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Gerolamo Giovenone, la sua famiglia e il suo contesto

SIMONE BAIOCCO

Nel prendere in esame la famiglia di Gerolamo Giovenone, ci troviamo di fronte a diverse generazioni di artisti che hanno avuto un ruolo importante, per oltre un secolo, nelle vicende fi gurative vercellesi; la lunga tradizione di studi che li riguarda ha potuto basarsi su una ricca messe di dati documentari 1 e al contempo un buon numero di opere, tra le quale va citata come una straordinaria particolarità la serie dei cartoni custodita presso la Accademia Albertina, di cui tratta l’intervento in questo volume di Enrico Zanellati. La documentazione notarile evidenzia i loro legami con Gaudenzio Ferrari, con Eusebio Ferrari e con le altre principali famiglie di artisti vercellesi del Cinquecento, i Lanino e gli Oldoni. I primi componenti noti della famiglia Giovenone risultano stabilmente insediati a Vercelli, nonostante siano spesso indicati nei documenti con un riferimento alla loro provenienza da Barengo o, più genericamente, da Novara (dunque dal ducato milanese). In occasione delle trattative intercorse nel 1508 tra la locale confraternita di Sant’Anna e il pittore valsesiano Gaudenzio Ferrari per la realizzazione di un polittico, vi è notizia di un pagamento destinato al maestro di legname Amedeo e al fi glio Giovanni Pietro per la realizzazione della carpenteria dell’opera; nel documento entrambi sono detti abitanti a Vercelli e si fa cenno all’esistenza, in città, di una loro bottega 2 . Non è fi nora stato possibile ricostruire la carriera di Amedeo Giovenone attraverso opere da lui con certezza realizzate; sappiamo però che il suo testamento (30 luglio 1524) dà il segno della continuità della bottega familiare in quanto egli disponeva di lasciare i suoi attrezzi da carpentiere ai fi gli Giovanni Pietro e a Giuseppe, insieme a quattro ancone da lui costruite; una di queste, però, fu data a Gerolamo, il fi glio che già da anni aveva una bottega sua 3 . Un importante documento del 23 maggio 1519 chiama in causa insieme i tre fi gli di Amedeo, defi nendoli genericamente “pinctores”. In esso, il vicario generale della curia vercellese Giovanni Battista Avogadro di Valdengo commissionava alla bottega dei Giovenone due pale: una per San Marco e una per la cattedrale di Sant’Eusebio. Tali opere non sono state identifi cate, ma l’importanza dell’incarico risulta sancire il ruolo preminente che la bottega dei Giovenone poteva vantare già a quelle date 4 . Mentre Gerolamo è un protagonista della pittura rinascimentale vercellese, con un’attività abbastanza ben documentata, minori notizie abbiamo intorno a Giuseppe, che non era ancora maggiorenne nel 1519, e su Giovanni Pietro. Questi è sempre citato nei documenti come “carpentarius” o “lignamarius”, in quanto segue la specializzazione professionale del padre. Molto più tardi, altri documenti ricordano la commissione a lui affi - data per la costruzione di una ancona destinata alla chiesa vercellese di San Francesco (con lo Sposalizio mistico di santa Caterina, ora al Museo Borgogna di Vercelli). Il documento fa riferimento, come modello, alla pala con il medesimo soggetto di Gaudenzio Ferrari (Novara, cattedrale), ripreso fedelmente dal fi glio di Giovanni Pietro, Giovanni Battista, cui si affi dò la parte pittorica e che fi rma il dipinto. Della sua carriera (morì nel 1573) si conosce qualche altro esempio, come il Martirio di sant’Agata della parrocchiale di Trivero (BI), fi rmato insieme a Francesco da Gattinara 5 . Il minore dei tre fi gli di Amedeo, Giuseppe Giovenone, fu invece indirizzato a completare la propria preparazione artistica al di fuori della bottega familiare e, quasi naturalmente, la scelta del maestro cui affi darsi puntò verso Gaudenzio Ferrari, l’artista ‘forestiero’, proveniente dalla Valsesia, e dunque dal ducato di Milano, che lo accolse come collaboratore con un contratto del 9 gennaio 1521; sappiamo che il rapporto di discepolato si trasformò in seguito in lunga collaborazione, soprattutto quando Gaudenzio si trasferì a Milano 6 . Ad esempio, in occasione dei lavori nel duomo di Vigevano (1534-1537) ripetuti pa-

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gamenti toccarono a “Giuseppe da Vercelli”, addetto a interventi di fi nitura e di doratura; ancora dopo la morte del maestro, Giuseppe Giovenone, insieme a un altro collaboratore di Gaudenzio, Giovanni Battista Della Cerva, affi ttò alcuni immobili adiacenti alla chiesa di Santa Caterina presso San Nazario 7 . Tre dei fi gli di Gerolamo Giovenone hanno avuto a loro volta una attività artistica, ma tra loro solo Giuseppe (detto ‘il Giovane’, per non confonderlo con lo zio) ha un percorso autonomo e riconosciuto dalla critica. Egli fu anche attento a rivendicare e a custodire i disegni che costituivano l’irrinunciabile patrimonio grafi co tramandato dalla famiglia, come si legge in un documento del 27 gennaio 1583 con cui, davanti al notaio, si giungeva alla divisione dei beni lasciati dal padre Gerolamo tra Giuseppe, Amedeo e Paolo Giovenone. Giuseppe si riservò la parte più cospicua in quanto “fratello magiore et più esperto nel arte et col industria sua ha guadagnato la magior parte delle facoltà delle quali esso messer Paolo chiede la divisione […]”. Egli volle anche “i dissegni di loro arte”, “facendosi però la dovuta descritione di quelli et inventaro et di quali nondimeno ciascun d’essi fratelli etiamdio durante la vitta d’esso messer Giuseppe se ne possi ad ogni richiesta prevalere ed aggiutarsi … et fi nita la morte d’esso messer Giuseppe […] s’abbiano detti dissegni a partire fra detti messer Amadeo e messer Paulo se saranno tra vivi, altramente tra luoro heredi per metà ciascuno et per stirpe” 8 . All’interno di questo gruppo familiare, un ruolo speciale lo ha, come si è detto, Gerolamo Giovenone, nato probabilmente intorno al 1485-1490, che inizia la sua carriera, secondo quanto è stato possibile ricostruire, nell’orbita del maestro casalese Giovanni Martino Spanzotti, che i documenti notarili ci dicono soggiornare a più riprese, tra il 1481 e il 1494, proprio a Vercelli. Quello del rapporto con Spanzotti, e poi con Defendente Ferrari, è uno snodo tuttora piuttosto problematico, entro il quale si collocano opere in cui si sospetta una collaborazione, nello stesso modo in cui il maestro casalese e Defendente collaborano per la pala dei Calzolai del duomo di Torino. Tracce della collaborazione tra i due maestri più giovani sono state individuate in alcune opere dei primi anni del Cinquecento, tra le quali il trittico francescano proveniente da Santa Maria degli Angeli a Cuneo e ora al Museo Borgogna di Vercelli, nel quale è agevole riconoscere la mano di Gerolamo soprattutto nella tavola centrale e nel laterale destro, mentre il sinistro ha una conduzione tecnica e stilistica più tipicamente defendentesca 9 (fi g. 2 a p. 47). Rimane comunque incerta la possibilità che Giovenone si potesse essere spostato da Vercelli al seguito del maestro casalese; una ipotesi di ricostruzione cronologica di questi eventi può forse appoggiarsi alla data del 1507 e in particolare alla lettera scritta da Spanzotti al duca di Savoia a proposito della replica della Madonna d’Orléans di Raffaello: la lettera è datata da Chivasso il 25 ottobre di quell’anno, ed è ormai abbastanza chiaro che anche Giovenone fu coinvolto nella vicenda, accanto al maestro. Si tratta dell’episodio, che tanti anni dopo, riguarda anche l’opera Madonna col Bambino (fi g. 7) esposta in mostra 10 . Un secondo episodio permette poi di verifi care la conoscenza diretta che Giovenone aveva dei materiali intorno ai quali si discuteva nella bottega di Spanzotti e di Defendente. In questo caso bisogna porre a confronto la Disputa al tempio del Museo Civico di Torino — di Defendente, ma ancora molto vicina al caposcuola — e la copia che ne viene tratta da Giovenone nel 1513, nella tavola fi rmata e datata che si trova ora al Cummer Museum of Art di Jacksonville (Florida) 11 (fi gg. 1-2). Al di là di tali prove, che spingono a rilevare soprattutto la dipendenza dal contesto spanzottiano-defendentesco nelle fasi iniziali della carriera di Giovenone, almeno un’opera sicuramente datata e ormai stabilmente a lui attribuita indica la maturazione del suo stile in termini autonomi. Mi riferisco alle due tavole laterali del polittico Meschiati per la chiesa di San Domenico a Biella (ora al Castello Sforzesco di Milano), che insieme ai ritratti dei donatori raffi gurano l’una San Defendente e santa Apollonia, l’altra le Sante Dorotea e Lucia; al centro del polittico, che il recupero di una fonte seicentesca ha permesso di datare al 1508, si trovava una Assunta, che non è stata identifi cata 12 .

1 Defendente Ferrari Disputa al tempio. Torino, Museo Civico

2 Gerolamo Giovenone Disputa al tempio (Cristo fra i dottori). Jacksonville (Florida), Cummer Museum of Art

A distanza di qualche anno dalle tavole milanesi, la pala a spazio unitario della collezione Johnson di Filadelfi a mostra ancora un carattere freddo e angoloso di ispirazione defendentesca 13 , e costituisce un buon termine di paragone per valutare tutta la crescita che porta il maestro vercellese a fi rmare nel 1514 la pala ora nella Galleria Sabauda a Torino, ma in origine destinata alla cappella di Sant’Abbondio in San Paolo a Vercelli, di patronato della famiglia del referendario ducale Domenico Buronzo (fi g. 3). Pur con un impianto architettonico costruito secondo un modello aulico (caro anche a Defendente), la pala Buronzo mostra segni di un più cordiale naturalismo, che pare corrispondere a una reazione alla comparsa sul panorama vercellese di Gaudenzio Ferrari. Dello stesso anno della pala Buronzo, secondo un’iscrizione letta nel Settecento, è l’Adorazione del Bambino in una stalla con i santi Nicola da Tolentino ed Eusebio (fi g. 1 a p. 46), giunta in deposito al Museo Borgogna dalla chiesa di San Bernardino ma in origine pertinente alla confraternita dedicata a san Nicola da Tolentino; un’opera attribuita a Gerolamo già da Berenson e riferita da Viale, che ancora non conosceva il riferimento documentario, proprio a questa fase del pittore 14 . Poco dopo il 1514 si deve collocare anche il trittico con la Adorazione del Bambino tra i santi Michele arcangelo e Gerolamo (fi g. 5 a p. 50), sempre al Borgogna, ancora molto vicino alla pala conservata nello stesso museo. Di fronte a quest’opera, risulta chiaro che Gerolamo sembra volersi aggiornare su quanto andava facendo Gaudenzio Ferrari: come ha fatto notare Romano, l’atteggiamento della Vergine adorante nel trittico richiama direttamente il modello gaudenziano del registro superiore del polittico di San Gaudenzio a Novara, con le mani aperte incrociate sul petto 15 . Le suggestioni stilistiche e le derivazioni tipologiche da opere di Gaudenzio si moltiplicano dunque a partire da questo momento, ed è un periodo nel quale diversi riferimenti documentari ci permettono di vedere Gaudenzio a stretto contatto

3 Gerolamo Giovenone Madonna in trono col Bambino fra i santi Abbondio e Domenico, la committente Ludovica Buronzo e i suoi fi gli. Torino, Galleria Sabauda

4 Gerolamo Giovenone Madonna col Bambino e due sante. Nashville, Vanderbilt University, Fine Arts Gallery

con la famiglia Giovenone. Assistiamo a una vera e propria svolta stilistica compiuta su sollecitazione dei capolavori del maestro, e riconosciamo la persistenza di alcune tipologie, che evidentemente circolavano a Vercelli anche grazie alla pratica disegnativa. Uno degli schemi compositivi e iconografi ci replicati in più occasioni da Giovenone è quello della Madonna col Bambino che compare sia nella pala di San Lorenzo a Mortara (cui conviene la datazione tradizionale intorno al 1524, legata alla presenza dei santi tipicamente invocati in periodi di pestilenza), sia nel trittico della Accademia Carrara di Bergamo fi rmato e datato 1527, sia nella Madonna col Bambino e due sante presso la

Vanderbilt Univeristy di Nashville, da porre in stretta contiguità con l’opera precedente 16 (fi g. 4). Il disegno riutilizzato da Gerolamo, che mette in moto un rapporto spigliato e affettuoso tra la Vergine e il Figlio, si deve far risalire a Gaudenzio (anche se non lo riconosciamo tra le opere conservate), in quanto lo stesso pittore valsesiano lo reinterpretò più tardi, nella pala per Santa Maria di Piazza a Casale, ora alla Galleria Sabauda di Torino 17 . Un’opera come il polittico di San Silano a Romagnano Sesia di Gaudenzio, concluso entro il 1525 18 , costituisce una premessa alla nuova sensibilità dimostrata da Giovenone nella pala di Mortara, ma ancor più chiare nel riproporre la relazio

ne sono alcune derivazioni tipologiche che compaiono, molto chiaramente, ad esempio nel polittico della parrocchiale di Sant’Agata a Santhià. Questo impegnativo polittico costituisce un punto di riferimento cronologico importante nel catalogo del pittore, in quanto conserva traccia di una datazione al 1531 che, seppure non documentabile con assoluta certezza, conferma quanto rivelato dall’analisi dello stile 19 . La Madonna col Bambino al centro del registro inferiore ricalca infatti direttamente, senza imbarazzi, la tavola che costituiva l’elemento centrale del polittico di Romagnano (Isola Bella, collezione Borromeo). Rimanda a un pensiero del maestro valsesiano anche la Sant’Agata del registro superiore che appare strettamente derivata, soprattutto per quanto riguarda il gioco del panneggio che avvolge le gambe, da un disegno di Gaudenzio custodito alla National Gallery of Ireland di Dublino 20 . Accanto al polittico di Santhià, con lo stesso tipo di derivazioni gaudenziane, si colloca il trittico della Madonna del Rosario di Gattinara, un’opera attualmente collocata entro la complessa e più tarda struttura dell’altare, e che fi n dall’origine spettava all’altare maggiore della confraternita che tuttora la ospita 21 (fi g. 5). Il gruppo centrale del trittico, con la Madonna col Bambino, si collega al citato disegno di Gaudenzio e, nel comune riferimento a esso, il movimento del panneggio ci appare coincidente con quello visto nella Sant’Agata di Santhià. Nel caso della tavola centrale, è possibile riconoscere le scelte del pittore già tutte compiute nel cartone preparatorio, come si è detto vincolato al modello gaudenziano, che fortunatamente si è conservato nella preziosa raccolta della Accademia Albertina (n. 336). Ma anche un altro disegno mostra un collegamento con il trittico. Si tratta del n. 349 della stessa raccolta, raffi gurante un San Giovanni evangelista che, come ha puntualmente evidenziato Silvia Ghisotti, non è da considerare preparatorio ma derivato dal santo del pannello laterale sinistro, in quanto ne rielabora l’impostazione: nell’ambito del persistente apprezzamento di un repertorio gaudenziano condiviso ormai tra la bottega di Giovenone e Lanino, questo cartone va senz’altro datato ad anni più avanzati 22 (fi g. 6 a p. 87). A rafforzare le ipotesi di datazione del gruppo di opere ora discusse viene la vicinanza con una pala raffi gurante la Madonna col Bambino e i santi Giulio d’Orta e Giuseppe, datata 1533. Il dipinto, ora in Galleria Sabauda, (fi g. 4 a p. 30) proviene in origine dalla parrocchiale di San Germano Vercellese, dove era stato commissionato dalla “societas muratorum” che volle anche l’iscrizione alla base del trono. Anche in questo caso, la stretta relazione con Gaudenzio è denunciata dalla fi sionomia della Vergine perfettamente coincidente con quelle di Santhià e Gattinara 23 . A partire dai primi anni trenta, la realtà pittorica vercellese dominata dai Giovenone deve fare i conti con l’esordio di Bernardino Lanino, il giovane che diventerà ben presto consapevole e prolifi co divulgatore della poetica gaudenziana stimolando a un confronto, come vedremo, lo stesso Gerolamo 24 . La cronologia dettata dai documenti che lo riguardano, a partire dal contratto di apprendistato con il poco noto Baldassarre de Cadighis di Abbiategrasso (1528), chiarisce che il suo affacciarsi alla scena artistica cittadina coincide con gli anni in cui Gaudenzio realizza la pala degli Aranci e gli affreschi di San Cristoforo, determinando naturalmente una svolta e la conseguente decisione

5 Gerolamo Giovenone Trittico della Madonna del Rosario. Gattinara, chiesa di Santa Maria del Rosario

6 Gerolamo Giovenone e bottega, Madonna col Bambino e santi. Milano, Pinacoteca di Brera

di abbracciare la causa gaudenziana. Il rapporto di discepolato con de Cadighis doveva dunque essere durato molto poco: l’unica opera cui si può fare riferimento per verifi care i primissimi anni di attività di Lanino, gli affreschi in Santa Caterina a Lavino di Cossato, mostrano infatti un puntuale aggiornamento su quanto stava avvenendo nel consolidato rapporto tra la bottega vercellese di Gerolamo Giovenone e Gaudenzio Ferrari: ne sono prova i tipi facciali delle fi gure di anziani barbuti, già divulgati a più riprese da Giovenone, ma anche precise desunzioni che coinvolgono i due santi che affi ancano l’Eterno nella volta del catino absidale: il San Giovanni Battista recupera una tipologia iconografi ca che si ritrova in due importanti commissioni espletate pochi anni prima da Gaudenzio per Romagnano Sesia e per Gattinara; il San Protasio, invece, ricalca un cartone realizzato da Giovenone per dipingere lo stesso soggetto su una delle tavole laterali del trittico dei confratelli di Sant’Ambrogio 25 . D’altro canto, che il giovane Lanino si fosse inserito nel contesto dei rapporti personali tra Gaudenzio e famiglia Giovenone emerge per via documentaria fi n dal 1530, anno in cui è teste in un documento di affari che coinvolge Gaudenzio e suo fi glio Gerolamo, mentre successivamente vi sono varie attestazioni della sua presenza in casa Giovenone, anche prima del matrimonio con Dorotea, che sancisce nel 1540 il suo ingresso nella famiglia 26 . Il maestro più giovane raggiunge molto presto riconoscimenti importanti, ottenendo commissioni per affreschi a Vercelli e un tempestivo coinvolgimento nel cantiere varallese del Sacro Monte, oltre che un apprezzamento presso famiglie eminenti tra vercellese e biellese, come i Gromo e i Ferrero 27 . Si collocano in questo primo periodo della sua autonoma attività la pala commissionata nel 1534 dalla comunità di Ternengo per la locale chiesa di Sant’Eusebio (ora alla Galleria Sabauda) e il vertice straordinario della pala fi rmata e datata 1539 per la parrocchiale di Borgosesia. Due spunti per comprendere la fase tarda di Gerolamo Giovenone sono suggeriti da altrettante opere di cui conosciamo la provenienza originaria. La prima – la Madonna col Bambino, santi e un committente nel duomo di Biella, che era fi rmata e datata 1538 – era destinata all’altare della famiglia Frichignono nella chiesa di San Domenico di quella città; si tratta di un’opera molto importante per chiarire il rapporto tra Gerolamo Giovenone e il giovane Bernardino Lanino, e che sembra già indicare quella linea di placida compunzione devota

7 Gerolamo Giovenone Madonna col Bambino (copia da Raffaello) circa 1535-1540 tempera grassa su tavola 50,5 × 37,5 cm. Torino, Palazzo Madama - Museo Civico d’Arte Antica, inv. 627

8 Gerolamo Giovenone Madonna col Bambino. Torino, collezione privata

9 Gerolamo Giovenone Madonna col Bambino. Baltimora, The Walters Art Museum

10 Defendente Ferrari, Madonna col Bambino. Amsterdam, Rijksmuseum

su cui si orienterà Giuseppe il Giovane 28 . La seconda opera è la pala proveniente da Santa Maria delle Grazie di Novara, e oggi alla Pinacoteca di Brera a Milano 29 (fi g. 6). Questa mostra un rapporto che è ormai di concreta dipendenza da una pala di Lanino, quella datata 1543 per la cappella di patronato Strata in San Paolo a Vercelli (ora alla National Gallery di Londra 30 ); la pala novarese è ben diffi cilmente riconducibile alla diretta autografi a di Gerolamo ma mostra quanto la bottega (con ogni probabilità vi sono già attivi i suoi fi gli) fosse in grado di mantenere un elevato livello qualitativo. Alla fase tarda della produzione di Gerolamo Giovenone appartiene anche la Madonna col Bambino esposta in mostra (fi g. 7), che il Museo Civico d’Arte Antica di Torino ha avuto l’opportunità di acquisire nel 2006, e che è dunque una, forse la più tarda, tra le varie repliche piemontesi della Madonna d’Orléans di Raffaello (opera custodita al Musée Condé di Chantilly). Come già ricostruito, a partire dalle importanti acquisizioni documentarie di Alessandro Baudi di Vesme, il riferimento è a una lettera scritta da Spanzotti al duca di Savoia Carlo II, da Chivasso, il 25 ottobre 1507, con la quale inviava “[…] il tabuleto con la ymagine de la Madona supra picto ala similitudine di quella fi orentina che V. S.ria. me remise in le mane, la quale sta apreso di me iusta il mandato di Vostra Signoria”. L’artista, orgogliosamente, esaltava la qualità della copia al punto di porsi al di là dell’originale raffaellesco: “Credo che V. S.ria trovera questa ve mando equale et in qualche parte di meglo de laltra” 31 . Sono note diverse repliche del dipinto, eseguite all’interno della bottega di Spanzotti entro la quale collaboravano, come si è visto, anche Defendente e Giovenone, ma nessuna di queste è riconducibile alla mano del maestro casalese 32 . Tra queste, forse la più antica si trova in una collezione privata torinese ed è dipinta da Giovenone in una fase di esordio della sua carriera, tanto che si è ipotizzato potesse corrispondere alla copia eseguita nella bottega di Spanzotti, di cui parla la lettera 33 (fi g. 8); di poco successiva si può considerare la versione oggi custodita al Walters Art Museum di Baltimora, resa nota da Federico Zeri 34 (fi g. 9). Il fatto interessante è però che il fascino del modello raffaellesco è stato presente a lungo presso gli artisti piemontesi: uno degli esemplari, quello di Defendente oggi al Rijksmuseum di Amsterdam, è datato 1526 35 (fi g. 10). L’opera in esame, senza dubbio da attribuire a Giovenone, va collocata alla fi ne degli anni trenta anche per il modo in cui si allontana ormai da opere sicuramente datate come le già citate pale per San Germano Vercellese (1535) e per la famiglia Frichignono nel duomo di Biella (1538). Rispetto a questi esempi, sempre con la attenzione a tentare di emulare la stesura vibrante e fi liforme di Gaudenzio, Giovenone mostra nella nostra tavola soluzioni luministiche di particolare modernità.

1 G. Colombo, Documenti e notizie intorno agli artisti vercellesi, Vercelli 1883; A. Baudi di Vesme, Schede Vesme. L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, vol. IV, Torino 1982, pp. 1333-1364; S. Baiocco, voci in Dizionario Biografi co degli Italiani, vol. LVI, Roma 2001: Giovenone, famiglia (pp. 410-412); Giovenone, Gerolamo (pp. 412-415); Giovenone, Giuseppe (pp. 415-417). 2 Baudi di Vesme, Schede Vesme cit., pp. 1293-1294; G. Romano, Pittori in bottega: Gaudenzio Ferrari tra avanguardia e tradizione, in Fermo Stella e Sperindio Cagnoli seguaci di Gaudenzio Ferrari. Una bottega d’arte nel Cinquecento padano, a cura di G. Romano, catalogo della mostra (Bergamo, Museo Bernareggi, 29 settembre - 17 dicembre 2006), Cinisello Balsamo 2006, pp. 11-21 (il medesimo testo, con aggiornamenti e note, è poi comparso in Pratiche del disegno in Piemonte Liguria e Provenza [secoli XV e XVI], Torino 2008, pp. 79-108). 3 G.B. Morandi, I Giovenone (Notizie e documenti), in “Archivio della Società Vercellese di Storia e d’Arte”, II, 4, 1910, pp. 278-291 (in particolare pp. 283-288). 4 G. Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari e gli inizi di Bernardino Lanino. Testimonianze d’archivio e documenti fi gurativi, in G. Romano (a cura di), Bernardino Lanino e il Cinquecento a Vercelli, Torino 1986, pp. 14-62: p. 31. 5 S. Ghisotti, in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola. I cartoni cinquecenteschi dell’Accademia Albertina, a cura di G. Romano, catalogo della mostra (Torino, Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, 22 marzo - 30 maggio 1982), Torino 1982, scheda a p. 123. 6 Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari cit., p. 38; R. Sacchi, Gaudenzio a Milano, Milano 2015. 7 Baudi di Vesme, Schede Vesme cit., pp. 1343-1344. 8 Ivi, pp. 1350-1351. 9 P. Manchinu, in Napoleone e il Piemonte. Capolavori ritrovati, a cura di B. Ciliento con M. Caldera, catalogo della mostra (Alba, Fondazione Ferrero, 29 ottobre 2005 - 27 febbraio 2007), Savigliano 2005, pp. 210-211, n. 32. Di quest’opera parla anche l’intervento di Paola Manchinu in questo volume. 10 Per il riepilogo della questione delle varie repliche piemontesi dal prototipo raffaellesco, con la bibliografi a relativa, rinvio a S. Baiocco, Una Madonna di Gerolamo Giovenone, in “Palazzo Madama. Studi e notizie”, I, 0, 2010, pp. 143-149. 11 S. Baiocco, Girolamo Giovenone, in Gaudenzio Ferrari e Girolamo Giovenone: un avvio e un percorso, Torino 2004, p. 174 (con la bibliografi a precedente). 12 Si veda M.T. Fiorio, in Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco. Pinacoteca, t. I, Milano 1997, p. 315, nn. 215-216. 13 B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Oxford 1932, p. 188 (dove l’opera è ancora attribuita a Defendente); G. Romano, Casalesi del Cinquecento. L'avvento del Manierismo in una città padana, Torino 1970, p. 20 in nota. 14 Berenson, Italian Pictures of the Renaissance cit., p. 252; V. Viale, Gotico e Rinascimento in Piemonte, catalogo della mostra (Torino, Museo Nazionale del Risorgimento), Torino 1939, pp. 114-115; Anna Maria Brizio aveva invece mantenuto la pala nell’elenco delle opere di Defendente (A.M. Brizio, La pittura in Piemonte dall’età romanica al Cinquecento, Torino 1942, p. 220). 15 Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari cit., p. 29. 16 Per i riferimenti alle singole opere, rinvio a Baiocco, Girolamo Giovenone cit. 17 Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari cit., p. 34. 18 F.M. Ferro, in Napoleone e il Piemonte cit., pp. 224-227, n. 38; M. Caldera, Gaudenzio Ferrari fi no al 1528, in Fermo Stella e Sperindio Cagnoli cit., pp. 23-37. 19 Per il problema della datazione: S. Baiocco, Gerolamo Giovenone e il trittico di Gattinara, in D. Sanguineti (a cura di), Gerolamo Giovenone in Santa Maria del Rosario a Gattinara. Il restauro del trittico e del suo contesto, Genova 2003, pp. 11-21 (in particolare la nota 17 a p. 20). 20 Casalesi del Cinquecento cit., p. 19; M. di Macco, in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola cit., pp. 101-103. 21 Sanguineti (a cura di), Gerolamo Giovenone cit. 22 S. Ghisotti, in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola cit., pp. 111-113. 23 Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari cit., p. 40, nota 32. 24 Cfr. ivi, pp. 43-62; P. Astrua e L. D’Agostino, Bernardino Lanino maestro a Vercelli: opere e committenti, in G. Romano (a cura di), Bernardino Lanino cit., pp. 61-120. 25 S. Ghisotti, in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola cit., pp. 104-107, nn. 10-11. 26 Per il documento del 12 luglio 1530: Baudi di Vesme, Schede Vesme cit., p. 1390; per i rapporti con Giovenone entro il 1540, faccio riferimento a documenti del 9 giugno 1534 e del 23 novembre 1535 (Baudi di Vesme, Schede Vesme cit., pp. 1240 e 1341), commentati anche da Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari cit., p. 59. 27 Astrua, D’Agostino Bernardino Lanino maestro a Vercelli cit.; V. Natale, Committenze e artisti a Biella nella prima metà del secolo, in Arti fi gurative a Biella e a Vercelli. Il Cinquecento, a cura di V. Natale, Biella 2003, pp. 21-54 (in particolare pp. 47-48). 28 Astrua, D’Agostino Bernardino Lanino maestro a Vercelli cit., p. 80 29 S. Baiocco, Botteghe vercellesi del rinascimento, in Brera mai vista. Due momenti di Gerolamo Giovenone, a cura di C. Quattrini, catalogo della mostra (Milano, Pinacoteca di Brera, sala XXXI, 15 dicembre 2011 - 18 marzo 2012), Milano 2011, pp. 11-33. 30 Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari e gli inizi di Bernardino Lanino cit., p. 61. 31 A. Baudi di Vesme, Nuove informazioni intorno al pittore Martino Spanzotti, in “Atti della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti”, IX, 1920, pp. 1-25 (in particolare pp. 12-15). 32 G. Romano (a cura di), Spanzotti, Macrino e una Madonna fortunata, catalogo della mostra (Torino, Galleria Antichi Maestri Pittori, 15 marzo - 6 maggio 2002), Torino 2002, pp. 8-9. 33 S. Baiocco, in Corti e Città. Arte del Quattrocento nelle Alpi occidentali, a cura di E. Pagella, E. Rossetti Brezzi, E. Castelnuovo, catalogo della mostra (Torino, 7 febbraio - 14 maggio 2006), p. 454, n. 236; Baiocco, Una Madonna di Gerolamo Giovenone cit., pp. 143-144. 34 F. Zeri, Italian Paintings in the Walters Art Gallery, Baltimora 1976, vol. II, p. 418, n. 290 35 Baiocco, Una Madonna di Gerolamo Giovenone cit., p. 146.

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