3 minute read

Riflessioni post-elezioni sulla comunicazione politica

A cura di Pier Paolo Pedrini - www.pierpaolopedrini.ch

In un articolo apparso su LaRegione, Cristina Zanini si dice soddisfatta perché è “finalmente finita” la pratica “composta da candidati che lucidano e sfoggiano a suon di slogan e cartellonistica la propria ruota” di pavone. Per lei la situazione che si crea durante le campagne politiche è quella di “un circo mediatico” falsato “da logiche meramente economiche” in cui la disparità di risorse gioca un ruolo decisivo sull’esito dell’elezione fino a minare “non solo il fondamento stesso del sistema democratico, ma anche la credibilità delle istituzioni”.

Advertisement

Le elezioni premierebbero “chi ha le maggiori risorse economiche” e un forte “culto della personalità”, al punto che si assiste alla “trasformazione della politica in una lunga e penosa puntata del Grande Fratello”.

Da noi il periodo delle elezioni può essere in effetti annoverato fra i momenti più critici e penosi (anche nel senso di faticosi) di un personaggio politico (o di chi ambisce a diventarlo).

L’adagio “il candidato più rappresentato è il più votato” è vero anche se riconosciamo che ci sono delle eccezioni per cui l’eletto non è colui che ha investito maggiormente, in termini di soldi, nella sua campagna. Anche quest’anno a tutti verrà in mente il nome di un grande escluso, grande perché lo si è visto quasi ovunque. In psicologia l’effetto di mera esposizione spiega che le persone e gli oggetti che vediamo e sentiamo più spesso li apprezziamo maggiormente perché nasce verso di loro un senso di familiarità, che è un ambito traguardo per ogni personaggio pubblico (e per ogni prodotto). Se le possibilità economiche collaborano decisamente all’esito della campagna, perché non si introduce la par condicio come hanno fatto diverse altre nazioni? Ogni partito e ogni candidato hanno diritto a un numero insindacabile di minuti di rappresentazione tv/radio e a un numero fisso di cartelloni e inserzioni da esporre in un lasso di tempo definito. In questo modo si combatterebbe la sovraesposizione lamentata da Zanini di alcuni e sarebbe più democratico.

Ciò conduce al dubbio dell’autrice: “le elezioni sono competizione o informazione?”. Entrambe, e tutti lo sanno bene.

Sulle modalità di voto va detto che noi pensiamo di esprimerlo in modo del tutto consapevole e razionale, ma nel segreto dell’urna entrano anche i processi inconsci che ci fanno preferire un candidato ad un altro: lo votiamo perché ci ricorda qualcosa, perché assomiglia a qualcuno che conosciamo e stimiamo (familiarità), o perché sembra avere (o è una semplice proiezione) una personalità simile alla nostra, alle nostre qualità, al nostro passato o futuro... o forse per altri motivi difficilmente sondabili. In alcuni Paesi è stato valutato anche l’impatto della bellezza estetica sull’esito del voto, e chissà se anche da noi funziona.

Nulla da ridere comunque perché anche in economia sono state condotte diverse ricerche sugli effetti della bellezza sul comportamento umano che hanno dato risultati stupefacenti. Zanini si chiede dove siano finite le competenze... già, dove? Chi le ha valutate per ogni candidato? O, meglio, i candidati ne hanno?

Anche qui nulla da ridere: basti pensare che in latino “magister” significa “colui che sa di più e vale di più”, mentre “minister“ l’esatto contrario. Poi il significato di “ministro” è elevato; non si sa come, né perché.

Insomma, il marketing politico ha attinto a piene mani da quello pubblicitario e utilizza i suoi mezzi, strategie e, tristemente, anche i contenuti e gli slogan per esprimerli. Per il commercio Pierre Martineau ha scritto che “nel mercato non competono prodotti, ma messaggi” e lo stesso è adattabile alla politica.

© www.ch.ch

This article is from: