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Nota editoriale

Il primo studio venne pubblicato nel volume degli Scritti per Mario Delle Piane, ESI, Napoli 1986. Mario Delle Piane fu il primo garante accademico che delusi coi ripetuti abbandoni dei miei temi di studio. Desidero ricordare quanto devo alla fiducia accordatami, di cui egli non vide il compenso.

Il secondo studio è il testo riveduto e ampliato di una relazione tenuta alla conferenza su Clausewitz organizzata il 13 febbraio 1988 dal Forum per i Problemi della Pace e della Guerra di Firenze, e pubblicato su “Studi senesi” nel medesimo anno.

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Il terzo studio è stato pubblicato in “Archivio di storia della cultura”, anno V, 1992.

Il quarto studio è stato pubblicato su “Contemporanea – Rivista di storia dell’800 e del 900”, anno XI n. 2, aprile 2008.

Le traduzioni delle tre appendici e il commento sono inediti, mentre alcune pagine dell’introduzione sono state pubblicate in anteprima come Guerra, politica, letteratura in Foscolo e Clausewitz in “DILEF”, rivista digitale del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, 1, 2021 (ma chiusa fra marzo e aprile 2022).

La parola Stato è maiuscolata per indicare l’edificio dei pubblici poteri, distinto dalle accezioni personali, cetuali o sociali – salvo le denominazioni obbligate come Stato Maggiore e, viceversa, colpo di stato. La Rivoluzione è solo quella dell’Ottantanove, la Restaurazione solo quella del Quindici. Im- pero maiuscolato e senza aggettivi è il Sacro Romano primo Reich. Il termine Avanguardia riunisce tutte le correnti dei soli primi decenni del Novecento. Il Trattato è sempre il Vom Kriege. Le mie edizioni di riferimento più facilmente accessibili sono: Berlino 18803 (Scherff), Berlino 19055 (Schlieffen), Bonn 195216 (Hahlweg); Roma 1942 e Milano 1970 (Bollati – Canevari). Il lettore capirà perché ho voluto indicare in nota le sole parti e i soli capitoli del Trattato, rinunciando a segnalare anche i numeri di pagina di cinque o sei edizioni diverse (volendo comprendere anche la prima del 1832). Sempre per ovvie ragioni, salvo rarissimi casi mi sono ben guardato dal collimare le asserzioni del Trattato coi contenuti dei tre scritti clausewitziani esaminati nelle appendici. In questo libro non si fa la storia interna del suo pensiero militare; e i numerosi rinvii fra i diversi capitoli del volume hanno lo scopo di stabilire conferme, anziché ricercare variazioni.

L’uso della virgolettatura rispetta i seguenti criteri:

1. Virgolette a sergente «…» per parole altrui nel contesto originale.

2. Apici doppi “…” per parole altrui variate o sottratte al contesto originale, o per parole inserite in una citazione chiusa a sergente, o ancora per parole riprese per modo di dire dall’uso comune.

3. Apici semplici ‘…’ per significati tecnici, insoliti e traslati, o per neologismi artefatti e impropri.

In qualche caso le virgolette apicali semplici e doppie possono distinguere l’uso sostantivale dall’uso aggettivale. Per esempio: tutta la grande letteratura è sempre “politica” (sostantivo, e “come usa dire”); tutta la grande letteratura è sempre ‘politica’ (aggettivo, e “per modo di dire”).

Nel testo e nelle note dei quattro vecchi studi i segni diacritici sono stati mantenuti nella loro forma originale. Lo stesso vale per i riferimenti alle edizioni del Trattato e di altri scritti clausewitziani.

Presentazione

La pace è solo disordine. Non c’è che la guerra per mettere ordine. (Bertolt Brecht, Madre Courage e i suoi figli)

Sarebbe indubbiamente un errore voler dedurre dalla composizione chimica del chicco di frumento la forma della spiga che ne deve nascere, perché non si ha che da andare nei campi per vedere le spighe già formate. (Premessa di Clausewitz al Vom Kriege)

Solo con la pittura si salverà l’arte d’oggi. (Giorgio De Chirico, L’eterna questione)

L’aforisma qui sopra collocato in epigrafe, che si trova in apertura del Vom Kriege, basterebbe per levare di mezzo ogni quesito circa i debiti che l’autore avrebbe contratti nei confronti della filosofia – o almeno basterebbe per dissipare l’infarinatura teoretica con cui lo si è voluto spolverare. L’aforisma avrebbe dovuto dirigere l’attenzione dell’autore e dei posteri verso i resoconti delle campagne, e specialmente delle campagne personalmente vissute. Si può tuttavia constatare che così non è stato. Come tutti i lavori sunteggianti esperienze empiriche, oltre che bibliografiche, il Trattato ha una consistenza mista che al Capitale di Marx, per esempio, manca del tutto – salvo, naturalmente, che si parli della natura mista delle sole tergiversazioni del pensiero fra deduzioni, induzioni e bibliografie. Il Capitale rimase a mezza strada, a dispetto della semplicità perentoria degli assunti, mentre la compiutezza del Vom Kriege parve dubbia all’autore; e i posteri che ne hanno ripetuto il giudizio non l’hanno tuttavia affatto discusso come opera incompiuta. È lecito sospettare che qui si nasconda un problema, perché non si può certo affermare che presupposti dogmatici abbiano condannato a un evidente fallimento opere come la Repubblica platonica, o l’Etica di Spinoza o la prima Critica di Kant. Si può sospettare che proprio l’esperienza non bene trasfusa nell’opera teorica abbia suscitato degli scrupoli nell’autore del Trattato, mentre si deve constatare che le discussioni più interessanti dei critici non hanno di solito lo scopo di celebrare opere di pensiero apparentemente monolitiche bensì, viceversa, di metterne in luce i vizi latenti. La forma compiuta o incompiuta di un’opera è dunque cosa discutibile al di là del fatto che il testo sia rimasto vacante, e anche a dispetto del giudizio di compiutezza o d’incompiutezza dell’autore medesimo; e va da sé che è compito piuttosto complicato formulare e motivare, contro il giudizio ‘autentico’ dell’autore, un giudizio opposto o semplicemente diverso.

Clausewitz non fu soddisfatto del suo lavoro, e non intese pubblicarlo da vivo. In attesa che qualcuno si accinga a sarchiare i suoi resoconti di campagne per cavarne sporadiche sentenze e commenti, o reazioni ed esclamazioni sfuggite dalla penna, o constatazioni di conferma degli assunti teorici, o viceversa resipiscenze, reazioni di perplessità, e simili, mediante le quali mettere insieme un simulacro di teoria non appositamente da lui concepita ad arte per l’arte della trattazione – in attesa d’un simile vaglio, dunque, la questione dell’incompiutezza del Vom Kriege va discussa sotto il profilo filologico mediante verifiche, nonché discussa sotto il profilo ideologico mediante qualche sommario confronto esemplare. Dal momento che l’opinione di Clausewitz non è del tutto chiara, e non è vincolante perché ci porterebbe a conclusioni che risulterebbero inesatte, allo scopo di non perderci discettando in vane divinazioni questo studio prenderà ad esempio come termini di confronto due opere poetiche, non lontane nel tempo, sicuramente incompiute ed esse pure (a differenza del Capitale, scritto da un uomo che non vide mai una fabbrica) frutto di un impegno di formalizzazione di esperienze. È lecito supporre che le ragioni del loro impedimento abbiano potuto affliggere anche un lavoro di genere del tutto diverso, non poetico, come il Trattato: perché la logica della composizione di materiali per ottenere il risultato di una forma è pur sempre la stessa per ogni genere. L’esperienza di precettore di Parini nelle dimore patrizie trovò forma sensistica nel Giorno, ma non riuscì a trovare la forma neoclassica. La forma neoclassica tentata da Foscolo nelle Grazie fu viceversa sopraffatta, e in senso non soltanto ideologico, da risorgenze sensistiche. Il giovane Clausewitz iniziò con una sorta di neoclassicismo dell’arte militare negli appunti del 1804, uscì alquanto malconcio dalla traumatica esperienza russa che non seppe mettere in alcun modo in relazione col suo abbecedario giovanile, e ricominciò tutto daccapo a cose finite sunteggiando in grani di teoria la quantità di materiale mnemonico e documentale accumulato in gioventù. Per il secondo riguardo, documentale, nel Trattato fece del suo meglio, mentre per il primo riguardo, mnemonico, non si fece scrupoli d’omissione.

Questo è dunque l’impianto dell’introduzione, nella quale non mancano considerazioni tecniche riguardanti il rilevamento del pensiero nelle traduzioni delle appendici, nonché chiarimenti sulle ragioni che trent’anni or sono mi indussero ad abbandonare lo studio del personaggio. L’opera incompiuta, in definitiva, è la mia. Sebbene non sia un obbligo, posso giustificare le ben definite opinioni schiettamente personali disseminate nell’introduzione con la predilezione per lo stile saggistico degli studi: ai vivi che fanno parlare i morti preferisco, in certi casi, i morti che fanno parlare i vivi.