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UN CAP AI MEDIA
È stato il tormentone degli ultimi sei mesi: l’invocazione di un tetto al prezzo del gas, il famoso price cap, come lo strumento per bloccare la corsa innescata da tempo ma divenuta evidente e allarmante con l’inizio della guerra d’invasione da parte della Russia all’Ucraina. Una misura economica sulla cui realizzazione a lungo si è discusso con grandi titoli sulla stampa italiana e internazionale. Con quali toni l’argomento è stato affrontato dai media? E le reazioni italiane e internazionali sono state uguali? L’approccio ai temi energetici nel linguaggio giornalistico, nell’allarme che si esprime nei titoli è diverso in ogni paese e l’Italia in questo senso sembra il paese che più di tutti ha fatto del price cap un feticcio mediatico. Così quando il 20 dicembre è stato raggiunto l’accordo che fissava il tetto a 180 euro i titoli sui giornali erano tutti in prima pagina e a caratteri grandi. La vicenda ha assunto subito da noi una curvatura politica perché l’Italia si è intestata l’accordo promuovendolo come uno strumento definitivo per combattere la corsa del prezzo del gas. La proposta era partita nei mesi scorsi, già col governo Draghi, ma l’accordo è arrivato con la nuova legislatura e Il Messaggero lo ha accolto registrando il commento della Meloni: “Vittoria italiana”. Dello stesso tenore le interviste concesse a molti quotidiani dal ministro Pichetto Fratin. Altri, come Libero hanno titolato “L’Europa si piega” in prima pagina e nelle pagine interne “Berlino cede”. E sulla stampa internazionale? I grandi giornali economici hanno registrato l’accordo sul price cap in maniera molto meno evidente. Il Financial Times del 20 gennaio ne dava notizia aggiungendo che “Gli operatori economici hanno messo sull’avviso perché il price cap potrebbe accrescere la volatilità dei prezzo” visto che i trader avrebbero cercato di aggirare l’accordo. Insomma, l’accordo veniva visto come un possibile elemento di destabilizzazione dei prezzi, piuttosto che un calmieratore. Già nei giorni successivi sui giornali italiani diventavano più cauti. Si parlava di un buon accordo politico i cui benefici però non si sarebbero riflessi rapidamente sulle bollette. In qualche intervista, come quella di Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, su La Stampa intitolata: “Perché l’accordo è un fallimento”, si sottolineava come il price cap avrebbe potuto evitare nuove fiammate ma non alleggerirà il carico sulle famiglie. Tino Oldani avanzava l’ipotesi che i molti paletti contenuti nell’accordo avrebbero rischiato di renderlo inapplicabile. Ma ancora nei giorni successivi, registrando l’abbassamento dei prezzi del gas sul mercato TFT, il Messaggero descriveva questa caduta come un primo effetto del price cap. Poi il 28 dicembre, è arrivata la risposta di Putin che minacciava di chiudere i rubinetti a tutti quelli che avessero applicato il price cap. Stavolta, con la sua solita flemma, il Financial Times, oltre alla cronaca dell’annuncio russo, fornisce una sua lettura. “La mossa del Cremlino è meno severa dell'opzione di ritorsione più dura lanciata dai media russi”.