Luca Morici La perenne dialettica

LUCA MORICI LUCA MORICI LUCA MORI La perenne dialettica tra controcultura e mainstream Cosa è stata la controcultura per lei?Sinceramente ho poca confidenza con questo termine. Anche dal punto di vista della teoria sociologica, trovo più idonei concetti come “protesta” o “movimento” per interpretare fenomeni di rilevanza sociale. Questo anche perché il termine controcultura può favorire l’equivoco che i movimenti controculturali possano essere qualcosa di esterno alla società, mentre è chiaro che se sono “sociali” essi fanno parte della stessa società contro cui protestano. Dal punto di vista semantico, il termine controcultura riconduce a tutte quelle esperienze di protesta che hanno avuto origine negli anni Sessanta e Settanta. In quegli anni l’Occidente ha vissuto una vera e propria rivoluzione culturale animata, in particolare, dall’insofferenza e dalla ribellione giovanile che ha trovato forma in una aspirazione collettiva e condivisa. I giovani passarono dal silenzio all’attivismo e le università diventarono luogo dove si andava a sviluppare una cultura del dissenso e della protesta. In questi anni i movimenti di protesta hanno rappresentato le idiosincrasie della modernità avanzata, cioè i punti di estrema sensibilità in cui la società reagisce a se stessa, ai suoi effetti e ai suoi problemi più cruciali. Si svilupparono tensioni diffuse rispetto al riconoscimento dei diritti civili, all’emancipazione sessuale, ai diritti delle donne, al dissenso pacifista, consumista e ambientalista. 1 La musica e l’arte in generale sono state il medium attraverso cui il movimento controculturale ha comunicato i propri messaggi e le proprie istanze alla società a livello planetario. Molte di queste istanze sono intervista /interview a/with LUCA MORICI diventate oggi parte della semantica comune e quindi patrimonio col- di/by Nicole Albanini e/and Lisa Magnoli lettivo, sebbene non se conosca sempre l’origine. CI MORICI LUCA 2 MORICI LUCA MO La disponibilità alla protesta sembra ancora godere di una notevole vitalità sia per la disponibilità di nuovi temi sia per l’introduzione di punti di vista nuovi su vecchi temi. Quest’anno abbiamo visto la popolazione scendere in piazza in numerosi Paesi, per decisioni a carattere prevalentemente nazionale che vedono il coinvolgimento di specifici strati della cittadinanza. I gilet gialli hanno fatto di Parigi il teatro di una guerriglia urbana per protestare contro le condizioni economiche e sociali della classe medio - bassa delle periferie e delle zone rurali, con richieste che vanno Luca Morici è laureato in Sociologia presso l’Università degli Studi di Urbino. Ha collaborato con enti pubblici e non profit in numerosi progetti di ricerca e di intervento sociale. Si è occupato di insegnamento e ricerca in sociologia dei media e consumo massmediale presso l’Università della Svizzera italiana dal 1998 al 2006. Dal 2006 è docente e ricercatore presso il Laboratorio cultura visiva della SUPSI dove, oltre a insegnare sociologia visuale e infografica nel Corso di laurea in E cosa è oggi? Comunicazione visiva, collabora allo sviluppo e dall’aumento del salario minimo e delle pensioni a maggiori servizi. alla realizzazione di progetti di ricerca applicata A Hong Kong migliaia di persone sono scese in piazza contro una e di comunicazione nell’ambito delle industrie proposta di legge che faciliterebbe l’estradizione in Cina. Le proteste creative e culturali. hanno poi preso la forma di una rivendicazione più ampia di democrazia e indipendenza da Pechino. In Iraq il movimento di protesta è partito da Baghdad e si è espanso in RICI LUCA RIMORI quasi tutto il Sud del Paese, a maggioranza sciita, grazie agli appelli lanciati sui social network. Si chiede lavoro per i giovani e il licenziamento dei leader “corrotti”. Ci sono poi proteste caratterizzate da una forma di coinvolgimento diffuso e che riguardano una buona parte dell’umanità. Il movimento #MeToo ha organizzato manifestazioni e cortei in diverse città del mondo per denunciare le molestie contro le donne e dire basta a ogni forma di sessismo e abuso di potere maschile. Lo scorso settembre abbiamo assistito alla più grande mobilitazione sui cambiamenti climatici avvenuta nella storia. Oltre 7 milioni di persone, soprattutto ragazze e ragazzi giovanissimi, sono scesi nelle strade di Giacarta, New York, Karachi, Milano, Amman, Berlino, Kampala, Istanbul, Québec, Guadalajara, Asunción, Berna. Il movimento Fridays for Future, grazie a internet, ha raggiunto le grandi città come i piccoli villaggi, unendo milioni di persone per chiedere politiche immediate che mettano un freno al cambiamento climatico, pongano LUCA MORICI LUCA fine all’era dei combustibili fossili e alla devastazione della foresta pluviale amazzonica e indonesiana. Artichoke 17 20

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Quali sono le tracce di quanto prodotto dalla controcultura e dove è possibile rintracciarle oggigiorno?

Sarebbe impensabile parlare oggi di amore, di sesso, di contestazione, di ecologia, di diritti civili, di diritti di genere, prescindendo dal patrimonio MORICI LUCA MORI culturale prodotto in quegli anni, assimilato sino a perdere la specificità che lo etichettava come cultura antagonista. Piercing e tatuaggi hanno perso il loro senso originario per diventare ornamenti della vita quotidiana che attraversano le generazioni e le classi sociali. La street art nata come pratica illecita e contro le istituzioni oggi vede alcune sue opere assorbite dal mercato dell’arte, dai musei e dal gusto mainstream. L’abolizione del servizio militare obbligatorio, la legalizzazione della marijuana, la diffusione dell’ambientalismo, la difesa dei diritti LGBT sono pratiche acquisite sebbene in maniera eterogenea e variegata nei diversi Paesi del nostro pianeta. Il vegetarianesimo, l’agopuntura, lo yoga sono tutte attività ormai diffuse e adattate alle esigenze del mercato occidentale. Il sesso, ampiamente desacralizzato, viene rappresentato senza censure e lo si pratica più agevolmente anche grazie alla diffusione degli anticoncezionali e all’invenzione di app come Tinder, Meetic e Academic Singles. Un’ultima traccia ancora, nonostante le polemiche e le visioni contrapCI MORICI LUCA MORICI LUCA MO poste, nel 2016 Bob Dylan ha vinto il premio Nobel per la letteratura. Come già detto, la controcultura degli anni Sessanta e Settanta è stata ampiamente normalizzata e assimilata dalle generazioni che si sono avvicendate. Eppure nuove controculture sorgono e continuano ad alimentare la perenne dialettica tra controcultura e mainstream. Non credo dunque sia possibile parlare di morte della controcultura. Tuttavia in una società liquida, interconnessa e delocalizzata forse è proprio la dialettica tra cultura dominante e controcultura a risultare attenuata. Da una parte è sempre più complicato circoscrivere oggi quale sia davvero la cultura dominante, dall’altra le controculture si configurano sempre più come fluide, mutevoli, provvisorie e omologabili. 4Chi ha ucciso la controcultura? RICI LUCA RIMORI Difficile per un “non designer” dare dei suggerimenti che non risultino impertinenti. Ne azzarderei comunque uno, quello di coltivare la propria consapevolezza culturale, perché anche la comunicazione visiva è anzitutto un fatto sociale della vita quotidiana dove clienti, utenti, progettisti e progetti sono sempre calati in un flusso culturale, eco5 Un consiglio per noi giovani futuri designer della comunicazione visiva? nomico, politico e sociale che ha un tempo e uno spazio delimitati. In altre parole, non limitarsi al senso comune, ma accogliere, analizzare e comprendere i mutamenti con un’apertura al nuovo e alla costruzione di spiegazioni e significati alternativi. Concluderei invece con un augurio, quello di riuscire a partecipare a progetti, tanti, che abbiano una valenza etico - sociale nel rispetto LUCA MORICI LUCA dell’ambiente e del prossimo. Controcultura 21

LUCA MORICI LUCA MORICI LUCA MORI Perpetual dialectic between counterculture and mainstream What has counterculture meant to you?To be honest, I am not very familiar with this term. Also from the point of view of sociological theory, I find concepts like “protest” or “movement” much more suitable to interpret socially significant events. This is also so because the term counterculture may lead to the misunderstanding that countercultural movements could be something outside society, while it is clear that if they are “social” they are part of that very society they are protesting against. From a semantic point of view, the term counterculture leads back to all those protest experiences that originated in the 1960s and 70s. In those years, the West saw a genuine cultural revolution led, especially, by the youth intolerance and rebellion that found shape in a collective and shared ambition. Young people went from silence to activism and universities became places where a culture of dissent and protest would develop. In these years the protest movements represented the idiosyncrasies of advanced modernity, i.e. the tips of extreme sensitivity in which society reacts to itself, its effects and most crucial problems. Widespread tensions developed with respect to the acknowledgement of civil rights, sexual emancipation, women rights, and dissent on issues of peace, consumerism and the environment. Music and art in general were media through which the countercul1 tural movement expressed its own messages and appeals to society worldwide. Many of these appeals are today part of ordinary language and therefore part of the collective heritage, although intervista /interview a/with LUCA MORICI their origin is not always known. di/by Nicole Albanini e/and Lisa Magnoli CI MORICI LUCA 2 MORICI LUCA MO The readiness to protest appears to still garner considerable force both because of the presence of new topics and for the introduction of new viewpoints on old ones. This year we have seen people take to the streets in many countries, for decisions of a mostly national nature which see the involvement of specific tiers of the population. The yellow vests have turned Paris into a place of guerrilla warfare to protest against the economic and social conditions of the lower-middle classes in the suburbs and rural areas, seeking a Luca Morici graduated in sociology from the Università degli Studi di Urbino. He has worked with public and not-for-profit bodies on a number of research and social intervention projects. Between 1998 and 2006 he was a lecturer and researcher on the sociology of the media and mass media consumption at the Università della Svizzera italiana (University of Southern Switzerland). Since 2006 he has been active as a lecturer and researcher with SUPSI’s visual culture lab where, as And what is it today? well as lecturing on visual sociology and infographics range of measures from a higher minimum salary, to pensions and as part of the Bachelor of Arts Visual Communication increased public services. programme, he has contributed to developing and In Hong Kong thousands of people have taken to the streets to conducting applied research and communication protest against a bill that would make it easier to be extradited projects in creative and cultural industries. to Beijing. In Iraq the protest movement started in Baghdad and has spread RICI LUCA RIMORI almost to the entire Shia-majority south of the country, thanks to social network appeals. There are demands of work for young people and the sacking of “corrupt” leaders. There are then protests marked by a form of widespread involvement and which concern a good section of humanity. The #MeToo movement has organized demonstrations and marches in various cities around the world to report sexual harassment against women and put an end to all forms of sexism and male abuse of power. Last September we saw the largest ever mass gathering on climate change in history. Over 7 million people, mostly very young girls and boys, took to the streets of Jakarta, New York, Karachi, Milan, Amman, Berlin, Kampala Istanbul, Québec, Guadalajara, Asunción, Berne. The Fridays for Future movement, thanks to the Internet, has reached large cities as much as small villages, uniting millions of people to demand immediate policies that LUCA MORICI LUCA put a stop to climate change, end the era of fossil fuels and the devastation of the Amazon and Indonesian rain forests. Artichoke 17 22

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What are the signs of what was produced by counterculture and where can it be found nowadays?

It would be unthinkable today to talk about love, sex, protest, ecology, civil rights, gender rights, leaving aside the cultural herMORICI LUCA MORI itage produced in those years, imbibed to the point of losing the specificity that gave it the label of antagonist culture. Body piercings and tattoos have lost their original sense to become ornaments of daily life that span through generations and social classes. Street art, born as an illicit practice and against the institutions, now sees some of its works assimilated by the art market, museums and mainstream tastes. The abolition of compulsory military service, the legalisation of cannabis, the spread of environmental issues, the defence of LGBT rights are acquired practices albeit in a mixed and varied way in a number of countries around the world. Vegetarianism, acupuncture and yoga are all by now widespread activities that have been adapted to the needs of the Western market. Sex, largely secularized, is represented without censorship and practised more easily also thanks to the spread of contraception and the invention of apps such as Tinder, Meetic and Academic Singles. One more piece of evidence, in spite of the protests and conCI MORICI LUCA MORICI LUCA MO trasting views, comes from Bob Dylan winning the Nobel prize for literature in 2016. As was said earlier, the 1960s and 70s counterculture became largely standardized and assimilated by the generations that followed it. And yet new countercultures continue to emerge and feed the eternal debate between counterculture and mainstream. Therefore I do not think we can talk about the death of counterculture. However, in a fluid, interconnected and delocalized society is perhaps precisely the debate between dominating culture and counterculture that appears diminished. On the one hand, it is increasingly more complicated to define today what the dominating culture really is, while on the other, countercultures are ever more taking shape as fluid, changeable, temporary and standardized. 4Who killed counterculture? RICI LUCA RIMORI It is hard for a “non designer” to give advice that wouldn’t sound impertinent. I would still venture to give one piece of advice - cherish your own cultural awareness, as visual communication, too, is first of all a social everyday occurrence where clients, users, designers and designs are always part of a cultural, economic, political and social flow which is set in time and space. In other words, do 5 Any advice for us, young future visual communication designers? not confine yourself to common sense, but welcome, study and understand the changes with an openness towards the new and the construction of alternative explanations and meanings. I would like to end, on the other hand, by hoping that you will be able to take part in projects, and many at that, which have LUCA MORICI LUCA social and ethical significance while respecting the environment and others. Controcultura 23

intervista /interview a/with CHRISTIAN MARAZZI di/by Nadine Curanz e/and Elisa Galli

SIAMO SEMPRE DI FRONTE

A DUE ANIME: LA CONTROCULTURA O PARTE DAL BASSO O NON PARTE

Christian Marazzi nacque a Lugano nel 1951 ed è, ancora ad oggi, un economista. Conseguì presso l’Università di Padova una laurea in Scienze Politiche, un Master in economia alla London School of Economics e un dottorato presso la City University London. Dopo essere stato docente all’Università di Padova, alla State University di New York e alle Università di Losanna e Ginevra, decise di tornare a Lugano per insegnare presso la Scuola Universitaria della Svizzera Italiana (dove si trova ancora oggi). È importante definire un periodo storico; la controcultura, ad esempio, la si può rintracciare, o individuare come filo rosso, sin dall’inizio ’900. Dalla seconda metà del ‘800 è qualcosa che ha che fare con la rottura del pensiero dominante o del pensiero del potere; pensiamo ad esempio alle correnti del Futurismo o del Bauhaus, passando poi per l’arte e tutto ciò che nel ‘900 che ha stravolto i canoni della cultura normalmente intesa.

Nel secondo dopo guerra gli spazi e le voci della controcultura si sono moltiplicati e diversificati, declinandosi con il tempo in diversi linguaggi: da quello cinematografico a quello musicale e estetico, investendo tanto il design quanto la politica, con passaggi epocali quali ad esempio la Beat-generation in ambito letterario. Per non parlare, restando nella letteratura, del filone americano di cui hanno fatto parte Ruth Bader Ginsburg, Bob William Boros e John Giorno. Filone che a partire dagli anni ’50 rompe con gli schemi letterari americani, influenzando in maniera importante anche in Europa, incominciando a imporsi con le tematiche e i concetti di un nomadismo geografico e spaziale. Pensiamo ad esempio a certe canzoni di Bob Dylan, alla contrapposizione tra la stanzialità piccolo-borghese e la nuova frontiera dell’essere “on the road”, dell’andare di qua e di là senza un soldo, con la chitarra a tracolla, cercando di costruire delle comunità nomadi.

Poi ecco la controcultura che ha avuto un effetto dirompete dal punto di vista degli assetti politici e sociali; la controcultura del movimento dei diritti civili americani, quindi la rivendicazione, i primi movimenti studenteschi per il free speech, per la libertà di parola; parliamo del ’64 nelle università di Standford, di un qualcosa che ebbe un impatto molto forte perché vissuto in momenti in cui quei cambiamenti venivano percepiti anche se accadevano a distanza; le sentivi tue, ti facevano sentire partecipe, facevano parte di uno spirito del tempo che era precisamente inscritto in quel “contro” fatto di esodo, di nomadismo, di esplorazione, di creatività, di grandi libertà. Fondamentalmente anarcoide, senza esserlo ideologicamente, anti-establishment nonché molto simpatico e piacevole. Un “contro” che agì fortemente sul piano delle libertà, da quella sessuale a quella estetica, laddove una la minigonna, e parliamo degli anni ’60, diventava una delle forme di controcultura. Fondamentale poi, naturalmente, quel che tutto questo ha espresso nel mondo della musica, un esempio su tutti la controcultura del no satisfaction dei Rolling Stones - più ancora dei Beatles - che aprì un mondo. Sempre negli anni ’60, e sempre con un riferimento a quanto accadeva negli Stati Uniti, fortissimo è stato l’impatto del movimento in Inghilterra, da sempre Paese laboratorio di controcultura pur essendo - curiosamente - uno dei paesi più conservatori, governati dalla monarchia. Ed è proprio là che sono nati i grandi gruppi musicali rock, là che sono nate correnti così radicate nei quartieri, come ad esempio gli hippie, molto diffusi anche negli Stati Uniti, là che nasceranno i Sex Pistols. Insomma una terra in cui la controcultura si è sempre espressa come qualcosa di fortemente radicato al tessuto sociale, tutt’altro che effimero, passeggero o di moda, facendo proprio dell’Inghilterra il Paese più interessante per capire la nascita dei movimenti di controcultura, qualcosa che per sua natura si è poi sempre esposto in termini globali, trans-regionali, cercando di mettere in relazione Paesi, popolazioni e gruppi sociali sparpagliati nel mondo. Il panorama musicale ebbe una grande influenza anche nei paesi dell’Est sotto la morsa dell’Unione Sovietica, dove già la letteratura occidentale si era molto diffusa, benché distribuita clandestinamente, al pari proprio del la musica rock.

Parallelamente, da noi, dopo questa fase sul finire degli anni ’60 ritroviamo dei fenomeni di controcultura in una serie di riviste uscite nel decennio successivo. Riviste molto interessanti sono nate ad esempio a Bologna, una su tutte Attraverso, rivista cult in cui si incontravano poesia, letteratura, arte grafica e politica, con un forte riferimento ai giovani che vivevano proprio quel sentimento “contro" un certo tipo di politica, senza risparmiare la sinistra e addirittura il Partito Comunista che governava la città e l’Emilia Romagna. Momenti e movimenti indubbiamente di sinistra, ma con una base fortemente anarchica e di rottura con l’establishment. In questo caso dunque si può veramente parlare di controcultura a 360 gradi, che diede origine a riviste come ad esempio Il Male, una rivista di cui si celebra in questi anni l’anniversario e che durò una decina d’anni, addirittura fino ai primi anni ’80, e che è rimasta un punto di riferimento per la satira politica e per un sentimento culturale estremamente disincantato, che non a caso aveva fatto suo lo slogan “no future”.

Insomma una controcultura che ebbe un effetto dirompente sul futuro e da cui è imprescindibile partire per capire ad esempio la svolta musicale degli anni ’80. Un movimento e un sentire “contro il futuro”, in termini di consapevolezza di un domani imminente che non avrebbe offerto niente ai giovani. E non si può negare che ci avessero visto abbastanza bene. Negli anni successivi poi la controcultura è cambiata,

gli anni ’80 sono stati un decennio molto triste, molto vuoto, piatto, un periodo in cui si prendono piede le politiche neo-liberali, dominato dal pensiero e dalla forma delle Thatcher e dei Reagan e contro cui le controculture in alcuni casi si rivelano più come mode che non come movimenti interessanti. Nel periodo dei paninari non c’era niente di controcultura, se non il fatto di voler comunque fare corrente da un punto di vista estetico-modaiolo. Negli anni ’90 invece interessante, per quanto riguarda i movimenti, è il fenomeno dei centri sociali, che diventano un po’ ovunque delle roccaforti e dei laboratori di nuovi linguaggi di sperimentazione e di autoimprenditorialità, con la nascita ad esempio di fenomeni di editoria che diventano centri nevralgici della controcultura. Pensiamo ad esempio al Macello, ai molini di Viganello o agli ex Molinari che sono ancora là, benché ormai esigua minoranza, gli ultimi Mohicani perennemente sospesi tra il restare e il non restare.

Per quanto riguarda il nostro Ticino hanno rappresentato un momento ricco di controcultura, animato da un’avanguardia di politica militante, di rottura autonoma, molto critica, molto legata ai movimenti rivoluzionari un po’ di tutto il mondo e allo stesso tempo animato da attività interne che andavano dalla musica all’alimentazione. La controcultura d’altronde andrebbe analizzata anche da questo punto di vista, quello del cibo, tra l’altro uno di quelli che rischia di rivelarsi il più longevo e del quale non si parla invece mai come territorio della controcultura, benché oltre a esserlo stato, continui ad esserlo. In certi versi ha colmato alcuni periodi di vuoto, in cui la dimensione pubblica dell’agire controculturale si è affievolito, congelato, sospeso, restando invece vigile e attento proprio nei confronti dell’alimentazione e degli argomenti inerenti il cibo.

La controcultura va osservata nelle sue forme discontinue, delle eruzioni vulcaniche, ma anche nella sua dimensione carsica, nel senso di un qualcosa che continua sottotraccia per rivelarsi in determinati momenti nelle forme più diverse. Esperienze che si concludono, circoscritte nel tempo, ma che sotto sotto alimentano qualcosa che continua, non fosse altro perché ritengo tipico della natura umana l’aver bisogno di alimentare l’esistenza con la critica, con il rifiuto, con il dire “no". Pensiamo ad esempio, recentemente, a Occupy Wall Street, che è durato qualche mese, è stato molto importante e ha fatto parlare molto di sé ed e poi scomparso, o quantomeno così parrebbe. Penso in realtà che si manifesti e continui a esistere in attività più molecolari, micro, capaci poi un giorno si ricompattarsi in “nuovi” movimenti di protesta. Credo d’altronde che sia un po’ questa la forza della controcultura, di cui si può tracciare una storia ricostruendone le tappe e i momenti attraverso esemplificazioni inerenti la pubblicistica, la grafica o la cinematografia. Pensiamo ad esempio alla Nouvelle Vague, a Jean-Luc Godard e a quella cerchia di registi che la controcultura l’hanno fatta veramente, che hanno rotto completamente gli schemi.

Insomma, molto spesso ci si dimentica di lei, ma in realtà la controcultura non si è mai spenta; magari ci sembra di vivere un periodo piatto, in assenza, ma in realtà c’è quel qualcosa che continua a scavare, che va in profondità e poi un certo punto esplode in una o nell’altra direzione. Emblematico l’esempio dell’economia. Sono più di 30 anni che viviamo i dettami di un capitalismo che ha allargato la forbice della disuguaglianza in modo impressionante, con sì un aumento della ricchezza, ma concentrata in pochi, creando diseguaglianza e disequilibrio sociale. Da cui - paradossalmente - un aumento della povertà, ovunque, figlia di politiche economiche neoliberali o liberiste, che hanno privilegiato l’interesse individuale rispetto all’interesse collettivo, con effetti devastanti. E proprio in questi giorni vediamo come nei paesi latino americani si stia vivendo un’escalation di mobilitazioni e proteste, dal Cile alla Bolivia, dall’Ecuador al Brasile, e poi ancora, dall’altra parte del mondo, in Libano, in Egitto e nei paesi retti da un regime totalitario o militare. Lì (ri)vediamo quel qualocosa che sembrava disperatamente scomparso: la controcultura. In questo caso declinata in termini sociali, la controcultura esplode, è ancora capace di esplodere, mutando, a volte in maniera estremamente provocatoria sul piano estetico, per riuscire a trasmettere e comunicare un determinato discorso e processo di sperimentazione, sia essa di altre forme di governo, di convivenza umana, sociale. Ma la controcultura si manifesta anche in forme più sociali o economiche, perché d’altronde è un po’ la cattiva coscienza della società, che ci parla di cose che non vogliamo sentire. E invece è proprio il suo significato, la sua natura quella di dirti in faccia quel che ti disturba, che ti disturba ammettere perché destabilizza e mette in una situazione di insicurezza.

Lo scopo di tutti questi movimenti è quello di metterti di fronte a te stesso in modo molto provocatorio, di farsi specchio di noi stessi dicendoci “guarda quanto sei brutto, noi siamo ancora più brutti di te, però lo rivendichiamo. Tu neppure te ne accorgi!”.

Domanda 1: Al giorno d’oggi dove rivede la controcultura, anche a livello giovanile?

Dovreste dirmelo voi. Io vedo che per il momento questi movimenti di controcultura nella loro forma più sociale (al limite ”politica”, ma tra molte virgolette) in quanto è più un rifiuto della politica, anche se non un rifiuto aprioristico, ma una negazione in vista di qualcosa, dalla produzione/non creazione di qualcos’altro. Per il momento vedo prevalentemente questa faccia della controcultura. Vedo un grande interesse da parte della società capitalistica nel recuperare qualsiasi forma di controcultura in termini sociali e di mercato, nel senso della normalizzazione e dell’integrazione dentro i meccanismi della cumulazione e della ricchezza, di quelle che possono essere delle forme di rottura; vedo sempre più come grande sfida quella di “riuscire”, vediamo ad esempio il mondo dell’arte quanto si sia finanziarizzato, diventando un mercato a tutti gli effetti. È’ molto difficile per un’artista essere tale, perché il mercato ti seduce e ti tira dentro, e quando sei dentro è molto difficile definire una tua identità differente, contro. Secondo me è molto probabile che dentro questa frazione capitalistica, del tutto integrata e mercificata, si preparino le basi di una grande bolla dell’arte, una bolla della controcultura dalla quale possono uscire voci e linguaggi che siano degni di essere considerati controculturali, ma per il momento sono difficili da vedere. Un elemento essenziale per essere dentro è essere giovane, al contrario non sarebbe evidente. Ma credo che siamo un po’ in questa fase, che io vedo più in termini sociali però, perché la corda è stata tirata molto, la povertà è aumentata a dismisura, il contrasto con la ricchezza è molto evidente, la vedi perfino nelle vetrine, in televisione, ma non ne godi e dunque è, a maggior ragione, violenta. Fossi di un altro mondo non te ne accorgeresti ma non essendo così, in quanto ti confronti costantemente con questa ricchezza, arrivi a un momento nel quale non ce la fai più e insorgi. Però un discorso analogo si può fare nel mondo dell’arte, pensate a cosa ha significato la "finanziarizzazione" di questo mondo è cresciuta nella società la quantità di persone che collezionano pezzi d’arte, persone che

mai si sono interessate a questo mondo, e se un tempo esse andavano a Dubai o Miami perché era di moda, ora si comprano un po’ di quadri perché fa sistema, è anche una scorciatoia per entrare con una carta di identità culturale nell'èlite. E’ abbastanza impressionante come la finanziarizzazione abbia stravolto fino all’inverosimile i parametri stessi. Tutte cose che non sto dicendo che bisognerebbe rifiutare ma che sono dei passaggi che ormai si sono consolidati e con cui bisogna confrontarsi. E’ abbastanza spettacolare l’aumento del potere della finanza all’interno del mondo dell’arte, e anche qui è impossibile non percepire un’esplosione imminente di un rifiuto. I movimenti di controcultura, da che io ricordo, sono stati espressione di rifiuto, rifiutiamo tutto, dichiarazioni a tutto campo per far venir fuori un’altra anima della società, vissuta come oppressiva e noiosa. Tengo un corso alla Naba a Milano, ho a che fare con giovani come voi, e si vede che c’è questo problema, ma sapendo di essere dentro questa economia dell’arte, come possiamo esserne anche contro? E’ un nuovo dentro e contro che si sta cercando attivamente, ora siamo nella fase di ricerca o forse già in una fase di esplosione.

Domanda 2: Invece, a livello economico questo rifiuto che impatto ha avuto? Lei lo vede come positivo o negativo?

Sicuramente positivo, se però allude ad altre forme, ad esempio di distribuzione della ricchezza; è da anni che si parla di forme di reddito di base e di cittadinanza, ma nel mondo dell’arte ciò è presente da sempre, riuscire a garantire un minimo a un artista, una borsa di studio o cose del genere, perché possa lavorare senza avere l’assillo della galleria dove esporre. Quindi il problema di voler essere sé stessi ma allo stesso tempo rivendicare il diritto di cittadinanza, fa si che all’individuo sorga il problema di come riuscire allo stesso tempo ad essere se stesso come artista ma non tagliandosi l’orecchio perché diventi matto. In un’economia come quella degli ultimi trent’anni vi è stata una proliferazioni di lavori e l’artista ha potuto con molta fatica destreggiarsi dentro la giungla della propria attività ma lavorando al McDonalds, ha potuto vedere il mondo reale, arricchendosi di quest’esperienza. Ma al tempo stesso si è sviluppata la mercificazione dell’arte, la sua finanziarizzazione e l’aumento del potere dei collezionisti. Ho vissuto questa situazione, quando negli anni ‘70 vivevo negli Stati Uniti, gli artisti erano andati ad occupare i loft. In questi spazi si faceva controcultura o controcittà, erano spazi di attività artistiche e di vita. Successivamente sono arrivati i brokers che hanno acquistato questi spazi e gli artisti si sono divisi tra chi è riuscito a diventare artista “di corte”, mettendosi al servizio dei ricchi, mentre altri sono semplicemente scomparsi. Una situazione analoga nel mondo della musica, la New Wave degli anni 70/80, dove alcuni artisti come Madonna ce l’hanno fatta, altri invece non sono riusciti ad emergere. Siamo sempre di fronte a due anime, di una contraddizione eterna che è quella che alimenta la controcultura.

Domanda 3: Un consiglio per noi giovani futuri designer di comunicazione visiva?

Il mio consiglio è quello di tenere un piede nella formazione, dove è possibile si aprano delle possibilità di lavoro, esempio uno stage, senza uscirne immediatamente dopo la laurea, poiché partire da zero penso renda molto difficile dare il via alla propria carriera lavorativa. Consiglio inoltre di viaggiare e allontanarsi dal Ticino, in quanto realtà molto piccola. Domanda 4: Saprebbe indicarci uno/due eventi significativi della controcultura?

Sarei più propenso a dire che da anni abbiamo visto un’economia degli eventi, si è passati da un evento all’altro, da un’Expo 2015 alla Biennale di Venezia. Il mondo dell’arte passa attraverso questi eventi e questi sono diventati una sorta di tormentone; pensate ad esempio a quanto succede in Germania, alla Documenta, sono dei momenti molto interessanti, ma il problema è come produrre controcultura al di là degli eventi. L’evento è diventato una trappola per la controcultura, ovvero è proprio un modo per ucciderla ancora prima che essa possa nascere; riuscire a riflettere su questa economia degli eventi in modo critico pensando a cosa impedisca alla controcultura di esplodere e di venire fuori. Questa logica dell’evento costringe tutti a partecipare in maniera omologante e omologato a qualcosa organizzato da altri, dunque non ti permette di agire in maniera controculturale. La controcultura o parte dal basso o non parte, non esiste altro modo di produrre eventi controculturali, bisogna dunque trovare delle modalità “contro eventemenziali” per poter ridefinire un territorio di controcultura.

Domanda 5: Chi ha ucciso la controcultura?

Quando ero a New York avevo vissuto da dentro questo movimento Underground della New Wave, ero amico di Jean Micheal Basquait e David Byrne. Ad un certo punto ci fu un evento: il PS1, una famosa esposizione che si dice abbia dato avvio alla New Wawe, in realtà la sigillò. Questo fu l’evento che uccise la New Wave nella sua natura controculturale.

intervista /interview a/with CHRISTIAN MARAZZI di/by Nadine Curanz e/and Elisa Galli

WE ARE ALWAYS BEFORE

TWO SOULS: EITHER COUNTERCULTURE STARTS AT GRASSROOTS LEVEL OR IT DOESN’T START AT ALL

Christian Marazzi was born in Lugano in 1951 and is, still, an economist. He obtained his first degree in Political Science from the University of Padua, a Master’s Degree from the London School of Economics and a Ph.D. from London’s City University. Having lectured at the University of Padua, New York’s State University and at Lausanne and Geneva’s Universities, he decided to return to Lugano to teach at the Scuola Universitaria della Svizzera Italiana (SUPSI) (where he continues to work). It’s important to define a historic period; counterculture may, for instance, be traced or detected as a common thread, right from the start of the 20th century. From the second half of the 19th century it is something that has to do with a rupture from the prevalent way of thinking or ruling thought; let’s think for instance about the Futurism and Bauhaus movements, then going through art and all that happened in the 20th century which has overturned the canons of culture as it was normally understood. Post WW2, the spaces and voices of counterculture branched out, identifying themselves over time in a number of idioms: ranging from the cinematic to the musical and aesthetic, entering both design and politics, with some historic transitions such as, for instance, the Beat Generation in the world of literature.

Not to mention, to stay on the subject of literature, the US tradition of which Ruth Bader Ginsburg, Bob William Boros, John Giorno were part. All that trend which, right from the 1950s, broke the US literary mould, having a considerable influence also in Europe, and starting to assert itself on the basis of topics and concepts of geographic and spatial nomadism. Just think, for instance, about some songs by Bob Dylan and the contrast between that petty-bourgeois settled life and the new frontier of being ‘on the road’, going here and there with no money and a guitar hanging from one’s shoulders, trying to build nomadic communities.

And then there’s the counterculture that had an impetuous effect from the perspective of political and social structure; the counterculture of US civil rights movement, thus demands, the first student movements in favour of free speech, for freedom of expression; we are talking about 1964 at Stanford University, of something that had a very strong impact because it was experienced at times when those changes were felt even if they took place far away; they felt close, they made you feel involved because they were part of the Zeitgeist, which was inscribed in that ‘going against’, made up of exodus, nomadic life, exploration, creativity, of great freedom. Essentially anarchist, without being so ideologically, anti-establishment and also very nice and pleasant. A “going against” which strongly worked in terms of freedom, from the sexual to the aesthetic, where the mini skirt – and we are talking about the 1960s – became one of the forms of counterculture. Crucial was then, of course, all that this expressed in the world of music – an example amongst others is the counterculture of no satisfaction by the Rolling Stones, even more than that of the Beatles, which unlocked a world. Still in the 1960s, and still referring to what was happening in the United States, there was a massive impact of the movement in England, which had always been a countercultural lab of a country, despite being – strangely enough - one of the most conservative places, with a monarchy in place. And it precisely there that the biggest rock bands were born, it’s there that trends so deeply rooted in certain suburbs sprung up, just like the hippies, who were however also widespread in the States, and there where the Sex Pistols would come about. In other words, a land where counterculture always expressed itself as something with a deep social rooting, not at all ephemeral, temporary or trendy, thus making England the most interesting place to understand the birth of countercultural movements, something which, by its own nature then went on to always show itself in global, trans-regional terms, attempting to link countries, peoples and social groups scattered around the world. The music scene had a great impact also in Eastern countries in the grip of the Soviet Union, where Western literature was already largely widespread, albeit secretly circulated, right on the par with rock music.

At the same time, at our end too, after this phase in the late 1960s, we find instances of counterculture in a series of magazines that came out over the 1970s. A number of really interesting magazines came about; in Bologna, for instance, the outstanding one was Attraverso, a cult magazine where poetry, literature, graphic art and politics met, with strong reference to the young people who lived that very belief “against” a certain kind of politics, without sparing the Left and even the Communist Party who ruled the city and Emilia Romagna. Undoubtedly left-leaning moments and movements, but with a foundation more rooted in anarchy and in breaking with the establishment. In this instance you can therefore really talk of all-round counterculture, which indeed gave rise to magazines such as e.g. Il Male, a magazine whose anniversary is being currently celebrated, and which lasted some ten years, even up to the early 1980s and which is still a point of reference for political satire and a kind of highly jaded cultural sentiment which, not by

coincidence, picked “no future” as its slogan. Hence, a counterculture which had an explosive effect on the future and from where we must start to understand, for instance, the turning point in 1980s music. A movement and a sentiment “against the future”, in terms of an awareness that the imminent tomorrow would not offer young people anything. And we cannot deny that they got it quite right.

Then in later years counterculture changed, the 1980s were a very mournful, empty, featureless decade, a time in which neo-liberal policies took hold, the thinking and mould of those Thatcher and Reagan-like characters ruled and against whom countercultures turned out to be – in some cases - more like trends than interesting movements. At the time of “paninari” there was no counterculture, aside from the fact that they still wanted to start a trend from an aesthetic and fashion point of view. In the 1990s what was interesting, as regards movements, was the emergence of “self-managed social centres” (centri sociali) which almost everywhere became strongholds and labs for new experimental jargons and self-made projects, with the birth, for instance, of publishing events which also became hubs of counterculture. Think, for instance, about Lugano’s Macello, Molini di Viganello and the former “Molinari” who are still there, albeit now in a small minority, the last of the Mohicans, eternally suspended between hanging around or not.

As regards our Ticino, they represented a wealth of counterculture, moved by a politically-militant, independent-breaking vanguard, highly critical and linked to revolutionary movements springing up all over the world, and at the same time, enlivened by internal activities going from music to nutrition. Counterculture, for its part, should be examined from this viewpoint too, that of food, which is also likely to be one of the more long-lasting forms in some ways, and about which hardly anybody ever speaks in terms of countercultural ground, although, in actual fact, as well as having been this way from the start, it continues to be so. In some ways, it has filled vacant times in which the public dimension of countercultural action was non-existent, frozen or suspended, but kept alert and watchful precisely around nutrition and matters to do with food.

Counterculture must be examined in its erratic forms and volcanic eruptions, but also in its karstic realm, in the sense that it is something that carries on underground to reveal itself at certain times in its various forms. Experiences that come to an end, restricted in time, but that underneath feed something that keeps going, if only because I believe it’s characteristic of human nature to need to feed one’s existence with criticism, refusal and saying “no”. Let’s think, in recent times, about Occupy Wall Street, which lasted a few months, was very influential and much talked about and then vanished, or so it seems. In actual fact, I reckon it reveals itself and continues to be around in more molecular activities, more micro ones, which will then be able one day to regroup in “new” protest movements. After all, I think that this is to some extent the driving force of counterculture, whose story can be told by piecing together its stages and moments through examples, instances of advertising, graphic work and cinematography. Let’s consider, for instance, the New Wave (Nouvelle Vague), Jean-Luc Godard and a range of directors who really did create counterculture, who completely broke the mould. In other words, we often forget about it, but in actual fact, counterculture has never died out, perhaps we get the impression we are living a period of calm, devoid of it, but actually there is that something that keeps digging, and deep, and then at some point it will blow up in one way or another. A case in point is that of the economy. For more than 30 years we have been living under a capitalist rule that has strikingly widened the range of social inequality, there has certainly been an increase of wealth – but just for the few - thus creating inequality and social imbalance. Hence, paradoxically, a rise in poverty everywhere, thanks to Neoliberal or Liberal economic policies, which have favoured individual over collective interest with devastating effects. And right now we see how in Latin American countries there has been an increase in rallies and protests – from Chile to Bolivia, from Ecuador to Brazil, and then again on the other side of the world, in Lebanon, Egypt and in countries with a more marked dictatorial or military-style regime.

There, we see (again) that thing which seemed to have desperately vanished, i.e. counterculture. In this case turning towards social issues, counterculture blows up, is still capable of blowing up, transforming itself at times in extremely defiant ways on an aesthetic level in order to get across a given experimental discourse, be this on other forms of government, of human and social coexistence. But counterculture reveals itself also in more social and economic forms, because – after all - counterculture is to an extent like society’s guilty conscience, it tells us things we do not want to hear. And, on the contrary, that is where you find its meaning, its nature: that of telling to your face things that actually bother you, it bothers you to admit them because it troubles and unsettles you, it puts you in a position of selfdoubt.

The aim of all these movements is that of being brought face to face with yourself in a very defiant way, just like having to look at yourself in the mirror and saying “look how ugly you are, we are even uglier than you, but we assert it. You, on the other hand, don’t even notice it!”

Question 1: Nowadays where do you see counterculture again, also at youth level?

You should be telling me. Currently I see these countercultural movements in their foremost social form (possibly “political” but very much in inverted commas), as it’s more a rejection of politics – albeit not an a-priori rejection – but a denial in view of something, from production/ non-creation of something else. For the moment I mainly see this side of counterculture. I see great interest on the part of the capitalist society in reclaiming any form of counterculture in social and market terms, in the sense of standardization and integration within the mechanisms of accrual and wealth, of those forms which could turn into breaking points; I see an ever greater challenge - that of “succeeding”, we see how the art world has become financialized, becoming a market in its own right. It’s very difficult for an artist to be such, because the market lures and draws you in, and once you are inside, it’s very hard to define a different, opposing identity. In my view it is highly likely that inside this capitalist fraction, entirely integrated and commodified, the ground is being prepared for a large art bubble, a counterculture bubble whence voices and jargons worthy of being regarded countercultural may emerge, but for now they are

difficult to spot. An essential feature to be part of it is being young, conversely it wouldn’t be easy. But I think that we are to an extent in this phase, which I see more in social terms though, as things were stretched to the limit, poverty has grown disproportionately, the contrast with wealth is highly apparent, you even see it in shop windows, on television but you don’t rejoice in it, hence it is, even more so, violent. If you came from another world you wouldn’t notice it, but because it isn’t so, in that you are constantly confronted with this wealth, you reach a certain stage where you can no longer cope and you rise up. Much the same applies though to the art world, think what financialization of this world has meant, the number of people collecting works of art has grown, people who have never taken an interest in art, and if there was a time when they would go to Dubai or Miami it was because it was fashionable, and now they buy a number of paintings because it works the system and it is also a shortcut to joining the elite with a cultural identity card. It is rather shocking how financialization has heavily upset the very parameters. These are all things I’m not saying you should turn down, but that they are stages which have by now taken hold and which we must tackle. The power of finance within the art world is pretty dramatic and, here too, it’s impossible not to perceive the imminent outburst of a refusal. Countercultural movements, as far as I can remember, have been ground for rejection, we reject everything, all-out statements to see the emergence of a different spirit of society, seen as oppressive and boring. I teach a course at Milan’s NADA (Nuova Accademia di Belle Arti), I deal with young people like yourselves, and you can see that this is a problem, but knowing that you are inside the economics of the arts, how can you also be against it? It is a new ‘inside-outside’ that is actively being sought, now we are at the research stage or perhaps already at an explosion phase.

Question 2: On the other hand, what impact has this rejection had at economic level? Do you see it in a positive or negative light?

Undoubtedly in a positive light, if however you are hinting at other forms, i.e., the distribution of wealth, we have been talking for years about forms of basic income, but in the art world this has always been around, managing to secure some basic income for an artist, a scholarship or something like that, so that they could work without worrying about finding galleries where to show their output. Therefore the issue of wanting to be oneself while also claiming the right to some basic income, leads to the individual having to deal with how to be one’s own artist but without chopping their ear off because they’ve gone mad. In an economy like the one of the last thirty years, there has been a proliferation of jobs, and artists have been able – with great difficulty- to juggle their artistic work whilst having a job at McDonald’s, thus seeing the real world and gaining from this experience. At the same time, though, art has undergone commodification, financialization and greater collectors’ power. I have experienced this situation, when in the 1970s I lived in the United States, artists had taken over lofts. This is where counterculture or countercity happened, they were spaces of artistic activity and life. Later on brokers came and bought these spaces, and artists were split between those who managed to become “court” artists, at the disposal of the wealthy, while others simply vanished. There was a similar situation in music, the New Wave of the 1970s and 1980s, where some artists like Madonna made it while others failed to stand out. We are always before two souls, an eternal contradiction which is what counterculture feeds on.

Question 3: Any advice for us young future visual communication designers?

Keep one foot in education, where there may be job openings, i.e. an internship, without leaving it immediately after your first degree, since starting from scratch I think would make it difficult for your working career to take off. Also travel and leave Ticino, as it’s a very small place.

Question 4: Could you give us one or more examples of significant of the counterculture?

I’d be more inclined to say that in the last few years we’ve seen an event economics, going from one event to the next, from the 2014 Expo to the Venice Biennale. The art world goes through these events and they have become a fad; think for instance of what happens in Germany at Documenta. They are extremely interesting moments, but the problem is how to make counterculture beyond the events. The exhibition has become a snare for counterculture, i.e. it’s a very way of killing it off before it even manages to come to the surface, to reflect on this event economics in a critical way, thinking about what it is that stops counterculture blasting out and emerging. The rationale of the event forces everyone to take part in a validating and validated manner in something organized by others, thus you are not in a position to act in a countercultural manner. Counterculture either starts at grassroots level or doesn’t start at all, there is no other way of creating countercultural events, it is therefore necessary to find ways to “counter (zany) events” in order to redefine a counterculture domain.

Question 5 Who killed counterculture?

When I was in New York I experienced first-hand the New Wave Underground movement, I was friends with Jean-Michel Basquiat and David Byrne. At one point there was an event: the PS1, a very well-known exhibition that appears to have started the New Wave, in actual fact it sealed it. And this was the event that killed off the countercultural nature of the New Wave.

intervista /interview a/with CARLO VINTI di/by Giorgia Antonini e/and Naomi Sabato

Cosa è stata la controcultura per lei?

Posso interpretare la domanda in due modi: come la richiesta di un racconto personale o di una valutazione su ciò che è stata stori camente la controcultura. Proverò brevemente a fare entrambe le cose. Per me, come per molti altri della mia generazione, il primo incontro con manifes tazioni controcultu rali è passato dalla musica. Ascoltare e, in qual che caso, frequentare da vicino chi

fa musica “dal basso”, in particolare la scena post - punk di inizio anni ottanta, equivaleva a posizionarmi – anche se solo da fruitore - in una posizione orgogliosamente marginale dalla quale guardare il mondo, con tutta l’arroganza e l’ingenuità intellettuale degli anni dell’adolescenza.

Come fenomeno storico la controcultura per me nasce solo in parte dal desiderio di opporsi ad una cultura dominante. Ancora di più si caratterizza, all’origine, per la volontà di trovare o costruirsi mezzi di produzione e diffusione della cultura completamente diversi da quelli che usa chi è comodamente al centro del sistema dei media o delle istituzioni che producono tradizionalmente cultura o informazione. In realtà, fin dagli inizi, non è esistita controcultura senza dialettica con l’industria culturale, e non solo per il costante rischio di assimilazione delle esperienze più sperimentali nel mainstream.

E cosa è oggi?

La prima risposta istintiva è: non lo so. Oggi secondo molti l’idea di una cultura autenticamente “altra” è sparita, non perché non ci siano più spazi di espressione disponibili, ma esattamente per la ragione opposta (almeno se parliamo della parte ricca del mondo). Per qualsiasi outsider confezionare un prodotto culturale dalle qualità professionali e distribuirlo è diventato relativamente facile, mentre la stessa industria della cultura assume spesso configurazioni frammentarie, flessibili, leggere. Secondo questa visione, posizionarsi ai margini della cultura dominante è molto più difficile perché è meno facile capire dov’è il centro. C’è molto di vero in questo (o almeno c’è stato molto di vero), a partire dall’introduzione

delle tecnologie e dai media digitali. Tuttavia, mai come in questo momento – in cui la stessa tecnologia digitale mostra sempre più i suoi lati meno aperti e democratici - c’è una urgente bisogno di contro narrazioni, forse meno riferito ai linguaggi ma più ai contenuti. Non credo sia morta la necessità di diffondere contenuti che sarebbero rifiutati nei contesti in cui si sviluppa la narrazione “dominante”. Il problema vero mi pare adesso fare arrivare questi contenuti al di fuori della cerchia dei nostri “amici”, quelli che già la pensano come noi.

Quali sono le tracce di quanto prodotto dalla controcultura e dove è possibile rintracciarla oggigiorno?

Non mancano archivi e collezioni molto interessanti. Ne cito due che ho avuto l’occasione di

Carlo Vinti si occupa di storia del design e della comunicazione visiva e insegna presso la Scuola di Architettura e Design “E. Vittoria” dell’Università di Camerino. Dottore di ricerca in Teoria e storia delle arti (SSAV, 2006), ha insegnato anche allo Iuav di Venezia, all’Isia di Urbino e alla SUPSI di Lugano. Suoi saggi e articoli sono apparsi in vari libri, cataloghi e riviste nazionali e internazionali. Ha curato diversi volumi, fra cui il recente "Argomenti per un dizionario del design" di Ugo La Pietra (Quodlibet, 2019), e fascicoli monografici di riviste come “Ais/Design Storia e ricerche”, “Progetto Grafico” e “Études de communication”. Fra le sue pubblicazioni anche: "Gli anni dello stile industriale" (Marsilio 2007), "Una via italiana all’immagine di impresa: lo stile Olivetti" (Archivio Storico Olivetti, 2010), il catalogo della V edizione del Triennale Design Museum, "TDM5: Grafica Italiana", che ha curato con G. Camuffo e M. Piazza (Corraini, 2012), "Grafica italiana dal 1945 a oggi" (Artedossier Giunti, 2016) e "Campo Grafico" (Tipoteca, 2019).

La prima risposta istintiva è: non lo so.

consultare di persona, ma ce ne sarebbero molti altri: - Il fondo Prandi, donato da Alberto Prandi alla biblioteca Marciana di Venezia: 500 fra volumi, opuscoli, periodici e volantini pubblicati tra gli anni 1964 - 1975 da soggetti vicini ai movimenti e ai partiti della sinistra extraparlamentare e rivoluzionaria italiana.- l’Archivio Primo Moroni, presso la libreria Calusca a Milano, un luogo dove immergersi letteralmente nella produzione controculturale.Il grande archivio della rete, credo sia pieno di testimonianze e materiali condivisi dagli utenti anche relativi a questo campo.

Da teorico e studioso di design e arti grafiche, cosa ne pensa dell’approccio visivo di quegli anni? Qual è l’aspetto più innovativo?

Immagino che gli anni siano quelli della contestazione giovanile, dell’emergere di culture underground e persino di una sorta di contro design in Italia (design e architettura radicale): gli anni sessanta e settanta insomma. In quel periodo i linguaggi erano piuttosto diversi a seconda del tipo di fenomeno di cui parliamo: le sottoculture che, mentre aderivano in modo entusiastico alla civiltà dei consumi, contribuirono anche a trasformarla drasticamente, avevano un modo di esprimersi che poi è stato definito in vari modi, ma che possiamo ragionevolmente far rientrare dentro il fenomeno pop. Sicuramente qui i linguag-

gi più che essere corrosivi e di opposizione, puntavano a soddisfare un forte bisogno identitario. I più giovani (una categoria demografica che emerge con prepotenza proprio allora) si appropriano della cultura dei consumi riconfigurandola, cercando al suo interno spazi di espressione. Al contrario, forme di controcultura più consapevoli, politicizzate e ideologiche, rivendicano esplicitamente il rifiuto del consumismo e mettono in discussione l’assetto economico della società occidentale, adottando linguaggi che intenzionalmente si distinguono dalla grafica profes sionale, da tutto ciò che è patinato ma anche eccessivamente strutturato (il modernismo “svizzero” e l’international typographic style, ad esempio). Di qui, il ritorno alla manualità grezza, all’illustrazione, al segno sporco, l’eclettismo stilistico, ma anche la ricerca deliberata di illeggibilità o quantomeno il rifiuto di una comunicazione diretta e ingannevolmente trasparente (dietro la quale, ai loro occhi, si nasconde la propaganda del potere), per usare immagini e scritture che richiedono uno sforzo critico di decodificazione da parte del lettore. Non c’è un confine netto fra questi due modi, ma è una distinzione da tenere presente.

Quali ne sono gli esempi più significativi nel design e della comunicazione visiva ? Può indicarci uno o più eventi significativi e

ni Sassi e Magdalo Mussio. Per il resto, inviterei a non fermarsi agli anni ’60 e ‘70, e non solo alle forme tradizionalmente più politicizzate ma anche, ad esempio, ai movimenti di liberazione sessuale e di genere (i cui linguaggi, spesso molto innovativi, di solito non entrano nelle storie del design). Guarderei non solo al maggio parigino o alla cultura hippie, ma anche al mondo delle fanzine legato al Punk, fino alla musica elet- tronica e alla cultura dei rave party. Ci sono poi le spe- rimentazioni più artistico - letterarie, l’esoeditoria. La storia del design grafico ha tutto da guadagnare dall’in- clusione nel suo racconto di una serie di fenome- ni che non hanno a che fare con la professione in- tesa tradizionalmente. Qualunque proposta è benvenuta. Per non eludere del tutto la domanda, direi che se si vuole capire la dinamica che si sviluppa a un certo punto fra mainstream e underground, fra modernismo e grafica di opposizione, è utilissimo andare a guardare due documenti: 1. Il numero dell’Almanacco Bompiani dedicato all’”Altra grafica”, pubblicato nel 1973, con contributi, fra gli altri, di Umberto Eco, Ugo Volli, Franco Quadri e Daniela Palazzoli Difficile dire cosa sia interessante segnalare in questo mondo vastissimo e variegato. Per quanto riguarda il design, trovo estremamente contemporaneo tutto ciò che ha fatto negli anni settanta un progettista come Ugo La Pietra (che ha sempre preferito definirsi operatore culturale). Nella grafica due figure come Gian-

2. Il dibattito tutto olandese fra Wim Crouwel e Jan Van Toorn, nel 1972 (oggi disponibile in inglese in The Debate. The legendary contest of two giants of Graphic Design, The Monacelli Press, 2015).

C’è qualcosa della comunicazione visiva di quell’epoca da studiare o da tenere in considerazione oggi per la nostra professione?

Rispondo con una citazione di Umberto Eco (in un altro almanacco letterario Bompiani del 1971, dedicato alle culture giovanili): “Molti giovani che se fossero vissuti trent’anni fa avrebbero scritto poesie, ora fanno fumetti astratti, e quindi disegnano con poche parole. Invece quelli che trent’anni fa avrebbero dipinto, ora scrivono manifesti”. L’invito, così forte in quegli anni, a considerare la grafica come un linguaggio alla portata di tutti per esprimere il proprio punto di vista e non solo come una professione che consiste nel veicolare i messaggi dei propri clienti. Ecco cosa forse salverei. Nel mestiere del designer c’è una forte componente intellettuale. A volte si può usare il design per esprimere le proprie idee e proporre una visione alternativa del mondo. E lo si può fare da designer, dunque sapendo ben maneggiare i mezzi di produzione e comunicazione. Rinunciare ad avere una voce, oltre che poco auspicabile politicamente, credo sia poco divertente.

Un consiglio per noi giovani futuri designer della comunicazione visiva?

Forse ho risposto un po’ prima. Ma in genere non mi piace dare consigli ai giovani. Nel mio piccolo, provo a mettere a disposizione strumenti di valutazione critica, che ognuno utilizza come crede. Direi che in linea con i gruppi controculturali e underground, accanto all’autoproduzione e all’autogestione, potremmo inserire, forme di auto - consulenza.

Chi ha ucciso la controcultura?

Mi verrebbe da dire il sistema della moda. Non c’è niente di scientifico in quello che sto per dire (e chiedo perdono ai molti amici esperti di moda), ma io ho l’impressione che oggi la moda sia uno dei territori di sperimentazione più fertili, dove si macinano e rimacinano culture alternative, e allo stesso tempo uno dei maggiori responsabili dell’abolizio ne di ogni linea di distinzione fra cultura e controcultura. La ricerca di alterità e indipendenza è funzionale alla logica di un sistema come quello della moda, che saccheggia (o accoglie, include, alimenta? Dipende dai punti di vista) qualsiasi cosa venga dalla strada ormai da tempo. Quando da ragazzo andavo al mercato di Resina (vicino Napoli) a comprare cappotti e scarpe usate, mi illudevo ingenuamente di fare qualcosa del tutto al di fuori dal sistema dei consumi (e di certo già non era vero). Oggi le tribù più radicali della moda (che recuperano tutto il recuperabile dal passato) neanche si pongono il problema: vanno in giro conciati in un modo che può ancora spaventare qualche vecchietta forse, ma il loro look è frutto di uno studio maniacale, quasi filologico, di tutto ciò che producono e hanno prodotto storicamente i brand: da quelli più popolari a quelli più di nicchia. Non credo che ci sia qualcosa di negativo in questo. È molto interessante anzi. Forse anche da qui – dalla moda e da tutto quello che si muove intorno a essa - possono passare le famose contro - narrazioni? Non lo escludo affatto ma non ne sarei neanche così certo.

intervista / an interview a/with CARLO VINTI di/by Giorgia Antonini e/and Naomi Sabato

What has counterculture meant to you?

I can read the question in two ways: as a request to provide a personal account or an evaluation of what counterculture has meant from a historical point of view. I will briefly attempt to do both things. For me, as for many people of my generation, the first encounter with countercultural events took place through music. Listening and, in some cases, spending time closely with people making “low culture” music, especially the early 1980s Post punk scene, amounted to placing myself – even as a mere consumer – in a proudly marginal position from which to watch the world, with all the intellectual arrogance and naivety typical of adolescence.

To me, counterculture as a historicalphenomenon was born out of a desire to stand up against a dominant culture. Even more so to start with, it stood out for its willingness to find or establish ways of producing and spreading culture that were utterly different from those employed by people who are comfortably found at the heart of the media or institutions which traditionally generate culture or information. As a matter of fact, right from the start, there has never been counterculture without dialogue with the cultural industry, and not only for the constant danger of absorbing the most experimental experiences into the mainstream.

And what is it today?

The first instinctive reply is: I don’t know. Nowadays according to many, the idea of an authentically “other” culture has disappeared, not because there no longer are areas of expression available, but precisely for the opposite reason (at least if we talk about the wealthy part of the world). To package and distribute a cultural product of professional standards has become relatively easy for any outsider, while the very industry of culture has often taken on fragmented, flexible and light patterns. According to this view, to place oneself at the margins of

My first instinctive reply is: I don’t know.Ndominant culture is much more difficult as it harder to understand where its centre is. There has been a lot of truth in this (or at least there once was), right from the introduction of digital technologies and media. However, never as at present –when the very digital technology has shown its less open and democratic sides – is there an urgent need of counter narratives, perhaps less referring to jargon but more to contents. In my view, it is not the need to spread contents that would be rejected in contexts where the “dominant” narrative is developed It seems to me that the real problem now consists in having these contents reach outside the sphere of our “friends”, those who already think like us. What are the signs of what was produced by counterculture and where can it be found nowadays? There is no shortage of very interesting archives and collections. I’ll name two of those I have had the chance to see personally, but there are many others: - The Prandi Fund, gifted by Alberto Prandi to the Marciana Library of Venice: 500 among volumes, pamphlets, brochures and leaflets published between 1964 and 1975 by people close to movements and parties on the Italian extra - parliamentary and revolutionary Left. - the Primo Moroni Archive, located at Milan’s Calusca bookshop, a place where you can literally immerse yourself in counterthat has died. cultural production. The wide internet archive, I think it’s full of evidence and materials shared by users Carlo Vinti works in the field of books, catalogues and stile industriale (Marsilio 2007), also in relation to this field. of the history of design and national and international Una via italiana all’immagine visual communication and is magazines. He has edited di impresa: lo stile Olivetti As a theorist and scholar of design a lecturer with the “E. Vittoria” various volumes, the recent (Archivio Storico Olivetti, and graphic arts, what do you make of School of Architecture and Argomenti per un dizionario 2010), the catalogue for the 5th the visual approach of those years? Design of the University of del design by Ugo La Pietra edition of the Triennale Design What was its most innovative element? Camerino. He holds a Ph.D. (Quodlibet, 2019) among them, Museum, TDM5: Grafica in Theory and History of the and monographic magazine Italiana, which he edited with I imagine the years are those of youth Arts (SSAV, 2006), and has also issues such as “Ais/Design G. Camuffo and M. Piazza protest, of the emergence of underground taught at Iuav, Venice, Isia, Storia e ricerche”, “Progetto (Corraini, 2012), Grafica italiana culture and even of a sort of counter Urbino and SUPSI Lugano. Grafico” and “Études de dal 1945 a oggi (Artedossier Gi- design in Italy (radical design and archiHis essays and articles have communication”. Among his unti, 2016) and Campo Grafico tecture): the 1960s and 70s in short. During been published in a number publications are: Gli anni dello (Tipoteca, 2019).

adopted the consumer Style). From here, a reversal Which are the most meaningful

Cthat time, the jargons were quite different depending on the kind of phenomenon we are discussing: the subcultures which, whilst enthusiastically joining the consumer culture, played a role also in drastically transforming it, had a way of expressing themselves which was later defined in various ways, but which we can reasonably consider part of the pop phenomenon. culturealtering it, seeking within it room for expression. On the contrary, formsof counterculture showing greater awareness, political and ideological concerns, explicitly asserted their refusal of consumerism and challenged the economic structure of Western society, adopting jargons what intentionally stood out from professional graphic design, from all that was glossy but also excessively structured (e.g. the “Swiss” modernism and the International Typographic to rustic manual labour, illustration, to the dirty sign, stylistic eclecticism, but also the deliberate quest for unintelligibility or at least the refusal of direct and deceivably transparent communication (behind which, in their eyes, the propaganda of power was hidden), to use images and typesets requiring a critical decoding effort by the reader. There is no marked division between these ways, but it is a distinction we should bear in mind. examples emerging from this in terms of design and visual communication? Could you give us one or more examples of significant and essential events of the counterculture? It is hard to say what one should pick out in this very vast and varied world. As regards design, I find extremely contemporary all that was achieved in the 1970s by a designer like Ugo La Pietra (who always preferred to call himself an arts worker). In graphic design two figures like Gianni Sassi and Magdalo Mussio

Certainly in this case the jargons, more than being something corrosive and confrontational, aimed to meet a strong need for identity. Young people (a demographic category that emerged with force at that very time) A stand out. As for the rest, I’d urge people not to stop at the 1960s and 70s, and not only at traditionally more political forms but also, for instance, at movements of sexual and gender liberation (whose jargons, often very innovative, usually do not get into the history of design). I’d look not only at the Paris May riots or the hippie culture, but also at the fanzine world connected with Punk, right through to electronic music and the rave party culture. There were also experiments of a greater artistic and literary nature, in dependent publish- ing. The history of graphic design can only but benefit from the inclusion in its narrative of a series of phenomena which- have nothing to do with the traditional view of the profession. R Any suggestion is welcome. So as not to avoid the question all together, I’d say that if you wished to understand the dynamic that evolved at one point between mainstream and underground, modernism and opposition graphic design, it would be very useful to look at two records: 1. the issue of Almanacco Bompiani dedicated to ”Alternative graphic design”,

published in 1973, with contributors such as Umberto Eco, Ugo Volli, Franco Quadri and Daniela Palazzoli among others. 2 the all - Dutch debate between Wim Crouwel and Jan Van Toorn, in 1972 (available nowadays in English in The Debate. The legendary contest of two giants of Graphic Design, The Monacelli Press, 2015).

Is there something of the visual communication of that time that should be studied or borne in mind nowadays for our profession?

I’ll reply with a quote by Umberto Eco (found in another Bompiani literary almanac of 1971 dedicated to youth cultures): “Many young people who had they been around thirty years ago would have written poetry, now create abstract comics, and therefore draw using few words. On the contrary, those who thirty years ago would have painted, now write posters”. The invitation, which was so powerful in those years, to regard graphic design as a language open to everyone to express their point of view and not just a profession intended to convey one’s clients’ messages. This is perhaps what I would salvage. There is a strong intellectual component in being a designer. Sometimes design can be used to express one’s views and suggest an alternative vision of the world. And you can do this as a designer, therefore handling knowledgeably production and communication media. Deciding not to have a voice, as well as not being politically advisable, wouldn’t be much fun I believe.

Would you have some advice for us young future visual communication designers?

productive experimental around dressed in such a way that areas where alternative they could still frighten some old cultures are ground and lady perhaps, but their look is the reground, and at the result of a manic study, almost same time of the one of philological, of anything that the biggest culprits of the the fashion brands produce and Perhaps I partly an- removal of every line of have produced: from the more swered earlier. But in distinction between culture popular ones to the niche ones. general I don’t like giving and counterculture. The I don’t think there is something advice to young people. In my own way, I try to make available tools of critical evaluation, which everyone uses as they see fit. I would say that in line with countercultural and underground groups, alongside self production and self -ma nagement, we could add forms of self - advising. OWho killed counterculture? I feel like saying the fashion system. There is nothing scientific in about I am about to say (and I seek the forgiveness of the many fashion expert friends I have), but I have the feeling that nowadays fashion is one of the most quest for otherness and independence is useful to the logic of a system like that of fashion which has – for a long time now - ransacked (or welcomed, included, fed? depending on the point of view) anything that comes from the streets. When as a boy I used to go to the market at Resina (near Naples) to buy second - hand coats and shoes, I was naively under the illusion that I was doing something outside the consumption system (and it certainly wasn’t so even then). Nowadays the more radical fashion tribes (who reclaim anything that may be reclaimed from the past) don’t even ask themselves this: they go bad in this. Indeed, it is very interesting. Could the celebrated counter - narratives perhaps also come from here – from fashion and all that rotates around it? I wouldn’t rule it out but wouldn’t be so sure either. Controcultura 35