Pagine El. di Qacp - 2025; 32(5)

Pagine elettroniche In questo numero:

Settembre - Ottobre 2025 / Vol. 32 n.5 Newsletter pediatrica pag. n. 1

Non chiamiamola allergia: prevalenza e fattori di rischio relativi alla sovradiagnosi di allergia alle proteine del latte vaccino, uno studio di coorte inglese Documenti pag. d.1

Rapporto UNICEF sulla nutrizione infantile 2025: come gli ambienti alimentari stanno deludendo i bambini Ambiente & Salute pag. a&s.1

Ambiente e Salute News (n. 34, luglio - agosto 2025) L’articolo del mese pag. am.1

Dolore da crisi vaso occlusive non complicate nel bambino con drepanocitosi: maggiore aderenza alle linee guida = meno ricoveri Nutrizione pag. nu.1

Nutrizione News (n.15, agosto - settembre 2025)

“Ti tengo d’occhio!”

Concorso fotografico “Noi siamo la Natura”, 2024 (particolare)

www.quaderniacp.it

ISSN 2039-1382

Pagine elettroniche di Quaderni acp

n.4

Newsletter pediatrica ACP

n.1 Non chiamiamola allergia: prevalenza e fattori di n.1 rischio relativi alla sovradiagnosi di allergia alle n.1 proteine del latte vaccino, uno studio di coorte inglese n.2 Cochrane Database of Systematic Review: revisioni n.1 nuove o aggiornate (Luglio-Agosto 2025)

Documenti d.1 n.1 n.1 n.1 d.2 n.1 n.1

Rapporto UNICEF sulla nutrizione infantile 2025: come gli ambienti alimentari stanno deludendo i bambini Commento a cura di Angela Pasinato

La colpa e la vergogna nella gestione dell’eccesso di peso in età evolutiva

Commento a cura di R. Tanas, G. Caggese, R. Marcolongo

Ambiente & Salute

a&s.1 Ambiente e salute news (n. 34, luglio - agosto 2025) .1

Settembre - Ottobre 2025 / Vol. 32

Direttore Michele Gangemi

Presidente ACP Stefania Manetti

Coordinatore Giacomo Toffol

Progetto grafico ed editing Programmazione web Gianni Piras

Comitato editoriale Laura Brusadin Claudia Mandato Maddalena Marchesi Laura Martelli Patrizia Rogari Annamaria Sapuppo Giacomo Toffol Collaboratori Gruppo PuMP ACP Gruppo Nutrizione ACP Gruppi di lettura della Newsletter Pediatrica Redazione di Quaderni acp

Internet La rivista aderisce agli obiettivi di diffusione gratuita della letteratura medica ed è disponibile integralmente all’ indirizzo: www.acp.it/pagine-elettroni che Redazione redazione@quaderniacp.it

L’Articolo del Mese

am.1 Dolore da crisi vaso occlusive non complicate nel am.1 bambino con drepanocitosi: maggiore aderenza alle am.1 linee guida = meno ricoveri am.1 A cura di Giuseppe Pagano

Nutrizione

nu.1 Nutrizione news (n. 15, agosto - settembre 2025)

Electronic pages Quaderni ACP index (number 5, 2025)

2

ACP Paediatric Newsletter

n.1 Let’s not call it an allergy: prevalence and risk factors for over diagnosis of cow’s milk protein allergy, an English cohort study n.2 Cochrane Database of Systematic Review: new and updated revisions July - August 2025

Documents

d.1 UNICEF Child Nutrition Report 2025: How food environments are failing children Comment by Angela Pasinato d.2 Guilt and shame in managing excess weight in childhood Comment by R. Tanas, G. Caggese, R. Marcolongo

Environment & Health

a&s.1 Environment and health news

Article of the month

am.1 Pain from uncomplicated vaso-occlusive crises in children ni.1 with sickle cell disease: greater adherence to guidelines = fewer ni.1 hospitalizations ni.1 By Giuseppe Pagano

Nutrition

nu.1 Nutrition news

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Non chiamiamola allergia: prevalenza e fattori di rischio relativi alla sovradiagnosi di allergia alle proteine del latte vaccino, uno studio di coorte inglese Allen HI, Wing O, Milkova D, et al Allen HI, Wing O, Milkova D, et al. Prevalence and risk factors for milk allergy overdiagnosis in the BEEP trial cohort Allergy. 2025 Jan;80(1):148-160. doi: 10.1111/all.16203

Obiettivo di questo studio è stato caratterizzare la sovradiagnosi di allergia alle proteine del latte vaccino (APLV) e identificarne i fattori di rischio individuali in una popolazione costituita da 1.394 bambini nati in Inghilterra tra il 2014 e il 2016, con anamnesi familiare positiva per malattie atopiche inclusi nello studio BEEP (Barrier Enhancement for Eczema Protection). Nel corso dello studio BEEP 214 bambini erano stati sottoposti a valutazione formale per allergia al latte (prick test o test di scatenamento) all'età di 12 e 24 mesi per riferita reazione ad alimenti contenenti proteine del latte vaccino e/o prescrizione di formula speciale ipoallergenica.

Lo studio in oggetto, con l’analisi retrospettiva delle cartelle cliniche di assistenza primaria e dei registri, collegati ai codici individuali dei partecipanti al BEEP, relativi a utilizzo di formula speciale ipoallergenica, auto-iniettore junior di adrenalina e farmaci anti-reflusso, ha individuato e descritto i casi di sovradiagnosi. L’ analisi ha evidenziato come solo 19/214 (corrispondente all’ 1.4% del totale) hanno avuto conferma diagnostica di APLV (18 presentavano una forma IgE-mediata, 1 una forma non IgE-mediata).

L’incidenza alla sovradiagnosi di APLV era stimata pari al 16.1% per i bambini con una reazione al LV riportata dai genitori, all’11.3% con una diagnosi estratta dai registri in ambito di cure primarie e all’8.7% per aver ricevuto una prescrizione di formula ipoallergenica. I sintomi principalmente attribuiti all’ ipersensibilità alle proteine del latte vaccino nei pazienti che non hanno poi ricevuto conferma diagnostica erano principalmente di tipo gastrointestinale, (58%, 72/124 casi). Il rischio di sovradiagnosi dell’APLV è quindi frequente in età pediatrica. I fattori di rischio includono l’ ampio utilizzo delle formule ipoallergeniche da parte dei medici di cure primarie e l’utilizzo di terapia antibiotica in gravidanza.

Let's not call it an allergy: prevalence and risk factors for overdiagnosis of cow's milk protein allergy, an English cohort study The aim of this study was to characterize the overdiagnosis of cow's milk protein allergy (CMPA) and identify individual risk factors in a population of 1,394 children born in England between 2014 and 2016 with a positive family history of atopic diseases included in the Barrier Enhancement for Eczema Protection (BEEP) study. During the BEEP study, 214 children underwent formal assessment for milk allergy (skin prick or challenge testing) at 12 and 24 months of age for a reported reaction to foods containing cow's milk protein and/or prescription of special hypoallergenic formula.

The study in question, through the retrospective analysis of primary care medical records and registers, linked to the individual codes of BEEP participants, relating to the use of a special hypoallergenic formula, junior adrenaline auto-injector, and anti-reflux medications, identified and described cases of overdiagnosis. The analysis

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showed that only 19/214 (corresponding to 1.4% of the total) had a confirmed diagnosis of CMA (18 had an IgE-mediated form, 1 a non-IgE-mediated form). The incidence of overdiagnosis of CMA was estimated at 16.1% for children with a parent-reported reaction to LV, 11.3% for a diagnosis extracted from primary care records, and 8.7% for those prescribed hypoallergenic formula. The symptoms primarily attributed to cow's milk protein hypersensitivity in patients who subsequently did not receive a confirmed diagnosis were primarily gastrointestinal (58%, 72/124 cases).

The risk of overdiagnosis of CMA is therefore common in pediatric age. Risk factors include the widespread use of hypoallergenic formula by primary care physicians and the use of antibiotic therapy during pregnancy.

Metodo

Obiettivo (con tipo studio)

Caratterizzare la sovradiagnosi di allergia alle proteine del latte vaccino (APLV) e identificare i fattori di rischio individuali mediante l’ analisi retrospettiva delle cartelle cliniche di assistenza primaria di bambini con reazione al latte segnalata dai genitori durante la partecipazione allo studio clinico Barrier Enhancement for Eczema Protection (BEEP )[1], studio clinico randomizzato su un intervento di cura preventiva della pelle in bambini con familiarità positiva per malattia atopica.

Popolazione

1.394 bambini nati in Inghilterra tra il 2014 e 2016 con storia familiare di malattia atopica sono stati arruolati nello studio BEEP; di questi 214 sono stati sottoposti a valutazione formale per allergia al latte (prick test o test di scatenamento) all'età di 12 e 24 mesi in seguito a riferita reazione ad alimenti contenenti proteine del latte vaccino e/o prescrizione di formula speciale ipoallergenica.

Esposizione

Analisi retrospettiva delle cartelle cliniche di assistenza primaria, relativamente a registrazione di reazione al latte e prescrizione di una formula ipoallergenica, dei bambini valutati per allergia al latte durante la partecipazione allo studio BEEP. Sono stati anche raccolti i dati dei registri, collegati ai codici individuali dei partecipanti al BEEP, relativi a formula speciale ipoallergenica, auto-iniettore junior di adrenalina(AAI) e farmaci anti-reflusso utilizzati nei lattanti e bambini piccoli Pagine elettroniche di Quaderni acp

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Outcome/Esiti

Esito principale: prevalenza della sovradiagnosi di IPLV, definita come segue: - Reazione al LV riportata dai caregivers: reazione a cibi contenenti LV oppure riferita prescrizione di formula speciale a basso contenuto di proteine del latte in qualsiasi momento durante il follow-up.

- Presenza in cartella clinica di sintomi ascrivibili a possibile reazione alle proteine del LV. - Prescrizione in cartella di una formula a basso contenuto di proteine del LV. I partecipanti con diagnosi confermata di APLV sono stati esclusi da tutte e 3 le definizioni suddette.

Esiti secondari: fattori di rischio associati alla sovradiagnosi, volume di latte speciale consumato, durata della prescrizione di formula ipoallergenica, età alla diagnosi, sintomi riportati che hanno indotto a formalizzare la diagnosi di IPLV.

Tempo

Arruolamento tra il 2014 ed il 2016 con un follow-up di 2 anni.

Risultati principali Nello studio BEEP, 214 partecipanti avevano presentato una reazione allergica al latte e/o una prescrizione di formula speciale ipoallergenica. Di questi solo 19/214 (corrispondente all’1.4% del totale) hanno avuto conferma diagnostica di APLV (18 presentavano una forma IgE-mediata, 1 una forma non IgE-mediata).

Le cartelle cliniche di cure primarie sono state ottenute e analizzate per 171/214 (80%) di questi. L’ incidenza della sovradiagnosi di APLV era stimata pari al 16.1% per i bambini con una reazione al LV riportata dai genitori, all’11.3% con una diagnosi estratta dai registri in ambito di cure primarie e all’ 8.7% per aver ricevuto una prescrizione di formula ipoallergenica. I sintomi attribuiti all’ipersensibilità alle proteine del latte vaccino nei bambini che non hanno poi ricevuto conferma diagnostica erano principalmente di tipo gastrointestinale (58%, 72/124 casi); i sintomi cutanei sono risultati meno comuni rispetto ai casi di APLV confermata (40% contro il 94%, p<0.001). È importante sottolineare come l’insorgenza dei sintomi, la diagnosi e la prima valutazione dietetica sono avvenute tutte prima nei casi di sovradiagnosi rispetto ai casi confermati, pur con differenza non statisticamente significativa (rispettivamente in media a 49, 163 e 261 giorni nelle sovradiagnosi e 102, 181 e 350 giorni nei casi confermati).

La formula a basso contenuto allergenico è stata prescritta per una durata mediana di 10 mesi (1–16) e 272 litri (26–448) nei casi di sovradiagnosi di APLV, contro 9 mesi (3–22) e 182 litri (28–389) nei casi di APLV confermata.

Tra i fattori di rischio individuali correlati alla sovradiagnosi sono emersi l’uso di antibiotici in gravidanza e l’ alimentazione esclusiva con formula sin dalla nascita.

Conclusioni La sovradiagnosi di APLV è comune nell’età pediatrica. I fattori di rischio sono costituiti principalmente dall’abitudine alla prescrizione da parte del medico di medicina generale di formule speciali a basso contenuto allergenico e in percentuale minore Pagine elettroniche di Quaderni acp

dalla storia di antibioticoterapia materna durante la gravidanza.

Che cosa aggiunge questo studio Lo studio porta all’ attenzione il problema della sovradiagnosi di allergia alle proteine del latte e della conseguente prescrizione impropria di formule ipoallergeniche (amminoacidiche, idrolisati estensivi o formule a base di soia) in ambito di cure primarie. Rispetto agli studi precedenti vengono messi in luce i potenziali fattori di rischio correlati a questa pratica.

Altri studi sull’argomento Revisioni Cochrane [2,3] e le linee guida internazionali raccomandano prudenza nell’uso di formule speciali e raccomandano l’uso di quest’ultime solo dopo appropriata conferma diagnostica. La revisione di Flom et al. [4] riguardante l’ epidemiologia dell’IPLV, sottolinea come la prevalenza di IPLV riportata dai lavori disponibili possa variare sensibilmente in base al metodo diagnostico utilizzato. Il gold standard per la diagnosi di IPLV è ritenuto essere il test di provocazione orale, che tuttavia non è praticabile in larga scala; quindi, la ricerca di IgE specifiche, e i prick test insieme alla diagnosi clinica sono i parametri in uso più comuni anche in ambito scientifico. La prevalenza della malattia può dunque variare anche in base alla metodica diagnostica utilizzata: per il dosaggio di IgE specifiche la forbice è tra il 2% e il 9% secondo la revisione di Rona RJ et al. [5], mentre è pari al 4.7% (CI 4.2% - 5.1%) secondo la revisione di Nwaro BI et al. [6]. Prendendo in considerazione il prick test la forbice è tra lo 0.2% e il 2.5% (5, 1). La diagnosi self-reported è stimata invece al 2.3% (95% CI 2.1 – 2.5), mentre la diagnosi coadiuvata dal test di provocazione orale è invece pari all’1.6% (95% CI 1.2 – 1.9) [7].

La letteratura inoltre suggerisce una crescente incidenza di sovradiagnosi di IPLV in vari paesi (Norvegia, USA, UK, Australia). Studi precedenti mostrano un utilizzo sproporzionato di formule ipoallergeniche rispetto alla prevalenza reale di IPLV. I rischi associati all’uso di queste formule per tempi prolungati includono obesità infantile, cessazione precoce dell’allattamento al seno e stress materno. In particolare, lo studio di Anderson et al. [7] ha evidenziato come i latti formulati con contenuto ridotto di lattosio (sostituito da monosaccaridi derivati dal mais) aumentino il rischio di sviluppare obesità a 2 anni di età in qualunque quantità essi vengano somministrati, con rischio conservato almeno fino ai 4 anni.

Commento Validità interna Il lavoro è stato effettuato su una coorte ben definita all’interno di un RCT (BEEP trial), con l’obiettivo di valutare l’entità del rischio di sovradiagnosi di IPLV e quali potessero essere i fattori di rischio ad essa associati. I limiti di questo studio, come sottolineato anche dagli stessi Autori, risiedono principalmente sull’avere considerato una popolazione già selezionata per familiarità atopica, laddove la ricerca di cure sanitarie potrebbe essere maggiore se confrontata con la popolazione generale. Un altro limite è che il processo di conferma identificativa di IPLV, a causa della valutazione retrospettiva e dei test utilizzati, potrebbe non aver rilevato tutti i casi possibili, in particolare quelli non mediati da IgE (vedi sindrome da enterocolite indotta da proteine del

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latte vaccino).

Esiti: clinicamente rilevanti e ben definiti.

Trasferibilità Popolazione studiata: la popolazione selezionata è simile a quella italiana con le stesse caratteristiche; tuttavia, il setting di applicazione dello studio differisce in maniera sostanziale rispetto al nostro contesto, non essendo presente in Inghilterra la Pediatria di base, questo potenzialmente potrebbe determinare un differente approccio.

Tipo di intervento: il sistema sanitario italiano ha istituito dal 2001 un registro nazionale dei prodotti erogabili a carico del SSN (formule per lattanti e alimenti a fini medici speciali), tuttavia consente un accesso libero a formule speciali, spesso prescrivibili direttamente dai pediatri di libera scelta e di cui non conosciamo i dati di consumo. Tenuto conto del costo economico e delle possibili implicazioni importanti sul futuro rischio di sviluppare sovrappeso ed obesità, essendo spesso presente in queste formule sciroppo di glucosio come fonte alternativa al lattosio, è auspicabile un utilizzo limitato alle specifiche indicazioni.

Conflitto d’interessi: RJB dichiara il contributo economico ricevuto come testimone esperto nei casi di anafilassi alimentare, nella reclamizzazione di latte in formula e per il lavoro editoriale di Cochrane, Wiley e della British Society for Allergy and Clinical Immunology. HCW ha diretto il NIHR Health Technology Assessment Programme dal 2015 al 2020 che ha finanziato lo studio BEEP, ma ha avuto alcun ruolo nella decisione di finanziare lo studio.

Tutti gli altri Autori dichiarano di non avere conflitti di interesse.

1. Chalmers JR, Haines RH, Bradshaw LE, et al; BEEP study team. Daily emollient during infancy for prevention of eczema: the BEEP randomised controlled trial. Lancet. 2020 Mar 21;395(10228):962-972.

2. Osborn DA, Sinn JKH, Jones LJ. Infant formulas containing hydrolysed protein for prevention of allergic disease. Cochrane Database of Systematic Reviews 2018, Issue 10. Art. No.: CD003664 3. Gordon M, Biagioli E, Sorrenti M, et al. Dietary modifications for infantile colic. Cochrane Database of Systematic Reviews 2018, Issue 10.

Art. No.: CD011029.

4. Flom JD, Sicherer SH. Epidemiology of Cow's Milk Allergy. Nutrients. 2019 May 10;11(5):1051.

5. Rona RJ, Keil T, Summers C, et al. The prevalence of food allergy: a meta-analysis. J Allergy Clin Immunol. 2007 Sep;120(3):638-46.

6. Nwaru BI, Hickstein L, Panesar SS, et al; EAACI Food Allergy and Anaphylaxis Guidelines Group. The epidemiology of food allergy in Europe: a systematic review and meta-analysis. Allergy. 2014 Jan;69(1):6275.

7. Anderson CE, Whaley SE, Goran MI. Lactose-reduced infant formula with corn syrup solids and obesity risk among participants in the Special Supplemental Nutrition Program for Women, Infants, and Children (WIC). Am J Clin Nutr. 2022 Oct 6;116(4):1002-1009.

Scheda redatta dal gruppo di lettura di Monza e Brianza: Elena Arosio, Claudia Brusadelli, Riccardo Cazzaniga, Lucia Di Maio, Ines L’Erario, Ambrogina Pirola, Giulia Ramponi, Ferdinando Ragazzon, Patrizia Rogari, Federica Zanetto.

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Cochrane Database of Systematic Reviews (CDSR) (Luglio – Agosto 2025) Il CDSR è il database della Cochrane Library che contiene le revisioni sistematiche (RS) originali prodotte dalla Cochrane Collaboration. L’accesso a questa banca dati è a pagamento per il full text, gratuito per gli abstracts (con motore di ricerca). L’elenco completo delle nuove RS e di quelle aggiornate è disponibile su internet. Di seguito è riportato l’elenco delle nuove revisioni di area pediatrica di Luglio – Agosto 2025. La selezione è stata realizzata dalla redazione della newsletter pediatrica. Cliccando sul titolo si viene indirizzati all’abstract completo disponibile in MEDLINE, la banca dati governativa americana, o presso la Cochrane Library. Di alcune revisioni vi offriamo la traduzione italiana delle conclusioni degli autori.

Revisioni sistematiche nuove o aggiornate di area pediatrica Luglio – Agosto 2025 (Issue 7-8, 2025) 1. Clotting factor concentrates for preventing bleeding and bleeding‐related complications in previously untreated or minimally treated children with hemophilia A or B 2. Vitamin D supplementation in pregnant or breastfeeding women or young children for preventing asthma 3. Amplitude‐integrated electroencephalography compared with conventional video‐electroencephalography for detection of neonatal seizures 4. Low‐complexity automated nucleic acid amplification tests for extrapulmonary tuberculosis and rifampicin resistance in adults and adolescents 5. Organised trauma systems and designated trauma centres for improving outcomes in injured patients 6. Topical antibiotics for treating bacterial keratitis: a network meta‐analysis 7. Desmopressin for nocturnal enuresis in children 8. Palivizumab for preventing severe respiratory syncytial virus (RSV) infection in children 9. Continuous positive airway pressure versus methylxanthine for apnoea in preterm infants 10. Sustained versus standard inflations during neonatal resuscitation to prevent mortality and improve respiratory outcomes 11. Automated versus non‐automated weaning for reducing the duration of mechanical ventilation for critically ill adults and children 12. Midazolam for sedation of infants in the neonatal intensive care unit 13. Interventions for improving adherence to amblyopia treatments in children

Concentrati del fattore di coagulazione per la prevenzione di sanguinamento e relative complicanze in bambini con emofilia A o B non trattati o minimamente trattati Razmpoosh E, et al.

Clotting factor concentrates for preventing bleeding and bleeding‐related complications in previously untreated or minimally treated children with hemophilia A or B Cochrane Database of Systematic Reviews 2025, Issue 8.

L’ emofilia grave provoca sanguinamenti ricorrenti alle articolazioni con danni progressivi. La profilassi precoce con concentrati del fattore della coagulazione nei bambini potrebbe prevenire tali danni. Questa revisione sistematica aggiornata ha valutato benefici e rischi della profilassi con concentrati di fattore della coagulazione in bambini con emofilia A o B, mai trattati o trattati minimamente e senza danni articolari.

Sono stati cercati trial controllati randomizzati o quasi‐randomizzati fino a novembre 2024 e inclusi bambini da 0 a 6 anni (o fino a 10 anni se senza segni di artropatia o target joints).

Sono stati inclusi 3 studi, per un totale di 126 bambini con emofilia A, età media 1.6–7.9 anni e confrontata la profilassi vs trattamento “episodico” (al bisogno).

I risultati hanno evidenziato: Sanguinamenti articolari annuali: la profilassi potrebbe ridurre le emorragie articolari rispetto al trattamento episodico (bassa certezza).

Danni articolari: possibile protezione (85.7% senza danni vs 58.7%), ma differenza non statisticamente certa (bassa certezza).

Qualità di vita: nessun chiaro miglioramento (certezza molto bassa).

Sanguinamenti totali: probabile riduzione degli episodi totali (bassa certezza).

Score radiologico: nessuna differenza significativa (certezza moderata).

Numero di infusioni: maggiore nel gruppo profilassi (certezza molto bassa).

Eventi avversi: nessuna differenza evidente (sviluppo di inibitori, infezioni, ospedalizzazioni).

Gli autori concludono che la profilassi con fattori della coagulazione sembra ridurre sanguinamenti articolari e complessivi nei bambini senza danni articolari, ma le prove sono da moderate a molto basse per bias, eterogeneità e limiti di progettazione. Sono necessari studi più solidi per confermare l’effetto protettivo sulla funzione articolare e confrontare anche terapie più recenti.

Supplementazione di vitamina D in donne in gravidanza o allattamento, o bambini piccoli per la prevenzione dell’asma Patchen BK, et al.

Vitamin D supplementation in pregnant or breastfeeding women or young children for preventing asthma Cochrane Database of Systematic Reviews 2025, Issue 8

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La revisione sistematica ha analizzato 18 studi randomizzati controllati, con oltre 10.000 partecipanti in diversi Paesi, per valutare se la supplementazione di vitamina D durante la gravidanza o nei primi anni di vita possa prevenire l’asma infantile e condizioni correlate (come respiro sibilante, dermatite atopica, infezioni respiratorie, sensibilizzazione allergica e infiammazione delle vie aeree).

Le dosi variavano da 200 UI al giorno fino a somministrazioni a dosi molto elevate, per periodi da un mese a due anni.

Principali risultati: Vitamina D vs placebo in gravidanza o allattamento: un singolo studio suggerisce che la supplementazione potrebbe ridurre il rischio di asma nei bambini, ma le prove sono di bassa certezza.

Non si osservano effetti significativi su infezioni respiratorie o altre condizioni.

Vitamina D vs placebo nei bambini: le evidenze indicano scarsi o nulli benefici su respiro sibilante, dermatite atopica, infezioni respiratorie, sensibilizzazione allergica o infiammazione.

Alte vs basse dosi in gravidanza o allattamento: una dose elevata sembra ridurre in modo moderatamente certo il rischio di respiro sibilante nei bambini e, in misura meno chiara, l’asma. Non emergono differenze rilevanti per le altre condizioni studiate.

Alte vs basse dosi nei bambini: c’è una lieve riduzione delle infezioni respiratorie, ma non prove solide di benefici su asma, respiro sibilante o altri esiti. Nel complesso, le prove di un effetto protettivo della vitamina D sull’asma infantile sono limitate. L’unico dato consistente è che dosi elevate assunte in gravidanza possano ridurre il rischio di respiro sibilante nei bambini. Mancano però studi di qualità sufficiente, soprattutto nei neonati e nei primi anni di vita, per trarre conclusioni definitive sugli effetti della vitamina D nella prevenzione dell’asma e di disturbi correlati.

Antibiotici topici per il trattamento della cheratite batterica: una network metanalisi Song A, et al.

Topical antibiotics for treating bacterial keratitis: a network meta‐analysis Cochrane Database of Systematic Reviews 2025, Issue 7 L’ ulcera corneale infettiva (cheratite infettiva) è una delle principali cause di cecità nel mondo, con circa sei milioni di casi e due milioni di cecità monoculare ogni anno. La frequenza è più alta nei Paesi a basso e medio reddito, a causa di traumi agricoli, scarsa alfabetizzazione sanitaria e limitato accesso alle cure.

La cheratite batterica (BK) è la forma più comune nei Paesi ad alto reddito e, se non trattata tempestivamente, può provocare cicatrici corneali e perdita della vista. Gli antibiotici topici a largo spettro sono la terapia principale, ma non è chiaro quale sia il trattamento più efficace. È stata condotta una revisione sistematica con network meta-analisi per confrontare benefici e rischi dei vari antibiotici topici per la BK, cercando di stabilire un “ranking” di efficacia. Sono stati inclusi 23 studi randomizzati, per un totale di 2.692 pazienti, condotti in diversi Paesi. Sono stati analizzati tempi di guarigione, dimensioni delle lesioni corneali, acuità visiva e possibili effetti avversi.

Tra le terapie più efficaci nel ridurre i giorni necessari alla guarigione si sono distinti: Vancomicina + ceftazidime, MoxifloxaPagine elettroniche di Quaderni acp

cina, Cefazolina + tobramicina. Queste combinazioni/monoterapie hanno mostrato tempi di guarigione da due a sette giorni più rapidi rispetto alla ciprofloxacina, considerata il riferimento e risultata tra le meno efficaci. Altri antibiotici come lomefloxacina e ofloxacina hanno avuto tempi di guarigione simili a ciprofloxacina.

Per gli effetti collaterali non gravi (come irritazione o arrossamento), le terapie con minori rischi sono risultate vancomicina + ceftazidime, cefazolina + gentamicina e clorexidina + cefazolina.

Alcune combinazioni, come cefuroxime + gentamicina, hanno invece mostrato più effetti indesiderati.

Secondo gli autori, le evidenze, di qualità per lo più da moderata a molto bassa, indicano che la combinazione vancomicina + ceftazidime, la moxifloxacina in monoterapia e la combinazione cefazolina + tobramicina potrebbero essere le opzioni migliori per favorire la guarigione della cheratite batterica, mentre la ciprofloxacina appare meno efficace. Tuttavia, data la bassa certezza di molti risultati, sono necessari ulteriori studi di alta qualità per confermare queste indicazioni e guidare la pratica clinica.

Desmopressina per l’enuresi notturna nei bambini Hahn D, et al.

Desmopressin for nocturnal enuresis in children Cochrane Database of Systematic Reviews 2025, Issue 7 La revisione Cochrane aggiornata al 2023 valuta l’efficacia della desmopressina nel trattamento dell’enuresi notturna nei bambini tra 5 e 16 anni. L’enuresi interessa circa il 20% dei bambini di cinque anni e il 2% degli adulti, con possibili ripercussioni emotive e sociali. Sono stati analizzati 95 studi (8.473 partecipanti, di cui 5434 trattati con desmopressina), includendo solo trial randomizzati o quasi-randomizzati. La qualità complessiva delle prove è risultata per lo più bassa o molto bassa, salvo alcune eccezioni.

Risultati principali Desmopressina vs placebo: può ridurre il numero medio di notti bagnate e aumenta la probabilità di 14 notti asciutte consecutive. Gli effetti collaterali non differiscono significativamente dal placebo e sono in genere lievi (vertigini, mal di testa, disturbi gastrointestinali, rari casi di iponatriemia).

Desmopressina vs terapia con allarme: le differenze in termini di notti asciutte a fine trattamento sono minime o assenti. Tuttavia, l’allarme sembra garantire una maggiore continuità dei risultati a lungo termine.

Desmopressina vs altri farmaci (triciclici, anticolinergici): non emergono differenze chiare né in efficacia né in effetti avversi.

Terapie combinate: associare desmopressina a un allarme può ridurre leggermente le notti bagnate e aumentare i periodi asciutti rispetto alla sola desmopressina, ma le prove restano deboli.

L’aggiunta di anticolinergici mostra risultati incerti.

In conclusione la desmopressina può offrire un miglioramento temporaneo (più notti asciutte) rispetto al placebo e ha un profilo di sicurezza accettabile. Nel confronto diretto con l’allarme, l’efficacia a breve termine è simile, ma l’allarme potrebbe garantire più bambini asciutti nel follow-up. Nel complesso, i benefici della desmopressina sono supportati da evidenze di qualità limitata, quindi le decisioni terapeutiche dovrebbero considerare

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preferenze familiari, costi e possibilità di ricadute.

Palivizumab per la prevenzione dell’infezione da virus respiratorio sinciziale (RSV) nei bambini Garegnani L, et al.

Palivizumab for preventing severe respiratory syncytial virus (RSV) infection in children Cochrane Database of Systematic Reviews 2025, Issue 7 L’aggiornamento a luglio 2024 della revisione ha incluso un nuovo studio in questo aggiornamento, portando il numero totale di RCT a sei studi con 3.611 bambini. Tutti gli studi erano RCT paralleli che valutavano gli effetti di 15 mg/kg di palivizumab ogni mese per un massimo di cinque mesi, rispetto al placebo o a nessun intervento in un contesto ambulatoriale, sebbene uno studio includesse anche neonati ospedalizzati e un altro studio somministrasse palivizumab per via intranasale. La maggior parte degli studi inclusi è stata condotta su bambini ad alto rischio di grave infezione da RSV a causa di comorbilità come displasia broncopolmonare o cardiopatia congenita.

Relativamente alla somministrazione sistemica (intramuscolare) i risultati mostrano: - Ricoveri per RSV: ridotti di circa il 56% (alta certezza).

- Mortalità totale: probabilmente nessuna differenza significativa (certezza moderata).

- Eventi avversi: probabilmente simili al placebo (certezza moderata).

- Altri benefici: lieve riduzione dei ricoveri per malattie respiratorie in generale e forte riduzione delle infezioni da RSV e dei giorni con respiro sibilante (wheezing).

La somministrazione intranasale può aumentare il rischio di ricovero e di infezione da RSV (bassa certezza).

Il palivizumab intramuscolare è efficace nel prevenire i ricoveri per RSV e riduce i giorni con sintomi respiratori, senza aumentare in modo rilevante gli effetti collaterali. L’uso intranasale non è raccomandato. Restano necessari studi su bambini con altre comorbidità o in contesti socioeconomici svantaggiati per confermare l’efficacia in popolazioni più ampie.

Midazolam per la sedazione di bambini in terapia intensiva neonatale Romantsik O, et al.

Midazolam for sedation of infants in the neonatal intensive care unit Cochrane Database of Systematic Reviews 2025, Issue 7 La revisione aggiornata della Cochrane sul midazolam in terapia intensiva neonatale evidenzia che le prove disponibili sui benefici e sui rischi del farmaco sono molto incerte. Sono stati inclusi sei studi randomizzati, di cui tre nuovi, (388 neonati); le indicazioni per la sedazione con midazolam erano la ventilazione meccanica (4 studi) e la risonanza magnetica (MRI; 2 studi); la via di somministrazione era endovena in 5 studi e intranasale in uno.

Gli studi presentavano grande variabilità nelle caratteristiche dei pazienti e nei confronti effettuati (placebo, oppioidi, soluzioni

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zuccherate, fenobarbital). La qualità complessiva delle evidenze è stata giudicata molto bassa, a causa di limiti metodologici e del ridotto numero di eventi osservati. Non sono disponibili dati su esiti cruciali come sedazione efficace, analgesia o sviluppo neuroevolutivo a lungo termine. I risultati sugli eventi avversi principali (ipotensione, apnea, mortalità, giorni di ventilazione) sono incerti e con intervalli di confidenza molto ampi, senza indicazioni affidabili di beneficio o danno rispetto ai comparatori. In conclusione, non vi sono prove solide a sostegno dell’uso routinario di midazolam per la sedazione neonatale. La revisione sottolinea la necessità urgente di nuovi studi multicentrici, con metodologia rigorosa, valutazione in cieco degli esiti e follow-up a lungo termine, per garantire pratiche di sedazione sicure ed efficaci in questa popolazione fragile.

Interventi per migliorare l’aderenza ai trattamenti per ambliopia nei bambini Chen DML, et al.

Interventions for improving adherence to amblyopia treatments in children Cochrane Database of Systematic Reviews 2025, Issue 7 La revisione ha analizzato studi randomizzati e quasi‐randomizzati condotti su bambini tra 3 e 18 anni con ambliopia unilaterale o bilaterale, per valutare interventi mirati a migliorare l’aderenza al trattamento. Sono stati considerati tre tipi di interventi: comportamentali (come premi o video informativi), digitali (ad esempio videogiochi terapeutici) e diverse modalità di bendaggio (tipi o modalità di utilizzo delle bende). Sono stati esclusi i casi di ambliopia da deprivazione o con altre patologie oculari che potessero influenzare l’acuità visiva. L’esito principale valutato era l’aderenza al trattamento, misurata oggettivamente (percentuale di ore di trattamento effettive rispetto a quelle prescritte) in un periodo compreso tra una settimana e tre mesi. Altri esiti importanti includevano misure soggettive di aderenza, ore totali di trattamento, variazioni dell’acuità visiva (VA) e della stereopsi (visione tridimensionale). Sono stati inoltre raccolti dati su eventuali effetti avversi. In totale sono stati inclusi 18 studi, per un totale di 1.456 partecipanti, prevalentemente bambini tra i 4 e i 6 anni con ambliopia anisometropica, strabismica o mista.

Risultati principali: Interventi comportamentali: nove studi hanno confrontato diverse strategie (rivolte ai bambini o ai genitori) con la cura standard. I risultati sull’aumento dell’aderenza sono stati variabili e non è emerso un chiaro vantaggio. Non sono state osservate differenze significative nell’acuità visiva o nella stereopsi.

Interventi digitali: sei studi hanno confrontato trattamenti digitali con quelli tradizionali. L’aderenza è risultata uguale o peggiore nei gruppi digitali e solo uno studio ha mostrato un miglioramento dell’acuità visiva dopo tre mesi. Anche in questo caso, i dati erano di bassa qualità e spesso incompleti.

Approcci diversi al bendaggio: tre studi hanno testato vari tipi di patch o modalità di applicazione, senza trovare differenze significative in termini di aderenza, acuità visiva o stereopsi.

Per quanto riguarda gli effetti colaterali, nessuno studio ha riportato danni gravi legati agli interventi. Gli effetti lievi incluPagine elettroniche di Quaderni acp

Newsletter Pediatrica

devano fastidi cutanei dovuti alle bende, difficoltà nelle attività quotidiane, costi aggiuntivi e, occasionalmente, peggioramento temporaneo della visione o diplopia (visione doppia).

Gli autori sottolineano che molti studi avevano campioni ridotti, dati incompleti e misure di aderenza non standardizzate. Inoltre, la maggior parte dei partecipanti apparteneva a gruppi etnici omogenei, limitando la generalizzabilità dei risultati. In conclusione le prove disponibili sono di certezza molto bassa. Non è possibile trarre conclusioni affidabili sull’efficacia degli interventi comportamentali, digitali o sulle diverse modalità di bendaggio nel migliorare l’ aderenza al trattamento dell’ ambliopia nei bambini, né sul loro impatto sull’acuità visiva o sulla stereopsi.

Non sono stati rilevati danni gravi, ma alcuni effetti lievi sono stati riportati.

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Questa rubrica propone Documenti sanitari, linee guida, linee di indirizzo o di intenti di interesse pediatrico commentati a cura dell’Associazione Culturale Pediatri. Potete inviare le vostre osservazioni ai documenti scrivendo a: redazione@quaderniacp.it. Le vostre lettere verranno pubblicate sul primo numero utile.

Rapporto UNICEF sulla nutrizione infantile 2025: come gli ambienti alimentari stanno deludendo i bambini Commento a cura di Angela Pasinato Pediatra

Il rapporto evidenzia un punto di svolta: l’obesità infantile ha superato il sottopeso come problema nutrizionale più diffuso.

In particolare, descrive come gli “ambienti alimentari” - ossia tutto ciò che ruota attorno al cibo: prezzi, accessibilità, marketing, disponibilità nei negozi e nelle scuole - stiano contribuendo in modo decisivo all’ aumento del sovrappeso e dell’ obesità nei bambini e adolescenti.

Questi “ambienti alimentari” continueranno a danneggiare la salute fisica e mentale dei bambini e a generare costi enormi per le famiglie e le società, senza azioni forti e coordinate.

Milioni di bambini e adolescenti crescono in ambienti in cui bevande zuccherate, snack salati e dolci e fast food, compresi alimenti e bevande ultra-processati, sono facilmente accessibili e commercializzati in modo aggressivo.

Le diete malsane aumentano il rischio di sovrappeso, obesità e altre patologie cardio-metaboliche nei bambini e negli adolescenti, tra cui ipertensione, glicemia elevata e dislipidemia.

Questi problemi di salute possono persistere fino all’età adulta, aumentando il rischio di malattie non trasmissibili, tra cui diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e alcuni tipi di cancro. Sovrappeso e obesità sono inoltre associati a bassa autostima, ansia e depressione tra bambini e adolescenti.

Le economie di tutto il mondo stanno già lottando contro l’aumento dei costi sanitari e la riduzione della produttività della forza lavoro a causa dell’ aumento delle problematiche legate alla alimentazione malsana in particolare sovrappeso e obesità.

L’ industria alimentare e delle bevande ultra-processate esercita un’influenza sproporzionata sugli ambienti alimentari dei bambini. Determina quali alimenti e bevande vengono prodotti e come vengono commercializzati, soprattutto in contesti in cui la regolamentazione governativa è debole o assente.

Nella ricerca del profitto, l’industria sfrutta ingenti risorse finanziarie e una profonda influenza politica per opporsi a politiche volte a creare ambienti alimentari più sani ed equi. Questo squilibrio di potere rende difficile per governi, comunità e famiglie proteggere il diritto dei bambini al cibo sano e alla nutrizione sana. v

Alcuni dati salienti: 1. Nel 2025, per la prima volta, l’obesità tra i bambini e adolescenti di età 5-19 anni ha superato la condizione di “sottopeso” (9.4% vs 9.2%).

2. Il numero di (bambini e adolescenti) in sovrappeso in quella fascia d’età è più che raddoppiato dal 2000 ad oggi; ora sono ~391 milioni.

3. L’incremento più rapido è nei Paesi a medio e basso reddito, in

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cui risiedono oltre l’80% dei giovani sovrappeso: - le diete: molti bambini in età di svezzamento (6-23 mesi) non assumono frutta/verdura o alimenti di origine animale; contemporaneamente, grandi percentuali consumano alimenti e bevande non salutari, compresi quelli ultra-processati.

- Più del 50% dei bambini piccoli in molti paesi consuma cibi/ bevande dolci ogni giorno.

- 60% degli adolescenti consuma più di un prodotto zuccherato al giorno.

- Negli USA, Canada, Australia e UK gli ultra-processati forniscono metà dell’apporto calorico degli adolescenti.

Analisi delle cause: 1. Il marketing è pervasivo: la maggior parte degli adolescenti dichiara di essere esposta frequentemente ad annunci di cibo “spazzatura”, bevande zuccherate, ecc.: - 75% dei giovani (13-24 anni) ha visto pubblicità di junk food/ bevande zuccherate nell’ultima settimana.

- Marketing digitale: mirato, invasivo, poco regolamentato, invisibile ai genitori.

2. Prodotti ultra-processati, bevande zuccherate: economici, convenienti, visibili, dominanti nei punti vendita e nelle scuole.

3. Mancanza, in molti Paesi, di politiche obbligatorie forti che proteggano i bambini: restrizioni del marketing, regolamentazione del contenuto dei cibi, tasse sui cibi poco sani, promozione dei cibi nutrienti.

- L’industria ostacola normative su marketing, etichettatura, tassazione e riformulazione dei prodotti.

- Nessun paese ha ancora adottato un pacchetto completo e coerente di politiche obbligatorie.

- Progressi in alcuni paesi (Brasile, Cile, Messico; iniziative in India, Sudafrica, Spagna).

Infine, il rapporto propone otto raccomandazioni per trasformare gli ambienti alimentari dei bambini, volte a combattere l’esposizione a cibi malsani e l’aumento di sovrappeso e obesità infantile.

In sintesi: 1. Proteggere l’ allattamento al seno e la nutrizione infantile attraverso il rispetto del Codice Internazionale sulla Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno e le linee guida dell’ OMS, limitando il marketing dei prodotti per neonati e bambini piccoli.

2. Implementare misure legali e politiche che limitino la disponibilità, la promozione e l’acquisto di alimenti non salutari, favorendo ambienti scolastici e comunitari più sani.

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3. Favorire l’accesso a alimenti nutrienti prodotti localmente, attraverso incentivi agricoli e sussidi dedicati, migliorando anche l’accesso all’acqua potabile.

4. Proteggere le politiche pubbliche dalla pressione dell’industria degli alimenti ultra-processati, garantendo trasparenza e esclusione di interessi industriali.

5. Promuovere iniziative sociali che sensibilizzino e coinvolgano le famiglie e le comunità, per supportare ambienti alimentari più sani e sensibilizzare sui rischi di diete ricche di cibi ultra-processati.

6. Rafforzare i programmi di protezione sociale, come trasferimenti di cibo e denaro, per garantire a bambini e famiglie di accedere a diete sane e nutrienti.

7. Coinvolgere i giovani nelle politiche alimentari, ascoltando le loro esperienze e promuovendo advocacy per opzioni più salutari.

8. Potenziare il monitoraggio e la raccolta di dati sugli ambienti alimentari, le diete e il sovrappeso infantile, per valutare l’efficacia delle politiche adottate.

Le affermazioni sottolineano che i governi hanno la responsabilità principali di proteggere il diritto dei bambini al cibo e alla nutrizione, ma il cambiamento efficace richiede un impegno collettivo di tutti gli attori coinvolti (governi, società civile, organizzazioni umanitarie, organizzazioni di beneficienza, organizzazioni di ricerca, industria alimentare). È necessaria un’azione coordinata, trasparente e misurabile per creare ambienti alimentari più sani ed equi.

Cosa succede in Italia secondo i dati nazionali recenti: 1. Prevalenza di sovrappeso e obesità nei bambini 8-9 anni (OKkio alla Salute 2023) (fonte EpiCentro) - Circa il 19% dei bambini 8-9 anni sono in sovrappeso.

- Circa il 9.8% sono obesi (inclusi 2.6% con obesità grave).

- Maschi leggermente più colpiti rispetto alle femmine.

- Disparità geografiche: Regioni del Sud mostrano prevalenze più alte.

2. Abitudini alimentari e stili di vita (fonte AIRC) - Circa 1 bambino su 10 non fa colazione; molti altri la fanno in modo insufficiente.

- Merenda: snack dolci e spuntini confezionati sono molto frequenti (almeno 3 volte a settimana) per oltre la metà dei bambini.

- Frutta/verdura: non consumate quotidianamente da una parte non trascurabile dei bambini; nel Meridione la situazione è più critica.

- Bevande zuccherate/gassate: un numero significativo di bambini le consuma ogni giorno 3. Ambiente scolastico(fonte AIRC) - Sono presenti distributori automatici nelle scuole che offrono prodotti poco salutari, anche se in qualche area sono diminuiti rispetto al passato.

- In meno della metà delle scuole esistono programmi regolari di distribuzione di frutta, latte, yogurt.

4. Altre condizioni associate - Maggiore prevalenza di eccesso ponderale nei bambini appartenenti a famiglie con svantaggio socio-economico. (EpiCentro) - Sedentarietà: attività fisica non sempre adeguata; uso di mezzi non attivi per il tragitto scuola, elevata esposizione agli schermi (AIRC).

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5. Iniziative recenti - Il Manifesto di Coldiretti per scuole più sane: propone l’eliminazione dei distributori di snack ultra-processati / bevande gassate, uso di mense con cibi locali, stagionali.

- Campagne di sensibilizzazione ed educazione alimentare scolastica (AIRC).

Conclusioni Senza una chiara regolamentazione politica sovranazionale non si potranno ottenere risultati tangibili anche nel lungo periodo.

Il decisore politico dovrebbe emanare delle norme ben precise riguardo la composizione non solo degli alimenti destinati ai primi tre anni di vita, ma anche per tutti gli altri alimenti.

Già in altri stati europei esiste un codice applicato ai prodotti confezionati che ne caratterizza la salubrità per alcuni macro e microcomponenti, il codice Nutri-Score. Anche la classificazione NOVA sui cibi ultra-processati sarebbe utile da poter vedere nella confezione.

In Italia gli interessi economici in campo sono stati talmente forti che, come utenti, non abbiamo potuto usufruire di tutta questa informazione preziosa.

Cosa può fare il pediatra?

Ci sono alcune azioni di advocacy possibili.

Per quanto riguarda l’alimentazione: - informare i genitori aiutandoli a scegliere i cibi meno problematici; - chiedere che i distributori di liquidi zuccherati e di merendine scompaiano dalle scuole; - farsi portavoce, presso le autorità locali, delle buone prassi alimentari, anche in collaborazione con le associazioni di categoria degli agricoltori; Per quanto riguarda lo stile di vita: - sensibilizzare le amministrazioni locali nei confronti della povertà come punto di partenza delle problematiche globali legate alla alimentazione; - informare i genitori sulla buona prassi del movimento fisico giornaliero; - parlare ai genitori del danno della sedentarietà legato anche all’uso dei device.

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Questa rubrica propone Documenti sanitari, linee guida, linee di indirizzo o di intenti di interesse pediatrico commentati a cura dell’Associazione Culturale Pediatri. Potete inviare le vostre osservazioni ai documenti scrivendo a: redazione@quaderniacp.it. Le vostre lettere verranno pubblicate sul primo numero utile.

La colpa e la vergogna nella gestione dell’eccesso di peso in età evolutiva Commento a cura di: Rita Tanas1, Guido Caggese2, Renzo Marcolongo3 1. Pediatra endocrinologa libero professionista, Ferrara 2. Medico responsabile della Formazione Aziendale, Ferrara 3. Medico immunologo clinico, esperto in Educazione Terapeutica del Paziente, Padova.

Commento a: “Analysis of Blame, Guilt, and Shame Related to Body and Body Weight and Their Relationship with the Context of Psychological Functioning Among the Pediatric Population with Overweight and Obesity: A Systematic Review”.

Introduzione Circa 20 anni fa, mentre cercavamo di capire come migliorare e insegnare a dei colleghi più giovani un’esperienza ambulatoriale incentrata sull’Educazione Terapeutica con bambini e adolescenti con problemi di obesità, e i loro genitori [1], dopo aver letto tutto ciò che veniva pubblicato sulle cose da fare (moltissime) e sui risultati ottenuti (pochissimi) negli studi clinici pubblicati, di fronte alla pressante richiesta d’aiuto delle famiglie che incontravamo, abbiamo capito che era importante occuparsi anche di senso di colpa e vergogna.

Avevamo intuito che tali sentimenti ostacolano fortemente l’adesione alla cura e sono spesso tra le ragioni che ne determinano la rinuncia o l’abbandono, molto più dei costi, della fatica o dei risultati spesso deludenti sul calo ponderale che scoraggiano tanto i pazienti che gli stessi sanitari.

All’epoca, la letteratura sulla relazione fra colpa, vergogna e cura dell’ obesità, era pressoché inesistente, salvo le interviste registrate e i libri sulla vergogna di una studiosa di Scienze Sociali dell’Università di Houston, che spiegano quanto questo sentimento possa causare blocco e isolamento nelle persone [2].

In ambulatorio, i bambini più grandi non rispondono quasi mai alla domanda “vuoi fare qualcosa per il tuo eccesso di peso?”

Si potrebbe credere che non siano motivati o non sappiano quanto sarebbe importante per la loro salute. Con il tempo abbiamo capito che avevano paura di deludere sia il sanitario che le loro famiglie, promettendo qualcosa che avevano già cercato di realizzare da soli da tempo, senza riuscirci.

Ascoltando i racconti di mamme, padri e ragazzi si può scoprire quanto sia difficile ridurre il senso di colpa che provano per il peso corporeo loro o dei loro figli. Questo sentimento tende, inoltre, a persistere nel tempo e, dopo la prima visita, impedisce loro di tornare al successivo controllo, che noi riteniamo fondamentale per l’esito della cura. La visita di controllo permette, infatti, di raccogliere le prove di un miglioramento ed evidenziarle a genitori e figli che, aspettandosi di più, sono delusi, pensano che non sia cambiato nulla, di non aver fatto abbastanza, anche davanti ad un indiscutibile successo, come ad esempio una riduzione di 1 kg di peso con un concomitante aumento di 1 cm di statura in due mesi durante le vacanze di Natale. Oggi sappiamo che un calo del peso, ovvero del MBI z-score, di questa entità, se

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mantenuto, è un risultato ottimo, rispetto a quanto ottenuto da tutti gli studi pubblicati [3].

Il compito principale del sanitario nella gestione del peso eccessivo non consiste nel dire ai bambini/ragazzi con problemi di peso e ai loro genitori cosa fare o come farlo, contenuti che si dovrebbero, invece, sempre definire, negoziare e sperimentare solo insieme a loro, ma è piuttosto quello di evidenziare e rinforzare ogni risultato oggettivo e miglioramento raggiunto, soprattutto se non percepito dai genitori e, conseguentemente, dai loro figli. Dobbiamo, quindi, imparare a rinforzare con entusiasmo, festeggiando assieme a loro ogni pur minimo passo avanti, e a proporre e sollecitare nuove idee per mantenere e/o migliorare il cambiamento avviato (Figura) [4].

Quasi tutti i bambini e i ragazzi rivisti in ambulatorio con il “pretesto” di una valutazione degli esami prescritti, in realtà erano migliorati moltissimo, ma, se non obbligati a tale incontro, perlopiù non tornavano, molto probabilmente perché sopraffatti dal senso di colpa e dalla vergogna, non solo per il loro peso eccessivo, ma anche per non essere riusciti a ridurlo con il piano concordato.

Sappiamo che quelli che abbandonano smettono di provarci e registrano un fallimento che condizionerà negativamente l’esito di ogni altro ulteriore tentativo futuro, ed è ben noto che l’obesità è una malattia cronica, ingravescente e recidivante, con cui la maggior parte di questi ragazzi dovrà fare i conti per il resto della vita.

Negli ultimi 20 anni la letteratura scientifica ha reso fruibili a tutti i sanitari interessati tantissime conoscenze sullo stigma del peso. Inizialmente emerso dalle interviste agli adulti e poi agli adolescenti con obesità ricoverati nei “campi di dimagrimento”, lo stigma del peso è universalmente diffuso in ogni ambito e, oltre a quella fisica, peggiora la salute psicologica di queste persone, ostacolando la relazione con i curanti e l’alleanza terapeutica indispensabile alla cura. Se iniziato nell’infanzia, e reiterato più volte, lo stigma viene interiorizzato e interferisce con la formazione di un’identità personale positiva, causando tutti i ben noti problemi emotivi e cognitivi registrati in età evolutiva, fino a determinare vere e proprie patologie psico-sociali [5].

La dott.ssa Puhl ha spiegato come lo stigma, ovvero l’esperienza della derisione, crei stress, al quale adulti e adolescenti rispondono prevalentemente con meccanismi di difesa negativi, detti di “coping”, costituiti da un insieme di comportamenti (isolamento sociale, alimentazione emotiva, sedentarietà), contrari all’obiettivo di un peso più salutare [6]. Tale associazione è stata finalmente confermata dall’articolo di alcune pediatre polacche [7], che vedendo che senso di colpa e vergogna legati al corpo e/o al peso corporeo continuano a essere favoriti e tollerati in molti

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Figura. La piramide del cambiamento comportamentale: suggerimenti dei pazienti per una Cura dell’obesità che colmi il divario tra il modello medico e la loro esperienza (Adattato da Yong 2014)

aspettative riguardanti il cambiamento di peso, senso di appartenenza tra familiari e pari, linguaggio correlato al peso utilizzato nelle conversazioni in famiglia e genitorialità consapevole.

Dominio intrapsichico - Rapporto con il cibo e l’ alimentazione – abbuffate, restrizione dietetica, alimentazione emotiva e rischio di disturbi alimentari; - percezione di sé – autostima, sentimenti di inutilità e inadeguatezza, autocompassione, autoefficacia, autocontrollo percepito e autostima intrinseca; - funzionamento emotivo – disagio, ansia, depressione, strategie di regolazione delle emozioni e sentimenti di disperazione; - fattori psicologici aggiuntivi – consapevolezza, qualità della vita, disponibilità a cercare aiuto, motivazione a continuare sia a chiedere aiuto che a mantenere cambiamenti positivi nello stile di vita.

contesti sociali, tra cui scuole e strutture sanitarie ne hanno voluto valutare l’influenza sul funzionamento psicologico di bambini e ragazzi. In molte persone e sanitari, infatti, è ancora profondamente radicata la convinzione che suscitare queste emozioni negative possa motivare bambini e adolescenti con problemi di peso a curarsi più efficacemente.

Con l’intento di studiare senso di colpa e vergogna correlati al peso corporeo e la loro relazione con il funzionamento psicologico in bambini e adolescenti con sovrappeso e obesità, gli autori hanno effettuato una revisione della letteratura scientifica senza alcuna restrizione per l’ anno di pubblicazione iniziale fino al marzo 2025. I criteri di inclusione riguardavano gli studi su soggetti in età evolutiva e/o i loro caregiver, limitatamente agli articoli originali di cui era disponibile il testo completo, con l’esclusione di editoriali, lettere, risposte degli autori e revisioni.

Su di un totale 199 titoli individuati, solo 16 soddisfacevano i criteri adottati. Applicando lo strumento di valutazione del NIH/ NHLBI (National Institutes of Health / National Heart, Lung, and Blood Institute), 4 risultavano di qualità elevata, 2 di qualità moderata-alta, mentre i rimanenti 10 erano di qualità discreta.

Nello specifico, 8 articoli hanno utilizzato un approccio di tipo quantitativo, 6 di tipo qualitativo e 2 di tipo misto. Lo studio più vecchio risaliva al 2005; 8 studi provenivano dagli Stati Uniti, 2 dalla Svezia, 2 dal Portogallo e 1 rispettivamente da Canada, Italia [8], Norvegia e Cina. La maggior parte degli studi si è concentrata sugli adolescenti, solo due includevano bambini di età compresa tra 8 e 9 anni, un solo studio ha esplorato le esperienze infantili degli adulti e uno ha presentato la prospettiva dei sanitari. La quasi totalità degli studi ha affrontato solo il concetto di vergogna correlata al corpo o al peso; gli individui di sesso femminile erano più rappresentati in 12 studi, 10 studi si riferivano a persone arruolate in un intervento terapeutico, mentre solo 4 includevano la diade genitore-figlio.

L’analisi degli articoli selezionati ha rivelato associazioni tra senso di colpa e vergogna correlati al peso corporeo e vari aspetti del funzionamento psicologico in età evolutiva, in particolare nel: Dominio interpersonale - Stigma sociale, bullismo, prese in giro, connessione sociale,

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Sulla base dei risultati riportati, si evince che infanzia e adolescenza sono periodi critici in cui il senso di appartenenza alla famiglia e al gruppo dei pari gioca un ruolo fondamentale.

L’importanza delle relazioni sociali per uno sviluppo sano in questi anni è stata ampiamente confermata [9]. Inoltre, questa fase della vita è caratterizzata da una maggiore suscettibilità al confronto sociale e sensibilità ai giudizi esterni e al feedback ambientale. Di conseguenza, l’interazione tra i fattori interni e le influenze esterne (interazioni con i genitori, i coetanei e i sanitari) possono avere un impatto significativo sul trattamento.

Pertanto, quando si lavora con bambini e adolescenti con obesità, è essenziale considerare alcune peculiarità: 1. il trattamento dovrebbe adottare un approccio basato sul nucleo familiare piuttosto che concentrarsi esclusivamente sul bambino o sul genitore, in accordo con la ricerca e tutte le linee guida [3,10]. Attribuire l’onere del cambiamento esclusivamente al bambino, mentre l’ambiente familiare rimane invariato (ad esempio, i membri della famiglia continuano ad acquistare e consumare alimenti che il bambino dovrebbe limitare, o ad avere comportamenti incoerenti col programma terapeutico), spesso rafforza sentimenti di vergogna, biasimo e colpa, nonché un senso di inferiorità.

Al contrario, il coinvolgimento familiare nel processo di trattamento, oltre a migliorare la salute dell’intera famiglia, favorisce: - le capacità comunicative e l’adozione di strategie genitoriali che sostengano una motivazione positiva e intrinseca al cambiamento, anziché basarsi su paura, colpa, vergogna o altre emozioni negative; - la consapevolezza dei genitori di come i loro comportamenti e la loro comunicazione influenzino il comportamento del figlio, in particolare attraverso il ruolo di modello all’interno della relazione familiare; - il riconoscimento della famiglia come sistema interconnesso, in cui il funzionamento dell’intero nucleo familiare, inclusi genitori, fratelli e persino membri della famiglia allargata (nonni, zii, amici d’infanzia), può influenzare la capacità del bambino di impegnarsi in un trattamento.

2. Un trattamento efficace dell’obesità dovrebbe basarsi su un approccio collaborativo che coinvolga anche il team interdisciplinare. Questo approccio consente una valutazione completa del benessere bio-psico-sociale, facilitando interventi personalizzati che rispondano ai bisogni di famiglie e operatori. Oltre

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alla consapevolezza e alle competenze dei genitori, anche la capacità comunicativa e motivazionale di tutti i membri del team interdisciplinare, infatti, è un fattore determinante per il successo del trattamento. Questa include un’adeguata formazione al contrasto allo stigma ponderale professionale [11], l’abitudine ad usare il linguaggio “Person First” e adottare strategie di Educazione Terapeutica [12,13], che promuovano l’autonomia, l’autoefficacia e la crescita personale [14], e il ricorso al Colloquio di Motivazione sempre più enfatizzato come tecnica chiave per facilitare il cambiamento [3,10]. La vergogna e i sensi di colpa legati al corpo e al peso sono spesso sostenuti sia dai genitori che dai sanitari, per pregiudizi espliciti e impliciti sul peso. Questi pregiudizi, a loro volta, hanno un impatto negativo sul coinvolgimento sia del bambino e della famiglia, che del sanitario, nel trattamento, portando a minore aderenza, maggiore sfiducia e riduzione della percezione della qualità dell’assistenza tra le persone di peso maggiore.

3. La valutazione dello stato mentale del bambino/adolescente e l’offerta di supporto psicologico o psichiatrico dovrebbero essere componenti fondamentali degli interventi. Ciò è particolarmente importante perché vergogna, senso di colpa, autoaccusa e non accettazione della propria immagine corporea sono associati a una compromissione dell’autostima e dell’ autoefficacia e agiscono come veri “ladri di risorse”, favorendo lo sviluppo e la progressione di disturbi mentali (sintomi depressivi, disturbi alimentari e altri comportamenti alimentari non salutari), nonché una peggiore qualità della vita e l’uso di strategie di regolazione emotiva disadattive. Queste conseguenze negative possono contribuire alla persistenza e peggioramento dell’obesità e allo sviluppo delle sue comorbilità fisiche e mentali, mentre, invece, alleviare i sintomi dei disturbi mentali faciliterebbe la collaborazione alla cura [7].

In questa prospettiva occorre considerare anche il benessere psicologico di tutti i membri della famiglia e dei sanitari, anziché concentrarsi solo sul bambino.

Conclusioni e suggerimenti Gli sforzi terapeutici dovrebbero dare priorità a cambiamenti comportamentali sostenibili e a miglioramenti generali della salute, piuttosto che concentrarsi esclusivamente sul peso e sul suo calo, come principale indicatore di successo. Le aspettative irrealistiche di una rapida perdita di peso possono aumentare significativamente il rischio di comportamenti non salutari. Un’eccessiva pressione per raggiungere una sostanziale perdita di peso può instillare la paura del fallimento, esacerbando sentimenti di vergogna, auto-colpevolizzazione e impotenza, scoraggiando in definitiva l’impegno nel trattamento.

Ciò può favorire percezioni fallimentari di sé e sentimenti d’impotenza, come: “È colpa mia, ma non so come cambiare e temo di non esserne capace, perché non riesco a controllarmi. Sono incapace!”. Tali convinzioni contribuiscono a comportamenti di evitamento, riluttanza a cercare aiuto e abbandono.

Una comunicazione efficace nel trattamento dell’ obesità è essenziale: “L’ aumento di peso provoca sentimenti di imbarazzo e vergogna. Non si vuole essere valutati, è comune non presentarsi agli appuntamenti prenotati”. La vergogna e la paura del giudizio portano gli adolescenti a evitare gli appuntamenti con espressioni del tipo: “Mi sono vergognato... avevo detto che avrei perso peso e, invece, ne ho preso altro... mi sono sentito imbarazzato...

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e spaventato. Era estate ed avevo messo su... circa cinque chili... così ho disdetto l’appuntamento... Non volevo più venire... non l’ho nemmeno detto a mia madre...”.

Tutto ciò sottolinea l’importanza di promuovere un dialogo aperto e non giudicante, ribadendo che gli incontri non sono valutazioni di successo o fallimento, ma opportunità per adattare e perfezionare le strategie. Riconoscere che il progresso non è lineare e procede per tentativi ed errori può aiutare a ridurre la tendenza all’auto svalutazione e sostenere un coinvolgimento duraturo.

Gli interventi per affrontare l’ obesità pediatrica non solo non devono instillare sentimenti di colpa, biasimo e vergogna, ma dovrebbero affrontare e ridurre attivamente quelli già presenti per promuovere il benessere psicologico e il successo a lungo termine.

I risultati che emergono dall’analisi della letteratura evidenziano la necessità che operatori sanitari, educatori e caregiver ricevano una formazione sulla riduzione dello stigma, che i protocolli clinici includano uno screening psicologico per il disagio correlato a vergogna e colpa, e che scuole e famiglie favoriscano l’accettazione del proprio corpo e delle diversità.

Comprendere le dinamiche di questa associazione permetterà di capire che la riduzione del senso di colpa, della vergogna e del senso di colpa legati al corpo e/o al peso è essenziale per sviluppare programmi di cura efficaci che migliorino il benessere e l’aderenza alla cura.

Ulteriori ricerche sono necessarie per esplorare le dinamiche delle interazioni bambino-genitore-sanitario, il ruolo delle competenze e degli atteggiamenti dei genitori che supportano il bambino durante il trattamento, le conseguenze a lungo termine del senso di colpa, della vergogna legati al corpo e al peso. È fondamentale conoscere la relazione tra le capacità dei sanitari a impegnarsi per ridurre, piuttosto che sostenere, vergogna o biasimo legati al corpo e al peso, le loro capacità comunicative e il loro benessere mentale (burnout professionale, capacità di regolazione emotiva e tratti della personalità), anche per contrastare l’influenza dei social media, oggi tanto abusati, sullo sviluppo e il rafforzamento di queste emozioni negative.

1. Tanas R, Marcolongo R, Pedretti S, Gilli G. A family-based education program for obesity: a three-year study. BMC Pediatr. 2007;7:33.

2. Brown B. Credevo fosse colpa ma (ma non era vero). Come sconfiggere la cultura della vergogna e riprendersi la propria vita. Editore Ultra, 2014 3. Hampl SE, Hassink SG, Skinner AC, et al. Clinical practice guideline for the evaluation and treatment of children and adolescents with obesity. Pediatrics. 2023;151:e2022060640.

4. Ells LJ, Rees K, Brown T, et al. Interventions for treating children and adolescents with overweight and obesity: an overview of Cochrane reviews. Int J Obes (Lond). 2018;42:1823-33.

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6. Young S. Healthy behavior change in practical settings. Perm J. 2014 Fall;18:89-92.

7. Czepczor-Bernat K, Mikulska M, et al. Analysis of Blame, Guilt, and Shame Related to Body and Body Weight and Their Relationship with the Context of Psychological Functioning Among the Pediatric Population with Overweight and Obesity: A Systematic Review. Nutrients.

2025;17:1763.

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Documenti

8. Iannaccone M, D’Olimpio F, Cella S, et al. Self-esteem, body shame and eating disorder risk in obese and normal weight adolescents: A mediation model. Eat Behav. 2016;21:80-3.

9. Giordano PG. Relationships in Adolescence. Annual Review of Sociology 2003:29:257 - 82 10. Ball GDC, Merdad R, Birken CS, et al. Managing obesity in children: a clinical practice guideline. CMAJ. 2025 Apr 13;197(14):E372-E389.

11. Ruck J, Krauthausen M, Tiedemann E, et al. Awareness to weight stigma: the effect of a multi-approach course unit on weight-related stigmatization among medical students. Front. Educ. 10:1565119.

12. Tanas R, Baggiani F, Caggese G, et al. Curare l’obesità con la Nuova Narrazione. Ora “insieme” si può! Un’ analisi basata sullo studio “Perceptions, attitudes, and behaviors among adolescents living with obesity, caregivers, and healthcare professionals in Italy: the ACTION Teens study”. Pagine Elettroniche di Quaderni ACP 2024; 31(4):d.3 Pag. 1-5 Tanas R. Perle e Delfini: la Cura. La gestione familiare dell’eccesso ponderale in Pediatria. Editore Amazon 2023.

13. WHO Regional Office for Europe. Therapeutic patient education: an introductory guide. Copenaghen; 2023. Licenza: CC BY-NC-SA 3.0 IGO.

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2025; 32(5):d.2 pag. 4 di 4

Ambiente e Salute

Ambiente e Salute News

n.34 luglio - agosto 2025

A cura di Giacomo Toffol e Vincenza Briscioli Gruppo ACP Pediatri per Un Mondo Possibile

Climate TRACE è una coalizione mondiale senza scopo di lucro, lanciata nel 2020, raccoglie 100 università, ONG e aziende tecnologiche, tra i suoi promotori vi è Al Gore, che ha realizzato il primo censimento globale delle emissioni di gas serra basato su osservazioni satellitari. La piattaforma interattiva, aggiornata quasi in tempo reale, mappa oltre 350 milioni di fonti emissive in tutti i settori produttivi e rende visibili le scie di particolato fine (PM2.5) provenienti da impianti industriali e fonti fossili. Secondo i dati, oltre 1.6 miliardi di persone in 2.500 città sono esposte a livelli pericolosi di inquinamento atmosferico, che causa circa 9 milioni di morti premature ogni anno. Oltre a essere uno strumento di analisi ambientale, Climate TRACE rappresenta una risorsa preziosa per la pediatria ambientale, consentendo di collegare le fonti di inquinamento ai luoghi di vita dei bambini e orientare strategie di prevenzione, sorveglianza e comunicazione del rischio. In un contesto di crescente crisi climatica e disuguaglianze ambientali, questa mappa globale diventa una bussola scientifica per azioni sanitarie e sociali più consapevoli, a partire dai più piccoli. In questo numero, sono segnalati articoli che approfondiscono temi quali la comunicazione del rischio, la mobilità sostenibile e gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute infantile. In questa rivista continuiamo a riassumere sinteticamente i principali articoli pubblicati nelle riviste monitorate, tutti gli articoli e gli editoriali ritenuti degni di attenzione vengono elencati divisi per argomento, con un sintetico commento. Questo numero si basa sul controllo sistematico delle pubblicazioni di luglio ed agosto 2025.

Climate TRACE is a global non-profit coalition launched in 2020, bringing together 100 universities, NGOs, and technology companies, with Al Gore among its promoters. It has conducted the first global census of greenhouse gas emissions based on satellite observations.

The interactive platform, updated almost in real time, maps over 350 million emission sources across all production sectors and makes visible the trails of fine particulate matter (PM2.5) from industrial plants and fossil fuel sources. According to the data, over 1.6 billion people in 2.500 cities are exposed to dangerous levels of air pollution, which causes approximately 9 million premature deaths each year. In addition to being an environmental analysis tool, Climate TRACE is a valuable resource for environmental paediatrics, allowing pollution sources to be linked to children's living environments and guiding prevention, surveillance, and risk communication strategies. In a context of growing climate crisis and environmental inequalities, this global map becomes a scientific compass for more informed health and social actions, starting with the youngest. This issue features articles that explore topics such as risk communication, sustainable mobility, and the effects of air pollution on children's health. In this magazine, we continue to summarize the main articles published in the journals monitored, listing all selected articles and editorials by topic, with brief commentary. This issue is based on the systematic monitoring of publications from July and August 2025. https://climatetrace.org/

"Ti tengo d'occhio!" - Concorso fotografico "Noi siamo la Natura", 2024

AMBIENTE E SALUTE NEWS

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n.34 luglio - agosto 2025

Ambiente e Salute

Ambiente e Salute News Indice :: Cambiamento climatico

3.

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4.

Temperatura ambientale durante la gravidanza e nascita pretermine ▶ Impatto delle ondate di calore sulle pratiche di alimentazione infantile in 36 paesi a basso e medio reddito: un'analisi trasversale

:: Inquinamento atmosferico 1.

2.

3.

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5.

Inquinamento atmosferico e rumore urbano: valutazione dell'esposizione e analisi del rischio per la salute Effetti dell'esposizione cronica a ozono e particolato fine su asma e allergie in adolescenti e giovani adulti ▶ Valutare l' impatto delle limitazioni al traffico sulla qualità dell' aria nelle scuole: uno studio di modellizzazione basato sulla scienza partecipata dai cittadini (Milano, Roma) Inquinamento atmosferico e rischio di autismo: risultati di uno studio di coorte in California (1990–2018) Traffico e salute respiratoria: uno studio prospettico sull'impatto dell'esposizione precoce

Dal disagio all' azione? Uno studio longitudinale su ansia climatica, comportamenti ecologici e strategie di coping negli adolescenti finlandesi ▶ Biomonitoraggio e benessere psicologico nelle comunità esposte a PFAS in Veneto

▶ Articoli in evidenza

:: Inquinamento da sostanze chimiche non atmosferiche 1.

Metalli pesanti e cervello in crescita: una revisione sistematica sugli effetti dell'esposizione precoce 2. Inquinamento da microplastiche: come superano le barriere del corpo e quali rischi comportano per la salute 3. Dalla barriera emato-encefalica al cervello: Evidenze e Prospettive sulla neurotossicità delle Micro e Nanoplastiche 4. Impatto degli interferenti endocrini sui corticosteroidi surrenali: una revisione sistematica degli studi epidemiologici 5. ▶ Sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) nella placenta: integrazione di dati istopatologici e tossicologici in una coorte italiana 6. Esposizione prenatale a miscele di sostanze chimiche e rischio di disturbi dello spettro autistico: risultati dallo studio MARBLES 7. Esposizione ai PFAS attraverso l' allattamento materno e implicazioni per la salute 8. Esposizione prenatale a ftalati e plastificanti: implicazioni per lo sviluppo emotivo e comportamentale dei bambini 9. Disuguaglianze ambientali e sviluppo cognitivo: l' effetto dei ritardanti di fiamma nei bambini in età prescolare 10. PFAS e salute riproduttiva: l'impatto dell'esposizione materna e paterna sugli esiti della gravidanza 11. Piombo e memoria: l'esposizione infantile danneggia la memoria nei bambini messicani

:: Campi elettromagnetici 1.

Campi elettromagnetici a radiofrequenza e sviluppo neurologico nei neonati: uno studio prospettico di coorte

:: Device digitali 1.

Connessioni digitali, disconnessioni emotive: una meta-analisi sugli effetti dell'uso degli schermi nei bambini

:: Ambienti naturali 1.

2.

3.

Tra alberi e asfalto: come i vincoli sociali modificano l' uso della natura da parte dei bambini Natura e mente: una meta-analisi sul legame tra connessione con la natura e benessere psicologico Natura e cervello in crescita: evidenze da una coorte nazionale statunitense di bambini del programma Medicaid

Riviste monitorate .. American Journal of Public Health .. American Journal of Respiratory and Critical Care medicine .. American Journal of Epidemiology .. Archives of Diseases in Childhood .. Brain & Development .. British Medical Journal .. Child: Care, Health and Development .. Environmental and Health .. Environmental Health Perspectives .. Environmental International .. Environmental Pollution .. Environmental Research .. Environmental Sciences Europe .. European Journal of Epidemiology .. International Journal of Environmental Research and Public Health .. International Journal of Epidemiology .. JAMA (Journal of American Medical Association) .. JAMA Pediatrics .. Journal of Environmental Psychology .. Journal of Epidemiology and Community Health .. Journal of Pediatrics .. NeuroToxicology .. Neurotoxicology and Teratology .. New England Journal of Medicine .. Pediatrics .. The Lancet Revisione delle riviste e testi a cura di: Vincenza Briscioli, Laura Brusadin, Sabrina Bulgarelli, Federico Marolla, Angela Pasinato, Laura Reali, Laura Rocca, Annamaria Sapuppo, Vittorio Scoppola, Rita Straquadaino, Laura Todesco, Mara Tommasi, Giacomo Toffol, Elena Uga.

:: Psicologia ambientale 1.

2.

▶ Bambini e cambiamento climatico: come la comunicazione dei genitori ne influenza la comprensione e l'importanza percepita Eco-ansia: compromissione o attivazione? Il ruolo della mindfulness (accettazione) e della regolazione emotiva

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Pediatri per Un Mondo Possibile

Gruppo di studio sulle patologie correlate all’inquinamento ambientale dell’Associazione Culturale Pediatri (ACP) mail: pump@acp.it

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Ambiente e Salute

Cosa aggiungono questi studi: indicazioni pratiche •

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La salute dei bambini è strettamente intrecciata alla qualità dell’ambiente in cui vivono, respirano, giocano e crescono. Le evidenze più recenti mostrano come le sfide ambientali - dall’inquinamento atmosferico alle microplastiche, dai cambiamenti climatici agli interferenti endocrini - non siano minacce astratte, ma fattori che incidono concretamente sullo sviluppo fisico, cognitivo ed emotivo dell’infanzia.

La comunicazione riveste un ruolo centrale in questa rete di prevenzione. Il modo in cui i genitori parlano ai figli del cambiamento climatico modella, già in età prescolare, la loro percezione del mondo, le emozioni e la capacità di reagire. Esperienze dirette nella natura e un linguaggio positivo possono ridurre ansia e senso di impotenza, favorendo fiducia e comportamenti sostenibili. Allo stesso modo, una comunicazione trasparente ed empatica dei rischi ambientali, come nel caso delle comunità esposte ai PFAS, aiuta a rafforzare la fiducia e il senso di controllo, trasformando la consapevolezza in resilienza. Formare genitori e operatori sanitari alla comunicazione del rischio e al sostegno emotivo diventa così parte integrante della prevenzione.

La connessione con la natura emerge come un vero fattore protettivo per la salute mentale e lo sviluppo armonico. Una maggiore familiarità con l’ambiente naturale si associa a più benessere psicologico, maggiore regolazione emotiva e soddisfazione di vita. Offrire ai bambini tempo e spazi per giocare, esplorare e meravigliarsi all’ aperto significa investire in un equilibrio più sano tra corpo, mente e relazioni, contrastando gli effetti di un’infanzia sempre più tecnologica e sedentaria.

Il cambiamento climatico aggiunge nuove sfide. Le ondate di calore, sempre più frequenti, non solo aumentano il rischio di parto pretermine, ma compromettono anche la nutrizione dei lattanti, riducendo la varietà e la frequenza dei pasti e favorendo carenze nutrizionali. Proteggere la salute materna e la nutrizione infantile deve diventare parte integrante delle strategie di adattamento climatico, soprattutto nelle comunità più vulnerabili.

L’ esposizione a metalli pesanti come piombo, mercurio e cadmio resta un problema irrisolto. Anche livelli considerati “bassi” possono compromettere i circuiti della memoria e influire sulle funzioni cognitive e motorie, in particolare durante gravidanza e prima infanzia, quando il cervello è più sensibile. Servono politiche di prevenzione e bonifica più rigorose, screening precoci e standard di valutazione condivisi per ridurre l’esposizione materno-infantile.

Allo stesso modo, l’inquinamento da micro e nanoplastiche (MNP) si conferma una nuova minaccia. Queste particelle riescono ad attraversare barriere biologiche come la placenta e la barriera emato-encefalica, raggiungendo organi vitali e innescando infiammazione e stress ossidativo. Possono inoltre trasportare altri contaminanti, amplificandone la tossicità. Per la pediatria è urgente promuovere ricerca, monitoraggio e strategie di prevenzione per proteggere donne in gravidanza e bambini.

L’ inquinamento atmosferico resta uno dei determinanti di salute più importanti. L’ esposizione a ozono, particolato fine e biossido di azoto, soprattutto in gravidanza e nei primi anni di vita, è collegata a un aumento del rischio di asma, riduzione della funzionalità polmonare e disturbi dello spettro autistico. Le bambine risultano più vulnerabili alle patologie respiratorie, mentre nei maschi si osservano più frequentemente allergie. Anche piccole azioni locali, come la riduzione del traffico intorno alle scuole, dimostrano benefici significativi sulla qualità dell’aria e sulla salute dei bambini.

Gli interferenti endocrini e i PFAS pongono una sfida trasversale alla salute riproduttiva e dello sviluppo. L’esposizione combinata a sostanze chimiche persistenti - tra cui ftalati, parabeni, pesticidi e ritardanti di fiamma - è associata a un aumento del rischio di basso peso alla nascita e disturbi dello spettro autistico. Queste sostanze possono alterare l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e aumentare la vulnerabilità metabolica e neuroendocrina. È necessario un approccio integrato di prevenzione e sorveglianza, soprattutto nelle popolazioni più vulnerabili.

Infine, anche le onde elettromagnetiche meritano attenzione: studi recenti suggeriscono che nei primi anni di vita, l’esposizione prolungata a fonti domestiche come Wi-Fi e dispositivi elettronici possa associarsi a lievi ritardi nello sviluppo cognitivo e motorio. Pur con risultati ancora preliminari, è prudente limitare l’uso prolungato dei dispositivi elettronici in presenza di neonati e bambini piccoli.

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Cambiamento climatico

1. Temperatura ambientale durante la gravidanza e nascita

pretermine Si tratta di uno studio di coorte israeliano volto a esaminare l' associazione tra l' esposizione materna a diverse temperature ambientali durante la gravidanza e l'età gestazionale alla nascita.

La ricerca si basa su una coorte storica di 131.599 nati singoli tra il 2005 e il 2019, residenti nel sud di Israele. Utilizzando un modello spaziotemporale e con riferimento all'indirizzo di residenza è stata definita la temperatura ambientale settimanale media di esposizione durante tutta la gravidanza, a partire dall'ultima mestruazione della donna. Per ogni singola settimana di gravidanza (SG) è stato calcolato il rischio di parto pretermine (PPT - SG < 37) in relazione all'esposizione alle diverse temperature registrate, tenendo conto di variabili confondenti quali stagionalità, livelli di PM2.5, sesso, BMI materno prima della gravidanza, gruppo etnico e fattori socio-economici. La coorte includeva oltre il 50% di donne beduine-arabe e circa la metà di donne in sovrappeso o obese, con una prevalenza di PPT pari al 7%.

I risultati mostrano che l' esposizione a temperature più elevate nell'ultimo trimestre di gravidanza si associa ad un rischio maggiore di parto pretermine, mentre non emergono correlazioni significative nel periodo compreso tra 1 e 28 settimane. In particolare, un'esposizione a 31°C (99° percentile) alla 29ª settimana, rispetto a 16°C, è associata a un hazard ratio (HR) di 1.02 (IC 95%: 1.00–1.03); la forza dell'associazione aumenta progressivamente tra la 30ª e la 37ª settimana, raggiungendo il valore più elevato alla 37ª settimana (HR = 1.04; IC 95%: 1.01–1.07). Considerando la stagionalità del concepimento, il rischio di prematurità risulta maggiore per le gravidanze iniziate in autunno, in quanto l'ultimo trimestre coincide con le temperature più elevate dei mesi estivi. I meccanismi biologici alla base di questa associazione non sono ancora del tutto chiariti e rappresentano un potenziale ambito di approfondimento per studi futuri. Lo studio si distingue per l'ampia coorte e per il lungo periodo di osservazione, supportato da modelli avanzati di esposizione termica ad alta risoluzione spaziale (1 km²) che integrano dati satellitari e meteorologici. L'utilizzo di un approccio statistico innovativo ha permesso di considerare la variabilità stagionale e le diverse fasi della gestazione, offrendo una valutazione più precisa del rischio.

Tuttavia, l' esposizione al calore è stata stimata solo in base alla residenza, lo studio include solo nati vivi, e manca di misurazioni individuali dirette dell'esposizione termica. ° Girgin S et al: Prenatal exposure to ambient temperature and preterm birth: a historical cohort. Int J Epidemiol. 2025 Jun 11;54(4):dyaf106. doi: 10.1093/ije/dyaf106. PMID: 40574485; PMCID: PMC12202757.

2. ▶ Impatto delle ondate di calore sulle pratiche di alimenta-

zione infantile in 36 paesi a basso e medio reddito: un'analisi trasversale Questo studio ha analizzato gli effetti immediati e a due settimane dell'esposizione a ondate di calore nei paesi a basso e medio reddito (LMIC), sulle pratiche quotidiane di alimentazione dei lattanti di età compresa tra 6 e 23 mesi (età media 14 mesi).

L'analisi ha rivelato che le temperature elevate interrompono le pratiche alimentari in questa fascia di età e che tale effetto può persistere fino a 2 settimane dopo l'esposizione. Lo studio ha uti-

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Ambiente e Salute

lizzato i dati delle indagini demografiche e sanitarie (DHS) condotte in 293.137 famiglie di 36 LMIC del Medio Oriente, dell'Asia meridionale e dell'Africa subsahariana dal 2000 al 2019. Sono state raccolte informazioni sulla salute materna e infantile, sulle caratteristiche sociodemografiche e sulle pratiche di alimentazione infantile (intervista riguardo gli alimenti assunti dal bambino più piccolo il giorno e la notte precedenti). I criteri utilizzati per valutare l'alimentazione infantile sono stati: la diversità dietetica minima (MDD), la frequenza minima dei pasti (MMF) e la dieta minima accettabile (MAD). I dati sulla temperatura media giornaliera per ciascun cluster vivente sono stati ottenuti da dati climatici globali (ERA5); l'esposizione alle ondate di calore è stata definita, secondo le linee guida dell'Organizzazione meteorologica mondiale (WMO), utilizzando soglie di temperatura specifiche per il luogo (92.5°, 95° e 97.5° percentile) con diversi criteri di durata (≥2 o ≥3 giorni consecutivi). Dall'analisi dei dati è emerso che le ondate di calore hanno interrotto in modo significativo le pratiche alimentari tra i bambini di età compresa tra 6 e 23 mesi, con gli effetti più forti osservati sul rischio di non raggiungere la MDD (per ondate di calore di 3 giorni alla soglia del 95° percentile). Ondate di calore più gravi hanno inoltre compromesso la probabilità di raggiungere un'adeguata frequenza dei pasti, influenzando la capacità dei bambini di ricevere una dieta minima accettabile. Questi effetti sono persistiti fino a 2 settimane dopo l'esposizione ed hanno mostrato forti impatti negativi sul consumo di alimenti ricchi di sostanze nutritive (come verdura, frutta e legumi). L'impatto maggiore è stato osservato nelle comunità rurali, nelle famiglie povere, nelle famiglie con più bambini piccoli e in quelle prive di impianti di raffreddamento (frigorifero o aria condizionata). Questo studio rimarca la necessità urgente di integrare le strategie di adattamento delle popolazioni vulnerabili alle ondate di calore per proteggere la nutrizione infantile. Lo studio presenta punti di forza quali l'ampio campione multicentrico, l'uso di indicatori OMS, l'integrazione dei dati climatici-nutrizionali ed i risultati coerenti che evidenziano un nuovo rischio per la salute infantile. I limiti sono correlati alla natura dello studio (osservazionale) con dati climatici modellizzati, soggetti a bias in quanto dati raccolti da interviste e senza prova di causalità. Mancano inoltre misure dirette di esposizione, dati fisiologici e comportamentali, oltre ad informazioni sugli adattamenti a lungo termine. ° Cheng He et al: Assessment of heatwave impacts on child feeding practices across 36 low-income and middle-income countries: a cross-sectional analysis, The Lancet Planetary Health, Volume 9, Issue 8, 2025, 101281, ISSN 2542-5196.

Inquinamento atmosferico

1. Inquinamento atmosferico e rumore urbano: valutazione

dell'esposizione e analisi del rischio per la salute Lo studio fornisce una testimonianza diretta e preziosa dell'impatto dell'inquinamento atmosferico sulla salute di una popolazione infantile estremamente fragile e spesso invisibile.

Il particolato fine (PM2.5) rappresenta uno dei principali fattori di rischio per la salute respiratoria dei bambini, e i minori che vivono in strada sono particolarmente vulnerabili poiché trascorrono gran parte del tempo all'aperto, spesso in aree urbane

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altamente inquinate e senza adeguate tutele sanitarie. Condotto a Teheran, lo studio ha avuto l'obiettivo di stimare l'esposizione personale al PM2.5 e al rumore ambientale, valutandone gli effetti sulla salute respiratoria. Sono stati coinvolti 90 bambini di strada (età media 12.1 ± 2.5 anni), reclutati in cinque distretti con differenti livelli di traffico e densità urbana: 58 maschi (64%) e 32 femmine (36%). In media, i bambini trascorrevano circa 6 ore al giorno in strada, con una permanenza media di 3 anni, e nessuno presentava diagnosi note di asma o patologie respiratorie croniche. Lo studio ha utilizzato strumenti portatili, collocati temporaneamente in punti fissi ad alto traffico - gli incroci frequentati dai bambini - per stimare l' esposizione ambientale media a PM2.5 e rumore per almeno 24 ore, con georeferenziazione dei movimenti. I livelli medi registrati sono risultati pari a circa 115 μg/m3 (range 75–165 μg/m3), oltre tre volte i limiti fissati dall' OMS (25 μg/m3), con valori più elevati nelle ore di punta e nelle aree centrali a traffico intenso. Parallelamente, l'esposizione al rumore urbano è stata valutata in 30 incroci cittadini con fonometri TES-52A, registrando livelli medi di 70 dBA e picchi fino a 80.2 dB, ben al di sopra della soglia OMS di 53 dB per l'esposizione diurna. Le misurazioni acustiche (Leq) sono state effettuate in intervalli di 10 minuti ogni 4 ore, catturando le variazioni legate ai flussi di traffico mattutini e pomeridiani.

L'analisi statistica, basata su modelli di regressione multipla, ha esaminato le relazioni tra esposizione media al PM2.5 e parametri respiratori, controllando per età, sesso, fumo passivo, durata della vita in strada e altri potenziali confondenti. I risultati mostrano una chiara correlazione tra l'esposizione combinata a PM2.5 e rumore e la presenza di sintomi respiratori, insieme a una riduzione significativa della funzionalità polmonare (FEV1 e FVC). Gli effetti erano più marcati nei bambini più piccoli e in quelli che trascorrevano la notte all'aperto. I limiti dello studio sono stati nella raccolta dei dati ambientali, nell'assenza di valutazioni cliniche dirette, e nella valutazione del rumore solo attraverso modelli di esposizione, non su misure comportamentali o psicologiche; oltre che nella scelta non casuale degli incroci, che limita la generalizzabilità dei risultati; e nella mancata inclusione di eventi episodici quali tempeste di polvere o picchi di traffico nei periodi della misurazione. Nel complesso, lo studio evidenzia come l' elevata esposizione personale a inquinanti atmosferici e rumore urbano nei bambini di strada di Teheran sia associata a una compromissione respiratoria misurabile e a un aumento della sintomatologia. Gli autori sottolineano l' urgenza di interventi mirati di tutela sanitaria e ambientale, come programmi di screening respiratorio mobile, accesso a spazi protetti e riduzione delle emissioni nei punti urbani più critici. ° Nassri Nassrabadi, M. Et al: Street children exposure to ambient fine particulate matter (PM2.5) and environmental noise: an exposure assessment and health risk analysis study.Environ Sci Eur37, 112 (2025).

2. Effetti dell' esposizione cronica a ozono e particolato fine su

asma e allergie in adolescenti e giovani adulti L'esposizione cronica a inquinanti atmosferici come ozono (O3) e particolato fine (PM2.5) è associata a un aumento di malattie respiratorie, ma gli effetti specifici in adolescenza e in età giovane adulta restano poco chiari. Lo studio indaga l'associazione tra l' esposizione a lungo termine a questi inquinanti e la diagnosi di asma e allergie, esplorando differenze per sesso ed età. Sono stati

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Ambiente e Salute

analizzati i dati del National Longitudinal Study of Adolescent to Adult Health (Add Health), che include informazioni su 6.860 figli di partecipanti monitorati in due fasi, Wave IV (quarta raccolta dati 2008) e Wave V (quinta raccolta dati 2016–2018)negli USA. L'esposizione a O3 e PM2.5 è stata stimata a livello di censimento locale, utilizzando dati annuali medi dell'EPA (2002–2017). Gli esiti principali considerati erano la diagnosi di asma o di allergie da parte di un medico. È stato utilizzato un modello di regressione a effetti fissi individuali con variabili di controllo socioeconomiche e comportamentali, per stimare l'effetto di un incremento unitario di inquinante sull'aumento del rischio di diagnosi. Entrambi gli inquinanti sono risultati associati a un aumento del rischio di allergie e asma: +1 μg/m3 di PM2.5, +0.9% di probabilità di allergie; +1 ppb di O3, +0.5% di probabilità di allergie. Nelle femmine di 10–12 anni, l'esposizione a PM2.5 e O3 è risultata associata a un aumento del rischio di asma (+1.3% per PM2.5). Nei maschi tra 13 e 25 anni, è invece cresciuto il rischio di allergie, più marcato in età giovanile adulta. Gli effetti restano significativi anche dopo aver controllato per fattori socioeconomici e familiari.

L'esposizione a lungo termine a O3 e PM2.5 è quindi associata a un rischio maggiore di asma e allergie nei giovani, con differenze legate al sesso e alla fase dello sviluppo. Le femmine sembrano più vulnerabili all'asma in età preadolescenziale, mentre nei maschi l'effetto emerge più tardi, sotto forma di allergie. La stratificazione per età e genere ha permesso di individuare risposte differenti all'esposizione, offrendo un contributo originale alla letteratura su inquinamento e salute respiratoria. Nonostante la solidità del metodo, si riconoscono alcuni limiti quali i possibili fattori confondenti variabili nel tempo (come temperatura, umidità, mobilità residenziale e perdita di partecipanti nel follow-up) che potrebbero aver influenzato le stime. Inoltre, l' esposizione agli inquinanti non è stata misurata direttamente, ma stimata tramite medie annuali a livello di area di censimento. Pertanto, i risultati vanno interpretati come associazioni forti, ma non come relazioni causali definitive. Infine gli autori sottolineano la necessità di sviluppare interventi di sanità pubblica mirati, che tengano conto delle differenze di età e di genere nella vulnerabilità agli inquinanti atmosferici (PM2.5 e O3). Tali strategie dovrebbero includere la protezione di bambine e ragazze preadolescenti, più sensibili al rischio di asma da esposizione cronica, e il monitoraggio e l'informazione dei ragazzi e dei giovani adulti, maggiormente soggetti ad allergie. È inoltre fondamentale potenziare il monitoraggio ambientale e scolastico della qualità dell'aria, promuovere campagne educative e strategie di riduzione dell'esposizione, ad esempio limitando le attività all'aperto nei giorni di elevato inquinamento. Gli autori invitano a promuovere nuovi studi longitudinali con misurazioni dirette dell'esposizione e dei meccanismi biologici alla base degli effetti osservati. ° Amialchuk A et al: The Effect of Long-Term Exposure to O3 and PM2.5 on Allergies and Asthma in Adolescents and Young Adults. International Journal of Environmental Research and Public Health. 2025; 22(8):1262.

3. ▶ Valutare l'impatto delle limitazioni al traffico sulla quali-

tà dell'aria nelle scuole: uno studio di modellizzazione basato sulla scienza partecipata dai cittadini (Milano, Roma) Lo studio conferma che anche piccoli interventi di pedonalizzazione o di limitazione dei veicoli nelle aree scolastiche possono produrre benefici misurabili sulla qualità dell' aria e, di consePagine elettroniche di Quaderni acp

guenza, sulla salute infantile, sottolineando l'importanza delle politiche del traffico nel migliorare la qualità dell'aria intorno alle scuole. L' inquinamento atmosferico, che si concentra negli spazi chiusi, è particolarmente dannoso per i bambini, che passano molte ore nelle aule scolastiche. Milano e Roma sono le più grandi città italiane (circa 10 milioni di cittadini comprendenti le aree metropolitane), ad alto inquinamento da NO2 (Milano 5° posto/EU per mortalità da NO2, Roma 160° posto). I ricercatori con un progetto di “citizen science” hanno utilizzato i dati raccolti (periodo febbraio 2023) da centraline urbane posizionate nell'ambito del progetto: "NO2, No Grazie!", guidato dalla ONG "Cittadini per l'aria" (www.cittadiniperlaria.org), uno dei principali promotori della campagna Città Pulite in Italia. Sono stati costruiti algoritmi considerando tutte le variabili possibili (popolazione, caratteristiche di copertura del suolo, lunghezza delle strade e densità del traffico per tipologia di strada, superfici di impermeabilità, altitudine e luminosità notturna, e costruito variabili in diversi scenari circolari con centro la scuola (20, 50, 100, 300, 500, 1.000 m). Poiché l'obiettivo di questo studio era valutare l'efficacia delle politiche di limitazione del traffico sulla qualità dell'aria delle scuole, proponendo soluzioni praticabili, sono stati sviluppati diversi scenari di limitazione del traffico. In totale, sono stati analizzati 486 campionatori a Milano e 407 a Roma, con livelli medi di NO2 rispettivamente di 47.1 μg/m³ e 42.6 μg/m³. Tra 659 scuole a Milano e 1.595 a Roma, tutti gli scenari di restrizione del traffico hanno portato a significative riduzioni di NO2. Lo scenario più efficace ha ridotto l'NO2 di 2.7 μg/ m³ a Milano e di 1.9 μg/m³ a Roma in media, con diminuzioni massime osservate rispettivamente di 11.1 μg/m³ e 16.1 μg/m³. Le scuole nelle aree socio-economicamente svantaggiate presentavano livelli di NO2 più bassi e sono state meno colpite dalle restrizioni. Tra i punti di forza emergono l'approccio innovativo e replicabile, che integra partecipazione civica e modellazione avanzata, la rilevanza per le politiche urbane e la capacità di sensibilizzare le comunità locali. Tuttavia, i dati derivano da un'unica campagna di monitoraggio di breve durata, che include anche periodi con traffico ridotto (notte, weekend, vacanze), portando probabilmente a una sottostima dell'impatto reale delle restrizioni durante l'orario scolastico. Manca inoltre una valutazione diretta degli effetti sanitari e aggiornamenti sui dati socioeconomici. Nonostante questi limiti, lo studio evidenzia come anche piccoli interventi di riduzione del traffico possano generare benefici misurabili sulla qualità dell'aria e sulla salute infantile. ° Boniardi L et al: Assessing the impact of traffic restriction interventions on school air quality: a citizen science-based modelling study. Environ Res. 2025 Jul 15;277:121562.

4. Inquinamento atmosferico e rischio di autismo: risultati di

uno studio di coorte in California (1990–2018) La prevalenza dei disturbi dello spettro autistico (ASD) è aumentata costantemente in California (CA) nel corso di diversi decenni, fattori ambientali come l'inquinamento atmosferico (AP) sembrano essere sempre più implicati in quest'aumento della prevalenza. Questo studio indaga le associazioni tra l'esposizione prenatale sia all' inquinamento atmosferico che alle sostanze tossiche atmosferiche correlate al traffico e il rischio di ASD nei nati nel periodo 1990-2018. Utilizzando i dati del registro delle nascite del Dipartimento di Salute Pubblica della California dal 1990 al 2018, collegati alle diagnosi di ASD del Dipartimento dei

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Ambiente e Salute

Servizi per lo Sviluppo della California (n = 13.591.003 bambini; casi di ASD = 138.460), è stata valutata l'esposizione prenatale a PM2.5, NO2, O3 e sei sostanze tossiche atmosferiche correlate al traffico (benzene, 1.3-buta-diene, cromo, piombo, nichel, zinco). Le analisi sono state stratificate per razza/etnia, stato socioeconomico e area geografica. I risultati hanno evidenziato che l'esposizione prenatale a PM2.5 (OR: 1.10; IC 95%: 1.04, 1.17) e NO2 (OR: 1.25; IC 95%: 1.16, 1.35) è stata associata a un aumento del rischio di ASD, associazione che tende a diminuire con il tempo di esposizione. Tra le sostanze tossiche presenti nell'aria, il benzene (OR: 1.55; IC 95%: 1.51, 1.59) e il nichel (OR: 1.32; IC 95%: 1.21, 1.45) sono risultate fortemente associate a sviluppo di ASD, con associazioni persistenti nel tempo. Le analisi stratificate hanno rivelato che le associazioni differivano in base a razza/etnia, stato socioeconomico e regione. Le sostanze tossiche presenti nell’aria sono costantemente associate a un aumento del rischio di disturbi dello spettro autistico (DSA), indicando una vulnerabilità che persiste nonostante la recente riduzione di alcuni inquinanti tradizionali. In sintesi, l'esposizione prenatale o nelle prime fasi di vita all'inquinamento atmosferico, in particolare agli inquinanti legati al traffico, risulta associata a un aumento del rischio di DSA, con differenze legate al tempo e al territorio. Mentre la diminuzione di NO₂ e PM2.5 sembra contribuire a ridurre il rischio, le associazioni ancora presenti con sostanze come benzene e nichel indicano la necessità di interventi mirati per limitare l'esposizione a questi inquinanti specifici. Lo studio rappresenta ad oggi una delle evidenze più robuste sul legame tra inquinamento atmosferico prenatale e rischio di autismo, pur riconoscendo i limiti dovuti alla natura osservazionale e modellistica dei dati.

soglie di esposizione presentavano una funzionalità polmonare inferiore rispetto a quelli al di sotto, ma non in modo significativo. I soggetti esposti a ≥250 veicoli pesanti/giorno presentavano uno z-score medio del FEV1 inferiore al follow-up (-0.38) rispetto a quelli esposti a <250 veicoli pesanti/giorno (-0.21), p=0.033, e questa associazione è rimasta anche dopo l'aggiustamento per i fattori confondenti (p=0.036). Inoltre, i soggetti esposti a ≥8.000 veicoli/giorno presentavano un punteggio z medio FVC inferiore (-0,19) rispetto a quelli esposti a <8.000 veicoli/giorno (-0.02), p=0.047, con p=0.032 dopo l'aggiustamento.

In conclusione, l'esposizione al traffico veicolare durante l'infanzia, in un ambiente con un flusso di traffico relativamente basso, può essere associata a una funzionalità polmonare leggermente inferiore nella giovane età adulta. Sono punti di forza il disegno prospettico di coorte decennale, le misure oggettive di funzionalità polmonare e valutazione geolocalizzata dell'esposizione al traffico con controllo dei fattori confondenti. Mentre le limitazioni sono la bassa esposizione media al traffico, il possibile errore di classificazione dell'esposizione e il disegno osservazionale che non consente inferenze causali.

° O'Sharkey K et al: Prenatal exposure to criteria air pollution and traffic-related air toxics and risk of autism spectrum disorder: A population-based cohort study of California births (1990-2018). Environ Int. 2025 Jul;201:109562. doi: 10.1016/j.envint.2025.109562. Epub 2025 May 29. PMID: 40482621.

1. Metalli pesanti e cervello in crescita: una revisione sistema-

5. Traffico e salute respiratoria: uno studio prospettico

sull'impatto dell'esposizione precoce L'esposizione ad elevati livelli di traffico veicolare durante l'infanzia sembra avere un effetto negativo sulla funzionalità polmonare, ma attualmente non si conoscono bene gli effetti dell'esposizione infantile a bassi livelli di traffico. Questo studio ha voluto indagare l'associazione tra esposizione al traffico durante l'infanzia e funzionalità polmonare e incidenza di asma nell'età adulta attraverso un follow-up decennale di una coorte di popolazione residente in un comune della Svezia settentrionale con livelli relativamente bassi di traffico veicolare. La coorte ha compreso 1.056 bambini reclutati all' età di 8 anni ed il follow-up è proseguito fino all' età di 19 anni, età nella quale è stata valutata la funzionalità polmonare attraverso la FEV1, FVC e FEV1/ FVC. Per quanto riguarda l'esposizione al traffico sono state definite diverse soglie di esposizione in base alla vicinanza (entro un raggio di 200 m dall'indirizzo di residenza) a una strada con un numero minimo giornaliero di veicoli pesanti (≥250 e ≥500) o di qualsiasi tipo di veicolo (≥4.000 e ≥8.000). L'associazione tra l'esposizione al traffico veicolare al basale e la funzionalità polmonare al follow-up è stata analizzata mediante regressione lineare, aggiustando per potenziali fattori confondenti.I risultati hanno evidenziato che, in generale, i soggetti al di sopra delle

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° Bermúdez Barón N et al: Exposure to vehicle traffic in childhood and lung function in young adulthood-a prospective cohort study in an area with low traffic-flows. Environ Health. 2025 Jul 7;24(1):44. doi: 10.1186/ s12940-025-01198-z. PMID: 40624499; PMCID: PMC12235861.

Inquinamento da sostanze chimiche non atmosferiche tica sugli effetti dell'esposizione precoce Questo studio è una revisione sull'associazione tra esposizione a metalli pesanti e disturbi del neurosviluppo. Sono stati identificati effetti avversi per Pb, Cd e Hg, in particolare sulla cognizione, sul comportamento e sullo sviluppo globale. Dei 686 studi iniziali e dei 123 articoli esaminati, 68 hanno soddisfatto i criteri di inclusione, distribuiti in 48 disegni longitudinali e 20 disegni trasversali, pubblicati tra il 2006 e il 2025. I dati provenivano da 23 paesi, per un totale di 215.195 individui; il paese maggiormente rappresentato è stato il Giappone e l'età più studiata è stata la prima infanzia (0-2 anni). I campioni analizzati sono stati sangue, urine, capelli e latte materno per le madri; sangue, urine, capelli e unghie per i bambini. L'analisi dei metalli è stata eseguita con tecniche di spettrometria o di assorbimento atomico; la valutazione del neurosviluppo è stata condotta con strumenti standardizzati, come le “Bayley Scales of Infant and Toddler Development”. A causa della notevole eterogeneità tra gli studi inclusi, non è stata fatta una meta-analisi. Il Pb è stato il metallo più frequentemente studiato, seguito da Hg, Cd, As, Mn. La maggior parte degli studi si riferiva all'esposizione prenatale.

Gli esiti cognitivi e motori sono stati prevalentemente influenzati dall'esposizione a Pb e Hg, mentre gli esiti comportamentali hanno mostrato associazioni negative con Pb e As, suggerendo che possono essere coinvolti percorsi neurobiologici diversi. La maggior parte degli studi analizzati ha riportato effetti avversi, in particolare quando l'esposizione si è verificata durante la gravidanza, sottolineando l'accresciuta vulnerabilità del cervello in via di sviluppo. La funzione cognitiva è stato il dominio più comuPagine elettroniche di Quaderni acp

Ambiente e Salute

nemente valutato, con il Pb che ha costantemente mostrato la più forte associazione con esiti negativi. Stimando che i disturbi neurocomportamentali colpiscono il 10/15% dei bambini in tutto il mondo, con un significativo aumento globale della prevalenza del disturbo dello spettro autistico e del disturbo da deficit di attenzione/iperattività, la ricerca futura dovrebbe mirare a una maggiore standardizzazione dei metodi utilizzati per valutare i rischi neurotossici associati all'esposizione a metalli pesanti. ° Silva, A. S. et al: Neurodevelopmental Outcomes Associated with Early-Life Exposure to Heavy Metals: A Systematic Review. International Journal of Environmental Research and Public Health, 22(8), 1308.

2. Inquinamento da microplastiche: come superano le barrie-

re del corpo e quali rischi comportano per la salute L'inquinamento da microplastiche (1 μm–5 mm) e nanoplastiche (<1 μm) rappresenta una sfida globale sempre più urgente, con impatti significativi sull'ambiente e sulla salute degli esseri viventi. Le microplastiche entrano nell'ambiente principalmente attraverso la degradazione dei prodotti plastici, diffondendosi nell' acqua, nella catena alimentare e nei prodotti di consumo, con potenziali conseguenze per la salute umana. Nel corpo dei mammiferi, diverse barriere emato-tissutali con giunzioni strette selettive proteggono gli organi più vulnerabili, regolando con precisione il passaggio delle sostanze. Tuttavia, evidenze emergenti indicano che le microplastiche possono interagire con queste barriere, attraversarle e comprometterne l'integrità, favorendo l'accumulo di particelle in organi sensibili. Questa revisione, basata su 327 studi selezionati da PubMed e Scopus, fornisce un'analisi aggiornata sull'impatto delle microplastiche sull'organismo umano, con particolare attenzione al superamento delle barriere biologiche e ai meccanismi di danno cellulare. Le evidenze mostrano che le micro- e nanoplastiche possono oltrepassare le principali barriere (respiratoria, intestinale, emato-encefalica, emato-testicolare ed emato-placentare), innescando infiammazione, stress ossidativo, disbiosi e danni strutturali. Studi condotti su modelli animali e tessuti umani hanno rilevato particelle di plastica in polmoni, intestino, cervello, reni, placenta e apparato riproduttivo, con effetti dose-dipendenti e possibile aggravamento di patologie preesistenti. Le nanoplastiche (<1 µm) risultano le più pericolose, poiché capaci di penetrare nei tessuti e interferire con funzioni metaboliche e immunitarie. La revisione adotta un approccio multisistemico, integrando dati relativi a diversi organi e meccanismi biologici, e mette in luce nuove vie di penetrazione e potenziali collegamenti tra microplastiche, infiammazione e disfunzioni croniche. Tuttavia, gran parte delle evidenze proviene da studi in vitro e da modelli animali, che non sempre riflettono la fisiologia umana. I dati di biomonitoraggio clinico restano ancora limitati, con campioni ridotti e assenza di protocolli standardizzati per il campionamento e l'analisi delle microplastiche nei tessuti biologici. ° Obeng EM, Hodge C, You J. Microplastic pollution: a review of specific blood-tissue barrier breaches and health effects. Environ Pollut. 2025 Jul 1;376:126416. doi: 10.1016/j.envpol.2025.126416. Epub 2025 May 10. PMID: 40355068.

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3. Dalla barriera emato-encefalica al cervello: Evidenze e Pro-

spettive sulla neurotossicità delle Micro e Nanoplastiche La crescente produzione globale di plastica ha portato a una significativa contaminazione ambientale da micro e nanoplastiche (MNP), onnipresenti nell'aria, nell'acqua e nel suolo. L'uomo ne è esposto attraverso l'ingestione di cibo e acqua contaminati, l'inalazione di particelle presenti nell'aria e il contatto con prodotti di consumo. Come sintetizzato in questa review, recenti studi hanno dimostrato che le MNP possono accumularsi in vari organi e attraversare la barriera emato-encefalica (BEE), causando danni tossici irreversibili al sistema nervoso centrale (SNC), attraverso meccanismi sia distruttivi che non distruttivi. I primi comportano un danno all'integrità strutturale della BEE, alterando le proteine chiave delle giunzioni intercellulari, sia quelle strette, riducendo l'espressione di claudina-1, occludina e zonula occludens-1, che quelle aderenti, composte principalmente dal complesso VE-caderina/β-catenina. L'esposizione a nanoplastiche di polistirene (PS-NP) ha dimostrato di ridurre l'espressione di PECAM-1 e VE-caderina. I meccanismi non distruttivi, invece, non causano un danno strutturale diretto, ma penetrano nella BEE sfruttando percorsi fisiologici, come la via paracellulare, in cui particelle sufficientemente piccole passano attraverso gli spazi intercellulari tra le cellule endoteliali, e l'endocitosi, in cui le MNP vengono assorbite in vescicole attraverso la membrana cellulare. Una volta penetrate nel SNC, le MNP innescano processi neurotossici, di cui i principali identificati sono quattro: 1) stress ossidativo, in cui le MNP inducono una generazione eccessiva di specie reattive dell'ossigeno (ROS) e indeboliscono i sistemi antiossidanti, tra cui quello mitocondriale, riducendo l'attività enzimatica specifica e alterando la catena di trasporto degli elettroni e il potenziale della membrana mitocondriale. 2) Risposta infiammatoria, in cui le MNP inducono e aggravano la neuroinfiammazione attraverso l'attivazione delle cellule gliali (microglia e astrociti). 3) Disfunzione mitocondriale, in cui l'esposizione alle MNP, in particolare quelle con carica positiva, causa alterazioni morfologiche nei mitocondri delle cellule neurali. 4) Alterazione del metabolismo del ferro e ferroptosi, in cui l'esposizione a MNP induce l'accumulo di ferro e segni morfologici di ferroptosi nei neuroni, portando a disfunzioni cognitive. Inoltre, le MNP possono agire come vettori per altri inquinanti, come metalli pesanti e inquinanti organici persistenti (POP), potenziandone la tossicità: ad esempio, possono facilitare l'accumulo di metalli come ferro, mercurio, rame e cadmio e assorbire POP come i Policlorobifenili (PCB) e il Di(2-etilesil)ftalato (DEHP), aumentandone la biodisponibilità. Un recente studio ha riportato che la co-esposizione a MNP e DEHP ha indotto deficit di memoria e neuroinfiammazione nei topi. Pertanto, le prove attuali dimostrano che le MNP possono attraversare la BEE e indurre neurotossicità, sono necessarie tecniche di tracciamento avanzate per monitorare le MNP nel SNC e l'uso di approcci multi-omici per svelare le reti molecolari della tossicità, nonché l'utilizzo di sistemi per valutare i rischi legati alle co-esposizioni, molto più “vicini” alla realtà quotidiana. ° Ma Y, Yang H, Niu S, Guo M, Xue Y. Mechanisms of micro- and nanoplastics on blood-brain barrier crossing and neurotoxicity: Current evidence and future perspectives. NeuroToxicology. 2025;109:92-107. doi: 10.1016/j.neuro.2025.06.003. Epub 2025 Jun 18. PMID: 40553807

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Ambiente e Salute

4. Impatto degli interferenti endocrini sui corticosteroidi sur-

renali: una revisione sistematica degli studi epidemiologici Negli ultimi anni numerose evidenze hanno sottolineato il ruolo degli interferenti endocrini (EDC) nello sviluppo della sindrome metabolica. I meccanismi alla base di tale fenomeno sono in gran parte ancora sconosciuti, anche se un'ipotesi plausibile è l'alterazione dell'azione dei corticosteroidi e dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA). Questa revisione ha l' obiettivo di riassumere gli studi epidemiologici che hanno indagato l'associazione tra la concentrazione di EDC e l'alterazione dei livelli di corticosteroidi e dell'ormone adrenocorticotropo (ACTH). Gli autori seguendo le linee guida PRISMA hanno cercato su PubMed e nella Cochrane Library gli studi epidemiologici pubblicati fino al 1° aprile 2024. Sono stati valutati vari gruppi di EDC con il prerequisito della misurazione diretta della sostanza chimica, di un metabolita o di un biomarcatore. Sono stati selezionati 2.094 articoli dei quali ne sono stati inseriti 27 nella review, dopo aver eliminato i duplicati e aver effettuato uno screening. Gli studi si sono concentrati prevalentemente sui glucocorticoidi (n = 26) rispetto ai mineralcorticoidi (n = 5) e all'ACTH (n = 2). Gli EDC più studiati sono stati i pesticidi (n = 9) e gli ftalati (n = 8). In tutti gli studi tranne tre sono state riscontrate associazioni significative tra le concentrazioni di specifici EDC e i livelli ormonali analizzati. Solo uno studio ha descritto un'associazione tra EDC, concentrazione ormonale e caratteristiche metaboliche. In conclusione esistono prove evidenti dell'impatto di specifici EDC sulle concentrazioni plasmatiche di corticosteroidi in diverse fasce d'età in tutto il mondo, tuttavia i risultati variano a seconda della classe di EDC, della popolazione studiata e della metodologia di studio. Sono quindi necessarie ulteriori ricerche che combinino le concentrazioni di EDC e ormoni e le caratteristiche cliniche, integrate da indagini sperimentali volte a studiare i meccanismi cellulari, al fine di acquisire una conoscenza complessiva dell'influenza degli EDC sui disturbi correlati ai glucocorticoidi e ai mineralcorticoidi. ° Stüfchen I et al: The impact of endocrine disrupting chemicals on adrenal corticosteroids - A systematic review of epidemiological studies. Environ Res. 2025 Jul 1;276:121438.

cidua: vasculopatia e sito di impianto superficiale, per i villi: ritardo di maturazione, aumentata angiogenesi, ipoplasia distale, villite cronica). I PFAS sono stati rilevati nel 95.7% dei campioni.

I PFAS più frequentemente rilevati erano PFOS (88%), seguiti da PFHxS (83%), PFOA (83%), PFBS (54%) e PFHxA (54%).

I risultati preliminari suggeriscono concentrazioni variabili di PFAS tra i soggetti, con l'esame istopatologico che rivela alterazioni placentari di potenziale rilevanza clinica. Le alterazioni istopatologiche osservate, in particolare nei casi di malperfusione e cambiamenti dell'angiogenesi, suggeriscono che i PFAS potrebbero contribuire alla disfunzione placentare, potenzialmente influenzando gli esiti della gravidanza. Gli autori ipotizzano che il PFHxA possa esercitare un'influenza negativa sull'angiogenesi placentare, a causa dell'ipossia preplacentare che stimola l'angiogenesi e porta a un aumento della ramificazione e del numero di rami. Sebbene i legami causali diretti rimangano da chiarire completamente, questi risultati sottolineano la necessità di ulteriori indagini sugli effetti placentari correlati ai PFAS e le loro implicazioni per lo sviluppo fetale. Un limite dello studio è l'esiguità del campione che ne riduce la potenza statistica e limita la generalizzazione dei risultati a popolazioni più ampie. Gli autori suggeriscono la possibilità di includere nella prosecuzione dello studio anche aborti spontanei e /o nati morti. Il materiale campionato inoltre potrebbe non essere rappresentativo dell' intero organo in termini di tossicologia e di istopatologia. In sintesi, l'analisi tossicologica ha confermato la presenza diffusa di PFAS, anche nella popolazione generale, con composti multipli rilevati in quasi tutti i campioni. I PFAS a catena corta (C ≤ 8) erano particolarmente prevalenti, evidenziando la loro permeabilità ai tessuti profondi. Sebbene non siano state riscontrate associazioni statisticamente significative tra le concentrazioni di PFAS e le patologie materno-fetali, anomalie istopatologiche subcliniche, come la malperfusione materna e fetale, sono state collegate a livelli più elevati di PFAS. ° Arianna Giorgetti et al: Per- and polyfluoroalkyl substances (PFAS) in placental compartments: Histopathological and toxicological data integration in an Italian cohort, Environmental Research, Volume 279, Part 2, 2025, 121846, ISSN 0013-9351.

5. ▶ Sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) nella placen- 6. Esposizione prenatale a miscele di sostanze chimiche e rita: integrazione di dati istopatologici e tossicologici in una coorte italiana Questo studio ha fornito spunti preliminari sull'influenza dell'esposizione ai PFAS sulla morfologia placentare e sui suoi potenziali legami con gli esiti clinici; studi recenti hanno evidenziato la permeabilità placentare ai PFAS, sebbene le evidenze di un danno diretto istopatologico rimangano limitate. Gli autori hanno indagato potenziali associazioni tra l'esposizione ai PFAS e le anomalie istopatologiche nei campioni placentari. 23 donne in gravidanza a termine sono state reclutate nell' Ospedale Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia e nell' Ospedale Universitario Sant' Orsola di Bologna da dicembre 2023 a novembre 2024. I campioni placentari, suddivisi in compartimenti materni (decidua) e fetali (villi), sono stati analizzati per concentrazione di PFAS e alterazioni istopatologiche (presenza/assenza di anomalie istopatologiche della decidua, presenza/assenza di anomalie istopatologiche dei villi ). Sono poi state analizzate ulteriori sottocategorie di alterazioni istopatologiche (per la de-

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schio di disturbi dello spettro autistico: risultati dallo studio MARBLES L'articolo analizza il legame tra l'esposizione in gravidanza a miscele di sostanze chimiche di diverse classi e il rischio di disturbi dello spettro autistico (DSA) e di altri problemi del neurosviluppo. Lo studio si basa sulla coorte MARBLES, che segue donne in gravidanza con già un figlio con DSA; quindi, considerate a rischio di avere un altro bambino con lo stesso disturbo. Sono state esaminate 110 coppie madre-bambino: durante la gravidanza delle madri sono stati raccolti campioni di sangue e urina per misurare 42 biomarcatori relativi a cinque classi di sostanze: PFAS, parabeni, fenoli (come il bisfenolo A), ftalati ed esteri organofosfati (OPEs). Di questi, 30 biomarcatori (quelli presenti in almeno metà dei campioni) sono stati considerati per l'analisi statistica. Attraverso tecniche di clustering e analisi discriminante, le sostanze sono state raggruppate in quattro cluster principali, ciascuno rappresentativo di un profilo di esposizione: 1. PFAS; 2. OPEs; 3. parabeni e triclosan;, 4. ftalati e bisfenolo A.

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I risultati mostrano che livelli più elevati di esposizione in ciascun cluster sono associati a un aumento del rischio di DSA rispetto ai bambini con sviluppo tipico. In particolare, i cluster relativi a OPEs e ftalati/BPA sono risultati legati anche ad altri disturbi del neurosviluppo non classificabili come DSA. Inoltre, quando si consideravano le esposizioni cumulative a tutte le sostanze, il rischio di DSA o di sviluppo atipico aumentava ulteriormente. Un aspetto rilevante è l'osservazione di interazioni tra diverse sostanze chimiche, sia all'interno della stessa classe che tra classi diverse, suggerendo che gli effetti combinati possono essere sinergici o antagonisti. Questo conferma che studiare le sostanze isolatamente rischia di sottovalutare l'impatto reale delle esposizioni quotidiane. Gli autori sottolineano che le sostanze considerate sono in gran parte interferenti endocrini, in grado di alterare il funzionamento degli ormoni tiroidei materni, fondamentali per lo sviluppo cerebrale del feto. Tale meccanismo potrebbe spiegare l' associazione con DSA e altri disturbi neuroevolutivi. Lo studio presenta anche dei limiti: il campione è relativamente ridotto, riguarda una popolazione ad alto rischio (madri con già un figlio autistico) e non include altre sostanze tossiche note (come i metalli pesanti). In conclusione, l'articolo mostra che l' esposizione in gravidanza a più classi di sostanze chimiche è associata a un maggiore rischio di autismo e di altri problemi dello sviluppo nei bambini, e che è cruciale considerare l'effetto combinato delle sostanze piuttosto che studiarle separatamente. ° Choi JW, Jang H, Kuiper JR, Bennett DH, Schmidt RJ, Shin HM. Gestational exposures to mixtures of multiple chemical classes and autism spectrum disorder in the MARBLES study. Environ Res. 2025 Aug 1;278:121646.

7. Esposizione ai PFAS attraverso l'allattamento materno e

implicazioni per la salute Le sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) sono state spesso rilevate nel latte materno. Tuttavia, la comprensione dei potenziali rischi per la salute associati alla contaminazione da PFAS nel latte materno è ancora limitata. Nel presente studio gli autori hanno utilizzato le concentrazioni plasmatiche nelle madri per stimare le assunzioni giornaliere (EDI) di quattro PFAS attraverso il latte materno (l'acido perfluoroottanoico PFOS, l'acido perfluoroottanoico PFOA, l' acido perfluoroesanoico PFHxS e l' acido perfluorononanoico (PFNA), sulla base dei dati di uno studio pubblicato di recente sulle concentrazioni di PFAS nel latte materno proveniente da cinque regioni delle Nazioni Unite, e ne hanno valutato i potenziali rischi per la salute. La valutazione del rischio basata sulle concentrazioni plasmatiche di PFAS ha evidenziato i potenziali effetti dannosi per la salute sia per le madri che per neonati, e in particolare i neonati sono risultati più vulnerabili delle madri all'esposizione ai PFAS. Inoltre, il PFHxS e il PFNA hanno mostrato un rischio per la salute più elevato rispetto al PFOS e al PFOA. Sulla base dei dati tossicologici provenienti da studi sugli animali utilizzando il metodo proposto dall'Agenzia per le sostanze tossiche e il registro delle malattie (ATSDR), questo lavoro propone nuovi valori minimi di rischio (MRV) per i neonati: 3.35, 2.92, 0.25 e 0.38 ng/kg di peso corporeo/giorno rispettivamente per PFOS, PFOA, PFHxS e PFNA. Nel complesso, questa ricerca evidenzia l'importanza di una valutazione accurata del rischio legato ai PFAS, soprattutto per le popolazioni più vulnerabili come madri e neonati. Tuttavia, a Pagine elettroniche di Quaderni acp

causa delle incertezze associate alla stima delle concentrazioni di PFAS nel latte materno, sono necessari studi più approfonditi per chiarire gli effetti a lungo termine delle esposizioni a basse dosi sulla salute materna e infantile. Considerando il rapido aumento dei nuovi dati tossicologici e di biomonitoraggio, è fondamentale prevedere revisioni periodiche e aggiornamenti dei valori guida oggi proposti per la protezione della salute neonatale. Lo studio rappresenta una valutazione globale e innovativa del rischio dei PFAS nel latte materno, ma la natura modellistica e indiretta dei dati impone di confermare i risultati attraverso studi prospettici su popolazioni reali. ° Jiahui Su et al: Burden of per- and polyfluoroalkyl substances (PFAS) in human breast milk: Implications for maternal and infant health, Environment International, Volume 201, 2025, 109593, ISSN 0160-4120.

8. Esposizione prenatale a ftalati e plastificanti: implicazioni

per lo sviluppo emotivo e comportamentale dei bambini Questo ampio studio epidemiologico ha indagato l'associazione tra l'esposizione gestazionale a ftalati e plastificanti alternativi e i problemi comportamentali ed emotivi nei bambini di età compresa tra 1.5 e 5 anni. La ricerca, condotta nell'ambito del consorzio ECHO (Environmental influences on Child Health Outcomes), ha analizzato 2.617 coppie madre-bambino provenienti da 13 coorti statunitensi geograficamente e sociodemograficamente diverse. I ricercatori hanno analizzato campioni di urina materna raccolti principalmente nel secondo e terzo trimestre di gravidanza per quantificare 27 metaboliti di ftalati e 6 metaboliti di plastificanti alternativi. I comportamenti dei bambini sono stati valutati utilizzando la Child Behavior Checklist for Ages 1½–5 (CBCL/1½–5), che misura i punteggi T per comportamenti internalizzanti (ansia, depressione, problemi somatici) ed esternalizzanti (aggressività, problemi di attenzione). Lo studio ha identificato associazioni statisticamente significative tra specifici metaboliti di ftalati e comportamenti esternalizzanti: Mono-benzil ftalato (MbzP) con un aumento dell'intervallo interquartile nelle concentrazioni associato ad un incremento di 0.53 punti nei punteggi T esternalizzanti. Mono-esil ftalato (MHxP): i livelli più alti rilevabili sono stati associati a un aumento di 1.23 punti nei comportamenti esternalizzanti rispetto ai livelli non rilevabili. Al contrario, alcuni metaboliti hanno mostrato associazioni inverse: Metaboliti DiNP (di-iso-nonilftalato) e MCHPP sono stati associati a punteggi internalizzanti più bassi, principalmente attraverso ridotti sintomi di ansia/depressione. L'analisi ha anche rivelato effetti specifici per sesso: nei maschi sono state trovate associazioni positive tra Mono-n-butil ftalato (MnBP) e Mono-isobutil ftalato (MiBP) e comportamenti esternalizzanti; effetti più pronunciati per DEHP, MBzP e MHPP. Nelle femmine sono state trovate associazioni più forti per Mono-metil ftalato (MMP) e MHxP con comportamenti esternalizzanti. Contrariamente agli ftalati, l'esposizione prenatale a DINCH (di-iso-nonilcicloesano-1.2-dicarbossilato), un plastificante alternativo, non ha mostrato associazioni significative con alterazioni comportamentali nei bambini. Questo studio fornisce evidenze che l'esposizione gestazionale a specifici ftalati, in particolare BBzP (butilbenzil ftalato) e DnHP (di-n-esil ftalato), può essere associata a piccoli ma significativi incrementi nella presenza di comportamenti esternalizzanti nei bambini piccoli, principalmente attraverso aumenti nell'aggressività e problemi di attenzione.

I risultati supportano precedenti ricerche su ftalati e possibili in-

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Ambiente e Salute

fluenze sul neurosviluppo e suggeriscono che, mentre alcuni plastificanti alternativi come DINCH potrebbero essere più sicuri, è necessaria ulteriore ricerca sui nuovi sostituti plastificanti. Tuttavia, la natura osservazionale e alcune limitazioni metodologiche richiedono ulteriori conferme in studi prospettici e longitudinali. In sintesi, gli autori sottolineano l'importanza di considerare le esposizioni chimiche prenatali nella salute comportamentale infantile e la necessità di politiche regolatorie più stringenti per proteggere lo sviluppo cerebrale dei bambini ° Oh J et al.: ECHO Cohort Consortium. Prenatal exposure to phthalates and alternative plasticizers and emotional and behavioral outcomes in early childhood in the Environmental influences on Child Health outcomes (ECHO) cohort. Environ Int. 2025 Aug;202:109647. doi: 10.1016/j. envint.2025.109647. Epub 2025 Jun 30. PMID: 40617232; PMCID: PMC12452813.

9. Disuguaglianze ambientali e sviluppo cognitivo: l'effetto

dei ritardanti di fiamma nei bambini in età prescolare I difenileteri polibromurati (PBDE) e gli esteri organofosfati (OPE) sono sostanze comunemente utilizzate come ritardanti di fiamma. Questo studio ha esaminato gli effetti indipendenti e congiunti della condizione socioeconomica e della razza/etnia sull'esposizione ai ritardanti di fiamma nella prima infanzia e ha indagato le possibili associazioni tra l'esposizione ai ritardanti di fiamma e le abilità esecuzione (executive function, EF) dei bambini. Sono stati reclutati 349 bambini in età prescolare in Oregon tra il 2020 ed il 2022. Per valutare l' esposizione a 41 composti ritardanti di fiamma, i bambini hanno indossato campionatori a bracciale in silicone per sette giorni. Gli autori si sono concentrati sull'esposizione a 6 composti (BDE 47, BDE99, BDE100, TCPP, TDCPP, TPP) e due indici compositi (ΣPBDE, ΣOPE), valutando le differenze di esposizione in base alla razza/etnia e al reddito (reddito basso = al di sotto della soglia di povertà federale).

I bambini avevano un'età media di 5.1 anni (SD=0.3), il 29.9% proveniva da contesti razziali/etnici svantaggiati e il 27.8% delle famiglie era a basso reddito. I bambini provenienti da famiglie a basso reddito sono risultati esposti a livelli di ΣPBDE superiori dell' 83.4% e a livelli di TDCPP superiori del 36% rispetto alle famiglie con reddito più elevato. Tenendo conto di età, sesso, reddito, razza/etnia e disabilità o ritardo cognitivo, né esposizione al PBDE né quella all'OPE sono risultate costantemente correlate alle EF, ma i bambini provenienti da famiglie a basso reddito hanno ottenuto un punteggio inferiore del 28.6% nel test neuropsicologico Head-Toes-Knees-Shoulders – versione Revised (HTKS-R), mentre i bambini appartenenti a razze/etnie svantaggiate hanno ottenuto un punteggio inferiore del 25.9% nell'HTKS-R. I risultati evidenziano persistenti disparità nell'esposizione al PBDE in un momento cruciale dello sviluppo dei bambini e rivelano disparità simili nell'esposizione al TDCPP. Inoltre, lo svantaggio socioeconomico è risultato più fortemente associato alla riduzione dell'EF rispetto all'esposizione al PBDE o all'OPFR. Questi risultati sottolineano la necessità di affrontare le disuguaglianze sociali ed evidenziano anche la necessità di una maggiore rappresentanza dei bambini provenienti da contesti svantaggiati negli studi sull' argomento. I punti di forza della ricerca sono l'uso di braccialetti in silicone per misurare esposizioni reali, analisi di più composti chimici e valutazione congiunta delle abilità esecutive considerando fattori socioeconomici ed etnici. I limiti sono determinati dal campione ridotto e

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poco eterogeneo, disegno trasversale e possibili bias ambientali e pandemici che limitano la generalizzabilità e le inferenze causali. ° Merculief A et al.: Socioeconomic and racial-ethnic disparities in flame retardant exposure and executive function skills in preschool children.

Environ Health. 2025 Jul 8;24(1):46. doi: 10.1186/s12940-025-01200-8.

PMID: 40629376; PMCID: PMC12239329.

10. PFAS e salute riproduttiva: l'impatto dell'esposizione ma-

terna e paterna sugli esiti della gravidanza L'esposizione prenatale materna a sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (PFAS) è stata associata a esiti avversi alla nascita; tuttavia, pochi studi hanno considerato l'esposizione paterna agli PFAS e gli effetti sul nascituro. Questo studio ha voluto stimare le associazioni specifiche per entrambi i genitori. Lo studio ha incluso 498 coppie della coorte INUENDO reclutate durante visite di assistenza prenatale in Groenlandia, Polonia e Ucraina nel periodo 2002-2004. Sono stati misurati cinque principali tipi di PFAS nel siero dei genitori durante la gravidanza e sono stati analizzati tre esiti alla nascita: età gestazionale, peso alla nascita e lunghezza alla nascita. I risultati non hanno evidenziato un' associazione tra l'esposizione materna e paterna a PFAS e l'età gestazionale. Tuttavia, dopo aver corretto per il perfluoroottanoato (PFOA) paterno, un livello più elevato di PFOA materno è stato correlato ad un peso e ad una lunghezza alla nascita inferiori. Anche l'esposizione paterna a diversi PFAS è stata associata a una minore lunghezza alla nascita, ma le dimensioni dell'effetto stimate sono risultate ridotte. Non sono stati riscontrati effetti di esposizione congiunta analizzando le miscele di PFAS. In sintesi, lo studio fornisce evidenze preliminari che l' esposizione materna e paterna ai PFAS durante la gravidanza può influenzare parametri neonatali quali il peso e la lunghezza.

Pur con associazioni deboli e non causali, i risultati sottolineano l'importanza di ridurre l'esposizione ai PFAS nella popolazione in età riproduttiva, a tutela della salute fetale e perinatale. ° Guo, P. et al: Paternal and maternal exposures to per- and polyfluoroalkyl substances (PFAS) and birth outcomes: a multi-country cohort study. Environ Health 24, 48 (2025).

11. Piombo e memoria: l'esposizione infantile danneggia la

memoria nei bambini messicani L' esposizione al piombo (Pb) durante lo sviluppo è nota per causare deficit cognitivi e di memoria, ma i meccanismi specifici attraverso cui influisce sui processi mnemonici restano poco chiari. Questo studio ha indagato l'associazione tra esposizione infantile al piombo e la velocità di decadimento della memoria di lavoro, utilizzando un compito neuropsicologico sensibile alle funzioni dell' ippocampo e della corteccia prefrontale. Lo studio ha coinvolto 270 bambini di età compresa tra 9 e 11 anni, provenienti da una coorte precedentemente seguita per esposizione prenatale e postnatale al piombo. Le concentrazioni di Pb nel sangue erano state misurate in età infantile e correlate ai risultati di un compito di memoria a breve termine (delayed matching-to-sample task), in cui i bambini dovevano ricordare e riconoscere stimoli visivi dopo intervalli di tempo variabili. Sono stati applicati modelli misti di regressione lineare, controllando per età, sesso, livello socioeconomico e quoziente intellettivo.

I bambini con livelli più elevati di piombo nel sangue (≥10 μg/ Pagine elettroniche di Quaderni acp

Ambiente e Salute

dL) mostravano una velocità di decadimento della memoria significativamente maggiore, cioè dimenticavano le informazioni più rapidamente rispetto ai coetanei meno esposti. Il riscontro di un livello più elevato di Pb durante l'infanzia [mediana (intervallo interquartile), 1.7 (1.3) (μg/dl)] è risultato associato a un più rapido decadimento della memoria (β = −0.05; intervallo di confidenza al 95%: −0.09, −0.01). L' effetto era specifico per i tempi di ritardo più lunghi, suggerendo un deficit nei processi di mantenimento e recupero mnemonico piuttosto che nell'apprendimento iniziale. L'associazione è rimasta significativa anche dopo l'aggiustamento per fattori confondenti. Un quoziente intellettivo materno più elevato e l'età del bambino sono risultati significativamente associati a un tasso di dimenticanza più lento. I risultati indicano come l'esposizione al piombo durante lo sviluppo sia associata a disturbi della memoria anche per livelli di piombemia ritenuti bassi (1.7 µg/dL). L'esposizione cronica al piombo durante l' infanzia è associata a un aumento del tasso di dimenticanza nelle attività di memoria di lavoro, indicando un impatto duraturo sui circuiti neuronali della memoria, in particolare ippocampali. I risultati rafforzano la necessità di politiche preventive più stringenti per ridurre l' esposizione infantile al piombo, anche a livelli considerati “bassi”, poiché le alterazioni cognitive possono persistere fino all'età scolare. ° Peterson, K. E. Et al: Developmental Pb exposure increases rate of forgetting on a delayed matching-to-sample task among Mexican children.

Science Advances, 11(4), eadl4112.

Campi elettromagnetici

1. Campi elettromagnetici a radiofrequenza e sviluppo neu-

rologico nei neonati: uno studio prospettico di coorte Lo studio è una delle prime indagini prospettiche volte a misurare direttamente i livelli di radiazione domestica e a collegarli a indicatori di sviluppo infantile, offrendo nuove evidenze sul possibile ruolo neurotossico dei campi elettromagnetici nella prima infanzia. Negli ultimi anni è cresciuta la preoccupazione per i potenziali effetti dei campi elettromagnetici a radiofrequenza (RF-EMF), emessi da dispositivi e infrastrutture come telefoni cellulari, Wi-Fi e torri di telecomunicazione, sullo sviluppo infantile. I neonati e i bambini piccoli sono particolarmente vulnerabili, poiché il loro sistema nervoso è in rapido sviluppo e il tessuto cerebrale è più permeabile. Tuttavia, le evidenze scientifiche sull'impatto neurocomportamentale dell' esposizione precoce ai RF-EMF restano limitate e spesso basate su misurazioni indirette. Lo studio si propone di valutare l'associazione tra esposizione ambientale domestica ai campi elettromagnetici e lo sviluppo neuropsicomotorio di bambini fino a due anni di età, attraverso uno studio prospettico osservazionale basato su un campione relativamente piccolo (105 neonati) ma con più rilevazioni per ogni soggetto, da cui derivano le 261 osservazioni totali analizzate e seguiti fino ai 24 mesi. L' esposizione ai RF-EMF è stata misurata direttamente all'interno delle abitazioni utilizzando dosimetri a banda larga, che rilevavano il livello medio di radiazione elettromagnetica espressa in volt per metro (V/m). I bambini sono stati valutati a intervalli regolari mediante le scale Ages and Stages Questionnaire, terza edizione (ASQ-3) e Ages and Stages Questionnaire – Social Emotional (ASQ-SE), strumenti di scree-

Pagine elettroniche di Quaderni acp

ning validati per lo sviluppo cognitivo, motorio e socio-emotivo.

Le analisi statistiche sono state effettuate con modelli lineari a effetti misti, aggiustando per variabili confondenti come età gestazionale, sesso, peso alla nascita, livello di istruzione materna e status socioeconomico. Dopo gli aggiustamenti per i fattori confondenti, è emersa un'associazione significativa tra livelli più elevati di RF-EMF domestici e punteggi inferiori in tre domini dello sviluppo: motricità fine (odds ratio aggiustato (aOR): 2.74, IC al 95%: 1.10, 6.78; p=0.03), problem solving (capacità cognitive) (aOR: 3.67, IC al 95%: 1.41, 9.55; p=0.008), comportamento personale e sociale (aOR: 3.67, 95% CI: 1.41, 9.55; p=0.008). Non sono invece state trovate associazioni significative per le aree di motricità grossolana e linguaggio. I bambini esposti a valori di campo elettromagnetico superiori alla mediana mostravano una maggiore probabilità di ritardo o vulnerabilità nei domini sopra citati. I risultati suggeriscono che l'esposizione precoce ai campi elettromagnetici ambientali potrebbe avere un effetto negativo sullo sviluppo neuropsicomotorio dei bambini, in particolare nelle funzioni fini e cognitive. Gli autori sottolineano la necessità di ulteriori ricerche longitudinali con misurazioni ripetute dell'esposizione e valutazioni diagnostiche più approfondite per confermare il nesso causale. Lo studio evidenzia inoltre l'importanza di limitare l' esposizione ambientale evitabile ai RF-EMF, soprattutto nei primi anni di vita, periodo critico per lo sviluppo del sistema nervoso. Lo studio fornisce evidenze interessanti e metodologicamente solide sul potenziale impatto dell' esposizione domestica a RF-EMF sullo sviluppo infantile, ma richiede conferme da analisi longitudinali più ampie e integrate con valutazioni diagnostiche più specifiche. ° Setia MS et al: Radiofrequency Electromagnetic Field Emissions and Neurodevelopmental Outcomes in Infants: A Prospective Cohort Study.

Cureus. 2025 Jul 10;17(7):e87671. doi: 10.7759/cureus.87671. PMID: 40786381; PMCID: PMC12335284.

Device digitali

1. Connessioni digitali, disconnessioni emotive: una meta-a-

nalisi sugli effetti dell'uso degli schermi nei bambini Il benessere sociale ed emotivo rappresenta una componente essenziale della salute dei bambini, poiché riguarda il modo in cui sentono, si comportano e reagiscono alle difficoltà della vita quotidiana. Si parla di disturbi socio-emotivi quando le emozioni o i comportamenti di un bambino si discostano da ciò che è atteso per la sua età e fase di sviluppo, influenzando le relazioni, l'adattamento e la qualità della vita. Le bambine e bambini che picchiano, prendono a calci, urlano, gridano e sfidano l'autorità potrebbero essere definiti affetti da un disturbo esternalizzante, mentre quelli che si isolano, si rannicchiano, evitano o si disperano mostrano un comportamento internalizzante. Gli schermi elettronici sono onnipresenti e facilmente accessibili a bambine e bambini, molti genitori temono che gli schermi siano la causa dei problemi socio-emotivi sopra descritti, tuttavia ad oggi la maggior parte delle ricerche è stata condotta in modo trasversale, rendendo difficile stabilire una causalità. In questa review gli autori hanno cercato le evidenze per rispondere a due domande fondamentali: l'uso degli schermi porta a problemi socio-emotivi? I problemi socio-emotivi portano bambine e bambini a

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Ambiente e Salute

usare gli schermi più spesso? È stato valutato un totale di 132 studi longitudinali che hanno soddisfatto i criteri di inclusione della revisione sistematica. Di questi, 117 studi (per un totale di 292.739 bambini) sono stati sottoposti a meta-analisi. I risultati hanno evidenziato piccole associazioni significative in entrambe le direzioni: l'uso dello schermo ha portato a problemi socio-emotivi, b = 0.06, intervallo di confidenza (IC) al 95% [0.02, 0.11], p ≤ 0.05, n = 200.018, K = 117, e i problemi socio-emotivi hanno portato a un maggiore uso dello schermo (b = 0.06, IC al 95% [0.01, 0.12], p = 0,01, n = 200.018, K = 117). È quindi emersa una correlazione più forte in entrambe le direzioni quando gli schermi venivano utilizzati per giocare piuttosto che per altri scopi: i problemi socio-emotivi hanno portato a una maggiore tendenza a usare gli schermi per gioco (b = 0.44, 95% CI [0.29, 0.60], n = 80.809, K = 31), e giocare ha portato a successivi problemi socio-emotivi (b = 0.32, 95% CI [0.23, 0.42], n = 80.809, K = 31).

La relazione reciproca tra i problemi socio-emotivi e l'uso dello schermo è risultata moderata dall'età, dal tempo totale trascorso davanti allo schermo al basale e dal tipo di problema socio-emotivo (cioè comportamento esternalizzante e internalizzante).

Rispetto ai precedenti studi trasversali, questi dati rafforzano le indicazioni delle linee guida sul tempo che i bambini/e dovrebbero trascorrere davanti allo schermo, ma suggeriscono anche un cambiamento di prospettiva: anziché limitarsi a sottolineare la riduzione del tempo trascorso davanti allo schermo, future linee guida dovrebbero dare priorità al miglioramento della qualità dei contenuti e al potenziamento delle interazioni sociali durante l'uso dello schermo. Le linee guida sull'uso degli schermi dovrebbero scoraggiare i livelli eccessivi dei comportamenti digitali più a rischio, come il gioco online prolungato. In conclusione, i risultati evidenziano l'importanza di insegnare ai bambini strategie alternative per gestire le difficoltà socio-emotive, evitando che ricorrano agli schermi come principale forma di compensazione. Non conta solo quanto tempo viene trascorso davanti a uno schermo, ma anche perché viene utilizzato e quale ambiente relazionale ed educativo circonda il bambino. ° Vasconcellos RP. Et al: Electronic screen use and children's socioemotional problems: A systematic review and meta-analysis of longitudinal studies. Psychol Bull. 2025 May;151(5):513-543. doi: 10.1037/ bul0000468. PMID: 40489178.

Ambienti naturali

1. Tra alberi e asfalto: come i vincoli sociali modificano l'uso

della natura da parte dei bambini Lo studio, condotto in Norvegia nel 2013 e nel 2023 su genitori di bambini tra 6 e 12 anni, ha analizzato come siano cambiate nel tempo le abitudini di gioco all' aperto e le barriere che limitano il contatto dei bambini con la natura. In dieci anni si osserva un calo significativo: nel 2023 solo il 29% dei bambini gioca regolarmente nei boschi, rispetto al 47% del 2013. I partecipanti allo studio, genitori di bambini di età compresa tra 6 e 12 anni, sono stati reclutati tramite contatto telefonico oppure metodi online o offline. Sono stati intervistati 3.168 genitori nel 2013 e 433 genitori nel 2023, riguardo le attività svolte all'aperto dal loro figlio più grande (8 attività) e sugli eventuali impedimenti riscontrati nel trascorrere il tempo negli ambienti naturali (19 vincoli ana-

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lizzati). Dall'analisi dei risultati emerge che, tra il 2013 e il 2023, è diminuito in modo significativo il numero di bambini che giocano all' aperto più di una volta alla settimana. In particolare, la percentuale di coloro che frequentano regolarmente boschi o altri ambienti naturali è passata dal 47% nel 2013 al 29% nel 2023. Per quanto riguarda gli ostacoli al gioco all'aperto, sono state rilevate differenze significative in 17 delle 19 categorie analizzate, con valori più alti nel 2023. I vincoli più importanti (o la mancanza di motivazione) erano che i bambini preferivano stare in casa, erano troppo occupati durante il loro tempo libero, preferivano attività basate sullo schermo e sentivano la mancanza di amici con cui giocare. Lo studio evidenzia che i bambini di oggi vivono in modo più istituzionalizzato, trascorrendo gran parte del tempo in contesti organizzati come scuola, doposcuola o attività strutturate. Il contatto con la natura e le interazioni con i coetanei avvengono quindi più spesso in ambienti controllati, che non in modo spontaneo. I cambiamenti sociali e gli stili di vita moderni stanno riducendo sia il tempo disponibile sia la motivazione al gioco libero all'aperto, che viene sempre più sostituito da attività organizzate, al chiuso o digitali. In sintesi, si osserva un passaggio da un' infanzia spontanea e indipendente a una quotidianità più strutturata, tecnologica e distante dalla natura. I limiti sono la differenza numerica tra i campioni del 2013 e del 2023, i dati basati su interviste dei genitori soggette a bias percettivi, l'assenza di informazioni su attività indoor e sul contesto pandemico, ed il campione leggermente sbilanciato.

Tra i punti di forza troviamo il confronto longitudinale unico a dieci anni di distanza con metodologia coerente, l'ampia rappresentatività nazionale, l'analisi dettagliata di 19 barriere al gioco all'aperto e le capacità di evidenziare cambiamenti socio-culturali utili per orientare politiche educative e sanitarie a favore del benessere infantile. ° Gundersen, V. et al: Children's Nature Use and Related Constraints: Nationwide Parental Surveys from Norway in 2013 and 2023. International Journal of Environmental Research and Public Health, 22(7), 1067.

2. Natura e mente: una meta-analisi sul legame tra connessio-

ne con la natura e benessere psicologico Il contatto con gli ambienti naturali è fondamentale per favorire un legame psicologico tra individuo e ambiente, con un impatto positivo e ampiamente documentato sulla salute mentale.

Gli autori di questo studio hanno condotto una meta-analisi per esaminare le relazioni tra connessione e contatto con la natura e i relativi esiti psicologici positivi. Sono stati inoltre analizzati gli effetti moderatori di variabili come sesso, età, area geografica, metodo di raccolta dei dati, strumenti di misurazione, durata e tipologia del contatto con la natura. Sono stati selezionati 70 studi pubblicati tra il 2013 e il 2024, di cui 68 articoli peer-reviewed e 2 tesi, con campioni compresi tra 102 e 4.960 partecipanti.

Le ricerche coprono un ampio spettro di età, ma la maggior parte dei campioni è costituita da adolescenti e giovani adulti (età media tra 18 e 35 anni). Una quota minore di studi riguarda bambini e adolescenti sotto i 18 anni, solitamente coinvolti in programmi scolastici o interventi educativi basati sulla natura. Gli studi sugli adulti includono partecipanti universitari, lavoratori, genitori e anziani, con età media fino a circa 65 anni. Sebbene la meta-analisi non distingua in modo specifico gli effetti per fascia

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Ambiente e Salute

d'età, emerge che il legame con la natura favorisce il benessere psicologico in tutte le età, con un effetto leggermente più marcato nei giovani e negli adolescenti, per i quali l'esperienza diretta con l'ambiente naturale sostiene in modo particolare la regolazione emotiva e lo sviluppo del sé. In generale, i partecipanti con livelli più elevati di connessione con la natura hanno mostrato maggiore benessere psicologico e maggiore soddisfazione per la vita. L'area geografica è risultata un moderatore significativo della relazione tra natura, benessere e senso della vita: gli studi condotti in Asia hanno infatti riportato effetti più consistenti rispetto a quelli realizzati in altre regioni. Nel complesso, questi risultati evidenziano l'importanza del legame con la natura come fattore di salute mentale e di qualità della vita, sottolineando la necessità di promuovere il contatto regolare con ambienti naturali sin dall'infanzia e lungo tutto l'arco della vita. ° Qing Zeng et al: The relationships between nature connectedness, nature contact, and positive psychological outcomes: A meta-analysis, Journal of Environmental Psychology, Volume 105, 2025, 102675, ISSN 0272-4944.

3. Natura e cervello in crescita: evidenze da una coorte nazio-

nale statunitense di bambini del programma Medicaid L'esposizione agli spazi verdi è associata alla salute mentale dei bambini, ma il suo impatto sullo sviluppo neurologico è stato poco studiato, soprattutto nelle popolazioni svantaggiate dal punto di vista socioeconomico. Questo studio ha esaminato il legame tra l'esposizione agli spazi verdi prima, durante e dopo la gravidanza e i ritardi nello sviluppo neurologico dei bambini iscritti al programma Medicaid [1]. Questo studio di coorte ha arruolato 1.841.915 coppie madre-figlio (dati del Medicaid Analytic Extract (MAX) dal 2001 al 2014), con un follow-up fino a 14 anni. La popolazione delle donne in gravidanza iscritte al Medicaid è caratterizzata da un'età più giovane, diversità razziale ed etnica, livelli di reddito più bassi e include individui con disabilità. L' esposizione agli spazi verdi è stata stimata tramite l'indice di vegetazione normalizzato (NDVI), calcolato in base al codice postale di residenza materna. Sono stati considerati tre periodi chiave: prima del concepimento, durante la gravidanza e nei primi anni di vita del bambino, per individuare le finestre di sviluppo più sensibili. Ogni periodo è stato analizzato sia separatamente sia tenendo conto delle sovrapposizioni tra le diverse fasi di esposizione, così da valutare in modo più preciso l'effetto complessivo del contatto con il verde. I risultati dello sviluppo neurologico hanno incluso disturbi dello spettro autistico (ASD), disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD), disturbi dell'apprendimento, disturbi del linguaggio e della parola, disturbi della coordinazione, disabilità intellettive e disturbi comportamentali. Dai risultati sono emerse associazioni protettive tra l'esposizione agli spazi verdi e l'insorgenza della maggior parte dei disturbi dello sviluppo neurologico. Le associazioni più forti sono state osservate per l'esposizione preconcezionale e la disabilità intellettiva (HR 0.66 [95 % CI: 0.48–0.95]), l'esposizione durante la gravidanza e l'ASD (HR 0.83 [95 % CI: 0.73–0.95]) e l'esposizione postnatale per le difficoltà di apprendimento (HR 0.81 [95 % CI: 0.68–0.97]) per intervallo interquartile (IQR = 0.12) di aumento dell'NDVI. Gli effetti protettivi sono risultati più forti per i bambini neri/ispanici e per quelli che vivevano in aree urbane. Si tratta di uno studio di grande scala e solidità metodologica, che rafforza le evidenze sul ruolo protettivo dell'amPagine elettroniche di Quaderni acp

biente verde nello sviluppo neurologico infantile, pur con i limiti legati alla misurazione indiretta e alla natura osservazionale dei dati. Gli autori concludono che se le relazioni osservate fossero causali, gli investimenti a livello locale per aumentare gli spazi verdi accessibili potrebbero ridurre il peso dei ritardi nello sviluppo neurologico sulla popolazione. ° Choi HM et al: Preconception, prenatal and early childhood exposure to green space and risk of neurodevelopmental delays: a national cohort study among Medicaid enrollees. Environ Int. 2025 Aug;202:109666. doi: 10.1016/j.envint.2025.109666. Epub 2025 Jul 5. PMID: 40639188; PMCID: PMC12380237.

1. Medicaid: programma federale sanitario degli Stati Uniti d'America che provvede a fornire aiuti agli individui e alle famiglie con basso reddito salariale

Psicologia ambientale

1. ▶ Bambini e cambiamento climatico: come la comunicazio-

ne dei genitori ne influenza la comprensione e l'importanza percepita Lo studio ha analizzato la comprensione e l'importanza percepita (salienza) del cambiamento climatico globale (GCC) nei bambini di 5–8 anni, e ha valutato in che modo la percezione e la comunicazione dei genitori influenzino tali aspetti. È stato condotto uno studio quantitativo trasversale su 312 diadi genitore-bambino in Spagna. Gli autori hanno formulato tre ipotesi: 1) i bambini più grandi comprendono meglio e considerano più importante il GCC. 2) la percezione dei genitori riguardo al GCC è associata alla comprensione e all'importanza percepita nei figli. 3) la comunicazione dei genitori sul tema media questa relazione. Il campione era costituito da 312 diadi genitore-bambino (età media dei bambini = 6.5 anni; 53% femmine), la maggior parte proveniente da Madrid con età media dei genitori di 40.8 anni. Gli strumenti di misura usati sono stati: Climate Change Perception ovvero una scala per la percezione genitorale del GCC. La comunicazione genitore-figlio: frequenza autoriferita (ovvero quanto i genitori parlavano con i figli del cambiamento climatico) e interviste strutturate individuali e disegni su comprensione e importanza percepita del GCC nei bambini. I dati sono stati analizzati con metodi quali la regressione logistica binaria e i modelli di mediazione. I risultati hanno evidenziato che solo il 7.7% dei bambini ha menzionato spontaneamente il cambiamento climatico come problema ambientale. Il 52.2% ha mostrato una comprensione di base del fenomeno. L'età e la comunicazione genitoriale sono fortemente correlate con una maggiore comprensione e importanza percepita. La percezione temporale dei genitori (cioè vedere il cambiamento climatico come un problema attuale, non lontano nel tempo) e la frequenza della comunicazione familiare predicono sia la comprensione che l'importanza percepita nei figli. Nessuna associazione significativa è emersa rispetto al genere del bambino, livello di istruzione, reddito o orientamento politico dei genitori. In sintesi, i bambini iniziano a comprendere il cambiamento climatico intorno ai 7 anni, ma raramente lo percepiscono spontaneamente come un problema ambientale. La comunicazione familiare e la percezione di urgenza da parte dei genitori svolgono un ruolo chiave nello sviluppo della consapevolezza e della comprensione

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Ambiente e Salute

nei figli. Età e dialogo in famiglia emergono quindi come fattori determinanti per promuovere una educazione ambientale precoce. Le implicazioni per la pratica educativa suggeriscono che, nei bambini sotto i 7 anni, è preferibile proporre esperienze concrete e sensoriali, evitando spiegazioni troppo astratte. I programmi di educazione ambientale dovrebbero coinvolgere attivamente i genitori, fornendo strumenti e un linguaggio adeguato ad affrontare il tema del cambiamento climatico. Inoltre, le campagne educative dovrebbero enfatizzare l'urgenza e l'attualità del problema, contrastando la percezione che si tratti di una minaccia lontana nel tempo. I limiti dello studio sono il disegno cross-sezionale, che non consente di stabilire relazioni causali; un campione non rappresentativo, con prevalenza di famiglie urbane e genitori con alto livello di istruzione; la possibilità di bias da autovalutazione nei questionari compilati dai genitori. ° Marta Carballo-Losada et al: Young children's global climate change salience and comprehension: The effect of parental perception and communication. Journal of Environmental Psychology, vol. 105, 2025. DOI: 10.1016/j.jenvp.2025.102656.

2. Eco-ansia: compromissione o attivazione? Il ruolo della

mindfulness (accettazione) e della regolazione emotiva Negli ultimi anni l'eco-ansia è diventata una delle emozioni più diffuse nel rapporto tra l'essere umano e la crisi climatica. Sempre più persone, soprattutto giovani, sperimentano sentimenti di angoscia, impotenza e preoccupazione di fronte agli eventi meteorologici estremi e alla percezione di un futuro incerto.

Tuttavia, non è ancora chiaro perché per alcuni l'eco-ansia si traduca in sofferenza psicologica, mentre per altri diventi un motore di attivazione e impegno climatico. Per comprendere meglio questi processi, due studi hanno analizzato i fattori psicologici e le strategie emotive che modulano l'impatto dell' ansia climatica. Nel primo studio, condotto su 217 partecipanti, è emerso che essere donna, avere vissuto in prima persona eventi climatici estremi e possedere un forte attaccamento al proprio territorio sono condizioni associate a livelli più alti di disagio legato all' eco-ansia. Al contrario, un reddito più elevato e una maggiore capacità di accettazione (mindfulness) sembrano ridurre l'impatto psicologico dell'ansia climatica, suggerendo un effetto protettivo della mindfulness intesa come accoglienza non giudicante delle emozioni difficili. Il secondo studio, condotto su 453 partecipanti tedeschi, ha approfondito il ruolo delle strategie di regolazione emotiva e la loro influenza su due esiti apparentemente opposti: disagio e attivismo climatico. Anche in questo caso la mindfulness (accettazione) è risultata un fattore di resilienza, capace di attenuare la relazione tra ansia climatica e compromissione psicologica. Interessante è il ruolo della regolazione emotiva integrativa, ossia la capacità di elaborare e dare senso alle proprie emozioni. Questa strategia, pur associandosi a un aumento temporaneo del disagio, si è rivelata anche un predittore dell'impegno attivo, indicando che chi riesce a comprendere e integrare le proprie emozioni tende a canalizzare l'eco-ansia in azioni costruttive a favore dell'ambiente. La mindfulness e la regolazione integrativa agiscono dunque in modo diverso ma complementare: la prima aiuta a ridurre l'impatto emotivo negativo dell' eco-ansia, favorendo equilibrio e consapevolezza; la seconda trasforma l'energia dell'ansia in motivazione e attivismo. Al contrario, la soppressione emotiva - ovvero l'evitamento o il tentativo di ignorare l'ansia - non porta benefici duraturi e può ostacolare

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l' elaborazione del vissuto emotivo. Nel complesso, questi studi mettono in luce la complessità del legame tra emozioni, coping e azione climatica. Coltivare pratiche di mindfulness e regolazione emotiva integrativa potrebbe rappresentare un intervento psicologico efficace per aiutare le persone - e in particolare le nuove generazioni - a gestire l'eco-ansia in modo più sano, consapevole e trasformativo, capace di coniugare cura di sé e cura del pianeta.

Lo studio evidenzia la complessità dei processi di coping e regolazione emotiva, ma il disegno trasversale limita la comprensione della loro evoluzione nel tempo; strategie come mindfulness e soppressione emotiva mostrano effetti ambivalenti, indicando la necessità di studi longitudinali e sperimentali per chiarirne il ruolo e l'impatto. ° Marlis C. Wullenkord et al: Climate anxiety - impairment and/or activation? Exploring the roles of mindfulness and emotion regulation, Journal of Environmental Psychology, Volume 105, 2025, 102664, ISSN 0272-4944.

3. Dal disagio all'azione? Uno studio longitudinale su ansia

climatica, comportamenti ecologici e strategie di coping negli adolescenti finlandesi Il cambiamento climatico è fonte crescente di preoccupazione per gli adolescenti, che spesso sperimentano forme di “distress climatico” ovvero un insieme di emozioni difficili come ansia, senso di colpa e impotenza. Sebbene questo disagio possa motivare comportamenti ecologici, può anche diventare paralizzante. Lo studio ha esplorarato come distress climatico, comportamenti pro-ambientali e strategie di coping si influenzino reciprocamente nel tempo, analizzando in particolare le differenze individuali e i meccanismi interni di regolazione emotiva.

Lo studio ha coinvolto 684 adolescenti finlandesi (età 12–17 anni) di 14 scuole, seguiti per tre anni consecutivi (2021–2023) con questionari annuali online. Sono state misurate: Climate change distress, attraverso item emotivi e cognitivi (es. preoccupazione e difficoltà di concentrazione); comportamenti pro-ambientali, come ridurre l'uso dell'auto o incoraggiare altri a scelte sostenibili; strategie di coping: affrontare direttamente il problema, trovare significato e speranza e minimizzare il problema.

L' analisi si è basata su modello cross-lagged con intercetta casuale (RI-CLPM) per distinguere i cambiamenti individuali nel tempo, da quelli medi di gruppo. Lo studio ha evidenziato che un maggiore distress climatico era associato a più comportamenti pro-ambientali; tuttavia, nel tempo, un aumento del distress prevedeva una diminuzione dei comportamenti ecologici un anno dopo, mentre un incremento dell'impegno ambientale portava a maggiore distress l'anno successivo. Le relazioni risultano quindi bidirezionali e complesse. Affrontare il problema direttamente si associava a più distress e più azioni ambientali, suggerendo che abbia un'azione motivante, ma che porti anche stress. Minimizzare il problema riduceva sia distress, che comportamento ecologico, indicando una strategia evitante. Trovare significato e speranza si è rivelato la strategia più protettiva: negli adolescenti che riuscivano a dare un senso positivo alle proprie emozioni legate al clima, il disagio (distress) non portava a un aumento dell'ansia nel tempo, ma al contrario stimolava comportamenti pro-ambientali. Il legame tra ansia climatica e azione ambientale non è lineare: può essere sia motore di cambiamento sia fonte di esaurimento emotivo. Promuovere nei giovani strategie di coping basate sul significato e sulla fiducia collettiva (es. speranza, Pagine elettroniche di Quaderni acp

Ambiente e Salute

senso di efficacia, cooperazione) può aiutarli a trasformare il disagio in impegno costruttivo. Il principale punto di forza dello studio è l'approccio longitudinale e l'analisi a livello intra-individuale; i limiti riguardano la misura auto-riferita e la presenza di pochi esempi pratici di comportamenti ecologici, poiché la scala comprendeva solo quattro item di basso impatto. ° Salla Veijonaho et al: From distress to action? – A three-wave longitudinal study of climate change distress, pro-environmental behavior, and coping strategies among Finnish adolescents, Journal of Environmental Psychology, Volume 105, 2025, 102676 ISSN 0272-4944.

4. ▶ Biomonitoraggio e benessere psicologico nelle comunità

esposte a PFAS in Veneto Lo studio ha analizzato l'esperienza dei cittadini veneti coinvolti nel programma di biomonitoraggio umano (HBM) nelle aree contaminate da PFAS, esplorando come la soddisfazione per il processo di biomonitoraggio influenzi la relazione tra preoccupazione per la salute e qualità della vita. Sono stati intervistati 84 adulti residenti nella “Red Area”, con età media di 43 anni. I risultati mostrano livelli elevati di preoccupazione per i rischi sanitari legati ai PFAS, soprattutto tra donne e genitori, e una soddisfazione solo moderata per il processo di monitoraggio. Tuttavia, una maggiore fiducia e chiarezza nella comunicazione dei risultati è associata a migliore qualità di vita percepita e minore impatto emotivo negativo. In sintesi, il biomonitoraggio non è solo uno strumento tecnico, ma anche una pratica relazionale e psicologica: quando è condotto con trasparenza, ascolto e partecipazione, può diventare un fattore protettivo per la salute mentale e la coesione comunitaria. Gli autori raccomandano che vi sia una formazione specifica del personale sanitario sulla comunicazione del rischio ed una integrazione del supporto psicologico nei programmi di salute pubblica, oltre ad approcci partecipativi (community-based participatory research) per coinvolgere attivamente le popolazioni esposte. ° Menegatto M et al.: Participant Experiences with Human Biomonitoring in Communities Affected by Chronic PFAS Environmental Contamination in the Veneto Region (Italy). International Journal of Environmental Research and Public Health. 2025; 22(8):1190.

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L’articolodelmese

Dolore da crisi vaso occlusive non complicate nel bambino con drepanocitosi: maggiore aderenza alle linee guida = meno ricoveri Gwarzo I, Coleman KD, McKinley K., et al.

Opioid Timeliness in the Emergency Department and Hospitalizations for Acute Sickle Cell Pain JAMA Pediatr. 2025 Sep 2:e252967. doi: 10.1001/jamapediatrics.2025.2967.

Rubrica L’articolodelmese

Commento di Giuseppe Pagano Pediatra, Terapia Intensiva Pediatrica Ospedale Borgo Trento di Verona

La drepanocitosi è una emoglobinopatia che coinvolge 100.000 persone negli Stati Uniti. Fra i fattori che contribuiscono a influenzare la qualità di vita dei bambini affetti da questa patologia vi sono le crisi vasocclusive dolorose che spesso li portano, per l’ intensità del dolore, ad accedere presso il pronto soccorso pediatrico o generale. Spesso queste crisi dolorose sono motivo di accesso in PS in assenza di altri fattori come la chest syndrome o i sequestri splenici, quelle che vengono definite dagli autori dell’articolo come dolore da drepanocitosi “non complicata”. Di per sé per le sue caratteristiche questo tipo di dolore, proprio per la sua intensità e la scarsa risposta ad analgesici di primo livello a domicilio, viene già in triage etichettato come codice giallo quindi come una condizione da trattare con urgenza. Le linee guida internazionali [1-2] raccomandano in questi bambini il trattamento tempestivo del dolore entro 60 minuti dall’ ingresso in pronto soccorso con una re-dose in caso di bisogno entro 30-60 minuti dalla dose di attacco in base alla linea guida considerata. Nonostante queste raccomandazioni tuttavia l’aderenza a queste indicazioni continua ad essere non ottimale principalmente per i timori dei professionisti legati all’uso di oppioidi in età pediatrica soprattutto per la paura degli effetti collaterali (depressione respiratoria, ipotensione ecc). Un fattore da non sottovalutare è inoltre il rischio di oligoanalgesia legato spesso alla non valutazione adeguata del dolore e alla somministrazione di trattamenti analgesici non appropriati all’intensità e alla tipologia di dolore presentato dal bambino che accede in particolare in pronto soccorso generale [3].

Pain from uncomplicated vaso-occlusive crises in children with sickle cell disease: greater adherence to guidelines = fewer hospitalizations Sickle cell disease is a hemoglobin disorder that affects 100,000 people in the United States. Among the factors that contribute to influencing the quality of life of children affected by this disease are painful vaso-occlusive crisis, which often lead them to seek treatment at pediatric or general emergency rooms due to the intensity of the pain. These painful crises which the authors of the article refer to as “uncomplicated” sickle cell pain. Are often the reason for visiting the ER in the absence of other factors, such as chest syndrome or splenic sequestration, Due to its characteristics, this type of pain, due to its intensity and poor response to first-line analgesics at home, is already labeled as a “yellow code” in triage. International guidelines [1-2] recommend prompt treatment of pain in these children, within 60 minutes from admission to the emergency department. The recommendation considers a repeat dose, if ne-

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cessary, within 30-60 minutes of the initial dose. Despite these recommendations, however, adherence to these guidelines continues to be suboptimal, mainly due to professionals’ concerns about the use of opioids in children, especially the fear of side effects (respiratory depression, hypotension, etc.). Another factor that should not be underestimated is the risk of oligoanalgesia, often linked to inadequate pain assessment and the inappropriate administration of analgesic treatments for the intensity and type of pain presented by children who attend the general emergency room [3].

Scopo dello studio Gli autori dello studio affrontano il gap assistenziale relativo all’adeguatezza del trattamento del dolore acuto da crisi vaso-occlusiva non complicato, mediante uno studio osservazionale retrospettivo multicentrico che analizza i dati di un grosso database (PECARN- Pediatric Emergency Care Applied Registry Network) [4], relativi a 12 centri pediatrici statunitensi nel periodo gennaio 2019 - Dicembre 2020.

Metodi Vengono considerati per lo studio 9.233 accessi in pronto soccorso pediatrico relativi a una popolazione di 2.538 bambini di età inferiore ai 19 anni con anemia falciforme e crisi dolorosa acuta non complicata che accedevano presso i dipartimenti di emergenza pediatrica. Veniva confrontata l’ efficacia della modalità di somministrazione degli oppioidi per il trattamento del dolore moderato severo di questi pazienti, mettendo a confronto una popolazione di bambini che riceveva la prima dose entro 60 min dall’ingresso e una seconda dose entro 30-60 min dalla precedente confrontata con una popolazione di bambini nei quali la prima dose veniva somministrata dopo i 60 min dall’ingresso con una seconda dose somministrata dopo 30-60 minuti dalla precedente. L’esito principale considerato era il tasso di ricovero in ospedale conseguente all’episodio doloroso.

Risultati L’ analisi dei dati ha mostrato che su un totale di 9.233 accessi in PS di bambini con drepanocitosi, per crisi dolorosa acuta non complicata nel 54.4% di questi ne conseguiva un ricovero.

I bambini che ricevevano la prima dose di oppioide entro i 60 minuti venivano ricoverati di meno (OR 0.64%; IC 95%, 0.750.95). Fra i 7.853 accessi che richiedevano due dosi di oppioide la tempestività fra le due dosi era fortemente associata a una ri-

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L’articolodelmese

duzione dei ricoveri con il beneficio più grande visibile in coloro che ricevevano la prima dose entro 60 min dall’ingresso e la seconda entro 30 min dalla precedente (OR 0.62; IC 95%, 0.520.75) come indicato dalle linee guida sull’argomento. Le probabilità ridotte di ricovero persistevano, anche se in misura minore, quando la seconda dose veniva somministrata entro 45 minuti (OR 0.70; IC 95%, 0.59-0.83) o a 60 minuti dalla dose iniziale (OR 0.78; IC 95%, 0.67-0.92).

Pediatr Emerg Care 2004 Apr;20(4):228-32 4. Alpern ER et al. “Pediatric Emergency Care Applied Research Network. Epidemiology of a pediatric emergency medicine research network: the PECARN Core Data Project” Pediatr Emerg Care 2006 Oct;22(10):689-99

Commento

La realtà italiana per la fascia di popolazione analizzata nello studio prevede l’accesso in PS pediatrico solo in una minoranza dei casi poiché la gran parte dei bambini nel nostro paese accede al pronto soccorso generale con consulenza pediatrica quindi senza accesso diretto. La paura nella somministrazione di oppioidi in caso di dolore moderato severo continua ad essere una causa di inadeguatezza del trattamento del dolore che porta il medico a discostarsi spesso dalle stesse linee guida specifiche. Spesso il rischio maggiore è l’assenza di una valutazione non appropriata che porta alla somministrazione di farmaci non adeguati all’intensità e alla tipologia di dolore presentato dal bambino, con il rischio ancora peggiore di oligoanalgesia. Detto questo, seppur con i limiti di uno studio retrospettivo, di un setting quale quello statunitense ristretto e costituito da centri di 3 livello, quindi con risultati non facilmente traslabili ad altre realtà assistenziali e soprattutto a quella italiana, le conclusioni degli autori devono portare a riflettere sull’adeguatezza del trattamento del dolore in questa popolazione di bambini che ricorre al pronto soccorso e che richiede spesso l’ utilizzo precoce di oppioidi come step iniziale, per un trattamento adeguato delle crisi dolorose. La riflessione va fatta soprattutto rispetto alle barriere presenti, anche nella realtà italiana, quali la carenza di personale che valuti per tempo, mediante scale algometriche adeguate, il dolore del bambino all’ingresso in triage e dopo la somministrazione di analgesici. Un altro grosso limite è la paura dei medici, pediatri e non, nella somministrazione di oppioidi in particolare nella fascia di popolazione pediatrica, paura assolutamente risolvibile mediante l’adozione di protocolli di trattamento del dolore. Da questo studio emergono tuttavia anche alcuni limiti: non viene riportata la presenza di una osservazione breve intensiva all’interno degli ospedali coinvolti e quindi i tempi di dimissione di questi bambini dal pronto soccorso pediatrico verso il proprio domicilio, non vi è menzione dei bambini dimessi che tornano entro le 24h successive dalla dimissione in pronto soccorso per lo stesso problema e non vengono specificati inoltre i dati relativi ai dosaggi utilizzati con le relative risposte in termini di scale algometriche.

Sicuramente però emerge fortemente come un trattamento adeguato e tempestivo del dolore acuto moderato severo in bambini con anemia falciforme e crisi vaso-occlusiva non complicata che accedono in pronto soccorso, ha una ripercussione significativa sui tassi di ricovero di questi pazienti.

1. Brandow AM, Carroll CP, Creary S, et al.American Society of Hematology 2020 guidelines for sickle cell disease: management of acute and chronic pain. Blood Adv. 2020;4(12):2656-2701.

2. National Heart, Lung, and Blood Institute.Evidence-based management of sickle cell disease:expert panel report, 2014. Accessed November 6,2024.

3. Cimpello et al. “Practice pattern of pediatric versus general emergency physicians for pain management of fractures in pediatric patients.”

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Nutrizione

Nutrizione News

n.15 agosto - settembre 2025

A cura di Sergio Conti Nibali Gruppo ACP "Nutrizione" Prosegue in questo numero la rubrica sulla nutrizione pediatrica curata del gruppo nutrizione dell'Associazione Culturale Pediatri. Il gruppo sorveglia 22 riviste scientifiche internazionali tra le più qualificate in base a criteri EBM, per diffondere i risultati degli articoli più rilevanti in materia di nutrizione infantile. Su queste pagine verranno riassunti sinteticamente i principali articoli pubblicati nelle riviste monitorate. Tutti gli articoli e gli editoriali pubblicati e ritenuti degni di attenzione vengono elencati divisi per argomento, con un sintetico commento. Questo numero si basa sul controllo sistematico delle pubblicazioni di agosto e settembre 2025.

La gran parte degli articoli selezionati in questo numero richiama, ancora una volta, l'attenzione di noi pediatri sull'importanza che riveste la nutrizione nella prevenzione di numerose malattie non trasmissibili e ci sollecita a intraprendere iniziative di advocacy per difendere i nostri bambini e le loro famiglie dai rischi di un'alimentazione inadeguata. Speriamo che il servizio che possa risultare utile ai lettori di Quaderni acp.

The section on pediatric nutrition edited by the Nutrition Group of the Associazione Culturale Pediatri continues in this issue. The group monitors 22 of the most highly qualified international scientific journals based on EBM criteria to disseminate the results of the most relevant articles on pediatric nutrition. On these pages, the main articles published in the monitored journals will be summarized briefly. All articles and editorials published and deemed worthy of attention are listed divided by topic, with a brief commentary. This issue is based on the systematic monitoring of publications for August and September 2025. The majority of the articles selected in this issue once again call the attention of us pediatricians to the importance of nutrition in the prevention of many noncommunicable diseases and urge us to undertake advocacy initiatives to defend our children and their families from the risks of inadequate nutrition. We hope that the service that may be useful to the readers of Quaderni acp.

Foto di Calum Lewis su Unsplash

NUTRIZIONE NEWS

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n.15 agosto - settembre 2025

Nutrizione

Nutrizione News Indice :: Allattamento 1.

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L'effetto delle condizioni di conservazione sulle cellule staminali mesenchimali nel latte materno: uno studio randomizzato Leffetto dell'uso di farmaci sulla prosecuzione dell'allattamento: una revisione sistematica con sintesi narrativa L'esperienza dei professionisti sanitari in un programma di formazione sull'allattamento Prima visita di medicina generale del neonato e le sue implicazioni per l'allattamento Efficacia del breast crawling su allattamento e ansia dopo un parto vaginale Gran Bretagna: esperienze e sfide nell'allattamento oltre il secondo anno Aiutare le madri adolescenti a prendere decisioni sull'alimentazione dei figli Valutazione dei piani di allattamento materno e degli ostacoli percepiti all'allattamento ottimale a Kumasi, Ghana Durata dell'allattamento: legami con la salute mentale e disturbi del comportamento in bambini americani tra 3-5 anni

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L'assunzione alimentare è associata ai biomarcatori di piombo, arsenico e cadmio in una coorte di adolescenti messicani 3. Prevenire la ricaduta dalla malnutrizione acuta: il ruolo dei determinanti sociodemografici, dell'alimentazione infantile, dell'assistenza sanitaria e degli interventi di prevenzione della malnutrizione in Burkina Faso e Mali 4. Effetto dell'aggiunta di latte a un programma di alimentazione scolastica con biscotti ad alta energia fortificati con micronutrienti in Yemen: uno studio controllato randomizzato a cluster 5. Alimentazione responsiva in accudenti sintonizzati con il proprio affetto e appetito 6. Sudafrica: aromatizzanti nei baby foods industriali 7. UK: ottimizzare l'alimentazione infantile nelle comunità Pakistane e Bengalesi 8. Come l'insicurezza alimentare influisce sull'alimentazione complementare nei paesi ad alto reddito nei periodi di crisi economica 9. UK: influenza dei fattori socioeconomici sul consumo di cibi ultra-processati 10. L'associazione tra debito medico e insicurezza alimentare tra le famiglie statunitensi con bambini

:: Prematurità 1.

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Un nuovo fortificante del latte materno per grandi prematuri Qual è la migliore strategia nutrizionale per i moderate preterm e i late preterm?

Un nuovo fortificante del latte materno per grandi prematuri La nutrizione neonatale del bambino nato pretermine in Inghilterra e Galles: uno studio retrospettivo di coorte Alimentazione esclusiva con latte materno e minor rischio di deficit motori a 3 anni di età corretta

:: Obesità 1.

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BMI dei bambini e rischio di sovrappeso in adolescenza Punti di vista adolescenziali e genitoriali sul peso e sulla gestione del peso: uno studio qualitativo Associazione tra obesità Infantile e il rischio di dipendenza da cibo: uno studio caso-controllo Predittori di riduzione ponderale in un programma di comunità multidisciplinare per bambini con sovrappeso e obesità: uno studio dall'Emilia-Romagna Predittori di riduzione ponderale in un programma di comunità multidisciplinare per bambini con sovrappeso e obesità: uno studio dall'Emilia-Romagna

:: Modelli alimentari 1.

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Associazione tra alimenti consumati a colazione e buone pratiche nello stile di vita dei bambini in età scolare Tempi di introduzione di alimenti altamente allergenici nell'alimentazione infantile e associazione con storia familiare di allergia in una coorte di popolazione del Regno Unito

:: Marketing 1.

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Come l'etichettatura degli alimenti commerciali per l'infanzia influenza le convinzioni dei genitori sul contenuto di zuccheri e le relative decisioni di acquisto e alimentazione: una scoping review Analisi del marketing di celebrità e influencer di alimenti e bevande rivolto agli adolescenti su Instagram Nuova Zelanda: i profitti hanno la meglio sulla salute Tailandia: esperienze e prospettive materne in relazione al marketing della formula

:: Miscellanea 1.

Effetti a lungo termine di un intervento di genitorialità responsiva sugli esiti ponderali dei bambini fino ai 9 anni Studio clinico randomizzato INSIGHT

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Riviste monitorate .. Archives of Diseases in Childhood .. Birth .. Breastfeeding Medicine .. British Medical Journal (con i vari open access) .. Early Human Development .. European Journal of Clinical Nutrition .. European Journal of Nutrition .. First Steps Nutrition Trust .. Frontiers in Nutrition .. International Breastfeeding Journal .. JAMA Pediatrics .. Journal of Pediatric Gastroenterology and Nutrition .. Journal of Pediatrics .. Journal of Perinatology .. Journal of Human Lactation .. Journal of Nutrition .. Maternal and Child Health Journal .. Maternal and Child Nutrition .. Nutrients .. Pediatrics .. Public Health Nutrition .. The Lancet

Revisione delle riviste e testi a cura di:

Giovanni Cacciaguerra, Natalia Camarda, Adriano Cattaneo, Angela Cazzuffi, Margherita Cendon, Nicoletta Cresta, Samuel Dallarovere, Giulia D’Arrigo, Cristina Di Berardino, Federica Garibotto, Ines L’Erario, Stella Lonardi, Samantha Mazzilli, Lorenzo Mottola, Angela Pasinato, Ilaria Polenzani, Giuseppina Ragni, Laura Rocca, Ilaria Sala, Annamaria Sapuppo, Vittorio Scoppola, Alessandra Turconi, Sara Uccella, Rosanna Vit.

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Nutrizione

Allattamento

1. L'effetto delle condizioni di conservazione sulle cellule sta-

minali mesenchimali nel latte materno: uno studio randomizzato Il latte materno ha numerosi benefici per la salute ben noti e comprovati; tuttavia, i meccanismi alla base di questi effetti non sono ancora ben definiti. Studi recenti hanno dimostrato che contiene cellule staminali mesenchimali (MSC), che potrebbero supportare sia la crescita che lo sviluppo dei neonati, oltre a fornire protezione da malattie acute e croniche. Questo studio si concentra sull'indagine dell'influenza di diversi metodi di conservazione sulle proprietà delle MSC derivate dal latte materno. Con una campionatura di 15 mL di midollo osseo da 17 madri partecipanti entro la prima settimana dal parto è stato isolato l'MSC e dopo la conservazione, le MSC sono state valutate per conta cellulare, vitalità ed espressione di marcatori specifici mediante citometria a flusso. Lo studio dimostra una riduzione della vitalità delle MSC nel midollo osseo quando refrigerato, nonostante le cellule sopravvissute abbiano mantenuto i loro marcatori di superficie caratteristici. ° Çetin E. et al. The Effect of Storage Conditions on Mesenchymal Stem Cells in Breast Milk: A Randomized Study. Breastfeeding Medicine, 28/07/2025.

2. L'effetto dell'uso di farmaci sulla prosecuzione dell'allatta-

mento: una revisione sistematica con sintesi narrativa Gli autori dello studio esaminano come l'uso di farmaci influenzi la decisione delle madri di continuare o interrompere l'allattamento. Lo studio è stato condotto tramite una revisione sistematica della letteratura, analizzando studi osservazionali pubblicati prevalentemente in Europa e Stati Uniti. Gli autori hanno evidenziato diversi risultati rispetto alla frequenza di interruzione dell'allattamento, ai fattori di influenza legati alla comunicazione medico-paziente e alla disponibilità di informazioni specialistiche. Interruzione dell'allattamento legata ai farmaci: molte madri interrompono l'allattamento per timore di effetti negativi dei farmaci sul neonato, anche in assenza di prove concrete. La revisione ha mostrato che fino al 58% delle donne con patologie croniche ha smesso di allattare a causa dell'uso di farmaci, mentre la percentuale scende al 18% considerando la popolazione generale. Influenza della comunicazione medico-paziente: lo studio ha evidenziato che molte decisioni di interrompere l'allattamento sono influenzate da informazioni incomplete o eccessivamente prudenti fornite dagli operatori sanitari. Spesso le madri ricevono consigli non aggiornati o basati su interpretazioni errate della letteratura. Carenza di risorse informative specialistiche: la mancanza di accesso a consulenze farmacologiche specialistiche è un problema ricorrente. In molti casi, le madri si affidano a fonti informali (social media, gruppi di supporto) per ottenere chiarimenti sui farmaci, mentre solo una minima parte riceve un indirizzamento a servizi di consulenza adeguati. Lo studio suggerisce che la disinformazione e l'ipercautela nell'uso dei farmaci durante l'allattamento portano a interruzioni evitabili dell'allattamento stesso. Questi risultati evidenziano la necessità di migliorare la formazione degli operatori sanitari e di creare risorse facilmente accessibili per le madri che assumono farmaci.

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In sintesi, l'articolo sottolinea l'importanza di fornire alle donne informazioni chiare e aggiornate sulla compatibilità dei farmaci in corso di allattamento, per evitare decisioni basate sulla paura e favorire la prosecuzione dell'allattamento nei casi in cui è sicuro. ° Pilgrim R et al. The effect of medication use on breastfeeding continuation: a systematic review with narrative synthesis. Int Breastfeed J 2025; DOI 10.1186/s13006-025-00756-y.

3. L'esperienza dei professionisti sanitari in un programma di

formazione sull'allattamento Gli autori esaminano le valutazioni dei professionisti sanitari (HCP) rispetto a un programma formativo sull'allattamento che coinvolge diverse figure professionali lungo tutto il percorso di cura. Lo studio è stato condotto in Svezia tra il 2018 e il 2019, con sessioni di formazione della durata di un giorno erogate in dodici date diverse, rivolte a ostetriche, infermieri, medici, psicologi e altri, operativi nei reparti maternità o nei centri di cura pediatrica. Gli HCP hanno espresso un aumento dell'interesse verso l'allattamento e hanno acquisito nuovi strumenti per supportarlo. Aspetti particolarmente apprezzati del training includevano i lavori di gruppo, la struttura della giornata formativa, il materiale informativo per i genitori, il contenuto ispiratore e le competenze pratiche acquisite. Il programma ha prodotto benefici trasversali, interessando tutte le figure professionali coinvolte. Ha rafforzato l'interesse verso l'allattamento e dotato i partecipanti di risorse utili per sostenere le madri. Tuttavia, gli autori segnalano una limitazione: la scarsità di partecipazione da parte dei medici, indicata come un ostacolo potenziale a cambiamenti duraturi. Lo studio suggerisce che per promuovere un supporto efficace all'allattamento è cruciale facilitare la partecipazione di tutti i membri della catena di cura. In particolare, la mancata inclusione dei medici può limitare l'impatto a lungo termine delle iniziative formative. In sintesi, l'articolo mette in luce l'efficacia di un programma formativo interdisciplinare sull'allattamento nel rafforzare motivazione, conoscenze e strumenti negli HCP. Ma sottolinea anche la necessità di coinvolgere tutte le figure professionali, medici inclusi, per garantire un cambiamento reale e duraturo nel supporto all'allattamento. ° Cato K et al. Experiences of healthcare professionals in a breastfeeding training program. Int Breastfeed J 2025; DOI 10.1186/s13006-02500760-2, Agosto 2025.

4. Prima visita di medicina generale del neonato e le sue im-

plicazioni per l'allattamento Gli autori dello studio esaminano l'impatto della tempistica della prima visita di cure primarie sul mantenimento dell'allattamento esclusivo (EBF) al primo mese di vita. Lo studio è stato condotto in Spagna tra novembre 2023 e gennaio 2024, usando dati raccolti tramite una rete di pediatri. Questi dati sono stati confrontati con quelli di un'indagine simile svolta nel 2014. Prime visite ritardate: nel 2024 la prima visita si è svolta in media 9.3 ± 6.1 giorni dopo la dimissione, rispetto ai 10.7 ± 6.3 giorni del 2014.

L'EBF al momento della prima visita è sceso leggermente dal 63.1% nel 2014 al 62.6% nel 2024. Determinanti dell'EBF al primo mese: nel 2024 la prevalenza di EBF al mese era del 55% (IC

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Nutrizione

95% 52.7–57.3%). L'esperienza pregressa di allattamento materno si è confermata il predittore più forte (AOR 14.61; IC 95 % 5.04–42.33). Effettuare la prima visita entro i 7 giorni di vita era associato a migliori tassi di EBF in analisi univariate (OR 1.34; IC 95% 1.17–1.53), ma l'associazione non è risultata significativa nelle analisi multivariate (AOR 0.90; IC 95% 0.47–1.74). Conseguenze e raccomandazioni: la prima visita pediatrica in Spagna avviene troppo tardi rispetto alle raccomandazioni nazionali e internazionali. I tassi di EBF sono diminuiti nell'ultimo decennio, nonostante un lieve miglioramento nella tempistica delle visite. L'esperienza di allattamento della madre emerge come fattore chiave. Una visita precoce sembra utile per sostenere l'EBF, ma il suo effetto è probabilmente mediato da altri fattori. In sintesi, l'articolo evidenzia l'importanza della visita pediatrica nei primi giorni di vita del neonato come opportunità per sostenere l'allattamento esclusivo al primo mese, ma sottolinea la necessità di intervenire su più fattori, non solo sulla tempistica, per ottenere risultati duraturi. ° Comino Vázquez P et al. First primary care visit of the newborn and its implications for breastfeeding. Int Breastfeed J 2025; DOI 10.1186/ s13006-025-00758-w, Agosto 2025.

5. Efficacia del breast crawling su allattamento e ansia dopo

un parto vaginale Questo articolo descrive i risultati di un trial randomizzato e controllato condotto in Cina per comparare il breast crawling con le raccomandazioni ufficiali per il post parto delle associazioni professionali del paese. L'intervento di breast crawling è così descritto: il neonato è immediatamente pulito con un asciugamano (senza pulirne le mani) e valutato per l'APGAR; è subito messo in posizione prona sull'addome della madre, con la testa tra i seni, gli occhi all'altezza del capezzolo, il viso rivolto da un lato e le dita dei piedi che toccano la sinfisi pubica della madre; le braccia e le gambe sono piegate "a rana"; la madre sostiene il bambino con una mano sulla schiena e l'altra sotto i piedi; al neonato si concede tempo sufficiente per raggiungere il capezzolo in modo autonomo e completare almeno una poppata efficace; dopo 90 minuti, le ostetriche forniscono le cure di routine.

Così è descritto l'intervento nel gruppo di controllo: dopo aver eliminato le secrezioni delle vie respiratorie, il neonato è messo su un riscaldatore radiante per il clampaggio tardivo del cordone ombelicale, l'asciugatura, la pesatura, l'impronta del piede, l'applicazione del braccialetto e la vestizione con un cappellino; dopo l'espulsione della placenta e la gestione del canale del parto, circa 30 minuti dopo la nascita, il neonato è messo accanto alla madre in posizione laterale e con le guance vicino al capezzolo per 90 minuti di contatto pelle a pelle; quando appare il riflesso di ricerca, la madre lo aiuta ad attaccarsi al capezzolo spostando lo stesso vicino alla bocca del neonato. Un totale di 295 coppie madre-neonato sono state reclutate e randomizzate all'intervento (149) e al controllo (146). In comparazione con quest'ultimo, nel gruppo di intervento sono stati più alti in maniera statisticamente significativa i tassi di allattamento esclusivo a 24 ore (65.1% vs. 15.8%), a 3 giorni (58.4% vs. 24.7%), a un mese (57.7% vs.

45.9%)e a 6 mesi (47.0% vs. 11.6%), oltre ad altri punteggi indicanti la tempistica, la qualità e il successo dell'attacco al seno. È anche diminuito il tempo per l'inizio della montata lattea (23.65

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vs. 49.38 ore) e sono migliorati i punteggi per l'ansia e l'attitudine per continuare ad allattare. Gli autori raccomandano di adottare il breast crawling al posto delle raccomandazioni ufficiali. ° Lingling H et al. Efficacy of Breast Crawling on Breastfeeding Outcomes, Knowledge, Attitudes, and Anxiety Status After Term Vaginal Birth: A Randomized Controlled Trial. Matern Child Nutr 2025;e70063.

6. Gran Bretagna: esperienze e sfide nell'allattamento oltre il

secondo anno Come si sa, l'OMS raccomanda di allattare per due anni e oltre.

I benefici sono noti. Come mai le madri che seguono queste raccomandazioni sono poche, particolarmente in Gran Bretagna?

Per cercare una risposta a questo quesito, questo studio qualitativo ha esplorato l'esperienza di 12 donne che le seguivano con interviste semi-strutturate secondo i metodi standard in uso in questo tipo di ricerca. Dalle risposte, si deduce che per queste madri l'allattamento prolungato era parte di una filosofia di vita, di uno stile prescelto di genitorialità e di allevamento dei figli, con un impatto che va ben oltre la nutrizione. L'allattamento le aiuta a migliorare il legame e a consolare, calmare e rassicurare i figli. Le intervistate hanno riportato ostacoli e stigma, soprattutto per l'allattamento in pubblico o per la disapprovazione da parte di familiari e amici. Lamentano anche la scarsità di informazione e sostegno da parte del personale sanitario. Nonostante queste sfide, queste madri esprimono il desiderio di rappresentare un esempio per altre, al fine di normalizzare l'allattamento prolungato. Una nota finale riguarda il quando smettere, se lasciare che siano i figli a decidere o se dare priorità alle decisioni della madre sul proprio corpo. ° Morgan J et al. Exploring the Experiences and Challenges of Breastfeeding Beyond 2 Years in the United Kingdom: A Qualitative Study. Matern Child Nutr 2025;e70072.

7. Aiutare le madri adolescenti a prendere decisioni sull'ali-

mentazione dei figli Attorno al momento del parto, le adolescenti potrebbero incorrere in dubbi e difficoltà al momento di decidere come nutrire i figli, per mancanza di informazioni, di autonomia decisionale o di sostegno da familiari e personale sanitario. Obiettivo di questa sintesi qualitativa della letteratura era esplorare le esperienze di queste madri e il possibile ruolo del personale sanitario. Una ricerca sistematica della letteratura ha permesso di selezionare 51 studi sull'argomento, tra oltre 10mila articoli, condotti in 17 paesi di tutti i continenti. Tra i 51 studi, 41 erano qualitativi, 10 misti. I quattro temi che se ne ricavano sono: 1. l'autonomia della decisione e il ruolo sulla stessa delle relazioni con altre persone.

In generale, l'autonomia era maggiore prima del parto che dopo, e con i familiari più che con il personale sanitario, spesso descritto come paternalistico. 2. I cambiamenti nel corso del processo di decisione. Poche madri prendevano una decisione, se allattare o meno, e la mantenevano. Più spesso, cambiavano la loro decisione, in maggioranza dalla formula al latte materno, e meno viceversa. 3. L'auto efficacia delle madri adolescenti nell'allattamento. Maggiore prima che dopo il parto, e minore in quelle che cambiavano la decisione iniziale e avevano difficoltà con l'allatta-

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Nutrizione

mento. 4. Le esperienze di sostegno da parte del personale sanitario. Buoni, in generale, le informazioni e il sostegno ricevuti sia prima sia dopo il parto, ma a volte forniti in maniera frettolosa, poco comprensibile e discordante. In conclusione, si potrebbe migliorare, adattandosi ai bisogni della singola adolescente, evitando i giudizi e i paternalismi, e dando continuità al sostegno. ° Widyaningrum R et al. Supporting Adolescent Mothers to Make Infant Feeding Decisions: A Qualitative Evidence Synthesis. Matern Child Nutr, 2025;e70098.

8. Valutazione dei piani di allattamento materno e degli osta-

coli percepiti all'allattamento ottimale a Kumasi, Ghana Nonostante le prove schiaccianti dei benefici dell'allattamento al seno e del suo potenziale di riduzione della mortalità infantile, i tassi di allattamento sono bassi in molti paesi a basso e medio reddito come il Ghana. Attraverso uno studio con metodo misto tramite interviste faccia a faccia somministrate nel 2019 a pazienti incinte o con parto recente ricoverate in un centro di assistenza terziaria a Kumasi è stata eseguita un'analisi tematica semplice per identificare le ragioni delle preferenze del tipo di allattamento. Le partecipanti sposate avevano maggiori probabilità di avere piani di allattamento materno ottimali rispetto alle partecipanti non sposate. Non è stata riscontrata alcuna associazione tra piani di allattamento ottimali ed età, istruzione, religione e stato pre- o post-parto. Le ragioni per cui non si praticava un allattamento ottimale includevano preoccupazioni circa l'adeguatezza nutrizionale e il gradimento del latte materno da parte dei neonati, difficoltà logistiche, scarsa produzione di latte e problemi medici per la madre o il bambino. Il rafforzamento dei sistemi di sostegno familiare e il miglioramento dell'educazione dei pazienti potrebbero aumentare i tassi di allattamento in Ghana. ° Adwoa A. Baffoe-Bonnie et al. Assessing Maternal Breastfeeding Plans and Perceived Barriers to Optimal Breastfeeding in Kumasi, Ghana. Birth 18/09/202.

9. Durata dell'allattamento: legami con la salute mentale e di-

sturbi del comportamento in bambini americani tra 3-5 anni Questo studio trasversale ha utilizzato i dati del National Survey of Children's Health (NSCH) relativi al periodo 2016-2022, analizzando un campione di 40.280 bambini statunitensi di età compresa tra 3 e 5 anni. L'obiettivo primario era valutare l'associazione tra l'inizio e la durata di qualsiasi allattamento e specifiche condizioni di salute fisica, mentale e comportamentale. I risultati hanno indicato che l'inizio di qualsiasi allattamento era significativamente associato a minore probabilità di sviluppare patologie di tipo comportamentale (OR=0.76, IC 95%: 0.58 a 0.99). La correlazione con lo sviluppo di patologie psichiatriche risultava essere meno rilevante (OR=0.70, 95% CI: 0.48 a 1.02, p=0.067). Per quanto riguarda le condizioni di salute mentale (definite come ansia o depressione) invece, è stata riscontrata un'associazione meno forte anch'essa orientata verso una riduzione del rischio (OR=0.70, 95% CI: 0.48 a 1.02, p=0.067). Per contro, lo studio non ha rilevato associazioni significative tra l'inizio o la durata di qualsiasi allattamento materno con condizioni di salute fisica (asma, allergie, artrite, paralisi cerebrale, diabete, epilessia,

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condizioni cardiache o mal di testa gravi) in questo gruppo di età. Inoltre, gli Autori hanno dimostrato come una durata di circa 15 mesi di allattamento materno è risultata essere quella più fortemente associata al potenziamento della salute mentale e comportamentale dei bambini. Malgrado i limiti metodologici dello studio (disegno trasversale, dati raccolti tramite questionari somministrati ai genitori, i diversi fattori di confondimento), questo studio suggerisce che, sebbene le linee guida internazionali raccomandino l'allattamento fino a 2 anni o più, in contesti in cui l'allattamento esteso è difficile, focalizzarsi su una durata ottimale di circa 15 mesi può rappresentare un obiettivo pratico per massimizzare i benefici per la salute mentale e comportamentale dei bambini. ° Pan N, Li K-Y et al. Breastfeeding initiation and duration: links to physical, mental and behavioural health in US children aged 3–5 years. BMJ Nutrition, Prevention & Health 2025;0. doi:10.1136.

Prematurità

1. Un nuovo fortificante del latte materno per grandi prema-

turi Si tratta di un trial clinico randomizzato per comparare gli effetti di un nuovo fortificante del latte materno sulla crescita di neonati con peso alla nascita molto basso (tra 1.000 e 1.499 gr) ed età gestazionale inferiore a 32 settimane. Il trial è stato condotto tra il 2018 e il 2020 in nove terapie intensive neonatali europee (Francia, Gran Bretagna, Olanda, Germania). Quelli del gruppo di intervento hanno ricevuto il nuovo fortificante contenente lipidi (inclusi gli acidi docosaesaenoico e arachidonico), più proteine e meno carboidrati, mentre quelli del gruppo di controllo hanno ricevuto un normale fortificante a base di latte vaccino. In entrambi i gruppi, rispettivamente di 102 e 103 neonati, la durata del trattamento è stata di almeno 21 giorni. Si è trattato di un trial in doppio cieco di non inferiorità, nell'ipotesi che non vi fossero differenze di velocità di crescita nei due gruppi. E infatti la velocità media di crescita nei primi 21 giorni di vita è stata di 18.4 g/kg/die nel gruppo di intervento e di 18.4 g/kg/die nel gruppo di controllo. Nessuna differenza significativa nemmeno per lunghezza e circonferenza cranica, oltre che per tolleranza digestiva, frequenza e consistenza delle feci, e complicazioni mediche (come l'enterite necrotizzante). In conclusione il nuovo fortificante, prodotto e fornito da Nutricia/Danone (che ha anche finanziato il trial, oltre a infilare tre suoi dipendenti tra i 12 ricercatori), può essere usato al posto del vecchio. I prezzi dei due fortificanti non sono menzionati nell'articolo, ovviamente. ° Picaud JC et al. A novel human milk fortifier supports adequate growth in very low birth weight infants: a non-inferiority randomised controlled trial. Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed 2025;110:F512–F519.

2. Qual è la migliore strategia nutrizionale per i moderate

preterm e i late preterm?

Questo studio è stato effettuato su 532 moderate e late preterm (età gestazionale tra la 32° e la 35° settimana) di 5 ospedali in Nuova Zelanda; questi prematuri non erano affetti da malattie cromosomiche, genetiche e neurologiche, dovevano avere un ac-

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Nutrizione

cesso endovenoso e le loro madri intendevano allattare. Lo scopo dello studio è stato di capire se diverse strategie nutrizionali impattano sulla composizione corporea all'età di 4 mesi di età corretta (EC) e se le scelte nutrizionali influenzano le tempistiche di passaggio ad alimentazione enterale totale. I neonati sono stati assegnati in modo casuale a 8 combinazioni di tre interventi nutrizionali, contando anche l'assenza di interventi, la compresenza dei tre e la presenza di uno solo dei tre interventi: - nutrizione parenterale (NP) o destrosio e v; - integrazione di latte (donatrice, formula, latte materno); - esposizione al sapore e odore del latte prima di ogni gavage; I ricercatori hanno studiato: - la composizione corporea alla dimissione e a 4 mesi di EC; - gli apporti nutrizionali nelle prime due settimane di vita; - il tempo necessario per raggiungere la nutrizione enterale totale; - l'allattamento alla dimissione e a 4 mesi di EC; - l'accrescimento.

La percentuale di grasso a 4 mesi di EC è simile nei gruppi con NP e gruppi con alimentazione enterale così come la composizione corporea e la crescita a 4 mesi EC. Gli apporti calorici, proteici e lipidici nella prima settimana sono stati maggiori nei gruppi in cui i bambini assumevano NP e integrazione di latte. La strategia di esporre il pretermine a odori e sapori di latte non ha portato ad una riduzione dei tempi di raggiungimento della nutrizione enterale completa. I tempi necessari per il raggiungimento della nutrizione enterale totale e della suzione e per quanto concerne il successo dell'allattamento alla dimissione e a 4 mesi erano simili in tutti i gruppi di intervento. La valutazione contemporanea di più interventi è un punto di forza di questo studio; un punto di debolezza è invece rappresentato dall'assente comunicazione numerica dei risultati relativi alla composizione corporea, agli apporti, alle tempistiche, alla percentuale di prematuri allattati.

Il fatto che variando le procedure nutrizionali non variavano i parametri studiati e il successo dell'allattamento, ha consentito agli autori di affermare che, tenendo come target la volontà che più neonati possibile assumano latte materno, qualsiasi intervento nutrizionale, anche la supplementazione con formula o latte donato non interferisce in maniera significativa con l'allattamento. Pertanto è lecito nei prematuri moderate e late l'integrazione con latte donato o formula in attesa del latte materno. Il sostegno all'allattamento va pensato promuovendo l'educazione dei genitori, dei professionisti, una corretta consulenza all'allattamento e contatto pelle a pelle precoce e frequente, piuttosto che ideando peculiari interventi nutrizionali in questo particolare grande gruppo di prematuri (80-85% dei prematuri in tutto il mondo). ° A. Bhatnagar et al What is the best nutritional strategy for moderate to late preterm infants? Journal of Perinatology (2025) 45:1177-1179.

3. Un nuovo fortificante del latte materno per grandi prema-

turi Si tratta di un trial clinico randomizzato per comparare gli effetti di un nuovo fortificante del latte materno sulla crescita di neonati con peso alla nascita molto basso (tra 1.000 e 1.499 gr) ed età gestazionale inferiore a 32 settimane. Il trial è stato condotto tra il 2018 e il 2020 in nove terapie intensive neonatali europee (Francia, Gran Bretagna, Olanda, Germania). Quelli del gruppo

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di intervento hanno ricevuto il nuovo fortificante contenente lipidi (inclusi gli acidi docosaesaenoico e arachidonico), più proteine e meno carboidrati, mentre quelli del gruppo di controllo hanno ricevuto un normale fortificante a base di latte vaccino. In entrambi i gruppi, rispettivamente di 102 e 103 neonati, la durata del trattamento è stata di almeno 21 giorni. Si è trattato di un trial in doppio cieco di non inferiorità, nell'ipotesi che non vi fossero differenze di velocità di crescita nei due gruppi. E infatti la velocità media di crescita nei primi 21 giorni di vita è stata di 18.4 g/kg/die nel gruppo di intervento e di 18.4 g/kg/die nel gruppo di controllo. Nessuna differenza significativa nemmeno per lunghezza e circonferenza cranica, oltre che per tolleranza digestiva, frequenza e consistenza delle feci, e complicazioni mediche (come l'enterite necrotizzante). Conclusione: il nuovo fortificante, prodotto e fornito da Nutricia/Danone (che ha anche finanziato il trial, oltre a infilare tre suoi dipendenti tra i 12 ricercatori), può essere usato al posto del vecchio. I prezzi dei due fortificanti non sono menzionati nell'articolo, ovviamente. ° Picaud JC et al. A novel human milk fortifier supports adequate growth in very low birth weight infants: a non-inferiority randomised controlled trial. Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed 2025;110:F512–F519.

4. La nutrizione neonatale del bambino nato pretermine in

Inghilterra e Galles: uno studio retrospettivo di coorte Lo studio mirava ad accertare la prevalenza e i determinanti socio demografici e geografici dell'alimentazione esclusiva con latte della madre (MOM) nei neonati con età gestazionale < 34 settimane in Inghilterra e Galles. È stata condotta un'analisi di coorte retrospettiva su 90.730 neonati (dati del National Neonatal Research Database -NNRD-) durante il periodo compreso dal primo gennaio 2016 al 31 dicembre 2022. Nonostante i chiari benefici del latte materno sul ridurre l'incidenza di alcune patologie e sul miglioramento dello sviluppo neuro-cognitivo dei nati pretermine, questo studio ha evidenziato tassi di alimentazione esclusiva con MOM molto bassi: - solo 11.962 (13.2%) dei neonati sono stati alimentati esclusivamente con MOM (exclusive MOM fed) durante l'intera degenza in patologia neonatale, per contro circa il 9.9% (9.018 neonati) non ha mai ricevuto MOM (no MOM); - la prevalenza dell'alimentazione esclusiva con MOM era del 55% al giorno 14 con una progressiva riduzione al 34.7% al momento della dimissione.

Per quanto riguarda le caratteristiche socio demografiche materne lo studio ha evidenziato: 1) deprivazione sociale: l'associazione con exclusive MOM aumenta significativamente con la riduzione della deprivazione, essendo le probabilità di 2,16 volte superiori per il quintile meno deprivato rispetto al più deprivato (OR: 2.16; 95% CI 2.01 a 2.33); 2) età materna: la fascia di età che maggiormente si associava a exclusive MOM era tra 26-35 anni; 3) etnia: le madri asiatiche/asiatico-britanniche avevano probabilità inferiori di alimentazione esclusiva con MOM, rispetto alle madri bianche (OR 0.88; 95% CI 0.82 a 0.95).

L'analisi cross-sectional ha mostrato che una prevalenza più bassa di alimentazione esclusiva con MOM si è verificata tra i neonati di madri bianche, di età inferiore a 26 anni e più deprivate socialmente. Per quanto riguardo il livello di assistenza, i neonati

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Nutrizione

assistiti in unità di primo e secondo livello avevano probabilità inferiori di essere alimentati esclusivamente con MOM rispetto a quelli nelle unità di terapia intensiva neonatale di terzo livello.

Per quanto riguarda invece la distribuzione geografica, è stata riscontrata una netta divisione tra nord e sud, dove il sud risultava essere notevolmente svantaggiato nell'usare exclusive MOM. Lo studio conclude che l'offerta di MOM ai neonati pretermine è fortemente associata alle caratteristiche socio demografiche materne specifiche. I risultati ottenuti da questo studio inoltre suggeriscono che gli attuali servizi neonatali non riescono ad attenuare gli svantaggi imposti dalle caratteristiche socio demografiche durante le lunghe degenze ospedaliere.

Gli autori raccomandano di: - utilizzare le informazioni socio demografiche (conosciute prima della nascita) per dare un supporto intensivo alle famiglie a più alto rischio di non ricevere mai MOM; - migliorare i parametri di nazionali di qualità dell'assistenza perinatale, con l'obiettivo di raggiungere l'alimentazione esclusiva con MOM entro almeno il giorno 14 e di mantenerla fino alla dimissione. ° Ryan MS et al. Association between maternal sociodemographic characteristics and exclusive mother's own milk feeding in preterm infants: a cohort study using data from the National Neonatal Research Database. Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed. 2025 Aug 19;110(5):504-511. doi: 10.1136/archdischild-2024-327990.

5. Alimentazione esclusiva con latte materno e minor rischio

di deficit motori a 3 anni di età corretta È uno studio retrospettivo multicentrico effettuato su 1.058 prematuri con età gestazionale (EG) inferiore a 32 settimane nati tra 1/1/2018 e 31/8/2021 in tre TIN californiane. Di questi, 258 hanno assunto solo latte umano (HU) arricchito con fortificante a base di HU, con un apporto calorico significativamente più alto rispetto ai prematuri "non HU". Il gruppo che ha assunto esclusivamente HU appariva più svantaggiato dal punto di vista anamnestico: minor EG (mediana 27 sett contro le 30 del gruppo alimentato con formula), nonché percentili di peso e lunghezza significativamente inferiori, maggiore probabilità di avere emorragia intraventricolare per parto per via vaginale o Apgar più basso. I neonati venivano classificati come affetti da compromissione motoria se presentavano ipotonia e/o paralisi cerebrale e/o disturbo specifico della funzione motoria ai 3 anni di età corretta.

Per lo studio statistico, il rischio di compromissione della funzione motoria è stato presentato come odds ratio ed è stato rilevato che l'assunzione di HU risultava protettiva per gli esiti motori.

Questo, nonostante i dati anamnestici sfavorevoli già riportati.

Il latte umano influenza lo sviluppo neurologico attraverso vari meccanismi mediati dall'asse intestino-cervello. La lattoferrina, gli oligosaccaridi del latte umano (HMO), i LC-PUFA sono stati molto studiati: i primi due per le proprietà antinfiammatorie, gli HMO anche per gli effetti sul microbioma, gli LC-PUFA perchè componenti strutturali delle membrane cellulari e regolatori della funzione delle stesse. È auspicabile che studi futuri possano identificare con maggior precisione i componenti bioattivi di HU che influenzano favorevolmente il neurosviluppo. L'informazione sarebbe preziosa anche per quei prematuri che non possono accedere ad un'alimentazione con HU e che potrebbero avere vantaggi da una supplementazione ad hoc.

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° F Chou et al. Exclusive human milk diet is associated with lower risk of motor function impairment at three years of corrected age. Journal of Perinatology 45:1274-1280.

Obesità

1. Fattibilità ed efficacia di un intervento basato sui social

network per adolescenti sottoposti a trattamento per la perdita di peso: uno studio randomizzato controllato Gli interventi digitali possono influenzare positivamente i comportamenti legati alla salute negli adolescenti. Tuttavia, non è chiaro se interventi basati sui social network, come Facebook, possano ottimizzare il trattamento medico standard (TAU – Treatment As Usual) per l'obesità adolescenziale nei centri di sanità pubblica. Questo studio ha valutato la fattibilità, l'utilizzabilità e l'efficacia di APOLO-Teens, un intervento basato sulla Terapia Cognitivo-Comportamentale tramite Facebook, come supplemento al TAU, per modificare abitudini alimentari, livelli di attività fisica e funzionamento psicologico negli adolescenti in sovrappeso o obesi. Lo studio è stato condotto come trial randomizzato controllato (numero di registrazione: NCT04642222).

Sono stati coinvolti 135 adolescenti tra i 13 e i 18 anni (67.5% femmine), assegnati casualmente al gruppo di controllo TAU (n = 66) e al gruppo di intervento APOLO-Teens (n = 69). Gli esiti dell'intervento sono stati misurati all'inizio e alla fine del trattamento (dopo 6 mesi). L'analisi per protocollo ha incluso 77 partecipanti (gruppo di controllo = 39; gruppo di intervento = 38). Sono state utilizzate ANOVA miste a due vie per analizzare le variazioni intra- e inter-gruppo. L'intervento APOLO-Teens si è dimostrato fattibile (tasso di adesione: 85.5%) e il gruppo di intervento ha mostrato un aumento significativo nel consumo di frutta (F(1.35) = 6.99, p = 0.012; interazione significativa gruppo-tempo). Entrambi i gruppi hanno aumentato il consumo di verdure, ridotto l'assunzione di dolci/pasticceria, la sintomatologia depressiva, il comportamento alimentare disordinato (grazing), e il punteggio z del BMI (p < 0.05; interazione temporale significativa). In conclusione, l'intervento APOLO-Teens basato sui social network è risultato fattibile ed efficace, suggerendo che possa rappresentare un esempio di valido supporto complementare al trattamento standard per l'obesità adolescenziale. ° SM Ramalho et al. Feasibility and Effectiveness of a Social Network-Based Intervention for Adolescents Undergoing Weight Loss Treatment: A Randomized Controlled Trial. Nutrients 2025, 17, 2586.

2. BMI dei bambini e rischio di sovrappeso in adolescenza

Si tratta di uno studio condotto su coorti di bambini in Etiopia, India, Portogallo, Vietnam e Gran Bretagna. Gli autori hanno messo insieme oltre 12mila partecipanti reclutati alla nascita o nel primo anno di età, e seguiti ogni 2-4 anni in alcune coorti fino a 11 anni, in altre fino a 23. I dati antropometrici hanno permesso di calcolare il BMI per età e di classificare ogni bambino, alle diverse età, come sottopeso, normopeso, sovrappeso e obeso.

Per questa classificazione sono stati usati tre diversi standard di crescita: quelli dell'OMS (2007), quelli della IOTF (International Obesity Task Force, 2012), e quella di MULT (Multi-ethnic, Brasile, 2023), allo scopo di analizzare eventuali discrepanze tra

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Nutrizione

standard. Sesso, etnia e livello socioeconomico sono stati usati per aggiustare i risultati. La prevalenza di sovrappeso a 3.56, 6.5-9 e 9.5-13.5 anni di età era maggiore usando lo standard OMS (12.8-25.9%) rispetto a quello MULT (17.1-22.9%) e IOTF (13.0-19.3%). Ma le differenze non sono significative, per cui i tre standard ottengono praticamente gli stessi risultati. I bambini che aumentavano il loro canale di percentile BMI oltre 0.67 e fino a 0.86 avevano maggiori probabilità di essere in sovrappeso da adolescenti, in comparazione a quelli che si mantenevano sullo stesso canale di percentile o aumentavano di poco. Queste conclusioni possono essere utili nel monitoraggio individuale dell'andamento del BMI per età (qualsiasi sia lo standard usato), per poter intervenire con misure preventive contro il sovrappeso. ° de Oliveira MH et al. Overweight risk in early adolescence according to children's body mass index growth channeling changes in international growth standard/references. Public Health Nutr 2025;28:e14.

3. Punti di vista adolescenziali e genitoriali sul peso e sulla

gestione del peso: uno studio qualitativo Obiettivo dello studio era esaminare le opinioni degli adolescenti con eccesso di peso e dei genitori di adolescenti con eccesso di peso riguardo al peso e alla sua gestione. È stato utilizzato un disegno di studio qualitativo con interviste telefoniche semi-strutturate. Le interviste sono state registrate, trascritte parola per parola e analizzate utilizzando un'analisi tematica riflessiva per interpretare i dati. Sono stati reclutati genitori e adolescenti nel Regno Unito, tramite scuole, social media e centri giovanili. Hanno partecipato dieci genitori e sedici adolescenti. Sia i genitori che gli adolescenti hanno riportato che gli adolescenti sentivano la pressione sociale di raggiungere un 'corpo ideale' e che questa pressione era il principale motivatore per la perdita di peso. Tutti i genitori intervistati si percepivano come in sovrappeso; tuttavia, coloro che avevano una leggera vergogna legata al peso erano più propensi a normalizzare le discussioni sul peso, riducendo la vergogna legata al peso nei loro figli. Gli adolescenti preferivano che i genitori mostrassero comportamenti salutari piuttosto che avviare discussioni sul peso; tuttavia, volevano sentirsi supportati se le conversazioni fossero auto-iniziate. Il peso è un argomento delicato nelle relazioni intergenerazionali, principalmente guidato da sentimenti di vergogna. Gli adolescenti si sentono supportati da un approccio di 'mostrare e non raccontare' da parte dei genitori, che è più probabile che si verifichi in famiglie con minore vergogna. Sebbene le linee guida incoraggiano i medici a iniziare conversazioni legate al peso, questo potrebbe non essere ben accolto dagli adolescenti, anche se desiderano avere la certezza di poter accedere a un supporto per la gestione del peso se decidono di cercare aiuto. ° Little M, et al. Adolescent and parental views on weight and weight management: a qualitative study. Arch Dis Child 2025;110:630–635. doi:10.1136.

4. Associazione tra obesità Infantile e il rischio di dipendenza da cibo: uno studio caso-controllo Questo studio ha esaminato la possibile associazione tra l'obesità infantile e il rischio di dipendenza da cibo, esplorando anche le possibili correlazioni con il rischio di sviluppare disturbi alimentari e alterazioni dell'immagine corporea. Il lavoro è stato

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condotto su una popolazione pediatrica spagnola sull'isola di Tenerife, reclutando un campione finale di 62 bambini (età media 11 anni). Il disegno prevedeva un abbinamento 1:1 per età, suddividendo i partecipanti in 31 casi (obesità, definiti con BMI Z-score ≥ 2 SD) e 31 controlli (peso normale, BMI Z-score tra −1.00 e +0.99 SD). Le misurazioni degli outcome sono state effettuate utilizzando la Spanish Yale Food Addiction Scale for Children (S-YFAS-C) per la dipendenza da cibo, il Children Eating Attitudes Test (ChEAT-26) per stimare il rischio di disturbo del comportamento alimentare e la Contour Drawing Rating Scale (CDRS) per la valutazione dell'immagine corporea. I bambini con obesità hanno mostrato una media di sintomi di dipendenza da cibo superiore (2.06 ± 1.7 sintomi) rispetto ai controlli (1.61 ± 1.6 sintomi), sebbene questa differenza non sia risultata statisticamente significativa. La dipendenza da cibo è stata diagnosticata nel 32.3% dei casi obesi e nel 22.6% dei controlli, senza differenze significative tra i gruppi nella diagnosi binaria (p = 0.437). Tuttavia, un'analisi multivariata (MANOVA), utilizzata per valutare le differenze nel modello complessivo delle risposte ai 25 item della S-YFAS-C, ha rivelato differenze statisticamente significative tra i due gruppi (Pillai's Trace V = 0.748, p = 0.002).

Questo suggerisce che, nonostante la mancanza di significatività nei punteggi totali, potrebbe esistere un profilo comportamentale distinto nei bambini con obesità. Le differenze più notevoli sono state riscontrate nel criterio 2 (desiderio cronico o tentativi ripetuti di smettere di consumare) e nel criterio 5 (uso della sostanza nonostante la conoscenza delle conseguenze avverse) della S-YFAS-C. Non sono state invece riscontrate differenze statisticamente significative nel rischio complessivo di sviluppare disturbi del comportamento alimentare o nei punteggi medi del ChEAT-26 tra il gruppo obeso e quello a peso normale. Nonostante ciò, i dati hanno rivelato una correlazione positiva significativa nell'intero campione tra l'aumento del numero di sintomi di dipendenza da cibo e l'aumento dei punteggi di rischio di sviluppare disturbi del comportamento alimentare (p = 0.005).

In particolare, nei soggetti a peso normale, quelli con una diagnosi di dipendenza da cibo mostravano punteggi per disturbi alimentari significativamente più elevati rispetto a quelli senza (p < 0.001). Per quanto riguarda l'immagine corporea, sono state osservate differenze altamente significative. L'83.9% dei bambini obesi manifestava insoddisfazione per l'immagine corporea, rispetto al 9.7% dei controlli (p < 0.001). Inoltre, all'interno del gruppo obeso, i bambini con diagnosi di dipendenza da cibo mostravano un livello di insoddisfazione per l'immagine corporea superiore rispetto agli obesi che non presentavano tale problema (p = 0.023). In conclusione, i bambini con obesità presentano un numero più elevato di sintomi di dipendenza da cibo rispetto ai controlli a peso normale, questa si correla positivamente con un maggiore rischio di sviluppare disturbi alimentari e una maggiore insoddisfazione per l'immagine corporea. Le limitazioni metodologiche di questo studio includono la natura caso-controllo abbinata con un campione limitato (N=62), che impedisce l'inferenza di relazioni causali dirette. Inoltre, lo studio non ha valutato variabili confondenti cruciali come l'impulsività o la regolazione emotiva, e la sua generalizzabilità è limitata data la restrizione geografica e dall'intervallo molto ristretto di età (9-12 anni). ° Brito, N.B. et al. Association Between Childhood Obesity and the Risk of Food Addiction: A Matched Case-Control Study. Nutrients 2025, 17, 2654.

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Nutrizione

5. Predittori di riduzione ponderale in un programma di co-

munità multidisciplinare per bambini con sovrappeso e obesità: uno studio dall'Emilia-Romagna La prevalenza mondiale dell'obesità in età pediatrica e adolescenziale ha subito una quadruplicazione negli ultimi decenni, costituendo una priorità di sanità pubblica. Il presente lavoro si configura come una valutazione pre/post di un programma di sanità pubblica ("Bimbi in forma") implementato nella Regione Emilia-Romagna e mirato a ridurre l'eccesso ponderale attraverso un approccio comportamentale multidisciplinare centrato sulla famiglia. La popolazione in studio era costituita da bambini e adolescenti di età compresa tra 2 e 17 anni con eccesso di peso, che non avevano risposto alle cure standard. L'intervento prevedeva la somministrazione di 5 visite da parte di un team multidisciplinare, comprendente pediatra, dietista, specialista in medicina dello sport, kinesiologo e psicologo, nell'arco di un periodo di follow-up che variava da un minimo di 6 a un massimo di 24 mesi. Il campione finale ha incluso 1.331 partecipanti che hanno completato il follow-up a marzo 2025. La misura di esito primaria era la variazione media nel delta-BMI (la differenza tra il BMI standardizzato del bambino e la soglia di obesità in età adulta). L'intervento multidisciplinare è risultato associato a un impatto complessivamente positivo sullo stato ponderale: - riduzione ponderale: il 17.5% (n=233) dei soggetti ha manifestato un miglioramento nella classe di peso. Un dato clinicamente rilevante è che il 32.5% dei partecipanti ha registrato una riduzione del delta-BMI maggiore di 1 unità. La prevalenza dell'obesità è diminuita significativamente (dal 47.4% al 40.4%); - aderenza comportamentale: è stato osservato un miglioramento significativo in tutte le abitudini di vita analizzate alla quinta visita. L'aderenza all'attività fisica adeguata, in particolare, è aumentata drasticamente (dal 7.2% all'81.0%). L'aderenza a raccomandazioni quali colazione adeguata, consumo di frutta/ verdura e attività fisica sono risultate tutte positivamente e significativamente associate a una riduzione del delta-BMI. L'efficacia del programma variava in modo significativo in funzione di specifiche caratteristiche demografiche e cliniche basali, come evidenziato dalle analisi di regressione logistica multivariata: 1. classe di peso basale: i soggetti con obesità o obesità grave rispondevano molto meglio rispetto a quelli in solo sovrappeso.

L'essere in sovrappeso al basale era un predittore negativo di miglioramento della classe di peso (aOR: 0.28; p < 0.001) rispetto ai soggetti obesi. Nello specifico, i partecipanti in sovrappeso avevano una probabilità 3 volte inferiore di migliorare la classe di peso; 2. età: Il programma era significativamente più efficace nei soggetti più grandi di età (>8 anni). Gli adolescenti (12–17 anni) in particolare, mostravano un aOR di 2.21 (IC 95%: 1.54–3.17) per il miglioramento del delta-BMI, rispetto alla fascia dei bambini più piccoli (2–8 anni); 3. fattori familiari: avere almeno un genitore obeso era un predittore negativo di miglioramento della classe di peso nel bambino (aOR: 0.46; p = 0.002); 4. pratica della colazione: i soggetti che aderivano alla raccomandazione di una colazione adeguata avevano probabilità significativamente più alte di successo (aOR: 1.63 per miglioramento della classe di peso; p = 0.008); 5. durata del follow-up: un tempo prolungato tra la prima e la

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quinta visita (12 o più mesi) era associato a una probabilità significativamente inferiore di miglioramento del delta-BMI (aOR 0.54; p = 0.003).

I risultati indicano che l'efficacia del programma è fortemente influenzata dalle caratteristiche socio-demografiche e cliniche basali, suggerendo che le risorse potrebbero essere indirizzate ai bambini con obesità o obesità severa di età superiore agli otto anni. Tra i limiti metodologici, si annoverano la mancanza di un gruppo di controllo e l'utilizzo di strumenti di autovalutazione per le abitudini di vita, sovrastimando potenzialmente i miglioramenti comportamentali. ° Imperiali G et al. Predictors of Weight Reduction in a Multidisciplinary Community Program for Children with Overweight and Obesity: A Study from Emilia-Romagna, Italy. Nutrients. 2025 Sep 20;17(18):3015. doi: 10.3390/nu17183015.

Modelli alimentari

1. Associazione tra alimenti consumati a colazione e buone

pratiche nello stile di vita dei bambini in età scolare Saltare la colazione, un problema diffuso tra bambini e adolescenti, è stato associato a prestazioni scolastiche inferiori e a effetti negativi sulla salute a lungo termine. Tuttavia, si è prestata meno attenzione alle tipologie di alimenti consumati durante la colazione. Pertanto, questo studio mirava ad indagare l'associazione tra la varietà della colazione e le conoscenze, gli atteggiamenti e le pratiche alimentari (KAP) tra i preadolescenti. Lo studio ha coinvolto 1449 studenti delle classi 4ª–6ª della città di Zhongshan, nella provincia del Guangdong in Cina. I dati sono stati raccolti tramite indagine sul campo faccia a faccia, utilizzando un questionario validato, che includeva caratteristiche sociodemografiche e aspetti relativi a conoscenze, atteggiamenti e pratiche alimentari. Tra tutti i partecipanti, 1.315 hanno dichiarato di consumare la colazione quotidianamente. La diversità alimentare variava in modo significativo: l'8.8% consumava solo un tipo di alimento, il 52.9% ne consumava da 2 a 4 tipi, e il 38.3% ne consumava ≥5 tipi. Gli studenti che consumavano una maggiore varietà di alimenti a colazione presentavano modelli alimentari e di stile di vita più favorevoli. In particolare, coloro che consumavano ≥5 tipi di alimenti mostravano associazioni statisticamente significative con pratiche più salutari, tra cui: ridotto consumo di bevande zuccherate e snack notturni, maggiore aderenza alle linee guida alimentari, atteggiamenti più positivi verso il miglioramento delle abitudini alimentari, durata del sonno più lunga, maggiore partecipazione alla preparazione dei pasti, maggiore varietà nei piatti consumati e maggiore coinvolgimento in attività fisica quotidiana. La varietà nella colazione, in particolare quando il numero di tipologie alimentari consumate era ≥5, è risultata pertanto positivamente associata con buone abitudini nello stile di vita dei preadolescenti cinesi e può essere utilizzato come spunto di riflessione anche per le pratiche alimentari degli altri Paesi. ° S. Zhou et al. Association of Breakfast Food Types with Dietary Knowledge, Attitudes, and Practices Among School-Aged Children. Nutrients 2025, 17, 2424.

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Nutrizione

2. Tempi di introduzione di alimenti altamente allergenici

nell'alimentazione infantile e associazione con storia familiare di allergia in una coorte di popolazione del Regno Unito Questo studio si riferisce ad una raccolta dati effettuata tra il 2015 e 2017 a Portsmouth, che ha coinvolto 390 gravide e i loro bambini, con segnalazione delle loro caratteristiche socio-demografiche ed eventuale storia familiare di allergia. I questionari sulla dieta dei bambini sono stati effettuati a 6, 12 e 24 mesi di vita. Lo studio si è proposto di indagare il tempo e il tipo di alimenti introdotti nella dieta dei bambini e l'associazione tra storia familiare di allergia e modalità di introduzione dei vari alimenti.

Oltre il 50% dei neonati aveva un familiare affetto da pollinosi, il 28% un familiare affetto da allergia alimentare e il 38% un familiare affetto da asma. Il 15% dei genitori ha riferito di evitare di dare ai propri neonati determinati alimenti ai 6 mesi, il 16% a 12 mesi e il 10% ai 24 mesi. Gli alimenti più evitati sono stati yogurt e latticini, soia, uova, frutta a guscio e frutta (banana, fragola, arancia). L'età media per l'inizio dell'alimentazione complementare si è situata alle 22.7 settimane; la maggior parte degli alimenti altamente allergenici veniva introdotta tra i 6 e i 9 mesi. Il grano veniva introdotto prima degli altri alimenti allergenici. Circa un terzo dei neonati assumeva grano prima dei 6 mesi, quasi tutti assumevano grano prima dei 9 mesi e il 99% assumeva grano ai 2 anni. Anche per il pesce l'introduzione tra i 6 e i 9 mesi era praticata dal 63% delle famiglie e il 94% dei bambini mangiava pesce a 24 mesi. Non così accadeva per uova e frutta secca . La frutta secca è stata introdotta per ultima: a 9 mesi solo il 38% dei neonati la consumava. A 12 mesi il 35% dei bambini non aveva mai mangiato frutta secca. Anche per l'uovo si registra una certa titubanza: nonostante il 60% dei bambini assumesse uovo tra i 6 e i 9 mesi circa un quinto dei bambini non assumeva uova all'anno di vita. Non c'era differenza nell'epoca di introduzione dell'alimentazione complementare né nella varietà di alimenti consumati tra neonati con storia familiare di allergia e neonati con anamnesi muta. Tuttavia, a 6, 12 , 24 mesi sono state evidenziate diete evitanti cibi allergenici in misura maggiore nei bambini con storia familiare di allergia rispetto a quelli con anamnesi muta. Assieme a cibi classicamente ritenuti scatenanti sintomatologia allergica c'è anche la banana che in realtà non è tale. Il ritardo nell'introduzione dei cibi è causa di reazioni maggiori di allergia e questo dato è noto e comunicato dai sanitari alle famiglie anche nel Regno Unito. In questo studio osservazionale una percentuale discreta di famiglie non seguiva la raccomandazione di introdurre gli alimenti in epoca precoce. È auspicabile che ora, dopo 8 anni dalla conclusione dello studio, ci sia una consapevolezza maggiore di questa possibilità di riduzione della comparsa di sintomatologia allergica ottenuta con un approccio semplice e naturale all'alimentazione. ° S Helps et al. Introduction time of highly allergenic foods to the infant diet in a UK cohort and association with a family history of allergy. Eur J of Clinical Nutrition 2025 79: 912-920.

Marketing

1. Come l'etichettatura degli alimenti commerciali per l'in-

fanzia influenza le convinzioni dei genitori sul contenuto di zuccheri e le relative decisioni di acquisto e alimentazione: una scoping review

2025; 32(5):nu.1 pag. 10 di 14

L'articolo esamina come l'etichettatura degli alimenti commerciali per l'infanzia influenzi le percezioni dei genitori sul contenuto di zucchero e le loro decisioni di acquisto e alimentazione. Attraverso una scoping review condotta su studi pubblicati fino a maggio 2024 in diversi Paesi (Nord, Ovest e Sud Europa, Nord America, Australia e Nuova Zelanda), sono stati analizzati 17 studi che mostrano come le etichette "adatte ai bambini" inducano spesso una fiducia implicita nella salubrità dei prodotti, anche quando questi contengono quantità significative di zuccheri. Indicazioni come "senza zuccheri aggiunti" vengono frequentemente interpretate come sinonimo di basso contenuto zuccherino, mentre etichette che evidenziano la presenza di zucchero tendono a ridurre l'attrattiva dei prodotti e l'intenzione di acquisto. Molti genitori ritengono che l'attuale etichettatura sia fuorviante e chiedono maggiore chiarezza e trasparenza per poter compiere scelte alimentari più consapevoli per i propri figli. ° Conway R et al. How labelling of commercial infant food impacts parents' beliefs about sugar content and related purchasing and feeding decisions: a scoping review. Public Health Nutrition, Volume 28, Issue 1, Agosto 25, DOI 10.1017/S1368980025100827.

2. Analisi del marketing di celebrità e influencer di alimenti e

bevande rivolto agli adolescenti su Instagram Gli autori hanno condotto uno studio di content analysis su Instagram per capire quali alimenti e bevande vengono promossi da celebrità e influencer agli adolescenti, e con quali strategie persuasive. Analizzando i post di 48 account selezionati in base al numero di follower e all'engagement, hanno esaminato 344 prodotti pubblicizzati attraverso 326 post pubblicati tra gennaio 2021 e maggio 2023, applicando il modello nutrizionale della WHO e il framework CLICK per monitoraggio. Tra i prodotti messi in evidenza, le bevande gassate e aromatizzate erano predominanti (28.5%), seguite dalle energy drink (20.6%) e dai cibi pronti (15.4%). L'89.2% dei prodotti promossi non sarebbe ammesso alla pubblicità destinata agli adolescenti secondo i criteri WHO. Le tecniche di marketing utilizzate rivelano un forte legame tra influencer e brand: quasi tutti i post taggavano il marchio (96.9%) e mostravano il suo logo (94.2%). I contenuti erano spesso video (65.3%), accompagnati a volte da musica o suoni, e in gran parte mostravano l'immagine del packaging (84%) o del prodotto (59.5%). I messaggi persuasivi più comuni facevano leva sul gusto, la vitalità, la connessione con eventi sportivi, la novità del prodotto e il divertimento: termini come "delizioso" o "energetico" erano usati per coinvolgere gli adolescenti. La connessione con eventi sportivi, ad esempio, era spesso utilizzata da influencer sportivi durante manifestazioni come l'Uefa Champions League o i Mondiali, con slogan accattivanti quali "Lay's and football better together". I post con campagne a pagamento erano solo la metà del totale; l'altra metà, pur promuovendo prodotti, non dichiarava chiaramente il motivo della promozione, un aspetto che può ingannare i ragazzi facendoli percepire come consigli tra pari. I risultati evidenziano un'ampia diffusione di pubblicità non conformi ai regolamenti WHO, la quale espone gli adolescenti a messaggi che normalizzano il consumo di cibi poco salutari. Gli influencer, con la loro portata rilevante (milioni di follower), amplificano questo effetto persuasivo. In sintesi, lo studio denuncia come la promozione di alimenti e bevande poco nutrienti, veicolata da figure influenti su Instagram, avvenPagine elettroniche di Quaderni acp

Nutrizione

ga in modo diffuso e spesso nascosto, richiedendo maggiori controlli e regolamentazioni per proteggere i giovani utenti. ° Khan R et al. Analysing celebrity and influencer marketing of food and beverages to adolescents on Instagram. Public Health Nutrition, Volume 28, Issue 1, Agosto 25, DOI 10.1017/S1368980025101006.

3. Nuova Zelanda: i profitti hanno la meglio sulla salute

La Nuova Zelanda, si sa, sta agli antipodi, ma assomiglia molto all'Italia, e non solo geograficamente. Nel 2024, il governo neozelandese intendeva fare un passo avanti, rispetto all'Australia, con la quale condivide le politiche sugli alimenti, per quanto riguarda i regolamenti sugli standard e il marketing di cibi e bevande per bambini, formula inclusa. La lobby dell'industria si è subito messa all'opera per impedire, o limitare e ritardare i danni di queste possibili riforme. L'articolo usa documenti ottenuti grazie alle leggi sulla trasparenza per descrivere e analizzare le interazioni tra industria e governo in questo frangente. Inizialmente, il governo voleva migliorare le etichette, limitare e regolare i claims su salute e nutrizione, e aumentare la protezione per le famiglie.

La lobby dell'industria ha fatto notare al governo che le nuove regole avrebbero messo a rischio le esportazioni, i posti di lavoro, e futuri sviluppi di nuovi prodotti. L'attività di lobby è stata rivolta al primo ministro e a ministeri chiave, dimostrando che non vi erano restrizioni all'accesso a queste persone da parte del governo, pur non essendovi liste di lobbisti autorizzati (come a Bruxelles per l'UE) e regole sul riportare quanto discusso negli incontri. Alla fine, la lobby ha avuto la meglio e le proposte di miglioramento non sono passate. Tutto il mondo è paese. ° Hull N et al. Profits Before Health? New Zealand Government Rejection of Stricter Infant Formula Marketing Standards and the Lobbying Behind It. Matern Child Nutr 2025;e70087.

4. Tailandia: esperienze e prospettive materne in relazione al

marketing della formula La legislazione tailandese sul marketing delle formule indicate per i primi 12 mesi è simile a quella italiana. In questo studio qualitativo, 15 madri di diverse regioni sono state intervistate in maniera semi-strutturata tra luglio 2023 e marzo 2024 sulle loro esperienze di marketing in relazione alla legge e al Codice Internazionale. I risultati mostrano che il marketing tradizionale (pubblicità su media cartacei, radio e televisione) è in diminuzione. La maggior parte del marketing attuale è di tipo digitale, in particolare sui social, TikTok e Facebook in primis, stringendo relazioni con altre madri che usano prodotti uguali o simili.

Le donne di basso livello socioeconomico sembrano credere ai claims delle ditte più di quelle di alto livello, in particolare per alcune formule che pubblicizzano miglioramenti delle capacità cognitive o che si definiscono equivalenti al latte materno. In generale, le donne intervistate riferiscono un forte sostegno da parte del personale sanitario, ma riferiscono che nel privato ricevono spesso dei campioni gratuiti e inviti a iscriversi ai baby club o alle piattaforme digitali delle ditte produttrici di formula. Le donne sanno che esistono leggi e regolamenti sul marketing, ma non ne conoscono i dettagli. Secondo gli autori, sarebbe necessario aggiornare leggi e regolamenti tenendo conto della transizione

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al marketing digitale, montare sistemi efficaci di monitoraggio delle violazioni con relative sanzioni, e migliorare l'informazione alle madri. Il tutto dando priorità alle famiglie di basso livello socioeconomico. ° Topothai C et al. Maternal Experiences and Perspectives of Marketing and Regulation of Commercial Milk Formula in Thailand: A Qualitative Study. Matern Child Nutr 2025;e70097.

Miscellanea

1. Effetti a lungo termine di un intervento di genitorialità re-

sponsiva sugli esiti ponderali dei bambini fino ai 9 anni Studio clinico randomizzato INSIGHT Questo documento presenta i risultati a lungo termine dello studio clinico randomizzato INSIGHT (Intervention Nurses Start Infants Growing on Healthy Trajectories), che ha valutato l'efficacia di un intervento di parenting responsivo (genitorialità sensibile e reattiva) sulla prevenzione dell'obesità infantile.

L'obiettivo principale era determinare se i benefici di un intervento educativo, erogato a madri primipare durante i primi due anni di vita del loro bambino, potessero essere mantenuti fino all'età di 9 anni. Lo studio di tipo osservazionale longitudinale tra il 2012 e il 2017 ha coinvolto madri primipare e i loro neonati. Le 232 coppie madre-bambino sono state divise casualmente in due gruppi. Il Gruppo intervento ha ricevuto un programma di "parenting responsivo", erogato da infermieri tramite visite a domicilio e in ambulatorio per un totale di meno di 10 ore, che si concentrava su come rispondere adeguatamente ai bisogni del bambino in aree chiave come l'alimentazione, il sonno, il gioco interattivo e la gestione delle emozioni. Il Gruppo di controllo ha ricevuto un intervento sulla sicurezza domestica, con la stessa durata e intensità di contatti. L'intervento attivo si è concluso al compimento dei due anni di età del bambino. I ricercatori hanno poi seguito i bambini, misurando il loro BMI e altri parametri di salute a 3, 5, 6 e 9 anni. Complessivamente, i bambini nel gruppo intervento hanno mostrato un BMI medio più basso rispetto al gruppo di controllo nell'arco di tempo che va dai 3 ai 9 anni (116 per gruppo: 16.59 vs 16.95; differenza assoluta −0.36). Questo suggerisce che l'intervento precoce ha avuto un impatto positivo e misurabile sulla traiettoria di crescita dei bambini. Tuttavia, l'effetto benefico non è stato uniforme tra maschi e femmine; queste nel gruppo di intervento avevano un BMI significativamente più basso rispetto alle femmine nel gruppo di controllo. Al contrario, non è stata osservata alcuna differenza significativa nel BMI medio dei maschi tra i due gruppi. Inoltre, nonostante il vantaggio iniziale, i benefici dell'intervento sembravano diminuire con il passare degli anni, una volta cessato il supporto attivo. Questa tendenza era particolarmente evidente nelle femmine del gruppo di intervento, il cui BMI è aumentato in modo più marcato tra i 6 e i 9 anni rispetto alle coetanee del gruppo di controllo. Di conseguenza, all'età di 9 anni, non c'erano più differenze significative tra i gruppi per quanto riguarda la prevalenza generale di sovrappeso o obesità. Unica eccezione è che, a 9 anni, i maschi del gruppo di intervento avevano una probabilità inferiore di soffrire di obesità rispetto ai maschi del gruppo di controllo. Lo studio INSIGHT dimostra che un intervento precoce e a bassa intensità basato sulla genitorialità responsiva può avere effetti benefici

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Nutrizione

sulla crescita ponderale dei bambini, ma questi effetti tendono a svanire in assenza di un supporto continuo. L'impatto maggiore sulle bambine suggerisce che i genitori di figlie femmine potrebbero essere stati più ricettivi ai contenuti dell'intervento.

Gli autori concludono che, per combattere efficacemente l'obesità infantile nell'odierno "ambiente obesogeno", è probabilmente necessario un approccio lungo il corso della vita. Ciò implica che i benefici degli interventi precoci potrebbero dover essere sostenuti da richiami o da nuove forme di supporto fornito alle famiglie in momenti chiave dello sviluppo del bambino, combinati con politiche di salute pubblica che promuovano stili di vita sani. ° Paul IM et al. Long-Term Effects of a Responsive Parenting Intervention on Child Weight Outcomes Through Age 9 Years: The INSIGHT Randomized Clinical Trial. JAMA Pediatr. 2025;179(8):827–835. doi:10.1001/jamapediatrics.2024.6897.

2. L'assunzione alimentare è associata ai biomarcatori di

piombo, arsenico e cadmio in una coorte di adolescenti messicani Lo studio ha coinvolto 416 adolescenti di Città del Messico, di età compresa tra i 10 e i 18 anni, seguiti in due occasioni circa 3.5 anni l'una dall'altra. Durante i due periodi, sono stati raccolti dati su dieta, biometria e livelli di esposizione a metalli pesanti, tra cui piombo nel sangue, arsenico e cadmio nelle urine. Attraverso l'impiego di modelli statistici avanzati (modelli misti lineari), gli autori hanno esaminato le associazioni tra il consumo di diversi gruppi di alimenti e i biomarcatori dei metalli, tenendo conto dell'età, del genere, dello stato socioeconomico e di altri fattori rilevanti. Tra i risultati emersi, si osserva che il consumo di frutta nelle ragazze è legato ad un aumento del 2.6% nei livelli di piombo nel sangue. Analogamente, nei ragazzi, il consumo di caramelle risulta associato a un incremento di circa il 2.1% di piombo, con un effetto simile anche nell'intero campione. Altri legami interessanti sono stati trovati tra il consumo di verdure a foglia larga e maggiori livelli di piombo nel sangue (circa +10.8%), e tra il consumo di carne di pollo nelle ragazze e livelli più elevati di cadmio nelle urine (circa +6%). Un dato significativo riguarda anche le bevande zuccherate fatte in casa: nelle ragazze questi consumi sono associati ad un aumento del cadmio urinario del 4.4%, e nel campione complessivo si riscontra un incremento del 4.1%. Inoltre, il consumo di pesce e frutti di mare si collega in modo positivo a tutti e tre i metalli analizzati: piombo nel sangue, arsenico e cadmio nelle urine. In sintesi, i risultati indicano che specifici modelli alimentari possono contribuire all'esposizione a metalli tossici tra gli adolescenti messicani, con alcune associazioni che variano in base al genere. In particolare, alimenti come frutta, caramelle, verdure a foglia larga, pollo, bevande zuccherate fatte in casa e pesce si rivelano correlati a livelli più elevati di piombo, arsenico o cadmio ° Yanelli Rodríguez-Carmona et al. Dietary Intake Is Associated with Biomarkers of Lead, Arsenic, and Cadmium in a Cohort of Mexican Adolescents. Journal of Nutrition, Volume 155, Issue 8, pp. 2729-2744, Agosto 25.

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3. Prevenire la ricaduta dalla malnutrizione acuta: il ruolo dei

determinanti sociodemografici, dell'alimentazione infantile, dell'assistenza sanitaria e degli interventi di prevenzione della malnutrizione in Burkina Faso e Mali Lo studio affronta il problema cruciale della ricaduta nei casi di malnutrizione acuta (wasting) tra i bambini che avevano già superato la fase critica in Burkina Faso e Mali. Attraverso l'analisi dei dati raccolti all'interno del programma PROMIS - un'iniziativa integrata che combina screening, prevenzione e comunicazione per il cambiamento di comportamento (BCC), insieme alla somministrazione di integratori a base di lipidi in piccole quantità (SQ-LNS) - i ricercatori hanno indagato la frequenza delle ricadute e i principali fattori ad esse associati. La ricerca sottolinea come i fattori di natura sociodemografica, le pratiche nutrizionali adottate dall'infanzia e le determinanti dell'accesso e della qualità dei servizi sanitari giochino un ruolo determinante nel prevenire le ricadute. In particolare, emerge che una migliore copertura delle strategie preventive (come il BCC potenziato e l'uso regolare dei SQ-LNS) contribuisce a ridurre i rischi, mentre uscite premature dal percorso di recupero o bassa aderenza terapeutica aumentano le probabilità che il bambino torni ai livelli critici di malnutrizione. In sintesi, lo studio invita a riflettere sul fatto che il recupero dalla malnutrizione non basta se non è accompagnato da interventi di supporto continuo, adeguati in termini di accesso, qualità e sostenibilità. In contesti caratterizzati da vulnerabilità socioeconomiche, solo un approccio che affronti contemporaneamente i determinanti individuali, familiari e strutturali può realmente prevenire la ricaduta e garantire una guarigione duratura. ° Brander RL et al. Preventing Relapse From Wasting: The Role of Sociodemographic, Child Feeding, and Health Care Determinants and of Wasting Prevention Interventions in Burkina Faso and Mali. ., Journal of Nutrition, Volume 155, Issue 9, Settembre 25, pp. 2945-2954.

4. Effetto dell'aggiunta di latte a un programma di alimenta-

zione scolastica con biscotti ad alta energia fortificati con micronutrienti in Yemen: uno studio controllato randomizzato a cluster Il progetto ha confrontato due gruppi di scuole: in quello di controllo, gli studenti ricevevano quotidianamente due confezioni (100 g) di biscotti ad alto contenuto energetico (HEB), mentre nelle scuole del gruppo sperimentale, ai biscotti veniva aggiunta una porzione di latte UHT da 120 ml. Hanno partecipato 1 299 bambini tra i 6 e i 18 anni, selezionati in modo casuale, e l'analisi dei risultati è stata condotta secondo il principio dell'intent-to-treat, tenendo conto della struttura a cluster dello studio.

Dopo cinque mesi, il consumo di latte tra i bambini del gruppo sperimentale è aumentato, ma non si sono registrati miglioramenti nella varietà della dieta. Ciò nonostante, si sono registrati benefici cognitivi significativi: i punteggi medi di cognizione, alfabetizzazione e numeracy sono aumentati rispettivamente di circa +1.00, +1.14 e +1.06 punti rispetto al gruppo di controllo.

Inoltre, è emersa una leggera riduzione dei sintomi di tosse. Sul fronte della salute mentale, il latte ha contribuito a ridurre i comportamenti problematici tra i bambini e l'ansia grave nei caregiver, oltre a migliorare la sicurezza alimentare a livello familiare, diminuendo i casi di insicurezza alimentare grave. Non sono

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Nutrizione

emersi effetti significativi su frequenza scolastica né sullo stato nutrizionale. In sintesi, l'aggiunta quotidiana di latte al programma scolastico arricchito con biscotti fortificati ha prodotto benefici tangibili: ha migliorato le capacità cognitive e l'apprendimento, ridotto disturbi respiratori e problemi emotivi, e rafforzato la sicurezza alimentare nelle famiglie. Gli autori sottolineano che questo modello "ibrido" rappresenta una soluzione praticabile e promettente, suggerendo però la necessità di approfondire gli effetti a medio e lungo termine. ° Bliznashka L. et al. Effect of Adding Milk to a Micronutrient-Fortified High-Energy Biscuit School Feeding Programme in Yemen: A Cluster-Randomized Controlled Trial. ., Journal of Nutrition, Volume 155, Issue 9, pp. 2955-2964, Settembre 25.

5. Alimentazione responsiva in accudenti sintonizzati con il

proprio affetto e appetito Le interazioni positive durante i pasti possono plasmare l'alimentazione dei neonati, promuovendo la regolazione dell'appetito. Questo studio inglese ha indagato se e come il modo in cui gli accudenti si sintonizzano sui propri affetti interni e sui lor segnali di appetito possa aiutarli a riconoscere e a rispondere ai segnali di appetito del loro bambino, favorendo quello che va sotto il nome di responsive feeding (alimentazione responsiva, RF). Per avere nel campione circa 50 accudenti con alessitimia (una ridotta capacità di riconoscere, elaborare e descrivere le proprie emozioni, la cui prevalenza stimata nella popolazione si aggira sul 10%), i ricercatori hanno reclutato online, nell'agosto 2023, 445 accudenti (in maggioranza madri sposate con alto livello socioeconomico, il resto padri) con età media di 33±5 anni (range: 19-49) e con bambini di età compresa tra 5 e 28 mesi (età media 16.5±6.3 mesi, il 57% allattati fino a 3 mesi, alimentazione complementare spesso a richiesta). I dati sulle pratiche di RF degli accudenti, l'alessitimia (64 individui, il 14.4% del campione), le emozioni durante i pasti, le caratteristiche dell'alimentazione loro e dei loro bambini sono stati raccolti usando questionari validati. Le esperienze recenti durante i pasti sono state descritte attraverso una domanda aperta. Gli accudenti che si sono affidati ai segnali interocettivi durante l'alimentazione (l'interocezione è la capacità di percepire, interpretare e integrare i segnali provenienti dall'interno del corpo) hanno ottenuto punteggi elevati nel riconoscimento dei segnali di appetito del bambino. Al contrario, gli accudenti con alessitimia avevano una minore capacità di riconoscere i segnali di appetito dei bambini e meno emozioni positive durante i pasti rispetto a quelli senza alessitimia. Inoltre, le caratteristiche di alimentazione del bambino (reattività al cibo e alla sazietà) sono associate all'uso del cibo da parte degli accudenti per calmarsi. Nel complesso, la RF è stata associata alle emozioni durante i pasti, alla capacità degli accudenti di sintonizzarsi sui propri affetti e sul proprio appetito, e alle caratteristiche di alimentazione del bambino. Sviluppare la consapevolezza e la reattività dei genitori ai propri affetti e segnali di appetito e a quelli del bambino può promuovere le pratiche di RF. ° Yu S et al. Tuning Into Affect and Appetite in Caregivers, and Its Association With Recognising and Responding to Infant Appetite Cues.

Matern Child Nutr 2025;e70099.

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6. Sudafrica: aromatizzanti nei baby foods industriali

Sappiamo che i baby foods industriali hanno spesso un eccesso di zuccheri, ma non c'è molta ricerca sugli aromatizzanti. Questo studio ha cercato di crearne un profilo per tipo in Sudafrica. I campioni, uno per marca e tipo di prodotto indicato per bambini da 6 a 23 mesi di età, sono stati acquistati in 26 negozi della provincia del Capo e nei siti di acquisti online dei 9 maggiori negozi al dettaglio del paese tra giugno 2022 e febbraio 2023. Sono state fotografate tutte le etichette e i produttori sono stati contattati in caso di dati mancanti. Più del 36% dei prodotti contenevano aromatizzanti, nel 6% dei casi una sola molecola, nei restanti prodotti fino a tre. Oltre il 52% dei prodotti con aromatizzanti erano indicati dai 6 mesi. Quasi la metà delle bevande indicate per la stessa età contenevano aromatizzanti. Tra i prodotti secchi, come i cereali, gli aromatizzanti erano presenti in oltre l'84% dei casi. Oltre l'80% degli aromatizzanti aggiungevano dolcezza al prodotto, quasi sempre con gusto a vaniglia. Solo il 51% delle etichette erano in regola con la legislazione nazionale sugli aromatizzanti; la maggior parte delle violazioni riguardavano la presenza di claims. Questi risultati preoccupano perché gli aromatizzanti, assieme all'eccesso di zuccheri, possono influenzare negativamente lo sviluppo del gusto dei bambini, e quindi le abitudini alimentari, e quindi la loro salute futura. Sono necessari regolamenti più severi. ° Barnard W et al. A Profile of Flavourings in Commercial Complementary Foods in South Africa. Matern Child Nutr 2025;e70065.

7. UK: ottimizzare l'alimentazione infantile nelle comunità

Pakistane e Bengalesi Potrebbe succedere anche in Italia di dover disegnare un programma di protezione, promozione e sostegno dell'allattamento, e più in generale dell'alimentazione infantile, in comunità di recente o antica immigrazione, con pratiche considerate subottimali. Questo progetto sviluppato in Gran Bretagna per comunità Pakistane e Bengalesi, nelle quali i tassi di allattamento sono inferiori rispetto a quelli di altre comunità provenienti dall'Asia del sud, potrebbe offrire qualche insegnamento. Il progetto si chiama LIFT (Learning about Infant Feeding Together, cioè apprendere assieme di alimentazione infantile; ma lift vuol dire anche alzare, sollevare), dove il "together" sta a indicare che lo sviluppo dello stesso è stato fatto assieme a rappresentanti delle due comunità, nella fattispecie, sei gruppi di sostegno mamma a mamma e alcune organizzazioni del terzo settore che appoggiano le donne.

Usando come quadri di riferimento un approccio per lo sviluppo di interventi culturalmente appropriati e uno per decidere, disegnare e valutare strategie per cambiamenti di comportamento, il progetto ha prodotto 9 possibili interventi finalizzati a modificare in meglio 6 comportamenti di alimentazione considerati importanti, modificabili e pertinenti rispetto al contesto delle due comunità. Gli interventi sono corredati da posters, opuscoli e animazioni. Resta da vedere, in una futura pubblicazione, se il tutto produrrà dei risultati. ° Kwah K et al. Application of the Behaviour Change Wheel to Optimise Infant Feeding in Bangladeshi and Pakistani Communities in the UK: Co‐Development of the Learning About Infant Feeding Together (LIFT) Intervention. Matern Child Nutr 2025;e70019.

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Nutrizione

8. Come l'insicurezza alimentare influisce sull'alimentazione 10. L'associazione tra debito medico e insicurezza alimentare complementare nei paesi ad alto reddito nei periodi di crisi economica Ci sono periodi nella vita di una famiglia in cui una crisi economica (per esempio durante la pandemia, o con politiche di austerità, o per licenziamenti di massa) influenza la sicurezza alimentare, cioè la capacità di mettere in tavola il minimo indispensabile. L'insicurezza alimentare, a sua volta, potrebbe influenzare l'alimentazione complementare dei bambini tra 6 e 18 mesi di età delle famiglie affette, con conseguenti problemi di malnutrizione. In questa revisione sistematica esplorativa, gli autori hanno analizzato 5 articoli, 2 qualitativi e 3 quantitativi, tra 30 inizialmente identificati su un totale di quasi 6mila. Le 1.044 coppie genitori/bambini da Australia (3 articoli), Nuova Zelanda e USA (uno ciascuno) usavano in tempi di crisi strategie come incoraggiare i figli a mangiare tutto il cibo disponibile, evitare cibi non graditi ai bambini e ridurre la varietà. Quest'ultima strategia riduceva la varietà dei nutrienti a disposizione, con conseguenze su gusti e preferenze, oltre che sulla nutrizione. Era anche penalizzata la cosiddetta alimentazione responsiva. Purtroppo, nonostante l'importanza del problema e delle sue implicazioni, la ricerca sul tema è scarsa (mentre è relativamente abbondante nei paesi a reddito medio e basso) e dovrebbe essere stimolata.

Anche in Italia. ° Hollinrake G et al. How Does Household Food Insecurity Impact Complementary Feeding, in High Income Countries, in a Cost‐of‐Living Crisis? A Systematic Scoping Review. Matern Child Nutr 2025;e70082.

9. UK: influenza dei fattori socioeconomici sul consumo di

cibi ultra-processati Si sa che negli adulti il consumo di cibi ultra-processati (CUP) è influenzato da fattori socioeconomici. Queste influenze sono meno studiate negli adolescenti. Usando le inchieste annuali su dieta e nutrizione condotte tra 2008 e 2019 in Gran Bretagna, gli autori di questo studio hanno messo in relazione il consumo di CUP di 3.199 adolescenti tra 11 e 18 anni di età con le loro condizioni socioeconomiche. Hanno innanzitutto caratterizzato il consumo di CUP in tre categorie: 1) schema restrittivo, con consumo medio giornaliero di 33-35 gr di CUP, ma con consumo più elevato spesso percepito come salutare; 2) schema permissivo, con consumo medio giornaliero di 60-63 gr, dominato dall'abbondanza di prodotti pronti da mangiare e scarsi nutrienti; 3) schema tradizionale, con consumo giornaliero di 48-51 gr, con CUP usati prevalentemente per preparazioni domestiche.

Lo schema restrittivo è associato a un elevato livello socioeconomico, quello permissivo a un basso livello socioeconomico, mentre quello tradizionale sembra non avere una distinta associazione con il livello socioeconomico. Quest'ultimo, in conclusione, sembra influenzare sia la quantità che il tipo e il modo di consumare i CUP, con le conseguenze che ne derivano per eventuali interventi.

tra le famiglie statunitensi con bambini L'obiettivo dello studio è caratterizzare l'associazione tra debito medico e insicurezza alimentare, in un campione rappresentativo a livello nazionale di famiglie statunitensi con bambini, e valutare se il reddito familiare o il tipo di assicurazione sanitaria modifichino questa associazione. È stato condotto uno studio trasversale su genitori statunitensi utilizzando il National Health Interview Survey, dal 2019 al 2023. Modelli di regressione logistica multivariata, aggiustati per caratteristiche sociodemografiche e anno del sondaggio, hanno valutato l'associazione tra debito medico, definito come incapacità dichiarata di pagare le spese mediche, e insicurezza alimentare. Sono stati eseguiti test per la modifica dell'effetto e condotto analisi stratificate in base al rapporto tra il reddito familiare e la soglia di povertà e in base al tipo di assicurazione sanitaria. Tra 29.260 genitori, il 7.9% aveva avuto debito medico e l'8.8% insicurezza alimentare familiare. Le famiglie con debito medico avevano odds 4.04 volte superiori di insicurezza alimentare (IC al 95%: 3.49, 4.67; P < 0.001) rispetto alle famiglie senza debito medico. Questa associazione era presente in tutti i gruppi di reddito (P < 0.001) ed era modificata dal reddito familiare (P-interazione < 0.001), con le famiglie a reddito medio (200%-399% del livello di povertà federale) che sperimentavano la più forte associazione (aOR: 6.91; 95% CI: 5.28, 9.05; P < 0.001). Allo stesso modo, il tipo di assicurazione ha modificato l'associazione tra debito medico e insicurezza alimentare (P-interazione 0.002), con le famiglie con un genitore assicurato privatamente che sperimentavano la più forte associazione (OR5.71; 95% CI 4.57, 7.13; P < 0.001). Il debito medico dunque è associato a maggiori probabilità di insicurezza alimentare tra le famiglie con bambini. Queste conseguenze colpiscono in modo sproporzionato le famiglie a reddito medio e quelle con assicurazione privata, evidenziando l'importanza di politiche comprensive per prevenire e mitigare il debito e l'insicurezza alimentare negli ambiti pediatrici. ° Elsa R. Treffeisen, et al. The Association between Medical Debt and Food Insecurity among United States Families with Children. The Journal of Pediatrics. Volume 283; 114631 August 2025 DOI: 10.1016/j. jpeds.2025.114631.

° Brody R et al. Examining the influence of socioeconomic factors on ultra-processed food consumption patterns of UK adolescents. Public Health Nutr 2025; DOI 10.1017/S136898002510075X.

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