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La collezione di Ulisse
Grazie alla sensibilità degli speleologi, il “Museum Metallicum” di Ulisse Aldrovandi fa parte del patrimonio della Biblioteca “F. Anelli”
Paolo Forti
Sopra: sezione longitudinale di una stalagmite
A fianco: eccentriche di aragonite (flos ferri)
L’ entusiasmo e la generosità di molti speleologi italiani ha fatto sì che, anche in un periodo non florido, sia stato possibile dotare il Centro di Documentazione Speleologica di una copia del “Museum Metallicum” di Ulisse Aldrovandi. Era un’occasione irripetibile: dato che il volume mancava di 4 fogli (comunque non di interesse speleologico carsico e sostituiti da fotocopie) il prezzo era davvero basso (tremila euro), ma fuori della portata dei fondi ordinari della biblioteca. Per questo si è pensato di fare un appello agli iscritti alla lista Speleo.it ed il ritorno è stato eccezionale: moltissimi hanno dato il loro contributo, soci e non della SSI. In un paio di settimane si è raccolto quasi il costo completo del volume, che quindi è stato immediatamente acquistato. Ma perché il “Museum Metallicum” è così importante?
Cercherò di spiegarlo soffermandomi essenzialmente sugli interessi speleologici che, comunque, rappresentano una minima parte di questa monumentale opera. L’opera - tre volumi per 992 pagine in “in folio” con centinaia di illustrazioni - è stata pubblicata postuma nel 1648 da Bartolomeo Ambrosino, curatore del Museo e dell’Orto Botanico di Bologna ed è dedicata alla descrizione puntuale della grande collezione di rocce e fossili (oltre 17.000) raccolte da Aldrovandi tra il 1549 e il 1605, anno della sua morte (Vai & Cavazza, 2003). La collezione, lasciata per testamento a Bologna, nel tempo fu accorpata e smembrata, tanto che oggi non se ne ha più traccia. Solo pochi anni fa (Forti & Marabini 2004), da una rapida ricognizione sul “Museum Metallicum” conservato nel Museo Capellini, si scoprì che nella collezione Aldrovandi vi erano anche frammenti di speleotemi, in particolare stalattiti, da lui chiamate “stelechiti” per la somiglianza con tronchi d’albero. Ora, disponendo senza limiti di tempo di una copia dell’opera, ho potuto verificare quante concrezioni facessero parte della collezione Aldrovandi. Il lavoro non è stato facile dato che, seguendo i dettami del tempo, i campioni sono stati descritti non sistematicamente, ma seguendo il concetto di similitudine morfologica: per esempio le stalattiti, per i loro cerchi concentrici, sono assieme a coralli e alberi fossili. La ricerca, per ora effettuata solo confrontando le figure con la descrizione, ha comunque dato un buon risultato: sono state scoperte varie altre immagini di speleotemi. Prima tra tutte quella di eccentriche di aragoni
te, da Aldrovandi chiamate “Fluores ex minera ferris”, nome, del resto, che questa varietà di aragonite coralloide (Flos Ferri) ha mantenuto fino quasi ai giorni nostri. E poi varie pisoliti, frammenti di stalattiti con evidenziato il canalicolo interno (da Aldrovandi descritte come rocce simili a ossi), una bella eccentrica macrocristallina (di calcite?) chiamata letteralmente “Succus concretus ex aquis stillantibus” (cioè roccia formatasi per solidificazione di acqua gocciolante dalle pareti di un ipogeo). In assoluto la scoperta più interessante è stata la figura di una stalagmite, sezionata e lucidata longitudinalmente. Aldrovandi la descrive come “lapide figura fluvij”, per la somiglianza ad una lastra raffigurante un letto fluviale con evidenziate le successive alluvioni. In realtà al suo interno sono evidentissime le varie bande di accrescimento, con chiare variazioni cromatiche che l’incisore è riuscito a rendere con il chiaroscuro e, soprattutto, con cambi di direzione dell’asse di accrescimento, che mi piace pensare siano stati causati da antichissimi terremoti. Ma la cosa ancora più eccezionale è che, pur non sapendo da quale grotta sia stata prelevata, possiamo sapere in che direzione spirava la corrente d’aria al tempo del suo sviluppo: infatti nella parte destra della sezione sono chiaramente visibili infiorescenze dovute all’evaporazione accentuata (quindi contro vento), infiorescenze che invece sono del tutto assenti nella parte sinistra. Tornando al volume, in molti altri punti esistono riferimenti al mondo delle grotte e agli speleotemi: basti pensare alle pietre descritte da Aldrovandi come “stalagmites”, formatesi per gocciolamento, di cui però per ora non è possibile dire niente di più, non essendovi alcuna immagine. Uno studio più approfondito del “Museum Metallicum” apporterà nuove conoscenze sulle concrezioni di grotta della collezione Aldrovandi. Se questo libro ha certamente per il Centro Italiano di Documentazione Speleologica un grande valore scientifico e storico, a parer mio ne ha uno ancora maggiore: rappresenta infatti la “certificazione” che la Biblioteca Anelli non solo è un luogo in cui si archiviano documenti sulla speleologia, ma è effettivamente sentita da tutti gli speleologi italiani come un
Frontespizio del “Museum Metallicum”
patrimonio comune, di cui essere fieri e da conservare ed ampliare anche a costo di piccoli sacrifici personali. Per me questa è stata la scoperta più piacevole. N
Bibliografia FORTI P. 2004 Paleotectonics from speleothems. In: J.Gunn (ed.) Enciclopedia of Caves and Cave Sciences,Caves and Cave Sciences, p. 565-566 FORTI P., MARABINI S. 2004 Ulisse Aldrovandi and the very first description of speleothems from gypsum karst of Bologna. Ist. It. Speleol. Mem. 16,Speleol. Mem. 16, s. II, p.61-64 VAI G.B., CAVAZZA W. (Eds) 2003 Four Centuries of the world Geology – Ulisse Aldrovandi 1603 in Bologna. Minerva Edizioni, Bologna, 326 pp.