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I revisionismi

Come ogni partito politico che voglia apparire serio e duraturo, anche la nuova coalizione deve rapportarsi al passato nazionale, e alla Resistenza. Negli eventi della Resistenza le nuove forze politiche cercano legittimazione storica e nuovi strumenti per colpire i partiti di opposizione. Nei modi con cui questo recupero viene attuato, l’obiettivo nascosto diventa gettare fango sulle sinistre e sul ruolo avuto nella guerra di Liberazione per dirottare i consensi da sinistra verso destra; anche se questo costa la storpiatura dei fatti storici. In questo recupero strumentale della storia, la politica incontra il fecondo mondo dei revisionismi.

Si deve precisare che da sempre la storia è stata usata dal mondo della politica per giustificare il presente o indebolire lo schieramento avverso: le sinistre stesse nel dopoguerra hanno fatto leva sul proprio contributo resistenziale per aumentare il consenso elettorale. La differenza rispetto al riuso dei fatti storici messo in atto negli anni ’90 è però evidente. Il contributo comunista e azionista alla Resistenza, sfruttato da Pci e Psi per avere appoggi, è esistito, ed è stato senza dubbio fondamentale; è un fatto documentato dalle fonti, dalle testimonianze. Al contrario, Le nuove forze politiche di destra ora poggiano le loro teorie su interpretazioni, tesi poco chiare, non documentate. Prima di analizzare i modi con cui la politica “riusa” la storia, però, è utile una breve analisi del revisionismo, che è un fenomeno a sé.

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I revisionismi

Il dibattito sul revisionismo storico si affaccia in Italia negli anni ’70: il primo a essere etichettato come revisionista è stato Renzo De Felice. Storico conosciuto e importante, al suo nome è legata la monumentale biografia su Mussolini, pubblicata da Einaudi nel 1965. De Felice volle, ai tempi, indagare i fatti legati al fascismo e alla Seconda Guerra Mondiale guardandoli dalla parte del suo principale artefice. Immediatamente gli storici di sinistra, i più legati alla Resistenza, videro in questa ricerca un tentativo di rivalutazione della Rsi e dell’esperienza del fascismo. In realtà, il primo studio di De Felice si poggiava su una base documentaria solida, non su opinioni e interpretazioni distorte; inoltre,

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non ambiva a ribaltare tesi già da anni affermate. Nell’introduzione alla monumentale opera, De Felice dice appunto:

[…] Deve essere ben chiaro che la valutazione complessiva, di fondo, di Mussolini e del fascismo alla quale ci sembra dovremo pervenire non potrà essere in sede «etico-politica» che quella ormai acquisita dalla più moderna storiografia e, ancor prima, dalla coscienza nazionale italiana, attraverso le élites culturali e politiche prima, attraverso l’opposizione sempre più vasta delle masse popolari alla guerra e poi infine attraverso la resistenza armata.295

In effetti, il revisionismo storico in sé non è un mostro da combattere. Si rifletta su questo punto: tutta la storiografia si fonda su un atteggiamento “revisionistico” e critico di fronte ai fatti. Se così non fosse, lo studio della storia si limiterebbe alla pura e semplice cronaca, senza cercare di spiegare i nessi causali e le conseguenze a lungo termine di un dato evento. Claudio Pavone scrive a questo proposito:

È bene innanzi tutto cercare di chiarire il significato stesso della parola revisionismo, che ha una storia lunga e travagliata, ricca di ambiguità. […] In primo luogo, revisionismo rinvia per opposizione al concetto di ortodossia. Revisionisti sono coloro che contestano l’ortodossia, antirevisionisti coloro che la difendono. Tutti gli eretici sono in questo caso dei revisionisti, il che naturalmente non esclude che essi possano essere dogmatici quanto gli ortodossi e talvolta fondino anzi la loro eresia sul ritorno alla purezza delle origini, manomessa, a loro dire, da coloro che si mascherano da ortodossi. […] Se si vuol parlare in generale, tutti abbiamo nella vita il dovere di rivedere continuamente noi stessi e le nostre opinioni, né gli storici costituiscono un’eccezione […]. Anche Nolte ricorda che, a partire da Erodoto e da Tucidide, i grandi storici sono stati quasi tutti revisionisti, cosicché, egli scrive, «il termine “revisionismo” […] deve essere utilizzato in una accezione più ristretta», di semplice sinonimo di «esame critico e correzione», praticato da una scuola nei confronti di un’altra scuola «che si potrebbe definire “ufficiale” e “consolidata”» […]. Occorre ad ogni modo ricordare che una storia ufficiale e protetta dalla mano pubblica, contro la quale il revisionismo sarebbe costretto a insorgere coraggiosamente in nome della verità conculcata, esiste solo negli Stati totalitari, condizione nella quale l’Italia non si è più trovata a partire dall’aprile 1945. E nemmeno ha molto senso, al di là della polemica politica, squalificare in blocco, chiamandola spregiativamente “vulgata”, una storiografia ricca di luci e di ombre, di articolazioni e di contrasti.296

Il revisionismo – strumento indispensabile per saggiare la fondatezza delle tesi storiografiche – diventa pericoloso quando viene strumentalizzato e usato non

295 RENZO DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, Einaudi, Torino, 1965, p. XXI. 296 CLAUDIO PAVONE, Negazionismi, rimozioni, revisionismi: storia o politica?, in Fascismo e antifascismo. Rimozioni, revisioni, negazioni, a cura di Enzo Collotti (atti del convegno dell’Insmli, Roma, 21-23 aprile 1998), Roma-Bari, Laterza, 2000, pp. 26-29.

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