Sconfinamenti. Vintage ed Unicum di Nino Migliori

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Nino Migliori

2000 & NOVECENTO Edizioni d’Arte


2000 & NOVECENTO Galleria d’Arte

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Nino migliori

Sconfinamenti. Vintage ed Unicum di Nino Migliori 2000 & Novecento Galleria d’Arte Via Emilia San Pietro, 21 Reggio Emilia 2 maggio - 30 giugno 2014 Mostra a cura di Marisa Vescovo e Erika Rossi Catalogo a cura di M. Paule Fournier e Erika Rossi Organizzazione e coordinamento di M. Paule Fournier e Erika Rossi Ufficio stampa e pubbliche relazioni CSArt Comunicazione per l’Arte, Reggio Emilia ClubArt, Reggio Emilia Erika Rossi Testo di Marisa Vescovo Foto di © Nino Migliori, Bologna © Marco Pasini, Monterosso (SP) © Gianni Schicchi, Bologna Traduzioni di Michael Haggerty, Verona

In copertina, da “Herbarium”, 1974, vintage (particolare)

© 2014, 2000 & Novecento - Edizioni d’Arte Stampato nell’aprile 2014 da Grafiche Step, Parma 2


Marisa Vescovo

Nino migliori

Sconfinamenti. Vintage ed Unicum di Nino Migliori

2000 & NOVECENTO Edizioni d’Arte

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Sconfinamenti. Vintage ed Unicum di Nino Migliori Marisa Vescovo

Alla disgregazione storica dell’identità forte corrisponde, per un altro verso, una sorta di pericolosa frammentazione culturale, conseguenza, in qualche modo contraddittoria, degli enormi progressi delle più diverse discipline, soprattutto quelle informatiche. La specializzazione diviene talmente “alta” da sfaldare i contesti di lavoro e la globalità. I saperi, fortemente evoluti, perdono in tal modo la loro capacità di integrarsi alla natura e all’uomo, impedendo la percezione di ciò che è stato e che è ancora “tessuto” insieme al contesto della società, generando la multidimensionalità degli eventi. All’idea dei soggetti dominanti e alla gerarchia dei concetti noti, viene sostituita una conoscenza diramata e sempre più simile ad un mosaico, o ad una ragnatela, una conoscenza reticolare in cui l’umano incomincia ad essere deprivato, in molti modi, del suo ruolo di “agente primario”, e trasformato in una sorta di malato fruitore di una “forma fugiens”. Ormai le parole “moderno” e “postmoderno” scandiscono i vertici di tali passaggi, segnando il destino di una perduta “grandezza umana”, almeno così come fino ad ora era stata pensata. Se il moderno è stato il periodo del tempo lineare dominato dal pensiero dello sviluppo, in una successione coerente della crescita tecnologica il “postmoderno”, al contrario, prende origine dalla perdita di ancoraggio della storia e della morale dell’uomo, e conferisce all’esplosione tecnologica il senso oscuro della scomparsa e della morte. La cultura postmoderna segna, dunque, un’epoca in cui sono messi in crisi alcuni punti fermi dell’esistenza. Per molti artisti si tratta di un’epoca turbolenta che si apre sull’ignoto. Il concetto di confine sembra in questo modo dissolversi, mutare radicalmente la sua funzione, trasformarsi da barriera in soglia di passaggio, di connessioni multiple che obbligano a riconsiderare i confini della natura. I confini sono zone problematiche di conflitto potenziale o in atto, oggi sacre zone di turbolenza. Come mostra in questa personale dal titolo Sconfinamenti. Vintage ed Unicum di Nino Migliori alla Galleria d’Arte 2000 & NOVECENTO, il grande fotografo bolognese ci propone tre gruppi di opere, datate 1950-1977, in cui troviamo la straordinaria creatività di quello che si definisce “fotografo alchimista”, sempre alla ricerca di creazioni nuove, anche “off camera”, che testimoniano la sua volontà di travalicare continuamente i paletti della foto tradizionale. Egli sovente lavora direttamente sulla carta fotografica che, in effetti, assume ora un significato di primo piano, sia attraverso la luce (passione indelebile dall’autore), sia con materiali inusuali, trattati con un gesto potente, che re-inventa le forme sottraendole al caos. Se ci soffermiamo sul ciclo dell’“Herbarium” (1974) vediamo che quanto abbiamo sopradetto trova la sua puntuale conferma. Si tratta di reperti di natura raccolti sul territorio (foglie o fiori), messi tra due vetri, e poi stampati in laboratorio - attraverso l’uso calcolato e potente della luce - come se fossero diapositive, rivelando con un occhio erotico, il segreto della loro mirabile struttura, talora già intaccata dal tempo e 7


ridotta a filigrana, o scheletro di se stessa, nonché il mistero della forma e della cromia. Le opere singole e i dittici, si impongono ancora una volta come una sperimentazione molto puntigliosa, che si offre come un’imponente raccolta quasi scientifica - forse ad futura memoria di chi fra qualche decennio non riconoscerà l’origine di queste forme - di poetici reperti di natura, una natura lasciata in eredità ad un uomo che sta dimenticando i valori di quell’universo, che gli è madre, e oggi si vendica prendendo il triste aspetto di una matrigna. A questo proposito si potrebbe anche parlare di “inquadratura”, cioè il quantum di realtà e di percezione che dobbiamo tenere in considerazione per leggere l’immagine, perchè essa è un aspetto importante, decisivo, per il messaggio che si vuole dare. Anche se si tratta di piccoli frammenti erbacei (spesso quadrilobati), si coglie comunque il fatto che quello che stiamo considerando come immagine ha molti rimandi, che vanno fuori quadro, e quindi hanno un ampio orizzonte capace di abbracciare eventi diversi. In questo senso vengono a coesistere tantissimi elementi tra i quali possono sussistere zone di non collimazione, di casualità, delle connessioni surreali, che talora affiorano in queste ricerche. Infatti, in alcuni casi, troviamo che alle forme integre delle foglie si accompagnano opere in cui la trama della materia si corrompe e si riduce in frammenti che si sovrappongono o si disperdono nello spazio, e poi si modificano dando vita ad astrazioni di grande fascino, che certificano che tutto è destinato a perire trascinando con sé la materialità del colore e della forma. Dobbiamo comunque annotare che è tipico di Migliori recuperare, in tutto il suo lavoro, l’emozione del processo di formazione delle immagini e del linguaggio. All’artista piace che la sua propensione verso il discorso dell’immaginario risponda, in questi casi, al clima sociale e non si risolva solo in puri concetti. Vuole che essi si rendano riconoscibili anche come proiezione del suo vissuto, quindi conniventi, non solo per via logica, ma anche - diciamo - esistenziale con noi spettatori. Se pensiamo a un altro ciclo di lavori, i “Polarigrammi” (1977) che portano avanti sperimentazioni precedenti, ci accorgiamo che essi sono tenuti insieme in un’immagine vasta, che non rifiuta zone di non collimazione tra un gruppo di lavoro e l’altro, zone che possiamo definire “zone di turbolenza”. E la “zona di turbolenza” sarebbe anche il limite reale a cui le cose tendono: il fatto che una cosa molto vitale possa trasfigurarsi in malattia per indebolimento della stessa vitalità del segno, o della luce, ci mostra dunque come l’eccesso di coerenza, nel tempo, possa arrivare a ribaltare il senso di questa stessa coerenza. Osservando alcune di queste opere, ci sembra di trovare il movimento tumultuoso di Boccioni futurista, o l’attonito sguardo sulla disgregazione del mondo di Kandinsky. Tutto questo si vede soprattutto in quei lavori in cui l’attenzione dell’artista si concentra sulle lastre sovrapposte di materiale trasparente, due lenti polarizzate, fra le quali vengono inseriti e modellati con pieghe e arabeschi formali, fogli di plastica incolore, per cui il loro movimento genera geometrie complesse, cariche di energie, soprattutto per merito di cromie variabili proiettate che si diramano con slancio ovunque. Il colore a volte scatta secondo lo spettro solare, a volte si distribuisce in bande dinamiche, a volte crea vortici dionisiaci, quasi come una craquelure del materiale, molto caratterizzante in quanto crea un realismo ottico. Spezzettando in tal modo l’immagine, si costruisce una struttura a caleidoscopio, simile alla forma simbolica dello spazio, uno-e-tanti, esplorato anche dalle avanguardie storiche. Il lavoro “off camera” toglie la prospettiva frontale classica dalla scena e provoca un’alterazione del focus rappresentativo costruito dallo sguardo dell’autore sul mondo. L’opera perde il suo centro e l’idea di pittura, sempre presente nella ricerca di Migliori, è condotta a un nuovo limite, e si costruisce unicamente come una trama, come una stratificazione progressiva di tracce energetiche, che si ordinano seguendo un equilibrio cromatico formale, che ha in sé una sovversione verso i propri limiti, una rottura verso l’idea di “familiare” di grande fascino e potenza. 8


Anche qui il tema dello “sconfinamento” nasce da un’interruzione della funzione simbolica e risponde, in questo caso, a un’assolutizzazione dell’immagine-segno, intesa come ciò che ricopre il vuoto del reale. La proliferazione attuale delle immagini non risponde affatto ad un ritorno spaesante del reale nell’epoca della crisi del simbolico ma indica, al contrario, una modalità perversa di negazione dell’alterità del reale. Notiamo che nella ricerca di Migliori lo “sconfinamento” tocca anche le ali della “bellezza”, che non scaturisce per imitazione di stereotipi, non risponde a uno standard universale, non ricalca il già visto, ma è lampo, fulgore, irruzione di qualcosa che buca lo schermo ordinario della rappresentazione. Migliori è artista del proprio tempo, non è interessato alla semplice citazione di una bellezza già resa classica dalla storia dell’arte o dal consumo della moda, ma la sente come creazione individuale di una iconografia formalizzata dalla mutazione, o metamorfosi. Baudelaire è stato il primo, forse, che ha visto fino in fondo la necessità di rompere l’armonia della bellezza, sia a livello di manifestazione dell’armonia naturale e di proporre un’idea di bellezza disarmonica, extra-naturale. È stata poi Simone Weil a dire che ogni valore che appare nel mondo sensibile è bellezza. La bellezza rende visibile e conoscibile la contraddizione, è rottura degli assetti conosciuti, rende l’irriducibile della creazione, accesso privilegiato alla verità. Il gruppo di scatti fotografici - e fotografia vuol dire “pensiero” - che riguardano invece i “Muri” (1950-1973), cerca di rubare sui muri delle periferie urbane, e no, i segni della sfioritura degli intonaci colorati che si sono stratificati nel tempo a causa dei veleni, delle polveri sottili, della nostra incuria imperdonabile, o le tracce che i passanti vi hanno lasciato per caso, o per dare voce ad un messaggio indifferibile d’amore o di sofferenza per quanto accade nella nostra società. Alcune di queste foto sono decisamente vicine all’Informale pittorico (sono contemporanee ad esso e, non a caso, hanno inizio nel 1950), altre sono più legate alla scrittura di getto, inneggiano alla pace, alla guerra, ad ideologie condivise in quel momento, ma di clima decisamente neo-dada (ovvero anni ’70) e rispondono ad un richiamo profondamente esistenziale. Il risultato certo è quello di aver trovato nuove combinazioni diaristiche di racconto, inteso a denunciare un proprio ed autonomo condizionamento di vita tra il lirico e il vegetativo, inesistente nell’arte ufficiale di quegli anni. L’obiettivo di Migliori risponde con sottile poesia a un richiamo forte della propria storia, alla caducità delle cose, da decifrare per noi che le guardiamo con una fruizione lenta, ma vogliosa di assaporare la volontà di azione. L’esito indiscutibile di questi scatti ha però per prospettiva l’ignoto, ancora il mistero, ma un mistero nei cui confronti l’uomo avverte, per sintomi disordinati e febbrili, ancora oggi, un crescente panico freddo. Con i suoi lavori foto-grafici Migliori afferma che l’arte ha una ragione speculativa, che la pone al di sopra dei limiti inerenti le singole tecniche e di ogni funzione pratica; ciascuna tecnica artistica è un modo autonomo e insostituibile del pensiero. Ma sappiamo pure che un’identità individuale come quella del nostro artista, oltre che su una sottile spiritualità dei concetti, poggia su pulsioni elementari, su un bisogno di territorio e di confini che escludono altro. I confini sono zone problematiche di conflitto potenziale o in atto, zone di turbolenza, che talora è necessario lasciare alla riflessione e al futuro o, magari, con un salto, sconfinare verso l’altrove dell’arte. Con questa poliedrica personale l’artista mostra quanto sia facile per la sua creatività “sconfinare” felicemente fra i vari linguaggi legati all’immagine, non a caso molte sue elaborazioni originali sono in anticipo, talora in contemporanea, con vari movimenti delle arti visive degli ultimi decenni.

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Vintage and Exclusive Trespasses by Nino Migliori Marisa Vescovo

The historical disintegration of strong identities corresponds to a kind of dangerous cultural fragmentation, the - in some way contradictory - consequence of the enormous progress made in various areas, above all in that of information technology. Specialization has become so “intense” as to shatter the contexts of work and globalism. Knowledge has greatly evolved and as a result has lost its capacity to integrate with nature and humanity, blocking the perception of what has been and is still a “fabric” together with the context of society, thus generating a multi-dimensionality of events. The idea of dominant subjects and the hierarchy of known concepts has been replaced by a knowledge that has branched off and become increasingly like a mosaic or spider web, a reticular knowledge in which humanity begins to be deprived, in many ways, of its role as a “primary agent” and to be transformed into a kind of unhealthy user of a “forma fugiens”. By now the words “modern” and “postmodern” articulate the heights of such passages and mark the end of “human greatness”, at least as it has been considered until now. If the modern age has been one of linear periods of time dominated by thoughts of development in a coherent succession of technological growth, the “postmodern” period, instead, originated in the loss of the anchorage of humanity’s history and morality and has conferred on the technological explosion a dark sense of demise and of death. So postmodern culture marks an epoch in which many fixed points of existence have undergone a crisis. For many artists we are dealing with a turbulent age which is leading us into the unknown. The concept of boundaries seems to dissolve itself, radically change its function, and to be transformed from a barrier into a threshold of multiple connections that oblige it to reconsider the boundaries of nature. Boundaries are problematical areas of potential or active conflict, and are today sacred areas of turbulence. In this solo show titled Sconfinamenti. Vintage ed Unicum di Nino Migliori at the Galleria d’Arte 2000 & NOVECENTO, this great Bolognese photographer is exhibiting three groups of works dating from 1950 to 1977 in which we find the extraordinary creativity of someone who defines himself an “alchemist photographer”, someone always in search of new creations, even “off camera”, which testify to his desire to continuously shift the goalposts of traditional photography. Often he works directly onto photographic paper: in effect, this has now become of central importance whether through the use of light (the artist’s unquenchable passion) or with unusual materials, treated with powerful gestures, where he reinvents forms by subtracting them from chaos. If we pause to look at the “Herbarium” series (1974) we see a timely confirmation of what I mentioned earlier. We are dealing with natural remains picked up from the land (leaves or flowers), placed between two sheets of glass and then printed in his workroom - through the use of a calculated and powerful use of light - as though they were slides and, with an almost erotic view, they reveal the secret of their 11


marvellous structure - one that is on occasions already touched by time and reduced to lacework or a skeleton of itself - as well as the mystery of form and colour. The individual works and the diptyches once again impose themselves as highly meticulous experiments which can be seen as an imposing, almost scientific, collection - perhaps ad futura memoria for those who, in a few decades time, will not recognise the origins of these forms - of the poetic evidence of nature, a nature left as a legacy to a humanity that is forgetting the values of the universe, humanity’s mother who today has her revenge by assuming the sad look of a stepmother. With regard to this we might also speak of “framing”, in other words the quantum of reality and of perception that we have to take into account in order to read an image, because this is an important and decisive aspect for the message to be conveyed. Even if we are dealing with small herbaceous fragments (often four-lobed), we can all the same understand the fact that what we are considering as an image has many other references that go beyond the picture and, therefore, have a wide horizon that can include diverse events. In this way many elements coexist and among them there come into existence in these works areas that do not match up, chance occurrences, or surreal elements. In fact, in some cases we also find entire leaf forms in works in which the fabric of the material is corrupted and reduced to fragments that are superimposed or are dispersed in space, only then to modify and give life to fascinating abstractions which show that everything is destined to perish and take with itself the substance of colour and form. However, we are forced note that it is typical of Migliori to salvage, in all his work, the emotion of the process of forming images and language. The artist enjoys the fact that his inclination to accept the imagination’s discourse answers, in these cases, to a social climate and is not simply resolved by pure concepts. He also wants them to make themselves recognizable as a projection of their experience, and thus complicit, not just logically but also, let’ say, existential with us, the viewers. If we think of another series, “Polarigrammi” (1977), one which continues the earlier experiments, we become aware that the works are held together in a vast image, and that they happily accept areas that do not dovetail with one group of works or another, areas we might define as “areas of turbulence”. And this “area of turbulence” could also be the real limit that things incline towards: the fact that an extremely lively thing can become ill due to a lessened activity of light itself, shows us how an excess of coherence can, over time, arrive at the point of overturning the sense of coherence itself. When observing some of these works we seem to find the tumultuous movement of the Futurist Boccioni or the shocked view of Kandinsky’s disintegrating world. Above all this can be seen in those works in which the artist’s attention is concentrated on superimposed sheets of transparent material, two focused lenses, between which are inserted uncoloured sheets of plastic which are then modelled into folds and formal arabesques: their movement generates complex geometries overflowing with energy, above all the result of the projection of varied colours which happily spread everywhere. At times the colour springs into action in harmony with the sun’s spectrum, at others it is distributed in dynamic bands, and at yet others it creates Dionysian vortexes, almost like cracks in the material, which are highly connotative because of the optical realism they create. By shattering the image in this way there is created a kaleidoscopic structure alluding to the one-and-many symbolic form of space also explored by the historical avant-gardes. The “off camera” work takes the classical frontal perspective of the scene and provokes an alteration of the representative focus constructed by the author’s view of the world. The work loses its centre, and the idea of painting, always present in Migliori’s work, is led to new limits and is constructed only on interweaving, like a progressive stratification of energetic lines which are ordered according to a formal chromatic balance, 12


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da “Muri”, 1952, unicum 14


one that subverts its own limits: a breakthrough leading towards a fascinating and powerful idea of the “familiar”. Here too the idea of “trespassing” derives from an interruption of the symbolic function and, in this case, answers to an absolutization of the mark-image, in the sense of what covers the emptiness of reality. The current proliferation of images does not at all answer to an alienating return to the epoch of the crisis of symbolism but, rather, indicates a perverse way of rejecting the otherness of reality. We can see that for Migliori’s art this “trespassing” also touches on a “beauty” that does not result from an imitation of stereotypes, does not respond to a universal standard, and does not repeat what has already been seen. Instead it is a flash, a bolt of lightening, the irruption of something that breaks through the ordinary screen of representation. Migliori is an artist of his own times; he is not interested in simply quoting a kind beauty already made classical by the history of art of by fashion, but he feels it as an individual creation of an iconography formalized by mutation or metamorphosis. Baudelaire was, perhaps, the first to have deeply appreciated the need to break the harmony of beauty, at the level of a manifestation of natural harmony, and to propose an idea of disharmonic, extra-natural beauty. And then it was Simone Weil who said that every value that appears in the sensible world is beauty. Beauty makes contradictions visible and recognizable; it is a breakdown of known balances; it conveys what is irreducible in creation and gives a privileged access to truth. The group of photographs making up “Muri” (1950-1973) - and photography means “thought” - is an attempt to steel from the walls of the suburbs, whether urban or not, the spreading marks of coloured plaster that are a stratification in time of the poison and dust particles of our unforgivable neglect, or the marks that passersby have left by chance: they give a voice to a message of urgent love or suffering for what happens in our society. Some of these photos are decidedly close to the Informale painting movement (they are contemporary with it and, not by chance, they were begun in 1950); others are more similar to scribbled handwriting and praise peace, war, and ideologies widespread in that period (in other words, the 1970s), though all in a decidedly neo-Dada way, and they answer a deeply existential need. The outcome was to have found new diary-like narrative combinations, aimed at revealing his own autonomous slant on life, one on the cusp between lyricism and the vegetative, something inexistent in the official art of those years. Migliori’s aim was a subtly poetic answer to the strong call of his own history, to the transience of things, an answer to be deciphered by those of us who look on with an enjoyment that is slow but also anxious to taste action. The undoubted result of these shots is, however, an unknown outlook, a mystery, but a mystery in front of which humanity feels, even today, an increasing cold panic whose symptoms are disordered and feverish. With his photographic work, Migliori states that art has a speculative aim, one that places it above the limits inherent in individual techniques and any practical function. Each artistic technique is an autonomous and irreplaceable way of thinking. But we also know that an individual identity, such as that of this artist, besides being a subtle spirituality of concepts, is supported by elemental impulses, by a need for a territory and boundaries that exclude anything else. The boundaries are problematical areas of potential or actual conflict, turbulent zones that at times it is necessary to leave to reflections and the future or, perhaps, in a single leap to break through in order to move towards art’s “elsewhere”. With this wide-ranging exhibition the artist shows how easy it is for his creativity to successfully “trespass” among the various languages linked to images; it is not by chance that many of his original works were ahead of, and occasionally contemporary with, the various art movements of the past decades. 15


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da “Herbarium”, 1974, vintage 17


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da “Herbarium”, 1974, vintage 20


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da “Herbarium�, 1974, vintage (dittico) 22


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da “Muri”, 1952, unicum 24


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da “Polarigrammi�, 1977, vintage 28


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da “Herbarium”, 1974, vintage 31


da “Polarigrammi�, 1977, vintage 32


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da “Herbarium�, 1974, vintage (dittico) 34


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da “Muri”, 1950, unicum 38


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da “Herbarium”, 1974, vintage 40


da “Herbarium”, 1974, vintage 41


da “Polarigrammi�, 1977, vintage 42


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da “Herbarium”, 1974, vintage 45


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da “Herbarium�, 1974, vintage (dittico) 48


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da “Herbarium”, 1974, vintage 50


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da “Polarigrammi�, 1977, vintage 52


da “Polarigrammi�, 1977, vintage 53


da “Herbarium�, 1974, vintage (dittico) 54


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da “Muri”, 1973, vintage ed unicum 58


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da “Muri”, 1950, unicum 60


da “Herbarium”, 1974, vintage 61


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da “Herbarium”, 1974, vintage (trittico)

da “Polarigrammi”, 1977, vintage 63


da “Muri”, 1950, unicum 64


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Orantes


“Orantes”, 2011-2012, unicum 70


“Orantes”, 2011-2012, unicum 71


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Nota biografica

La fotografia di Nino Migliori, dal 1948, svolge uno dei percorsi più diramati e interessanti della cultura d’immagine europea. Gli inizi appaiono divisi tra fotografia neorealista, con una particolare idea di racconto in sequenza, e una sperimentazione sui materiali del tutto originale ed inedita. Da una parte, quindi, in pochissimi anni, nasce un corpus segnato dalla cifra stilistica dominante dell’epoca, il neorealismo: una visione della realtà fondata sul primato del “popolare”, con le sue subordinate di regionalismo e di umanitarismo. Sull’altro versante Migliori produce fotografie off-camera, opere che non hanno confronti nel panorama della fotografia mondiale, sono comprensibili solo se lette all’interno del versante più avanzato dell’Informale europeo con esiti spesso in anticipo sui più conosciuti episodi pittorici. La ricerca continuerà nel corso degli anni coinvolgendo altri materiali e tecniche: polaroid e bleaching. Dalla fine degli anni Sessanta il suo lavoro assume valenze concettuali ed é questa la direzione che negli anni successivi tende a prevalere. Sperimentatore, sensibile esploratore e alternativo lettore, le sue produzioni visive sono sempre state caratterizzate da una grande capacità visionaria che ha saputo infondere in un’opera originale ed inedita. Nuovi scenari e seduzioni si dispongono nell’opera in cui il progetto diviene composizione, territorio di esplorazione e punto di riflessione critica. Riflessione sull’uso della fotografia, sulla sua testimonianza attraverso la scoperta di rinnovate gestualità e contaminazioni. È l’autore che meglio rappresenta la straordinaria avventura della fotografia che, da strumento documentario, assume valori e contenuti legati all’arte, alla sperimentazione e al gioco. Oggi si considera Migliori come un vero architetto della visione. Ogni suo lavoro è frutto di un progetto preciso sul potere dell’ immagine, tema che ha caratterizzato tutta la sua produzione. Sue opere sono conservate in importanti collezioni pubbliche e private fra le quali: Mambo - Bologna; Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea - Torino; CSAC - Parma; Museo d’Arte Contemporanea Pecci - Prato; Galleria d’Arte Moderna - Roma; Calcografia Nazionale - Roma; MNAC - Barcellona; Museum of Modern Art - New York; Museum of Fine Arts - Houston; Bibliothèque Nationale - Parigi; Museum of Fine Arts - Boston; Musée Reattu - Arles; SFMOMA - San Francisco ed altri.

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Biographical note

Migliori has been developing some of the most articulate and interesting research into European imageculture since 1948. From the very beginning he produced Neorealist sequential-narrative photographs as well as original and new experimentations with materials. So on the one hand, in just a few years, Migliori realized a corpus linked to the outstanding stylistic manner of the Neorealist period: a vision of reality based on the supremacy of the “popular” with all its subdivisions of regionalism and humanitarianism. On the other hand his off-camera works have no comparison in the context of world photography. We can understand them only if they are compared with the most advanced side of European Informale art, though they were often conceived earlier than its most famous paintings. His research was to continue in the following years and to include other materials and techniques, such as Polaroid and bleaching. At the end of the 1960s Migliori’s work took on various conceptual aspects, a direction which tended to prevail in the following years. An experimenter, sensitive explorer, and alternative reader, his visual production has always been characterised by the great visionary ability that he infused into original and innovative work. New scenarios and even seduction became a part of his work, and his projects became compositions, areas of exploration, and a moment for critical reflection: a reflection on the use of photography, and on the evidence it provides about the discovery of renewed gestures and contaminations. He is the artist best adapted to represent the exceptional adventure of photography, one that started out as a documentary means and later on assumed values and contents that relate to art, experimentation and interplay. Today we can consider Migliori a true architect of vision. Each product of his is the result of a precise project about the power of vision, a subject that has characterised all his work. His works are present in important private and public collections: including Mambo - Bologna; Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea - Torino; CSAC - Parma; Museo d’Arte Contemporanea Pecci - Prato; Galleria d’Arte Moderna - Roma; Calcografia Nazionale - Roma; MNAC - Barcelona; Museum of Modern Art - New York; Museum of Fine Arts - Houston; Bibliothèque National - Paris; Museum of Fine Arts Boston; Musée Reattu - Arles; SFMOMA - San Francisco, and many others.

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pagine 4-5 da “Muri”, 1970 tecnica mista, cm. 70x100 mixed media

pagina 6 da “Polarigrammi”, 1977 C-print, cm. 35x25

pagina 10 da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 25x20

vintage ed unicum

vintage

vintage

pagina 13 da “Polarigrammi”, 1977 C-print, cm. 35x28

pagina 14 da “Muri”, 1952 tecnica mista, cm. 50x70 mixed media

pagina 16 (particolare/detail) da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 24,5x20

vintage

unicum

vintage

pagina 17 da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 24,5x20

pagine 18-19 da “Muri”, 1955 tecnica mista, cm. 50x70 mixed media

pagina 21 da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 24,5x19,5

vintage

unicum

vintage

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pagina 22 (dittico/diptych) da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 19,5x24,5

pagina 23 (dittico/diptych) da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 19,5x24,5

pagine 24-25 da “Muri”, 1952 tecnica mista, cm. 70x70 mixed media

vintage

vintage

unicum

pagina 26 (dittico/diptych) da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 24,5x20

pagina 27 (dittico/diptych) da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 24,5x20

pagina 29 da “Polarigrammi”, 1977 C-print, cm. 35x25

vintage

vintage

vintage

pagina 30 (particolare/detail) da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 39,5x30

pagina 31 da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 39,5x30

pagina 33 da “Polarigrammi”, 1977 C-print, cm. 35x27

vintage

vintage

vintage

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pagina 34 (dittico/diptych) da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 25x20

pagina 35 (dittico/diptych) da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 25x20

pagine 36-37 da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 18x22,5

vintage

vintage

vintage

pagina 39 da “Muri”, 1950 tecnica mista, cm. 100x100 mixed media

pagina 40 da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 25x20

pagina 41 da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 40x29,5

unicum

vintage

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pagina 43 da “Polarigrammi”, 1977 C-print, cm. 35x25

pagina 44 (particolare/detail) da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 20x20

pagina 45 da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 20x20

vintage

vintage

vintage

80


pagine 46-47 da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 20x24,5

pagina 48 (dittico/diptych) da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 23,5x18

pagina 49 (dittico/diptych) da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 23,5x18

vintage

vintage

vintage

pagina 51 da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 19,5x19,5

pagina 52 da “Polarigrammi”, 1977 C-print, cm. 25x20

pagina 53 da “Polarigrammi”, 1977 C-print, cm. 24x20

vintage

vintage

vintage

pagina 54 (dittico/diptych) da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 24,5x19,5

pagina 55 (dittico/diptych) da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 24,5x19,5

pagine 56-57 da “Muri”, 1970 tecnica mista, cm. 50x70 mixed media

vintage

vintage

vintage ed unicum

81


pagina 59 da “Muri”, 1973 tecnica mista, cm. 100x100 mixed media

pagina 60 da “Muri”, 1950 tecnica mista, cm. 100x100 mixed media

pagina 61 da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 25x19,5

vintage ed unicum

unicum

vintage

pagina 62 (trittico/triptych) da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 24,5x19,5 cad.

pagina 63 da “Polarigrammi”, 1977 C-print, cm. 34,5x27

pagina 65 da “Muri”, 1950 tecnica mista, cm. 60x50 mixed media

vintage

vintage

unicum

pagine 66-67 (copertina/cover) da “Herbarium”, 1974 C-print, cm. 20x24,5

pagine 68-69 Studio di Nino Migliori, Bologna Nino Migliori’s studio

pagina 70 “Orantes”, 2011-2012 bronzetto, cm. 12x16x12 circa small bronze

vintage

Foto: Gianni Schicchi, Bologna

unicum

82


pagina 71 “Orantes”, 2011-2012 bronzetto, cm. 13x15x12 circa small bronze

pagine 72-73 (installazione/installation) “Orantes”, 2011-2012 bronzetti, misura ambiente small bronzes, room dimension

pagina 74 Nino Migliori

unicum

unicum

Foto: Marco Pasini, Monterosso (SP)

pagina 76 Nino Migliori

Foto: Marco Pasini, Monterosso (SP)

83


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