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Il sistema politico e istituzionale del Giappone

Il Giappone è una monarchia costituzionale con un sistema di governo parlamentare di tipo multipartitico. Dal punto di vista amministrativo, il paese si presenta come uno Stato unitario suddiviso in 43 prefetture, un distretto metropolitano (Tokyo), due prefetture urbane (Kyoto e Osaka) e un distretto (Hokkaido). L’attuale assetto politico e istituzionale è stato definito dopo il Secondo conflitto mondiale, quando le autorità alleate di occupazione imposero un nuovo testo costituzionale per dare al Giappone una struttura democratica che sostituisse la vecchia Costituzione di tipo autoritario e imperialista in vigore dal 1889. Redatta durante il regno dell’imperatore Meiji, questa attribuiva al sovrano un ruolo fondamentale nella struttura politica del paese. In base a quanto enunciato dagli articoli 3 e 4, l’imperatore disponeva di tutte le prerogative per la gestione dell’azione di governo e la sua persona era dichiarata sacra e inviolabile, essendo considerato come un Dio vivente in quanto la sua autorità derivava direttamente dalla religione shintoista (1). Sul piano politico poi, anche se il testo istituiva una prima suddivisione dei poteri, si affermava come l’imperatore avesse il diritto di opporre il veto a ogni provvedimento approvato dalla «Dieta» e come fosse sempre sua prerogativa in caso di emergenza di emettere delle ordinanze senza il consenso del potere legislativo. I ministri erano poi obbligati ad assistere l’imperatore nell’esercizio delle sue funzioni amministrative, mentre lo stesso ruolo del premier risultava alquanto limitato, disponendo quindi di prerogative assai più contenute rispetto a quelle dei suoi omologhi europei. Inoltre, il governo non era responsabile verso la «Dieta», ma nei confronti dell’imperatore. Sempre al sovrano spettava poi il comando dell’Esercito e della Marina, il potere di proclamare lo «stato d’assedio»e di dichiarare la guerra. Riguardo all’organizzazione della giustizia, l’autonomia delle corti e della magistratura erano fortemente ristretti e i diritti di cui godevano i cittadini nipponici risultavano quanto mai limitati e ritenuti soltanto una «benevola elargizione» del sovrano, in quanto questi non disponevano di alcun diritto costituzionale che li tutelasse dalle azioni compiute dal governo non potendo, infatti, contestare davanti alle corti nessun atto amministrativo. Il legislativo, la «Dieta», si componeva di una Camera dei rappresentantii cui membri erano eletti direttamente dai cittadini anche se l’esercizio del diritto di voto era limitato a quelli di sesso maschile che disponevano di un determinato livello di ricchezza personale, e di una Camera dei pari composta da appartenenti alla nobiltà e personalità designate dall’imperatore. Infine, la stessa libertà di espressione risultava considerevolmente limitata da tutta una serie di disposizioni legislative (2). Ma con la sconfitta subita dal Giappone nel Secondo conflitto mondiale si assisterà a una radicale trasformazione della struttura politica e istituzionale del paese.

Già nella Dichiarazione di Potsdam, rilasciata nel luglio 1945, i governi di Stati Uniti, Gran Bretagna e Repubblica di Cina affermavano come il Giappone

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L’Imperatore Meiji (1852-1912), qui ritratto nel 1890, è stato il 122o imperatore del Giappone dal 3 febbraio 1867 sino alla sua scomparsa avvenuta il 30 luglio 1912. Guidò l’impero in un contesto di grandi cambiamenti, vedendolo mutare da uno Stato feudale a una potenza mondiale capitalistica e imperialistica attraverso la rivoluzione industriale giapponese (wikipedia.it).

avrebbe dovuto rimuovere tutti gli ostacoli per il rafforzamento delle istituzioni democratiche e introdurre il principio della libertà di pensiero, di espressione e di religione unitamente a quello del rispetto dei diritti umani (3). Così, dopo la resa dichiarata il 15 agosto 1945 e la conseguente accettazione della Dichiarazione di Potsdamda parte del governo di Tokyo, il Giappone venne posto sotto l’autorità del generale Douglas MacArthur in qualità di Comandante supremo per le Forze alleate (Supreme Commander for the Allied Powers,SCAP) al quale spettava la prerogativa di indirizzare le direttive al governo giapponese nonché l’autorità finale su ogni decisione (4). E uno degli obiettivi di MacArthur era rappresentato proprio dalla redazione di un nuovo testo costituzionale che sostituisse quello del 1889 così da rimuovere nella popolazione giapponese l’ideologia autoritaria e imperialista fino ad allora predominante nella cultura del paese. La nuova Costituzione avrebbe dovuto ispirarsi a tre principi, quali la revisione dello status sacro di cui godeva l’imperatore all’interno del sistema politico e sociale giapponese, l’introduzione di una forma di governo parlamentare unitamente all’introduzione nella Carta costituzionale di una serie di diritti e doveri spettanti ai cittadini. Appariva però evidente come il governo e le autorità giapponesi non avessero né la forza politica di procedere a una revisione costituzionale data la drammatica situazione sociale ed economica in cui si trovava il paese dopo il conflitto, né la volontà di modificare il sistema istituito con la Costituzione del 1889 essendone stati parte integrante e avendone condiviso i principi autoritari enunciati. Sarà quindi dopo un anno dalla fine del conflitto che il nuovo testo costituzionale verrà inviato ai due rami della «Dieta» giapponese, dove questo il 24 agosto 1946 riceverà l’approvazione della Camera dei rappresentanti con 421 voti favorevoli e 8 contrari a cui seguirà un mese dopo quella della Camera dei pari con 298 sì e 2 no. La versione definitiva sarà poi approvata dalla Camera dei rappresentanti a larga maggioranza e il 29 ottobre 1946 il Consiglio privato, alla presenza dell’imperatore Hirohito, firmava il nuovo testo costituzionale che verrà promulgato il 3 novembre per entrare ufficialmente in vigore il 3 maggio 19475.

Douglas MacArthur (1880-1964) è stato un generale statunitense. Personalità di grande prestigio delle Forze armate americane del XX secolo, dimostrò qualità di comando e notevoli capacità strategiche durante le numerose campagne di guerra a cui prese parte, nel corso della Seconda guerra mondiale e la guerra di Corea. Qui ritratto assieme al 124o imperatore del Giappone, Hirohito (1901-89) - (wikipedia.it). In alto: una sessione della Conferenza di Potsdam, da cui è scaturito il documento firmato il 26 luglio 1945 dagli Alleati nel quale si esponevano le condizioni per la resa giapponese. Il testo della dichiarazione terminava affermando che, se il

Giappone non si fosse arreso, sarebbe andato incontro a una «rapida e totale distruzione» (en.wikipedia.org/Bundesarchiv).

Il ruolo dell’imperatore secondo la Costituzione attuale

Il nuovo testo costituzionale, oltre a introdurre una ben definita separazione dei poteri, dichiarava come ogni atto contrario ai principi espressi nella Costituzione — che rappresentava la legge suprema del paese — fosse da ritenersi nullo, fissava la divisione dei po-

teri, sanciva il rispetto dei diritti umani e modificava sostanzialmente il ruolo istituzionale dell’imperatore. Se, infatti, in base al dettato costituzionale del 1889 questo possedeva una natura divina ed era al centro del sistema politico, stando al testo del 1947 il sovrano perdeva invece la sua sacralità, trasformandosi nel simbolo dello Stato nipponico e dell’unità del popolo giapponese all’interno del nuovo sistema democratico nel quale non avrebbe esercitato alcun effettivo potere politico o di governo. Le funzioni di cui oggi dispone l’imperatore sono quindi quelle di ordine protocollare esercitate dai sovrani nelle monarchie costituzionali degli altri paesi. In base alla Costituzione, spetta all’imperatore la prerogativa di nominare il primo ministro e il presidente della Corte suprema, di promulgare le leggi, di ratificare i trattati internazionali, di dissolvere la Camera dei rappresen-

L’imperatore Emerito Heisei (1933) è un membro della famiglia imperiale giapponese, 125º imperatore del Giappone dal 1989 al 2019. Qui ritratto assieme all’imperatrice Michiko (wikipedia.it). In alto: Naruhito (1960), 126º imperatore del Giappone, dal 1º maggio 2019. L’era giapponese corrispondente al suo regno porta il nome di Periodo Reiwa (periodo di bella armonia) e di conseguenza, secondo la tradizione giapponese, dopo la sua morte gli sarà attribuito il nome postumo di imperatore Reiwa (wikipedia.it).

tanti e di procedere alla nomina e alle dimissioni dei ministri del governo. Nel corso del regno di Akihito — il quale ha ufficialmente abdicato il 30 aprile 2019 – l’imperatore ha però svolto un ruolo significativo nel campo delle relazioni internazionali. Pur spettando la gestione della politica estera al primo ministro e al ministero degli Esteri, Akihito in quest’area ha svolto un’importante funzione nella politica di riconciliazione con i paesi che hanno subito l’occupazione giapponese durante il Secondo conflitto mondiale, come avvenuto nel corso dei viaggi effettuati nel 1992 in Cina e nel 2016 nelle Filippine o in occasione della visita compiuta nel 1990 a Tokyo dall’allora presidente sudcoreano Roh Tae-woo, tutte occasioni in cui l’Imperatore ha espresso il suo rincrescimento per le azioni commesse dalle Forze armate nipponiche (6). In merito alla monarchia giapponese, va poi sottolineata la prassi, indicata come «a ogni imperatore, il nome di una nuova era», secondo la quale l’ascesa al trono di un nuovo sovrano segna l’inizio un nuovo periodo che viene denominato con un nome appositamente scelto dal governo e selezionato tra quelli proposti da burocrati ed esperti. L’attuale periodo, iniziato il 1o maggio 2019 con l’ascesa al trono dell’imperatore Naruhito, è indicato come «era Reiwa», ovvero «della bella armonia» (7).

Calendario giapponese risalente al 1873 (en.wikipedia.org).

Le prerogative del governo e del legislativo

All’interno dell’esecutivo la figura più importante è rappresentata dal primo ministro, la cui posizione è stata rafforzata dopo la riforma varata nel 2001, la quale ha reso il suo ruolo più incisivo in particolare verso la burocrazia, da molti analisti considerata un freno all’azione di governo, e ha attribuito al premier la prerogativa di presentare al gabinetto i provvedimenti riguardanti la politica estera, la sicurezza nazionale e l’economia.

Con la stessa riforma si è poi istituito l’Ufficio di gabinetto e il Segretariato di gabinetto, un ufficio con il compito di coordinare i diversi ministeri e le agenzie e che è diretto dal capo del Segretariato di gabinetto, il quale costituisce una delle personalità più importanti all’interno del governo, tanto da essere indicato come una sorta di premier ombra, svolgendo anche il ruolo di portavoce dell’esecutivo. In base alla Costituzione, il primo ministro, che deve essere un membro del legislativo e una personalità civile, viene eletto dalla «Dieta» per essere poi formalmente nominato dall’imperatore. Tuttavia, nella procedura di designazione da parte della «Dieta» il ruolo della Camera dei rappresentanti, ovvero la Camera bassa, risulta essere preponderante rispetto a quello della Camera dei consiglieri. Difatti, qualora i due rami della «Dieta» esprimessero un diverso candidato alla carica di primo ministro e non fosse possibile raggiungere un’intesa nella commissione congiunta oppure nel caso in cui la Camera dei consiglieri non riuscisse a esprimersi nei dieci giorni successivi al voto della Camera dei rappresentanti, il candidato designato da quest’ultima costituirà quello indicato dalla «Dieta».Il governo, composto da undici ministri che vengono designati e revocati dal premier, è responsabile collegialmente davanti alla «Dieta», anche se solo la Camera dei rappresentanti può revocare la fiducia all’esecutivo. E nel caso la Camera bassa approvi una mozione di censura o respinga un voto di fiducia richiesto dal governo, questo è tenuto a dimettersi a meno che entro dieci giorni la Camera dei rappresentanti non venga dissolta, lasciando così l’esecutivo uscente in carica fino all’elezione di un nuovo primo ministro. È poi sempre prerogativa del premier di chiedere lo scioglimento della Camera dei rappresentanti e convocare elezioni anticipate (8). Riguardo al legislativo, la «Dieta» giapponese è di tipo bicamerale e si compone di una Camera dei consiglieri e di una Camera dei rappresentanti, il cui ruolo, come detto sopra, risulta però nettamente predominante (9). Questa si compone di 465 membri che restano in carica per quattro anni. Di questi, 289 vengono eletti attraverso il maggioritario a turno unico in altrettanti collegi uninominali, mentre 176 sono designati con il sistema proporzionale in undici circoscrizioni elettorali. Solo la Camera dei rappresentantidispone della prerogativa di revocare la fiducia al governo mentre, in merito alla procedura di approvazione dei provvedimenti legislativi, nel caso la Camera dei consiglierisi esprimesse in maniera differente, la sua opposizione può essere superata da una nuova deliberazione presa dalla Camera bassa con la maggioranza dei due terzi dei voti. La legge di bilancio deve essere invece presentata alla Camera dei rappresentanti e, nel caso la Camera dei consiglieri si esprimesse in maniera negativa e non fosse possibile raggiungere un’intesa all’interno della commissione congiunta oppure qualora questa non riuscisse a pronunciarsi nei trenta giorni seguenti il voto della Camera bassa, la decisione presa dalla Camera dei rappresentanti costituirà quella della «Dieta».

La Camera alta della «Dieta», ovvero la Camera dei consiglieri, è stata istituita con la Costituzione del 1947 e ha sostituito la precedente Camera dei pari esistente nella Costituzione del 1889 la quale si componeva di nobili ereditari, membri della famiglia imperiale e di personalità designate dall’imperatore. La Camera dei consiglieri si compone di 245 membri che restano in carica per sei anni anche se ogni tre anni questa viene rinnovata per metà dei suoi componenti. Il metodo di elezione prevede che dei 121 membri eletti in ogni rinnovo parziale, 73 siano designati in ognuno dei 47 distretti prefetturali del paese per mezzo di un particolare procedimento elettorale denominato «voto singolo non trasferibile» (10), mentre i restanti 47 vengano invece indicati con il sistema proporzionale. Il ruolo della Camera dei consiglieri risulta decisamente più defilato rispetto alla Camera dei rappresentanti, non potendo la Camera alta revocare la fiducia al governo e avendo, nella procedura di approvazione dei provvedimenti legislativi, solo la possibilità di ritardarne l’approvazione. Tuttavia, il parere della Camera dei consiglieri risulta essenziale nel procedimento di revisione costituzionale, la quale stabilisce che ogni emendamento debba essere approvato da entrambi i rami della «Dieta» con la maggioranza dei due terzi dei voti per essere poi successivamente sottoposto a referendum popolare. E data la rigidità di questa procedura, la Costituzione nipponica non è stata mai emendata dal momento della sua introduzione nel 1947. Va infine sottolineato come, a differenza della Camera dei rappresentanti, la Camera dei consiglieri non può essere dissolta anticipatamente, in quanto le elezioni per il rinnovo, secondo quanto stabilito dalla Costituzione, devono svolgersi ogni tre anni, avendo il governo solo il compito di fissare la data delle consultazioni.

La Costituzione «pacifista» e la riforma dell’articolo 9

Uno degli obiettivi delle potenze alleate all’indomani del Secondo conflitto mondiale fu non solo quello di avviare un processo di democratizzazione delle istituzioni nipponiche, ma anche di smantellarne la struttura militarista, dove le Forze armate fino al 1945 avevano disposto di un potere quanto mai rilevante nella società, così da impedire che il Giappone potesse costituire ancora un pericolo dal punta di vista militare. Vennero quindi prima disciolte le Forze armate imperiali nel novembre 1945, poi nel gennaio 1946 epurati dagli incarichi governativi tutti gli ufficiali ritenuti essere attestati su posizioni ultranazionaliste e infine sempre nello stesso anno istituito il Tribunale militare internazionale per l’Estremo Oriente (International Military Tribunal for the FarEast) con il compito di processare ventotto tra personalità politiche e alti ufficiali considerati responsabili di crimini di guerra e contro la pace (11).

Questa nuova visione della politica e della società nipponica si rifletterà anche nella stesura della Costituzione del 1947, la quale all’art. 9 enuncia espressamente il principio del pacifismo dichiarando come il Giappone rinuncia alla guerra proibendo inoltre al paese di mantenere in servizio delle Forze militari aeree, navali e terrestri stabili. Tuttavia, prima il mutato quadro geopolitico sorto con l’inizio della Guerra Fredda e poi lo scoppio del conflitto coreano, spinsero il generale MacArthur a dichiarare nel discorso di capodanno del 1950 come il Giappone avesse il diritto a riarmarsi per assicurare la sua difesa. Ma sarà con l’entrata in vigore del Trattato di Pace di San Francisco nel 1952, il quale riconosceva per il Giappone il diritto all’autodifesa individuale o collettiva secondo quanto enunciato dall’art. 50 della Carta della Nazioni unite, che la questione del riarmo del paese iniziò a entrare nel dibattito politico nazionale. Così, nell’agosto 1950 veniva istituita la National Police Reserve, una forza paramilitare equipaggiata con armamento leggero che due anni più tardi si trasformerà nella National Safety Force dotata di oltre centomila effettivi. In seguito, nel luglio 1954 venivano quindi formate le Forze di autodifesa (Self-Defence Forces,SDF), mentre nel dicembre dello stesso anno l’allora premier Ichiro Hatoyama dichiarava che, pur non enunciando espressamente la Costituzione il diritto all’autodifesa, questa però non lo negava apertamente, aggiungendo inoltre come ogni paese aveva il diritto di difendersi ed era quindi ovvio che il Giappone, essendo uno Stato indipendente, disponeva di questa prerogativa pur rinunciando alla guerra (12). Tuttavia, le disposizioni costituzionali

negli anni successivi limiteranno sempre la capacità operativa delle Forze di autodifesa giapponesi, in quanto il paese disponeva solo del «diritto di autodifesa individuale» e non di quello «collettivo», non potendo quindi le sue Forze militari andare in supporto degli Stati legati al Giappone da trattati di alleanza. Di conseguenza, in ogni occasione in cui il Giappone ha preso parte a missioni internazionali è stata sempre necessaria un’apposita autorizzazione legislativa della «Dieta», tanto che, a detta di diversi analisti, il ruolo delle Forze di autodifesa è stato più simile a quello di una Forza di polizia che non di una militare (13). A partire dagli anni Settanta però il governo di Tokyo, di fronte all’emergere di un scenario in cui la Corea del Nord e la Cina venivano ritenuti un pericolo sempre più crescente per la sicurezza nazionale, ha cercato di alleggerire le limitazioni imposte alla difesa «collettiva», tanto che una serie di accordi internazionali unitamente alla legislazione approvata nel 1999 che ha modificato l’operatività della Forze di autodifesa ha di fatto autorizzato il Giappone ad attuare delle azioni militari nei confronti di pericoli provenienti dall’estero percepiti come imminenti. E un ulteriore passo verso il rafforzamento delle capacità operative delle Forze di autodifesa si è avuto nel luglio 2014, quando il governo allora guidato da Shinzo Abe ha proceduto a una nuova interpretazione dell’art. 9 in base al quale il Giappone è ora autorizzato alla «difesa collettiva» potendo così andare in supporto di un paese alleato nel caso si trovasse sotto attacco (14).

In quell’occasione lo stesso Abe ha rilasciato un documento, intitolato Cabinet Decision on Development of Seamless Security Legislation to Ensure Japan’s Survival and Protect Its People, nel quale si sottolinea come il governo è giunto alla conclusione che non solo quando il Giappone fosse attaccato, ma anche nel caso in cui un paese con il quale Tokyo ha stretti rapporti di alleanza subisse un’aggressione oppure si presentasse una minaccia esterna in grado di porre un serio pericolo all’esistenza della nazione giapponese, l’uso della forza militare al livello minimo necessario dovrebbe essere autorizzata interpretando in questo senso il testo costituzionale (15). E nel 2017 sempre Abe ha dichiarato alla «Dieta» come il contesto strategico regionale «(…) fosse per la sicurezza del Giappone uno dei più severi e critici mai esistiti…», sostenendo così la necessità di procedere a una revisione dell’art. 9 della Costituzione (16). 8

Yoshihide Suga è un politico giapponese, ex primo ministro del Giappone dal settembre 2020, sostituito nella carica di premier, dal 4 ottobre 2021, da Fumio Kishida. Precedentemente è stato ministro degli Affari interni e delle comunicazioni e segretario generale del governo negli esecutivi guidati da Shinzō Abe (wikipedia.it). In alto: Shinzō Abe è un politico giapponese, che è stato il più longevo primo ministro del Giappone, avendo ricoperto tale carica una prima volta dal settembre 2006 al settembre 2007 e una seconda dal 26 dicembre 2012 al 16 settembre 2020. È stato anche il più giovane primo ministro giapponese della storia. È un esponente della corrente più conservatrice del Partito Liberal Democratico (LDP), nonché uno dei più nazionalisti (repubblica.it).

NOTE

(1) Secondo la leggenda, il Jimmu Tennū, ovvero il Primo imperatore che nel 660 a.C. avrebbe fondato la dinastia regnante giapponese, discenderebbe direttamente dalla dea del Sole Amaterasu Omikami. Questa aura di sacralità che circondava la figura imperiale assumeva degli aspetti che oggi risultano difficili da comprendere, come quello per cui la sua voce non fu mai ascoltata nel paese sino al 15 agosto 1945, quando l’allora imperatore Hirohito lesse alla radio il proclama, peraltro scritto con il giapponese arcaico in uso all’interno della corte imperiale il quale risultò poco comprensibile per la popolazione, con cui annunciava la resa del Giappone agli alleati. Questo aspetto religioso della persona del sovrano emerse anche in occasione della preparazione dei Giochi Olimpici di Tokyo del 1940 — che poi non vennero disputati a causa della guerra —, quando uno dei punti in discussione verteva proprio sul modo in cui Hirohito avrebbe dovuto dichiarare aperta la manifestazione, essendo considerata blasfema non solo la sua presenza allo stadio, ma anche che parlasse a un microfono. (2) Sulla Costituzione giapponese del 1889 vedi, The Constitution: Context and History, in Shigenori Matsui, The Constitution of Japan: A Contextual Analysis, Hart Publishing, Londra 2011, pp.1-35. (3) A luglio 1945, all’interno del governo di Tokyo, vi era ancora la convinzione che si potesse giungere a una «pace negoziata» dove il Giappone avrebbe conservato alcune conquiste effettuate in Asia e il suo territorio nazionale non sarebbe stato occupato. Da parte alleata però si continuava invece a richiedere nient’altro che la resa senza condizioni, lasciando intendere di essere disposti solo a prendere in considerazione il mantenimento della monarchia con il ruolo dell’imperatore ridotto a pure funzioni cerimoniali e che Hirohito non fosse processato come criminale di guerra. Così, quando il 10 agosto, dopo lo sganciamento della seconda atomica su Nagasaki e la successiva dichiarazione di guerra dell’Unione Sovietica al Giappone, il Consiglio imperiale si riunì, l’imperatore usò il suo peso determinante per far approvare una risoluzione nella quale si affermava come il Giappone era pronto ad arrendersi, richiedendo come sola condizione il mantenimento della monarchia. Il 12 agosto Truman accettò la proposta di resa giapponese dichiarando che l’imperatore sarebbe rimasto sul trono ma solo con un ruolo di tipo cerimoniale. Vedi su questo Japan Surrenders 10-15 August 1945 al sito https://www.osti.gov/opennet/manhattan-project-history/Events/1945/surrender.html. (4) Diversamente dalla Germania, dove le quattro potenze alleate avevano assunto direttamente il controllo del governo unitamente a tutte le attività politiche e amministrative del paese, in Giappone le autorità di occupazione, delle quali non facevano parte esponenti dell’Unione Sovietica, operavano invece attraverso il governo giapponese che aveva il compito di attuare le direttive emanate da MacArthur, il quale, va ricordato, aveva insistito perché la monarchia non venisse abolita e l’imperatore venisse lasciato sul trono. Con la firma del Trattato di Pace di San Francisco del 1951 e la sua entrata in vigore nell’aprile 1952, la sovranità giapponese su tutto il territorio del paese venne ripristinata, con l’eccezione però delle isole Ryukyu, le quali rimasero sotto il controllo degli Stati Uniti fino al 1971. (5) Vedi sulla redazione della Costituzione giapponese del 1947 John Van Sant, Democracy and Discontinuity: Japan’s Postwar Constitution, apparso in UCLA Historical Journal, n.13, Anno 1993, pp.61-88. (6) In merito all’abdicazione va ricordato come questa non fosse contemplata nell’ordinamento e nella legge di successione della casa regnante nipponica. L’ultimo sovrano a prendere questa decisione difatti era stato l’imperatore Kōkaku, il quale nel 1817 abdicò a favore di suo figlio. Così, quando nell’agosto 2016 Akihito dichiarò come intendesse abdicare a causa delle sue condizioni di salute, la «Dieta» giapponese iniziò la procedura per l’introduzione di un provvedimento legislativo che consentisse al sovrano di prendere questa decisione. La legge venne provvisoriamente approvata nel giugno 2017 e, di conseguenza, nel dicembre 2017 Akihito dichiarò, quindi, ufficialmente la sua intenzione di abdicare avviando così il procedimento che si sarebbe concluso il 30 aprile 2019 con la sua abdicazione e l’ascesa al Trono del Crisantemo di suo figlio Naruhito. Sulla procedura di successione esistente nella casa regnante giapponese vedi al sito https://www.kunaicho.go.jp/e-kunaicho/hourei-01.html. (7) L’uso del calendario imperiale venne introdotto in Giappone dalla Cina circa milletrecento anni fa, ma fu solo a partire dal Regno dell’imperatore Meiji (1868-1912) che l’usanza di far seguire l’ascesa al trono di un nuovo sovrano con l’inizio di una nuova era iniziò a essere effettivamente utilizzata. In base alla tradizione, il nome che indica ogni nuova fase consiste di due caratteri cinesi che non devono essere presenti in nessuna delle combinazioni utilizzate per indicare i periodi passati, ma per la nuova era iniziata con l’ascesa al trono di Naruhito si è preferito invece far uso di caratteri tratti dal Manyoushu, un’antica raccolta giapponese di poesie risalente all’VIII secolo. Finora il Giappone ha conosciuto questi cinque diversi periodi a partire dal 1868: Meiji (o era del governo illuminato, imperatore Meiji, 1868-1912 ), Taishō (o era della grande giustizia, imperatore Taishō, 1912-26 ), Shōwa, (o era della pace illuminata, imperatore Hirohito, 1926-89), Heisei (o era della pace raggiunta, imperatore Akihito, 1989-2019) e infine l’attuale Reiwa (o era della bella armonia, imperatore Naruhito, regnante dal 1o maggio 2019). (8) Sul ruolo del governo in Giappone vedi Japan’s Parliament and other political institutions, Briefing Continental Democracies, European Parliament Think-Tank, 15 dicembre 2020. (9) Sui risultati delle elezioni per la Camera dei rappresentanti tenutesi dal 1947 al 2017 vedi al sito http://www.parlgov.org/explore/jpn/election, mentre invece per quelli relativi all’elezione della Camera dei consiglieri svoltesi dal 1969 al 2016 vedi al sito http://archive.ipu.org/parline-e/reports/2162_arc.html. (10) Il «voto singolo non trasferibile» prevede che l’elettore possa esprimere un solo voto per un candidato all’interno di un collegio plurinominale. Si tratta quindi di un sistema simile al maggioritario, ma che a differenza di questo permette una maggiore rappresentatività consentendo che in un collegio vengano eletti anche esponenti di diversi partiti. (11) Delle cento personalità sospettate di crimini di guerra di cui lo SCAP aveva ordinato l’arresto, solo ventotto vennero portate in giudizio: di queste, due scomparvero per cause naturali nel corso del processo, mentre la posizione di un’altra venne stralciata a causa dei suoi gravi problemi psichiatrici. Nei confronti dei venticinque imputati rimasti, la sentenza emessa tra il 4 e il 12 dicembre 1948 stabilì per sette di loro la condanna a morte per crimini di guerra, contro l’umanità e contro la pace, mentre per altri sedici la detenzione a vita. Tuttavia, tre di questi morirono in carcere e gli altri tredici vennero tutti rilasciati tra il 1954 e il 1956. Uno dei problemi che le autorità alleate si trovarono ad affrontare era quello riguardante il ruolo di Hirohito che, in quanto Comandante supremo dell’Esercito e della Marina e responsabile della più alta posizione all’interno del governo, avrebbe dovuto essere anch’esso processato. Le autorità alleate ritennero però che se l’imperatore fosse comparso in giudizio per prima cosa vi sarebbero stati problemi di ordine legale e di sicurezza, ma soprattutto avrebbe avuto un impatto negativo sulla politica di occupazione del Giappone e quindi sulla stabilità dell’intera regione asiatica. Ancora oggi comunque, la questione se Hirohito avrebbe dovuto essere o meno processato continua a sollevare delle discussioni. Sul processo ai criminali di guerra nipponici vedi Yuma Totani, Tokyo War Crimes Trial, in The Encyclopedia of War, Wiley-Blackwell, Hoboken 2011. Sulle sentenze e i nominativi dei condannati vedi invece Tokyo War Crimes Trial, consultabile al sito https://www.nationalww2museum.org/war/topics /tokyo-war-crimes-trial. (12) Le Forze di autodifesa rispondevano non a un ministero ma all’Agenzia di autodifesa e sarà solo nel 2007 che verrà istituito il ministero della Difesa. Un altro limite imposto era poi quello che il bilancio destinato alla Difesa non superasse l’1% del PIL, quota che nel corso degli anni non è mai stata superata. Tuttavia, lo scorso maggio, il ministro della Difesa Nobuo Kishi ha dichiarato come, visto il contesto regionale, il Giappone è pronto a destinare una percentuale più alta per le spese militari. Vedi su questo Japan to scrap 1% GDP cap on defense spending: Minister Kishi, Nikkei Asia, 21 maggio 2021. (13) Con la legge approvata nel 1992 che consente alle Forze di autodifesa giapponesi di essere dispiegate anche all’estero, queste hanno partecipato a diverse operazioni di peacekeeping delle Nazioni unite nonché alla missione Enduring Freedom in Afghanistan e a quella in Iraq con un ruolo di forza logistica, prendendo inoltre parte alla coalizione internazionale antipirateria attiva nel Golfo di Aden e a missioni di aiuto nei paesi asiatici colpiti da disastri naturali. Sull’organizzazione delle Forze di autodifesa giapponesi vedi Japan: Defence and Security Policy Reform, European Parliament Research Service (EPRS), gennaio 2016. (14) Le Forze di autodifesa giapponesi contano 247.150 effettivi, dei quali 150.850 appartengono alle Forze terrestri, 43.500 alle Forze navali e 46.950 alle Forze aeree. I riservisti sono 56.000. La Guardia costiera dispone di 14.200 effettivi. Dati tratti da The Military Balance 2020, International Institute for Strategic Studies (IISS), Londra. (15) Vedi sulle modifiche attuate all’operatività delle Forze militari Jeffrey P. Richter, Japan’s “Reinterpretation” of Article 9: A Pyrrhic Victory for American Foreign Policy?, apparso su Iowa Law Review, vol. 101, n.3, anno 2016, pp.1223-1262. (16) Sul piano politico, a favore della revisione dell’art. 9 della Costituzione si dichiarano il Partito Liberaldemocartico (LDP), principale formazione del centro-destra e rimasto quasi sempre al governo dal dopoguerra a oggi, e i suoi alleati buddhisti del Komeito anche se con posizioni più sfumate. Sono invece contrari a ogni modifica le forze d’opposizione di centro-sinistra, rappresentate dal Partito Costituzionale Democratico (CDP) e dal Partito Comunista (JCP). Va poi ricordato che dal 16 settembre 2020 Yoshihide Suga, sempre dell’LDP, ha sostituito Shinzō Abe alla guida del governo.

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