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La casa della comunità: continua il confronto
Lettere
La casa della comunità: continua il confronto Cara Stefania, ho letto su Quaderni acp di dicembre la risposta di Federica Zanetto alla lettera di Biasini sulle case della comunità e sulla pediatria di base. Mi pare che la risposta che si rifà al documento ACP-CSB resti non chiara. Da una parte si invita a valutare se l’attuale rapporto contrattuale, nato in tempi di focalizzazione del sistema sulla figura del singolo medico professionale, sia compatibile con le funzioni e l’organizzazione descritta delle case di comunità e dall’altro si sostiene che non vi sono motivi per modificare i rapporti contrattuali che possono viceversa essere diversificati in funzione del numero dei bambini da un lato e delle necessità dell’attività ospedaliera dall’altro. E non si spiega come. La risposta alla fine pare che giustifichi lo status quo per la “paura del cambiamento e della perdita delle proprie prerogative” senza spiegare di che prerogative del pediatra si tratti. Comunque, come del resto sta succedendo con la pandemia, la realtà procede molto più velocemente dei nostri pensieri, soprattutto se sono vincolati dallo status quo. I fatti sono che i pediatri sono pochi e quelli che ci sono tendono ad abbandonare il reparto ospedaliero (notti, weekend, cause giudiziarie, stipendio più basso) per andare a coprire le zone carenti territoriali della pediatria di base (ambulatorio quotidiano aperto circa 4-5 ore, sabato e domenica liberi, meno rischi di denunce, stipendio al netto più alto). Conseguenza: le pediatrie ospedaliere sono al collasso, i bambini sono inviati in cura sempre di più agli specialisti degli adulti, e la pediatria ospedaliera è diventata per lo più oggi una pediatria di emergenza e di pronto soccorso sia come clinica che come visione. Questa situazione costringerà a breve a decisioni obbligate per la sopravvivenza della pediatria ospedaliera, ma ancor prima secondo me ci deve invitare a una riflessione generazionale. Nel libro Pediatri e Bambini, a p. 117, nella sua intervista Pasquale Alcaro diceva che “negli anni ‘60 un assistente ospedaliero percepiva 30.000 lire di stipendio, un aiuto poco di più e il primario ancora un poco di più, a questo bisognava aggiungere le compartecipazioni. Per ogni ricovero, cioè per ogni ingresso di malato lo staff medico del reparto percepiva 14.000 lire così suddivise 4-2-1, primario 4 parti, aiuti nel loro insieme 2, assistenti nel loro insieme 1. Con tale sistema l’assistente percepiva circa 100.000 al mese, il primario 11 volte di più. In confronto un assistente universitario percepiva sempre 30.000 lire al mese ma niente compartecipazioni. Nello stesso periodo il medico di famiglia o della mutua che dir si voglia percepiva circa 1 milione al mese, 10 volte più di un ospedaliero e 30 volte più di un universitario. Risultato: le file più lunghe, cioè di aspiranti al posto di attesa, erano all’università, file ma più corte per l’ospedale, nessuna fila per il medico di famiglia”. Forse questa rivoluzione valoriale accaduta negli ultimi trent’anni nella testa delle persone è la stessa che spiega perché, a differenza di ieri, oggi i giovani pediatri siano attratti più dalle confederazioni sindacali che dalle associazioni culturali e perché oggi le associazioni culturali anziché posizioni di denuncia e di conflitto col sistema, come fu quando nacquero, cercano posizioni di mediazione possibile e di coesistenza. In ogni caso questa rivoluzione generazionale sta procedendo velocemente e rischia di mettere già a rischio a mio avviso la sopravvivenza e della pediatria ospedaliera e dell’Associazione Culturale Pediatri. Francesco Ciotti, neuropsichiatra infantile, Cesena Caro Francesco, grazie per la tua lettera che apre a un confronto e a un’analisi complessi. La pandemia, come tu scrivi, va veloce e ci obbliga a riflessioni e cambiamenti non sempre attuabili con gli stessi suoi tempi. In ACP il dibattito e le riflessioni su questi temi fortunatamente e volutamente continuano, specialmente dopo il documento “Senza confini” che ha contribuito a creare maggiori alleanze in altri ambiti (tra i quali Gruppo Alleanza per l’Infanzia, SINPIA, Gruppo Ostetriche…); e, grazie anche alla presenza di Paolo Siani in Parlamento, le nostre riflessioni e proposte sono entrate anche nelle stanze della politica. L’ACP è anche parte dello Steering Committe del Ministero della Salute nel progetto “Rilevazione dei percorsi preventivi e assistenziali offerti alla donna, alla coppia e ai genitori per promuovere i primi 1000 giorni di vita, anche al fine di individuare le buone pratiche, i modelli organizzativi e gli interventi adeguati”, coordinato dal Centro Nazionale per la Prevenzione delle Malattie e la Promozione della Salute (ISS). L’ACP ha anche siglato un accordo di collaborazione scientifica con l’ISS per la creazione di un percorso formativo nell’ambito del progetto “Le cure che nutrono (Nurturing Care): la promozione della genitorialità responsiva e dello sviluppo precoce dei bambini e delle bambine fin dal percorso nascita” (formazione pre-service e in-service per la professione ostetrica e pediatrica e personale attivo nelle comunità). L’ACP ha anche da sempre (recentemente rinforzata) una collaborazione attiva con “Slow Medicine” a sostegno del progetto “Cure, sobrie, rispettose e giuste”. Un gruppo dedicato ACP sta cercando di lavorare con le scuole di specialità in particolare sulla formazione (ancora molto carente) riguardante le cure pediatriche primarie. Ma, al di là della pandemia che ha sconvolto principalmente le vite dei bambini e delle famiglie di cui ci prendiamo cura, e anche le nostre come operatori sanitari di qualsiasi contesto (territoriale, ospedaliero e di comunità), già da tempo una sofferenza è via via emersa in tutti i contesti sanitari per motivi molto complessi che superano la distinzione tra ospedale e territorio. In quarant’anni sono cambiate tante cose e ti ringrazio per il ricordo di come è nata l’ACP, in risposta a una necessità di cambiare prospettiva e dare luce anche alla pediatria delle cure primarie: una rivoluzione per quei tempi, che ha profondamente cambiato molti giovani pediatri di allora. Ora siamo di fronte a un cambio generazionale ma anche a un profondo cambio di contesto. La stessa separazione tra ospedale, territorio, sanità pubblica non può più rispondere ai bisogni sempre più complessi di salute che richiedono percorsi fluidi e di continuità tra territorio e ospedale e tra ospedale e territorio. Ci sono tante frammentazioni che ostacolano non solo in questo ambito: basta pensare anche alla salute mentale o alle aree complesse. In questo momento, che potrebbe preludere a grandi cambiamenti, l’ACP ha il dovere di dare il suo contributo culturale e costruttivo a livello politico, cercando di promuovere sempre i diritti i tutti i bambini con equità e senza discriminazioni. Come tu ben sai, questo passa necessariamente attraverso la formazione di qualità. Questo nostro lavoro, che è anche politico, prosegue nell’attenzione ai cambiamenti e cercando di fornire sempre un contributo indipendente. Ti saluto caramente
Stefania Manetti, presidente ACP