente legislatura è dunque necessario operare per la piena attuazione della Legge Regionale n° 3 del 2014 per l'insediamento produttivo ed occupazionale in agricoltura, per l'agricoltura sostenibile e per la semplificazione della lavorazione di piccoli quantitativi di prodotti agricoli, attraverso la predisposizione e l'adozione dei relativi regolamenti attuativi. Le finalità di questa legge incidono direttamente sulle politiche patrimoniali della Regione, rispetto alle quali occorre superare le previsioni basate sulla ricezione della normativa nazionale e procedere alla revoca dei processi di alienazione dei beni agro-forestali suscettibili di impiego produttivo da parte della popolazione, anche al fine di salvaguardare e regolamentare le esperienze agricole sorte a vario titolo in questi anni. A sostegno del potenziale socio-economico insito nella messa a valore dei beni agro—forestali pubblici, all'interno del piano di sviluppo rurale andrà adottata una misura specifica di sostegno alla creazione di nuove attività economiche in agricoltura da parte di lavoratori svantaggiati, in modo da dare adeguato sostegno alle previsioni della Legge regionale n° 3 del 2014 e di finalizzare


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maggiormente le risorse disponibili ad impieghi funzionali alla crescita occupazionale e del reddito agricolo. 4) urbanistica, commercio e artigianato La crisi che investe il settore del commercio e dell'artigianato nella nostra regione, oltre a scaturire dal drammatico calo dei consumi, si intreccia con politiche urbanistiche che hanno favorito processi di concentrazione delle attività, in funzione di pochi, grandi operatori. Il fatto che nel 2014 le vendite al dettaglio a prezzi correnti siano calate solo tra i piccoli esercenti, mentre la grande distribuzione organizzata ha registrato una crescita, sta a dimostrare l'inadeguatezza non solo delle politiche di sostegno dei centri commerciali naturali, ma anche delle politiche urbanistiche. La recente approvazione del Testo Unico in materia offre l'occasione per promuovere un nuovo approccio alla pianificazione dello sviluppo del territorio, basato sul contrasto del consumo del suolo, sulla prevenzione del dissesto idro-geologico, sulla salvaguardia del patrimonio socio-ambientale e sulla tutela e la valorizzazione dei centri storici quali centri commerciali naturali, anche ai fini della promozione del comparto turistico. Occorre inoltre operare direzione del rafforzamento delle filiere e della loro riconoscibilità da parte della cittadinanza; in questo senso, proponiamo l'introduzione della certificazione etico-solidale dei produttori e degli esercenti, basata sulla commercializzazione di prodotti di filiera regionale, sulla sostenibilità ambientale delle attività economiche e sulla qualità dell'impiego della forza lavoro. Occorre infine riprendere l'iniziativa nei confronti del Governo nazionale rispetto alla liberalizzazione di questi anni nel settore del commercio, che ha privato gli enti regionali della possibilità stessa di regolare attivamente orari di lavoro e aperture nei giorni festivi, con pesanti conseguenze sulle condizioni di lavoro nel settore e sui margini di tenuta dei piccoli negozi di vicinato; nei prossimi mesi va pertanto sostenuta un'iniziativa congiunta con le altre regioni italiane, al fine di conseguire l'abrogazione delle norme sulla liberalizzazione delle aperture degli esercizi commerciali, disposte dal DL n. 201 del 2011 (convertito con modificazioni dalla Legge 214 del 2011). 5) politiche di risanamento ambientale e conversione ecologica economia Il territorio umbro in questi anni si è dimostrato esposto ad una pluralità di fattori di rischio, a cui non sono esenti le strategie regionali adottate nella presente legislatura in materia di energia e di gestione del ciclo dei rifiuti. Entro l'anno va pertanto attuata una profonda revisione della normativa regionale sulle fonti rinnovabili, ripristinando l'obbligo di approvvigionamento su base locale delle centrali a biomasse e adottando misure incentivanti per l'applicazione ecosostenibile delle fonti termiche rinnovabili, in particolare rispetto alla gestione ed al trattamento dei reflui zootecnici in ambito aziendale.


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Una radicale inversione di tendenza va operata rispetto alla gestione del ciclo dei rifiuti. La decisione della Giunta regionale e del Consiglio di ricorrere alla produzione di CSS per la chiusura del ciclo dei rifiuti, oltre a non avere effetto sulla riduzione dei fabbisogni di discarica, rischia di determinare nel prossimo futuro il diretto inserimento della nostra regione nella filiera dell'incenerimento dei rifiuti urbani e la sostanziale interdizione di ogni ipotesi di sviluppo del settore riciclo e del riuso in ambito regionale, impedendo al contempo l'aumento della raccolta differenziata. Una circostanza aggravata dalla possibilità concreta che rifiuti urbani di provenienza extraregionale vengano di qui a breve conferiti negli inceneritori presenti a Terni, territorio fortemente compromesso dalla presenza di contaminanti ambientali e che registra peraltro fortissimi ritardi nell'azione di bonifica dell'area individuata come SIN, comprovata dai risultati del monitoraggio sulla presenza di diossine e pcb nella filiera alimentare. Le integrazioni al Piano regionale di gestione dei rifiuti recentemente approvate, con le quali si è inteso promuovere nel territorio regionale la produzione di CSS, vanno pertanto integralmente sostituite con la promozione del massimo recupero di materia prima seconda dai rifiuti e l'adozione della strategia “Rifiuti Zero”, in funzione del rilancio della raccolta differenziata su tutto il territorio regionale, andando oltre l'obiettivo del 65%, e della costituzione di filiere locali del riciclo e del riuso, secondo l'esempio offerto da numerose realtà del nostro Paese. Allo stesso tempo, è necessario uno specifico intervento sull'area di Terni, incentrato su due azioni: il superamento di ogni forma d'incenerimento dei rifiuti, sia urbani che industriali, in funzione della tutela della qualità dell'aria e della cessazione di attività estranee ed avverse al contesto socio-produttivo locale, e l'apertura di una nuova fase di confronto con il Governo nazionale per l'attuazione del programma di bonifica del SIN di Terni-Papigno. È urgente infine l'individuazione di misure specifiche di contrasto delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore delle energie rinnovabili e dei rifiuti, settori che si dimostrano esser particolarmente favorevoli al radicamento delle attività malavitose ed al riciclaggio dei proventi illeciti. La definizione nel territorio regionale di un protocollo di legalità specifico per i settori dell'energia e dei rifiuti può in questo senso rappresentare la premessa per l'elaborazione di modello d'intervento che abbandoni un approccio formalistico, che guarda al governo del territorio e alle procedure di appalto concentrandosi sulla mera riduzione dei costi. L'adozione di un simile strumento si dovrà accompagnare con un'azione che vada dal basso verso l’alto nella prevenzione e nel contrasto della corruzione, nell'individuazione degli operatori dei settori maggiormente a rischio d'infiltrazione, nella trasparenza e nel monitoraggio delle procedure di appalto, nella diffusione nel territorio della cultura della legalità e nella definizione di prassi trasparenti e partecipative nella gestione delle risorse pubbliche. 6) politiche di welfare, reddito sociale e diritto allo studio


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La drammatica riduzione delle risorse disponibili per le politiche di welfare si configura ormai come un'autentica emergenza sociale, che rende ormai indispensabile una specifica azione nei confronti del Governo nazionale per il ripristino delle risorse per la non autosufficienza, per il sostegno al reddito, per la riqualificazione del patrimonio immobiliare pubblico a fini abitativi. È necessaria in particolare una strategia complessiva finalizzata a rendere pienamente effettivo il diritto alla casa, assumendo e perseguendo due obiettivi strategici: impedire la perdita dell'abitazione in caso di sfratto per morosità e contrastare la pratica degli affitti a nero. Per questo va superata la logica, spesso clientelare, basata sull'assegnazione di risorse per mezzo di bandi rivolti principalmente al ceto medio, utilizzando invece le risorse disponibili per intervenire sul patrimonio edilizio disponibile e aumentare l'offerta di alloggi sociali. Allo stesso tempo, occorre operare un'autentica concentrazione delle risorse disponibili in ambito comunitario per interventi attivi di lotta alla povertà e di promozione dell'inclusione sociale, ambiti dove si è registrata in questi anni una progressiva dispersione degli interventi, che nel nuovo ciclo di programmazione 2014-2020 va invece superata. Funzionale a tale impostazione è la predisposizione di uno strumento unico di accesso ed erogazione di benefici per tutti i “poveri” e i “potenziali poveri”, che alla risposta alla domanda dei bisogni unisca un'adeguata analisi delle competenze individuali e la progettazione di interventi di inserimento socio-economico. A questo si unisce, necessariamente, l'introduzione in Umbria del reddito sociale, per il contrasto alla povertà e la promozione della cittadinanza sociale, in coerenza peraltro con le indicazioni della risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2010. Al tal fine nell'anno corrente si potrebbero impiegare in via sperimentale le risorse residue del FSE e del FSC del ciclo 2007-2013, prevedendo per i beneficiari la progettazione individuale di programmi di inserimento socio-lavorativo, necessari per qualificare l'uso di tali fondi e per coniugare il sostegno al reddito con l'intervento sulla persona. Lo stato di profonda compromissione del sistema di istruzione pubblica, determinato dalle reiterate riduzioni di risorse statali, pone infine l'esigenza di rafforzare l'iniziativa istituzionale da parte della Regione nei confronti del Governo, ai fini della stabilizzazione del personale docente precario. Allo stesso tempo, occorre operare una revisione organica della normativa regionale in materia di diritto allo studio e di politiche giovanili, accogliendo le sollecitazioni espresse in tal senso dalla popolazione studentesca, in particolare sui seguenti punti: riqualificazione dell'edilizia scolastica, regolamentazione dello status degli studenti in stage, promozione dell'uso dei libri digitali, integrazione linguistico-culturale, potenziamento delle tutele e dei servizi per gli studenti con disabilità, agevolazioni nell'accesso ai luoghi di cultura e aggregazione, contrasto della dispersione scolastica e rilancio dell'esperienza del tempo pieno.


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7) politiche per la mobilità In questi anni gli effetti dei tagli al trasporto pubblico regionale, acuiti dall'assenza di interventi compensativi da parte della Regione e dalle vicissitudini che hanno determinato il cambio di proprietà della società regionale dei trasporti, hanno portato a forti ricadute negative sul sistema regionale di trasporto pubblico, reso sempre meno competitivo rispetto alla mobilità privata. Il nuovo Piano Regionale dei Trasporti offre in questo senso la possibilità di uno specifico intervento di promozione dell'intermodalità e del biglietto unico regionale, quali punti qualificanti dell'articolazione del sistema di trasporto pubblico regionale e decisivi per la predisposizione della prossima gara di assegnazione dei servizi. Occorre inoltre esprimere una netta contrarietà al progetto di trasformazione della E45 in autostrada, in ragione dell'aggravamento del peso della mobilità pesante nel territorio regionale, dell'assenza di ricadute positive per l'economia regionale e delle conseguenze per l'ambiente e la qualità della vita della popolazione residente. 8) sanità Il sistema sanitario regionale, nonostante i riconoscimenti conseguiti in ambito governativo, risente delle gravi prospettive di riduzione delle risorse disponibili, che trovano ulteriore conferma nell'ulteriore ciclo di tagli promosso dal Governo con la legge di stabilità. A ciò si aggiunge la mancata attuazione della riforma sanitaria, dove si registra la violazione delle previsioni di legge in merito all'adozione del nuovo Piano sanitario regionale, nonché il ritardo nel programma di riqualificazione infrastrutturale della rete ospedaliera, in particolare rispetto alla realizzazione del nuovo Ospedale di Narni-Amelia e agli interventi nell'area del Trasimeno-Pievese. In materia di sanità la questione centrale è dunque il rispetto degli impegni presi; è necessario un nuovo Piano sanitario regionale, come pure l'avvio delle azioni di riqualificazione del sistema ospedaliero nei territori dove si registrano le maggiori criticità. Ad oltre due anni dalla sua approvazione, la riforma del sistema sanitario inoltre ha messo in luce una serie di problematiche rispetto alla gestione delle risorse, concentrata nelle mani di poche figure apicali. Tale concentrazione del potere decisionale non è affatto funzionale alla riqualificazione della spesa, che invece rappresenta, in un contesto segnato da una drammatica scarsità di risorse, un elemento essenziale nell'azione di governo. Va pertanto recepita la proposta di legge di iniziativa popolare di modifica della riforma sanitaria del 2012, funzionale a dotare i distretti della necessaria autonomia e di risorse certe e programmabili nel tempo. Ad integrazione dell'opera di riforma del sistema sanitario si pone inoltre la completa attuazione alla legge per la


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somministrazione di farmaci cannabinoidi, predisponendo i protocolli attuativi per consentire alle Aziende Sanitarie Locali di soddisfare il bisogno di cura espresso dalla popolazione 9) politiche fiscali La restrizione dei margini operativi finanziari della regione dettata dalla cessazione dei trasferimenti statali e dalle disposizioni legate al patto di stabilità si inserisce, come detto in precedenza, all'interno di un processo di riarticolazione neocentralistica dell'apparato di governo del territorio, che rischia progressivamente di compromettere il ruolo delle Regioni. Il confronto con il Governo nazionale dovrà pertanto tornare a basarsi sul contrasto alle politiche di austerità, mettendo esplicitamente all'ordine del giorno dell'azione della Giunta regionale la revisione del patto di stabilità e la costituzione di fronte largo delle regioni, degli enti locali e della popolazione contro i tagli alla spesa pubblica per le funzioni essenziali per il governo del territorio, a tutela dei principi di efficienza, efficacia e sussidiarietà. Va inoltre operata una più forte politica di redistribuzione della ricchezza dall'alto verso il basso attraverso la fiscalità regionale, in particolare rispetto alle addizionali Irpef, per conseguire un extra-gettito da destinare finanziamento di un fondo anticrisi in favore delle famiglie in condizioni di povertà e vulnerabilità sociale. L'esigenza di rivedere la fiscalità regionale si intreccia con il rilancio dell'azione per il superamento della tassa di bonifica; la Regione Umbria deve farsi interprete di una proposta di legge nazionale per l'abolizione dei consorzi di bonifica, centri di spesa paralleli e virtualmente incontrollabili da parte degli enti regionali, ai quali dovrebbero invece competere integralmente le funzioni di bonifica e di tutela del territorio, sulla base dei relativi, necessari stanziamenti. Va infine operata una revisione dei canoni ambientali per l'utilizzo delle risorse idriche per la produzione di energia elettrica. Il canone unitario previsto dalla nostra regione, pari a poco più di 15 euro/KW, è largamente inferiore a quella media delle altre regioni italiane, a fronte peraltro di enormi profitti derivanti dalla produzione di energia da impianti idroelettrici. Una valutazione analoga vale anche per i canoni di prelievo delle acque minerali e per quelli di estrazione di materiali da cava, dove la fiscalità regionale si è dimostrata largamente insufficiente a fronte sia del prezzo di vendita dei prodotti finali che degli ingenti profitti realizzati attraverso lo sfruttamento di beni della collettività. Si pone dunque la necessità, a partire dalla prossima legge di bilancio, di uniformare i canoni ambientali della Regione Umbria per il prelievo dai corpi idrici, per i giacimenti di acque minerali e per le attività estrattive alla media delle altre regioni italiane, destinando le risorse così ricavate ad interventi di compensazione ambientale e di risanamento del territorio, anche in funzione della sua valorizzazione turistico-paesaggistica.


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10) riforma endoregionale e pubblico impiego il processo di riforma endoregionale avviato nel 2011 è andato incontro negli anni successivi a continue modifiche ed aggiornamenti, sulla base non solo di gravi e ripetuti interventi legislativi nazionali, ma anche di una oggettiva problematicità delle previsioni della riforma nel territorio. Ad oggi non si è ancora completata la liquidazione delle comunità montane, il cui personale è in attesa a tutt'oggi di un ricollocamento; la mancata costituzione delle unioni speciali dei comuni ha lasciato nell'indeterminatezza le funzioni necessitanti di un coordinamento sovracomunale, anche a causa della riduzione dei compiti degli ATI in vista della loro prossima soppressione; lo stravolgimento della natura e del ruolo delle Provincie, la portata degli esuberi del personale di questi enti, la loro futura cancellazione nell'ambito del processo di riforma costituzionale, completano il quadro di grave incertezza normativa, amministrativa e finanziaria che pesa sulla qualità e l'efficacia dell'azione di governo del territorio, peraltro in una delicatissima fase della storia della nostra regione. È dunque urgente porre rimedio in tempi brevi, individuando un adeguato equilibrio nell'attribuzione di funzioni e competenze e ricostituendo le indispensabili forme di coordinamento di area vasta tra l'azione degli enti comunali e l'azione della regione, attraverso un nuovo patto per le autonomie. Per questo va in primo luogo definito in tempi rapidi, attraverso la partecipazione dei lavoratori e della cittadinanza alle scelte, un quadro stabile di ripartizione dei servizi e delle risorse di competenza delle Provincie, della Regione e del sistema della autonomie locali, dal quale dipende la percorribilità e la sostenibilità delle ipotesi di riordino delle funzioni amministrative regionali, di area vasta, delle forme associative di comuni e comunali. A ciò si aggiunge la necessità di un forte intervento in sede di Conferenza delle Regioni ai fini del ripristino degli stanziamenti necessari per scongiurare i rischi di dissesto finanziario delle Provincie, nonché per definire tempi e modalità certi per il ricollocamento di tutti i lavoratori e le lavoratrici di questo ente. La drammaticità delle previsioni delle disposizioni governative per centinaia di dipendenti pubblici, come pure le condizioni di lavoro precario e sottopagato che caratterizzano l'erogazione di molteplici servizi e prestazioni, spesso pertinenti il rapporto diretto con la cittadinanza, pongono ulteriormente in risalto il forte livello di sperequazione tra le figure apicali del comparto amministrativo e sanitario e il resto del personale. Secondo rilevazioni statistiche dello stesso Governo nazionale, il costo totale per lo Stato dei dirigenti pubblici è di 28 miliardi: la sola parte variabile degli stipendi, quella accessoria legata ai premi di risultato, vale un 10/15% del totale. Tali evidenze rendono pertanto doveroso il blocco, per l'anno 2015, dell'erogazione dei premi per i dirigenti pubblici, in vista di una profonda revisione delle modalità di valutazione e dell’introduzione di criteri di definizione


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degli obiettivi e delle risorse coordinati con la misurazione dell'impatto socioeconomico dell'attività amministrativa e delle prestazioni sanitarie nel territorio regionale. Va infine affrontata da subito la questione del futuro del regionalismo nel nostro Paese. L'Umbria è stata nei decenni precedenti interprete di una lunga stagione di ascesa economica e sociale, costituendo un modello di governo non esente da contraddizioni, ma nel suo complesso equilibrato e fortemente incentrato sulla valorizzazione della coesione del corpo sociale. La lunga fase di riduzione delle risorse e degli spazi di democrazia, dopo aver contribuito a svuotare dall'interno questa impostazione, sta conoscendo adesso un salto di qualità, diretto esplicitamente a ridefinire non solo il ruolo futuro dell'ente regione nel nuovo assetto istituzionale del Paese, ma a riordinare anche le identità territoriali maturate in questi decenni, fondate in gran parte sulla stessa storia del territorio nazionale. È necessario contrastare ad ogni livello il tentativo del Governo di operare una sostanziale messa in liquidazione dell'esperienza regionalista, che trova la sua piena manifestazione nell'ipotesi delle macroregioni, operando invece per rafforzare il coordinamento e la collaborazione con le regioni limitrofe e costruire un'alternativa autorevole alla centralizzazione di poteri e funzioni, che sappia coniugare le positività del decentramento con la partecipazione popolare alle scelte.

Damiano Stufara Presidente Gruppo consiliare PRC


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