4 minute read

S SA STRIA DI TONINO SERRA CONTU

to....per poi ricominciare, per due volte, e poi finire. Luigi volse lo sguardo in alto e mi precedette per un secondo: “commenti naranta is antigus”

Sa stria.

Advertisement

Era giunta sulla casa squassata dalla sventura per annunciare la potenza della morte sulla nostra fragile esistenza.

Luigi la riconobbe.

L’aveva sentita a dieci anni quando il padre era morto battendo la testa su un masso mentre correva per catturare una capra e sa stria era volata sulla loro casa per cantare la terribile notizia a una giovane madre e ai suoi quattro figli rimasti soli.

Sa stria...la strega...sa coga abile nel “cocere” le erbe... ha accompagnato fin dall’epoca romana i racconti e le superstizioni dei sardi: un’ambasciatrice che annunciava la morte posandosi sulla casa in lutto.

E’ il barbagianni...Tyto Alba per gli ornitologi...un mite uccello notturno cacciatore di topi e rane, dal bianco volto schiacciato e con occhi neri e buoni come quelli di un mendicante che ti chiede l’elemosina e non si offende se non lo guardi in faccia e non gli dai neppure un centesimo.

I sardi del nord credevano che fosse una strega in sembianze di uccello, che uccideva i bambini in culla succhiandone il sangue, ma nel contempo dalle sue penne bruciate si ricavava una pozione che curava l’itterizia.

Poteva anche provocarla l’itterizia con sa striadura: una strega vampiro che dava la vita e la morte e che volava...senza scopa...dopo essersi trasformata in uccello notturno ungendosi i talloni e le ascelle con un olio magico tratto dalla peonia...s’orrosa e’ cogas: lo stesso che nel santuario di Delfi usava l’oracolo per entrare in contatto con Apollo.

I sardi del Campidano credono invece che sa stria accompagni col suo canto “su carru de sa morti”, trainato da cavalli senza testa e guidato dalla morte vestita di bianco, che sferragliando corre il villaggio alla ricerca di chi si avventura di notte nelle strade.

A Ierzu, oltre che ambasciatrice di morte, sa stria conservava ancora la sinistra fama di strega capace di provocare una febbre altissima e mortale su chi era stato frastimau...”anku ti giùmpidi sa stria”...volando sul corpo addormentato dello sventurato.

Una febbre maligna che colpiva chi non dormiva sul dorso o con i piedi incrociati; e contro sa calgentura si poteva preparare solo una pozione antica: si misurava l’altezza e l’apertura delle braccia del malato con un filo di lana tratta da sa lissa del telaio, e se si aveva la fortuna che i diametri fossero disuguali, gli si faceva bere con acqua la cenere ottenuta bruciando il filo con un pezzo di unghia e di abito del malato e con un suo capello.

Se guariva in pochi giorni sa meiga era riuscita, altrimenti il malcapitato moriva entro l’anno.

Mi permetto di dissentire da miei avi e dalle dietedde del vicinato.

A me piace pensare che sa stria non sia un sadico uccello che provoca la sventura, ma un aedo triste, un cortese visitatore che annuncia una tragedia consolando i vivi che piangono...come la folla di contadini che vennero a salutare siu Egidio sciamando nell’aia alla fine della giornata...”a ddu conosciri in celu”...”tenei passiensia”...o come sia Maria sofferente, dritta con fatica su due bastoni...”non ddi podia fai ammanku”...o come sia Dominiga, stretta nei suoi numerosi lutti...”Deus onat, Deus leat...”

E mi piace credere che questi esseri, questi elfi benigni che arricchiscono le nostre case e i nostri cuori, che abitano le foreste e le montagne e il cielo alto siano apportatori di pace e non di morte.

E che i loro amore disinteressato che ancora ci tributano dopo millenni di massacri, di sfruttamento, di sacrifici nelle nostre guerre feroci e nei nostri giochi crudeli, sia un dono immeritato che dovremmo invece guadagnarci ogni giorno. Questi esseri non hanno il senso della morte...che questo privilegio è riservato (segue pagina 40)

(segue dalla pagina 39) agli umani...ma sentono quella degli altri e i loro sensi sovrumani avvertono la solitudine, il senso dell’abbandono del padrone che muore; e quando sono soli tutto il loro amore immenso si trasforma in un dolore angoscioso parimenti senza confini e senza speranza...che spesso aiuta gli umani ma ignora gli animali.

Alcuni giorni fa ho visto un filmato in cui un cane era abbracciato alla tomba della padrona morta... non accucciato, ma con le zampe protese a circondare quel pezzo di marmo...e quando un guardia pietosamente cercò di sollevarlo, il cane si mise a singhiozzare, come un uomo che ha perso la madre, e si stringeva ancora di più a quella terra che conservava la sua unica ragione di vita. Il filmato dura trenta secondi...ma non lo consiglio a nessuno.

Quando siu Ligas morì, negli anni Trenta, a s’e Cuboni, nel crollo di una grotticella di tufo... de bruverinu...chè allora non esistevano detersivi e le pentole si nettavano con quella polvere abrasiva..il suo cane si accucciò sulla frana...ululò guaì uggiolò pianse e non mangiò ne’ bevve per sette giorni...e si lasciò morire, nonostante i contadini degli orti vicini facessero a gara per portargli da mangiare e bere.

Mia sorella grande lo ricorda ancora...”finiu fi- niu” dalla sofferenza su quel cumulo di terra. Negli stessi anni Ierzu conobbe una storia speculare, che commosse tutti.

Era nevicato tutto il giorno e siu Pasquali Corgiolu si accorse che il sua asinello non era tornato. Volse il capo verso il cielo grigio e pensando che la bufera fosse passata lasciò la sua casa di Cresia de Susu e si avviò tra la neve alta verso Genna’e Figu. Lo trovarono il giorno dopo sotto un cumulo di neve, che era caduta in abbondanza, con accanto l’asinello che lo vegliava e che ogni tanto cercava di farlo rialzare spingendolo piano col muso.

Ci chiediamo con molta ipocrisia se meritiamo l’amore di questi esseri che spesso ci colmano di dolcezza nei momenti duri che la vita non ci risparmia.

È come chiederci se meritiamo una Padre celeste che ignora la nostra arroganza e la nostra assenza di umanità.

Certi che non li meritiamo...ma spero che possano perdonarci perché ogni giorno tentiamo d’avvicinarci...almeno un po’...alla loro primitiva, istintiva e sconvolgente capacità di trovare felicità e pace nello sguardo di un altro essere...

Lo so, è difficile fare questi tentativi...ma vale la pena di provarci.

Tonino Serra Contu

This article is from: