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Elenco dei dispersi in Russia ritrovati dall'U.N.I.R.R

Gli alpini parteciparono con la nuova 5a divisione alpina "Pusteria" costituita dal 7° rgt alp (con i battaglioni "Feltre", "Pieve di Teco" già del 1°, "Exilles" del 3°); 11° rgt alp e 5° rgt art da montagna più battaglioni complementi, compagnia mista genio, 309a sezione sanità153. La nostra "Cuneense" contribuisce con il "Pieve di Teco" (compagnie 2a, 3a, 8a, 107a) e con il "Saluzzo" (che arriva in Africa tre mesi prima), più una batteria del "Mondovì". Il primo contingente della "Pusteria" si imbarca a Napoli il giorno dell'Epifania del 1936 e gli alpini - che portano con loro una Madonna che la gente di Romagna manda ai suoi soldati in Africa - attribuiscono a questa coincidenza un significato augurale154 .

«Quindici giorni prima del Natale '35 rientriamo a Mondovì racconta Vittorio De Lorenzi - e vado per la prima volta in licenza; alle armi ero andato nel '34 a Mondovì, plotone comando del "Pieve di Teco" e nel 1935 avevamo fatto le manovre di giugno al Brennero. Ma il 24 dicembre vengo richiamato e il 4 gennaio del '36 sono a Napoli. Il battaglione adesso fa parte della "Pusteria" e con il Conte Grande ci portano in Africa. Passiamo Suez e dicono che il pedaggio lo si paga in oro. Sbarco a Massaua ed in camion fino a Endargarubò (Edagarobò, N.d.I.) a 70-80 km da Macallé. Siamo stati tre giorni morti dalla sete: ci fanno due punture e sù al fronte. Diamo il cambio alle camicie nere della "3 gennaio". Avanziamo sull'Amba Aradam con pochissime perdite, poi sull'Amba Alagi dove faceva un gran freddo. Avevamo la radio R2 con una potenza di 3-4 km. Ultimo combattimento a Mai Ceu, presso il lago Ascianghi. Pasqua quell'anno era il 27 marzo. Facciamo la comunione e stiamo tre giorni senza mangiare. Con me c'era Bertuccio. Lavoriamo a fare strade per un mese, quindi ci spostiamo a Dessié. Poi in camion ad Addis Abeba».

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Come Vittorio De Lorenzi l'avventura d'Africa è vissuta per 14 mesi anche da Angelo Fontana, marito di Norma Balostro; partito a militare nel 1932 con il battaglione "Ceva" e poi passato al "Pieve di Teco", 107a compagnia: si ricorda di Severino Cosso, Francesco (Gino)

153 RASERO (1985) pag. 170. 154 RASERO (1985) pag. 171.

Denegri, Tardito155 che era del'13, Giulli156 di Noceto e fratello di Felice, Silvio Bertuccio.

«Sono arrivato a bere l'acqua del raffreddamento delle mitragliatrici Breda», ricorda Angelo, «anche se poi quelli del film Luce ci hanno fatto fingere un'azione. Eravamo arrivati a Massaua il 12 gennaio ed in camion ci hanno portati a Edagarobò, dove ci hanno fatto un'iniezione. Poi marce nel Takassé157 e siamo arrivati a Macallé senza combattere. Sull'Amba Aradam troviamo dei nostri feriti». Ma non riaffiorano solo episodi di guerra: «Addis Abeba vuol dire nuovo fiore, Mai Ceu invece acqua salata; in certe pianure che erano al disotto del livello marino dovevamo camminare di notte perché di giorno c'era un calore tale che non si respirava. Il grano veniva due volte l'anno dove la terra era fertile e nei campi lasciavano le pietre che impedivano all'acqua torrenziale di portare via la terra, però gli aratri erano piccolissimi. Addis Abeba era ricca di eucalipti e una ferrovia andava a Gibuti. In una partita a pallone il "Pieve di Teco" ha battuto il "San Marco" che era con noi nella capitale».

Giovanni Ferretto di Montessoro, parte come recluta al "Ceva", 4a compagnia, nel 1933 a Mondovì: «Erano tutti piemontesi». In Africa ci va con il "Pieve di Teco", 107a compagnia, e ci parla di quando sull'Amba Aradam gli alpini sono venuti alle mani con le camicie nere. Angelo Del Boca158 riporta fedelmente ciò che sostiene Ferretto: “(...) a stanarli dalle caverne, coi lanciafiamme e le bombe a mano, toccherà ancora una volta agli alpini della Pusteria; ma l'onore di issare, alle 17.30, il tricolore sulla sommità dell'Amba Aradam verrà concesso, per ragioni politiche, alle camicie nere della 23 Marzo, fatto che non mancherà di peggiorare i rapporti fra i due corpi e di provocare anche qualche scambio di fucilate, qualche rimpatrio”.

155 Aldo Tardito. 156 Angiolino Siri. 157 Takassé o Takazzé è un fiume tra l'Eritrea e l'Etiopia. 158 DEL BOCA (1992b) pag. 558.

Carta dell'Eritrea, Somalia ed Etiopia nel 1936

Ma sentiamo il racconto di Ferretto:

«Nella 3a compagnia c'era il caporale Emilio Zuccarino, anche lui di Montessoro, e sull'Amba Aradam c'è salito, perché l'abbiamo conquistata noi159. Comandava il battaglione il ten. col. Reteuna che ci fà un discorso: i nostri compagni della guerra precedente sono arrivati fino qui e l'hanno ammazzati tutti!160 Il primo accampamento l'avevamo fatto a Garibò (Edagarobò, N.d.I.). Il nostro capitano ha comprato un cavallo e l'abbiamo insellato: si è seduto per terra.

159 VIGLIERO (1938) pag. 31 e segg.:"...alle sette una squadra della 2a compagnia giunge per prima sulla quota più elevata dell'amba (m. 2.756) e vi pianta il gagliardetto del battaglione. Seguono immediatamente le altre compagnie, che dilagano sull'immenso pianoro del monte, che è ormai tutto in nostro possesso...". Era il 16 febbraio 1936. 160 Ten. Col. Augusto Reteuna. L'Amba Alagi (m. 3.442) fu infatti testimone del sacrificio del maggiore Pietro Toselli, il 7 dicembre 1895, ricordato nei canti eritrei come "il signore della guerra". RASERO (1985) pag 177.

A Mai Ceu161 c'è stata la battaglia più dura: eravamo quasi senza munizioni e buttavamo bombe a mano. Stavamo in trincea e Attilio Giampietro si alza e prende una pallottola in fronte».

Tale situazione è descritta da Remigio Vigliero162: “(...) i fucilieri rimasti senza munizioni usarono cartucce per mitragliatrici, i mitraglieri ricorsero agli espedienti più impensati per sostituire nei manicotti l'acqua che difettava, per assicurare la continuità del fuoco; numerosi feriti non vollero abbandonare la linea per seguitare a combattere; non pochi, per avere maggiore efficacia di fuoco, non esitarono a portarsi allo scoperto (...)”.

Una delle grosse difficoltà della guerra in Etiopia fu quella del rifornimento alle truppe: i soldati oltre a combattere dovettero anche costruire strade; gli uomini si passano pietre l'un l'altro e come rancio solo scatolette. Il 7 aprile il colonnello Emilio Battisti scrive nel suo diario: “Cinghia, pioggia e 15 muli morti”163. Come a dire fame e desolazione. La "Pusteria" appronterà comunque venti chilometri di strada in soli dieci giorni ed il 5 maggio 1936 Badoglio potrà così telegrafare a Roma che è entrato vittorioso ad Addis Abeba.

Continua Ferretto: «Il tenente colonnello andava a giocare a carte con Badoglio nel ghebì imperiale ad Addis Abeba e gli diceva: mandaci a casa, ma lui non poteva perché non aveva navi per il trasporto».

Non c'erano solo alpini in Africa, come abbiamo visto: De Lorenzi era in corrispondenza con Arturo Grassi del battaglione "S. Marco" che riesce ad incontrare a Natale del '36 ad Addis Abeba: «con Gino Denegri l'abbiamo aspettato dal mattino alla sera, poi finalmente l'abbiamo visto e ci ha dato una camicia e delle scatolette».

Grassi era un reduce della nostra concessione di Tien Tsin dove arrivò dopo una navigazione durata un mese e tre giorni nel 1931. Ai familiari ricordava sempre, con una certa ironia, che in Cina era

161 E' la battaglia del lago Ascianghi, 31 marzo 1936. Il "Pieve" ebbe 16 morti e 60 feriti e ricevette la medaglia d'argento al valor militare; VIGLIERO (1938) pag. 37. 162 VIGLIERO (1938) pag. 38. 163 RASERO (1985) pag. 183.

cresciuto d'altezza perché finalmente aveva cominciato a mangiare regolarmente. Dal suo foglio matricolare si deduce che partì a militare in marina nell'aprile del 1931 per una ferma di 28 mesi ma si congedò solo a dicembre del 1933: di questo suo periodo in Estremo Oriente ne è testimone un ex voto al Santuario della Guardia in cui sono elencati 34 genovesi della classe 1911, tra cui anche Arturo, che prestarono servizio nel battaglione "S. Marco" nel 1931-32-33 nel più lontano presidio militare italiano.

Richiamato nel settembre 1935 andò in Etiopia e ritornò nel 1937, per essere ulteriormente arruolato nel 1940 per la Seconda Guerra Mondiale; lo incontreranno Paolo Zuccarino ed Emilio Zuccarino a Pola (quest'ultimo, classe 1921, non è quello che partecipò alla guerra d'Etiopia) e poi Carlo Carminati a Crema, dopo l'8 settembre 1943, quando Arturo stava ritornando dalla Jugoslavia in bicicletta.

Bartolomeo Mignone (Walter) invece era nella compagnia "chimica", secondo alcuni, con il generale Luigi Negri che comandava la "Pusteria"; per altri era nella "Cosseria".

Il ritorno ci è raccontato da Vittorio De Lorenzi:

«A Massaua ci sono il 27 o il 28 marzo del '37 e ci hanno imbarcati sul Sardegna il 31. Arrivo a Genova il 10 aprile e vado subito a Mondovì per il congedo che ho finalmente il giorno 12. Da quando son partito il 17 settembre 1934, ho dormito a casa nel mio letto per sei giorni soltanto».

Anche Francesco (Gino) Denegri, classe 1911, visse le stesse avventure che deduciamo dal Foglio Matricolare: chiamato alle armi il 2 ottobre 1932 nel "Pieve di Teco", è congedato dopo dodici mesi; richiamato nell'aprile 1935 e mandato in Etiopia, sbarca a Genova il 9 aprile del '37.

Sbarcarono e furono accolti da altri soldati, altri compaesani in servizio di leva ancora ignari del loro destino: per molti ci sarà nuovamente guerra, ancora viaggi in terre sconosciute, distanze e popolazioni mai immaginate, ancora gioventù sprecata: qualcuno finirà solo nel 1945 e non avrà neanche il tempo per riflettere sull'inutilità della sua fame, fatica o noia perché nessuno gli permetterà di riposare.

Neanche Ulisse impiegò così tanto tempo per tornare a casa.

Elenco degli isolesi che parteciparono alle operazioni belliche in Africa Orientale Italiana (1935-1937), dedotto da una fotografia dell'epoca:

1. Sold. ACERBO Giuseppe, cl. 1908; 2. Alp. BALBI Armando, cl. 1911; 3. Sold. BALBI Carlo, cl. 1913; 4. Sold. BALOSTRO Angelo, cl. 1911; 5. Sold. BERNUZZI Antonio Mario, cl. 1911; 6. Alp. BERTUCCIO Silvio, cl. 1914; 7. Sold. BISIO Gerolamo, cl. 1914; 8. Sold. CASELLA Tomaso, cl. 1911; 9. Sold. CORNERO Armando, cl. ?; 10. Serg. CORNERO Giuseppe, cl. 1911; 11. Serg. DE LORENZI (Rico) Emilio, cl. 1913; 12. Capor.(alp.) DE LORENZI Vittorio, cl. 1913; 13. Alp. DENEGRI Francesco, cl. 1911; 14. Alp. FERRETTO Giovanni, cl. 1913; 15. Capor. m. GATTI Giuseppe, cl. 1913; 16. Marò GRASSI Arturo, cl. 1911; 17. Capor. LOTTA Umberto, cl. 1907; 18. Sold. MIGNONE (Walter) Bartolomeo, cl. 1914; 19. Sold. REPETTO Armando, cl. 1911; 20. Sold. ROLANDI Francesco, cl. 1911; 21. Alp. SANGIACOMO Battista, cl. 1909; 22. Alp. SCARLASSA Tomaso, cl. 1911; 23. Alp. SIRI Angiolino, cl. 1911; 24. Alp. TARDITO Aldo, cl. 1913; 25. Alp. TARDITO Antonio, cl. 1911; 26. Capor. (alp.) ZUCCARINO Emilio, cl. 1911.

VII

LA SECONDA GUERRA MONDIALE

Nel dicembre del 1942 un alpino del battaglione "Pieve di Teco" tornava verso Topilo, nelle vicinanze del Don, dopo aver portato gli ordini in linea. Il freddo era pungente e la neve molto diversa da quella di La Thuile, dove nel marzo precedente aveva frequentato il corso sciatori. Ma era una neve diversa anche da quella di Valle Scrivia, solo il silenzio che l'accompagnava era simile. Da casa sua, in alto sui monti, dopo le nevicate, i treni del fondovalle non si sentivano e la stalla era più chiara quando lui entrava a rigovernare le mucche. Nella steppa tutto era grigio, anche le piante non si staccavano dal fondo innevato ed a guardare quelle colline così basse sembrava che fossero stanche anche loro. Alcune figure ferme ai bordi della strada lo distolsero improvvisamente dai ricordi perché erano senz'altro ufficiali in trasferimento o ricognizione. Uno in modo particolare lo colpì, era fuori del gruppo e sembrava più anziano: istintivamente l'alpino si fermò di fronte a lui. Entrambi avevano il ghiaccio sul passamontagna e gli occhi arrossati dal sonno e dal guardare in quell'inferno lattiginoso.

«Alpin, com'è il rancio?».

«Le patate son ghiacciate e fanno male alla pancia, signore».

Questo non si stupì ed estrasse una sigaretta da un pacchetto di Macedonia che offerse all'alpino. Ne prese una anche per sè e si scostò il passamontagna. La barbetta sul mento era inconfondibile: si trattava del generale Battisti, comandante la divisione alpina "Cuneense". Chi non se lo ricorda tra i suoi soldati, quando in estate durante la marcia di trasferimento fece schierare i battaglioni in un campo di grano appena tagliato e salito su una carretta parlò alla "sua" divisione?

“(...) Siamo partiti dall'Italia con una destinazione adatta al nostro istinto, alle nostre armi, alle nostre tradizioni. Dovevamo raggiungere il Caucaso. Adesso i tedeschi ci impiegheranno in pianura, sul Don. E' un rospo questo che i tedeschi ci vogliono far trangugiare. Noi vecchi alpini inghiottiremo il rospo davanti per espellerlo dietro (...)”164. Come non poteva commuoversi il nostro alpino se un generale come questo, che parla chiaro e ci tiene ai suoi soldati, gli offre una sigaretta in quello scenario così duro, così lontano dalla sua terra? Certo se l'avesse incontrato alle pendici di Monte Reale o sull'Alpe, in una mulattiera ripida, il penacco 165 appeso dietro, circondati dalla galaverna come Dio comanda, con i rami degli alberi che toccano terra e il suono delle campane della chiesa di S. Michele nell'aria, gliel'avrebbe anche detto:

«Ha fatto bene generale, continui a difenderci, ma non solo da questo, anche dagli imboscati, dai commerci che nelle retrovie si fanno con la roba nostra, dai fucili che al freddo non funzionano, dalle fasce mollettiere, dagli scarponi che fanno gelare i piedi...». Ma era già sufficiente così per lui: quando riuscirà un soldato semplice a vedere il comandante della sua divisione con spontaneità e senza burocrazia, fino al punto da non rispondergli quella frase oscena che ti obbligano ad imparare nelle caserme?

«Com'è il rancio, soldato?».

«Ottimo ed abbondante, signore!».

Topilo era ancora distante e farsi trovare di notte all'aperto con quel gelo non era simpatico: l'alpino salutò senza essere impacciato, guardò negli occhi quell'uomo (anche lui stanco e preoccupato) e una vena di complicità si stabilì tra di loro166 .

Dopo l'Etiopia e la Spagna, l'Esercito Italiano si trovò impegnato in un conflitto ben più difficile e totalizzante che, purtroppo, coinvolse anche la popolazione civile. Il soldato della Prima Guerra Mondiale aveva almeno solo il pensiero della propria incolumità e i problemi di casa erano quelli a cui era abituato: fame, fatica, freddo. Nel 1940 si aggiungono i bombardamenti e poi la divisione dell'Italia, dal 1943, con la guerra civile. Durante le varie occupazioni a cui partecipò (Francia, Albania, Grecia, Jugoslavia, Africa del Nord, Russia),

164 REVELLI (1980) pag. 539, testimonianza del ten. Assunto Bianco, 1° rgt alp. 165 Roncola. 166 L'episodio è realmente accaduto: Carlo Carminati ce lo raccontò durante l'intervista pregando di non citare il suo nome per quella naturale modestia da parte dei reduci che già abbiamo descritto in un altro caso.

l'isolese in divisa si rese conto di quello che succedeva quando un Esercito staziona sulla terra altrui: anche se lo spirito di sopravvivenza continuò ad essere la spinta primaria a reagire, l'ansia dei propri familiari alla mercé di truppe straniere diventò però il filo ossessionante delle giornate nei campi di prigionia.

Una guerra quindi che esce fuori dagli schemi tradizionali, anche perché non è più cementata da quel sentimento di Patria ed Unità Nazionale che almeno le altre si proponevano. Nel 1915 i fanti forse sapevano di morire per qualcosa di tangibile, anche se non condivisibile: Trento e Trieste. Nel '40, storditi da una propaganda che li accompagnava dalla più tenera età, dimenticando la lezione della Grande Guerra, agli italiani si riproponeva la convinzione, rivelatasi errata alla prova dei fatti, che con poche battaglie si potessero decidere le sorti di un conflitto mondiale. Il genio di Mussolini avrebbe poi fatto il resto. Ecco cosa disse il Duce a Badoglio il 26 maggio 1940: “Lei, signor Maresciallo, ha avuta una esatta visione della situazione in Etiopia nel 1935. Ora è evidente che le manca la calma per un'esatta valutazione della situazione odierna. Le affermo che in settembre tutto sarà finito e che io ho bisogno di alcune migliaia di morti per sedermi al tavolo della pace quale belligerante”167 .

Una guerra anomala anche sotto il punto di vista dell'impegno delle Forze Armate: le principali perdite furono sopportate da poche divisioni e in scacchieri ben precisi: la "Julia" in Albania e Russia, la "Acqui" a Cefalonia, la "Cuneense" in Francia, Albania e Russia, la "Tridentina" con "Vicenza", "Cosseria", "Ravenna", "Sforzesca", "Torino", "Pasubio" e "Celere" sul Don, la "Folgore" ad El Alamein; carristi, sommergibilisti e piloti furono più che decimati. Invece le perdite di altri reggimenti in Africa del Nord o in Etiopia e sul territorio nazionale furono dolorose ma mai spaventose come quelle delle grandi unità citate. Vi furono anche reparti che pur impegnati sui vari teatri di guerra, subirono vuoti notevoli a causa della cattura di

167 Pietro Badoglio, L'Italia nella seconda guerra mondiale, Mondadori, 1947: citato in DEL

BOCA, (1992c) pag. 345.

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