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di Aurum
Il Cavaliere, il Drago ed il Katéchon
di Aurum
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“Nella forza del Sacrificio che è fondato nel cielo supremo e dall’Ordine Cosmico radicato nell’Ordine Cosmico, i Nostri Padri, sebbene mortali, ottennero seggi immortali” Rig Veda V, 15, 2
Questo saggio tenta di ripristinare il significato esoterico e mistico di un “mito” fondamentale della Tradizione (1). Di esso, non solo se ne è smarrito il significato, ma, addirittura, nella cultura contemporanea occidentale, non se ne fa più nome, neppure tra i simboli fondamentali della Tradizione o Scienza Sacra. Eppure, si tratta del simbolo principale e fondamentale: l’uccisione del Drago. Insieme ad esso si cercherà di definire l’essenza della vera Cavalleria, facendo riferimento, innanzitutto, a quella medievale, la cui vera natura potrebbe esser stata seppellita sotto una gran mole di letteratura, falsamente cavalleresca, che ha intenzionalmente occultato il carattere originario ed esoterico di tale fenomeno, sociale, militare e religioso.
I – IL DRAGO E LA SUA SIMBOLOGIA
Si tratterà di tentare di capire i seguenti sei punti fondamentali:
1. Che cosa significa l’associazione del Drago (2) alla caverna, o comunque ad un luogo ctonio, come proprio habitat? Perché si associa il Drago al tesoro, oppure all’oro? E perché questa associazione viene di solito interpretata come “custodia”? Il Drago custodisce il tesoro-oro? Perché e cosa significa l’associazione del Drago all’eclissi, nel senso che la Tradizione ci dice che ne sarebbe la causa? Cosa significa che il Drago uccide i passanti, ossia tutti coloro che si arrischiano sul suo territorio?
Perché e cosa implica la quadruplice natura del Drago che la Tradizione ci rappresenta come composto da animale acquatico, animale terrestre, animale di aria e infine animale di fuoco? Che significa che solo l’eroe è in grado di affrontare il Drago? A prima vista la risposta sembra banale: si dirà che ci vuole necessariamente un uomo forte per affrontare il Drago. Ma vedremo di che tipo di forza si tratta.
———— 1 – La caverna, luogo abituale del Drago, rappresenta l’ignoranza. È così che Platone, nel noto mito, raffigura l’ignoranza in cui versa l’uomo comune; topos ricorrente nella tradizione iranica precedente a Platone. La caverna è un luogo privo di Luce e la Luce è associata alla Sapienza e al Nous. La caverna corrisponde a ciò che in Eraclito è definito come “mondo privato e di sogno in cui ogni individuo sta rinchiuso, nella misura in cui non partecipa della Luce universale del Logos”. La presenza del Drago è, eo ispo, presenza dell’ignoranza, rappresentata come suo
antro sotterraneo, spaccatura del suolo (come in Delfi) o grotta sottomarina. 2 – Il Drago veglia nei pressi di un tesoro fatto di oro, oppure veglia e fa guardia ad una fanciulla. Il tesoro e la fanciulla rappresentano un bene molto prezioso per raggiungere il quale bisogna superare la sorveglianza del Drago. Sarebbe un errore credere che il Drago stia facendo da guardiano, nel senso che è consapevole del bene che rappresenta il Tesoro, oppure la fanciulla. In realtà, il Drago impedisce l’accesso ad un bene di cui lui stesso non fruisce e di cui non intende fruire. L‘ oro e la fanciulla e il carbonchio sulla fronte dell’animale (come nella tradizione indiana) significano la beatitudine del Sé. È questo il Giardino delle Esperidi. Per raggiungere questo luogo è indispensabile superare la sorveglianza ostativa del Drago. E ciò può esser fatto solo uccidendolo. Ecco il supremo sacrificio, che apre la via alla dimensione celeste. 3 – L‘eclissi sta a significare proprio quello che sopra abbiamo chiarito: il Drago ostacola l’accesso al Tesoro allo stesso modo in cui la luna impedisce, durante l’eclisse, la visione ed il godimento dei benefici del sole (3). La luna è anche chiamata “Drago del cielo” (4) per le eclissi solari che essa produce. I punti di intersezione dell’orbita solare con quella lunare sono chiamati “nodi” o “Drago”, nelle tradizioni astrologiche, perché possono dar luogo ad eclissi, le quali, esattamente come il Drago, impediscono l’accesso al supremo beneficio che qui è la luce solare (quasi sempre identificata con la luce della verità). 4 – Il Drago porta la morte. Fuori dalla simbologia, ciò significa che l’identificazione con l’ego, quindi col corpo, ha come conseguenza la morte. Essa è determinata da una
caduta, la caduta dal livello del Sé, come io dell’io, all’ego, identificato col corpo e quindi in una dimensione temporale e materiale che comporta malattia, vecchiaia e morte. La presenza del Drago sta a significare il coabitare con la morte di chi, dopo il peccato, ha subìto la caduta. Fuori dalla simbologia biblica, ciò significa che chi ha riposto il senso dell’io fuori di Sé, ossia nell’ego e nella corporeità (rappresentata dai 4 elementi che compongono la natura del Drago) è destinato alla vita materiale nel tempo e nello spazio, fatta di sofferenza e vulnerabilità. È questo il senso in cui, prima della sua uccisione da parte dell’eroe, il Drago divora persone e animali che attraversano, o abitano, il suo territorio. 5 – L’ego, identificato col corpo, sopporta la quadruplice natura di questo, fatta di: • acqua, che nel Drago è rappresentata dalle zampe palmate dell’animale acquatico; • fatta di fuoco, rappresentata nel Drago come animale che sputa fuoco (oppure avente sembianze di salamandra, essendo questo animale rappresentazione del fuoco); • fatta di aria, che nel Drago si presenta come sua parte alata per dire che è anche animale di aria; • e infine terrestre, che sono le quattro zampe del Drago, indicanti un animale terrestre e mammifero. Il corpo umano, che fa da sostrato materiale all’ego o persona (prosopon), è simboleggiato dal Drago nei suoi quattro elementi costitutivi.
6 – L’ uccisore del Drago è l’Eroe o il Cavaliere. Un combattente in grado di sostenere e vincere la lotta interiore della guerra ascetica che egli compie per volere di San Michele. Egli libera sé stesso, uccidendolo, dall’ego per ritrovare il Grande Tesoro che è la beatitudine del suo Sé, come “io dell’io”. Questa è la sua vera e beatifica identità, libera dalla morte e dalla dimensione spazio-temporale oltre la quale non si conosce vulnerabilità e paura. Questo è il termine del cammino iniziatico i cui segni sono appunto l’invulnerabilità di chi si è bagnato col sangue del Drago oppure la piena armonizzazione col mondo della natura come capacità di intendere e parlare il linguaggio degli uccelli, secondo quanto riferito dai più importanti testi della Tradizione che poi analizzeremo. Scrive nell’VIII secolo Shankara, filosofo nato in India da famiglia brahmanica, e fondatore della Scuola Filosofica dell’Advaitavedanta, nel Vivekacudamani: “Colui che si è liberato dell’ego splende eternamente come il Sé, simile alla luna piena, radiosa quando si è liberata dalla testa del Drago (dell’eclissi). Nel campo del cuore il terribile cobra dell’ego sta aggomitolato intorno alla beatitudine del Sé, a cui nega l’accesso con il triplice cappuccio dei guna. Queste tre spaventose teste del serpente dell’ego devono essere coraggiosamente troncate, secondo le Scritture, soltanto con la possente spada dell’effettiva esperienza del Sé. Colui che ha distrutto così il serpente dai tre cappucci può ottenere e godere l’immenso tesoro della Beatitudine di Brahman. Perciò abbandona anche tu il senso dell’io nell’ego, che appare come ente e presume di essere il soggetto che agisce, mentre è soltanto la luce riflessa del Sé.” (5). È questo il senso in cui: “il Grande Drago, il serpente antico, chiamato Diavolo e Satana, che sedusse
tutto il mondo e fu precipitato sulla terra.” (Apocalisse, XII 9). Più che “sedurre” il termine esatto è “indurre in errore”.
II – LA DEMITIZZAZIONE E LA FINE DEL KATÉCHON
Ossia la rottura delle dighe che trattenevano le forze del caos e della dissoluzione
Negli ultimi due secoli e mezzo, in Europa, sono nate molte Società segrete, presunte iniziatiche, ma che nella realtà potrebbero essere finalizzate alla controiniziazione, ossia all’occultamento e/o al depistaggio del vero elemento iniziatico della Tradizione (6), che dovrebbe stare alla base di una Civiltà, come valore fondante, da cui far dipendere tutti gli altri valori: civili, giuridici, etici, paidetici… Insomma, moltissime delle Società segrete, apparentemente iniziatiche, in Età Contemporanea, sono in realtà delle trappole finalizzate a depistare, a controiniziare e a deviare. Ed è questa una finalità tenuta nascosta alla stragrande maggioranza dei loro adepti che stanno alla base o ai livelli medio-alti della piramide, di cui immaginiamo formate queste Società stesse, i cui veri scopi sono conosciuti solo dai vertici di comando più alti. In basso, trovate come movente della loro azione politica, sociale e culturale, solo motivazioni banalmente umanitarie e universalmente condivisibili, estremamente annacquate, in modo da poter andare bene per ogni epoca, per ogni persona, per ogni circostanza e comunque talmente condivisibili che è quasi impossibile farle oggetto di contestazione; è proprio ciò che consente a tali Società e ai loro membri di essere presenti e
infiltrati in ogni aspetto della vita di un Paese, divenendo un importante fattore di condizionamento della sfera politica, culturale, pedagogica e di costume di una Nazione. Nel 1962 esce a Parigi, postuma, I simboli della Scienza Sacra, opera (7) di René Guénon (1886-1951), ritenuto, pressoché universalmente, il più alto iniziato e il maggior esperto di cose riguardanti la Tradizione (anche detta “Scienza Sacra”) del Novecento. È indiscutibile che si tratti del più importante iniziato del suo secolo, se è vero che già intorno ai 22 anni aveva raggiunto il 30* grado della Massoneria scozzese ed era introdotto in circoli esoterici e sette segrete importanti del suo tempo (fu 90* grado del Rito di Memphis-Mizraim, auditore di Papus, fondatore di un Rito Templare a Parigi). L’ opera in questione è pubblicata in italiano da Adelphi. Ebbene, in essa, il simbolo fondamentale della Scienza Sacra e di ogni iniziazione, ossia, il Cavaliere e l’uccisione del Drago, neppure compare. Circa negli stessi anni, su un piano di cultura religiosa e liturgica, accadeva qualcosa di simile all’interno della Chiesa Cattolica, immessa sul binario delle riforme del Concilio Vaticano II, da Papa Giovanni XXIII e portate a compimento da Paolo VI, che non poco favorì un clima e un atteggiamento neomodernista del Concilio. Deve essere stato sulla scia di questo spirito di “rinnovamento” che nel 1969, sotto il pontificato dello stesso Paolo VI, si compì il declassamento di San Giorgio dal calendario liturgico. San Giorgio (275-303) era il Santo che rappresentava, in un contesto di fede cattolica, il “mito” archetipo di ogni iniziazione: l’uccisione del Drago. San Giorgio è ritratto in tale impresa nelle iconografie religiose in cui viene
rappresentato. Inutile ricordare che le correnti neomoderniste e riformatrici, all‘ interno del Concilio, furono sostenute da alti prelati molto vicini (o iniziati essi stessi) a Società segrete (presunte) iniziatiche del loro tempo. E non furono pochi costoro se Papa Albino Luciani (1912-1978), nel suo breve pontificato, aveva programmato di ripulire la Chiesa da alte figure istituzionali che non potevano pretendere di essere, nello stesso tempo, fedeli ai valori del Cattolicesimo ed ai valori delle sette segrete di cui facevano parte, le quali si esprimevano in principi e azione politica nettamente anticattolici. Nel Novecento abbiamo voluto ricordare due importanti circostanze in cui esplicitamente si cancella dalla cultura laica e religiosa il simbolo fondamentale della Tradizione e di ogni iniziazione: il tema dell’uccisione del Drago, che è stato a fondamento di secoli e secoli di “cultura cavalleresca” in Europa, ispirando temi letterari, modi artistici figurativi, fenomeni di costume, valori folklorici, ricorrenze e festività popolari, fiabe e leggende. Insomma, questo “mito” è stato, per molto tempo, la colonna portante di secoli di civiltà europea (e non solo), il cui comune denominatore diciamo “cultura cavalleresca”, ma con importanti risvolti sul piano sociale e culturale della vita religiosa e filosofica.
III – IL RADICAMENTO NELLA TRADIZIONE
Nel Rig Veda, Indra uccide Vritra, il primogenito tra i draghi, figlio della dea Danu che ostacola e copre gli elementi vitali dell’universo (le acque, i sette fiumi, la luce, le “mucche”); “Indra e Soma, voi sconfiggeste il serpente Vritra che cercava di ostruire le acque” (8). Vritra è un drago (Ahi), che rappresenta il caos e le forze della
dissoluzione. Uno degli epiteti di Indra è quindi vrtrahan: “macellaio di Vritra, vincitore della resistenza”. Indra è “Colui che uccise il Drago e liberò i sette fiumi… Umiliò e scacciò la razza inferiore” (9); “uccisore del Demone” (10). Il riferimento al Katéchon, ossia all’ uccisione-contenimento delle forze del caos e della dissoluzione incarnate dal Demone-Serpente, lo troviamo quando viene definito “Il Guardiano dell’Ordine” (11). Vritra, infatti, dal punto di vista etimologico significa “ostruzione”, “resistenza”, “Avversario”, “ostacolo”. “Quando, Indra, uccidesti il capo dei draghi e sconfiggesti le magie degli incantatori, allora desti vita a Sole, Aurora e Cielo e non trovasti più un solo nemico che ti fronteggiasse” (12) Nell’Enuma Elish, il Poema della creazione (13) dell’antica religiosità Assiro-Babilonese, il mito della lotta del Dio (Marduk) contro il Drago o il Serpente (Tiamat) è un mito fondatore, che ricalca e ripete un più antico scontro tra il Dio Enlil e il Drago Labbu. Questo per dire che tutte le grandi civiltà euroasiatiche hanno a loro fondamento il mito dell’uccisione del Drago, non solo a significare la legittimazione della nuova divinità a detenere lo scettro regale sugli altri Dèi, ma anche a voler significare la nascita della Civiltà che coincide con l’uccisione del Drago mangiatore di uomini e di animali. Nei Testi sumerici e accadici Marduk viene presentato con l’attributo di “Uccisore del Drago” e tale caratteristica fu iconograficamente rappresentata come colui che “calpesta il grande serpente” (14). Questo attributo lo ritroviamo in era cristiana, nelle raffigurazioni della Madonna che tiene fermo (Katéchon) il serpente sotto il piede. Le forze del caos e della dissoluzione sono soggiogate e tenute ferme; solo allora nasce la Civiltà.
Apollo porta l’attributo di “Pitico” in quanto ha ucciso il serpente Pitone, nel luogo dove era un santuario della Madre Terra che prenderà il nome di Delfi, perché Delfine era il nome della compagna di Pitone (15). La sacerdotessa di Apollo si chiama anche Pizia, o Pitonessa, derivando il nome dal serpente ucciso, il quale, proprio a significazione del Katéchon, sta ucciso e soggiogato per sempre, sepolto sotto l ‘edificio del Santuario delfico, allo stesso modo che Marduk e poi la Madonna tengono fermo e soggiogato sotto il piede il Grande Serpente. Nella politica religiosa e nella teologia delfica, l’uccisione del Drago è elemento archetipico e fondativo: Cadmo, l’eroe della saga tebana, ricevette dal Santuario l’ordine di uccidere un Drago e di fondare una città la dove era avvenuta la sauromachia. Così nacque Tebe. Nella mitologia greca Eracle uccide il Drago Ladone, collocato da Era a vigilare l’albero sacro dai pomi d’oro (che noi conosciamo come Giardino delle Esperidi). Eracle si appropria dei pomi d’oro dopo aver ucciso il Drago e compie così la sua undicesima fatica. Nella Grecia Classica è l’eroe Perseo che taglia la testa ad un mostro marino a cui stava per essere sacrificata Andromeda, legata nuda ad uno scoglio in riva al mare e vestita di soli gioielli, unico modo, secondo l’oracolo, per liberarsi dai flagelli che il mostro infliggeva a quel popolo e che dopo l’intervento dell’eroe sarebbe diventata sua sposa (16). La vicenda è pressoché identica a quella di Eracle e della figlia di Laomedonte, legata nuda ad uno scoglio sulla spiaggia di Troia, vestita di soli gioielli, che doveva essere sacrificata al mostro secondo il responso dell’Oracolo di Zeus Ammone. Eracle tagliò la testa al mostro marino ed ebbe in sposa Esione (17).
Il Beowulf è un poema fondamentale dell’antica tradizione germanica, risalente forse al VII oppure VIII secolo, redatto da anonimo in lingua volgare, le cui vicende si svolgono tra Danimarca e Svezia. In questo poema, i mostri come l’orco (gigante) Grendel derivano da un’altra dimensione. Essi vengono dall’Altrove e si nutrono di uomini; essi sono detti anche “Creature di Fuori” (18) e vivono in una caverna subacquea. Sono di discendenza cainita, antropofagi come i giganti, che da loro derivano e detti “Avversari del genere umano”. Nel Beowulf già compare la figura di SiegemundSigfrido (19) l’uccisore del Drago, al fine di impossessarsi del tesoro che “custodisce”: il tesoro dei Nibelunghi, qui detto “il tesoro di anelli” (20). Beowulf è definito “il signore degli anelli” (21). Quindi, nella tradizione orale più antica della cultura germanica, la figura di Sigfrido è archetipica, anche per il poema Beowulf, molto più antico del Nibelungenlied. Siegfrid fu tradito e ucciso dai giganti (22). Lui che era il baluardo delle nazioni umane. In questo contesto troviamo (23) che la Coscienza è definita “il
guardiano” o anche “il pastore dell’anima”, facendo riferimento alla vigile attenzione con cui l’ascetacavaliere controlla la sua interiorità. E se non lo fa con diligenza, ecco che durante il sonno della Coscienza si infiltra l’Assassino che permette l’installarsi di idee superbe e ingiunge perversi comandi che rendono
impura l’anima del Cavaliere. In questo testo si dice esplicitamente che il Drago blocca l’accesso a un tesoro di cui lui stesso non fruisce (24). L’uccisione del Drago (25) è l’episodio centrale e decisivo del poema, Abbiamo dunque a che fare con un archetipo fondamentale di tutta la Civiltà indoeuropea e nordeuropea, come attesta la Saga dei Nibelunghi, poema anonimo della “mitologia”
germanica scritto tra il 1190 e il 1205, ma basato su antiche leggende (“alte maeren”), sopravvissute per tradizione orale nei secoli e divenute oggetto di questa epica, che deve tramandare immutato nei secoli un messaggio, un valore e un archetipo, al centro del quale c’è l’eroe cavaliere Sigfrido che uccide il Drago (26); sullo sfondo, c’è la presenza dell’immenso tesoro dei Nibelunghi che finirà seppellito nel Reno. Nell’Edda, il testo fondamentale della “mitologia norrena”, scritto da Snorri Sturluson, tra il 1220 e il 1230, ritroviamo il parallelo della vicenda vedica di Indra che uccide Vritra. Thòrr è l’uccisore del serpente Midhgardhr, figlio del gigante Loki, “l’autore di ogni inganno … bello e gradevole nella figura, malvagio nell’animo, molto volubile nei modi” (27), agente del caos. La prova esteriore che il cavaliere ha compiuto il suo percorso di iniziazione, la teleté suprema, è data dal fatto che Sigurdhr, dopo aver bevuto il sangue del Drago ucciso (il nano Fàfnir si era trasformato in Drago e si era accovacciato sull’oro), fu in grado di comprendere il linguaggio delle cinciallegre (28). Mentre nel Nibelungenlied, il segno esteriore della raggiunta iniziazione è l’invulnerabilità alle armi di Sigfrido, dopo essersi bagnato del sangue del Drago ucciso. Il tema del Drago e della sua uccisione da parte del cavaliere non è solo oggetto della tradizione epica, ma è archetipo trasmesso anche nella “fiaba” popolare, “… assai diffusa, in varie versioni, dal Giappone e dall’Annam, all’est, al Senegambia, alla Scandinavia e alla Scozia, all’ovest. I dettagli della fiaba variano da paese a paese, ma il nocciolo è questo. Una certa terra è infestata da un serpente, un drago, o un altro mostro dalle molte teste, che annienterebbe
la popolazione se non gli venisse consegnata, in un certo giorno, una vittima umana, generalmente una vergine. Molte sono state le fanciulle sacrificate fino a che, una volta, tocca alla figlia del re. Viene esposta al mostro, ma l’eroe della fiaba, solitamente un giovane di umili natali, uccide il mostro e, per ricompensa, ottiene la mano della principessa. In molte versioni il mostro, descritto a volte come un serpente, si nasconde nelle acque di un mare, un lago o una sorgente. In altre, invece, è un serpente o un drago che si impossessa di una sorgente e ne concede l’acqua solo in cambio di una vittima umana. Sarebbe forse un errore liquidare tutti questi racconti come pure e semplici invenzioni favolistiche,” (29).
IV – LA CAVALLERIA SAUROCTONA
La figura del Cavaliere sauroctono risale alle origini della tradizione cristiana con San Giorgio, martirizzato nel 303 sotto Diocleziano a Lydda (ora si trova in Israele). San Giorgio è ricordato per aver ucciso un Drago nella città di Silene in Lidia, al quale periodicamente andavano offerte vittime umane, finché toccò alla figlia del re che il cavaliere Santo salvò, uccidendo il Drago. San Giorgio ha il suo archetipo e giustificazione teologica nell’Arcangelo Michele che uccide il Drago antico. Il Cavaliere sauroctono trova i suoi numerosi precedenti nella tradizione pagana e nella cultura indoeuropea precristiana, come abbiamo visto. Dopo San Giorgio, una delle figure più importanti della Cavalleria che stiamo analizzando è l’eremita Guglielmo di Malavalle (+1157), di cui non sappiamo la coincidenza o meno con Guglielmo X (nato nel 1099), Duca di Aquitania e di Poitou, Conte di Alvernia e figlio di quel Guglielmo IX
che era stato il primo dei trovatori. Guglielmo di Malavalle aveva il suo romitaggio tra Tirli e Castiglion della Pescaia (Grosseto). Nella chiesa di Buriano, dove è Santo patrono, non lontano da dove aveva il romitorio, si conserva tuttora, oltre ai resti del suo corpo, la costola del Drago che Guglielmo uccise. Tale Drago, secondo la leggenda, divorava i bambini di quella località. Ne nacque l’ordine religioso dei “guglielmiti” che ebbe una rapida diffusione in nord Europa fino a interrompersi bruscamente nel 1256 La Cavalleria profana, a cui il De laude novae militiae cistercense contrappone la Cavalleria del Tempio, è la Cavalleria auspicata e protetta dagli Imperatori Svevi. Fu Federico I a fare pressioni per la canonizzazione, nel 1185 della figura di San Galgano, che fu Santo eremita nel territorio di Chiusdino, in provincia di Siena (il primo regolare processo di canonizzazione della Chiesa Cattolica); Enrico VI, nel 1191 prende sotto la sua protezione (30) i monaci di San Galgano (+1181), già fatto santo subito dopo la morte dalla voce popolare, a causa dei tanti miracoli ricevuti. Questa Cavalleria è nata per ispirazione di San Michele Arcangelo, l’uccisore del Drago che chiamò a sé, nella sua missione di cavaliere, Galgano (ut militem faceret). Leggiamo un passo del processo di beatificazione: “Dionisia, madre del Beato Galgano, sotto giuramento raccontò che suo figlio Galgano le aveva rivelato, prima della conversione, le visioni da lui avute. Nella prima di queste, San Michele Arcangelo lo aveva chiesto a sua madre, per farne un soldato… Noi, infatti, io vedova e tu orfano, saremo affidati a San Michele, al quale tuo padre era molto devoto” (31). Si tratta di un ideale di Cavalleria che va da San Giorgio, attraverso i Longobardi (devoti di San Michele Arcangelo) fino a Guglielmo di Malavalle. Una
Cavalleria che confina e sconfina con un monachesimo eremitico, di cui condivide il principio ascetico: l’uccisione del Drago. Nella Leggenda del Beato Galgano, di Rolando Pisano (32), si racconta che San Galgano: “con molte preghiere esortava san Guglielmo, che a lui aveva ispirato tanta pietà, di aiutarlo a pensare più di ogni altra cosa alla cura della propria anima”. Il fatto che Federico I Barbarossa si sia dovuto imporre per ottenere la beatificazione di San Galgano, minacciando di presenziare lui stesso al processo e infine imponendo il cardinale Conrad di Wittelsbach come presidente del tribunale di canonizzazione, la dice lunga su quanto fossero forti nella Chiesa di allora le componenti che oggi diremmo “moderniste”, volte a promuovere una Cavalleria crociata e politica e, nello stesso tempo, protese a bocciare ed insabbiare qualsiasi forma diversa di Cavalleria, specie quella apolitica e ascetica del tipo di Guglielmo di Malavalle e di San Galgano. Che una, se non la principale, di queste forze, contro cui dovette lottare lo stesso Imperatore, sia stato l’Ordine dei Cistercensi, appare abbastanza chiaro; il loro ideale di cavalleria era quello templare. Quando i Cistercensi si vollero appropriare della tradizione galganiana, dei suoi luoghi, delle sue vicende biografiche, ecco che molti eremiti galganiani si rifiutarono di confluire nell’Ordine Cistercense e ci fu una vera diaspora (33). Per i galganiani la vera militia Christi è
quella che tiene infissa la spada nella roccia e ne
trasforma l’elsa in croce, mentre i Cistercensi hanno in mente una militia Christi armata, crociata e geopolitica; questa è per loro la nova militia nella quale ambivano ad arruolare Galgano e i suoi seguaci.
A questa cavalleria sauroctona non possiamo non ricondurre la figura di Giovanna d’Arco, la quale al processo di Rouen di martedì 27 febbraio 1431, alla domanda dell’inquisitore di quale voce celeste l’avesse comandata, rispose che era stato lo stesso San Michele Arcangelo, che ella vide in persona davanti ai suoi occhi, a darle il mandato di guerra contro gli inglesi. Infatti, vediamo nella chiesa di Nostra Signora dei Miracoli ad Orléans, dove Giovanna pregò prima di liberare la città manu militari dall’invasore inglese, che la Santa, sulla vetrata, sta accanto alla Madonna assieme a San Michele, il quale guida in terra la mano e la milizia che uccide il Drago in ogni sua forma, anche politica e dinastica.
V – LA BATTAGLIA PER LA CAVALLERIA NEI SEC. XII -XIII
Tra fine XII e inizio XIII secolo si è combattuta in Europa una battaglia per la Cavalleria, in cui si doveva stabilire in che consistesse l’essenza di questo fenomeno sociale, culturale e politico. Questo dibattito va dall’opera cistercense L’elogio della Nuova Cavalleria, tra 1128 e1136, fino allo scritto di Raimondo Lullo, Il libro dell’Ordine della Cavalleria, scritto tra il 1274 e il 1276. Le forze giovani e più attive della società sono attratte e vogliono confluire in questo ceto sociale-militare, che dunque dovrà avere un peso nella civiltà europea medievale. Il fenomeno era divenuto preoccupante per le sue potenzialità di destabilizzazione dell’ordine sociale e politico (militia damnosa). Al punto che si rendeva necessario imbrigliarlo e orientarlo sapientemente, proprio al fine della stabilità e dell’ordine. Nell’uccisione del Drago, la Cavalleria ha sempre trovato l’essenza del suo ruolo che
la pone così al confine tra l’ordine militare e l’ordine religioso. Ed è a questo tipo di Cavalleria che è andato l’appoggio e la protezione degli Imperatori svevi, a cominciare da Federico I Barbarossa. Ma negli stessi anni, forze non meglio identificate (e che gli storici si mostrano svogliati a identificare), propongono e infine impongono un diverso modello di Cavalleria che non ha più nell’uccisione del Drago il suo “mito” fondante, bensì essa lo trova nella “cerca del Graal”. Si tratta di una cavalleria la cui immagine viene elaborata e promossa da Crétien de Troyes, prima, (Perceval le Gallois ou le Conte du Graal, 1190, opera incompiuta), poi da Robert de Boron (Roman de l’estoire dou Saint Graal, tra 1190 e 1199), dal Perlesvaus di autore anonimo (1190-1212) e infine (ma non ultimo) da Wolfram von Eschenbach (Parzival , 1210), che propone una cavalleria molto orientaleggiante e gerosolimitana, non tanto volta a costruire in Europa la nuova Civiltà, ma che ha posto nell’Oriente Medio il suo obiettivo spirituale e anche geografico. Lì si trova il Graal. L’ accesso al Graal non richiede l’uccisione del Drago, perché non c’è alcun Drago che blocchi l’accesso a questo tesoro. Di che si tratta? Di una cavalleria Ogm, a cui viene affidato il compito anche politico di riconquistare Gerusalemme. Per fare cosa e da parte di chi? Evidentemente per riedificare il Tempio da parte di chi lo aveva avuto distrutto. Non a caso Wolfram dice espressamente che i custodi del Graal, del castello del Graal, sono i Templari (34), un ordine cavalleresco eminentemente gerosolimitano (Milites Templi Ierosolimitani, fondato nel 1118), a cui è andata la benedizione di Bernardo di Chiaravalle, fondatore dell’Ordine Cistercense, che scrive le regole di quella che è secondo lui la vera Cavalleria (De
laude novae militiae, tra 1128 e1136, contrapponendo la Cavalleria del Tempio a quella profana). Per Bernardo, i Templari incarnano il modello della vera Cavalleria cristiana (Militia Christi) e nel 1128 a Troyes, alla corte del Conte di Champagne, ottengono il loro riconoscimento ufficiale con una Regola ispirata a quella dei Cistercensi. Sempre in ambiente cistercense compare un testo (La Queste du Saint Graal, intorno al 1220), per dire proprio che il Graal è il “mito” fondante e qualificante di questa nuova Cavalleria gerosolimitana che non guarda all’Europa, ma al Medio Oriente. Un fenomeno sociale che abbraccia le Crociate e che ha di mira il possesso di Gerusalemme. Parzival è un membro della famiglia d’Angiò (35) che aveva stretti legami coi Templari. Wolfram dice che la storia del Graal è stata, in ultima analisi, rivelata da un pagano, Flegetanis, di origini ebraiche (36). Ed è di discendenza ebraica il Perceval di Robert de Boron e il Perceval dell’anonimo Perlesvaus. La spada di Artù prende il nome da “Escalibor”, che è termine ebraico. E il mito del “cavaliere errante” della Tavola Rotonda si sovrappone e pare occultare il tema dell’”ebreo errante”. In questi romanzi si dà molta importanza alla razza, come nel Perlesvaus, e alla stirpe eletta (quella degna di stare sul trono). Lohengrin, il figlio di Parzival, deve mantenere la segretezza circa la sua razza, ecc. Si tratta, insomma, come potete vedere, di romanzi molto politici nei quali si cerca di individuare e legittimare certe stirpi a stare sul trono per diritto di sangue e non in quanto re elettivi, come era nel tradizionale mondo germanico. Crétien è legato alla corte del Conte di Champagne (dove era attivo un centro di studi cabalistici), a sua volta strettamente legato ai Templari attraverso i Cistercensi.
VI – LA CAVALLERIA GRAALIANA
La spada nella roccia di San Galgano, reale e fisica e tutt’ora osservabile a Chiusdino, sta a significare che la vera Cavalleria non è quella politica, finanziaria e crociata che fa uso e abuso della spada per la conquista della Terra Santa. Nello stesso territorio di Chiusdino, in provincia di Siena, dove visse come eremita Galgano, v’erano Templari, a Frosini, eppure Galgano e i Templari si ignorarono. La
spada nella roccia sta a significare che la finalità e l’essenza della vera Cavalleria consiste nell’ascetismo dell’uccisione del Drago, non nell’uso politico della
spada. In polemica e per contrastare questa visione monacale e ascetica della Cavalleria, avallata anche dall’Imperatore, si mobilita tutto un mondo: dai cistercensi alle corti francesi, dove compare Crétien de Troyes prima, poi Wolfram von Eschenbach, nel mondo tedesco, Robert de Boron, Rustichello da Pisa, ecc. Un vero pullulare di “Matière de Bretagne”, come viene definita la letteratura arturiana, che tratteggia un modello di Cavalleria che estrae la spada dalla roccia e ne fa uso per la crociata. Artù è l’anti Galgano, colui che estrae la spada (Excalibur) dalla roccia e ne fa un uso politico e temporale. Il compito del cavaliere non è più l’uccisione del Drago, bensì la cerca di un Graal che, come la carota messa davanti al muso dell’asino, deve condurlo dove vuole il suo padrone: alla conquista di Gerusalemme. Il Graal è e resta un oggetto indeterminatissimo che ha finito per acquisire connotazioni esoteriche ed occultistiche nel corso dei secoli (37), ma in origine era la promessa di un tesoro in terra esotica che doveva spronare alla partenza il mondo della Cavalleria europea, messa al servizio di chi ambiva alla riconquista di Gerusalemme. Era questo il gioco sottile che è stato
imbastito, come tela di ragno, tra la fine del sec. XII e inizi secolo XIII. Alla cavalleria europea veniva dato come ideale quello della “cerca del Graal” che indirizzava gli interessi geopolitici dell’Europa verso la Palestina per la sottrazione di Gerusalemme ai saraceni. Per tale motivo, tutta l’opera di Wolfram von Eschenbach è intrisa di riferimenti mediterranei e medio orientali, come invito e adescamento verso un mondo non europeo verso il quale il cavaliere è tenuto a muovere, se vuole ottenere il Graal (di origine e connotazioni orientali). Una splendida operazione di ingegneria sociale e politica che doveva occultare e boicottare la vera Cavalleria europea e monastica che nell’uccisione del Drago trovava il suo “mito” originario e fondante, risalente a San Giorgio e portato avanti dai Longobardi con la loro speciale devozione all’Arcangelo Michele (Princeps caelestis militiae), ripreso da Guglielmo di Malavalle e quindi da San Galgano. Questa Cavalleria non ha nel saraceno il suo nemico, ma nel Drago. Perciò essa tiene la spada infissa nella roccia (“Incalibur”, se dovessimo darle un nome!), perché il monaco cavaliere è
impegnato nella lotta interiore. Questa è la vera crociata
che si deve aver di mira. Il cavaliere sauroctono sta al cavaliere graaliano come la realtà sta alla fiaba. Il primo è l’originale, il secondo è l ‘Ogm. Il primo appartiene all’ordine reale, il secondo appartiene alla fiction letteraria. Se dunque il cavaliere sauroctono è l’originale, mentre il cavaliere graaliano è l’Ogm, anche da un punto di vista cronologico il primo dovrà antecedere il secondo. E la cosa sembra molto plausibile. Per quanto nel corso del secolo XII vi siano elementi che facciano supporre l’affermarsi, nella seconda metà del secolo, di narrazioni arturiane, esse rimasero -se vi furono- molto marginali e limitate
prevalentemente alla tradizione orale; mentre per avere la piena affermazione letteraria, con relativa ampia diffusione, la Matière de Bretagne dovrà attendere Crétien de Troyes, anni dopo la morte di Galgano e proprio nel momento di massima fama di questo Santo per i suoi miracoli e per il gran numero di seguaci che seppe attrarre col suo esempio eremitico. Quindi parrebbe che la Matière de Bretagne sia stata imposta e diffusa proprio per fare da contraltare al modello di Cavalleria incarnato da Galgano e benedetto dall’Imperatore che diede ancor più eco in Europa a questo Santo. La letteratura arturiana era chiamata ad oscurare quell’esempio e quel miracolo della spada infissa, non si sa come, nella roccia, a Chiusdino, per proporre e imporre una spada (Excalibur) che viene estratta dalla roccia, a significare la diversa essenza e finalità dei due modelli di Cavalleria.
I maneggi dei Cistercensi giunsero al punto di snaturare la figura di San Galgano, cercando di farne una figura di cavaliere del tipo della Nuova Milizia, come prefigurava Bernardo, tanto da fare apparire San Galgano come un santo cistercense, ma non lo era. Fondamentalmente perché per raggiungere il tesoro vero spirituale bisogna uccidere il Drago e San Galgano sta sotto la protezione di San Michele, mentre per raggiungere il Graal, posto che sia qualcosa e non aria fritta, non bisogna affrontare nessun Drago e i cavalieri della Tavola Rotonda non sono stati chiamati alla Cavalleria dall’Arcangelo e non sono sotto la di lui protezione. Per capire la vocazione politica della cavalleria della Tavola Rotonda, ricordiamo questo: in età contemporanea, agli inizi del Novecento, non a caso “Tavola Rotonda” è ancora il nome di una delle sette segrete inglesi e mondialiste che si dà come obiettivo la
realizzazione di un Governo Mondiale di marca anglosassone (38). Non è un caso che il primo testo fondamentale della letteratura del Graal, quello di Crétien de Troyes (1190), compaia tre anni dopo la caduta di Gerusalemme (1187), che era stata conquistata nel 1099. Ci troviamo a Troyes, alla corte del Conte di Champagne, che nel 1124 entra nell’Ordine Templare, dopo aver, nel 1115, donato a San Bernardo il terreno su cui verrà edificata l’Abbazia di Clairveaux. Si trattava perciò di dare un ideale e valori politico-militari e geopolitici precisi ad una Cavalleria che avrebbe dovuto combattere per la ripresa di Gerusalemme. E nello stesso tempo si doveva occultare, sviare, cancellare (39) un modello di Cavalleria, come quella di San Galgano, che pericolosamente aveva ricevuto la benedizione degli Imperatori Svevi; la quale idealizzava una spada che rimanesse nella roccia e che aveva come suo compito supremo quello ascetico e mistico dell’uccisione del Drago, come comandava San Michele; non un compito politico, geopolitico e perfino finanziario, come fu quello dei vicini Templari e poi della filiazione loro, i Cavalieri Teutonici. Insomma, la Cavalleria che ha come emblema della sua identità l’estrazione della spada (Excalibur) dalla roccia (apparentemente mirante al Graal, ma realmente orientata a Gerusalemme), si contrappose ad una Cavalleria che, per significare il proprio compito ascetico, pianta miracolosamente la spada nella roccia (Incalibur), in obbedienza a San Michele. La differenza, inoltre, tra le due Cavallerie è che quella di Galgano è fondata su fatti storici e su un personaggio realmente esistito, mentre l’epica arturiana e le sue gesta eroiche sono pura fiaba che gli storici, tuttavia, hanno cercato di ancorare alla tradizione, alla cultura ed al folklore celtici e in certi casi alla tradizione
iranica (viste le tante suggestioni orientaleggianti di testi come quello di Wolfram). I racconti della Tavola Rotonda furono uno schema, un archetipo e un programma politico molto sottile ed elaborato su misura per la mentalità del tempo, per prefigurare e dare realtà ad una azione politica che avrebbe conferito la signoria su questo movimento di Cavalleria al Re d’Inghilterra (a lui era destinata Excalibur), affinché portasse avanti questo programma politico cosmopolita che doveva avere in Gerusalemme la sua capitale indiscussa religiosa e politica (Arturus rex summus in orbe futurus). Rifacendosi e appropriandosi del mito arturiano, i sovrani inglesi (plantageneti; il Conte d’Angiò, padre di Goffredo Plantageneto, entrò nell’Ordine templare nel 1120) miravano a legittimare il proprio potere in una prospettiva universalistica. Pochissimi furono quelli che capirono e che capiscono il vero senso di tutta la letteratura del Graal, divenuta nel tempo una affabulazione per occultisti, esoteristi, sognatori e romanzieri. Era, in nuce, l’avvio del processo di globalizzazione. Quello del Graal è stato un adescamento fraudolento ai danni della Cavalleria europea da parte di chi, in maniera molto astuta, ha saputo mettere l’anello al naso del bue, per condurlo dove? Nei dintorni di Gerusalemme e per convincerlo che in quei dintorni si trova quel tesoro o quella lancia che legittima il potere universale su tutto il globo terracqueo; quel potere che ha in Gerusalemme e nelle sue stirpi, la sua capitale politica e religiosa; alla luce del quale, tutti gli altri poteri e autorità sono ritenuti abusivi e illegittimi. L’adescamento non ha coinvolto solo gran parte della Cavalleria europea, ma anche generazioni di storici,
romanzieri, occultisti, sedicenti esperti della Tradizione e presunti iniziati che si sono lambiccati il cervello nel cercare di capire se il Graal fosse una coppa che ha raccolto il sangue di Gesù oppure se fosse una pietra preziosa caduta dalla corona di Lucifero o se fosse il sang real (sangue reale, di Gesù stesso) come Sant Graal potrebbe, per analogia fonetica, significare. Lapsit exillis, scriveva Wolfram von Eschenbach (40). Che sarà? Di questo non sapere cosa fosse il Graal si sono riempite biblioteche e biblioteche di libri. Tonnellate e tonnellate di carta piene di non sapere, dove la fantasia ha immagazzinato i suoi parti più impensabili. Tant’è. Un solo anello è bastato per prendere per il naso e condurre mandrie e mandrie di buoi nella direzione che si voleva. Sicuramente una delle più strepitose e gigantesche opere di ingegneria socioculturale e politica della storia d’Europa. VII – CONCLUSIONE La fine del “mito” fondativo del Cavaliere che uccide il Drago, il suo oblio e l’averlo fatto oggetto di un “cancel culture” da parte sia della Chiesa cattolica che della cultura laica contemporanea al quale hanno collaborato anche autori ritenuti esperti di Tradizione, è il punto apicale di un processo che ha aperto le porte alle forze del caos e della dissoluzione (esautoramento del Katéchon ) e che ora fanno irruzione nella società in cui viviamo: il disgustoso, il minoritario, il caotico, il perverso, il disarmonico vengono imposti sul bello, sul naturale, sull’armonico e su ciò che è ordinato; viene dato potere a tutto ciò che è aberrante e perverso nella società affinché si imponga su ciò che aveva valore regolativo e orientativo. Il malato è esibito e preferito al sano; la via complessa è preferita a quella semplice, pur
conducendo allo stesso luogo; l’artificiale è preferito al naturale. In agricoltura si è assistito all’avvento degli Ogm sterili, mentre sul piano sociale si ha l’avvento di un modello di famiglia non più basato sulla polarità maschio e femmina, ma su un modello di coppia dissolutivo e ancora sterile. All‘interno della società viene dato sempre più potere a minoranze sovversive e destabilizzanti che arrivano a tiranneggiare la maggioranza con pretese fuori da ogni norma, tradizione e logica, come il cancellare la priorità dei cognomi dei padri, senza capire il fondamento di tale prassi. Qui ci siamo limitati ad analizzare cosa significa il “Drago e la sua uccisione” dal punto di vista esoterico e filosofico, ma che cosa significa il “Drago” sul piano politico, storico, sociale e razziale è cosa nella quale non ci possiamo inoltrare. L’essenza della vera Cavalleria, non solo quella medievale, poggia su un fulcro filosofico-esoterico inequivocabile che sta a fondamento dei suoi aspetti sociali e militari che solo così trovano piena legittimazione. Tutto questo, nel corso dei secoli, lo si è contraffatto e insabbiato con una letteratura pseudocavalleresca che ha cercato di far poggiare la legittimità militare e sociale della Cavalleria su fattori spuri, politici e geopolitici e perfino razziali, facendole così perdere il suo carattere universalistico, ma soprattutto il suo potere catecontico di argine ai tentativi di irruzione delle forze del caos, della destabilizzazione e della corruzione. Nella cultura occidentale del Novecento sono stati numerosi le agenzie e gli agenti che si sono adoperati per occultare, espungere o insabbiare da ogni livello della vita culturale il “mito” fondante di ogni Civiltà e l’archetipo di ogni iniziazione, ossia: il Cavaliere che uccide il Drago. Al punto da potersi dire che la cultura occidentale contemporanea è
strutturalmente controiniziatica (41).
Non potevamo non saper parlare il linguaggio degli uccelli!
NOTE
(1) ZOLLA E., Che cos’è la Tradizione, Milano 1998, pag.133-138: (2) CLEBERT J.P., Bestiaire Fabuleux, Paris 1971, tr. it., Milano 1990, pag 117-127. “Drago”, sia in greco che in latino, significa “grosso serpente”; (3) DE SANTILLANA G.-VON DECHEND H., Mulino di Amleto. An essay on Myth and the frame of Time, 1969, tr. it. Milano 2003, pag. 88. (4) Ivi, pag. 334. (5) SHANKARA, Vivekacudamani, in MAHARSHI R., Opere complete, tr. it. Roma 1977, pag 139. I tre guna sono i tre stadi fondamentali della materia, paragonabili ai 4 elementi di cui parla la tradizione occidentale. Noi abbiamo: aria, acqua, terra e fuoco, mentre nella filosofia Samkya abbiamo: 1. Attività violenta e convulsa (rajas); 2. Ignavia, pesantezza e opacità (tamas) e 3. La purezza consapevole ed equilibrata (sattva). (6) Quella che Evola chiama “Tradizione unica primordiale”: EVOLA J., La Tradizione Ermetica, Roma 1996, pag 25. (7) GUENON R., Fondamenteaux Symbols of Sacred Science, Parigi 1962, tr. it. Milano 1997. (8) I Veda, a cura di R. Panikkar, tr. it., Milano 2005, RV VI 72, 3. (9) Ivi, RV II 12, 3-4. (10) Ivi, RV I 187, 1.
(11) Ivi, RV IX 73, 8. (12) Ivi, RV I 32,4. (13) Trovate il testo in: Mitologia assiro-babilonese, Torino, a cura di G. Pettinato, Torino 2005, pp. 101–151. Stiamo citando da: Tavola quarta, 100-105. (14) Testi Sumerici e Accadici, trad. it. Torino 1987, a cura di G.R. Castellino, Parte seconda, Testi Accadici, Inno processionale a Marduk e a Nabu, pag. 420. (15) GRAVES R., Greek Myths, Londra 1955, tr. it., Milano 1983, 21 a 2. (16) GRAVES R., Miti greci, cit., 73 k. (17) Ivi, 137 a-d. (18) Beowulf, tr. it. A cura di L. Koch, Torino 1992, 1501. (19) Ivi, 875-885. (20) Ivi, 894. (21) Ivi, 2345. (22) Ivi, 902. (23) Ivi, 1740 ss. (24) Ivi, 2277. (25) Ivi, 2700. (26) Nibelungenlied, trad. it., Torino 1995, XV 899-902, traduzione di L. Mancinelli; dice Crimilde dell’eroe e cavaliere Sigfrido: È forte il mio sposo e molto coraggioso. Quando uccise il Drago là, sulla montagna,
si bagnò del suo sangue, il nobile guerriero,§ perciò non lo ferisce nessun’arma in battaglia.
………
Quando dalle ferite del Drago scorreva il sangue ardente, e in esso si bagnava il prode cavaliere, gli cadde tra le spalle una larga foglia di tiglio. Là può esser ferito: per questo mi cruccio.” (27) SNORRI S., Edda, tr. it., Milano 1991, Gylfaginning 33-34. (28) Ivi, Skàldskaparmàl 40. (29) FRAZER J. G., The Golden Bough, Londra 1922, tr. it. Roma 1992, pag. 17. (30) CANESTRELLI A., L’Abbazia di San Galgano, Firenze 1986, pag. 116. (31) Sigismondo Tizio trascrive il testo del processo nel 1500 e fu reso pubblico da F. Schneider in “Analecta Toscana” IV 1914-1924, lo potete trovare in MOIRAGHI M., L’enigma di San Galgano, Milano 2003, pag. 189. (32) MOIRAGHI M., L’enigma di San Galgano, cit. pag. 211. (33) CARDINI F., San Galgano e la spada nella roccia, Siena 2000, pag. 33. Si veda, dello stesso autore: Alle radici della cavalleria medievale, Firenze 1997. (34) VON ESCHENBACH W., Parzival, tr. it. Milano 1989, a cura di L. Mancinelli, 444 e 468. (35) Ivi, 745,746, 760, 771. (36) Ivi, 453, 454.
(37) Si veda: BAIGENT M.-LEIGH R.- LINCOLN H., The Holy Blood and the Holy Grail, Londra 1982; tr. it. Milano 1982. (38) EPIPHANIUS, Massoneria e sette segrete: la faccia occulta della storia, Roma s.d., pag. 593. (39) RAHN O., Kreuzzug gegen den Gral, 1933, trad. it. Milano 199. Non è affatto vero quello che scrive Rahn: “il Graal fu nel Medio Evo la Chiesa dell’Amore Supremo e il suo simbolo”, pag.112. E anche dello stesso autore si veda: Luzifers Hofgesind, 1937, tr. it. Cuneo 1989. (40) VON ESCHENBACH W., Parzival, cit., 469. (41) Una recente opera mostra come questo si sia realizzato anche sul piano filosofico; DE BERNARDI P., Nero perfetto. La spiga di Iside-Demetra. Nous, Conoscenza presenziale e Appercezione pura nella prospettiva advaita della Filosofia Prima, Roma 2021, e come perciò la filosofia e la cultura contemporanee possano e debbano rifondarsi solo ritrovando la parentalità con gli Antichi Misteri.
Poiesis
Rubrica a cura di Gregorio Amigdala
Eppure era
di Gregorio Amigdala
Era pace. Era serenità. Era il nero più nero del nero. Era il Nulla Infinito. Eppure era. Oltre ogni cosa, ogni pensiero, ogni ragionamento, ogni immagine. Era tutto nero. Eppure era. Poi fu la Luce ed il dolore tornò. L’immagine prese il sopravvento, il pensiero come il vento rispose e la tempesta della ragione iniziò. Il dolore… più di tutto il dolore. Ovunque egli era. Allora desiderai il Nulla, ma mi accorsi che la Luce era così bella che accolsi il dolore.
Era pace. Era il Nulla Infinito. Eppure era.

Antologia di Poesie Mist iche

Lei è la mia sposa
di Gregorio Amigdala
Io non mi sposerò perché l’Anima mia è la mia sposa. Ella, bianca e vergine, mi ha cercato ed entrando nell’oscurità ha dato luce alla tenebra, trovandomi nel nero più nero del nero.
Non avrò figli, perché le mie parole saranno i miei figli. Dall’unione con la mia sposa nasceranno fiumi e fiumi di parole che, da me generati, sgorgheranno come acqua viva da Lei. Dal mio centro io l’osservo mentre si muove danzando. Lei è la mia sposa, bianca e pura, e non desidero altro. Da Lei nascerà il mio Figlio prediletto che porterà il Fuoco nel mondo.
Lei è Al-Hurr
di Gregorio Amigdala
Nella tranquillità della notte mentre vago tra le vie di questo piccolo paese che niente sembra poter dare quando invece dona il silenzio, io mi lascio trasportare dalla semplice poesia di un’aria appena fresca. Raccolgo dunque i miei pensieri e così cerco di riuscire a centrare tutto me in un respiro, in un battito cardiaco che possa liberarmi dalle distrazioni che la mente riesce ancora a darmi.
Così respiro l’aria fresca, mentre penso che tutto è pura e semplice distrazione che mi allontana da me stesso. Così respiro l’aria fresca ed alzando gli occhi al cielo vedo questa immensità di bellezza ed armonia.
Non riesco a trattenermi… Scoppio in lacrime di gioia.
Come può tutto questo esser solo distrazione?
Come può l’armonia di questa infinita bellezza poter essere solo distrazione? Poi vedo da lontano una luce ancor più grande. È la luna che pian piano scende dietro la montagna.
Come può tutto questo esser solo distrazione? È bellissimo! È fantastico! Questo momento è infinito e non voglio che finisca. Resto così ancora un po’ a mirare questa infinita ed interminabile bellezza. Poi mi giro e la vedo. È una stella che conosco ma che non avevo ancora visto. Lei è Al-Hurr! “Uomo Libero” è il suo nome. Dunque è questo lo scopo; dunque è questa la ragione di questa immensa armonia, di questa infinita bellezza che la tranquilla e silenziosa notte
ha voluto regalarmi tra le lacrime di gioia e lo stupore per l’infinito. Lei è Al-Hurr! “Uomo Libero” è il suo nome.

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