Il serrano - n. 147 - luglio/dicembre 2019

N. 147

Luglio-Dicembre 2019

Poste Italiane - Spedizione in abbonamento postale art. 2 comma 20/c L. 662/96 - DCB Sicilia 2003

Organo dell’Associazione Serra International Italia

Una Domenica per la Parola di Dio

Torino, per due giorni capitale del Serra Italia

Intervista a S.E. Cardinale Collins

Tema dell’anno: “La fede non è un’idea ma un incontro”

N. 147

Luglio-Dicembre 2019

Poste Italiane - Spedizione in abbonamento postale art. 2 comma 20/c L. 662/96 - DCB Sicilia 2003

Organo dell’Associazione Serra International Italia

PERIODICO TRIMESTRALE N. 147 ASSOCIAZIONE SERRA INTERNATIONAL ITALIA

Luglio-Dicembre 2019 (XLIII)

Una Domenica per la Parola di Dio

Torino, per due giorni capitale del Serra Italia

Intervista a S.E. Cardinale Collins

editoriale ® 3 Inviati: da Dio all’uomo di Piergiorgio Aquilino

vita della chiesa 4 Ottobre missionario: per ridare slancio all’Annuncio di padre Giulio Albanese

6 Una Domenica per la Parola di Dio. Papa Francesco firma l’Aperuit illis 8 “Godi, o giovane, nella tua giovinezza”. Un annuncio per i giovani di don Carmelo Raspa

vita del serra 12 Torino, per due giorni capitale del Serra Italia di Manuel Costa

14 Club, service e società di Oriana Ragazzo

16 Giovanissimi serrani a Palermo di Maria Lo Presti

club e cultura 18 Riparte la “Scuola di filosofia di Maria Luisa Coppola

l’intervista 20 La Spiritualità del Serrano intervista a S.E. Cardianle Thomas Collins

vocazioni 23 Un incontro chiamato Dio di sr. Marta Maria Paola

l’angolo di serra international 26 Missionaries of Saint Junipero Serra di Manuel Costa

27 L’organizzazione e i costi di Serra International

la voce del CNIS 28 Tema dell’anno: “La fede non è un’idea ma un incontro” di Enrico Mori

29 Nuovi Statuto e Regolamento per il Serra Italia di Antonio Ciacci

cultura e società 30 Perché in Chiesa ci sono sempre meno giovani?

dai club e distretti ® 34 Notizie ed iniziative

Tema dell’anno: “La fede non è un’idea ma un incontro”

Registrato presso il Tribunale di Palermo n. 1/2005 del 14 gennaio 2005 Iscrizione al Roc n. 21819 del 16/01/2012 Spedizione Abbonamento Postale Gr. IV Pubblicità inferiore 50%

Direttore responsabile Piergiorgio Aquilino

Redazione Manuel Costa Filly Franchino Dino Melis

Comitato di Direzione Enrico Mori, Presidente del C.N.I.S. Flavio Fontana, V. Presidente del C.N.I.S. Gianni Fiocchi, V. Presidente del C.N.I.S. Paola Poli, V. Presidente del C.N.I.S. Giuliano Faralli, V. Presidente del C.N.I.S. Trustee italiani di Serra International

Hanno inoltre collaborato a questo numero: p. Giulio Albanese Arturo Cattaneo Maria Luisa Coppola Alessandro Cristofari Alfonsina Illiano Laura Mellone Oriana Ragazzo Cristina Vonzun

Paola Bianchi Antonio Ciacci Manuel Costa Marco Crovara Maria Lo Presti Enrico Mori don Carmelo Raspa Luisa Maria Pia Zini

Norme essenziali per redattori e collaboratori

1. Inviare il materiale per la stampa entro e non oltre il 20 febbraio 2020.

2. Inviare i contributi all’e-mail sotto indicata.

3. Inviare foto molto chiare con soggetti inquadrati da vicino.

I redattori distrettuali, i collaboratori ed i Vice Presidenti di Club responsabili delle comunicazioni sono pregati di attivarsi per l’inoltro di brevi (max 2.000 battute s.i.) cronache relative alle attività svolte dai Club e dai Distretti alla Segreteria di redazione

E-mail: news@serraclubitalia.it

Gli articoli pubblicati esprimono il pensiero dei rispettivi autori e non rispecchiano necessariamente la linea editoriale della testata.

La Direzione si riserva di pubblicare in tutto o in parte le foto, gli articoli e i servizi pervenuti, secondo le esigenze di spazio. Il materiale, anche se non pubblicato, non sarà restituito.

Stampa Luxograph s.r.l.

Piazza Bartolomeo da Messina 2/e • Palermo tel. 091 6376142 • tel. fax 091 546543 (e-mail: info@luxograph.it)

editoriale

Inviati: da Dio all’uomo di Piergiorgio Aquilino Direttore Responsabile

Battezzati e inviati. Sì, proprio come il più dolce degli imperativi della storia della salvezza: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo» (Mc 16, 15b-16a).

Questo il tema scelto per l’Ottobre missionario 2019, ma ancor di più, questo, il senso della missione: se si è inviati occorre evangelizzare.

Comunicare il Vangelo è da sempre missione della Chiesa come, da sempre, l’oggetto e il fine stesso della comunicazione ecclesiale sono l’annuncio di una Persona. Quindici anni fa, nel 2004, una magna charta ha raccolto quanto proposto nel corso dei quattro decenni precedenti in sede di comunicazione: il Direttorio sulle comunicazioni sociali, firmato Conferenza Episcopale Italiana, si presentò come il frutto di una prima stagione inaugurata dall’Inter mirifica (1963), cresciuto assieme al mutamento socio-culturale di generazioni assai diverse; una sorta di attuazione concreta e specifica di quanto auguratosi nel corso degli orientamenti precedenti ribadendo, con larga accentuazione, l’importanza della comunicazione all’interno dell’azione missionaria ed evangelizzatrice della Chiesa. Di qui il titolo: Comunicazione e Missione.

Cuore e centro dell’attività dei mediatori cattolici, il Direttorio, tra vecchio e nuovo, si propone di essere una bussola per tutti coloro i quali sono impegnati nel campo mediatico. Nell’ottica di apertura e di profezia, l’annuncio e l’evangelizzazione si trasformano in vera e propria missione: «Testimoniare la verità ultima dell’amore è la migliore comunicazione che la Chiesa possa operare» (§66). La Chiesa è, per natura propria, comunità comunicante: la dimensione comunicativa trova quindi ispirazione in una Persona, modello di comunicazione perfetta ed autentica. Gesù stesso, nel corso degli interventi postconciliari, viene presentato come «perfetto comunicatore», nel quale avviene la «comunicazione costante e illimitata dell’amore riconciliatore di Dio». È lo stesso Cristo, «icona di umanità e di divinità in dialogo», ad essere «attento a contesti, livelli e strumenti della comunicazione», facendo di questi ultimi dei meccanismi profondamente dinamici.

Riscoprire la Parola di Dio è una delle missioni principali del ministero apostolico di Francesco che, lunedì 30 settembre 2019, attraverso la Lettera apostolica in forma di Motu proprio dal titolo Aperuit illis, ha istituito la “Domenica della Parola di Dio”, da celebrarsi ogni III domenica infra annum. Comunicare la centralità del Verbo incarnato per avviare cammini reali di comunio-

ne è quanto ci si è auspicato anche nell’Assemblea Speciale per la Regione Panamazzonica durante il Sinodo dei vescovi dal titolo: “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”, celebratosi in Vaticano dal 6 al 27 ottobre scorso.

Comunicare la Parola fattasi carne, a partire da ora: da questo Avvento, periodo in cui la Chiesa ci fa pregustare la gioia di un primo incontro con la figura di Gesù, in attesa di quello definitivo e finale in cui «verrà di nuovo nello splendore della gloria, e ci chiamerà a possedere il regno promesso» (Prefazio I). È un primo faccia a faccia, frutto di una rivelazione che, seppur unica nella storia, si manifesta nella semplicità dell’umanità del Cristo. È il fil rouge della grande manifestazione di Dio che si fa conoscere, nella sua Tri-Unità, attraverso l’atto di quella rivelazione.

Proprio come noi facciamo la notte di Natale nei nostri presepi: togliamo il velo, cioè sveliamo il Figlio dell’Uomo, affinché Egli possa rivelarsi Luce per le genti (cfr. Lc 2,22-35). Come ci ha ricordato il V Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze (2015), infatti, è l’umanità di Cristo a doverci incantare più che la sua divinità. Perché in quella umanità si manifesta la sua più grande regalità: Egli, ancora oggi, viene nel mondo come re, re scomodo di un mondo che nulla vuole avere a che fare con il suo Regno. Ma Egli continua a venire. Ed è ogni volta avvento. È proprio dall’avvento che comincia questo paradosso della nostra fede. È l’avvento di una Chiesa riunitasi sotto lo sguardo del suo Dio dal volto svuotato. È l’avvento di una Chiesa protesa all’incontro col suo re, il cui unico trono è una croce crudele, issata come ancora di salvezza per ogni uomo. È l’avvento di una Chiesa che crede nel mistero di un Dio che però si annulla, donandosi all’umanità. Ecce homo: è l’avvento di una Chiesa che adora un bambino, il suo stesso Dio, sceso dalla sua immensità per essere accolto in una semplice culla spoglia.

Annunciare è, dunque, la missione della Chiesa di un Dio che si abbassa per rialzare ciascuno dei suoi battezzati ed inviati. Un Dio che manifesta la sua onnipotenza e la sua massima regalità, cingendosi un grembiule sui fianchi, nel servizio. Un Dio, ancora, che insegna a noi uomini come umanizzarci. Ecco l’umanità di una Chiesa che si riunisce per imitare l’umanità-paradosso del suo Dio, per varcare la soglia di una nuova umanità fatta di umiltà, disinteresse, beatitudine. Una Chiesa che attorno alla semplicità e all’essenzialità fonda la propria comunicazione, così come, proprio nella semplicità e nell’essenzialità, Dio si è autocomunicato all’uomo, lungo il corso della storia della salvezza, inviandolo «fino agli estremi confini della terra» (At 1,8).

Per info e approfondimenti: www.serraclubitalia.it; www.serrainternational.org.

vita della chiesa

Ottobre missionario:

per ridare slancio all’Annuncio di Padre Giulio Albanese Direttore Popoli e Missione e Il Ponte d’Oro

P

apa Francesco ha indetto per ottobre un Mese missionario straordinario che si apre con l’odierna memoria liturgica di santa Teresa del Bambino Gesù. Un’iniziativa ideata «al fine di risvegliare maggiormente la consapevolezza della missio ad gentes e di riprendere con nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della pastorale».

Così si legge nella lettera indirizzata dal Papa al cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, dicastero della Santa Sede che ha proposto l’iniziativa, curandone la preparazione a livello internazionale. In effetti, dalla fine degli anni Sessanta, una felice intuizione dell’Opera della propagazione della Fede, nell’ambito delle Pontificie opere missionarie (Pom) italiane, fece sì che il mese di ottobre fosse dedicato interamente alla missione universale.

Un indirizzo, peraltro, confermato nel 1980 da san Giovanni Paolo II il quale stabilì che «il mese di ottobre deve essere considerato, in tutti i Paesi, come il mese della missione universale», precisando che «la penultima domenica è chiamata Giornata missionaria mondiale e costituisce l’apice della festa della cattolicità e della solidarietà universale». La novità allora di questo «ottobre straordinario» consiste nel fatto che papa Francesco ha inteso celebrare il centenario della promulgazione della lettera apostolica Maximum illud, con la quale Benedetto XV desiderò dare nuovo slancio alla responsabilità missionaria di annunciare il Vangelo. In quella missiva il Pontefice genovese – che stigmatizzò la prima guerra mondiale definendola «l’inutile strage» – spiegò con chiarezza e lungimiranza che la storia universale della salvezza non poteva assolutamente essere richiamata a giustificazione delle chiusure nazionalistiche ed etnocentriche delle potenze coloniali del tempo. Sollecitato da una serie di note che i missionari cattolici presenti in Cina agli inizi del XX secolo avevano inviato alla Congregazione per l’e-

4

vangelizzazione dei popoli, Benedetto XV nella Maximum illud, dichiarò che l’annuncio del Vangelo non doveva essere contaminato dagli interessi economici e militari delle nazioni colonizzatrici. «La Chiesa di Dio è universale, per nulla straniera presso nessun popolo» scrisse il Papa, esortando anche a rifiutare qualsiasi forma di interesse, in quanto solo l’annuncio e la carità del Signore Gesù costituiscono il fondamento della missione. Benedetto XV diede così speciale impulso alla missio ad gentes, adoperandosi personalmente per risvegliare, in particolare presso il clero, la consapevolezza del dovere missionario.

Nella lettera al cardinal Filoni, Francesco ha anche espresso la necessità di attualizzare la Maximum illud per «superare la tentazione ricorrente che si nasconde dietro a ogni introversione ecclesiale, a ogni chiusura autoreferenziale nei propri confini sicuri, a ogni forma di pessimismo pastorale, ad ogni sterile nostalgia del passato, per aprirci invece alla novità gioiosa del Vangelo. Anche in questi nostri tempi, dilaniati dalle tragedie della guerra e insidiati dalla triste il serrano n. 147

vita della chiesa delle vicende umane, il Pontefice genovese – che definì la Prima guerra mondiale «l’inutile strage» – scrisse con coraggio profetico che l’ annuncio del Vangelo non poteva essere confuso con le strategie di quelle nazioni europee che intendevano salvaguardare i propri interessi economici, politici e militari nelle terre di conquista. Prendendo lo spunto da questo centenario, papa Francesco ha indetto per ottobre il Mese missionario straordivolontà di accentuare le differenze e fomentare gli scontri, la Buona Notizia […] sia portata a tutti con rinnovato ardore e infonda fiducia e speranza». È chiaro che quando si realizzano nel mondo situazioni di pace, di giustizia, di riconciliazione, quando vengono rispettate l’integrità del Creato e il bene comune, tutte queste dimensioni rimandano inevitabilmente al Regno di Dio, annunciato 2.000 anni fa da Gesù Cristo.

D’altronde, al centro dell’attività missionaria, che peraltro è connaturale alla Chiesa (senza missione non c’è Chiesa), si colloca proprio il Regno.

E sebbene, come leggiamo nell’enciclica di san Giovanni Paolo II Redemptoris missio, «non si possa disgiungere il Regno dalla Chiesa. Certo, questa non e fine a se stessa, essendo ordinata al Regno di Dio, di cui è germe, segno e strumento». Sta di fatto che questo Regno, che si manifesta nella presenza di Cristo nella nostra storia, è un qualcosa di straordinariamente meraviglioso per chi ha avuto il dono di farne l’esperienza. Un Regno di cui i nostri missionari e missionarie – in quanto «battezzati e inviati», tema della Giornata 2019 – sono testimoni credibili nei cinque continenti.

Dicevo: forse non tutti sanno che, cento anni fa, papa Benedetto XV, nell’enciclica missionaria Maximum Illud, spiegò con chiarezza e lungimiranza che la missione evangelizzatrice nel mondo non poteva assolutamente essere richiamata a giustificazione delle chiusure nazionalistiche ed etnocentriche delle potenze coloniali del tempo. Da attento osservatore Luglio-Dicembre 2019

nario, con l’intento dichiarato di risvegliare la coscienza dei credenti, chiamati ad annunciare e vivere Dio a partire dalla propria situazione di vita (famiglia, lavoro, rapporti sociali). Si tratta, in sostanza, di prendere atto di una vocazione davvero “cattolica”, non foss’altro perché oggi, guardando alla vecchia Europa, c’è purtroppo ancora chi crede all’identificazione del cristianesimo con l’Occidente, dimenticando, per esempio, che Gesù Cristo, Dio fatto uomo, era un mediorientale e che, probabilmente, se oggi gli apostoli, in quanto palestinesi, fossero venuti in Europa, sarebbero stati considerati migranti economici, avendo già in patria un mestiere dignitoso, quello di pescatori.

A questo proposito, nel tradizionale Messaggio per la Giornata missionaria mondiale, il Papa ci ricorda che la Chiesa, per sua vocazione, deve essere «in uscita fino agli estremi confini». Da rilevare che i missionari/e italiani/ e che operano oggi nelle giovani Chiese sono circa 8 mila e rappresentano il valore aggiunto della nostra società. Proprio nel contesto di questo Mese missionario, si è celebrata a Roma l’Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per riflettere sul tema “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”. Un modo concreto per comprendere che, nella grande cornice della “casa comune”dei popoli, le periferie del mondo – nella fattispecie l’ Amazzonia – ci interpellano come credenti. Grazie anche alla testimonianza dei nostri missionari.

5

vita della chiesa

Una Domenica per la Parola di Dio Papa Francesco firma l’

Aperuit illis di Padre Giulio Albanese Direttore Popoli e Missione e Il Ponte d’Oro

S

tabilisco che «la III domenica del tempo ordinario sia dedicata alla celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio». Lo scrive papa Francesco nella Lettera apostolica in forma di Motu Proprio Aperuit illis, emanata il 30 settembre scorso, memoria liturgica di san Girolamo. Il Pontefice ricorda che a conclusione del Giubileo della misericordia aveva indicato l’idea di «una domenica dedicata interamente alla Parola di Dio», e il Motu Proprio è la risposta alle tante richieste giunte «da parte del popolo di Dio, perché in tutta la Chiesa si possa celebrare in unità di intenti la Domenica della Parola di Dio». La domenica prescelta, la terza del Tempo Ordinario, non è un tempo qualsiasi ma, precisa Francesco, si colloca «in un momento opportuno di quel periodo dell’anno, quando siamo invitati a rafforzare i legami con gli ebrei e a pregare per l’unità dei cristiani». Non

6

«una mera coincidenza temporale: celebrare la Domenica della Parola di Dio esprime una valenza ecumenica, perché la Sacra Scrittura indica a quanti si pongono in ascolto il cammino da perseguire per giungere a un’unità autentica e solida». Dal Papa l’invito alle comunità a «vivere questa Domenica come un giorno solenne» intronizzando il testo sacro. In questa domenica i vescovi potranno celebrare il rito del lettorato. Fondamentale, sottolinea il Pontefice, che «si preparino alcuni fedeli ad essere veri annunciatori della Parola con una preparazione adeguata» mentre i parroci potranno trovare forme per la consegna della Bibbia, o di un suo libro, a tutta l’assemblea.

«La Bibbia non può essere solo patrimonio di alcuni e tanto meno una raccolta di libri per pochi privilegiati.

Essa appartiene, anzitutto, al popolo convocato per ascoltarla e riconoscersi in quella Parola». No a

il serrano n. 147

vita della chiesa «monopolizzare il testo sacro», avverte Francesco: la Bibbia «è il libro del popolo del Signore che nel suo ascolto passa dalla dispersione e dalla divisione all’unità. La Parola di Dio unisce i credenti e li rende un solo popolo». Di qui l’importanza dell’omelia, che «possiede un carattere quasi “sacramentale”». «Per molti dei nostri fedeli, infatti, questa è l’unica occasione che possiedono per cogliere la bellezza della Parola di Dio e vederla riferita alla loro vita quotidiana – spiega il Papa –. È necessario, quindi, che si dedichi il tempo opportuno per la preparazione dell’omelia.

Non si può improvvisare il commento alle letture sacre». «Non stanchiamoci mai di dedicare tempo e preghiera alla Sacra Scrittura, perché venga accolta “non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio”», il monito del Pontefice che invita anche a non divagare e a non dilungarsi.

Importante che anche i catechisti, «per il ministero che rivestono di aiutare a crescere nella fede, sentano l’urgenza di rinnovarsi attraverso la familiarità e lo studio delle Sacre Scritture».

La Bibbia, «in quanto Sacra Scrittura, parla di Cristo e lo annuncia come colui che deve attraversare le sofferenze per entrare nella gloria. Non una sola parte, ma tutte le Scritture parlano di Lui. La sua morte e risurrezione sono indecifrabili senza di esse». «È profondo il vincolo tra la Sacra Scrittura e la fede dei credenti»; di qui l’invito a riservare importanza «all’ascolto della Parola del Signore sia nell’azione liturgica, sia nella preghiera e riflessione personali».

«Inscindibile» il rapporto tra Sacra Scrittura ed Eucaristia: «Come cristiani siamo un solo popolo che cammina nella storia, forte della presenza del Signore in mezzo a noi che ci parla e ci nutre. Il giorIl Papa istituisce la Domenica della “Parola di Dio”

Luglio-Dicembre 2019

no dedicato alla Bibbia vuole essere non “una volta all’anno”, ma una volta per tutto l’anno». Nel richiamare quindi la seconda Lettera di Paolo a Timoteo e la costituzione conciliare Dei Verbum, Francesco precisa: «La Bibbia non è una raccolta di libri di storia, né di cronaca, ma è interamente rivolta alla salvezza integrale della persona».

A questo fine la Sacra Scrittura «sotto l’azione dello Spirito Santo trasforma in Parola di Dio la parola degli uomini scritta in maniera umana». Senza la sua azione, «il rischio di rimanere rinchiusi nel solo testo scritto sarebbe sempre all’erta, rendendo facile l’interpretazione fondamentalista». «Come ricorda l’Apostolo – spiega il Papa – “la lettera uccide, lo Spirito invece dà vita”».

Il Papa inoltre mette in guardia dal rischio frequente di «separare tra loro la Sacra Scrittura e la Tradizione, senza comprendere che insieme sono l’unica fonte della Rivelazione. Il carattere scritto della prima nulla toglie al suo essere pienamente parola viva; così come la Tradizione viva della Chiesa, che la trasmette incessantemente nel corso dei secoli di generazione in generazione, possiede quel libro sacro come la “regola suprema della fede”». «Un’ulteriore provocazione che proviene dalla Sacra Scrittura» riguarda «la carità», sottolinea Francesco, secondo il quale «costantemente la Parola di Dio richiama all’amore misericordioso del Padre che chiede ai figli di vivere nella carità». Richiamando la parabola del povero Lazzaro, il Papa rilancia la «grande sfida» per tutti noi: «ascoltare le Sacre Scritture per praticare la misericordia». La Parola di Dio «è in grado di aprire i nostri occhi per permetterci di uscire dall’individualismo che conduce all’asfissia e alla sterilità mentre spalanca la strada della condivisione e della solidarietà». Il richiamo, infine all’episodio della Trasfigurazione, «simile alla trasfigurazione della Sacra Scrittura che trascende se stessa quando nutre la vita dei credenti», e alla beatitudine di Maria che «precede tutte le beatitudini pronunciate da Gesù per i poveri». «Nessun povero – conclude Francesco – è beato perché povero; lo diventa se, come Maria, crede nell’adempimento della Parola di Dio».

7

vita della chiesa

“Godi, o giovane, nella tua giovinezza” Un annuncio per i giovani di don Carmelo Raspa

Il mondo giovanile L’identificazione del mondo giovanile cui si rivolge l’annuncio della Parola di Dio ed il suo approfondimento è compito che richiede un’analisi di natura sociologica ed ecclesiologica, scevra da generalizzazioni, ma che sappia distinguere i diversi casi e non emetta giudizi di valore. Bisogna, infatti, individuare chi siano i giovani destinatari dell’annuncio: molti di essi sono battezzati ed hanno frequentato la catechesi di iniziazione cristiana, ricevendo i sacramenti dell’Eucaristia e della Confermazione. Di questi, alcuni proseguono il loro impegno nelle attività parrocchiali o diocesani, sia nel luogo di origine, più difficilmente lì dove sono costretti a stabilirsi per ragioni di lavoro. A volte, sono considerati come “impiegati della parrocchia”: manca, infatti, un autentico cammino di fede proposto loro. Altri, si limitano alla sola frequenza alla messa domenicale. Altri ancora non avvertono l’esigenza di proseguire il cammino di fede, conservando le nozioni apprese durante gli anni di quello che continuano a chiamare, non per colpa loro, “catechismo” e limitandosi alla presenza a qualche celebrazione festiva o in occasione del sacramento del matrimonio o delle esequie.

Il problema che si registra maggiormente è il mancato dialogo generazionale sulle questioni di fede. In realtà, le famiglie relativamente giovani si sono preoccupati di assicurare il futuro di figli e nipoti attraverso un sostegno economico costante, accresciuto ultimamente a causa della crisi economica globale e delle difficoltà di impiego ad essa legata. Molti giovani hanno così dilatato il tempo, rimanendo figli in casa sino all’età adulta. La stabilità di vita è parsa la questione più urgente da risolvere. Se è vero che primum vivere, deinde philosophari, tuttavia la preoccupazione non è più rivolta verso il pane quotidiano, ma verso un 8

tenore di vita che sottolinea l’apparire, il mostrarsi, frutto di una configurazione sociale e culturale odierna che punta sul vedere, inteso non come situare l’altro e prendersene cura, ma spesso purtroppo come semplice voyerismo. In tale contesto, il dialogo sulla fede è pressoché assente. Il racconto è scomparso dalle comunicazioni di servizio che caratterizzano la vita familiare, mentre le occasioni di incontro e di dialogo si sono notevolmente ridotte a causa dei ritmi di lavoro e delle attività extra-lavorative di adulti e bambini ritenute necessarie per la crescita e la formazione o semplicemente per la cura di sé.

Il desiderio di relazioni autentiche, costituite dall’incontro e dall’ascolto, è comunque vivo: lo dimostra il passaggio da una comunicazione virtuale scritta (le vecchie chat) a una visiva (instagram). Gli spazi virtuali costituiscono per molti giovani ed adulti autentiche realtà di vita: la chiusura patologica in esse testimonia di un’incapacità degli stessi nuovi mezzi di comunicazione di fornire spazi relazionali che soddisfino i desideri e i bisogni che l’uomo nutre dell’altro.

Il panorama attuale impegna la Chiesa, dunque i cristiani tutti, a saper fornire risposte metodologicamente creative per diffondere l’annuncio di sempre “Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8).

Si tratta di operare anzitutto una conversione della forma storica di presentazione della Chiesa che investe le modalità da parte dei cristiani di abitare il mondo ed il linguaggio con cui esprimono la loro fede.

Il modello offerto dalla Lettera a Diogneto rimane sempre attuale dal punto di vista della metodologia. I cristiani vivono il mondo senza privilegi o eccezioni scaturiti dalla loro fede. Essi abitano il loro tempo, ne vivono le dimensioni, si inseriscono nelle sue strutture, ne respirano le contraddizioni. Ciò che in loro appare diverso è una speranza divenuta certezza: Cristo è il serrano n. 147

vita della chiesa Risorto. Questo diventa la forma della loro vita e l’angolo di visuale in base al quale giudicano gli eventi della vita personale e della grande storia. La certezza diviene annuncio nelle loro quotidiane parole infiammate dal guizzo della Parola: una Parola ascoltata, meditata e letta nelle pagine della Bibbia, da soli e comunitariamente, in famiglia, nei gruppi ecclesiali, nelle assemblee eucaristiche. Una Parola che viene ridetta non in asserzioni teologiche incomprensibili, ma in racconti che convertono l’esistenza, sconvolgendola, seguendo in questo l’impianto della Bibbia stessa, costituita essenzialmente da racconti, i quali precedono e seguono anche le sezioni giuridiche. In tal senso, il mondo giovanile può fornire strumenti, linguaggi e nuove traiettorie per l’annuncio quotidiano della Parola di Dio. Si tratta di riscoprire, perché l’annuncio sia efficace, la ricchezza di umanità che la Scrittura custodisce e dona ed un linguaggio narrativo che, non sostituendosi a quello proprio delle asserzioni teologiche, ma accostandosi ad esso in maniera previa, conduca all’amore verso la Parola. Un amore che poi si tramuterà in desiderio di conoscenza e che saprà apprendere anche il linguaggio difficile della teologia nelle sue diverse espressioni nel tempo e nei luoghi.

La Bibbia e la vita La Bibbia si presenta come un’opera letteraria che testimonia la professione di fede di un popolo.

L’unitarietà del racconto racchiuso in essa è redazionale, non originario. Le storie e le vicende che esse narrano sono diverse e molteplici: non a caso, il singolare “bibbia” è l’adattamento del plurale greco “tà biblìa”.

La stessa fede, nel racconto, diviene prismatica ed ogni protagonista delle storie raccontate ne coglie un aspetto calandolo nella sua umanità. Si potrebbe definire il racconto biblico come un viaggio tra vite e storie così vasto da non potersi abbracciare e che per timore di perdersi viene racchiuso nell’unità data al suo nome quando lo si traduce al singolare. Ma la Bibbia non è una singolarità: al contrario, è una pluralità che testimonia l’unità alla quale chiede di essere continuamente ricondotta, senza però smarrire la molteplicità. Il molteplice si può ricondurre all’uno non annullandolo, ma raccontandolo: questa è la testimonianza delle Scritture.

La vita, infatti, è troppo vasta per esaurirsi in una sola interpretazione: appoggiandosi su di un evento essa si ridice e rinasce nella sua totalità e come tale viene serbata nella memoria, che si deposita, ancora una volta, nella traccia scritta di un papiro, di una pergamena, della pagina bianca di un libro. Ogni vero inizio di una grande opera, infatti, muove dalla pagina bianca e dalle parole che lo scriba, pazientemente, accosta le une dopo le altre fino a disporle in un tutto armonico, ove le parti, ben distinte, si corrispondono e giovano l’una all’altra.

Parola di Dio

Luglio-Dicembre 2019

9

vita della chiesa

Don Carmelo Raspa

In tal senso, la Parola di Dio racchiusa nella Bibbia può incontrare i giovani lì dove essi si situano, nel loro “oggi”. Come asserisce Papa Francesco nell’Esortazione apostolica post sinodale ai giovani e a tutto il popolo di Dio Christus vivit 71: “la gioventù non è un oggetto che può essere analizzato in termini astratti.

In realtà la ‘gioventù’ non esiste, esistono i giovani con le loro vite concrete”. Nella Scrittura, inoltre, è detto che la Parola appartiene ai giovani: “Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il maligno” (1Gv 2,14).

La domanda e la sua risposta La Bibbia nasce primariamente da una domanda, cui si risponde attraverso un racconto. Ci si può chiedere del perché una città, un tempo ricca, oggi non ci sia più oppure ci si può interrogare circa un determinato rito religioso, da dove nasca e perché e quale sia il suo significato. Le domande abbracciano la totalità dell’esistenza: ma bisogna saperle porre. Il mondo giovanile chiede di apprendere la bellezza delle domande giuste. Papa Francesco al n. 286 della CV scrive: “per questo voglio ricordare qual è la grande domanda: «Tante volte, nella vita, perdiamo tempo a domandarci: ‘Ma chi sono io?’. Tu puoi domandarti chi sei tu e fare tutta una vita cercando chi sei tu. Ma domandati: ‘Per chi sono io?’».

La risposta è, allora, una narrazione, nella Scrittura come nella vita, nascendo la Scrittura dalla vita stessa 10

e illuminandola: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 119 [118],105). Si tratta di un racconto non preordinato nei suoi caratteri secondo determinate traiettorie. Esso si svolge e si delinea nel suo stesso divenire, obbedendo alla creatività di una vita in pienezza. La Parola, se ben presentata attraverso le storie che essa dona, insegna che la vita degli uomini è preziosa per il fatto che essa è, esiste, è stata voluta, amata e creata da Dio. La Bibbia non divide il mondo in buoni e cattivi, seguendo l’opposizione delle ragioni che genera la guerra. Essa è il dono del Dio che “che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5,45). Un Dio che non serba rancore, come ha manifestato il morire di Gesù, che un cercatore di Dio ha ben colto: Fabrizio De Andrè nella sua “Il testamento di Tito” fa cantare, infatti al ladrone. “nella pietà che non cede al rancore, madre, ho imparato l’amore”.

La Scrittura racconta di uomini e donne, di popoli, investiti in una relazione piena con Dio, fatta non di paura né di sudditanza, ma di amore, il che è il principio dell’alleanza tra Dio e l’uomo credente secondo quanto insegna 1Gv 4,18: “Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore”. Scorrendo le sue pagine, i credenti appaiono come coloro che hanno assunto il coraggio di vivere pienamente dinanzi a Dio, senza la vergogna il serrano n. 147

vita della chiesa di manifestare la propria umanità e di porla in essere in azioni e parole che appaiono a volte scandalosi e immorali, ma che ricevono tutto il loro valore dall’essere azioni e parole poste dinanzi a Dio. La Scrittura, insegna, in tal modo il coraggio della trasparenza e della responsabilità. Così è stato per Davide, quando il Signore lo pose re in Gerusalemme. Mentre il suo esercito combatteva per lui – racconta l’autore di 2Sm 11 – Davide riposa fino al tardo pomeriggio, quindi si alza a passeggiare. Dall’alto della reggia vede una donna, si accende di passione. La donna acconsente al re, ma rimane incinta. Davide, con uno stratagemma, richiama il marito della donna dal campo di battaglia e, avendolo invitato a mangiare e bere, per ben due volte cerca di spingerlo tra le braccia della donna per coprire la gravidanza illecita.

Di fronte al rifiuto dell’uomo di abbandonare l’accampamento, Davide ordina al suo generale di far morire l’uomo in battaglia, ponendolo nelle linee nemiche più forti. Così accade. Dinanzi al rimprovero di Dio per bocca del profeta Natan, Davide esclama: “Ho peccato contro il Signore” (2Sm 12,13). La frase condensa tutto il coraggio di Davide nel presentarsi nella sua condizione attuale a Dio. Davide non si nasconde e si assume la responsabilità della duplice colpa. Non rischia nemmeno di apparire presuntuoso: sa bene che se tornasse indietro probabilmente commetterebbe gli stessi errori. Eppure la fedeltà di Dio non si allontana dalla sua casa: egli rimarrà il capostipite del Messia e i futuri re d’Israele saranno giudicati in base al loro cuore, se esso cioè sia staro come il cuore di Davide: Nella trasparenza e nella responsabilità si presentano o sono condotte due donne a Dio. In Lc 7,36-50 la peccatrice entra nella casa di Simone il fariseo, mentre banchetta con Gesù, lava i piedi di quest’ultimo con le lacrime, li asciuga con i capelli, li unge di profumo. La donna non chiede perdono, nel brano non proferisce parola. I suoi gesti non rappresentano un’invocazione di misericordia, ma rispondono al suo bisogno di amore ed esprimono l’attrazione che prova per Gesù.

Contrariamente allo sdegno di Simone, volto alla donna e, attraverso lei, indirizzato anche a Gesù, sconfessato come profeta, Gesù riconosce come la donna abbia molto amato nella sua vita, alla ricerca di qualcuno che colmasse la sua sete. Gesù invita la donna, della quale riconosce la fede, ad uscire dalle strettoie di una religiosità moralistica e sprezzante, per abbracciare una vita nella quale non elemosinare più l’amore svendendo il proprio. Perché all’amore basta l’amore, all’amore è sufficiente amare.

Luglio-Dicembre 2019

Il Papa al n. 143 della CV così esorta i giovani: “Giovani, non rinunciate al meglio della vostra giovinezza, non osservate la vita dal balcone. Non confondete la felicità con un divano e non passate tutta la vostra vita davanti a uno schermo. Non riducetevi nemmeno al triste spettacolo di un veicolo abbandonato. Non siate auto parcheggiate, lasciate piuttosto sbocciare i sogni e prendete decisioni. Rischiate, anche se sbaglierete. Non sopravvivete con l’anima anestetizzata e non guardate il mondo come se foste turisti. Fatevi sentire! Scacciate le paure che vi paralizzano, per non diventare giovani mummificati.

Vivete! Datevi al meglio della vita! Aprite le porte della gabbia e volate via! Per favore, non andate in pensione prima del tempo”.

Di fronte all’indifferentismo che spegne l’esistenza, la Parola invita i giovani alla totalità di una vita vissuta in pienezza. La Parola di Dio raggiunge i giovani con la sua forza creatrice e invita ad abbracciare ogni aspetto della vita: “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28) è scritto nella Bibbia; “rischiate, anche se sbaglierete” invita papa Francesco. In tal modo la Parola di Dio si dona ai giovani in un testo che la Tradizione della Chiesa ascolta, interpreta, medita, vive. In una Chiesa che ri-dice la Parola, i giovani riscoprono la perenne attualità della Parola stessa, la sua bellezza e, allo stesso tempo, sanno cogliere il volto di una Chiesa che risplende della bellezza della Parola e che non teme di presentarsi anche con le sue brutture “Nera sono, ma bella” è il versetto del Cantico che la tradizione cristiana applica alla Chiesa. Nell’umile riconoscimento della sua creaturalità e, quindi, anche dalla sua debolezza, la Chiesa si riscopre nata dall’amore di Dio rivelato nella croce di Cristo. È Cristo che la rende “santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata”.

Una Chiesa che racconta di sé con umiltà e gratitudine, consapevole di essere scaturita da un patto di amore, cosciente che il Signore le è fedele nonostante le sue debolezze ed i suoi peccati, è una Chiesa che innamora: lì il giovane vi riscopre il segno di quell’umanità riconciliata, in una Chiesa che è totalmente immersa nell’ascolto di una Parola che dona vita, che accoglie e non condanna, che condivide e non giudica, che illumina e non ottenebra, che non presume di sapere tutto, ma cerca di capire, che è preoccupata del bene dell’uomo, essendo sacramento di Colui che nelle sue braccia aperte ama ogni uomo e ogni donna.

11

vita del serra

Torino, per due giorni capitale del Serra Italia di Manuel Costa

Sono stati due giorni intensi, venerdì 11 e sabato 12 ottobre, per oltre sessanta Serrani convenuti a Torino da tutta Italia per partecipare all’Assemblea dei Delegati di Club ed unirsi ai Serrani di Torino per celebrare il cinquantesimo anniversario della fondazione del Serra Club Torino 345. Due giorni colmi di novità, di celebrazioni, di ricordi e di rinnovati impegni.

L’Assemblea dei delegati di Club La prima Assemblea nella storia del Serra Italiano. Sulla falsariga di quanto già previsto nello Statuto di Serra International che prevede una Assemblea annuale dei delegati di tutti i Serra Club presenti nel mondo, anche il Serra Italiano ha recentemente modificato il suo Statuto per introdurre questa importante modalità.

Ogni Club incorporato, attivo e in regola con il pagamento delle quote associative ha il diritto di nominare un Delegato a partecipare all’Assemblea annuale chiamata a decidere, in particolare, l’elezione dei componenti il Consiglio Nazionale, l’approvazione degli stati di previsione e dei rendiconti annuali, le modifiche allo Statuto e ai Regolamenti. A questa prima Assemblea, hanno partecipato Delegati in rappresentanza di 46 Club Italiani e della Svizzera Italiana, una occasione di incontro e di costruttiva condivisione su molte tematiche attuali ed importanti per il futuro dell’associazione.

Particolarmente significativi sono stati il saluto e l’introduzione del Past President avvocato Antonio Ciacci volta ad introdurre lo spirito che accompagna le novità apportate dalle ultime modifiche allo Statuto e ai Regolamenti, introduzione che viene riportata nella sezione ’la voce del Cnis’ in questo stesso numero della rivista. Sono seguite ampie discussioni, sfociate nell’approvazione dei rendiconti annuali e la nomina a Presidente Eletto della dottoressa Paola Poli del Club L’Aquila 444.

Dante Vannini, Enrico Mori, Paola Poli e Luigi Ferro

2022, la persona che dovrà rappresentare il Serra a livello nazionale per le relazioni istituzionali ed il coordinamento delle molteplici attività che il Serra svolge su tutto il territorio. La Dott.ssa Poli, emozionata, ha ringraziato tutti i presenti per la fiducia accordatale e, chiedendo la collaborazione di tutti, si è detta pronta ad assumere, in spirito di servizio alla Chiesa universale, l’incarico affidatole, assicurando tutto l’impegno per operare nel solco tracciato dai suoi valenti predecessori.

Il cinquantesimo anniversario del Serra Club Torino 345 Nel pomeriggio di Sabato 12 Ottobre, nell’Aula Magna della Facoltà di Teologia di Torino, si sono ritrovati oltre cento Serrani e i loro graditi ospiti per dare il via alle celebrazioni di questo importante anniversario.

Dopo i saluti e i ringraziamenti del Presidente del Serra

La nomina del Presidente Eletto La dott.ssa Paola Poli, storica della Chiesa e Responsabile dell’Archivio dell’Arcidiocesi dell’Aquila, socia del Serra Club di L’Aquila e già Vice Presidente Nazionale alle Vocazioni, è stata eletta alla carica di Presidente nazionale del Serra Club International Italia per il biennio 202012

il serrano n. 147

vita del serra Club di Torino sig.ra Angela Pollano Dario, del Cappellano don Alberto Piola, del Governatore del Distretto Piemonte/Valle d’Aosta dott. Paolo Rizzolio e del presidente del Consiglio Nazionale del Serra Italiano dott. Enrico Mori, il Decano del Club Ing. Giovanni Chiovatero ha riassunto efficacemente la storia del Club dalla sua fondazione ai giorni nostri, non trascurando un pensiero per i soci Fondatori e per i Presidenti che si sono succeduti alla sua guida.

Particolarmente gradita e qualificante è stata anche la presenza del Cardinale Severino Poletto che ha rivolto un caloroso saluto all’assemblea.

Sono seguite due interessanti relazioni volte ad affrontare l’attualissimo problema della crisi vocazionale nella Chiesa e nella società.

Il primo illustre relatore è stato il Prof. Franco Garelli, noto sociologo dell’Università di Torino, il quale ha sviluppato il tema “La vocazione oggi, nell’epoca delle religiosità instabili”. Dopo aver iniziato su una nota positiva affermando che i giovani hanno ancora sogni di grandi ideali, e sanno ammirare chi ha fedeltà all’impegno preso, il relatore passa a una analisi nuda e cruda della realtà in cui I giovani oggi vivono: i loro sogni e i loro ideali spesso restano solo dei miraggi, perché poche sono le risorse; i giovani vivono in una società dell’incertezza e della precarietà che porta a tante scelte parziali, a una sperimentazione ad oltranza, mai definitiva. L’immediata conseguenza è la difficoltà ad accettare e realizzare una qualsiasi vocazione che sia un impegno per tutta la vita, adagiandosi nella ricerca del stare bene nel breve, anche se, come detto, restano con la nostalgia di grandi ideali. Sotto sotto resta la domanda di come dare un senso alla vita!

Come aiutarli? Il Prof. Garelli suggerisce e sottolinea l’importanza di “persone significative” da cui attingere esempio, di “figure vocazionali nei luoghi ordinari”, indispensabili per aiutare i giovani a prendere fiducia.

Le difficoltà che tutti i giovani incontrano nella società diventano ancora più evidenti quando si parla di Vocazione alla vita sacerdotale e consacrata: anche i pochi che si sentono “chiamati” trovano grandi difficoltà a rispondere: il sacerdozio non è attraente da un punto di vista umano; l’immagine della Chiesa nella società è spesso negativa; la Chiesa è percepita come “vecchia”, basti pensare che meno del 10% dei preti ha meno di 40 anni. Eppure ci sono dei “preti di riferimento” dai quali i giovani possono essere attirati, preti che fanno sentire ai giovani che possono essere un popolo insieme in cammino, lì sempre pronti per ascoltarli e aiutare a discernere.

Il secondo illustre relatore, il Prof. don Ferruccio Luglio-Dicembre 2019

Ceragioli, docente di Teologia Fondamentale e rettore del Seminario Maggiore di Torino, ha intitolato il suo intervento “Pecore e pastori. I giovani, la fede e le vocazioni al ministero sacerdotale”. Citando la frase di S.Agostino: “per voi sono pastore, con voi sono cristiano e pecora”, ha ricordato che la Vocazione è una chiamata e una storia d’amore. “Con voi” con amore, per camminare verso la stessa meta. La crisi di oggi è dovuta alla mancanza di amore, alla sfiducia nella vita, alla paura di dare una forma alla propria vita. Tuttavia resta il desiderio di comunità, di “occasioni comunitarie”, che la Chiesa spesso fatica ad offrire.

Entrambi i relatori hanno invitato alla speranza ed espresso l’auspicio che la comunità tutta, laica e religiosa, ponga la massima attenzione alle necessità dei giovani, con l’ascolto attento e con l’appoggio morale e religioso alle loro esigenze.

Poche sono le nuove vocazioni al sacerdozio, ma non demordere, e continuare a pregare!

Al termine delle relazioni, i Serrani insieme ai loro ospiti si sono diretti alla splendida Basilica del Corpus Domini dove il Cardinale Poletto ha celebrato la Santa Messa. È stata una vera emozione ascoltare le parole del Cardinale che non ha esitato a comunicare profon-

di pensieri vocazionali e serrani nella sua introduzione, nell’omelia, e nel saluto finale. I Serrani presenti si sono sentiti capiti e incoraggiati a continuare con rinnovato impegno la propria missione.

Per finire, non poteva mancare la cena di gala, in un clima di grande cordialità e amicizia insieme a numerosi ospiti che non hanno mancato di apprezzare lo spirito serrano. Durante la cena sono stati ammessi ben sette nuovi soci al Club di Torino, ai quali è stata appuntato dal Presidente Nazionale il distintivo, simbolo del nostro impegno serrano. Un segnale importante per il futuro del Club e di tutto il Serra Italiano.

13

vita del serra

Club, service e società

di Oriana Ragazzo Pres. Serra Club Sanremo 377

I

l club non è tale se non ben inserito nella società a tutti i livelli. Le collaborazioni, le testimonianze, le presenze sono obbligatorie per creare relazioni in ogni ambiente che conta del quotidiano cittadino. La missione vocazionale del Serra non può essere attuata dove già la Chiesa agisce con le sue strutture ma deve essere di complemento ed aperta a tutte le cosiddette “mentalità”: attuale nell’immagine e nel linguaggio pur preservando i principi fondamentali della cultura cristiana e i chiari messaggi del Vangelo che non devono restare rinchiusi nei nostri ambiti.

Questa è la chiara linea carismatica che ha caratterizzato e caratterizza il Serra Club Sanremo da più di venticinque anni. Allora, con l’approvazione illuminata del Vescovo Giacomo Barabino (vicino al Card. Giuseppe Siri per svariati anni), iniziammo un percorso di rinnovamento che ci ha portato ad essere protagonisti, conosciuti ed apprezzati nel nostro territorio. Associazioni, club service, enti ed amministrazioni cittadine sono stati coinvolti nei nostri services con la naturalezza di chi sa muoversi nella società di oggi pur conoscendone le difficoltà. Tutto quello realizzato ha sempre e comunque presente un chiaro messaggio di cultura cristiana e vocazionale più o meno marcato, intelligentemente, in funzione del pubblico a cui ci si rivolge. Oggi raccogliamo ancora i frutti di, diciamo, questa politica di relazioni. Siamo attivi più che mai progettando iniziative con pragmaticità,... realizzabili: le nostre collaborazioni con Avvenire e media locali sono la testimonianza dell’interesse che suscitiamo.

14

Ma come nasce un service? Il primo passo nasce dal CD del club, dove vengono esaminate proposte ed idee che saranno discusse per valutarne la fattibilità e, quindi, programmare i services che si intendono effettuare.

In particolare ciascun progetto/idea viene valutata sotto il profilo dei contenuti (messaggi), dei costi e del ritorno culturale (cioè della ricaduta/interesse sul cittadino medio di oggi). Quindi, vengono distribuiti gli incarichi fra i vari soci, ogni volta i più adatti alla missione. In genere, ogni progetto dura dai 2 ai 3 mesi, durante i quali ci si confronta con i soci per aggiornarsi sullo stato di attuazione e su eventuali criticità e problematiche. Ogni progetto è portato avanti esclusivamente con le risorse dello stesso club e le necessarie relazioni.

Non posso non ricordare che il nostro club per ben sei anni ha realizzato e prodotto il “Teatro del Serra”, con testi e musiche originali, collaborazioni con attori e non attori, Orchestra Sinfonica di Sanremo, Teatro dell’Opera del Casinò, giornali e TV locali con conferenze stampa di lancio, etc. etc. Oggi l’attività continua, siamo un club compatto di 20 soci che hanno scelto di mettere in atto i seguenti tipi di services: – Service Giovani – Premio “Luigi Paganini” per chierichetti e ministranti – Collaborazione con la rubrica dei “Martedì Letterari” del Casinò di Sanremo – Ritiri spirituali per giovani del liceo, in collaborazione con la diocesi – Sostegno economico, con raccolta fondi, a chi dedica la propria chiamata (vocazione) alla difesa della vita Il nostro“Service Giovani” (lanciato anche a livello nazionale) nasce allo scopo di avvicinare i giovani alla il serrano n. 147

vita del serra cultura cristiana e a coinvolgerli in iniziative per loro appassionanti. Abbiamo scelto la prosa e, con l’aiuto di un amico attore, del nostro cappellano, seguiti da un tutor serrano, due gruppi di sei e tre ragazzi in occasioni diverse, hanno letto brani attinenti ai libri che gli autori stavano presentando nell’ambito dei “Martedì Letterari” del Casino davanti ad un vario e numeroso pubblico. A proposito di questa rubrica del Casinò, vorrei precisare che la nostra collaborazione dura ormai da più di quindici anni ed è iniziata con la presentazione del libro “The Passion”, presente l’autore Andrea Tornielli, in contemporanea alla prima nazionale del film anche a Sanremo: teatro tutto esaurito ed appassionante dibattito.

Un altro service storico (quest’anno è stata la ventunesima edizione) che si rivolge ai giovani, anzi ai giovanissimi, è il “Premio Luigi Paganini”. Un concorso per i chierichetti e ministranti diocesani in cui vengono premiati disegni, filmati, poesie e preghiere svolgendo un tema studiato dal CD e dal Cappellano sempre rivolto al loro servizio all’altare e alla ricaduta nel quotidiano. La migliore preghiera per un anno diventa quella di tutti i chierichetti e viene recitata prima della Santa Messa. I premi, quanto mai attuali ed in sintonia con i desideri dei nostri piccoli e grandi amici, rendono sempre felici i partecipanti, ma ancora di più lo siamo noi quando abbracciamo

Gruppo giovani “Martedì Letterari”

due giovani sacerdoti ed un seminarista che a suo tempo sono stati proprio tra i vincitori: continuiamo a lavorare e a sperare! Questo service coinvolge tutte le Parrocchie che collaborano esponendo le locandine con il tema ed il regolamento del concorso e lo promuovono anche presso le famiglie. La premiazione avviene in Seminario durante la Giornata Diocesana per Ministranti (inizialmente istituita da noi) con giochi, allegria, una merenda organizzata da un gruppo di soci e socie e una bellissima celebrazione finale (quest’anno un’adorazione eucaristica), emozionante alla vista di 70/80 abiti da chierichetti!

Sempre per i giovani, un gruppo di 26 alunni del liceo Cassini di Sanremo nei giorni 24 e 25 Gennaio è Luglio-Dicembre 2019

partito, accompagnato dal Vescovo diocesano, alla volta della Certosa di Chiusa Pesio. Su iniziativa del loro insegnante e nostro socio Serrano, prof. Luciano Leone, hanno deciso di vivere insieme due giorni di riflessione sul tema della giovinezza e della paternità, guidati dall’interessante figura mitologica di Telemaco, famoso figlio di Ulisse. L’idea è maturata nell’alveo del service, denominato “Gruppo giovani”, che il Serra club Sanremo da qualche anno ha istituito nell’ottica di una particolare sensibilità al mondo giovanile.

Il contesto spirituale della Certosa e la decisione di ritagliarsi spazi di attenzione condivisa nell’amicizia hanno concorso a rendere molto dense le due giornate vissute lontano dalla famiglia, dalle lezioni e dagli impegni quotidiani. I ragazzi hanno condiviso la loro esperienza di vita a partire da un lavoro di gruppo sulla relazione con i genitori e successivamente, con grande entusiasmo e freschezza, si sono lasciati interpellare, sotto la guida del Vescovo Mons. A. Suetta e con l’animazione del nostro socio serrano, dalle domande più profonde circa il senso della vita e il ruolo della religiosità e della fede nel cammino dell’esistenza.

Questa piccola e intensa esperienza vuole essere anche un invito a proseguire nel dialogo e nella reciproca conoscenza guardando, all’orizzonte, anche il lancio di altre future proposte da realizzare in collaborazione con la Diocesi ed il mondo della scuola.

Questo ci ha dato molta soddisfazione: lavorare “con” i giovani praticanti o lontani dalla chiesa che hanno tratto importanti spunti di riflessione.

Quest’anno per il service a sostegno delle vocazioni fondamentali, e tra queste quella alla vita, abbiamo deciso di seguire la “Fondazione FHM Italia Onlus Children” , del Dr. Roberto Ravera, che da anni è impegnata nella realizzazione di progetti socio-sanitari nell’ambito della salute mentale e fisica dei minori in Sierra Leone. Impegno che ha permesso di costituire e costruire, spesso con l’indifferenza delle istituzioni locali, comunità di accoglienza per il recupero di bambini soldato o violentati nella psiche da mille drammi.

La raccolta fondi è stata progettata e realizzata organizzando un concerto con l’Orchestra Sinfonica di Sanremo in collaborazione con tutti i club services della Città. È stata una bella esperienza, soprattutto perché la citta, proprio grazie a questa collaborazione, ha risposto in pieno esaurendo tutti i posti disponibili permettendo di incassare un importante contributo.

Questi sono i nostri services per la società che si aggiungono a quelli per il nostro seminario e per i sacerdoti della diocesi. “Sostanza, fare sapiente, presenza ed immagine”: da sempre siamo orgogliosi di questo nostro motto.

15

vita del serra

Giovanissimi serrani

a Palermo di Maria Lo Presti

Tutto è cominciato con Marco. arco ha accompagnato per un anno il papà Mario agli incontri del Serra club di Palermo, ascoltando ogni conferenza, senza dare cenni di noia: questo fatto mi ha sorpreso e mi ha fatto sorgere un’idea. Eravamo a Carini, a Villa Belvedere, per una giornata di ritiro del club di Palermo. Parlando con Marco, ci siamo accordati subito: avrebbe coinvolto dei suoi amici, per incontrarci attorno alla figura di San Junipero. Ed ecco che una piccola-grande esperienza si è realizzata a Palermo.

Alberto, Daniele e Marco - ragazzi che nell’anno scolastico appena concluso hanno frequentato a Bagheria la prima classe della Scuola Secondaria di Primo Grado, un tempo detta ‘scuola media’ - si sono riuniti a partire da novembre nei locali del Seminario per ascoltare la storia di San Junipero Serra, e questa vicenda, che a noi potrebbe apparire lontana, datata, li ha coinvolti. È andato a me il gradito compito di raccontare la storia, mentre due seminaristi, Alessio e Massimo, hanno guidato il gruppo per la realizzazione di manufatti volti a rappresentare qualcosa di questa bellissi-

M

16

ma storia. Durante gli incontri abbiamo fatto anche delle belle merende!

Partendo dal racconto, alcuni elementi hanno colpito particolarmente Alberto, Daniele e Marco: le fatiche affrontate da San Junipero; il rapporto intrecciato con gli indigeni che sono stati sostenuti in maniera molto concreta dai frati; la scoperta delle espressioni della cultura degli indigeni e il loro rispetto del crocifisso, oggetto loro sconosciuto, ma che vedevano venerato dai frati.

il serrano n. 147

vita del serra

Nel preparare questi incontri, io stessa ho ripreso tantissimi dati interessanti: la condizione problematica legata alla sostituzione dei gesuiti; le intuizioni volte a superare le difficoltà poste dagli spagnoli alle missioni; la scoperta del linguaggio simbolico della cultura locale; ed anche aspetti della vita familiare di San Junipero.

Alla fine del percorso, nell’incontro del Serra club di Palermo del 17 maggio scorso, i ragazzi hanno proposto agli adulti la storia di San Junipero, accompagnan-

Serra Junior Club Palermo

Luglio-Dicembre 2019

do l’esposizione con una presentazione in power point. Nel power point sono confluiti i frutti del lavoro fatto.

Quest’ultimo lavoro è stato realizzato da loro stessi autonomamente, raccogliendo tutti i dati su cui ci si era soffermati nel corso dell’anno. La narrazione della storia, accompagnata dalle slide, è stata particolarmente gradevole, ed è stata molto apprezzata da tutti i presenti. Certamente i ragazzi hanno stupito gli adulti, e forse hanno fatto anche conoscere loro qualcosa in più della storia di San Junipero.

Con i ragazzi erano presenti alcuni dei loro genitori, che hanno avuto modo di conoscere il Serra club.

Nel Serra spesso ci si interroga sulle espansioni e sulla presenza dei giovani. Ogni idea, ogni esperienza, ogni suggerimento è sempre utile. Servono anche un po’ di creatività e la prontezza di mettersi in gioco. Non sempre si deve partire da grandi progetti. E poi si deve avere la pazienza di attendere i risultati: ogni passo, anche piccolo, è importante.

La conclusione di questa fase, infine, è stata collocata in un momento particolarmente bello per il Serra e per il Seminario: l’ultimo incontro dell’anno sociale che vede convergere in Seminario i Vescovi dei seminaristi che durante l’anno frequentano il Seminario di Palermo, i familiari dei seminaristi e i serrani.

Il 28 giugno in Seminario, in qualità di Governatrice del Distretto 77, con la consegna di attestati, tessere e cappellini, ho dato l’avvio al Primo Serra Junior Club.

Tale gesto vuole essere un segno del fatto che il percorso non si chiude. Sarà possibile programmare periodici incontri allargando la cerchia di amici, per far scoprire a tutti la bellezza dello stare insieme, giocando e scoprendo personaggi come San Junipero, ed impegnandosi per trasmettere quanto appreso.

17

Club e cultura

Riparte la “Scuola di filosofia” Progetto di studio in collaborazione con gli Itituti scolastici di Aversa per l’anno scolastico 2019-2020 di Maria Luisa Coppola Presidente del Serra Club di Aversa

L

a “Scuola di filosofia” di Aversa, progetto educativo-formativo promosso dal “Serra Club” , presieduto dalla prof.ssa Maria Luisa Coppola, diretta dal prof Antonio Serpico, con il patrocinio del Comune di Aversa nell’ottavo anno della sua attività didatticoformativa propone ad Istituti scolastici di ogni ordine e grado del territorio ed a chiunque altro fosse interessato uno studio in rete incentrato sul tema: Principi di etica per l’attuale civiltà tecnologica secondo le ricerche filosofiche di Hans Jonas( 1903 – 1993).

Il tema proposto è di vivissima attualità, visto che oramai il progresso tecnico-scientifico raggiunto ha prodotto strumenti operativi altamente sofisticati, il cui uso sconsiderato può esporre tutti a rischi gravissimi, che vanno dalle catastrofi nucleari ai collassi ecologici, alle manipolazioni genetiche e così via. Di fronte a questi pericoli, che riguardano non soltanto il presente, ma anche e soprattutto il futuro per il fenomeno dell’accumulo progressivo dei danni prodotti nel mondo, Hans Jonas nella sua opera più famosa, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, sostiene che nella realtà attuale non basta più affidare la condotta umana all’etica tradizionale, ma si deve fondare una morale nuova adeguata alla condizione presente e dominata dalla preoccupazione costante degli esiti, spesso irreversibili, che ogni iniziativa può avere nell’immediato e nel futuro sulla vita umana e del mondo. Nel consueto tempo di lezione che dedico da un decennio e più ai seminaristi dell’anno propedeutico, anni fa sono emerse delicate questioni di relazioni personali che talora appesantivano la condizione umana di chi vive gli studi nel discernimento della propria vocazione. Mi chiesi se queste dimensioni umane potevano essere condivise con tutti i coetanei che frequentano i licei statali, Hans Jonas se il dialogo su importanti argo18

menti filosofici e morali potesse aiutare entrambe le diverse realtà: da un lato i seminaristi, dall’altro i liceali.

Coetanei per età, simili per comportamenti, figli dell’era digitale, come tutta la loro generazione propensa all’amicizia ed alla “squadra”! Ragionando con colleghi e dirigenti, ebbi la certezza che questo progetto poteva funzionare, che veniva accolto con entusiasmo per la novità dell’agorà itinerante! Attualmente tutti i licei del Distretto scolastico di Aversa sono in rete: ogni Istituto delega il docente di filosofia con la sua classe (ultimo anno), sottoscrivendo un protocollo di intesa con il Serra club Aversa. L’impegno è annuale: le riunioni con i docenti anticipano la definizione del programma che sarà svolto in classe, ciascuno nel proprio Istituto, gli incontri comunitari con cadenza mensile si svolgono nella sala Guitmondo del Seminario Vescovile, che accoglie una folla di ragazzi che portano allegria , alla presenza del Vescovo che è ben felice di dialogare con tanti giovani, (circa 150) confrontandosi in piena libertà.

Gli studenti elaborano i temi indicati in modo sorprendente, utilizzano fonti, testi, ricerche multimediali per “attualizzare” la filosofia, che non è un’arida materia ma un’ autorevole guida per capire la dimensione umana e sociale di ogni individuo. Ad ogni incontro, noi adulti siamo sorpresi dalle domande spesso scomode che ci vengono rivolte, ma questo è il segno di reale interesse alla fenomenologia contemporanea! Dai dibattiti in sala emerge uno spaccato vivo e concreto di come pensano i giovani, anche nei riguardi dell’esistenza di Dio e della loro fede. L’anno scorso, studiando la filosofa Hannah Arendt, il tempo della Shoah e dello sterminio degli Ebrei, davanti alle atrocità commesse nei campi di sterminio, la commozione è stata altissima, con la domanda “Dio, dove eri?” Si, Dio dove è? Ora attualmente nella tua vita, Dio dov’è? Da Kant a Pascal, attraverso i filosofi contemporanei come Arendt e Jonas, continuiamo a domandare a tutti: “Dio dov’è, ha spazio nel tuo cuore?”

Ovviamente le posizioni confliggono, i pareri sono contrastanti, ma questa palestra sul senso della religiosità o il serrano n. 147

Club e cultura

dell’indifferenza, dell’agnosticismo o dell’ appartenenza ad altre religioni rispecchia del tutto il comune sentire dei giovani. Ne ha ben discusso Don Armando Matteo nel suo libro, premiato da Penna dello Spirito, “La prima generazione incredula”, testo più volte letto e commentato alla presenza dell’autore!

In conclusione, l’obiettivo primario che si pone la scuola di filosofia è di guidare gli allievi all’elaborazione di un pensiero autonomo e critico sulla vocazione alla vita, alle scelte esistenziali, alla libertà individuale.

Attraverso lo studio della filosofia, si favorisce la riflessione, la lettura, la comprensione dei contenuti basilari per i licei e per i giovani seminaristi del biennio filosofico, si aiuta a comprendere come ogni azione della nostra quotidianità abbia una valenza, come le decisioni che coinvolgono il bene comune siano da prendere secondo il senso di responsabilità, così come ce lo ha indicato Jonas.

Tanto “La scuola di filosofia” è apprezzata nella società aversana, che dall’anno scorso la direttrice della Casa Circondariale, in cui sono detenuti molti giovani in attesa di giudizio, ha fortemente voluto che facesse parte del percorso di riabilitazione umana, insieme all’equipe educativa pedagogica e psicologica. Superate le procedure ministeriali, anche quest’anno è avviato il corso filosofico in carcere, una ventina di persone che aspettano con ansia l’ora di lezione, per dialogare in piena libertà, affidando spesso alla carta i sentimenti più nascosti, le emozioni sopite che si risvegliano ad una parola, ad una lettura... Questa apertura della Scuola in realtà complessa richiede una grande professionalità ,una sensibilità particolare, una dedizione ampia, è un atto vero di carità cristiana e di missionarietà aiutare chi è in estrema difficoltà! Come ci suggerisce Papa Francesco, ognuno tenda la mano in ogni dove, e prima di domandarselo lo faccia!

La scuola di filosofia quest’anno è stata inaugurata il 12 ottobre, seguiranno a questo incontro iniziale tre fasi di studio autonomo da svolgere con i propri docenti – la prima fase sarà incentrata sull’esame delle esperienze di vita di studi del filosofo Jonas, nonché Luglio-Dicembre 2019

delle prime tre parti del suo testo fondamentale Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, rispettivamente intitolate La mutata natura dell’agire umano; Questioni relative al fondamento e al metodo; Sugli scopi e la loro posizione nell’essere; – la seconda fase consentirà di affrontare lo studio delle ultime tre parti dell’opera intitolate rispettivamente: Il bene, il dover essere e l’essere: La teoria della responsabilità; La responsabilità oggi: il futuro minacciato e l’idea di progresso; La critica dell’utopia e l’etica della responsabilità; – la terza fase di studio, sarà incentrata sulle parti più significative di altri scritti di contenuto morale del filosofo e, principalmente, del testo intitolato Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica.

Al termine di ognuna di queste fasi di attività, si definiranno le conclusioni raggiunte nel complesso del lavoro svolto; – si presenteranno, da parte di ogni gruppo-classe, sintesi orali e/o scritte, il più possibile brevi e chiare, di quanto acquisito, sintesi che poi saranno distribuite a quanti ne faranno richiesta anche per utilizzarle nella sede delle interrogazioni periodiche ed, eventualmente, nei colloqui orali dell’esame di maturità; – infine, si attiverà un confronto tra i presenti per favorire chiarificazioni ed approfondimenti oltre che per consentire, a chi volesse, di esporre una propria visione sulle conclusioni e sulla metodologia di studio adottate dal filosofo tedesco.

La metodologia complessiva usata sarà di tipo storico-teoretico.

Le contingenti difficoltà generazionali di cui soffre il Serra Italia, ci invitano pressantemente ad individuare percorsi di comunicazione con i giovani, che abbiano una valenza educativa e formativa importante, duratura nel tempo e non episodica, perché ci si possa augurare: – di aver trovato un sentiero ben tracciato per interrogarci sul futuro delle nostre scelte, – di saper innovare la programmazione annuale dell’anno associativo con esperienze concrete di sostegno alla formazione dei giovani, – di gettare ad ampie mani il seme della speranza che la solidarietà umana ha un valore aggiunto, se predicato con il binomio della cultura e della fede.

Per noi Serrani, che viviamo il tempo dell’adultità, è un impegno non più procrastinabile avere il coraggio della sfida nel cercare nuove allettanti proposte di dialogo e di confronto. Del resto, così ci esorta Papa Francesco: «Per capire un giovane oggi devi capirlo in movimento, non puoi stare fermo e pretendere di trovarti sulla sua lunghezza d’onda, se vogliamo dialogare con un giovane dobbiamo essere mobili, e allora sarà lui a rallentare per ascoltarci, sarà lui a decidere di farlo».

19

l’intervista

La Spiritualità

del Serrano

Intervista a Sua Eminenza il Cardinale Thomas Collins Arcivescovo di Toronto e Consulente Episcopale di Serra International

E

minenza, grazie anzitutto per aver accettato questo incontro. Con l’acqua del fonte battesimale veniamo innestati nella famiglia cristiana, consapevoli che Dio ha un Cardinale Thomas Collins progetto per ciascuno e che nostro compito è saper ascoltare la voce dell’anima nel discernere la nostra vocazione: come fare allora?

L’incoraggiamento di una cultura delle vocazioni da parte del Serra Club è di enorme importanza per il lavoro e la missione della Chiesa. Ognuno di noi ha una vocazione sacra, la più importante della quale è il sacramento del Battesimo. Siamo tutti chiamati ad essere santi, ma in modi diversi. Ognuno di noi ha diverse chiamate particolari nella nostra vita in Cristo come discepoli del Signore. C’è ovviamente un grande bisogno di promuovere la particolare vocazione al sacerdozio e alla vita religiosa, perché è al servizio di tutti noi. È qualcosa di cui tutti abbiamo bisogno. Tutti abbiamo bisogno di avere qualcuno con cui confessarsi. Tutti abbiamo bisogno di sacerdoti per servirci.

Dunque, dalla missione al discepolato?

Ovviamente, il discepolato del Serra Club dovrebbe essere radicato in San Junípero Serra. Ogni volta che si ha un santo come patrono di una qualsiasi organizzazione, questo è quello a cui bisogna guardare per avere una guida. Dobbiamo tornare alle radici, ritornare alla fonte, tornare a questo grande santo.

Ho riflettuto su quattro punti che potremmo imparare dalla sua vita: la preghiera, lo studio, lo zelo e la speranza, e come possiamo applicarli all’operato odierno del Serra.

La preghiera, al primo posto. Qual era la particolarità della sua preghiera?

Il nostro patrono era un uomo di preghiera. A un certo punto stava pregando che le navi di rifornimento arrivassero poco prima della festa di San Giuseppe. La sua era una preghiera di intercessione, che poneva sem20

pre nelle mani del Signore Dio. È proprio come leggiamo nel Salmo 95,8: “Non indurite i vostri cuori come a Meribah, come avete fatto quel giorno a Massah nel deserto”. Il problema con Mosè allora era che continuava a colpire la roccia, non fidandosi di quello che Dio avrebbe fatto. Penso che sia una cosa buona da ricordare, che la preghiera è davvero essenziale per questo: l’unica cosa che Gesù ci ha detto dell’opera vocazionale è “Pregate il Signore della messe per mandare gli operai nella messe”. Quindi il fondamento del nostro lavoro vocazionale deve essere, per la nostra vita e per tutti gli altri, sviluppare e rafforzare uno spirito di preghiera che aiuterà tutti noi ad essere discepoli migliori. Certamente questo è il fondamento, la cultura, da cui nasceranno le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa.

Una forma particolare di preghiera che è sempre molto bella da vedere durante le nostre conferenze è che abbiamo un tempo e un luogo per una Cappella dell’Adorazione. Dove c’è maggiore enfasi sull’adorazione di nostro Signore nel Santissimo Sacramento, ci sono più persone che rispondono alle vocazioni. Non è magia, è solo ovvio. È quella realtà profonda. L’Arcivescovo Fulton Sheen ha sempre sottolineato l’Ora Santa quotidiana per i sacerdoti. (Come nota a margine, qualcosa che forse tutti dovremmo considerare a proposito di tutte queste cose orribili notizie che sentiamo su ciò che i sacerdoti hanno fatto in passato, è che non riesco a immaginare allo stesso tempo che stessero praticando la loro Ora Santa quotidiana. Ne dubito.) La chiave è una vita di preghiera. Qualunque sia la nostra vocazione, dall’adorazione viene l’azione. Lo vediamo certamente nella vita del nostro patrono. È costantemente mosso dalla preghiera, e questo è fondamentale.

Cosa potrebbe fare il Serra per incoraggiare la preghiera?

Una delle cose che il Serra Club può fare incoraggiare la creazione di luoghi di preghiera all’interno delle diocesi; incoraggiare l’Ora Santa di adorazione.

Quando coinvolgiamo più profondamente i giovani, gli anziani o chiunque altro nella vita di preghiera, allora il serrano n. 147

l’intervista tutti serviamo più fedelmente la nostra vocazione.

Questo è il fondamento. E non è come colpire la roccia per far uscire l’acqua! Dobbiamo pensare a fondo, dobbiamo pianificare, dobbiamo organizzare e fare tutte le cose buone che Dio vuole che facciamo, ma si ritorna sempre al fondamento della preghiera. Ricordo che c’è un resoconto da qualche parte dove scarseggiavano le vocazioni al sacerdozio, e il pastore disse semplicemente: “Mettiamoci tutti in ginocchio e preghiamo”. È ovvio, questo è il cuore di tutto, e così è stato dall’inizio alla fine della missione di san Junípero nella sua vita.

Torniamo proprio al nostro santo: un secondo punto è lo studio.

Ora questo può non sembrare così ovvio come la preghiera, ma ricordo di aver letto la vita di uno dei miei grandi eroi, San Francesco di Sales. Con un nome come “di Sales”, si potrebbe pensare che sarebbe il santo patrono delle “vendite” (sales), ma in realtà è il santo patrono degli scrittori. Ha incoraggiato gli altri a fare come questo santo ha fatto nella sua vita: passare ogni giorno nello studio, leggendo, studiando, riflettendo, scoprendo la nostra fede. La fede incoraggiata solo dall’entusiasmo sgorga fuori e ritorna indietro; non ha una capacità di resistenza. Dio ha messo la nostra testa in un posto così prominente sul nostro corpo che dobbiamo presumere che vuole che noi la usiamo. Questo è sensato. Ovviamente alcune persone studiano molto e ottengono tanti diplomi che possono causare il rischio di inorgoglirsi, ma qualsiasi cosa ha i suoi pericoli. Tuttavia, dobbiamo conoscere la nostra fede. Per esempio, leggete il Catechismo della Chiesa Cattolica (soprattutto prima di andare a letto perché è un po’ asciutto!), ma, scherzi a parte, studiatelo. San Junípero Serra aveva un dottorato in teologia. Era professore a Maiorca.

L’insegnamento che diede era il frutto di una profonda meditazione, di una riflessione e di uno studio della fede.

Non abbiamo bisogno di avere il bagaglio accademico, ma abbiamo bisogno di conoscere la nostra fede, e soprattutto ora perché alcune delle principali minacce e pericoli che abbiamo per la fede sono intellettuali. È come ai tempi della fondazione dei domenicani, dove, durante l’eresia albigese, la gente stava ricevendo un insegnamento poco chiaro, e anche il clero stava dando il cattivo esempio. Così san Domenico e i suoi seguaci (così come san Francesco, in parallelo a san Junípero) decisero di diventare maestri e predicatori e di conoscere chiaramente la fede.

Lo studio è importante. Ci sono un sacco di pensieri confusi in giro. Dobbiamo rifletterci sopra. Così il secondo punto che possiamo ricavare dal nostro patrono Luglio-Dicembre 2019

riguarda lo studio e il pensiero, e San Francesco di Sales trascorreva un’ora ogni giorno leggendo e studiando.

Il terzo punto è lo zelo. Come descriverebbe San Junípero Serra? Partiamo dallo zelo: questo è importante.

Il fuoco. Devi diventare fuoco, il fuoco del Signore. Non possiamo avere una sorta di organizzazione insipida.

Dobbiamo avere un amore personale per il nostro Signore Gesù Cristo e annunciarlo fino agli estremi confini della terra. Abbiamo sempre bisogno di avere questo zelo, ma soprattutto in tempi in cui, come può dire un pilota quando è in volo, “C’è turbolenza davanti a noi” o “Ci imbattiamo in un po’ di vento impetuoso”. Beh, lo stiamo attraversando proprio ora, quindi allacciate le cinture di sicurezza, ma dobbiamo avere lo zelo, la comprensione, per farlo.

L’immagine che mi viene in mente per descrivere il nostro patrono è quella di una pila Duracell.

Probabilmente non è molto ortodosso immaginarlo così, ma lui continuava ad andare avanti senza fermarsi!

Ovviamente aveva zelo. Ha rinunciato a una posizione di apprezzato professore nella sua isola natale ed è andato fino agli angoli più lontani della terra per servire il Signore, a causa del suo amore per il Signore. Lo zelo per il Signore lo travolse. Dopo lo sbarco a Veracruz, si ferì il piede e per tutta la vita soffrì per questo. Nonostante ciò, camminò fino a Città del Messico, andando a piedi ovunque. Era instancabile. Continuava costantemente a muoversi, organizzando missioni in ogni luogo nel bel mezzo di lotte con il governo, combattendo con ogni tipo di persone all’interno della Chiesa e al di fuori della Chiesa, affrontando enormi difficoltà che fanno sembrare insignificanti tutte le lotte che possiamo affrontare nella nostra missione. E ha continuato a muoversi, ha continuato ad andare avanti. Era ostinato. È lo zelo per il Signore.

Questo è il tipo di sacerdoti e religiosi che vogliamo, che hanno questo zelo per il Signore, non solo una preoccupazione organizzativa o di carriera. Abbiamo bisogno di essere ardenti di zelo per il Signore come San Junípero. Ha continuato ad andare avanti fino alla sua morte. Questo è un modo di essere piuttosto efficace anche per tutti noi. Significa che abbiamo una tale forza per affrontare queste lotte che affrontiamo nel nostro mondo, che sono diverse dalle sue, probabilmente meno difficili di alcune delle sue, anche se per altri versi forse più gravi. Ha affrontato contraddizioni dirette e attacchi violenti. In alcune parti del mondo, i cristiani sono perseguitati e uccisi, ma nella nostra parte del mondo non è qualcosa che affrontiamo nel modo in cui lo fece San Junípero.

Lo studio dell’apocalisse ha avuto un profondo effetto sulla mia stessa esistenza. Lì, le due sfide che i cristiani devono affrontare sono la persecuzione e la seduzione.

21

l’intervista Alcuni di loro stavano per essere gettati ai leoni, così avete il nemico come la belva. Ma la maggior parte di loro non lo erano. La maggior parte di loro ha affrontato la seduzione del potere della donna scarlatta o della falsa Gerusalemme, Babilonia la Grande. Dovevano ricordare: “Sono cittadino di Gerusalemme mentre vivo a Babilonia la Grande”, e questo è più simile al tipo di sfida che affrontiamo nel mondo moderno. San Junípero Serra affrontò l’altro tipo di difficoltà. Cionondimeno, abbiamo bisogno di avere quello zelo, quella forza.

Veniamo all’ultima delle virtù teologali, la più grande: la carità.

Penso che insieme alla preghiera, allo studio e allo zelo, ciò di cui abbiamo bisogno è la speranza. Non l’ottimismo; l’ottimismo che dice: “Ogni giorno in ogni modo le cose migliorano sempre di più”. Non vedo alcuna evidenza di questo. Nella sua grande poesia “Se”, Kipling ha detto che se riesci a tenere la testa sul collo mentre le persone intorno a te la perdono e ti incolpano per questo motivo, allora “sarai un uomo, figlio mio!”

Qualcun altro ha detto che se riesci a tenere la testa quando gli altri intorno a te non possono, non capisci la gravità della situazione. Ma c’è speranza. La speranza vede chiaro. La speranza è realista. La speranza vede il mondo intorno a noi così com’è, ma lo vede anche nel contesto del piano divino di Dio, che è divina provvidenza, e questo è il fattore che fa tutta la differenza.

La speranza guarda al male e non lo nega come male, non versa uno sciroppo di bontà sul male. La speranza la guarda dritto nel male, ma lo vede nella prospettiva più ampia della provvidenza di Dio. Perciò la speranza si basa sulla fede; non la fede come “quando si desidera una stella”, che è la parodia secolare della fede, ma la fede come un atteggiamento dell’intelletto mosso dalla volontà, mosso dalla grazia di Dio. Ecco cos’è la fede. Gesù è il

Signore: è un atto di fede, perché non è evidente che Gesù è il Signore; è dunque mosso dalla grazia di Dio nel mondo che nega Cristo nostro Signore. E noi proclamiamo questo per mezzo della grazia di Dio. Vediamo chiaramente il cuore e la realtà e siamo pronti a dare una ragione della speranza che abbiamo. Siamo pronti ad usare la nostra mente per grazia di Dio per spiegare e presentare la nostra speranza perché essa si basa su una fede che vede con fredda chiarezza la realtà che ci circonda da vicino, ma la vede nel contesto della divina provvidenza.

Ecco perché per alimentare la nostra fede che ci dà la vista, dobbiamo essere immersi nella Parola di Dio e nella fede viva della Chiesa, e a volte nella preghiera. Abbiamo bisogno di preghiera, di studio e di zelo. Questo ci condurrà alla speranza. Per questo San Junípero era inarrestabile: era la sua speranza. Quando le missioni erano in fiamme e le cose andavano male, se lo aspettava. Non vi scoraggiate perché è in questo mondo, e questo mondo è pieno di problemi. Ciò che ci sostiene è una speranza basata sulla concretezza della provvidenza di Dio. Una volta uno scrittore ha detto “Una cosa che so per certo è che la provvidenza di Dio sorge prima dell’alba”.

Questo ci dà la forza di produrre frutto nell’amore, in un amore che non è una semplice emozione, ma un amore intenso e profondo; un amore che sostiene ed è inarrestabile; che è efficace e radicato nella fede in Cristo nostro Signore. L’energia che ci porta a poter realizzare questo, nonostante le tempeste e le turbolenze della vita, qualunque esse siano, fuori dalla Chiesa o dentro alla Chiesa, è la speranza che ha le sue radici nella fede.

“Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”; troppo spesso diciamo “ Venga il mio regno, sia fatta la mia volontà”. No! dobbiamo avere quell’atteggiamento di fiducia nella provvidenza di Dio che ci conduce attraverso la fede alla speranza e all’amore.

vocazioni

Un incontro chiamato Sr. Marta Maria Paola

Dio di Sr. Marta Maria Paola

Nata a Milano nel 1972, è cresciuta in un paese della Brianza. Si è diplomata come disegnatore stilista di moda e ha lavorato per parecchi anni in questo settore in vari negozi di abiti da sposa. Il viaggio della fede le ha fatto incontrare prima il «mondo missionario» e poi il carisma francescano-clariano. Ha abbracciato la vita contemplativa nel monastero delle Sorelle Povere di S. Chiara a Cademario in Ticino (Svizzera).

I

l filo rosso che unisce la storia che il Signore sta facendo e ha fatto con me posso dire siano gli incontri. Lo svolgersi delle vicende fino alla scelta definitiva di essere sua per sempre è stato caratterizzato da volti e vite che hanno condiviso e mi hanno trasmesso l’incontro con la Bellezza, con il più «bello tra i figli dell’uomo» (Sal 44); vite e volti che hanno scoperto ed accolto Colui che è il senso e la ricapitolazione di ogni cosa che riguarda la nostra vita, perché «in Lui viviamo, ci muoviamo, esistiamo» (At 17,28).

Sono nata e cresciuta in una famiglia credente in un paese della Brianza, dove le dimensioni delle relazioni sono famigliari, dove bene o male ci si conosce un po’ tutti, dove si condividono la vita e la fede e dove il credere per tanti è un affidare a Dio l’esistenza con le sue vicende gioiose e tristi. Una fede che viene trasmessa fin da piccoli in famiglia, in parrocchia e nell’oratorio che sono luoghi in cui si cresce, si sta insieme, si condivide.

Arriva poi un momento in cui ti senti interpellata in prima persona, in cui tocca a te dire: «Ci sto». All’età di quattordici anni con la morte di mio padre e la scuola superiore da scegliere la vita mi poneva davanti a nuove sfide e responsabilità. Il dialogo con il Signore Luglio-Dicembre 2019

divenne in quel tempo più spontaneo, quotidiano, oserei dire più famigliare, pieno di tanti «perché?», ma anche certo, perché a Lui potevo chiedere aiuto, luce, sostegno. Un po’ controcorrente rispetto ai miei coetanei decisi di frequentare la scuola superiore non nelle vicinanze di casa, ma a Milano. Il mio sogno era quello di diventare stilista di moda, per poter esprimere la creatività che mi sentivo dentro e contemporaneamente imparare un mestiere.

Proprio in questo tempo di domande e di strade che si aprivano, incontrai dei volti che mi comunicarono la gioia del credere: i Padri di un istituto missionario, il P.I.M.E. che a Monza ha una casa di formazione per i seminaristi. Nei Padri che tornavano dalla missione, da varie parti del mondo, riconoscevo la gioia e l’entusiasmo che erano in me; nei Padri più anziani, che avevano trascorso parecchi anni in missione, ma che ormai per salute o per età avanzata non potevano più essere nelle «loro» terre d’adozione, mi affascinava che quella medesima gioia, era viva e visibile. Questa gioia non poteva nascere solo da ciò che si era costruito o fatto in terra di missione, ma doveva avere le sue radici innestate in un terreno più profondo. Con loro iniziai a frequentare l’appuntamento settimanale de 23

vocazioni Cappella del Monastero SS.-Francesco e Chiara Cademario, Svizzera, 2018

«L’ora dell’ascolto», in cui attraverso la lettura e la lectio dei Vangeli entrai in una confidenza nuova con la Parola di Dio. Questo mi aiutava a guardare ed ascoltare, grazie appunto alla Parola, gli avvenimenti quotidiani, la vita spicciola di tutti i giorni, il passato non disgiunto dal «qui e ora». Una frase trovata leggendo le lettere scritte dal beato p. Clemente Vismara, missionario per più di sessant’anni in Birmania, credo possa descrivere i miei sentimenti e la mia ricerca: «La vita è fatta per andare lontano… una vita vissuta per se stessi è asfissiante».

Terminati gli studi entrai nel mondo del lavoro, iniziai a lavorare nell’ambito degli abiti da sposa; qui la creatività e la manualità potevano crescere ed esprimersi. L’umanità incontrava tante giovani spose che volevano rendere davvero speciale il giorno del loro matrimonio e attraverso la professionalità del mio lavoro potevo far passare una bellezza non fine a se stessa ma quella che abita il cuore di ogni uomo.

La mia vita continuava a fiorire di cose belle e inaspettate, ma in fondo sentivo la mancanza di qualcosa a cui non riuscivo a dare un nome. Nella preghiera domandavo se la strada fosse quella di «andare lontano», ma intuivo sempre più che quella non era la via che il Signore aveva pensato per me; non riuscivo ancora a comprendere quale fosse ma… Lui stava preparando la strada senza che io me ne accorgessi.

Rimasi folgorata e con una grande domanda nel cuore quando ascoltai il racconto di un Padre missionario che dopo la liberazione da un periodo di prigionia 24

nelle Filippine diceva: «Ho sentito nel tempo della prigionia la vicinanza di tutti, ma in modo particolare mi sono sentito sostenuto dalla preghiera delle monache di clausura che hanno un monastero vicino alla mia missione».

Rimanendo in ascolto della vita, partecipai a dei giorni di incontro organizzati dai Frati Minori in occasione della «giornata delle vocazioni». Non conoscevo il carisma francescano, se non per ciò che superficialmente avevo sentito dire.

Rimasi colpita dalla fraternità, dall’accoglienza, molto semplice e senza troppe forme e domande, dalla preghiera insieme, dalla condivisione sulla Parola e sulla vita e dalle prime «pennellate» su san Francesco e santa Chiara.

Avevo sempre pensato che i santi di Assisi, pur nella grandezza della loro santità, non avessero molto in comune con il serrano n. 147

vocazioni gli uomini e le donne del XXI secolo. In realtà trovai nel Poverello di Assisi un giovane con un’esperienza molto simile a quella di molti, ricca di beni materiali.

Nel suo cammino di conversione vissuto con tanta inquietudine e irrequietezza del cuore vidi la ricerca di ciò che è veramente essenziale. Francesco iniziò il viaggio della sua conversione, partendo dall’accoglienza intima e profonda della Parola di Dio, abbracciando ciò che a lui sembrava amaro per sentirlo trasformare in dolcezza, come avvenne nel suo incontro con il lebbroso. Incontrando Cristo, Francesco si era spogliato di tutto per farsi rivestire da Lui e per restituire il dono ricevuto attraverso la sua vita dedicata ai fratelli. Scoprii in santa Chiara un amore profondo, femminile, esclusivo per Cristo povero e crocifisso.

Chiara scrive in una lettera a sant’Agnese di Praga: «L’amore di Lui rende felici, la contemplazione ristora, la benignità ricolma» (IV lettera ad Agnese). Chiara e Francesco divennero così «amici» e compagni anche del viaggio del cuore.

Una mattina di gennaio del 2008 arrivai in un paesino della Svizzera, Cademario, a pochi chilometri da Lugano, a 800 m di altitudine. Il sole splendeva, c’erano circa venti cm di neve e tutto era candido e intenso, un paesaggio da lasciare senza fiato. Qui ero approdata per qualche giorno di riposo e di preghiera essendoci, in questo luogo, un piccolo monastero di clausura di Sorelle Povere di S. Chiara. Partecipai in quei giorni alla preghiera corale, riposai nella piccola foresteria ed Il contributo è un estratto dalla pubblicazione di Arturo Cattaneo, Alessandro Cristofari, Cristina Vonzun “Inatteso. Testomonianze che pro-vocano i giovani”, edito da “La fontana di Siloe”.

«Esistono molte cose nella vita che catturano lo sguardo, ma poche catturano il tuo cuore: segui quelle». Un’affermazione di Winston Churchill, che ben si adatta a questo volume, scritto per «catturare» il cuore dei giovani e incoraggiarli ad aprirsi ai meravigliosi, e spesso inattesi, progetti di Dio. Il libro raccoglie testimonianze di vita cristiana nella quotidianità del matrimonio e del lavoro di personaggi famosi e non (Miss Italia come Giusy Buscemi, popstar come Nek, imprenditori, sportivi, avvocati, dirigenti d’azienda, insegnanti, poliziotti, educatori, persino ex criminali...), uomini e donne «normali» oppure «straordinari», come, ad esempio, la vergine consacrata a Baghdad o chi nasce senza le braccia e riesce a dedicarsi alla pittura e alla danza; senza dimenticare chi è chiamato al sacerdozio o alla vita monastica.

Sono voci, gesti e parole che risvegliano il desiderio di santità, soprattutto tra i giovani, perché come ha scritto Antoine de Saint-Exupéry, «se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto ed infinito». In tal senso anche Papa Francesco ha esortato le ragazze e i ragazzi del nostro tempo: «Noi cristiani non siamo scelti dal Signore per cosine piccole, andate sempre al di là, verso le cose grandi. Giocatevi la vita per grandi ideali!»

Luglio-Dicembre 2019

ebbi modo di conoscere la Madre Abbadessa.

Parlando con lei, colsi nelle sue parole e nel suo sguardo, che «andava lontano», un grande amore per il Signore e un’appartenenza a Lui, che in fondo abitava anche me, ma che fino a quel momento non avevo avuto il coraggio di ammettere.

Ero proprio arrivata a «casa». I giorni passarono velocemente e scesi «a valle» con una grande emozione e un’intensa nostalgia. Quello che era successo probabilmente era davvero visibile, perché la sera dopo il mio rientro incontrai un’amica che, vedendomi, mi disse: «Ma cosa ti è capitato? Sei raggiante!» Non riuscii a dire molto, ma nel cuore sapevo che il Signore mi aveva dato appuntamento in quel luogo, lì mi aveva condotto, per incontrarlo.

Nel 2009 sono entrata nella fraternità delle Sorelle Povere di S. Chiara nel monastero dei SS. Francesco e Chiara a Cademario e nel 2017 ho accolto e detto il «sì» per sempre con la Professione Solenne. In quel giorno il Vescovo ci ha detto: «Non c’è niente di ciò che fa vivere all’interno delle mura della clausura che non appartenga a tutti, alla vita di ogni battezzato. Qui si cerca semplicemente di far emergere la ragione ultima della nostra speranza, quella che ci rende credenti, riempie il nostro cuore di gioia e ci rende capaci del dono di noi stessi». Tutto ritorna al suo centro, la fede ricevuta, l’entusiasmo missionario, la gioia della fraternità, come delle tessere di un mosaico che l’Artista colloca al giusto posto.

La nostra vita di Sorelle Povere, in fondo, è molto semplice, ordinaria, eppure straordinaria ogni giorno. È scandita dalla preghiera e dal lavoro, nel silenzio, nella fraternità e nell’accoglienza di chi viene a trovarci; il piccolo seme cresce, un seme silenzioso che, nella profondità e nella consegna di sé, può portare frutto. In verità, solamente insieme possiamo deporre il seme della vita.La vita fraterna nelle piccole sfide quotidiane e la comunione nella preghiera ci aiutano a distinguere ciò che è davvero essenziale da quanto è superfluo, sia in senso materiale che in senso spirituale. Una vita che è ascolto reciproco e spazio sempre più ampio per far entrare l’Altro e gli altri. Il mondo diventa vicino e, nella dimensione della preghiera e dell’offerta, entra con le storie personali e collettive. Le relazioni, che la clausura sembra in apparenza interrompere, si allargano e diventano realmente e concretamente vicine. Si scopre che l’orizzonte è aperto, perché seguendo le orme di Cristo sull’esempio dei nostri santi possiamo già fin d’ora «esultare di una gioia indicibile e gloriosa» (1Pt 1,8).

25

l’angolo di serra international

Missionaries of Saint Junipero Serra di Manuel Costa

Il Presidente di Serra International Ruben Gallegos, in continuità con l’operato del Past President Mario Biscardi, ha rivolto ai Serrani di tutto il mondo un pressante invito ad impegnarsi nella ricerca di nuovi soci lanciando una campagna dal titolo “Missionari di San Junipero Serra”, qui a lato riportato in lingua originale. Nella sostanza è un invito ai Serrani a pregare di più per le Vocazioni, a chiedere a tutti i cristiani di pregare di più per le Vocazioni, a sensibilizzare più cristiani ad unirsi a noi nella nostra missione a favore delle Vocazioni.

Non c’è dubbio che ogni cristiano, e quindi ogni serrano, è chiamato ad essere missionario, un termine che forse in passato abbiamo inteso riferirsi solo a chi va in missione in terra lontana; in realtà Papa Francesco ci ricorda che questa è una chiamata comune a tutti i cristiani, in ogni istante della nostra vita quotidiana. Il Serrano, in particolare, è chiamato alla missione di sviluppare e sostenere le Vocazioni alla vita sacerdotale e consacrata, con la preghiera e con azioni volte a creare nella società una cultura vocazionale. Come tutti i missionari, siamo chiamati non solo a testimoniare, ma anche a spargere la 26

buona novella, ed è per questo che ogni singolo Serrano dovrebbe sentirsi chiamato a raccontare e a far capire a tanti altri cristiani la bellezza di essere serrani e attirarli alla nostra associazione. Il presidente Gallegos ci invita a rinnovare questo nostro impegno nel nome e sotto la protezione del nostro Santo Junipero Serra.

Il presidente Gallegos ci invita anche a pregare e a far pregare di più per le Vocazioni, perché questo è quello che ci ha chiesto Nostro Signore. Anche in questo dobbiamo essere missionari!

Il Serra nelle Filippine, che già l’anno passato si era distinto nel registrare un consistente incremento di soci, ha già risposto a questo appello con grande impegno, promuovendo, tra l’altro, incontri con diverse scuole, la prima a Tuao nella provincia di Cagayan, con una partecipazione di circa mille giovani, per presentare il Serra e per invitare a pregare e ad agire a favore delle vocazioni. Un bel esempio che portiamo all’attenzione dei lettori, anche con alcune foto.

il serrano n. 147

l’angolo di serra international

L’organizzazione e i costi di Serra International In cosa consiste l’organizzazione di Serra International?

Perché è necessaria e importante? Quanto costa?

Questi gli interrogativi che spesso i Serrani si pongono.

Serra International è un po’ come il capo famiglia di questa associazione serrana sparsa in tutto il mondo: 612 Club, in 15 paesi, 12.000 soci. Tra i principali paesi figurano il Brasile, il Canada, l’Australia, le Filippine, gli Stati Uniti, la Nigeria, il Messico, la Tailandia e naturalmente l’Italia. Ogni paese è differente, con diverse culture, lingua e sensibilità che vanno coordinate: questa è la ragione d’essere di Serra International, coordinare, indirizzare, verificare l’unitarietà di intenti e la coerenza nei comportamenti, sorvegliare sul rispetto delle regole da parte dei club nei diversi paesi. Tutto questo richiede organizzazione.

Nella sua sede di Chicago, Serra International opera con uno staff di quattro persone a tempo pieno (un direttore esecutivo e tre impiegati), responsabili anche dello sviluppo e aggiornamento dei diversi mezzi informativi a disposizione di tutti i serrani (newsletter, portale e rivista) oltre che dell’organizzazione degli eventi internazionali, quali le Convention, tra le quali memorabile quella del 2017 a Roma con l’udienza privata di papa Francesco. È una organizzazione importante che non si può basare sul volontariato e quindi ha un costo! L’ufficio di Chicago in realtà svolge anche un lavoro per il Consiglio Nazionale degli Stati Uniti e per la Fondazione di Serra International e con questi suddivide i costi. Tuttavia il budget annuale per la sola Serra International resta di oltre 300.000 dollari, quasi cinque volte il budget del Consiglio Nazionale Italiano.

Non deve allora stupire che anche i Serrani Italiani siano chiamati a versare una quota annuale a Serra International, quota modulata in base al costo della vita dei diversi paesi. Per fare alcuni esempi, la quota versata da ciascun serrano degli Stati Uniti è di $47, quella dei serrani Italiani è di $25 e quella dei soci brasiliani di $10.

Ogni serrano, in qualsiasi parte del mondo esso si trivi, dovrebbe pensare e capire di non essere solo, o il semplice membro di un club realtà “locale”, ma di essere parte di una ben più grande famiglia presente in tutto il mondo, con gli stessi scopi e finalità, al servizio della Chiesa e della società.

Luglio-Dicembre 2019

27

la voce del cnis

Tema dell’anno

“La fede non è un’idea ma un incontro” di Enrico Mori

Amici serrani, questo è il tema che vi propongo per il prossimo anno sociale.

Faccio mie le parole del Papa Emerito Benedetto XVI usate a sua volta da Papa Francesco: la fede non è una teoria, una filosofia, un’idea ma un incontro. Un incontro con Gesù. Se così non avviene, se non ci si imbatte nella “sua misericordia”, si può pure “recitare il Credo a memoria, ma non avere fede”.

Ma che cosa significa avere fede? Sempre Papa Francesco ci ricorda che: La fede passa per la vita. Quando la fede si concentra puramente sulle formulazioni dottrinali, rischia di parlare solo alla testa, senza toccare il cuore. E quando si concentra solo sul fare, rischia di diventare moralismo e di ridursi al sociale. La fede invece è vita: non possiamo essere dottrinalisti o attivisti; siamo chiamati a portare avanti l’opera di Dio al modo di Dio, nella prossimità”.

La fede – conclude Papa Francesco – è questione di incontro, non di teoria. Nell’incontro Gesù passa, nell’incontro palpita il cuore della Chiesa. Allora non le nostre prediche, ma la testimonianza della nostra vita sarà efficace”.

Molti preferiscono una fede astratta, disincarnata, fatta di devozioni e riti: certamente è una fede comoda, che non ci richiede grandi rinunce. Ma la fede vera non questa! Sono le parole di Gesù il metro con cui misurare la nostra fede, quella che si incarna nella vita di ogni giorno; ed è una fede scomoda, perché ci chiede parecchie rinunce “ho avuto fame, ho avuto sete, ero forestiero..., e mi avete dato da mangiare, mi avete dato da bere, mi avete ospitato”.

C’è qualcosa di molto bello nella fede cristiana. Bello e straordinario. Mi riferisco alla possibilità di conoscere la propria anima alla ricerca di ciò che il Signore ha riposto in noi. Se il corpo è tempio dello Spirito Santo (1Corinzi 6,19), l’anima ne è lo scrigno più recondito.

Prima di iniziare un viaggio diverso che ci porta in usci28

ta verso le periferie del mondo (Papa Francesco), è necessario fare chiarezza in noi stessi per Cristo, con Cristo ed in Cristo. Non parlo di una esperienza mistica, ma di una semplice riflessione di autocoscienza. Se cerchiamo lo Spirito Santo dentro di noi, sicuramente lo troviamo. E dopo averlo trovato, sentiamo una felicità ed una gioia inesprimibili. Gioia e felicità che abbiamo il dovere di annunciare con entusiasmo a tutti coloro che vogliono essere purificati dalla Parola e che dopo averla ascoltata sono pronti per essere edificati come pietre vive della Santa Chiesa.

Gioia ed entusiasmo (entusiasmo è una parola che deriva dal greco e vuole dire: “avere qualcosa di Dio dentro” o “essere dentro Dio”) ecco quanto noi serrani dobbiamo manifestare quando parliamo di fede.

La fede è incontrare ed affidarsi a Dio, sapere che c’è un Padre Buono che ci aspetta a braccia aperte per inondarci del suo amore, della sua grazie, un Padre che anche quando sbagliamo è sempre disposto a perdonarci purchè facciamo in lui affidamento.

La fede non la si può definire un’emozione, un sentimento. Mi emoziono quando incontro una persona speciale, quando vedo un quadro, così come provo un sentimento per qualcuno o per qualcosa, di certo, provo uno stato d’animo che mi fa stare bene per quell’attimo, per qualche tempo.

La fede quando è vera ti fa stare bene sempre, indipendentemente dall’essere o non essere in compagnia, anche sei solo ma hai fede sai che Dio è lì con te.

La fede è un’azione reale, autentica che ognuno di noi deve sapere compiere. Indubbiamente non è facile affidarsi completamente a Dio, ma, per esperienza personale, so che avere fede, abbandonarsi a Dio nelle avversità della nostra vita, vuole dire avere “Qualcuno” che ti cammina a fianco, ti sostiene con il suo amore ed allora tutto appare meno complicato, meno faticoso, riesci ad intravvedere la luce in fondo al tunnel.

Abbiamo fede ed affidiamoci senza incertezze e timori ma con fiducia e gioia al Signore. il serrano n. 147

la voce del cnis

Nuovi Statuto e Regolamento per il Serra Italia Relazione di Antonio Ciacci Past President

In occasione della prima Assemblea dei Delegati di Club tenuta a Torino Sabato 12 ottobre, Antonio Ciacci ha pronunciato questo illuminante discorso per spiegare la grande novita dell’Assemblea dei Delegati, soffermandosi anche sull’importanza delle regole e della loro saggia applicazione.

C

arissimi Serrani, le regole non sono inutili, ma la base della convivenza civile in ogni agglomerato umano, nella misura in cui ci impegnano a non permettere prevaricazioni ed a garantire la tutela di tutti attraverso il loro (delle regole) rispetto.

Delle regole, però, si deve cogliere il senso e lo spirito, evitando il farisaismo, proprio di chi ostenta rigorismo, preoccupandosi più dell’apparenza che della sostanza ed osservando le leggi così tanto alla lettera da frodarne lo spirito. Le regole devono essere semplici e chiare; un esempio per tutte, la Regola non bollata di San Francesco dice: “La regola e vita dei frati è questa, cioè vivere in obbedienza, in castità e senza nulla di proprio, e seguire la dottrina e l’esempio del Signore nostro Gesù Cristo”. Per capire bene una regola, peraltro e paradossalmente, bisogna anche violarla: in proposito ecco alcune citazioni…fra il serio ed il faceto: “Se avessi rispettato tutte le regole, non sarei arrivata da nessuna parte” diceva Marilyn Monroe; “Se rispetti tutte le regole, ti perdi tutto il divertimento” diceva Katharine Hepburn; “Dobbiamo imparare bene le regole in modo da infrangerle nel modo giusto” diceva il Dalai Lama”; ed infine, “Se l’eccezione conferma la regola, senza l’eccezione la regola non ha valore” diceva il Cardinale Josè Saraiva Martins.

Luglio-Dicembre 2019

Le regole, insomma, non ci devono limitare, ma aiutare.

Nel Serra le regole ci sono e riflettono buone prassi in quanto si è cercato di applicarle con pragmatismo, sobrietà, chiarezza, consapevolezza. C’era un problema (c’è un problema): il Cnis è stato spesso concepito come un super club, confondendo governo e parlamento, e nei Club, fondamento del movimento, non si sa neppure cosa sia, a cosa serva e perché esista.

Le modifiche statutarie e regolamentari (lungamente meditate ed elaborate, poi unanimemente approvate) erano e restano dirette a questo: maggiore efficienza, definizione precisa dei compiti (chi fa che cosa) e diffusione del senso di appartenenza, avvicinando i vertici al territorio, considerando che la struttura si rappresenta come una piramide rovesciata (tutto deve derivare dai Club ed arrivare ai Club, Distretti e Cnis stimolano, controllano, sostengono e coordinano).

Cruciale in questo contesto l’Assemblea dei Delegati che non è, non deve essere, un altro carrozzone, ma il cuore pulsante del Serra, non solo un organo che delibera, ma un luogo dove ci si conosce e si sviluppano idee.

Ha ed avrà cruciale importanza, in qualche misura avrà nelle proprie mani i destini del Serra, bisogna, quindi, conoscerla bene e comprenderne bene i compiti ed il significato per poterla vivere creando, in concreto, una di quelle buone prassi grazie alle quali il movimento è cresciuto e si è diffuso, in Italia e non solo.

29

cultura e società

Perché in Chiesa ci sono sempre meno giovani?

Sintesi e commenti del libro di don Armando Matteo “La Prima Generazione Incredula”, vincitore della XIV edizione del premio "Penna dello Spirito", a cura di una Serrana che ha partecipato alla votazione per l’assegnazione del Premio.

Questa domanda se l’è posta anche Don Armando Matteo che con i giovani ha a che fare quotidianamente e che al tema ha dedicato il suo libro “La Prima Generazione Incredula”.

Già, perché i giovani non sono più attratti dal Vangelo di Gesù? Perché abbandonano la Chiesa e cercano la felicità altrove? Perché la fede cristiana non convince più quale possibilità di far diventare l’uomo più uomo?

La nostra generazione di giovani sta imparando a vivere senza Dio e senza la Chiesa. Non si pone contro

Dio o conto la Chiesa, ma se la cava senza Dio e senza la Chiesa. Questo, dice l’autore, è l’inedito del nostro tempo in Occidente: non più il “contro Dio” dell’ateismo, ma il “senza Dio” di chi non ha più antenne per Lui. Non negano il bisogno di sacro, forse possono anche affermare di essere credenti, ma il loro appartenere alla Chiesa è più un darsi un‘identità culturale in un mondo sempre più multiculturale e multireligioso: un appartenere alla Chiesa senza crederci!

Quali sono i segni più evidenti di tale incredulità e

Il teologo Don Armando Matteo 30

il serrano n. 147

cultura e società anaffettività nei confronti di Dio e della Chiesa? L’autore ne cita almeno tre: una profonda ignoranza della cultura biblica; una scarsa partecipazione alla formazione cristiana post-cresimale, e una notevole disinvoltura nel disertare l’assemblea eucaristica domenicale.

Da dove spuntano questi giovani? Ovviamente non dal nulla. Si tratta infatti di una generazione cui nessuno ha narrato e testimoniato la forza, la bellezza, la preghiera, la rilevanza umana della fede. In Occidente per lunghissimo tempo la trasmissione della fede è

Luglio-Dicembre 2019

stata una semplice questione “di casa”, non “di Chiesa”. Questa cinghia di trasmissione tra le generazioni si è, ad un certo punto, spezzata. Oggi nascere e diventare cristiano sono due cose distinte.

Per quanto riguarda la religione cristiana, la novità del nostro tempo è che i giovani di oggi non hanno ricevuto alcuna testimonianza adulta circa l’autentica convenienza della fede, non sanno perché dovrebbero credere o perché dovrebbero pregare. Nessuno li ha aiutati a sviluppare nel loro cuore antenne per Dio. Sono increduli, semplicemente increduli.

La fede non si presenta mai sulla scena della storia nella sua purezza evangelica, ma sempre attraverso mediazioni di tipo culturale … e il modo di pensare e di vivere ha cambiato non solo pelle, anche cuore.

A questo punto l’autore dedica ampio spazio per spiegare il perché del radicale mutamento della civiltà occidentale e di come questo mutamento abbia modificato l’interpretazione dell’esistenza, iniziando da Darwin che nel 1859 dà alle stampe “L’origine della specie”, a Marx, Nietzsche, Freud, Picasso, Einstein, Kafka, Pirandello, Musil, Thomas Mann, persino Vasco Rossi, la caduta del muro di Berlino ecc. Quindi l’autore si sofferma a lungo sulla nascita simbolica dell’epoca della tecnica, la quale si caratterizza e si impone con l’assioma secondo il quale ciò che è sperimentabile va semplicemente sperimentato.

La penultima tappa del percorso di mutazione della civiltà occidentale è quella che ci porta al fatidico anno del 1968: l’autonomia del soggetto.

Vietato vietare! Tutto viene presentato come possibile al singolo in termini di performance, di efficienza, di selfmade man. Con il grido di Vasco Rossi “Voglio una vita piena di guai”, il Cristianesimo appare datato, pesante, opprimente, nemico della felicità! Il Cristianesimo non è più cool!

Le nuove generazioni nate da genitori ampiamente investiti dall’avvento della cultura postmoderna – e quindi dalla sua lenta e inesorabile estraneità 31

cultura e società al cristianesimo – hanno imparato a cavarsela senza Dio e così hanno insegnato a fare ai loro figli. Hanno pian piano disimparato a credere e a pregare. Hanno forse ancora mantenuto un legame affettivo ai riti ecclesiali, ma privo di ogni consistenza di fede. Hanno addirittura anche favorito l’andare in Chiesa dei loro ragazzi, ma di loro neppure l’ombra.

Nasce così la prima generazione incredula della storia dell’Occidente, figlia dei figli del ‘68. Il mondo è cambiato. Di ciò bisogna acquistare piena consapevolezza.

Ma come prendersi cura di questa prima generazione incredula?

Perché i giovani non vanno più a Messa?

Dopo aver analizzato il profilo della “prima generazione incredula” dell’Occidente, Don Matteo dedica una decina di pagine alla Chiesa di oggi in Italia ponendosi l’interrogativo: come si presenta la parrocchia ad uno che oggi vive in Italia? E qui dà spazio ad una carrellata di riflessioni che occupano tutto il secondo capitolo: parrocchie tutte “rosari e Messe per morti”, “l’andare in Chiesa” che si identifica con “il fare le cose della Chiesa”, catechesi spesso autogestite (il parroco deve dire Messa!), il calo di vocazioni, la diminuzione numerica dei preti, i sacramenti amministrati troppo “facilmente”, i preti che devono correre da qui e di là per dir Messa nelle tre/quattro parrocchie loro affidate.

Occorre anche prendere coscienza del fatto che le parrocchie (e in parte i movimenti) sono essenzialmente luoghi di esercizio della fede che presuppongono, in coloro che li frequentano, una fede nel Vangelo già presente e una qualche dimestichezza con la prassi della preghiera. Se oggi, aggiunge, entrasse in una delle parrocchie d’Italia una persona qualsiasi che non sapesse che cosa è la fede, difficilmente troverebbe qualcuno disposto a insegnarle come si prega. Una Chiesa così, che non insegna a credere, che non insegna a pregare, può apparire interessante ad un giovane incredulo? A questo punto scatta un’ipotesi “maliziosa”: ma i giovani quanto interessano alla Chiesa?

Molto si è fatto per i giovani: dalle Giornate Mondiali della Gioventù sino al recente Sinodo dei Vescovi dedicato al mondo giovanile. Tutte esperienze però fuori dall’ordinarietà che hanno coinvolto meno di due milioni soprattutto studenti universitari, mentre la routine delle parrocchie resta, nel frattempo, dominata da anziani aggrappati alle loro tradizioni religiose (orari delle Messe, novene, rosari, Messe per morti ecc.).

L’impressione è quella di una Chiesa non seriamente appassionata dell’annuncio del Vangelo alle nuove generazioni.

Ma i giovani non sono più quelli di una volta per 32

quel che riguarda la pratica religiosa. I giovani sono cambiati perché Il mondo è cambiato. La famiglia e la scuola sono cambiate. Perché non dovrebbe cambiare anche la Chiesa? Quindi, perché non trasformare le comunità e le parrocchie (e i movimenti) in luoghi di generazione alla fede, ove si impara a credere, in luoghi in cui gli stessi giovani possano affrontare la loro ignoranza rispetto al Gesù del Vangelo. In luoghi di respiro, di libertà in cui elaborare il disagio culturale che li attanaglia?

Alla luce delle riflessioni esposte non sembrano esserci altre strade da percorrere. Ovviamente nessuno ha al riguardo ricette pronte … all’orizzonte non c’è nessun Harry Potter con una potente bacchetta magica!

Non è per nulla semplice né scontato farsi prossimo a chi è incredulo. Sperimentare l’assenza di Dio nei giovani è per la maggior parte degli adulti credenti una prova faticosa. È come sperimentare una sordità!

Credere al tempo della postmodernità non è facile per nessuno. Si registra un combattivo sentimento anticattolico e, in generale, antireligioso. Si assiste ad una gara a chi (scrittore, giornalista, laico, scienziato) la spara più grossa contro la Chiesa. Tali pensatori e i loro libri hanno un grande impatto mediatico e una larga diffusione, specialmente presso i più giovani, i quali, come del resto gli adulti, più che convinti, restano confusi.

Il tempo per la giovinezza.

Sino agli anni ’50 del secolo scorso si passava dal mondo dell’adolescenza a quello degli adulti.

All’uscita dell’adolescenza si entrava praticamente nel mondo del lavoro, delle responsabilità familiari e genitoriali. E la fase della vita adulta era spesso breve, segnata da una povertà diffusa, da malattie gravi e fatali, scarsa longevità maschile e, non da ultimo, da un continuo susseguirsi di conflitti bellici. Non c’era tempo per essere giovani e solo negli ultimi cinquanta anni, lentamente, ha cominciato a prendere forma l’età della giovinezza!

Con l’influsso culturale che la rivoluzione del ‘68 ha esercitato sul cuore dell’Occidente, i giovani si gettano alle spalle il “vecchio”, per aprire le strade a qualcosa di nuovo. È il tempo dell’apertura ad una fase di sperimentazione sociale molto intensa. Saltano i ruoli sociali, i mestieri, la religione, l’università, la politica.

Tutto inizia daccapo, anche la religione cristiana con la sua morale rigida e conservatrice.

Poi, occorre considerare la recente evoluzione tecnologica della società. Il mondo della tecnica con i suoi strabilianti ritrovati influenza ogni giorno di più la vita comune. Si persegue ogni possibile miglioramento dei il serrano n. 147

cultura e società suoi strumenti e dei suoi prodotti, a prescindere dalle loro ricadute sull’ambiente umano. La tecnologia, da un lato, allarga smisuratamente i confini della libertà umana, dall’altro, però, provoca un senso di smarrimento in chi non dispone neppure più del conforto di giudicare secondo il buon senso di una volta!

Nonostante un tenore di vita buono, arricchito da mille opportunità sociali, culturali, relazionali, oggi vivere è diventato più difficile. La cosa di per sé riguarda soprattutto il ceto giovanile, ma non solo. Anche gli adulti vivono un loro disagio, prontamente sfruttato dal mercato con l’ausilio dell’astuzia della pubblicità.

Ecco fiorire l’industria della moda, dei viaggi, delle comunicazioni, della ricerca farmaceutica, della chirurgia plastica, dell’alimentazione. Vengono cullati, questi adulti, in definitiva, con l’illusione di una “eterna giovinezza”, del poter sempre iniziare daccapo!

Un tale mondo adulto, malato di protagonismo e concentrato su se stesso, di fatto tenderà a mettere ai margini quello giovanile che, suo malgrado, diventa un peso e soprattutto un temibile concorrente!!

E che dire dell’ampia fascia di giovani che rimane parcheggiata in particolari “non luoghi” quali l’Università, con percorsi formativi abnormi tra lauree brevi e non, spesso inutili, tra le mille forme del precariato e l’infinito periodo del fidanzamento, senza dimenticare quella zona grigia dei giovani “né .. né” i quali cioè né lavorano né proseguono gli studi.

Una tale situazione richiederebbe un farsi da parte dei non più giovani e una nuova distribuzione delle risorse e delle opportunità sociali e politiche.

Un conflitto sotterraneo tra generazioni per la spartizione dello spazio presente e in parte di quello avvenire? Secondo l’autore, qui si collocherebbe una delle fonti principali della crisi presente nella condizione giovanile. Gli adulti con la loro indisponibilità a fare spazio alle generazioni più giovani, con l’avidità con cui si sono attaccati al presente, di fatto rendono sempre più problematico il dinamismo di crescita dei giovani.

Ai giovani, anche se sempre di più coccolati dalla famiglia, il futuro non si presenta più come orizzonte di promessa, di speranza, di apertura, ma come indefinito, come fonte di angoscia e, in ultima analisi, come minaccia. Un futuro così appare privo di senso: non può avere né dare senso.

In realtà, il male dei giovani è il male dell’anima.

Che la vita sia sfida, avventura, lotta, fatica impegno chiunque lo impara da sé. Che essa va accolta, amata, difesa, tutelata, promossa sempre e in ogni caso lo si può imparare solo attraverso la generosa testimonianza che spetta agli adulti.

Luglio-Dicembre 2019

La formula magica di ogni processo educativo è quell’attenzione, attenzione vera che l’adulto deve testimoniare al giovane in famiglia, a scuola, nella società, nel mondo dello sport e anche in quello ecclesiale. Anche la Chiesa, la stessa comunità dei credenti, è chiamata ad assumere un qualche ruolo positivo, propositivo e progressivo su questo terreno.

Dall’ascolto nasce un amore nuovo.

I giovani postmoderni, anche se increduli e inquieti, mostrano un’ampia disponibilità al dialogo con chi ha qualcosa da proporre, a patto che l’interlocutore si ponga in una disposizione di ascolto sincero.

La Comunità dei credenti sa dar spazio a questa esigenza dei giovani? Sa ascoltare? Sa mettersi in discussione?

L’ascolto è compito impreteribile della Chiesa per riscoprire con i giovani e per i giovani la qualità altamente umana e umanizzante della novità cristiana. È il pane che può soddisfare la fame e la ricerca di senso dei giovani al contrario di quelle briciole spirituali che un certo risveglio del religioso continua a spargere per far fronte allo stress della vita moderna. È dall’ascolto della Parola che poi può nascere la fede; la fede come conversione della libertà al comandamento dell’amore, proposto da Gesù. Aver fede significa, infatti, vivere la propria libertà all’insegna del primato dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo.

“La fede richiede di essere trasmessa: non ci è stata consegnata soltanto per noi stessi, per la personale salvezza della nostra anima, ma per gli altri, per questo mondo e per il nostro tempo. Dobbiamo collocarla in questo mondo, affinché diventi in esso una forza vivente; per far aumentare in esso la presenza di Dio” (Benedetto XVI).

Ricordiamo, infine, che la fede non è un’uniforme: è sempre espressione della libertà del singolo che, attraverso percorsi sotterranei e spesso complessi, si converte all’amore.

“Raccogliere il grido” è il titolo dell’ultimo capitoletto del libro. Un grido di speranza e di futuro. Un grido di speranza che chiede spazio e attenzione vera, per il futuro dei giovani e per il futuro degli adulti.

Questa pare essere la sfida di oggi della società e della comunità ecclesiale. Raccogliendo un tale grido, esse possono raccogliersi, recuperando terreno rispetto alle frantumazioni, rispetto alla dispersione di energie, rispetto alle lotte tra “laici furiosi” e “clericali impenitenti”.

“Dall’ascolto nasce un amore nuovo” che, come ricorda san Gregorio Magno, diventa fonte di conoscenza, di orientamento, di azione.

Per maggiori informazioni sul premio visita https://www.serraclubitalia.it/bando-di-concorso-penna-dello-spirito/

33

notizie e iniziative

dai club e distretti

DISTRETTO 71

Riunione del Consiglio distrettuale

Il Consiglio del Distretto 71 si è riunito sabato 19 ottobre nel Refettorio della chiesa della SS. Annunziata a San Miniato grazie alla gentile ospitalità del club della cittadina toscana e del suo presidente Michele Contino. Il governatore del Distretto, Michele Guidi, ha introdotto la riunione relazionando sul C.N.I.S. svoltosi a Torino l’11 e il 12 ottobre mettendo in risalto soprattutto la nuova esperienza dell’Assemblea dei delegati, prevista dal nuovo Statuto del Serra Club Italia, che ha visto una buona partecipazione di serrani provenienti da tutta Italia.

Ai presenti Guidi ha poi esposto il programma delle attività del prossimo anno serrano 2019/2020 proponendo la Festa dei seminaristi del Distretto 71, il Serra Day e, nel mese di giugno, il congresso distrettuale che sancirà il passaggio delle consegne dall’attuale governatore alla governatrice eletta Elena Baroncelli. Al termine della relazione del governatore in seno al Consiglio si è aperto un dibattito alquanto partecipato sulle attività esposte durante il quale sono stati precisati alcuni aspetti organizzativi.

La riunione è proseguita con gli interventi dei presidenti dei club del Distretto 71 (Pisa, Livorno, Prato, Massa, Cascina, Pontremoli Lunigiana, San Miniato), che hanno presentato la loro programmazione centrata in modo particolare sul tema nazionale “La fede non è un’idea ma un incontro”.

Al Consiglio ha partecipato anche il Presidente nazionale Enrico Mori, che si è dichiarato soddisfatto della vivacità dimostrata dai singoli club nella loro attività annuale.

Dopo un momento di preghiera e una visita di San Miniato la giornata è terminata con un pranzo consumato in fraternità e amicizia con la gradita sorpresa di un piatto a base di tartufo bianco offerto dal presidente del club di San Miniato, al quale vanno i ringraziamenti di chi ha potuto gustare una tale delizia.

34

Bianchi Paola Responsabile Distrettuale Comunicazioni

il serrano n. 147

dai club e distretti

TORINO 345

anniversario della Fondazione del Club

50°

Sabato 12 ottobre, nell’Aula Magna della Facoltà di Teologia, i soci del Serra Club Torino 345 hanno celebrato la ricorrenza dei 50 anni dalla fondazione del Club con la partecipazione di numerosi rappresentanti di altre Delegazioni e del Consiglio Nazionale ed alla presenza di S.E. Cardinale Severino Poletto, che ha lodato e benedetto l’operato dell’Associazione che si impegna a promuovere nella società civile una cultura favorevole alle vocazioni, in particolare a quelle al sacerdozio ed alla vita consacrata.

Si sono avvicendati i saluti da parte del Presidente Angela Pollano Dario, del Cappellano Don Alberto Piola, del Governatore del Distretto Piemonte/Valle d’Aosta, dott. Paolo Rizzolio, del Presidente del Consiglio Nazionale Rag. Enrico Mori e del Decano del Club Serra Torino 345, Ing. Giovanni Chiovatero, che ha riassunto efficacemente la storia del Club dalla sua fondazione fino

ai giorni nostri, non trascurando un pensiero per i Soci Fondatori e per i Presidenti che si sono succeduti alla guida del Club Torino 345.

La celebrazione ha beneficiato degli interventi illuminati del Prof. Franco Garelli, docente di Sociologia delle Religioni presso l’Università di Torino, e del Prof. Don Ferruccio Ceragioli, Rettore del Seminario Maggiore di Torino e docente di Teologia Fondamentale presso la Facoltà Teologica di Torino.

Le loro relazioni hanno dato una chiara descrizione, sia laica che religiosa, dello scenario della società attuale in cui i giovani crescono e si confrontano con il mondo degli adulti e con la loro incessante ricerca di riferimenti validi e positivi che possano guidarli nella ricerca di una vita costruttiva e gratificante.

L’auspicio di entrambi i relatori è stato quindi che la comunità tutta, sia laica che religiosa, ponga la massima attenzione alle necessità dei giovani con l’ascolto attento e con l’appoggio morale e religioso alle loro esigenze.

A seguire è stata celebrata la S. Messa nella Basilica del Corpus Domini officiata da S. Em. Card. Severino Poletto.

In seguito è stata offerta a tutti i partecipanti una cena di gala, che si è svolta in un clima di grande cordialità ed affetto ed, infine, è stato formalizzato l’ingresso nel Club dei nuovi soci, con la consegna del distintivo da parte del Presidente del Consiglio Nazionale, Enrico Mori.

Laura Mellone

Luglio-Dicembre 2019

35

dai club e distretti

Sanremo 377

Il linguaggio della musica sacra Spunti per una riflessione LINGUAGGIO VERBALE È “la facoltà dell’uomo di comunicare ed esprimere se stesso per mezzo di suoni articolati ed organizzati in parole atte ad individuare immagini o a distinguere rapporti secondo convenzioni ritenute “universali”.

Se cerchiamo di allargare semanticamente l’orizzonte del termine, possiamo affermare si tratti della facoltà di esprimersi e comunicare con segni o altri mezzi espressivi.

Nello specifico, restringendo l’obiettivo, ci può servire anche questa definizione: linguaggio è il complesso dei mezzi espressivi propri di un’arte.

Ed entrando ancor più dentro “il mistero” della semantica del termine possiamo definire linguaggio: “il significato particolare attribuito a determinati Davide Tepasso segni, oggetti, simboli”.

LA MUSICA La musica è un linguaggio, certamente, ma è ancora di più: un mondo, un “universo” capace di cementare una comunità, scandendone i ritmi e rinsaldandone i legami tra i membri. Questo direbbero innanzitutto i sociologi della musica: in quanto tale, la musica “garantisce” coesione sociale e la “sincronizzazione dell’umore” dei componenti di un gruppo, favorendo così la preparazione di azioni collettive. Pensiamo ad esempio al “Peana” nell’antichità greca, il canto che precedeva il lanciarsi in battaglia, l’urlo di guerra, espressione di forza davanti al nemico e rito apotropaico per scongiurare la paura ed auspicare la vittoria.

Ma la musica di cui parliamo è tutt’altro, anzi deve essere tutt’altro, altrimenti non è né “Musica Sacra”, né Musica Liturgica” una musica che fosse definibile secondo quanto appena riportato.

LA MUSICA SACRA CRISTIANO CATTOLICA Non possiamo prescindere da un accostamento ed un successivo approfondimento su quelle che erano le esigenze e le prassi rituali delle prime comunità giudeo cristiane. E da quanto il canto cristiano che si “formalizzerà” in quello che possiamo senza dubbio definire il repertorio vocale “Proprio” (nella sua “assolutezza”) della Chiesa Cattolica: “il Gregoriano”.

La prassi esecutiva del canto monodico cristiano cattolico del primo millennio affonda le sue radici nel “Canto Sinagogale”. Ecco, per esempio, l’elemento della danza (“spuntare fuori inaspettato”, pressoché totalmente, dal nostro punto di osservazione così “asettico” e corporeamente “inespressivo”) da non trascurare nell’esperienza e nella prassi della “Musica culturale ebraica”. L’ebreo praticante dondola pregando davanti al “Kotel” – ancora oggi – perché interpreta alla lettera un passo scritturistico in cui si dice che tutto delle nostre membra deve vibrare nella preghiera a Dio. Cosa rafforza, un elemento su tutti del canto rituale ebraico, la venuta del cristianesimo?: l’ancora più sottolineata Centralità, Unicità, Creatività – o meglio, l’Azione Creante – della “Parola”. È famoso il titolo dell’Opera di Salieri: “Prima la musica, poi le parole”.

Nella “Musica Sacra” vale l’inverso: prima, la Parola; durante, la Parola; dopo le note, la Parola.

Il “Canto Gregoriano” è la sintesi – oserei dire “perfetta”, ammesso che tale termine possa adoperarsi relativamente ad un’arte che cerca di relazionarsi alla Divinità – dell’aderenza della musica alla Parola, del primato della Parola, quindi, sempre, ed a qualunque costo. La Parola, quella con la Maiuscola, sarà Lei che “dà origine” anche alle note!

Sarebbe un’eresia il viceversa: la Parola crea prima che sia musicata, crea mentre è eseguita “in canto”, prosegue a creare quando delle note del canto rimane solo l’eco o il ricordo. Chiaro è che, se ci riferiamo alla musica sacra strumentale, tutto ciò resta valido ma non in chiave letterale. Ci può essere anche un’eccezione, come a tutti i più corretti dei teoremi: mi riferisco allo “Jubilus”, di cui tratta Sant’Agostino, quando il cuore prorompe in un canto mosso dallo Spirito, senza aver bisogno di parole:….. oltre le parole… Oltre le parole sì, ma nel respiro della Parola,…sempre! È un’eccezione, quindi, che non fa che “confermare pienamente la regola”!

MINISTRI DELLA PAROLA E, QUINDI, DELLA PAROLA “IN CANTO” La Parola, essendo stata affidata a tutti i missionari, quindi a tutti i Battezzati, la Chiesa ha sapientemente ritenuto,

36

il serrano n. 147

dai club e distretti però, di farla proclamare nell’assemblea liturgica da dei ministri specifici: i ministri lettori ed i ministri ordinati relativamente al Passo evangelico.

Possiamo affermare tranquillamente che la Musica Sacra propriamente liturgica fu “riservata” – fino al Concilio Vaticano II – ad alcune figure soltanto presenti all’azione liturgica. Per la Celebrazione eucaristica valeva ciò e, inutile dirlo, per la Liturgia delle Ore, riservata, appunto, alle comunità di consacrati. Nell’età delle signorie e quindi nell’Umanesimo e nel Rinascimento, durante le Celebrazioni eucaristiche solenni e durante i Vespri solenni la Parola “in canto” sarà “riservata” alle Cappelle Musicali.

Ma a che punto eravamo arrivati… di quel sottile e prezioso delicatissimo rapporto tra Parola e note? Eravamo “finiti” non troppo bene, se nel 1562 a Roma verrà scelta la “Missa Papae Marcelli”, musicata dal Palestrina, come l’esempio di musica sacra che consenta l’intellegibilità piena del testo. La critica storica musicale più aggiornata ritiene “fabulistico” l’episodio che fu la “Missa Papae Marcelli“ a “salvare” la polifonia sacra, ma è indiscutibile che i criteri compositivi della stesura di questa Missa palestriniana riuscivano a rendere il testo con una chiarezza di intellegibilità come poche altre composizioni sacre vocali dell’epoca furono capaci di fare. Eh si: perché la ricerca delle “decorazioni”, aveva finito – un po’ come nella quasi maniacale e sicuramente principesca pittura miniaturizzante di Carlo Crivelli – per attirare ed assorbire non solo le migliori forze ed energie e soluzioni tecniche dei compositori, ma anche degli esecutori del testo sacro latino, degli uditori, di tutti.., tra un’imitazione e l’altra, tra un coro e l’altro “battente”! Non si capiva se non alla fine quando l’Amen conclusivo lo riusciva a percepire anche il povero ed ignorante fedele laico, mero “osservatore spaurito” di “un’azione sacra” non solo molto elevata, com’è giusto, ma troppo distante da lui. Lutero, avvertì l’intuizione di far partecipare tutta l’assemblea al canto durante la Celebrazione liturgica. Era la conseguenza di “aver reso raggiungibile” la Parola, traducendola nell’idioma volgare.

Mettendola “in bocca” “in Canto” all’assemblea, conferiva, così, anche “importanza all’assemblea di cui il singolo fedele è una voce preziosa ed importante”.

Ecco nascere Il Corale: melodie semplici a note larghe, con testo biblico o testo direttamente tratto da immagini bibliche. Curò tanti testi lo stesso Lutero che, sapientemente, seppe creare un ”sistema di circolazione” capillare di questi canti pensati per le assemblee domenicali della Parola. La Chiesa cattolica nel postconcilio “adotterà” la forma del Corale accanto alle altre forme musicali a lei proprie, penso a quelle responsoriali ed antifonali. La musica profana, lo stile della musica Operistica, però, aveva fatto il suo “ingresso”, quasi silenziosamente, in chiesa, fino a “dettare legge” giungendo a far progettare e realizzare organi più adatti ad un Circo che ad un Tempio Santo. Con il Motu proprio “Inter sollecitudines” ,del 22 Novemrbe 1930, il Santo Padre, San Pio X manifesta la necessità di rimettere le cose – in fatto di musica – al “giusto posto”. Sarà all’interno di questa azione pastorale ispirata e matura, da cui deriverà la cosiddetta “riforma ceciliana”, che all’assemblea si inizierà a dare spazio per poter intervenire sempre più spesso almeno nelle parti dell’Ordinarium.

L’Istruzione Musicam Sacra della Sacra Congregazione dei Riti, approvata da Paolo VI e promulgata nel 1967, darà ulteriori chiare linee guida: la Musica Sacra deve essere dotata di ”Santità e bontà di forme”.

L’OGGI Intanto c’è stato il Concilio Ecumenico Vaticano II. Di fronte alle sfide ed alla grandezza dei concetti ai quali il Concilio era giunto, sicuramente, è corrisposta una “sfasatura” di piani di lettura, come in tutte le fasi di rinnovamento, la cui portata, data la dimensione, non può essere percepita se non con la dovuta “”prospettiva storica” e, quindi, con il dovuto passare di anni. C’è stato chi si è “arroccato” su posizioni di “estetiche prioritarie”, che, in quanto “alla Palestrina”, facevano ritenere che la liturgicità di alcune musiche fosse quasi un “diritto acquisito” di alcuni prima ancora che di altri. Come c’è stato, all’opposto, il pullulare di fenomeni di “sociologia musicale religiosa” confusa per musica liturgica e fatta passare per tale. Non è che alle volte si propongano “nostalgismi vetusti” o “da discoteca”? Ed in quest’ultimo caso, non è che, poi, alla fin fine, anche a livello pastorale “si lascino fare” questi giovani senza istruirli sulla liturgia, sul senso e la dignita’ dell’azione liturgica e del canto liturgico, sulla centralita’ della parola nella musica liturgica. abbiamo, clero e ministri incaricati del servizio della musica e del canto, abbiamo il dovere di educarci, aggiornarci ed educare partendo e giungendo a questa considerazione che e’ l’unica che ha valore (al di là delle formule espressive artistiche singole che non possono, per se stesse, che essere tutte diverse una dall’altra): ma dov’è la parola? Per non trovarci a dire, tristemente, alle volte: Dov’e’ finita la parola?

Insegniamo ai fedeli dell’assemblea quanto sia importante che cantino veramente ed insieme – non facendo finta, come fossero o vergognati o troppo raffinati – perché è in virtù del sacerdozio universale, che abbiamo ricevuto nel battesimo, che siamo stati fatti popolo di sacerdoti, re e profeti.

La Chiesa ci invita a Proclamare la Parola. Cogliamo questo dono come il pegno più vicino a ciò che, per Misericordia di Dio, ci attenderà nell’eternità: cantare lode e gloria all’Agnello.

(Sintesi della conversazione, tenuta al Serra Club Sanremo, di Davide Tepasso, Maestro di Cappella della Diocesi di Ventimiglia - San Remo)

Luglio-Dicembre 2019

37

dai club e distretti

Aversa 1002

Fede e cultura: il viaggio in Terrasanta Un percorso che, almeno una volta nella vita, ogni cristiano dovrebbe compiere! La nostra fede ha radici antichissime, attestate dalla storia che nell’Anno Zero colloca la nascita di un bimbo bello che ha compiuto la più grande rivoluzione umana.

L’itinerario da Nazareth a Gerusalemme, attraverso i luoghi di Gesù, è stato fatto a luglio (24-31) dai soci del Serra club Aversa , guidati dal Cappellano Mons. Stefano Rega , insieme alle famiglie serrane. Un anno sociale, iniziato con il pellegrinaggio a Lourdes (ottobre) che a buon diritto doveva chiudersi con il pellegrinaggio in Terrasanta, per un ideale quanto sentito cammino religioso compiuto. La convivenza in un viaggio è speciale, per ore e giorni si condividono le bellezze dei luoghi, la preghiera comunitaria con le storie personali di ciascuno: siamo pellegrini su questa terra, di più ancora se uniti dal bisogno di arricchire la propria fede, tenendosi per mano. Molto profondo è il sentimento umano con cui calcando i passi di Gesù si rientra nella sua grande umanità, con la fatica di procedere in un contesto avverso, tra le incredulità dei suoi amici, con i rischi derivanti dal potere politico. Poteva un uomo solo, disarmato gridare a gran voce la volontà del Padre Celeste, minando la legge dei governatori romani, degli scribi? Poteva un uomo solo, disarmato contravvenire alla morale meschina del tempo abbracciando gli umili, gli scartati fino al martirio ed al Calvario? Sostando nell’Orto degli Ulivi, sulla pietra del Getsemani, il cuore si scioglie in emozioni fortissime: chi di noi non ha provato la solitudine dell’incomprensione, il vuoto interiore causato dall’allontanamento dei falsi amici, ipocriti per convenienza? Questa storia di Amore appassionato non è una favola e nemmeno la costruzione artificiosa di un pensiero lobbistico, ma la Verità, l’unica Verità del nostro Credo. A quanti ancora mettono in dubbio l’ esistenza di un uomo chiamato Gesù, sarebbe utile far toccare con mano quella pietra livida del Sepolcro, quel Calvario che è anche un luogo dell’anima, una croce fissa nella carne. La nostra tiepida fede, che richiede il costante studio

VIgevano 1105

Spiritualità e corporeità Come coniugare spiritualità e corporeità? Il Serra Club Vigevano Lomellina venerdì, 4 ottobre, ha accolto Maria Pia Ghielmi, docente di teologia spirituale alla Facoltà Teologica di Milano, per arrivare al cuore di questa questione a lungo dibattuta nella storia. Alla presenza degli insegnanti di religione e appartenenti ad associazioni cattoliche, gli amici del club hanno fatto tesoro di tanta sapienza. Che cos’è la spiritualità se non la ricerca di una vita cristiana autentica secondo la carità? Il vero credente mette Dio al centro di tutte le dimensioni della propria esistenza e sta vicino agli altri come Cristo lo è stato. La carità è l’autenticità stessa del donarsi; è la compenetrazione tra due amori, a Dio e agli altri, ma amando COME Gesù. E’ il “come Lui” che fa la differenza.

Sulla corporeità, nella storia si sono intrecciate due sensibilità diverse: l’una legata alla tradizione cristiana, che vede il corpo come buono perché creato da Dio; l’altra legata alla visione dualistica del platonismo, neoplatonismo e cartesianesimo, per cui il corpo va dominato, tenuto a bada, per esser messo al servizio dell’anima. L’incarnazione di Gesù ribalta la visione greca della trascendenza e la teologia contemporanea recupera la totalità dell’uomo dicendo che tutto l’uomo è spirituale.

Camminiamo verso Dio con i nostri vissuti, colti nella loro integralità.

Il problema è come integrare la corporeità nell’esperienza spirituale.

Le neuroscienze ci permettono di capire che lo sviluppo della coscienza di sé, degli altri e del mondo, è strettamente legato alla consapevolezza del corpo. La presa di coscienza di sé del neonato è legata alla relazione faccia a faccia con la mamma.

Potremmo dire che anche Dio abbia voluto rivelarci il suo volto in Cristo. Dio è venuto a toccarci con mani di carne e ha voluto incontrarci in Cristo. L’etimologia latina della parola “carità” rimanda ad una radice (carus) comune alla stessa parola “carezza”. Gesù stesso ha sperimentato il contatto fisico: si è lasciato toccare anche da persone impure; ha accettato il bacio di

38

il serrano n. 147

dai club e distretti dei testi sacri, trova nel pellegrinaggio in Terrasanta una buona cura rigenerante, un bagno di umiltà, un rinnovato ripasso geografico, etico, antropologico della nostra condizione di cristiani, credenti sempre in equilibrio precario tra obbedienza e disobbedienza, fedeltà e varie infedeltà, tra un bisogno ardente di abbraccio misericordioso ed una assai comoda “religione fai da te”! Sulle rive del Giordano, noi amici del Serra club Aversa abbiamo rinnovato le promesse battesimali, pronunciando l’Eccomi!

Credo sia fondamentale per ognuno l’arricchimento spirituale che è l’origine e la sorgente dell’impegno associativo, senza il quale si discute di cose, fatti, regole che tolgono respiro all’Anima…che invece va nutrita, riscaldata, rassicurata come bene prezioso e duraturo nel tempo, oltre il tempo. Stare nei luoghi della fede, sostare in raccoglimento è la cornice giusta per rinsaldare i legami umani, rendere l’amicizia tra persone non occasionale ed episodica ma fondata su contigui valori di scambievole fraternità, così come è accaduto nel nostro pellegrinaggio, in cui si è appreso di storie personali che in altri posti non sarebbero state mai condivise! Il viaggio fisico è quel che si vede, il viaggio dell’anima è quel che si sente…..nella dolcezza di una notte a Gerusalemme, tante stelle hanno brillato di più!

Soci del Club di Aversa in pellegrinaggio

Maria Luisa Coppola Presidente Club di Aversa Past Presidente Nazionale

Giuda; ha annunciato il regno mangiando e bevendo, anche alla tavola di peccatori. La croce sembra un grande abbraccio; la resurrezione è un corpo di vita nuova; l’eucarestia è un corpo che si dona a noi in un pezzo di pane, capace di sfamarci.

Oggi il sapere non è più inteso come qualcosa di meramente razionale ma il sapere del corpo acquisisce un ruolo riconosciuto come fondamentale nella conoscenza; le sensazioni, le emozioni e i sentimenti rimandano ad un pensare del corpo, permeabile ad un’altra saggezza. La tradizione intellettualistica era basata sulla razionalità astratta, tipica del mondo maschile; le donne hanno elaborato un pensiero connesso, partecipativo, capace di intuizione empatica.

Ad imitazione di San Francesco d’Assisi, affinando i sensi, possiamo elaborare una nuova visione del mondo e cogliere Dio come respiro della creazione. Francesco vede la bellezza delle cose e, in queste, l’amore di Dio che gli viene incontro. Anche gli apostoli hanno visto Gesù nella carne ma, con gli occhi spirituali, hanno guardato più a fondo, riconoscendo in Lui il figlio di Dio. Così noi, con gli occhi spirituali, siamo chiamati a riconoscere, nel pane e nel vino, il corpo e sangue di Cristo. Si tratta di avere uno sguardo guidato dallo Spirito. Si tratta di fare un cammino individualissimo di armonizzazione personale, curando le relazioni e arrivando ad una profonda fedeltà a noi stessi nelle situazioni concrete in cui ci troviamo. La pienezza del darci nella vita quotidiana si coniuga con la ricerca della nostra salute fisica, psicologica ma anche con la capacità di discernere ogni situazione alla luce della Verità. È la qualità di quello che noi siamo a renderci uomini e donne spirituali. “Il mio corpo sono io”, diceva Elizabeth Wendel…ed io, in quanto cristiano, vengo dallo Spirito nell’integralità del mio essere; nell’unicità del mio modo di amare, di ragionare, di comportarmi, di decidere, di scegliere Maria Pia Ghielmi, teologa, e di volere, sono MEMORIA di CRISTO in questo tempo e per questo tempo! con il Vescovo di Vigevano Mons. Gervasoni L. M. Zini

Luglio-Dicembre 2019

39

ALLA CHIESA CATTOLICA PER LA RIPARTIZIONE DELLE RISORSE: www.8xmille.it

5X1000 ALLA NOSTRA FONDAZIONE BEATO JUNIPERO SERRA

ti chiediamo di confermare la tua firma anche nel 2014 per sovvenire a necessità di seminari e seminaristi (non dimenticare il codice fiscale della Fondazione qui di seguito riportato)

9 5 0 1 8 8 7 0 1 0 5